Il futuro prossimo del giornalismo francese,Le 1, approfondimento
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Il futuro prossimo del giornalismo francese,Le 1, approfondimento
Il futuro prossimo del giornalismo francese Dopo l’attacco alla redazione parigina del settimanale Charlie Hebdo, la Francia e il suo giornalismo si sono trovati nel mezzo di un’atmosfera terribile per la libertà di espressione, di satira e di stampa. Preso atto della tragicità della situazione, ecco sei scenari per il giornalismo francese per il 2015: solidarietà, la svolta verso il mobile, il cammino verso le notifiche push, l’equazione scomoda tra tv e Web, il ritorno delle newsletter e l’ascesa dell’intelligenza artificiale nelle redazioni. Solidarietà Liberation ha accolto i superstiti della redazione di Charlie Hebdo nei suoi uffici e il governo francese ha contribuito con un milione di euro alla realizzazione del primo numero dopo la strage. Allo stesso modo, France Television, Radio France e il gruppo Lagardere hanno offerto il loro aiuto, risorse umane e i loro canali per sostenere il settimanale. “Perché la penna supera sempre la barbarie, perché la libertà è un diritto universale. Per via del vostro sostengo, Charlie sarà di nuovo in edicola la prossima settimana” si leggeva sul sito di Charlie Hebdo, ridisegnato in nero. Come è noto, il numero è uscito con nuove vignette realizzate dalle vittime come Tignous, Charb, Cabue Wolinski. Un modo di sostenere ancora come la loro libertà non fosse morta. La svolta verso il mobile “Online, il mercato è già maturo e l’utilizzo di Internet in mobilità sta esplodendo”, ha dichiarato Antoine Clément, former Executive Deputy General Manager di Next Interactive durante l'”Assises du journalisme” che si è tenuta a Metz lo scorso ottobre. E i dati confermano il suo punto di vista: in Francia, infatti, il 75% delle app ha fatto registrare un sensibile incremento di traffico, mentre il 60% dei siti ha perso terreno, come riportato in uno studio recente di At Internet. In particolare, il 50% del traffico del giornale sportivo L’Equipe proviene ora dal mobile, ha dichiarato Fabrice Jouhaud, Editorial Manager della testata. A Le Monde, invece, già due anni fa il mobile ha superato il traffico desktop in termini di click. Con il 43% dei francesi che utilizza i telefoni per navigare in Internet, gli editori devono rendersi conto della provenienza del consumo delle loro notizie online. Nel 2015, quindi, converrà concentrarsi sugli standard mobile, come dichiarato dall’ex Cto di Facebook Bret Taylor già nel 2012: “Facebook mobile è quello che Mark Zuckerberg avrebbe fatto nel dormitorio di Harvard se solo la tecnologia necessaria fosse esistita allora”. La battaglia per le notifiche push Il 22 dicembre 2014 ho ricevuto nove notifiche di breaking news da parte di BFTM Tv, otto da Le Point e Le Figaro, quattro da Le Monde, altrettante da France Tv, cinque da Europe1, altre otto da L’Express e sette da France Info. E il 22 dicembre non era un giorno speciale o con big news. Il numero alto di notifiche ricevute è la dimostrazione lampante della guerra per le notifiche push in atto tra le redazioni francesi per accaparrarsi l’attenzione degli utenti mobile. Nel 2014, in tutto il mondo, “gli utenti che attivano le notifiche push hanno un tasso di memorizzazione tre volte più alto di quelli che non le utilizzano”, si legge in uno studio di Localytics. Questa strategia vale ovviamente anche in Francia: se inviata con cura, infatti, una notifica push può portare tra le 20 e le 30mila visite a un’app di notizie. Questa è una grande sfida per gli organi di stampa francesi, perché devono comprendere le reali necessità dei loro utenti, segmentarli in diverse categorie in modo da personalizzare le notifiche da inviare e inoltrarle al momento giusto della giornata. Tutto questo, insieme, aumenterà l’engagement e costruirà connessioni più forti, oltre che maggiore fiducia, tra i giornalisti e i lettori. L’equazione complessa tra la televisione e il Web Vedremo mai un programma tv che riesca davvero a mischiare la cultura digitale ai format tv? In Francia ci sono diversi esperimenti già in onda, provenienti dal Web, a cominciare da Le Point quotidien di France 4, realizzato insieme a Vice. Nonostante la collaborazione con la testata americana, però, il format non è r’n’r come si potrebbe pensare: “il Web è libero, aperto, ribelle, mentre la televisione è all’opposto: calibrata, istituzionale. In sostanza, dobbiamo mischiare il fuoco con l’acqua”, ha dichiarato Cyrille del Lasteyrie, producer di France 5. I produttori televisivi francesi non sono molto aperti al cambiamento, nonostante le trasformazioni dell’era digitale. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che la televisione “rimane lo strumento preferito per vedere i programmi live”, stando a quanto descritto in un report di Crédoc (the French Reserch Center on living conditions), secondo il quale ben il 93% dei telespettatori in Francia ha mantenuto queste abitudini in fatto di consumo mediale. Allo stesso tempo “c’è bisogno di sviluppare una nuove nomenclatura che si adatti al mondo multipiattaforma e multiscreen”, ha detto a Mashable Roy Sekoff, Presidente di HuffPost Live. Secondo Mouloud Achour, producer della piattaforma Clique Tv, invece, “Internet, la televisone: non significano nulla oggi: le persone osservano solo degli schermi”. Il ritorno della newsletter Pensavamo che questo formato fosse vecchio, ma sembra che il 2015 segnerà il ritorno della newsletter. Grazie a progetti francesi come Time To Sign Off e Brief.me, lanciato di recente da Laurent Mauriac, già a Liberation e Rue89, le news possono viaggiare di nuovo e facilmente via mail. Questo approccio consente ai lettori, spesso molestati e travolti da un flusso continuo di notizie, di avere un momento di tregua per accedere alle news più importanti e scegliere quando leggerle, aprendo la propria inbox. “Ne abbiamo bisogno come non mai”, ha scritto a questo proposito Mathew Ingram su GigaOm, “il punto, ora, è che più ampia diventa la tua offerta, meno di valore sarai per ogni tuo lettore individuale […], quindi come procedere se sei già una realtà editoriale ampia come un giornale? Si pensi a tutte le nicchie di interesse e i micro-mercati in cui si potrebbe segmentare la propria offerta e si pensi a tutto il lavoro di curation da applicarci”. L’ascesa dell’intelligenza artificiale I robot possono parlare come presentatori tv e gli algoritmi possono selezionare e produrre contenuti scritti: le potenzialità dell’intelligenza artificiale sono enormi e tutti i settori del giornalismo dovrebbero abituarsi a vedere dei robot tra i propri colleghi. Negli Usa, Forbes e il Los Angeles Times hanno pubblicato articoli scritti da software, ma in Francia ci sono state più riserve da questo punto di vista e i “robot” sono stati implementati solo per l’uso dei social media. France Tv Info, ad esempio, ha utilizzato un ‘Twitter bot’ per aiutare gli elettori a sapere i risultati delle elezioni locali nel marzo del 2014, twittati non appena disponibili. L’Equipe, invece, usa un sistema simile per fornire i risultati calcistici in tempo reale. Emmanuel Montecer, community manager del giornale, ha detto che in questo modo è possibile generare molto traffico verso il sito del giornale: L’Equipe aveva tra i 50 e i 70 milioni di visitatori mensili, di cui solo 1 milione circa proveniente da Twitter quando è stato lanciato il servizio automatico. Inoltre, l’automatizzazione può alleggerire il carico di lavoro sulla redazione, che riceve circa 10mila mention su Twitter ogni mese, il 70% delle quali ha a che vedere con il calcio. Quale sarà il prossimo passo? L’Equipe sta pensando ad automatizzare anche alcuni contenuti relativi al rugby, mentre grandi network tv come France Television of TF1 usano Wibbitz per produrre contenuti real time. Articolo tradotto dall’originale inglese Photo credits: valentinacala / Flickr CC Le 1, approfondimento su carta dalla Francia Sarà Le Monde che ispira a dare vita a nuovi progetti editoriali. Così fu nel 2008 quando l’ex direttore Edwy Plenel fondò il sito investigativo online Mediapart. Oggi tocca a Èric Fottorino, anche lui ex direttore del quotidiano francese, che il 9 aprile ha lanciato Le 1. Si tratta di un foglio, un solo grande foglio formato A1, piegato in tre, in edicola al prezzo di 2,80 euro. Una novità editoriale minimalista nel titolo, audace nella scelta – non ha una versione digitale –, essenziale nella presentazione che da oggi popola “il turbolento cielo di stampa francese”, come scrive Fottorino nel suo editoriale di presentazione del progetto sul sito le1hebdo.fr. Le 1 vuole essere un giornale “profondamente diverso” e “innovatore”, scrive Fottorino, un foglio che tramite il formato simboleggia “un dispiegamento di ali”, induce ad un’“apertura delle braccia e della mente” come lo yoga e l’origami. È un giornale che dedica ogni sua edizione ad un tema in particolare, nel primo numero è stata la Francia nel secondo Putin e la Russia. Ed è solo cartaceo perché, spiega Fottorino, è un prodotto che vuole offrire “un’avventura sulla carta, un mezzo che lungi dall’aver detto la sua ultima parola si esprime nel suo proprio e specifico linguaggio” e che il suo fondatore definisce “un caleidoscopio, una lente d’ingrandimento per riflettere e scoprire, arrivare alla verità”. Come scrive la Neue Zürcher Zeitung, se il foglio si concentrerà su questioni generali puntando all’approfondimento oppure su notizie di attualità è ancora da verificare. Di certo, il tema della settimana viene affrontato da diverse angolature secondo un approccio multiforme che alla frammentazione delle notizie e al rumore dei media risponde con l’approfondimento di un tema in particolare. L’idea è quella di mettere in discussione tutto, la sfida quella di porre le domande giuste per catturare il vero bene, la verità lontana dai pregiudizi. Nella sua rubrica comica Jochen Gerner mette in luce le singolarità francesi mentre Ollivier Pourriol si inventa un dialogo postumo ad esempio tra Rousseau e Voltaire e Louis Chevaillier, mentre nella rubrica «La voce dei poeti» sceglie una poesia abbinandola al tema trattato e la commenta. L’ambizione, dice Fottorino, “è di vedere lontano, avere memoria e dare al futuro il gusto di trasmettere e di scoprire”. L’intento è quello di essere informativo piuttosto che esaustivo in quello che alla fine è un concetto editoriale essenziale, indipendente, qualitativo con una foliazione ridotta per un’epoca in cui il tempo da dedicare alla lettura è sempre più scarso. Il foglio nel suo formato A1 è molto flessibile per quel che riguarda l’impaginazione e l’impostazione grafica, non c’è pubblicità e superata la soglia delle 30.000 copie vendute Le 1 scriverà cifre in nero. Lo staff è composto di nove giornalisti fissi ai quali si aggiungono tredici collaboratori regolari. L’età e la provenienza sono misti, si va dalla cofondatrice Natalie Thiriez, classe 1965 già giornalista di Vogue e Match alla giornalista Manon Paulic, classe 1990, in passato reporter del Santiago Times. Rimane solo un dubbio: nel 2014 un giornale può pensare di nascere solo cartaceo ed essere vincente? Questa in realtà è la grande sfida di Le 1 e del suo fondatore Fottorino che per il suo giornale non ha voluto una versione digitale. Di digitale c’è solo un sito le1hebdo.fr che presenta il progetto e dà la possibilità di sottoscrivere l’abbonamento alla testata in uscita ogni mercoledì e disponibile nei chioschi, anche in Svizzera. Articolo pubblicato originariamente sul Corriere del Ticino il 5 Maggio 2014 Photo e video credits: Le 1 / Facebook / Vimeo Ecco le testate che resisteranno fino al 2020 Le imprese mediatiche spesso accusano Internet di essere la maggior responsabile delle loro difficoltà, perché, facendo credere ai lettori che le news dovrebbero essere gratuite, la rete avrebbe fatto diminuire le vendite dei giornali e dei piccoli annunci e inserzioni a pagamento. Solo un esiguo numero di organi di informazione parla al contrario degli effetti positivi che scaturiscono dall’online, a partire dalla riduzione dei costi di raccolta delle notizie, l’offerta di una piattaforma di audience più vasta e globale o la spinta che obbliga i giornalisti ad avvicinarsi e, a volte, addirittura ad imparare dal proprio pubblico. Il tema non è quindi limitato alla mera questione se Internet sia o no un fattore positivo o negativo, ma piuttosto su come i giornali riescano ad adattarsi in un ambiente diventato in pochi anni molto più competitivo a causa di Internet. Dal Reuters Institute Digital News Report dello scorso anno, abbiamo appreso che alcune imprese mediatiche riescono effettivamente a tradurre il successo che traggono dalla carta stampata anche alle loro pagine online. Nel Regno Unito, ad esempio, grandi nomi dell’industria delle news, come per esempio il Guardian, Sky News, la Bbc e il Daily Mail, riescono a sovvenzionare un parte della loro offerta su carta grazie anche alla rete, e il Guardian, addirittura, riesce a migliorare la qualità della sua offerta online in maniera significativa. In Francia, invece, Le Monde e Le Figaro, che vendono complessivamente poche copie cartacee, riescono a fare molto meglio in Internet. In Germania, invece, Der Spiegel esce vincitore dall’online, mentre le televisioni perdono terreno rispetto ad altri editori o motori di ricerca, che offrono un servizio di informazione, a cominciare da Google News. Le imprese mediatiche che avranno ancora successo nel 2020 dovranno focalizzarsi su quattro spetti: il contenuto, la comodità, il pubblico e il profitto. Visto che il content business diventa sempre più affollato, le testate dovranno incentrare le loro strategie sui contenuti che offrono effettivamente un valore aggiunto ai loro lettori. Ciò significa andare oltre la vecchia formula “chi, cosa, dove?” e coniare piuttosto una nuova espressione “perché, come e cosa sarà la prossima mossa?” al fine di mettere le notizie in un contesto comprensibile ai lettori e spiegare loro cosa sia veramente di rilevante nell’enorme flusso di informazioni che girano senza sosta. Al contempo, le aziende di news devono investire in quelle nicchie di particolare competenza che un certo tipo di pubblico identifica con quella organizzazione in particolare. La comodità diventa a sua volta più importante che mai, come la capacità di essere attivi su diversi canali. Le news devono essere accessibili ai lettori sempre e dovunque loro lo desiderino, sui computer, sugli smartphone, sui tablet e sulla carta. Tutto ciò ha certamente un costo notevole, ma le abitudini di comportamento cambiano molto velocemente. In termini di benefici questo mutamento significa che più gadget posseggono i lettori, più frequentemente questi daranno un’occhiata alle notizie. Può succedere che lo stesso lettore voglia avere un’esperienza diversa in tempi diversi, o leggere la stessa notizia da una differente angolazione, aver la possibilità di accedere a un aggiornamento veloce, oppure, altre volte, leggere un articolo che propone un’analisi approfondita, altre ancora poter sperimentare il piacere di leggere il suo giornale preferito nella sua completezza e ricchezza come se lo sfogliasse fisicamente. Le aziende mediatiche che desiderano restare e crescere in questo business, nel prossimo decennio, dovranno sforzarsi di conoscere al meglio i loro lettori e di impegnarsi al massimo per accontentarli, attraverso la raccolta e l’analisi dei dati che arrivano dagli stessi clienti, per capirli e costruire con loro un solido legame. Queste relazioni dovrebbero coinvolgere uno scambio tra i giornalisti e quei lettori che possono contribuire e possono ampliare gli sforzi di raccolta delle notizie. Per fronteggiare tutti questi cambiamenti e il declino delle vendite della carta stampata, le aziende che fanno informazione dovranno inoltre trovare modi intelligenti per aumentare le loro entrate ricavando dei profitti anche dai contenuti digitali. Il futuro non sarà una risposta netta ai paywall, ma qualcosa di ibrido e permeabile, come vengono definiti già ora i metered paywall che fanno pagare per un valore aggiunto, per dei contenuti supplementari o per qualche extra o prodotto di nicchia. Sono fiducioso che sia possibile continuare ad offrire notizie di qualità che arricchiscano, trovando modi ingegnosi per far pagare un numero significativo di persone interessate a questo genere di servizio. Photo credits: Eltpics / Flickr CC Articolo pubblicato originariamente su Square, il magazine dell’Università della Svizzera italiana. Traduzione a cura di Alessandra Filippi Le Monde, di nome e di fatto Secondo un recente studio, spetta a Le Monde il titolo di giornale più cosmopolita d’Europa. I ricercatori hanno analizzato gli articoli di dodici quotidiani di sei paesi europei – Germania, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Austria e Polonia – per stabilire, secondo tre diversi criteri, quali tra questi fossero i più aperti verso l’estero nei loro contenuti. Secondo la ricerca, complessivamente, i giornali dei paesi più piccoli offrirebbero un coverage più internazionale di quelli dei paesi più grandi. Le nazioni meno estese sono infatti spesso più aperte verso il mondo, avendo forti legami culturali, oltre che economici, con altre nazioni. Questa disponibilità al confronto si rispecchia nella copertura mediatica dei loro organi di stampa, come evidenzia la ricerca. Di ogni paese oggetto dello studio sono stati analizzati due giornali: il più autorevole tra quelli di qualità e quello a maggiore tiratura della stampa nel segmento medio/basso. In Germania sono stati considerati Faz e Bild, in Danimarca Politiken ed Ekstra Bladet, in Francia Le Monde e Le Parisien, in Gran Bretagna The Times e The Sun, in Austria Die Presse e Kronen Zeitung, mentre in Polonia Gazeta Wyborcza e Super Express. Nel 2008, il team di ricercatori ha analizzato ben 4587 articoli in tutto. I risultati sono stati pubblicati sull’European Journal of Communication, riassunti da Michael Brüggemann, dell’università di Zurigo, e da Katharina Kleinen-von Königslow, dell’Università di Vienna. Tra i giornali confrontati, è Le Monde la testata che offre la più alta percentuale di reportage dall’estero. Nei servizi del quotidiano francese, infatti, viene la data parola a molti soggetti stranieri e i suoi reportage coprono un’ampia varietà di paesi: gli articoli che si occupano dei cinque maggiori paesi del mondo, infatti, si limitano a un terzo del totale dei reportage internazionali. Il dato del giornale francese è in controtendenza con quelli degli altri quotidiani analizzati: Die Presse, giornale austriaco di qualità, ad esempio, offre molti interventi di ospiti stranieri, ma un terzo di questi sono tedeschi, cosa che riduce notevolmente la diversificazione dei punti di vista. Il peggiore di tutti risulta essere invece il giornale scandalistico polacco Super Express, dove compaiono a malapena soggetti stranieri e quelli che vengono trattati provengono tutti dagli stessi cinque paesi. Il campione è stato assemblato così da comprendere grandi paesi, come la Germania e la Francia, e paesi piccoli, come l’Austria e la Polonia. Nazioni in cui gli abitanti si sentono parte di una comunità internazionale e nazioni dove i cittadini si identificano maggiormente con il proprio paese. Nel confronto tra i sei paesi, secondo l’Eurobarometro, è infatti la Polonia la nazione i cui abitanti si percepiscono in misura maggiore come “cittadini del mondo”, opinione condivisa da ben il 33% dei polacchi intervistati. La Gran Bretagna è, al contrario, il paese in cui meno persone si sentono tali, con solo il 15%. Per stabilire quale fosse il giornale più cosmopolita, i ricercatori hanno individuato tre diversi criteri: la presenza regolare di reportage sull’estero; uno scambio di opinioni transnazionale, che ospiti anche le idee di soggetti stranieri, e la presenza di reportage che siano veramente globali, che sappiano ovvero guardare anche oltre i paesi confinanti e alle grandi potenze planetarie. Per scoprire se le redazioni avessero un orientamento più o meno cosmopolita, invece, i ricercatori hanno intervistato in profondità i capiredattori e i corrispondenti dall’estero delle testate analizzate. A questo proposito, Alain Frachon di Le Monde ha dichiarato: “il nostro obiettivo è raccontare storie di un mondo globalizzato. Trattiamo la Francia all’interno di un contesto di sviluppo globale”. Secondo Brüggemann e Kleinen-von Königslow, questa affermazione mostra chiaramente che i giornali con ispirazione cosmopolita riflettono questa tendenza anche nel modo in cui coprono le notizie di politica interna. Come lo studio dimostra, il fattore decisivo, che denota un approccio davvero cosmopolita, è la linea editoriale scelta dalla redazione. È questa che in definitiva decide la quantità di tempo e di risorse economiche vengano investite nella copertura di notizie internazionali. A influire sulla linea editoriale più o meno cosmopolita, pesa anche la composizione delle redazioni. Tuttavia questa tendenza è direttamente collegata al numero di corrispondenti esteri: i giornali con un linea editoriale più internazionale hanno tendenzialmente un numero maggiore di corrispondenti dall’estero. Questi, a loro volta, interagendosi con la redazione di politica interna, influenzano il giornale e lo spingono ad assumere toni maggiormente esterofili. Agli occhi dei ricercatori viene messa in moto così una dinamica virtuosa come nel caso di Le Monde, che può vantare un copertura internazionale esemplare. Nel 2008, il giornale tedesco Faz poteva vantare, con quaranta collaboratori, il numero più cospicuo di corrispondenti esteri, mentre i giornali scandalistici avevano al massimo uno o addirittura nessun corrispondente dall’estero. Tuttavia l’analisi evidenzia che la distinzione tra giornale di qualità e giornale scandalistico non può basarsi esclusivamente sulla presenza o meno di servizi giornalistici di carattere internazionale. Entrambi gli illustri giornali The Times, inglese, che Politiken, danese, ad esempio, offrono altrettanti pochi contributi dall’estero come i loro equivalenti scandalistici The Sun e Ekstra Bladet. I ricercatori definiscono “preoccupante” che i più illustri giornali di Danimarca e Regno Unito non siano in grado di descrivere efficacemente gli effetti della globalizzazione ai loro lettori. È interessante notare, inoltre, come l’affermazione, sostenuta anche di sovente da molte redazioni, che la copertura mediatica si orienti a seconda degli interessi dei lettori, non è stata di fatto confermata. Ad una popolazione con ispirazione cosmopolita non corrisponde una copertura mediatica altrettanto globale, ma il contrario. Si prenda l’esempio della Polonia, dove molti cittadini si percepiscono come parte di una comunità transnazionale, ma in cui il giornale di maggior tiratura, Super Express, propone un copertura molto regionale. Brüggemann, Michael; Kleinen-von Königslöw, Katharina (2013). Explaining cosmopolitan coverage. In: European Journal of Communication, 28/ 3, pag. 361-378. Articolo tradotto dall’originale tedesco da Alessandra Filippi Photo credits: Hervé Photos / Flickr CC Europa, un progetto editoriale audace e innovativo Esiste un lettore con una mentalità veramente europea? Un individuo che desideri comprendere gli stili di vita dei popoli dei paesi confinanti? Una persona a cui stia veramente a cuore la situazione del continente europeo nel suo complesso? Giornali come il Financial Times e il Wall Street Journal hanno in effetti una cerchia di lettori che supera i confini nazionali, ma sono giornali che si occupano essenzialmente di temi economici e finanziari rivolti principalmente ad una élite internazionale. Per ora nessuno ha mai provato a raggiungere il normale cittadino europeo. Nel gennaio del 2012 sei dei maggiori quotidiani europei — Le Monde, The Guardian, Süddeutsche Zeitung, La Stampa, El País e Gazeta Wyborcza — hanno deciso di lanciare un progetto editoriale comune chiamato Europa. È un progetto audace, innovativo e a buon mercato. Attraverso una serie di interviste con gli editori responsabili e i giornalisti coinvolti, il Reuters Institute for the Study of Journalism ha pubblicato un primo rapporto sui metodi, i successi e le limitazioni di questo nuovo esperimento editoriale. Europa non ha nulla da spartire con i precedenti tentativi di creare un giornale europeo. Ci riferiamo al The European, lanciato nel 1991 dall’editore Robert Maxwell con una campagna di marketing troppo ottimistica e un po’ presuntuosa, nella quale figuravano uomini di affari dai contorni in ombra e fotografie di mannequin che posavano per modelli esclusivi di alta moda. Maxwell voleva creare un’alternativa alle riviste americane, come Newsweek e Time, rivolte ai “tecnocrati che parlassero inglese come seconda lingua”. Può suonare ambizioso? Infatti lo è, ma nel lontano 1991 il mondo era una cosa completamente differente da quello attuale. Controllati da una cricca di magnati molto potenti e spesso con loschi trascorsi, i giornali avevano un’influenza enorme e molte risorse economiche a disposizione, mentre l’Europa era ritenuta una specie di new deal, un luogo prospero con confini e difficoltà che si sarebbero presto risolte. Ma nessuno in realtà riusciva ad immaginarsi l’Europa come una potenza che avesse bisogno di un suo giornale patinato, elegante e alla moda. E infatti dopo otto anni di strenua lotta per la sopravvivenza, The European dovette chiudere. Europa è stato lanciato con una visione differente in un momento completamente diverso. È il risultato della collaborazione tra diverse compagnie e non ha un proprietario unico. Il team editoriale è formato da membri di sei differenti giornali. Nessuno tra i vari partner gioca una ruolo preminente e può imporre la propria opinione. Mantenere bassi i costi è una tra le priorità di tutti i partecipanti. I giornali si servono dello staff che fa già parte delle redazioni per produrre i contenuti. Europa non ha una sua sede o uffici propri. Le testate coinvolte ospitano a turno gli incontri della redazione editoriale. Gli editori viaggiano esclusivamente con voli low cost e le traduzioni vengono fatte in casa. Le decisioni editoriali sono prese collettivamente. Il team cerca di raggiunger il consenso generale sulla struttura di base del numero in programma, per esempio quali i principali argomenti e settori su cui riferire, quali personalità pubbliche o esperti debbano essere intervistati, quali storie andranno messe in rilievo, il numero degli articoli che verranno assegnati a qualche giornalista freelance etc. Europa si rivolge in primis alla cerchia degli attuali lettori dei partner del progetto. Questo permette di ridurre i rischi in cui si incorre ogni qualvolta si lancia un nuovo prodotto sul mercato. Il supplemento Europa è distribuito con le edizioni principali dei giornali lasciando invariato il prezzo di copertina. Ma l’aspetto più rilevante che fa risaltare e distinguere Europa dalla massa degli altri media è il suo approccio particolare rispetto alla copertura delle notizie riguardanti la Comunità europea. Gli editori di Europa hanno deciso che in passato la copertura sulle istituzioni e le politiche dell’UE operata dai tecnocrati di Bruxelles fosse esagerata. Hanno quindi preferito porre l’accento sulle dimensioni umane della Comunità europea. Europa riferisce le storie della gente normale, del cittadino europeo che rientra nella media invece di parlare di direttive e di politica. I temi affrontati fino ad ora sono stati per esempio i giovani europei, l’istruzione e i bilanci degli stati europei più toccati dalla crisi economica. L’originalità di Europa è il modo in cui copre le notizie, ovvero sfrutta una narrativa basata sul paragone, le esperienze in un certo settore di un paese vengono direttamente confrontate con esperienze simili di un altro paese. Il progetto ha avuto un riscontro molto positivo tra i politici di lunga data. Angela Merkel, Francois Hollande e Mario Monti hanno subito accettato di essere intervistati. Mark Rice-Oxley, l’editore responsabile per il settore internazionale del The Guardian, ha dichiarato che la collaborazione ha favorito Europa, rendendola più importante. Infatti Rice-Oxley afferma che “se un nostro giornalista si presenta nell’ufficio di un politico di spicco e chiede un’intervista per sei giornali europei contemporaneamente, funziona meglio”. Ma nonostante il suo successo e la notevole qualità dei reportage, Europa fatica ad attirare nuovi lettori e, nella maggior parte dei casi, non viene usata come veicolo per gli annunci pubblicitari. Molti dei membri, inclusi The Guardian e Le Monde, erano riluttanti a rendere pubblici i risultati di vendita delle storie di Europa. In ogni caso i giornali coinvolti sono convinti che l’esperienza debba continuare. Anche se i profitti pubblicitari sono molto ridotti, la spesa rimane comunque contenuta e viene ripagata dal miglioramento di immagine che ricade sui giornali coinvolti. A differenza del The European e di altri simili progetti precedenti, Europa è un’iniziativa editoriale, non un tentativo a scopo di lucro. Tra i giornali che vi partecipano Europa ha già contribuito a consolidare una relazione che porta a vari tipi di collaborazione anche in altri settori. Per esempio quando Angela Merkel andò ad Atene, la Süddeutsche Zeitung passò il suo reportage gratuitamente a La Stampa. In cambio il giornale di Torino aiutò il suo partner tedesco per la copertura del ritiro dal soglio papale di Benedetto XVI. Mentre Le Monde ha dato permesso alla Süddeutsche Zeitung di avvalersi di alcuni reportage sul conflitto in corso nel Mali. Grazie all’aiuto dei suoi partner nella joint venture, The Guardian ha potuto disegnare un mappa culturale dell’Europa. Tutti i sei quotidiani hanno sfruttato la tecnica del crowd-sourcing per fare un indagine tra i loro lettori sulle chiusure di sale cinematografiche, gallerie, musei e altre istituzioni culturali dovute ai tagli dei bilanci statali. Sebbene non sia ancora un successo economico, gli editori sono convinti che questa esperienza congiunta abbia aperto molte nuovi orizzonti. Attualmente il giornalismo è sottoposto continuamente a riduzioni di budget e di tagli ai costi del personale, Europa permette loro al contrario di esplorare nuovi modi di sperimentare un giornalismo internazionale. Traduzione dall’inglese “Europa: an Unusual Reporting” a cura di Alessandra Filippi