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MORALISCHE WOCHENSCHRIFTEN Institut für Romanistik, Karl-Franzens-Universität Graz Permalink: http://gams.uni-graz.at/o:mws.3291 Référence bibliographique: Antonio Piazza (Éd.): "", dans: Gazzetta urbana veneta, Vol.1\083 (), pp. 657-664, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Dickhaut, Kirsten / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011-2017. hdl.handle.net/11471/513.20.3818 [consulté le: 16.03.2017 ]. Num. 83 1788 NUM. 83. Mercordì 15. Ottobre 1788. Se le avventure ch’abbiamo impreso di pubblicare su questi Fogli, comparse fossero in un volumetto, il titolo che convenuto meglio sarebbegli non poteva essere che I pregiudizj della Sincerità, ossia l’Uomo sincero a suo danno. Lo vedranno a’fatti li nostri leggitori. La sua storia breve, ma piena di vicende, famigliare ma pittoresca nella varietà de’caratteri in essa descritti, senza presentare gran cose offre piacevolmente delle morali lezioni, e non è un accozzamento di freddi racconti, o d’immagini seducenti e pericolose, ma un Quadro naturale in cui molti vedranno il loro Ritratto, e niuno forse vorrà riconoscerlo. Nella sua divisione è suscettibile di alcuni Articoli a cui daremo un titolo separato: onde senza deviare dal filo della narrazione ognuno possa stare da sè con qualche particolare oggetto, e servir di trattenimento a quelli ancora che non avessero veduto il principio, o non giungessero al fine. La chiarezza di questo metodo se non varrà a far cangiar sentimenti in chi è mal disposto contro di noi servirà almeno a ratificare in chi pensa diversamente quelli di parziale benevolenza, e d’efficiente protezione, perché farà conoscere, che cogliendo tutte le occasioni d’allettare non senz’instruzione, impieghiamo sino quell’ore ch’esser destinate dovrebbero ad un necessario sollievo, per dare alle cose destinate alla stampa quel miglior ordine che la ristrettezza del tempo ci può accordare. L’educazione dovrebbe cominciar dalle fascie. Le prime impressioni sono sempre le più tenaci, e per esse molti uomini restano sempre fanciulli. De’primi dieci anni della mia vita io non avrei nulla a dire, che degno fosse di ricordanza, se non istimassi un preciso dovere di detestare un pregiudizio da cui veggo attaccate le volgari non solo ma moltissime delle civili, e distinte Famiglie. Si dovrebbe appena che siamo spoppati aver la maggior attenzione a correggere destramente le debolezze della natura; e non altro si fa generalmente, che nutrirle o sollecitare il loro sviluppo. Abbandonati per lo più alla discrezione di gente mercenaria, che mal soffre il peso della nostra custodia, o siamo irritati dalle resistenze e negative, che ci fanno struggere in lagrime, o troppo secondati ne’puerili nostri desiderj, che per tempo ci avvezzano a volere tutto ciò che ne piace. L’arte di tenersi lontani dalli due estremi non è a portata delle donnette plebee: l’amore di farci crescere al Mondo con de’buoni principj regolativi della vita futura, non è proprio che a’Genitori saggj, egualmente inimici della soverchia indulgenza, dell’indiscreto rigore: e questi ci abbandonano agli altrui capriccj quando abbiamo il maggior uopo della loro vigilante prudenza. Occupata mia Madre nelle sue faccende domestiche era destinata ad aver cura di me una vecchiaccia sdentata, di pelata zucca, d’occhi lippi, d’orrido aspetto, vivente immagine delle Parche, che a mio dispetto mi stà ancora dinanzi agli occhi. Incostante e volubile quanto una fresca fanciulla, ora m’avrebbe dato sino un rasojo se glielo avessi richiesto, ora negavami anche quegli strumenti di fanciullesco trastullo, comperati per divertirmi. Irritata da’miei delirj, e dal mio pianto, cercava di calmarmi col farmi paura, e si componeva quella faccia brutta per sè stessa e stucchevole, cogli sberleffi, e collo spalancare degli occhi, in modo Da far ispiritar un cimiterio. Questo bel ripiego spesso servivale a spaventarmi, e farmi tacere: e quando s’accorse che poco a poco perdendo andava la sua efficacia ricorse a quello di farmi temer la Beffana, e il Babbao, o una Vecchia dipinta filando in —1— capo a una Sala, essendosi accorta del mio ribrezzo a quella pittura, forse per essere a lei somiglievole. Ancora ricordomi, che qualche volta il mio timore veder mi fece quella odiosa figura dove non c’era, parendomi che mi tenesse dietro nell’allontanarmi da lei. Frutto d’un tale contegno fu l’avvezzarmi a temere della mia ombra medesima, ad ispaventarmi al buio, a credere che de’Genj malefici servissero agli altrui cenni per terror de’fanciulli. Uscito con tale profitto dalle sue mani all’età d’anni quattro, fui confidato a quelle d’un benemerito Servitore della Famiglia da cui mi si fece dipendere fino all’età d’anni dieci, e succhiare una quantità di piacevoli errori. Seppi da lui una buona parte delle cose or ora narrate. Era esso un uomo del miglior cuore del Mondo ma d’una testa la più malfatta. Il vero non aveva per esso attrattive, né colpire lasciavasi che dalle favole, e dai sogni. Aveva uno stanzino pieno di Libri ammonticchiati e confusi, tutti vecchj Romanzi, o trattati di Magia, di Medicina simpatica, d’Astrologia giudiziaria: non c’era insomma che un grasso pascolo alla volgare credulità. Sapeva egli a mente i Reali di Francia, Guerin Meschino, Amadis, Buovo d’Antona, Paris e Vienna, il Gabinetto delle Fate, ed ogni giorno me ne recitava qualche pezzo con un sentimento, con un impegno, che mi faceva una grand’impressione. Alunno delle sue follie cominciava a prenderne tanto gusto, ch’io non aveva (sic) migliore compagna della sua. Pazienza se contentato ei si fosse di pascermi di sorprendenti menzogne, ma a fin di bene mi caricava di pregiudizi in modo da non liberarmene più. Nel raccontarmi il tristo destino del mio Genitore, per sottrarmi al pericolo di soggiacerne m’insegnò certa orazione da recitar ogni sera, piena di condannate espressioni. Preservativo contro de’fulmini attaccato avevami al collo uno scabro sassolino che toccar doveami le carni, e mi logorò in modo che ne porto ancora i segni indelebili. Ogni donna un po’ stralunata, secondo lui era una strega: ogni cagionevole o ipocondriaco uno spiritato. A credergli, liberati aveva più di trecento infelici posseduti dal Diavolo: ma perduta una pergamena segnata di arabiche cifere, non aveva più la virtù di vincer il Demonio. Dalle linee delle mie palme argomentava a ciglia inarcate, ch’io doveva esser un uomo fortunatissimo destinati a luminosi impieghi, vincitor degli avversi casi: ma che per la mia sincerità avrei sofferti degli dispiaceri. Tutto falso fuori che quest’ultimo punto se in vece di dispiaceri detto avesse de’mali. Io gli credeva, pendeva dalle sue labbra, e mi piaceva l’udir da lui ripetere, che la sua Padrona era mia Madre, che adottato avevami col suo affetto, ch’io riputarmi poteva suo Figlio, ch’essere dovea tutto mio quello che ad essa lei apparteneva. La mia Genitrice cercava di trarmi da questo inganno quando io le ne parlava, ma poteva ben dir e fare, che i detti del mio Oracolo da me non s’assoggettavano alcun dubbio. Tentava ella in oltre di screditare le favole ond’ei m’aveva ingombra la mente, ma inutilmente tentollo. Io aveva il giudizio di non parlar che con lei di simili cose, per ciò niun altro sapeva quanto male fossero raccomandati i primi anni miei ad un Custode sì pericoloso per i suoi pregiudizj. Una docilità naturale caro rendevami a tutti: nulla mancava a’bisogni, e a’comodi della mia vita: tutti i divertimenti mi venivano del Servitore a cui era affidato, e almeno alloro sarei stato felice ne’miei stessi errori, se per essi non avessi appreso ad esser pauroso, e ad istare in una guardia affannosa per la mia salvezza. A tal epoca la mia Protettrice, che m’accarezzava, e senza saperlo nutriva coll’affabilità de’suoi modi le lusinghe inseritemi dal pazzo suo Servitore, pensò da far coltivare il mio spirito, e mi destinò alla dipendenza d’un Prete di Villa, che aveva molti Scolari. La naturale mia avidità di sapere mi fece sentire con gioja la sua risoluzione: ma quanto presto si cangiò questa in affanni il vedremo nel seguente Articolo. (Sarà continuato.) Il Mondo è bel perch’è di varj umori. L’andare a caccia scorrendo i piani ed i monti dalla mattina alla sera, o il confinarsi in una botte ne’rigori dell’Inverno per isterminio delle Folaghe: il volgare in un’agile barchetta per divertimento: il giuocare al pallone, e l’esercitarsi ne’passatempi di fatica, son cose tutte che in derision si mettono, e in biasimo da chi non se ne diletta. Tutti i gusti son gusti per chi volontariamente se le prende; ma uno di nuovo, e de’più strani ch’uditi si siano, è quello che siamo per raccontare. Alla Spezieria della Madonna in Campo a San Bartolommeo si fà presentemente la Teriaca. Alle ore sette della notte del Venerdì della scorsa settimana, cominciavano i Facchini il faticoso lavoro quando giunse un mascherato propriamente vestito, e con tutta la buona grazia, chiese ad uno di quelli la sua mazza di ferro, e nel di lui posto —2— si mise a pestare gagliardamente. Quando fu ben riscaldato si cavò il mantello, e continuò; da lì a poco fece la stesso della bauta, e poi della maschera. Passò di là un venditor d’Acquavite, che ne avea un fiasco pieno, e tutta la fece bere a sue spese alla Società facchinesca con cui divideva il travaglio, poi quando fu aperta la vicina bottega d vini navigati, chiamata da noi Malvasia, passò con coloro nella medesima, e li trattò a Moscato. I capi di essi ebbero finalmente dalla sua generosità una merenda al Caffè in Campo; e dopo aver pestato per quattro ore, ed aversi scorticate le mani nel duro esercizio, perché non riparta da’globosi calli, vedendo che L’Alba uscia dalla magion celeste Colla fronte di rose, e i bei crin d’oro si coprì del mantello, e della bauta, si mise al viso la maschera, e partì salutando cortesemente tutti, per non essere scoperto. Vien detto che sia un Sensale, e per la stravaganza del suo genio meriterebbe d’essere conosciuto. I facchini se lo aspettano un’altra volta, ed ogni maschera che di là passa a quell’ora lor sembra la tanto attesa. Ognuno è attento per cederle il suo mortajo, ma forse si lusingano invano d’aver un'altra volta un Collega sì degno; perché la Luna non ha ogni notte per certe teste i medesimi influssi. Dalla Mira. 12 Ottobre 1788. Credete d’esser voi soli a Venezia ch’abbiano Teatri aperti; Commedie, Tragedie, e Musica? Ci siamo ancor noi ed una Compagnia ambulante diretta da certo Antonio Mamilliani ci diverte moltissimo, e fà bene il suo interesse. Questa ci dà Commedie di carattere, e di quelle dell’Arte a soggetto, e Farse, ed Intermezzi in Musica eseguiti perfettamente, ne’quali si distinguono due Ragazze, ch’anche in cotesta Metropoli potrebbero figurare. Tutti li Signori che in queste parti villeggiano ponno farvi testimonianza di quanto asserisco, e se ne siete in dubbio venite a passar due giorni da me, che vi fò padrone assoluto di tutto fuori che di mia moglie, e del mio cavallo. Sono il vostro Amico G. B. Z. Crema 11 Ottobre 1788. Tardi dò le nuove perché siano più vere, e più ragionate. L’Opera ch’abbiamo è il Giulio Sabino mascherato con il titolo della Clemenza di Tito, e poi col Titonelle Gallie. La Musica celebre fatta tante volte, ed in tanti Teatri è del dottissimo Signor Maestro Sarti. Questa al solito piace. Pacchierotti innamora chi l’ascolta con attenzione, e Babbini si fà conoscere per uno dei migliori Tenori. La Casentini ha bella voce, ed intuona perfettamente, e se Piacchierotti continuerà ad erudirla diventerà una cosa rara. Il Ballo è la Lucrezia Romana: l’invenzione, e la composizione non ebbe alcuna lode, e tutti compiangono la gran Carolina Pitrot sagrificata non si sà se per ignoranza, o per malizia. L’inventore è Beretti. Li altri ballerini sono tutti eccellenti, ma non compariscono. Il vestiario è magnifico, le Scene sono divine: quelle del Gonzaga, e quelle del suo Scolaro sono fatte troppo in fretta. L’Orchestra potrebbe esser migliore. L’Impresario è il Belloni, sotto il quale si fece anco l’apertura di questo Teatro, ed ha la fortuna di veder sempre bel tempo. Il concorso dei Forestieri è grandissimo, ed una sera vi furono le L. L. A. A. R. R. l’Arciduca, e Arciduchessa di Milano in strettissimo incognito servite da S. E. Co: Trento Podestà. Questa Città è piena di lusso, ed è sorprendente come vi capisca tanto mondo in sì piccola circonferenza. Sono di cuore N. N. —3— Teatri. Dopo la Farsa, che seguì il Prologo all’apertura del Teatro di S. Gio: Grisostomo, la Tragedia l’Edipo, e quella de’Principi Estensi, cose tutte che’ebbero una sola replica, vi fu di nuovo una Rappresentazione intitolata: La Donna Archibugiera, venuta da Napoli non si sà per vettura, o per la posta. Quel ch’è certo è che non ha colpito il genio dell’Uditore, e ch’anzi fu archibugiata dall’universale disapprovazione. Si recitò a S. Gio: Grisostomo. L’altr’jeri, Lunedì, si espose sulle Scene del Teatro di S. Angiolo la Commedia nuovissima intitolata Avviso a’Maritati, di cui abbiamo messo in aspettazione il malcontento Marito, che ci scrisse il Biglietto, e speriamo sia corso ad udirla. Ella è dell’Autore medesimo de’Falsi Galantuomini, Commedia che tanto piacque nell’anno passato. La Vedova di due Mariti, Dama vana, capricciosa, volubile, e d’un carattere da far crepare anche il terzo se trovato l’avesse quale il credeva, prende in quest’azione in Consorte un Colonnello ricco. Al comparire iniscena pomposamente vestita al fianco d’un Cavaliere servente adulator e vigliacco, e corteggiata da Donna Eufemia sua amica, e dal di lui Sposo D. Aurelio, ch’escono unitamente al Colonnello, e ad altro Personaggio rappresentato dal Sig. Menghin, ella spiega il suo carattere incomodando in un fiato tutta la servitù, volendo passare improvvisamente in campagna a solennizzare il suo Sposalizio, licenziando e strapazzando il Mastro di Casa che tutto avendo apparecchiato in Città veder facevale l’impossibilità di servirla, cangiando opinioni in momenti, e rivogliendo la parola allo Sposo dopo aver parlato con tutti gli altri, come se fosse l’ultima cosa per lei anche al momento d’ire a stringere il nodo. Egli si finge paziente e tranquillo, ascolta tutti i suoi ordini, la lascia dire e disporre a suo grado. Giunge il di lei Padre, parte recitata dall’abilissimo Sig. Androux; sorpreso di vederla accanto del parasito Servente, la chiama in disparte, le fa una correzione da saggio, a cui nel rispondere ella mette nel più chiaro punto di vista la sfrenatezza del suo costume deridendo pubblicamente le massime della sua prudenza, come rancidumi del Secolo scorso, e prendendo a braccio il suo Cavaliere di capo sventato, se ne và a giurar eterna fede al terzo Marito. Questi resta un poco in iscena col Personaggio rappresentato dal suddetto Menghin il quale per compassione ed onesetà lo instruisce delle triste qualità d’animo della Donna a cui stà per unirsi, delle qual non aveva avuto che un debole saggio nelle di lei stravaganze. Il Colonnello lo interroga se ne’disordini del suo contegno preservata ella siasi dalla riputazione d’indecore, e udendo rispondersi che sì: tutto il resto, soggiunge, è un nulla; son mali rimediabili. Così termina l’Atto Primo, che mette in grandissima aspettazione, e fu molto applaudito. Nel Secondo il vincolo è stretto, torna la scena di prima, la Moglie comanda a bacchetta, dispone i Legni, e le partite per la gita alla Campagna, il Servente ha da stare con lei, il Marito non si nomina neppure: ma questo allora si cava la maschera, s’investe de’suoi diritti, e comincia a parlar da padrone. Un tuono della più ferma risoluzione, un’aria di gravità militare, sorprendono ed intimoriscono gli astanti, e non fanno che irritar la sua Sposa. Le sue parole son forti, minacciose, sensate; vuole ch’ella passi seco lui alla sua abitazione, che gli altri vadino ove lor piace. Ella usa contro di lui dell’espressioni ingiuriose: egli le intima severamente di non osare mai più di ripeterle, o apparecchiarsi ad un castigo da umiliarla per sempre. A questa protesta accompagnata da fulminanti guardi sono invocati da lei i Cavalieri della sua partita per vendicare la sua offesa grandezza: niuno si move perché D. Aurelio ha una Moglie de’di lei medesimi sentimenti, e gode di veder il Colonnello a saper far da Marito, oltre che gli manca il coraggio sino verso della sua stessa Consorte: l’altro, che avealo bene informato dell’intimo di lei odioso carattere, esulta di vederla domata: il Servente poi era un poltrone, che la faceva da bravo quando non c’era pericolo. In tale situazione crescono le smanie della Sposa, che resiste alla volontà del Colonnello, e l’obbliga a far venire quattro Granatieri dicendole: Scegliete d’essere servita da me, o da loro. A quella vista le forze le mancano, i suoi delirj s’accrescono, la sua ripugnanza rinforzasi, ed è condotta da’Soldati per non andar a patti con suo Marito. Questa scena colpì talmente il genio del popolo, che ne volle a viva forza la replica co’ più strepitosi e ostinati applausi. Cangiasi il luogo. Ecco la sposa abbattuta, languida, piangente in una Saletta tutti i cui fornimenti riduconsi a degli schioppi, a un pajo di stivali, delle pipe, un piccolo tavolino, e poche incomode sedie. Arriva il Colonnello, ostenta una filosofica indifferenza, procura invano di renderla pieghevole a’suoi costumi, fa un elogio alla semplicità, e a’comodi della vita, si spoglia della divisa, manda via i servitori, ed obbliga sua Moglie ad assisterlo nel mettersi la veste da camera, poi l’esorta a sollevarsi dell’imbarazzo del suo nuziale vestito, e degli adornamenti ond’è ingombra; passar la fa in una camera ove le dà mano a cangiarselo in uno semplice apparecchiato da lui, —4— e tornare si vede col capo sfornito, e in una casalinga schiettezza. Chiama egli in tavola, è servito con molta parsimonia, fa sedere la Sposa, la prega che mangj: non vuole e le volta il tergo: mangia e beve tranquillamente, egli solo, poi si fa portar la sua pipa, e succhiando il fumo lo vibra in globi ondeggianti, ad empire la Sala. Ella tenta di liberarsene scuotendo in aria il suo fazzoletto, e allontanandosi da lui, si lagna, si contorce, si strugge in piante, ed egli pacatamente l’esorta adattarsi a tutto. Prende pui (sic) due lumi, le ne dà uno accennandole la sua camera, ed augurandole buone notte, e si ritira nella sua di rimpetto a quella. A questa non aspettata divisione la Sposa dà negli eccessi della disperazione. La mattina il Colonnello esce a buonissima ora, e di tutto và ad informare il di lei Padre. Ella gli scrive una Lettera, che per sorpresa della Serva incaricata a portagliela, vien letta da suo Marito trattato in essa da barbaro, e da tiranno. Chiede d’essere liberata dalla conjugal prepotenza, sottoponendosi alla paterna sua autorità, o a vivere in un Ritiro. Le sue disposizioni piacciono al Colonnello scoprendo, che l’animo suo comincia a piegarsi alla dipendenza. Presa alle strette ei si mostra prontissimo a compiacerla, ma per ritiro le destina una stanza della Fortezza col presidio delle leggi del Paese. All’intimazione spaventevole il suo orgoglio riceve l’ultimo colpo domatore: Ella si ginocchia a’suoi piedi, le giura un sincero ravvedimento, e lo trova apparecchiato e pronto a perdonarle, ed amarla, a vivere in pace con lei. Nell’Atto quinto la Scena è una ricca Sale ove son posti i preziosi doni destinati dal Colonnello alla Sposa sua sopra i quali certi motti significati scritti su delle carte. Se le presenta una Damigella, e una Cameriera: alla trasformazione Ella rimane stordita. Gli amici suoi, fuori del Cavaliere servente, son invitati ad un lauto pranzo: in vece del primo scacciato, destinato le viene a servirla l’ottimo amico, che cercato aveva d’illuminare il suo Sposo per sottrarlo al temuto pericolo: torna il di lei Padre; il pentimento, e la docilità fanno prendere base di contentezza ad un matrimonio, che presentava al suo nascere gli orrori della discordia; il Colonello spiega il suo vero carattere d’uomo saggio; spregiudicato, discreto, e confessa la ripugnanza, e l’acerbità del suo affanno nell’usar i rimedj violenti ma necessarj per guarire la Sposa sua dal mal morale che dominavala, e che sembrava insanabile. Tale è la condotta, e lo scopo di questa Comica azione, adorna di bellezze episodiche, che meriterebbero d’esser descritte, eccettuando un Personaggio inutile, che nella prima e nella ultima Scena apparisce. Il carattere di D. Eufemia s’accosta a quello della Sposa, ma lo supera in fierezza; quello di suo Marito è contrapposto alla forza del Colonnello, che fa risaltare al confronto della sua debolezza. Lo stile è vivo ed elegante, i Dialoghi frizzanti; c’è da ridere, e da imparare; ma al calar del Sipario non si sentì l’aspetto applauso: li Comici non furono chiamati, bench’abbiano recitato benissimo. Fu detto che le Signore Donne si offesero d’un invenzione che le oltraggia: e che gli uomini, quelli ancora che se l’hanno goduta, stettero cheti per non disgustarle. Sembra che il Popolo dovesse esserne il libero plaudente Giudice; ma dopo la partenza della Sposa trà i Granatieri non si scosse. Per lui ci vogliono de’fatti fuori dell’ordinario: non assapora la finezza, e l’ingegno de’dialoghi. Bastimenti arrivati. 3 Ottobre 1788. Pielego Patro Zuanne Vianello, venuto da Ceffalonia. A chi presenterà Miel Car. 2. Moscato Botti 87. e Carat. 4 Zebibbo Carat. 8 e Casse 7. Uva passa fagotti 220. Portata e Grazie del Patron e Marin. Uvapassa fag. 39. Zebibbo lib. 1500. 5 detto. Checchia nominata la Bella Giuditta, Capit. Niccolò Facchinetti, ven. da Salonicchio e Trieste. A Gir. Manfrin Tabacco Caradà Bal. 1540. detto comune Bal. 50. detto Gingè Bal. 84. 7 detto. Checchia nominata il Cocchio di Nettuno, Capit. And. Zanchi, ven. da Lisbona. —5— A Marc’ Ant. Zinelli Zuccaro casse 70 a Gius. Carminati e Figli, detto casse 153. a Daniel Bonfil detto casse 55. al C. Bonomo Algarotti Cocchi n. 27000 a Valentin Comello Oglio Bar. 3. a chi presenterà Caccao sacchi 100. di ritorno Luvette Pezze 13. cordelle di seta Pezze 20, Cannocchiali num. 7. Port. del Capit. e Marin. Zuccaro casse 16. 8 detto. Piel. nom. le Otto Sorelle, Pat. Zac. Supisich ven. da Ceffalonia. a Franc. Carrara Miel Bar. 1. Liatico Candiotte 2. a Bart. Rizzotti Oglio Botti 6. Sem. di Lino St. 37. in Sac. 14. Miel Carat. 10. e Bar . 1. Moscato Candiotte 60. Uvapassa fag. 242 ad Elia Casaiti Uvap. fag. 13. Moscato Candiotte 15. a Giambat. Costa Mosc. Cand. 20. ad Ales. Lazzaroni detto Candiotte 15. Miel Carat. 1 a Giam. Ruberti Miel Bar. 2. Oglio Bot. 1. Port. e Grazie del Pat. e Marin Uvapassa fag. 25. Zebibbo m. 2. 10 Detto. Bergantino nominato l’Esperimento, Capit. Vic. Padoan ven. da Lisbona. a Nic. C. Bianchini Cochi M. 200. Salnitro Sacchi 501. Legno Brasil Pezzi 63. Zuccaro casse 90. a Giov. Comello Zuc. casse 22. a Marc’ Ant. Zinelli detto casse 20. al C. Bonomo Algarotti detto casse 36. a Giam. Guizzetti, Garofolata Bal. 9. e fag. 5. a Gius. Colla Vino Bar. 1. a Giorgio Barbaria detto Barilotti 1. a’Frat. C. C. Revedin qu. Antonio detto casse 4. a chi presenterà casse 25. Pinco, cap. Niccola Coppola venuto da Terra Nuova. a Giambat. Pedrosin cenere in sacchi e a rifusa Cantara 1200. a chi presenterà Sughero Mazzi 877. Checchia Cap. Ang. Favro ven. da Corfù. a Pietro Favro Oglio Cai 43. a Bart Rizzotti 14. ad Elia Todesco 11, ad Emanul Jacur 5. ad Ang. Papadopoli 6. a Tom. Guizzetti 2. a Jacob Curiel 9. a Menachem Vivante 4. a Jacob Mulli 6. a Ben. Ciatto 2. a Stef. Critti 3. a Marco Verona 7. al C. Gio: Dom. Rusteghello 5. a Marco Malta e Jacob Semo 7. Port. del Cap. e Marin. Carat. 4. In tutto Cai 124. e Carat 4. In questo punto riceviamo un Biglietto del Marito scontento, che non è andato in Villa per i capriccj di sua Moglie. Egli ci avvisa d’essere stato alla Commedia a Sant’Angiolo sperando qualche buona lezione da prevalersene, ma di non avere ritrovato per lui che da disperarsi. Mi conviene inghiottire la pillola (ei scrive) che il Colonnello presentò a D. Aurelio: Il vostro male è troppo invecchiato, bisogna soffrirlo, e morire avvelenato. Non può darsi pace ad una sì tremenda Sentenza, il suo scritto spira le smanie d’un cuor ulcerato, e accenna delle violenti disposizioni, che’esser ponno fatali alla sua inquieta metà ed a sé stesso. Si lagna, che l’Autore della suddetta Commedia non l’abbia intitolata Avviso agli Sposi, o a chi stà per maritarsi. Questo bastavagli per non andare al Teatro a funestarsi più di quello che’era funestato. Prevede anch’esso, che la sola morte liberarlo potrebbe da’suoi affanni, e di cuor la desidera a chi glieli fà provare: ma per lo più suol essa vibrare i suoi colpi su quelli che per gli altri la invocano. Per l’Autunno del 1790. e susseguente Carnovale del 1791. in questo nobilissimo Teatro di S. Benedetto avremo il gran Marchesi delizia de’Filarmonici. Si dice, che il prezzo delle sue virtuose fatiche siasi accordato alla summa di due mila zecchini, Alloggio, e gondola. Se le ricompense sono la misura della virtù ne hà più questo celebre Cantore in sé solo, che un’Università i cui Professori non guadagnano insieme in un anno quanto ad esso per due mesi si assegna. Rappresentazioni. Per questa sera 15. corr. a S. Angiolo Terza Recita dell’Avviso a’Mariti. A S. Luca Settimio Severo Tragedia mai più rappresentata. A S. Gio: Grisostomo. Replica del Francese, e l’Inglese in Italia mai più rappresentata. —6— D’Affittare. Casamento grande in Barbaria delle Tole a S. Giustina, che guarda sopra il Rio di S. Gio: Laterano, diviso in più Appartamenti con Pozzo, Riva, e tutte le sue Comodità. Chi lo desidera parli collo Speziale da Confetture in detta Barberia sul cantone. Cose perdute. Chi avesse ritrovato un Taccuino perduto nella Chiesa di S. Marco un uno degli ultimi giorni dello scorso Settembre, lo porti dal Librajo Colombani a S. Bartolomeo, che avrà generosa mancia. È segnato al di fuori colle iniziali rosse. Addi 5 Maggio 1786. A. V. M. Morti. È morto il Reverendissimo D. Matteo Porcia Piovano di S. Eustachio. DALLA STAMPERIA FENZO VENEZIA —7—