LILIANA VIVOLI Appunti di metodo per la ricerca genealogica

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LILIANA VIVOLI Appunti di metodo per la ricerca genealogica
LILIANA VIVOLI
Appunti di metodo per la ricerca genealogica
Casola Valsenio, 22 luglio 2001
LA CONSORTERIA DEI CERONI
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Conoscere la storia della propria famiglia significa non solo appagare una curiosità su chi ci
ha preceduto, ma anche comprendere meglio il nostro passato e la nostra identità. Compiere questo
cammino all’indietro nel tempo comporta necessariamente l’addentrarci nel labirinto complesso ma
affascinante della ricerca documentaria. Le fonti da consultare sono diverse: orali e familiari,
comunali, ecclesiastiche, notarili; ciascuna tipologia è conservata in luoghi diversi, è soggetta a
particolari discipline di accesso, comporta gradi differenti di difficoltà di interpretazione. Ma non è
una missione impossibile: il buon esito della nostra ricerca deriva dalla corretta interazione di
queste testimonianze, che si richiamano e si intrecciano tra loro, ma soprattutto da alcuni fattori
fondamentali che dipendono solo da noi:
- metodo, precisione, pazienza e costanza nella ricerca, senza farsi scoraggiare dal primo
ostacolo burocratico o dalla difficoltà di lettura,
- agilità mentale, ossia la capacità di intuire i rimandi che un documento può contenere
anche tra le righe per indicarci altre “piste di ricerca” quando sembra di essere giunti al capolinea.
1- QUANTI SONO I TIPI DI RICERCA GENEALOGICA?
La premessa essenziale è che, per ricostruire una genealogia, si procede sempre dal
presente (dati certi) al passato (dati incerti). La ricerca degli ascendenti e dei luoghi d’origine
della famiglia può essere eseguita in tre diversi modi:
- il più semplice: ricostruzione del “filo genealogico in linea paterna”, prendendo in
considerazione per ogni generazione unicamente l’ascendente diretto, cioè solo il padre,
(escludendo i fratelli del padre e i loro discendenti, cioè gli zii e i cugini della persona).
- ricostruzione della “tavola genealogica per quarti”, rintracciando tutti i diretti ascendenti
partendo da ciascuno dei quattro nonni della persona (da qui il termine “quarti”): si creano così più
fili genealogici, uno per cognome.
- il più complesso e il meno usuale: ricostruzione anche della “tavola dei collaterali”,
rintracciando tutte le persone derivate da un comune capostipite.
2- COME SI RAPPRESENTA GRAFICAMENTE L’ALBERO GENEALOGICO?
L’albero genealogico vero e proprio è il grafico di una tavola genealogica col capostipite
collocato in basso nel foglio e con i suoi discendenti disposti progressivamente verso la parte
superiore del foglio stesso. Questa figura, allargandosi verso l’alto, somiglia vagamente alla forma
di un albero, e richiama la simbologia delle radici (capostipite) e dei rami che ne derivano
(discendenti). Tuttavia di solito sono praticati sistemi grafici più semplici:
- nel caso del filo genealogico, una volta trovati i nomi dei diversi componenti, questi
vengono disposti in colonna, ponendo il capostipite in alto e in successione i figli sotto il loro padre.
- nel caso della tavola genealogica, in cui intendiamo indicare tutti i diversi discendenti da
un unico capostipite, possiamo scegliere:
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a- un grafico a sviluppo verticale che si sviluppa dall’alto (capostipite) verso il basso
(discendenti, in ordine di generazione dalla più antica alla più moderna). Per convenzione, tutte le
persone che appartengono alla stessa generazione (fratelli) vengono collocate in ordine cronologico
di nascita da sinistra a destra (primogenito a sinistra), al di sotto di una stessa linea orizzontale, e
collegati a questa da un trattino verticale.
b- un grafico a sviluppo orizzontale, col capostipite posto a sinistra e uno sviluppo da
sinistra a destra (lo schema è simile al precedente, ma ruotato di 90 gradi in senso antiorario).
- Quali sono i dati da inserire per ogni persona? I dati da inserire per ogni persona sono nome e
cognome, località e data di nascita (ed eventualmente data di battesimo e parrocchia), località e data
di morte (ed eventualmente la parrocchia di morte), località e data di matrimonio (ed eventualmente
la parrocchia), dati di nascita e morte della sposa (col patronimico).
3. LA RICERCA: QUAL E’ IL PRIMO PASSO?
Per poter iniziare una ricerca, bisogna partire da una notizia certa relativa a un ascendente
diretto: per esempio la data di nascita del bisnonno (anche con ragionevole approssimazione, per
esempio individuando l’arco cronologico di nascita dal 1880 al 1890), il luogo di nascita,
matrimonio o morte (anche frazioni o toponimi da cui si possa risalire al Comune di appartenenza).
- Da dove si possono attingere i primi dati certi? Dalle cosiddette “fonti private”:
a) in primo luogo dobbiamo fare ricorso all’importantissima “tradizione orale”, cioè
interrogare i nostri parenti anziani, portatori della memoria storica familiare. Le domande da porre
sono: chi? (per conoscere i nomi del papà, del nonno, del bisnonno…) dove? (per individuare la
provenienza geografica della famiglia). E’ importante raccogliere particolari anche apparentemente
secondari come i nomi delle mogli, dei figli, i mestieri, i soprannomi, che talvolta contengono utili
riferimenti toponomastici. E’ inoltre opportuno scoprire se gli antenati erano proprietari di immobili
o beni, per sapere se la traccia dei documenti notarili potrà essere percorribile. Con la fonte orale si
possono di norma già ricostruire almeno tre generazioni.
b) la memoria può essere supportata ricercando in casa qualche vecchio documento che
riporti nomi e date (pagelle di scuola, certificati militari, partecipazioni di nascite, matrimoni e
morti, lettere, diplomi cavallereschi, fotografie con annotazioni, persino date incise su oggetti…)
c) perché no? facendo un’accurata visita al cimitero della località d’origine della famiglia,
se ci è nota, annotando nomi e date di quanti portano il nostro cognome.
Ma se nonostante questi tentativi non si è raccolta alcuna informazione, si può partire
semplicemente dalla nostra data e luogo di nascita.
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4. IL SECONDO PASSO: GLI UFFICI ANAGRAFICI DEI COMUNI.
Una volta individuato il dato certo di partenza relativo ad un nostro ascendente, bisogna
individuare il Comune dove questa persona risiedeva per consultarvi gli atti dello stato civile e
l’anagrafe. Supponiamo che questo avo sia nato in una frazione che ci è sconosciuta.
- Come trovare il Comune dove risiedeva il nostro ascendente? Il primo consiglio è quello di
consultare l’”Annuario generale dei Comuni e delle frazioni d’Italia” edito periodicamente dal
Touring Club Italiano, da cui apprenderemo non solo a quale Comune appartiene la nostra frazione,
ma anche se in questa frazioncina esiste una chiesa parrocchiale e di quale Diocesi fa parte
(informazioni che ci saranno utili per rintracciare gli archivi ecclesiastici).
- In cosa consistono gli atti dello stato civile e da quando esistono? In ogni Comune è attivo un
ufficio di stato civile dove vengono per legge registrati in ordine cronologico, in appositi volumi, gli
atti di nascita, di matrimonio e di morte delle persone nate, sposate o decedute entro i confini di
quel Comune. Questi registri rappresentano il “movimento” della popolazione nel suo divenire.
Sono normalmente corredati di indici alfabetici per tipi di atto, annuali e decennali, preziosi per la
ricerca. Gli atti di stato civile furono istituiti nel novembre del 1865 dal neonato Regno d’Italia e
pertanto sono consultabili a partire dal 1866, se la loro attivazione è stata regolare.
- Gli atti di stato civile sono accessibili a tutti? I documenti dello stato civile sono pubblici e il
Comune, una volta individuato negli indici alfabetici l’atto che ci interessa, può rilasciarne un
certificato o una copia. La copia può essere per riassunto (di norma senza il nome dei genitori della
persona) o integrale (completa di tutti i dati). Il rilascio della copia integrale va richiesto alla
Procura della Repubblica, (situata presso il Tribunale nella cui circoscrizione si trova il Comune),
che autorizza la concessione.
- E le persone adottate? Fino a poco tempo fa era vietato intraprendere la ricerca dei propri genitori
naturali.1 Oggi invece la legge lo prevede, ma solo dopo aver compiuto i 25 anni; in casi
straordinari bastano 18 anni. Molto probabilmente la ricerca tramite il DNA sarà la strada per la
ricerca genealogica del futuro.
- Cos’è l’anagrafe e da quando esiste? L’anagrafe è il registro della popolazione comunale,
continuamente aggiornato. Fu istituita nel 1864 sulla base del primo censimento generale della
popolazione dello Stato italiano unificato, effettuato nel 1861. Se il censimento può essere definito
una “fotografia statica” della popolazione esistente in un territorio in un preciso momento,
l’anagrafe rappresenta la “fotografia regolarmente aggiornata” della popolazione stessa in base ai
dati dinamici forniti dallo stato civile, includendo immigrazioni ed emigrazioni degli individui2.
- In cosa consiste la documentazione anagrafica? Comprende tre diverse serie:
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I cognomi come Esposito, Casadio, Della Casa furono attribuiti a bambini esposti all’incirca nel corso del ‘700 alla
ruota delle istituzioni assistenziali del luogo. A Imola, ad esempio, gli illegittimi o abbandonati erano portati
all’OSPEDALE DELLA SCALETTA e lì venivano battezzati con questi cognomi che facevano chiaramente riferimento alla
loro origine di trovatelli e di figli di Dio (vedi Della Casa che ha sottinteso “di Dio”). Quindi chi avesse un tale
cognome deve sapere che la sua ricerca genealogica si fermerà quasi sicuramente alla metà del ‘700. (L’archivio
dell’Ospedale della Scaletta è consultabile presso la Biblioteca Comunale di Imola).
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La tenuta di questi registri fu affidata fin dall’inizio dallo Stato ai Comuni, ma non tutti i Comuni li attivarono
sollecitamente. La richiesta statale fu fatta con modalità non chiare, per esempio senza fornire una modulistica
uniforme, e l’anagrafe fu considerata quasi un fattore facoltativo fino al 1929. La prima legge dedicata espressamente
alla tenuta dell’anagrafe è del 1954 e il regolamento è del ’58.
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a) uno schedario in ordine alfabetico con una scheda individuale per ogni persona,
contenente i suoi dati e anche il rimando numerico al corrispondente foglio di famiglia;
b) uno schedario in ordine numerico di fogli di famiglia. Contengono la composizione del
nucleo familiare al momento del suo impianto; per ogni persona elencata, a partire dal capofamiglia,
sono indicate le generalità, la data e il luogo di nascita, di matrimonio, di morte, di trasferimento, a
volte le professioni e altre annotazioni;
c) uno schedario variamente ordinato di fogli di casa, contenenti l’elenco delle persone
abitanti a un determinato numero civico.
- Cosa è più opportuno consultare tra le diverse serie anagrafiche? Il consiglio è di partire dalla
scheda individuale nominativa del nostro ascendente, che riporta il numero del foglio di famiglia
che ci interessa. Nel foglio di famiglia troveremo la struttura del nucleo familiare e la maggior
messe di notizie. Da questi dati è possibile trovare l’aggancio ad altri archivi coevi e anteriori. (Per
esempio, dall’indirizzo si può individuare la parrocchia e quindi risalire al relativo archivio, e così
pure dalla data di nascita). I fogli di famiglia sono compilati in italiano, a mano, su un pre-stampato.
La lettura generalmente non presenta particolari difficoltà.
- Quali sono i limiti della consultazione anagrafica? Innanzitutto, non si può risalire più indietro
dell’unità d’Italia3. In secondo luogo, l’archivio può essere non interamente accessibile, o perché
attivato tardivamente, o perché danneggiato da eventi naturali (ad esempio, un incendio o
un’alluvione) o da eventi bellici (ad esempio, l’Archivio storico comunale di Casola Valsenio è
andato distrutto nell’aprile del 1945: dello Stato Civile si sono salvati solo 105 registri degli anni
1866-1900. Molti dei fogli di famiglia, redatti dopo il 1900, recano note storiche a partire dal sec.
XVII, appostevi sulla base degli archivi parrocchiali del territorio). Supponiamo di non riuscire a
trarre nessuna notizia dall’anagrafe: allora bisognerà rivolgersi agli archivi ecclesiastici (vedi punto
successivo), perché le fonti sono sincrone e vanno lette contemporaneamente.
Inoltre, paradossalmente, più i documenti sono cronologicamente vicini a noi, più possono
“allontanarsi”, nel senso che la legge può porre barriere alla loro consultazione. Ad esempio, LA
LEGGE ARCHIVISTICA DEL 1963 pone limiti alla consultazione storica di tutti i tipi di documenti per
tutelare la riservatezza di una pratica amministrativa o di una persona. Per avere libero accesso,
bisogna attendere 40 anni per i documenti amministrativi, 70 anni per i documenti giudiziari, 100
anni per i documenti notarili. Inoltre, ai sensi della LEGGE SULLA PRIVACY DEL 1996 devono passare
70 anni per accedere a documenti con dati sensibili (stato di salute, professione di fede…).
Comunque c’è un’apposita commissione che valuta le richieste di consultazione per scopo storico
prima dello scadere dei termini prefissati.
N.B.: I documenti dell’Ufficio Anagrafe non si versano all’Archivio di Stato. Tenere presente che si
tratta di un ufficio amministrativo, con propri regolamenti di accesso!
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Già gli Egiziani, i Greci, i Romani avevano registri della popolazione, ma erano sempre finalizzati per un determinato
scopo: i Greci ad esempio registravano soltanto i maschi adulti: per il voto, per le tasse e per il servizio militare.
Non esisteva invece il concetto moderno di specchio intero della popolazione.
Con la caduta dell’impero romano la consuetudine del censimento scompare quasi del tutto e solo nel 1338 Venezia,
anticipando notevolmente gli altri stati, effettuerà il primo censimento.
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4. IL TERZO PASSO: GLI ARCHIVI ECCLESIASTICI.
Con i dati ricavati dal foglio di famiglia rilasciato dall’ufficio comunale siamo risaliti
cronologicamente all’unità d’Italia. Volendo proseguire la ricostruzione genealogica, ora non c’è
più anagrafe che possa aiutarci: infatti, anteriormente al 1864 non esiste una rilevazione sistematica
e tanto meno unitaria della popolazione italiana. La penisola era politicamente frammentata e ogni
Stato preunitario adottava propri sistemi di controllo degli abitanti, finalizzati a scopi precisi: fiscali
(liste di contribuenti), politici (organi amministrativi), militari (liste di leva), commerciali
(corporazioni d’arti e mestieri), eccetera. Anche questi documenti potranno rivelarsi utili se nel
corso della ricerca collocheremo un nostro avo all’interno di una corporazione, ma è un caso. Ciò
che nell’Età Moderna più somigliava a un’anagrafe erano le scritture aggiornate e conservate nella
fittissima rete di parrocchie esistenti sul territorio, scritture che, prima del 1866, avevano anche
efficacia civile. Per questo ora dobbiamo rivolgere la nostra attenzione agli archivi ecclesiastici.
- Quali sono gli archivi ecclesiastici utili alla ricerca genealogica? Sono principalmente (ma non
solo) gli archivi parrocchiali, che costituiscono l’ossatura di qualsiasi ricerca genealogica prima
dell’età contemporanea: sono costituiti dai registri dei battezzati, dei matrimoni, dei morti, dei
confermati (ossia dei cresimati), degli stati delle anime.
- Da quando esistono gli archivi parrocchiali? Nel 1563, durante il Concilio di Trento, fu stabilito
che ogni parrocchia della cristianità dovesse obbligatoriamente tenere determinati libri, destinati a
registrare e comprovare la somministrazione dei sacramenti nell’ambito del suo territorio.
Ovviamente questa disposizione non fu accolta in maniera immediata da tutte le parrocchie, ma in
generale la disposizione fu applicata dalla fine del secolo anche se non c’erano regole prefissate sul
modo di registrazione e di tenuta. E’ interessante ricordare che l’obbligo di registrazione accelerò
notevolmente il fissarsi delle forme dei cognomi, fino a quel momento molto variabili. I registri dei
matrimoni e dei morti esistevano in tutte le parrocchie fin dall’origine. Il registro dei confermati
stava di norma presso la cattedrale. I registri dei battesimi, dalle origini fino al 1918, esistevano
solo nelle chiese dotate di fonte battesimale4, e dal 1918 in poi in tutte. I registri di stati d’anime
erano dei censimenti della parrocchia, famiglia per famiglia, che venivano stilati periodicamente dai
parroci in occasione della benedizione delle case.
- Dove sono conservati gli archivi storici delle parrocchie? Oggi ogni chiesa parrocchiale aggiorna
e conserva la propria serie di registri, redatti in italiano su modulistica prestampata (1° comma del
Canone 535 del nuovo Codice di Diritto canonico del 1983), ed è il Vescovo che decide della loro
consultabilità. Rintracciare gli archivi parrocchiali preunitari è certamente più complesso.
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Per esempio, dentro le mura della città di Imola c’erano dodici piccole parrocchie ma il fonte battesimale era
posseduto solo dalle chiese di S. Cassiano in quanto cattedrale, S. Lorenzo in quanto più antica pieve cittadina, e S.
Maria in Regola per privilegio dell’abbazia benedettina. Gli abitanti di tutte le parrocchie dovevano recarsi in una di
queste tre chiese per battezzare i propri figli. (Un esempio per comprendere meglio: una persona nata, vissuta e morta
sotto la parrocchia di S. Giacomo in Imola, era registrata nel libro dei battesimi di S. Cassiano, nel libro dei matrimoni
della parrocchia della sposa, nel libro dei morti di S. Giacomo).
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Innanzitutto, bisogna tener conto che la rete parrocchiale era molto più ramificata di oggi e nel
tempo ha subito contrazioni e variazioni territoriali (basti pensare all’impatto dei decreti di
soppressione francesi del 1806, che nella sola Imola ridussero le parrocchie da dodici a quattro). I
registri di una parrocchia soppressa dovrebbero essere confluiti nella parrocchia subentrante, ma in
questo difficile passaggio molto prezioso materiale è andato perduto, e il resto l’hanno fatto il
tempo e l’incuria. Gli archivi superstiti delle chiese soppresse oggi sono custoditi presso gli Archivi
diocesani oppure, come si è detto, presso le Chiese che sono subentrate nel territorio.
Per rintracciare una parrocchia, il consiglio è quello di consultare l’”Annuario cattolico d’Italia”
edito periodicamente a Roma dalla Editoriale Italiana, che contiene, diviso per regioni e per
Diocesi, l’elenco alfabetico di tutte le parrocchie d’Italia. Per rintracciare gli Archivi diocesani dove
può essere confluita la documentazione che ci interessa, conoscerne gli orari e le modalità di
accesso, bisogna rivolgersi agli Uffici diocesani. Ogni mossa va quindi concordata con il parroco o
con l’archivista; tuttavia è opportuno sapere che il 2° comma del canone 487 del C.D.C. del 1983
afferma che è diritto degli interessati ottenere copia autentica, manoscritta o fotostatica, di
documenti che per loro natura sono pubblici e che riguardano lo stato della propria persona.
Un avvertimento importante: più indietro ci spostiamo nel tempo, più bisogna far attenzione al
modo di indicizzare, che nei documenti antichi si faceva per “nome” e non per “cognome”.
(Esempio: Domenico Ceroni va cercato sotto la D di “Dominicus de …” e non sotto la C di Ceroni).
La grafia del parroco spesso difficile da decifrare, il linguaggio latino del testo (usato fino alla
prima metà dell’Ottocento), le abbreviazioni, l’uso diverso dal nostro di punteggiatura e maiuscole
e minuscole, lo stato spesso deteriorato della carta possono rendere la ricerca laboriosa, ma poiché
gli atti sono redatti secondo un formulario che si fissa nel tempo, una volta che lo si è compreso, il
compito diventa più agevole.
- Quali informazioni contengono gli atti parrocchiali? Gli atti contengono le generalità della
persona nata, coniugata o deceduta, e consentono quindi di aggiungere una o due altre generazioni
al “filo genealogico” (il padre e talvolta il nonno della persona), fornendo così un nuovo nome su
cui proseguire la ricerca a ritroso. Per quanto riguarda l’atto di battesimo, è bene ricordare che la
data non coincide necessariamente con quella di nascita ma se ne discosta al massimo di pochi
giorni (poiché, dato l’altissimo tasso di mortalità infantile, il sacramento veniva somministrato a
poche ore dalla nascita), e contiene anche il nome del padrino o della madrina. Il battesimo veniva
conferito alla quasi totalità dei nati: è evidente che qui non figurano i nati di altre religioni (per
esempio gli ebrei).
Una fonte molto particolare è quella dei libri della fede: si tratta di registri in cui si segnavano i
nomi dati ai bambini esposti alla ruota. Si descriveva lo stato in cui si trovavano e gli eventuali
segni di riconoscimento (catenine, medagliette, rettangoli di stoffe) che sono stati poi cuciti sul
registro stesso.
Gli stati d’anime (l’elenco -non omogeneo da parroco a parroco- di tutti gli abitanti di una
parrocchia articolato topograficamente) forniscono il quadro dei coabitanti in una stessa casa e
annotano qualche volta anche i rispettivi mestieri e le età. Solo a partire dal sec.XVII i parroci li
corredarono di indici alfabetici; un ulteriore problema sta nel fatto che gli edifici, prima dell’arrivo
dei francesi non ancora dotati di numerazione civica e indicati solo col nome del proprietario, non
sono facilmente identificabili.
- Gli archivi parrocchiali danno garanzia di completezza della documentazione? La risposta è,
ovviamente, negativa, anche se la situazione è variabile da luogo a luogo. Molti registri sono andati
dispersi. Bisogna inoltre tener conto che, anche nel migliore dei casi, la documentazione sulla
popolazione è estremamente frammentata.
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5. IL QUARTO PASSO: GLI ARCHIVI NOTARILI.
Abbiamo visto che gli archivi parrocchiali iniziano sul finire del Cinquecento. Chi è riuscito
a raggiungere questo periodo nella sua ricerca genealogica può già andare orgoglioso del risultato
conseguito, e tuttavia, se vuole persistere nel risalire, c’è la via degli atti notarili.
(Una precisazione forse ovvia ma importante: le fonti documentarie non si succedono
l’una dopo l’altra, ma procedono parallele, e sta al ricercatore interrogarle correttamente e farle
“dialogare” tra loro).
Tutti sappiamo cosa sono gli atti notarili: sono gli atti che, nel passato come oggi, le persone
fanno redigere da un pubblico ufficiale perché abbiano valore legale, un notaio appunto, quando, ad
esempio, intendono vendere un pezzo di terra, comprare una casa, fare testamento, e così via,
insomma, quando gestiscono un bene (denaro per comprare o cosa da alienare). Questi atti nei
tempi più antichi erano molto comuni e venivano redatti anche per oggetti di minimo valore: tutto
ciò ha contribuito a costituire una massa notevole di documenti a partire dall’VIII-IX secolo in poi.
Avvicinandoci alla nostra epoca, diventano sempre più fitti e meglio conservati, anche perché era
interesse del notaio conservarli per ottenerne un reddito. Finalmente papa SISTO V,
comprendendone il significato economico, storico e sociale per tutta la comunità, nel 1588 istituì
nello Stato Pontificio gli ARCHIVI PUBBLICI, obbligando i notai alla consegna periodica all’Archivio
delle copie degli atti rogati, e dei protocolli originali dopo la loro morte.
Non solo i testamenti, ma tutti i tipi di atti notarili sono interessanti dal punto di vista genealogico,
perché vengono sempre fornite preziose informazioni sulle parti contraenti, sia di tipo familiare
(paternità, parentela), sia di tipo topografico (luogo o parrocchia di residenza).
Tutto questo materiale oggi è conservato presso gli Archivi di Stato, limitatamente alla parte
storica (cioè gli atti rogati da almeno cento anni dalla data odierna). Vediamo infatti qual è l’iter di
un instrumento (rogito) notarile:
- il notaio scrive l’atto in originale e lo conserva presso di sé. Alla cessazione della sua attività
l’insieme dei suoi protocolli originali sarà versato all’Archivio notarile distrettuale competente.
Trascorsi cento anni, gli atti originali di quel notaio saranno trasferiti all’Archivio di Stato
competente per territorio.
- dopo l’originale, il notaio scrive una copia per ciascuna delle parti contraenti. Queste copie vanno
a costituire gli archivi familiari e la loro conservazione sarà a cura degli interessati.
- infine, una copia viene consegnata all’ufficio del Registro per gli adempimenti di legge. La copia
tempestivamente depositata al Registro, dopo dieci anni, viene consegnata all’Archivio notarile
mandamentale dove costituirà un’unica serie cronologica con gli atti di tutti gli altri notai del
mandamento (a Imola l’Archivio notarile mandamentale è presso la Biblioteca Comunale, dove è
consultabile) e man mano che si compiono cento anni dalla data di rogazione questi rogiti (in unica
serie cronologica) confluiranno al competente Archivio di Stato.
- Cosa sono gli Archivi di Stato? Sono Istituti culturali istituiti e gestiti dallo Stato (Ministero per
i beni e le attività culturali) che hanno il compito di conservare e inventariare i documenti pubblici e
privati prodotti nei secoli a scopo pratico-amministrativo, e divenuti “per anzianità” patrimonio
storico-culturale (atti notarili, giudiziari, amministrativi di varie epoche, privati). Sono quindi
strutture di libero e gratuito accesso, proprio come le biblioteche pubbliche, solo che, invece di
leggervi libri, vi si leggeranno documenti dal Medioevo alla metà del Novecento circa.
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Gli Archivi di Stato sono strutturati su base provinciale; da questi Archivi maggiori possono
dipendere delle Sezioni (per esempio, l’Archivio di Stato di Bologna ha una Sezione a Imola;
l’Archivio di Stato di Ravenna ha una Sezione a Faenza; l’Archivio di Stato di Forlì ha due Sezioni,
a Cesena e a Rimini, ora autonoma). Per conoscere la rete degli Istituti archivistici, e soprattutto per
sapere dove sono conservati gli Archivi notarili che ci interessano, dobbiamo consultare la “Guida
generale degli Archivi di Stato Italiani”, pubblicato a Roma nel 1981, che sarà presto consultabile,
aggiornata, in rete. Per esempio: sotto la voce “Ravenna”, Sezione di Faenza, leggiamo che
l’Archivio notarile di Casola Valsenio è appunto conservato a Faenza (anni 1447-1868).
- Come si consultano gli atti notarili ai fini genealogici?
Per il reperimento degli atti notarili bisogna tener presenti queste oggettive difficoltà.
Da quanto sopra esposto a proposito dell’iter degli atti, sappiamo che in Archivio di Stato ci
aspettano due differenti serie di documenti notarili “ultracentenari”:
a) la serie degli atti originali, organizzata notaio per notaio,
b) la serie delle copie dell’Ufficio del Registro, organizzata in un’unica serie cronologica di tutti i
notai. Le copie, almeno fino al 1816 (ragioniamo sempre a ritroso!) sono corredate da rubriche
alfabetiche che ci sono di grande aiuto per la ricerca. Cercando nella colonna “Cognomi e nomi dei
contraenti” dovremmo imbatterci in qualche personaggio che porta il nostro cognome, e una volta
rintracciato l’atto, potremo verificare l’appartenenza o meno di questo individuo alla nostra tavola
genealogica, nonché una serie di informazioni onomastiche o toponomastiche a cui “appigliarci”
per proseguire. Si noti che nelle epoche passate la maggior parte delle persone non si trasferiva
facilmente dal luogo d’origine.
Anteriormente al 1816 le cose si complicano un po’. Ogni archivio notarile ha una realtà diversa, da
verificare in corso di ricerca, tuttavia di norma non esiste una indicizzazione complessiva degli atti;
quindi bisogna rivolgersi alla serie a), consultando cioè gli originali di ogni notaio che ha rogato nel
periodo che ci interessa. Bisogna tener presente che:
- ogni notaio aveva un proprio modo di organizzarsi: poteva compilare una rubrica alfabetica dei
nomi posta in testa o in coda a ogni registro, o poteva compilare un repertorio complessivo di tutti i
suoi rogiti;
- dal XVIII secolo all’indietro, gli atti sono scritti in latino, con un numero sempre maggiore di
abbreviazioni, e anche i nomi delle persone sono in latino; a questo punto, nelle rubriche del notaio
si deve cercare per “nome” (in latino) e non per cognome (che non è ancora ben fissato e
codificato).
(Primo esempio: Supponiamo che l’ultimo ascendente che abbiamo rintracciato si chiami Antonio
Rossi, nato nel 1630 a Imola. Se non abbiamo nessun altro tipo di notizia su di lui, possiamo
provare a cercare pazientemente il suo nome (de Rubeis sotto la R, o Antonius sotto la A) negli
indici dei protocolli notarili della zona a partire dal 1655, nella speranza che abbia venduto un
pezzo di terra, che abbia dotato una figlia, o fatto testamento, e che l’atto così ritrovato ci dica
qualcosa di più, per esempio il nome di suo padre, nuovo anello del nostro filo genealogico... ma
non abbiamo in partenza alcuna garanzia di giungere a questo risultato.
Secondo esempio: Luigi Dal Pero, a partire dal XVII secolo all’indietro, dovrà essere cercato sotto
la A di “Aloisius”)
- Esistono altri metodi di ricerca degli atti notarili? Un ulteriore metodo di ricerca può essere
quello di scorrere con grande pazienza i REGISTRI D’ARCHIVIO redatti dal Notaio Cancelliere che
registrava le copie depositate nell’Archivio pubblico giorno per giorno dai notai, facendone una
sintesi, come stabilito da Sisto V nel 1588.
- Quali sono le caratteristiche, vantaggi e limiti della ricerca notarile? A differenza di altre serie
documentarie, quella notarile è sicuramente la più continuativa e completa. Ma c’è una condizione
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essenziale per trovarvi informazioni di carattere genealogico: la persona ricercata deve aver
posseduto un bene (anche un piccolo podere che sia stato tramandato per generazioni), altrimenti di
essa non resterà alcuna testimonianza, se non l’atto di battesimo e l’atto di morte, in quanto il
documento notarile è nato appunto per gestire beni economici.
In questo senso si può dire che la documentazione prodotta nei secoli non è “democratica”: chi è più
ricco lascerà più documentazione, lascerà testimonianza di sé.
6. ALTRE FONTI PER LA GENEALOGIA: GLI ATTI DI STATO CIVILE DEL PERIODO
NAPOLEONICO.
Per i territori che tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento conobbero la
dominazione francese, esiste un filone documentario di estremo interesse, la prima rilevazione
“statale” della popolazione attivata dai conquistatori.
I francesi, impegnati nelle loro campagne di conquista, necessitavano di denaro e di uomini; poiché
nelle regioni occupate mancavano totalmente gli strumenti amministrativi per valutare il potenziale
umano, vennero emessi alcuni provvedimenti. Innanzitutto, furono richieste ai parroci (molto
reticenti) le copie degli stati d’anime (composizione del nucleo familiare) per un primo esperimento
di ufficio anagrafe. Finalmente nel 1806 fu impiantato il primo ufficio di Stato civile, presso cui
divenne obbligatorio annotare tutti gli eventi (nati, matrimoni, morti) avvenuti tra il 1806 e il
1815 (caduta del regno di Napoleone).
- Qual è l’estensione territoriale interessata dallo stato civile napoleonico? Dal 1805 al 1813 i
Dipartimenti in cui venne ripartito il territorio del Regno d’Italia furono 255 . In questo nuovo
assetto fu creato il Dipartimento del Reno, attribuendogli verso est parte dei territori che per
tradizione erano sempre appartenuti alla Legazione di Romagna. Imola divenne capoluogo di uno
dei quattro distretti: da Imola dipendevano i Cantoni di Imola, di Castel S. Pietro, di Fontana, di
Lugo. Dal Cantone di Fontana dipendevano i Comuni di Fontana, Casalfiumanese, Casola
Valsenio, Castel del Rio, Riolo.
- Quali sono l’utilità e i limiti di questi documenti ai fini genealogici?
In positivo: gli atti, compilati secondo un formulario fisso e molto analitico, sono molto ricchi di
informazioni: normalmente consentono la ricostruzione di tre generazioni, e inoltre contengono
indicazioni toponomastiche, indicazioni sulle professioni, sull’alfabetizzazione. Gli atti più
interessanti sono quelli di matrimonio, perché vi sono indicati tutti i certificati prodotti e quindi
danno la possibilità di agganci con le parallele fonti parrocchiali. Un altro elemento positivo è
l’estensione territoriale più ampia di quella comunale e di quella diocesana.
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Adda, Adige, Adriatico, Agogna, Alto Adige, Alto Po, Bacchiglione, Basso Po, Brenta, Crostolo, Istria, Lario, Mella,
Metauro, Mincio, Musone, Olona, Panaro, Passariano, Piave, Reno, Rubicone, Serio, Tagliamento, Tronto.
LA CONSORTERIA DEI CERONI
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Tra i limiti: la brevità del periodo censito, dal 1806 al 1815, appena dieci anni. Con la caduta dei
francesi, l’ufficio viene soppresso e la registrazione della popolazione torna esclusivamente alle
parrocchie. Inoltre, sfuggono alla rilevazione demografica tutti coloro che durante questo decennio
non partecipano ad eventi di nascita, matrimonio o morte. Ripeto: questi documenti non sono
un’anagrafe, ma rappresentano la dinamica della popolazione. I ripetuti tentativi di censimento
totale da parte dei francesi invece non ebbero buon esito e i dati raccolti andarono in parte furono
dispersi.
- Dove sono conservati e come si consultano? Gli atti dello stato civile napoleonico sono
conservati negli Archivi di Stato competenti per territorio. Presso la Sezione di Archivio di Stato di
Imola ci sono, in copia, gli atti del distretto di Imola sopra descritto.
Gli atti si consultano tramite indici alfabetici e sono di norma facilmente leggibili.
CONSIDERAZIONI FINALI
E’ molto difficile prevedere fino a che epoca ci porterà la ricerca. La maggior parte si ferma
al secolo diciottesimo. Le variabili sono infinite e ogni percorso è diverso dall’altro...
Rimando la vostra legittima aspirazione ad approfondire l’argomento alle opere di Lorenzo
Caratti di Valfrey, e nel frattempo vi auguro...
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