Elisabetta Corsi Percezioni sensoriali e conoscenza secondo il

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Elisabetta Corsi Percezioni sensoriali e conoscenza secondo il
Elisabetta Corsi
Percezioni sensoriali e conoscenza secondo il Xingxue cushu
性學觕述 (Introduzione generale allo studio della fisica,
1623) di Giulio Aleni S.I.1
Mentre voi parlavate così, io imaginava di vedere scritta la filosofia d’Aristotile in lingua Lombarda, ed udirne parlare tra loro ogni vile maniera di gente, facchini, contadini, barcaroli, ed altre tali persone, con certi
suoni e con certi accenti, i più noiosi ed i più strani che
mai udissi alla vita mia. In questo mezzo mi si parava
dinanzi essa madre filosofia, vestita assai poveramente di
romagnolo, piangendo e lamentandosi d’Aristotile, che
disprezzando la sua eccellenza l’avesse a tale condotta;
e minacciando di non voler stare più in terra: sì bello
onore ne le era fatto dalle sue opere, il quale iscusandosi
con esso lei, negava d’averla offesa giammai, sempremai
averla amata e lodata, né meno che orrevolmente averne
scritto o parlato mentre egli visse; lui esser nato e morto
Greco, non Bresciano né Bergamasco, e mentire chi dir
volesse altramente: alla qual visione desiderava che voi vi
foste presente […].
Dite pure ciò che volete: ma io spero che a dì vostri non
vedrete Aristotile fatto volgare.
[Sperone Speroni, Dialogo delle lingue, in Opere [...]
tratte da’ mss. originali, Venezia, D. Occhi, 1740, pp.
196, 198]
1 Questo breve saggio fa parte delle ricerche in corso per un nuovo volume sulla
diffusione della prospettiva lineare e dell’ottica in Cina durante il XVII secolo. Una
prima versione ridotta è apparsa, con altro titolo, in Magda Abbiati, Federico Greselin (a cura di), Il liuto e i libri. Studi in onore di Mario Sabattini, Venezia, Cafoscarina, 2014.
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Premessa
Il nucleo tematico che costituisce l’oggetto d’indagine di
questa raccolta di saggi riguarda la produzione e circolazione di
libri in quanto aspetto tra i più significativi dell’impresa missionaria in Cina durante la prima modernità. Il fatto che gli ordini
religiosi missionari si servissero della produzione di testi come
supporto alla loro opera di evangelizzazione è lungi dall’essere
un fenomeno circoscritto alle missioni cattoliche cinesi. Quando
ad esempio i gesuiti si recarono presso i Guaranì in America
meridionale, non esitarono a dar vita ad una intensa produzione
di grammatiche e lemmari che avrebbero avuto un impatto
determinante nel facilitare l’adozione di una scrittura alfabetica
da parte della popolazione indigena, sino ad allora adusa alla
cultura orale. L’impresa missionaria aveva in tal modo acquisito un carattere persino demiurgico, in quanto ordinatrice dello
spazio linguistico, della storia e della memoria di quella popolazione.
Ciò che distingue la produzione testuale dei missionari cattolici in Cina rispetto all’esperienza sopra descritta è invece il fatto
che le opere che la compongono siano state scritte in una lingua
complessa e sofisticata, nota come guanhua 官話, ovvero la
lingua semivernacolare in uso già da secoli tra i membri dell’élite
composta dai funzionari pubblici (guan 官) che avevano superato con successo gli ultimi gradi dell’esame di stato. Anni di
intenso studio non necessariamente garantivano ai missionari
la certezza di poter padroneggiare quella lingua al punto da
essere in grado di impiegarla con profitto nella composizione
dei testi. Ciò spiega dunque il ricorso alla rete degli adepti, cioè
quei convertiti cinesi che potevano assicurare la messa in prosa
dei concetti che i missionari, talvolta con il solo ausilio della
memoria, poiché sprovvisti di testi di riferimento, trasmettevano
loro, forse sotto dettatura, oppure attraverso appunti.
Non solo la lingua rappresentò uno dei principali ostacoli
all’adattamento dei missionari alla vita intellettuale cinese; la
composizione dei testi dovette infatti tenere conto di norme
editoriali invalse da secoli, di una comunità di lettori preparata
ed esigente, di un mercato editoriale fiorente e differenziato a
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livello locale. Una situazione che i missionari non esitarono a
comparare a quella europea ma che, a differenza di quella, imponeva loro l’acquisizione di nuove regole e di nuove pratiche2.
Se si voleva interagire con l’élite intellettuale cinese era anzitutto necessario poter contare su biblioteche di riferimento
che fossero il più possibile fornite e aggiornate. Gli sforzi dei
missionari ed una strategia di acquisizione libraria che condusse
alla costituzione di importanti biblioteche di cultura filosofica,
religiosa e scientifica europea in territorio cinese, sono oggetto
di importanti ricerche in corso che contribuiranno, una volta
concluse, ad arricchire la nostra comprensione delle scelte intellettuali dei gesuiti in Cina, al loro modo di classificare e ordinare i saperi in relazione a quanto ritenevano dovesse essere
trasmesso ai cinesi3. In senso più generale, ma non meno significativo, queste ricerche contribuiranno ad arricchire il quadro
di indagine sulle letture dei religiosi e sulla circolazione del libro
tra Sei e Settecento4.
Gli inventari delle biblioteche gesuitiche in Cina offrono
preziose indicazioni in ordine alle opere delle quali i missionari
si servirono per redigere i loro testi in cinese. Un prezioso inventario delle opere sino ad allora pubblicate venne redatto, come
è noto, da Philippe Couplet (1623-1692/3) nel 1647. Si tratta
del Catalogus librorum Sinicorum a PP. Soc. Jesu editorum,
comprendente 125 opere di argomento teologico e 89 di natura
scientifica, soprattutto astronomica5.
2 Cfr.
il saggio di Ronnie Po-chia Hsia in questo volume.
riferisco alla monumentale opera di Noël Golvers, della quale sono stati
pubblicati i primi due volumi: Libraries of Western Learning for China. Circulation
of Western Books between Europe and China in the Jesuit Mission (ca. 1650 - ca.
1750), vol. 1, Logistics of Book Acquisition and Circulation, Leuven, Ferdinand
Verbiest Institute KUL, 2012; vol. 2, Formation of Jesuit Libraries, Leuven, Ferdinand Verbiest Institute KUL, 2013.
4 Per uno stato dell’arte relativo all’Italia, si veda Rosa Marisa Borraccini, Roberto Rusconi (a cura di), Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia
moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice, Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2006. Vedi anche Luca Ceriotti, Scheletri di biblioteche, fisionomie di lettori. Gli ‘inventari di biblioteca’ come materiali
per una anatomia ricostruttiva della cultura libraria di antico regime, in Edoardo
Barbieri, Danilo Zardin (a cura di), Libri, biblioteche e cultura nell’Italia del Cinque
e Seicento, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 373-432.
5 Cfr. Clara Yu Dong, Chinese Language Books and the Jesuit Mission in China.
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Gli inventari delle biblioteche dei missionari in Cina non
esauriscono però la gamma delle possibili fonti, perché la corrispondenza missionaria contiene innumerevoli riferimenti ad
opere non comprese in questi inventari6. Vi è tuttavia un’altra
ragione che rende assai complessa la lettura delle opere missionarie in cinese e l’identificazione delle fonti utilizzate, ed è il
fatto che queste ultime non siano mai enunciate, con ciò rivelando una concezione del tradurre per la quale ben si adattano
le parole che Gianfranco Folena utilizza per parafrasare i toni
polemici impiegati da Iacopo Passavanti nei confronti dei volgarizzamenti dei testi sacri, fondati su «un’idea del tradurre che
sia andare al di là della lettera e intendere intimamente ed espliA Study on the Chinese Missionary Books Brought by Philippe Couplet from China,
in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, vol. VIII, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 2001, pp. 507-554, pp. 509-510. Il catalogo (Biblioteca Apostolica Vaticana [= BAV], Racc. gen. or. S 13 (Stragrande), composto di tre
carte, è stato riprodotto in Anthony Grafton (ed.), Rome Reborn: the Vatican Library
and Renaissance Culture, Washington-New Haven-London, Library of CongressYale University Press & Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1993, p.
285. Manca ancora uno studio che analizzi in modo sistematico i testi cinesi appartenenti alle raccolte missionarie o scritti dai missionari in cinese e successivamente
disseminati sul territorio italiano. Sono per ora disponibili studi o cataloghi di carattere locale, come quello di Yu Dong, Catalogo delle opere cinesi missionarie della
Biblioteca Apostolica Vaticana (XVI-XVIII sec.), Città del Vaticano, Società Editrice Vaticana, 1996; Marina Battaglini, Chinese Collections in Europe: the Vittorio
Emanuele II National Central Library, Rome, «Bulletin of the European Association
of Sinological Librarians», 7, 1994, pp. 15-17; Eugenio Menegon, The Biblioteca
Casanatense (Rome) and Its China Materials: a Finding List, «Sino-Western Cultural
Relation Journal», 22, 2000, pp. 31-55; Pier Francesco Fumagalli, Sinica Ambrosiana. Il fondo antico: libri, cimeli e documenti, «Aevum», 75, 2001, pp. 715-736; Zhou
Jiaxiang, Ancient Chinese Books in the Biblioteca Nazionale Braidense of Milan,
«Aevum», 77, 2003, pp. 637-671 (l’autore giustamente lamenta il fatto che il catalogo della mostra sui fondi provenienti dal Collegio Braidense: La Braidense. La cultura
del libro e delle biblioteche nella società dell’immagine, Firenze, Artificio, 1991, non
contenga alcuna menzione di questo prezioso fondo). Un’indagine più sistematica è
stata condotta da Francesco D’Arelli, The Catholic Mission in China in the 17th-18th
Centuries: Archives and Libraries in Italy. Preliminary Repertoire, Roma, Istituto
Italiano per l’Africa e l’Oriente, 1997.
6 Sarebbe inoltre interessante verificare se vi sia stata una qualche circolazione dei
libri prohibiti o suspecti, anche perché i missionari in Cina poterono sottrarsi all’obbligo di consegnare le liste dei libri posseduti all’inquisitore o al suo vicario, secondo quanto richiesto dalla Congregazione dell’Indice a partire dal 1596. Il saggio di
Gigliola Fragnito, L’indice clementino e le biblioteche degli ordini religiosi, in Libri,
biblioteche e cultura degli ordini regolari, cit., pp. 37-59, costituisce un imprescindibile punto di partenza per chi voglia intraprendere questa ricerca.
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citare la pregnanza semantica del testo, anche oltre il dettato
geronimiano non verbum de verbo, sed sensum de sensu exprimere»7.
Un’ulteriore difficoltà che si riscontra nell’ermeneutica
dei testi è determinata dal fatto che essi erano soggetti ad un
processo di revisione non solo di carattere censorio ma anche
stilistico. Quanto all’intervento censorio, il procedimento adottato sembra essere quello descritto dal gesuita Alfonso Vagnoni
(1566-1640) nel Tongyou jiaoyu 童幼教育 (titolo in latino sulla
prima pagina di guardia: De ludo litterario ad ducendos pueros):
遵教規凡是譯經典諸書必三次看詳方允付梓茲並鐫訂閲姓氏於後. Le
regole della venerabile religione [contemplano] che sia le traduzioni dei testi
canonici sia qualsiasi altro libro, debbano essere letti attentamente per tre
volte ed emendati ogniqualvolta vi si riscontri qualcosa di sconveniente. I
nomi dei revisori dovranno inoltre apparire sullo stampato8.
Oltre alla necessità di stretto controllo dei contenuti, vi era
poi, dicevamo, quella connessa alla resa stilistica del testo. Date
le difficoltà prosodiche della lingua cinese, i missionari dipendevano dall’aiuto di convertiti e assistenti per la messa in bello stile
dei loro testi, i quali spesso venivano composti sotto dettatura
(koushou 口授). È inevitabile che il processo di revisione del
testo comportasse delle alterazioni di senso, talvolta forse anche
molto significative. Non sempre i risultati di tali revisioni sono
brillanti, poiché in alcuni testi la scrittura risulta diseguale e il
periodare disadorno, come se fosse il prodotto dell’intervento
di più mani.
Non è questo il caso, fortunatamente, dell’opera presa in
esame da questo saggio: il Xingxue cushu 性學觕述 (Introdu7 Gianfranco
Folena, Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi, 1991, pp. 39-40.
in Archivum Romanum Societatis Iesu, Jap. Sin. II, 54, f. 2r. La fonte
utilizzata da Vagnoni è l’opera di Giovanni Caselli (1533-1613), De lvdo litterario
recte aperiendo liber. In vsum publici boni iterum editus, quem in docenda pueritia, & prima adolescentia, preceptores sequantur, Helmaestadi, typis hered. Iacobi
Lvci, 1619. Il testo di Vagnoni è stato studiato da Pietro Duan Chunsheng, Pensiero
etico e pedagogico nell’opera ‘Tongyu jiaoyu (Educazione della gioventù)’ di Alfonso
Vagnone, in Kuniko Tanaka (a cura di), L’educazione nella società asiatica / Education in Asian Societies, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana-Bulzoni, 2014, pp.
63-85, anche se purtroppo l’autrice non è stato in grado di identificare la fonte utilizzata dal missionario gesuita.
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zione generale allo studio della fisica, 1623), dedicata all’esposizione della filosofia naturale (Physica), in particolare per ciò che
concerne le facoltà umane, ovvero quella Physiologia, che costituisce, insieme alla metafisica (in cinese chaoxingxue 超性學) e
alla matematica, una delle possibili partizioni nelle quali è stata
tradizionalmente suddivisa la filosofia:
Posterior Philosophiae distributio est, qua Philosophia, non vniuersa,
sed ea tantùm, quae in contemplationae posita est diuiditur; vide licet in
Metaphysicam, Physiologiam, & Mathematicas disciplinas9.
Mancando a tutt’oggi studi dettagliati sull’opera, questo
saggio intende costituire un primo tentativo di definizione dei
connotati epistemologici da cui partire per una indagine più
approfondita dell’insieme dei contenuti scientifici che il Xingxue
cushu prende in esame.
Il contesto
Com’è noto la filosofia naturale, altrimenti chiamata filosofia della natura, scienza naturale, fisica, fisiologia e cosmologia, rappresenta un insieme assai composito di discipline le
quali, negli anni in cui viene composto il Xingxue cushu, sono
in Europa oggetto di aspre critiche10. Infatti queste discipline
9 Commentarii Collegii Conimbricensis Societatis Iesv. In octo libros Physicorum Aristotelis Stagiritae Prima Pars, Lvgdvni, svmptibvs Horatii Cardon, 1602, p. 6.
10 La bibliografia su questo tema è molto ampia; per una efficace sintesi si veda
Antonio Clericuzio, Germana Ernst, con la collaborazione di Maria Conforti (a
cura di), Il Rinascimento italiano e l’Europa, vol. 5, Le scienze, Treviso, Fondazione
Cassamarca-Angelo Colla, 2008. In particolare sulla filosofia naturale si veda
Andrea Falcon, Aristotle and the Science of Nature. Unity without Uniformity,
Cambridge, Cambridge University Press, 2005. Nel 2007 si è tenuto a Lovanio un
colloquio incentrato sulla riflessione antica e medievale intorno al De Anima (“Soul
and Intellect. Ancient and Medieval Perspectives on the De Anima”) dal quale
scaturirono due volumi di atti: Gerd van Riel, Pierre Destrée et al. (eds.), Ancient
Perspectives on Artistotle’s ‘De Anima’, Leuven, Leuven University Press, 2009 e
Russell L. Friedman, Jean-Michel Counet (eds.), Medieval Perspectives on Aristotles’s
‘De Anima’, Leuven-Paris-Walpole, Éditions de l’Institut Superieur de Philosophie Peeters, 2013. Tra le altre pubblicazioni recenti occorre menzionare la monografia
di Magdalena Bieniak, The Soul-Body Problem at Paris, ca. 1200-1250, Leuven,
Leuven University Press, 2010 e quella di Sander W. De Boer, The Science of the
Soul. The Commentary Tradition on Aristotle’s ‘De Anima’, c. 1260-c.1360, Leuven,
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cominciano, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, ad
acquisire una loro autonomia ed un campo epistemologico ben
definito e distinto da quello filosofico e metafisico, nonché da
quello medico. Questo processo culminerà con i Philosophiae
Naturalis Principia Mathematica, di Isaac Newton (1642-1727),
pubblicato nel 1687, opera che, nonostante il suo carattere rivoluzionario, predilige ancora il latino come lingua della scrittura
scientifica e la filosofia naturale come ambito di riferimento.
Tuttavia, nel caso dell’opera che questo saggio prende in
esame, si potrebbe dire che il Xingxue cushu rappresenti un
libro di divulgazione sull’esempio dei numerosi volgarizzamenti
delle opere di Aristotele pubblicati a partire dalla seconda metà
del Cinquecento e durante tutto il Seicento in Europa, in ciò
riflettendo la medesima fiducia, implicitamente nutrita da Aleni
e dagli altri missionari che si cimentarono nell’impresa traduttiva, al pari dei loro colleghi umanisti e, diremmo oggi, “comunicatori di scienza”, nella possibilità che le lingue moderne
potessero esprimere, al pari del greco, e forse meglio del latino,
i concetti propri del pensiero aristotelico11. Anzi, se è vero ciò
che è stato affermato nel caso degli scritti scientifici in volgare
di Alessandro Piccolomini, sul quale ci soffermeremo più oltre
(«Piccolomini’s writing science in Italian is important because it
shows that Bruno and Galilei had good precedent for doing the
same»), sarebbe opportuno, invalse ormai le mode della storia
globale nelle sue più diverse articolazioni, che il nucleo di testi
scientifici, religiosi, teologici e morali prodotti dai gesuiti in
cinese, venisse considerato alla stessa stregua di quelle importanti imprese traduttive ed ermeneutiche12. Nel caso dei missionari gesuiti poi, l’esperienza traduttiva si pone come condizione
irrinunciabile della stessa vocazione evangelizzatrice, tanto più
Leuven University Press, 2013.
11 È da salutare con plauso il recente progetto avviato da Marco Sgarbi, il cui
proposito è precisamente quello di studiare la fitta trama di testi in volgare coi quali,
già tra Duecento e Trecento, si traduce il pensiero aristotelico.
12 Rufus Suter, The Scientific Work of Allesandro [sic] Piccolomini, «Isis», 60,
1969, pp. 210-222, p. 210. Cfr. anche Leo Olschki, Bildung und Wissenchaft im
Zeitalter der Renaissance in Italien, Leipzig-Firenze-Genève, Leo S. Olschki, 1922,
pp. 222-238 e passim. Olschki ha il merito di aver riconosciuto per primo l’importanza dei volgarizzamenti delle opere di filosofia naturale.
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ricca quanto più l’attributo del dono della glossolalia ne rappresenta il culmine del perfezionamento spirituale. Addentrarci per
questi sentieri ci condurrebbe tuttavia verso altri lidi; meglio
tornare ai volgarizzamenti delle opere dello Stagirita.
Sul solo versante italiano, si considerino per esempio le opere
elencate nelle sezioni Filosofi naturali e Matematici, geometri,
ed astronomi, presenti nella Biblioteca Italiana o sia notizia de’
libri rari italiani di Nicola Francesco Haym13. Nella sezione
dedicata alla filosofia naturale sono elencate ben 163 opere, in
quella sulla matematica ve ne sono 141, mentre nella sezione
riservata ai filosofi greci e latini volgarizzati, su 55 testi, 16
riguardano la filosofia naturale e la medicina.
Tra gli autori presenti nella bibliografia di Haym, risalta la
figura di Alessandro Piccolomini (1508-1578). Autore prolifico e dagli interessi molteplici, vero e proprio poligrafo, fu
membro dell’Accademia degli Intronati di Siena e fece parte,
su invito di Gregorio XIII, del comitato di esperti preposto
alla riforma del calendario. Appare difficile, a tutta prima,
comprendere come «the espressely non pedantic, and nonprofessional vernacular ethos of the Sienese Academy of the Intronati»14 potesse coniugarsi con il rigore e la solennità che l’incarico papale indubbiamente richiedeva, ma tant’è. Suoi sono non
solo numerosi volgarizzamenti delle opere scientifiche di Aristotele, che ebbero ampia diffusione, a giudicare dalle numerose
edizioni e ristampe, nonché traduzioni in altre lingue, ma anche
commedie e composizioni letterarie. Il trattato in 2 volumi in
8° Della Filosofia naturale (Venezia, Per Francesco Lorenzini
da Turino, 1560, pp. 147, c. 9 e pp. 450, c. 29) ebbe quattro
edizioni per un totale di sette ristampe. Anche la sua versione in
volgare italiano del famoso trattato sulla Sfera nella lezione di
Giovanni di Sacrobosco (John Holywood), intitolata De la sfera
13 Il titolo completo è Biblioteca italiana o sia notizia de’ libri rari italiani divisa
in quattro parti Cioè istoria, poesia, prose, arti e scienze; già compilata da Niccola Francesco Haym Romano, in questa impressione corretta, ampliata, e di giudizj
intorno alle migliori opere arricchita con tavole copiosissime, e necessarie, 2 voll., in
Milano, appresso Giuseppe Galeazzi, 1771, vol. II, pp. 512-519 e 519-532.
14 George W. McClure, The Culture of Profession in Late Renaissance Italy,
Toronto-Buffalo-London, The University of Toronto Press, 2004, p. 29.
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del mondo, ebbe numerose edizioni e ristampe in italiano, alle
quali dobbiamo aggiungere una traduzione francese in quattro
edizioni ed una latina in due edizioni15. In effetti quest’opera si
riferisce solo in parte al trattato di Sacrobosco, poiché il titolo
recita: «De la sfera del mondo libri quattro in lingua toscana:
i quali non per via di traduttione, né a qualsivoglia particolare
scrittore obligati: ma parte da i migliori raccogliendo; e parte
di nuovo producendo; contengano in se tutto quel ch’intorno a
tal materia si possa desiderare; ridotti a tanta agevolezza, et a
così facil modo di dimostrare qualsivoglia poco essercitato negli
studij di matematica potrà agevolissimamente et con prestezza
intenderne il tutto. De le stelle fisse libro uno con le sue figure
e con le sue tavole: dove con meravigliosa agevolezza potrà
ciascheduno conoscere qualunque stella dele XLVIII immagini
del cielo stellato, e le favole loro integramente: et sapere in ogni
tempo del’anno, a qual si voglia hora di notte, in che parte del
cielo si truovino, non solo le dette immagini, ma qualunque
stella di quelle» (Venetia, al Segno del Pozzo, 1540).
Il catalogo della Biblioteca di Bei Tang elenca solo tre opere
di Piccolomini in latino ma non La sfera del mondo. Tuttavia,
secondo quanto sostiene Golvers, da un confronto tra gli inventari di libri gesuitici presenti nelle epistole ed in altre fonti ed
il catalogo della Biblioteca di Bei Tang compilato da Herbert
Verhaeren, è possibile supporre che esso contenga poco più di
un trenta per cento delle risorse librarie in possesso dei gesuiti
alla fine del Seicento, per cui non è escluso che i missionari
abbiano attinto anche ad altre opere di Piccolomini, comprese
15 Per un resoconto sommario delle diverse edizioni dei due trattati si veda Giulio
Cesare Giacobbe, Il ‘Commentarium de certitudine mathematicarum disciplinarum’
di Alessandro Piccolomini, «Physis», 14, 1972, pp. 162-193, pp. 164 nota 9, 165
nota 11. Un inventario più dettagliato delle opere a stampa di Alessandro Piccolomini, nonché dei carteggi e dei manoscritti inediti, è stato pubblicato da Florindo
Cerreta, Alessandro Piccolomini. Letterato e filosofo senese del Cinquecento, Siena,
Accademia Senese degli Intronati, 1960, pp. 173-196. Nella dedicatoria a Giulio III
della Filosofia naturale, apparsa nel 1551, Piccolomini si dichiara il primo a «trattare
in lingua Italiana la filosofia naturale, et la morale»; in realtà ebbe qualche significativo precedente anche se del progetto traduttivo di Piccolomini, che egli dichiara di
aver concepito già durante gli anni trascorsi presso lo Studio patavino (1538-1542),
si deve soprattutto apprezzare la sistematicità.
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quelle in volgare16. A dimostrazione della nostra ipotesi è una
epistola di Matteo Ricci grazie alla quale sappiamo che De la
sfera del mondo faceva parte della scarna collezione di opere in
suo possesso negli anni di residenza a Zhaoqing, cioè durante la
prima composizione del Mappamondo. In una lettera al padre
Giulio Fuligatti del gennaio 1585 scrive:
Feci un orologio nel frontespizio della casa et adesso ando con un globo
celeste; non so come mi riuscirà perché non ho libri; se non la opera del
p. Clavio et il Piccolomini. Ho ritrovato tra loro dodici o per dir meglio
ventiquattro tempi dell’anno che rispondono a nostri puntualmente che mi
facilita questo negocio; in queste parti il puoco val molto17.
Non è possibile al momento dimostrare che il libro di Piccolomini sia stato successivamente acquisito da Aleni, per esempio
durante il periodo di soggiorno ad Hangzhou; è tuttavia significativo che esso sia stato posseduto ed utilizzato dai missionari.
Occorrerà esplorare le fonti ancor più accuratamente per poter
evidenziare altre testimonianze della circolazione, nelle residenze
gesuitiche in Cina, delle opere in volgare di Alessandro Piccolomini, come possibili archetipi delle opere filosofiche composte
dai gesuiti in cinese.
Un’altra possibile fonte in volgare del Xingxue cushu potrebbe
essere costituita dall’agile volumetto di Pompeo Vizani (15401607), intitolato Compendio della filosofia naturale (Bologna,
per gli heredi di Gio. Rossi, 1609, in 8°, pp. 64, c. 6), anche se
purtroppo in questo caso non è stato ancora possibile rinvenire
alcuna prova a sostegno di questa ipotesi. Vizani fornisce una
definizione concisa ma efficace della pluralità dei campi di cui si
occupa la filosofia naturale, pluralità che si riflette nei contenuti
del Xingxue cushu.
La Filosofia contemplativa ha tre parti, cioè la sopranaturale, ò Metafisica, la Matematica, e la Naturale. La sopranaturale conduce l’intelletto
humano à contemplare sopra i cieli, & và investigando delle loro anime o
16 Cfr. Golvers, Libraries of Western Learning, vol. 1, Logistics of Book Acquisition, cit., pp. 13-43.
17 Secondo quanto Ricci afferma in una lettera al padre Giulio Fuligatti del
gennaio 1585. Riprodotta in Matteo Ricci, Lettere (1580-1609), a cura di Francesco
D’Arelli, Macerata, Quodlibet, 2001, p. 116.
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intelligenze, ò motori, che vogliamo dire, mostrando che cosa sono, quanti,
& quali sono, e la loro propria operazione infin che giunge anco al sommo
Dio, & quanto l’intelletto humano può capire, và investigando che cosa
egli sia, e quel che faccia: e mostra con vive ragioni come egli è una semplicissima sostanza d’infinita sapienza, potenza, bontà, e bellezza, eterno,
solo, & increato, primo motore di tutti i cieli, e governatore dell’universo.
La Matematica considera le grandezze, longhezze, larghezze, e profondità
delle cose, i triangoli, i quadrangoli, i circoli, & altre figure, senza considerar la materia, nella quale sono immerse, ma imaginandole separate da ogni
materia, & come dicono, in astrato. La Filosofia Naturale, della quale con
l’aiuto di Nostro Signor Dio largo dispensatore, e donatore d’ogni bene,
intendo di scrivere in questo mio discorso, tratta del Cielo, delle Stelle,
& delli Elementi, & di tutte le cose, che nel mondo sono generabili, &
corrottibili, & và investigando i principij, le cause, le virtù, & le proprietà
di tutte le cose naturali, che si generano nell’aria, come sono la pioggia, i
venti, la neve, i folgori, i terremoti, la grandine, le comete, & simil cose, e
tratta parimente della natura delli animali terrestri, volatili, & acquatici,
e delle loro proprietà, e dell’herbe; delle piante, delle minere de i metalli,
e delle pietre, entrando infino alle viscere della terra, & nel profondo del
mare, & và discorrendo per tutte le cose che sono à qual si voglia maniera
di mutatione soggette. Mostra ancora che cosa sia Anima & di quante sorti
di Anima si trovino,& le operazioni di ciascun di loro18.
La filosofia naturale non è solo una disciplina composita, è
anche ritenuta essere una disciplina perfetta. Così Jacopo Zabarella si esprime a proposito della perfezione della filosofia naturale: «Dicimus igitur Philosophiam naturalem esse scientiam
contemplativam, quae naturalium corporum, quatenus principium motus in se habent, perfectam cognitionem tradit»19.
Siccome l’uomo può conoscere solo attraverso la contemplazione, la filosofia naturale è per ciò stesso una filosofia contemplativa che fornisce una conoscenza completa e perfetta delle
cose della natura. È per questo motivo che missionari come
Ricci, Aleni, Sambiasi e Vagnoni ritennero così importante
veicolarne i contenuti in lingua cinese come utile strumento per
indurre alla contemplazione delle cose di Dio.
18 Pompeo Vizani, Compendio della filosofia naturale, in Bologna, per gli heredi
di Gio. Rossi, 1609, pp. 10-11.
19 Cit. in Heikki Mikkeli, An Aristotelian Response to Renaissance Humanism.
Jacopo Zabarella on the Nature of Arts and Sciences, Helsinki, Societas Historica
Finlandiae, p. 41. La citazione è tratta dalla Fisica di Aristotele, 193a28-29.
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ELISABETTA CORSI
Il testo
Il Xingxue cushu è opera troppo complessa e ricca di contenuti perché possa essere esaminata nella sua interezza entro i
limiti di un saggio; si è pertanto deciso di limitare per il momento
l’indagine ai soli segmenti di testo relativi alla conformazione
dell’occhio umano e alla fisiologia della visione.
Prima di procedere in tal senso, pare tuttavia opportuno
delineare il profilo dell’autore del Xingxue cushu: Giulio
Aleni (1582-1649), missionario della Compagnia di Gesù che
soggiornò a lungo nel Fujian, dopo aver risieduto per un certo
tempo a Hangzhou. Nato a Brescia nel 1582, Aleni aveva ricevuto la sua formazione presso il Collegio dei gesuiti di Parma,
ove per un ventennio era stato docente il bolognese Giuseppe
Biancani, ed era stato ammesso al Collegio Romano nel 1607;
qui aveva avuto l’opportunità di partecipare, come scolastico,
all’Accademia di Matematica fondata da Christophorus Clavius
(1537-1612), sino alla seconda metà del 160820.
Essendo stato prescelto per le missioni cinesi già dal 1606 o
1607, aveva potuto completare la sua formazione scientifica a
Lisbona, presso il prestigioso Collegio di Sant’Antonio, dove,
come ha dimostrato Ugo Baldini, veniva fornita agli scolastici
una istruzione scientifica più accurata e completa proprio in
virtù del loro essere destinati alle missioni in Asia che richiedevano, più di altre missioni, l’esercizio di tali conoscenze21.
Questi pochi elementi sulla vita del missionario22 devono servire
20 Cfr. Ugo Baldini, The Academy of Mathematics of the Collegio Romano
from 1553 to 1612, in Mordechai Feingold (ed.), Jesuit Science and the Republic of
Letters, Cambridge Mass.-London, The MIT Press, 2002, pp. 47-98, in part. p. 74
e p. 96 nota 107. Sull’attività di Biancani a Parma si vedano Andrea Battistini, Galileo e i gesuiti. Miti letterari e retorica della scienza, Milano, Vita e Pensiero, 2000,
pp. 240-246; Ugo Baldini, “Legem Impone subactis”. Studi su filosofia e scienza dei
gesuiti in Italia. 1450-1632, Roma, Bulzoni, 1992, passim.
21 Id., Saggi sulla cultura della Compagnia di Gesù (secoli XVI-XVIII), Padova,
Cleup, 2000, p. 97.
22 Per la quale si rimanda a Eugenio Menegon, Un solo cielo. Giulio Aleni S.J.
(1582-1649). Geografia, arte, scienza, religione dall’Europa alla Cina, Brescia,
Grapho, 1994; Tiziana Lippiello, Roman Malek (eds.), Scholar from the West:
Giulio Aleni S.J. (1582-1649) and the Dialogue between Christianity and China,
Sankt Augustin-Nettetal, Institut Monumenta Serica, 1997; Erik Zürcher, Kouduo
richao. Li Jiubiao’s Diary of Oral Admonitions. A Late Ming Christian Journal, 2
PERCEZIONI SENSORIALI E CONOSCENZA SECONDO IL XINGXUE CUSHU (1623) DI GIULIO ALENI S.I.
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a porre nella giusta luce la qualità della formazione scientifica
ricevuta da Giulio Aleni e che indubbiamente si riflette nei suoi
scritti cinesi.
È curioso che Zürcher abbia ritenuto che «no use was
made of his expert knowledge»23 e che il Jihe yaofa 幾何要法
(Metodo essenziale di geometria) sarebbe stato «his only scientific work»24, dal momento che la struttura e le tematiche del
Xingxue cushu riflettono in modo esemplare i contenuti del
corso di Filosofia naturale (Physica) di Coimbra. Come è noto,
i professori gesuiti del Collegio delle Arti di Coimbra avevano
prodotto i primi libri di testo che sistematicamente affrontassero
i problemi legati all’insegnamento di Aristotele, le cui opere,
secondo quanto prevedevano le Costituzioni della Compagnia
di Gesù, dovevano essere insegnate nei corsi di logica e filosofia
naturale, di morale e di metafisica (Const. [470], 3)25.
I Commentarii Collegii Conimbricensis Societatis Jesu, nati
per ovviare alla dispendiosa pratica della dettatura, offrivano per
la prima volta allo studente un insieme di testi che, in maniera
composita ma nel contempo relativamente semplice, guidavano gli scolastici attraverso una pratica argomentativa che,
pur non tralasciando questioni testuali e filologiche relative alla
tradizione del corpo aristotelico, prediligeva la comprensione
delle diverse questioni e la capacità di sostenerne, nelle dispute
pubbliche, la veridicità26. Il primo commentario a vedere la luce
fu proprio quello della Fisica, legato insieme ad altri connessi al
corso di Filosofia naturale (in octo libros Physicorum Aristotelis Stagyritae, 1592)27.
voll., Leiden, Brill, 2007.
23 Zürcher, Kouduo richao, cit., vol. I, p. 55.
24 Ivi, vol. I, p. 60.
25 Cfr. Constitutiones Societatis Iesu, Romae, in aedibus Societatis Iesu, 1558.
L’edizione consultata è Santiago Arzubialde et al. (eds.), Constituciones de la
Compañia de Jesús. Introducción y notas para su lectura, Bilbao-Santander, Ediciones Mensajero-Editorial Sal Terrae, s.a.
26 Cfr. Cristiano Casalini, Aristotele a Coimbra. Il Cursus Conimbricensis e
l’educazione nel Collegium Artium, Roma, Anicia, 2012, p. 125.
27 Commentarii Collegii Conimbricensis Societatis Jesu in octo libros Physicorum Aristotelis Stagyritae, Conimbricae, typis A. à Mariz, 1592.
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Se si esaminano le postille sulle pagine di guardia delle due
edizioni del Xingxue cushu, conservate presso l’archivio romano
della Compagnia di Gesù28, si nota che nel primo caso è scritto:
De Physica, mentre nel secondo: De natura et/distinctione
Animarum. Si tratta in sostanza di due diverse denotazioni di
uno stesso contenuto, quello relativo ad una parte del corso di
Physica (o Philosophia naturalis) che precisamente verteva sul
De Anima (l’edizione commentata apparve nel 1598)29, nonché
su quell’insieme di scritti minori noti come Parva naturalia. La
natura composita del Xingxue cushu, così come è il caso di molte
altre opere missionarie di filosofia naturale, riflette le modalità
di composizione del Cursus, dato che alcuni volumi raccoglievano i commentari a vari libri di Aristotele, piuttosto che incentrarsi su uno solo. Se da un lato la struttura dei commentari
del Cursus rifletteva la tipologia del commentario medievale,
che aveva le sue origini nella Philosophia pauperum di Alberto
di Orlamünde e nella Parvulus philosophiae naturalis figuralis
interpretatio di Pietro da Dresda30, dall’altro essa riproduceva
«la didattica viva della dimensione scolastica»31. Questo carattere didattico permane appunto nel Xingxue cushu e traspare
sia dall’articolazione dei paragrafi che dalla dimensione dialogica dei discorsi intorno alle diverse questioni trattate. Tuttavia,
se si esamina l’esposizione dei contenuti in modo accurato, si
nota che il Xingxue cushu si ispira anche ad un altro modello:
appunto quello rappresentato dalle agili sintesi in lingua volgare,
come quelle prodotte da Alessandro Piccolomini.
Nel descrivere il contenuto degli otto juan che compongono l’opera, Chan la definisce un testo di psicologia, basato
sul «Coimbra course on Aristotelian psychology, viz., the first
six chapters of De Anima (Coimbra, 1598) and the two last
chapters of Parva Naturalia (Lyon, 1594; Lisbon, 1598)»32. È
28 Archivum
Romanum Societatis Iesu, Jap. Sin., II, 16 e II, 21.
29 Commentarii Collegii Coninmbricensis Societatis Jesu in tres libros De Anima
Aristotelis Stagyritae, Conimbricae, typis A. à Mariz, 1598.
30 Cfr. Charles H. Lohr, Medieval Latin Aristotle Commentaries, New York,
Fordham University Press, 1974, vol. II, p. 231.
31 Casalini, Aristotele a Coimbra, cit., p. 124.
32 Albert Chan, Chinese Books and Documents in the Jesuit Archives in Rome.
A Descriptive Catalogue. Japonica-Sinica I-IV, Armonk-London, M.E. Sharpe,
PERCEZIONI SENSORIALI E CONOSCENZA SECONDO IL XINGXUE CUSHU (1623) DI GIULIO ALENI S.I.
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opportuno tuttavia richiamare l’attenzione sul fatto che l’uso
del termine «psychology», ancorché apparentemente coniato
da Johannes Thomas Freigius nel 1575 proprio in riferimento
alle questioni trattate nel De Anima e nei Parva Naturalia33,
appare improprio in questo contesto poiché la trattazione sulla
tripartizione dell’anima nel corso gesuitico era espurgata degli
elementi non conformi alla dottrina cristiana per essere ancorata al dettato della teologia dogmatica, soprattutto in relazione
all’immortalità dell’anima, ribadita dal Concilio Lateranense V
(1513)34.
Pare opportuno ricordare anche il fatto che, in Aristotele, la
concezione dell’anima come «sostanza in quanto forma o atto
primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza, ossia dotata
di organi» (De Anima, II, 1, 412 a 11-b 6), scaturisca non solo
dalla concezione metafisica ilomorfica della realtà fisica35, ma
anche – fatto ancor più importante in questo contesto – da una
concezione antropologica integrale e unitaria (anima et corpo),
alla quale si contrapporrà l’antropologia cristiana, erede della
dottrina dualistica di Platone (anima versus corpo). Questi
pochi cenni spero possano dare un’idea della complessità dei
processi epistemologici di appropriazione di dottrine inizialmente contrapposte, che sono alla base della “cultura aristotelica” del Rinascimento. Charles H. Lohr infatti ha affermato
che «à la Renaissance, l’aristotélisme n’a plus été qu’une philosophie parmi beaucoup d’autres»36. Proprio questo tessuto fatto
2002, p. 296.
33 Katharine Park, Eckhard Kessler, The Concept of Psychology, in Charles
Schmitt, Quentin Skinner (eds.), The Cambridge History of Renaissance Philosophy,
Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 455-463, p. 455.
34 Cfr. Isabelle Duseux, La introducción del aristotelismo en China a través
del De Anima. Siglos XVI-XVII, México, El Colegio de México, 2009; Elisabetta
Corsi, Our Little Daily Death. Francesco Sambiasi’s Treatise on Sleep and Images
in Chinese, in François Roudaut (éd.), Religion et littérature à la Renaissance, Paris,
Classiques Garnier, 2012, pp. 427-442, in part. pp. 433-334.
35 Sugli sviluppi successivi della dottrina dell’ilomorfismo universale, si veda
Juhana Toivanen, Perception and the Internal Senses. Peter of John Olivi on the
Cognitive Functions of the Sensitive Soul, Leiden-Boston, Brill, 2013, pp. 25-30.
36 Charles H. Lohr, Les jésuites et l’aristotélisme du XVIe siècle, in Luce Giard
(éd.), Les jésuites à la Renaissance. Système éducatif et production du savoir, Paris,
Presses Universitaires de France, 1995, pp. 79-91, p. 84. A questo proposito è
imprescindibile evocare gli studi di Charles B. Schmitt, Aristotle in the Renaissance,
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di trame di diversa provenienza sarà ciò che i missionari gesuiti
trasmetteranno ai loro interlocutori cinesi durante il XVII
secolo.
Il lettore vorrà perdonare il carattere sommario di questa
esposizione, imposto da limiti di spazio. È tempo ora di passare
alla discussione sulla fisiologia della visione contenuta nel capitolo sui cinque sensi esterni del Xingxue cushu.
Il primato della vista
In un suo recente libro Clunas afferma che la società Ming
era sostanzialmente una società visiva, ove cioè primeggiava il
culto degli oggetti, l’amore per le cose. Una società che attribuisce tanta importanza al collezionismo degli oggetti non può,
secondo la tesi di Clunas, non essere visiva, perché la cultura
materiale e quella visiva sono sostanzialmente inscindibili37.
Date queste premesse, sembra logico pensare che le élite
intellettuali cinesi abbiano mostrato interesse nei confronti dei
problemi legati alla natura e alla fisiologia della visione; al suo
rapporto con i processi cognitivi e l’apprensione della realtà
da parte dell’intelletto. Sovente nella trattatistica sull’estetica
o sul collezionismo degli oggetti, gli autori fanno riferimento
a 目力 muli, la «forza dell’occhio», della quale gli «intenditori» (好事者 haoshizhe) devono essere dotati in abbondanza.
I trattati tuttavia non si soffermano sulla definizione di cosa sia
questa “forza”, né sul suo funzionamento.
Il primato della vista è ribadito da Aristotele sulla base del
fatto che l’occhio può fornire il maggior numero di informazioni sul mondo esterno rispetto agli altri organi di senso. Tale
idea viene sviluppata nel Rinascimento, attribuendole, grazie
all’influsso del neo-platonismo, una connotazione morale oltre
che estetica. Per esempio Marsilio Ficino (1433-1499), nel De
Amore, afferma che la superiorità della vista risiede non solo
nelle ragioni enunciate da Aristotele, ma anche nel fatto che
Cambridge-London, Harvard University Press for Oberlin College, 1983.
37 Cfr. Craig Clunas, The Empire of Great Brightness. Visual and Material
Cultures of Ming China, 1368-1644, London, Reaktion Books, 2007.
PERCEZIONI SENSORIALI E CONOSCENZA SECONDO IL XINGXUE CUSHU (1623) DI GIULIO ALENI S.I.
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l’occhio è in grado di percepire la grazia e l’armonia, entità
immateriali, inaccessibili agli altri organi38.
Questa moralizzazione dello sguardo sembra riflettersi in un
testo del gesuita Francesco Sambiasi (1582-1649), il Shuihua
erda 睡畵二答 (Due risposte sul sonno e le immagini), ove essa
assume anche una funzione normativa.
Gli occhi sono le finestre dell’anima e le ciglia porte che proteggono
queste finestre. Esse non dovrebbero stare costantemente aperte, altrimenti luce, fumo, pioggia, vento e polvere potrebbero penetrare. Gli occhi
dovrebbero osservare solo ciò che è bello e desiderabile […]. Gli esseri
umani non dovrebbero essere soddisfatti delle buone opere che hanno già
compiuto ma dovrebbero sempre guardare avanti. Quando la loro vista è
difettosa, gli esseri umani non sono in grado di compiere nulla di buono e
ciò vuol dire che sono inutili39.
La ricettività dell’ambiente intellettuale Ming sembrerebbe
giustificare il successo del Xingxue cushu, opera composta da
Giulio Aleni nel 1623 e stampata nel 1646 a Fuzhou. Il testimone del 1646 conservato presso l’ARSI vanta ad esempio
ben quattro prefazioni (xu 序), tre delle quali scritte da illustri
intellettuali del tempo, Chen Yi 陳儀40, Qu Shisi 瞿式耜 (15901650)41 e Zhu Shiheng 朱時亨 mentre l’ultima, datata 1623, è
di pugno dello stesso Aleni42.
Il fatto che le prefazioni, eccetto quella di Aleni, fossero state
calcografate ricorrendo all’intaglio della matrice lignea nello stile
calligrafico corsivo degli autori, conferiva al testo un particolare
carattere, poiché gli stampati con queste caratteristiche appartenevano al livello elevato della gerarchia editoriale, essendo
destinati alla circolazione presso l’élite intellettuale cinese43. La
38 Cfr. François Quiviger, The Sensory World of Italian Renaissance Art,
London, Reaktion Books, 2010, p. 100.
39 In Corsi, Our Little Daily Death, cit., p. 441.
40 中國人民大辭典 Zhongguo renmin da cidian, Shanghai, The Commercial
Press, 1980, p. 1099.
41 Ivi, pp. 1719-1720.
42 Per ulteriori elementi descrittivi interni ed esterni al testo si rimanda alla scheda catalografica in Chan, Chinese Books, cit., pp. 295-297.
43 Sulla persistenza della tradizione del manoscritto in epoca Ming, si veda
Joseph McDermott, The Ascendance on the Imprint in China, in Cynthia J. Brokaw,
Kai-Wing Chow (eds.), Printing and Book Culture in Late Imperial China, Berke-
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qualità dell’opera non è pero dettata dai soli elementi meta-testuali.
Secondo Shen il Xingxue cushu è infatti «one of the most
argumentative and philosophical works by early Jesuits in
China. Even today, it is still worthy of more detailed and closer
study»44. Sebbene si possano riscontrare talune affinità tra il
Xingxue cushu e il Lingyan lishao 靈言蠡勺 (Umile discussione
sull’anima) di Francesco Sambiasi e Xu Guangqi (徐光啟 16521633), Xingxue cushu mostra un grado più elevato di adattamento al pensiero cinese. Ciò deriva precisamente dallo spostamento di interesse dall’anima, intesa in senso teologico-dommatico, alla natura umana che, più dell’anima, era stata da sempre
oggetto, soprattutto nel confucianesimo, di profonda riflessione
a livello epistemologico, etico e morale. Si noti ad esempio che
un’intera sezione è dedicata alla trattazione di xin 心(mente), in
tal modo rispondendo ad una specifica esigenza di adattamento
del discorso ad una tematica in voga tra i filosofi della fine dei
Ming.
Nel De Anima Aristotele (384-322 a.C.) discute il senso della
vista nel secondo libro, quello dedicato alla definizione della
facoltà sensitiva dell’ anima (B-7, 418 a 26 – b 19/B-7, 419 a
14- b 3). In ciò Xingxue cushu si conforma al modello dello
Stagirita.
Come è noto, nella teoria fisiologica aristotelica, l’occhio
umano è in grado di percepire solo il colore; infatti è il senso
comune (discusso nel quarto libro del De Anima) che ha il
compito di elaborare le sensazioni cromatiche in percezioni
formali spaziali o di altra natura sensoriale. La vista trasforma
dunque le sensazioni cromatiche in immagini.
Si osservi ora come nel Singxue cushu gli elementi essenziali del discorso aristotelico si trovino amalgamati a nozioni
ley-Los Angeles-London, University of California Press, 2005, pp. 55-104, in part.
pp. 90-93.
44 Vincent Shen, From Aristotle’s De Anima to Xia Dachang’ Xingshuo, «Journal of Chinese Philosophy», 32, 4, 2005, pp. 575-596, p. 580. Per un’analisi dei
contenuti del Xingxue cushu si rimanda a William J. Peterson, Western Natural
Philosophy Published in Late Ming China, «Proceedings of the American Philosophical Society», 117, 4, 1973, pp. 295-322, in part. pp. 307-311.
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più complesse, che riflettono il lungo cammino intrapreso dalla
scienza ottica nell’arco dei secoli che distanziano la prima redazione del De Anima dal commentario di Coimbra del 1598.
L’occhio è il più nobile dei cinque sensi; la sua funzione consiste nel
vedere; la sua virtù sta nell’illuminare (ming 明). Domini (jie 界) del vedere sono il colore e i raggi luminosi [visivi] (guang 光). I raggi luminosi
sono di due tipi: vi sono i raggi che illuminano all’esterno e quelli che sono
emessi dall’interno. Se non vi fossero i raggi interni, l’occhio non potrebbe
percepire le immagini esterne che si rifrangono. Se non vi fossero i raggi
esterni, quelli interni, ancorché completi, non potrebbero rispondere [alle
sollecitazioni esterne]. Ecco perché i raggi interni e quelli esterni devono
necessariamente armonizzare reciprocamente affinché si abbia la sensazione del colore.
È chiaro qui il riferimento alle principali teorie ottiche
dell’intromissione e dell’estromissione dei raggi visivi45 che, con
intento conciliatorio, nel Xingxue cushu sono poste alla base
dell’atto della visione. Sembrerebbe qui di rinvenire traccia delle
considerazioni espresse da Egnazio Danti nel Proemio delle Lodi
della Prospettiva, un commento al De usu optices di Johannes
Pena, autore della versione latina dell’Ottica di Euclide, che
Danti antepone all’edizione da lui curata nel 1583 delle Due
Regole della Prospettiva Pratica di Giacomo Vignola. Nel breve
trattato Danti confuta le principali tesi dell’ottica medievale,
integrando le opinioni, effettivamente discordanti, espresse da
Aristotele nella Meteorologica (i raggi visivi sono emessi dall’occhio ed il loro riflesso dà luogo alla visione: “estromissione”) e
nel De Anima e De Sensu (l’occhio vede perché riceve i raggi
visivi emessi dalle cose vedute: “intromissione”), con la teoria
della visione di Platone: l’occhio emette i raggi visivi ma senza
la luce esterna la visione non può avere luogo, e di Galeno: il
mutuo concorso della facoltà percettiva e dei raggi visivi emessi
dall’occhio nel mezzo luminoso (il “trasparente” di Aristotele)
consentono la visione46.
45 Cfr. David C. Lindberg, Theories of Vision from Al-Kindi to Kepler, Chicago-London, The University of Chicago Press, 1976, pp. 61-67 e passim.
46 Il principale esponente dell’ottica medievale, Witelo (1230 c. - ante 1314),
sosteneva la teoria dell’intromissione. Sulle teorie ottiche di Egnatio Danti in quanto
sintesi delle concezioni ottiche rinascimentali e distanziamento dall’ottica medievale,
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Aleni non manca neppure di illustrare la teoria baconiana
delle species:
Le cose hanno una forma e tutte emettono un’immagine (simulacro,
specie, xiang 象, a volte 像) che può essere retta o curva [attraversando]
l’acqua o l’aria e come tale è percepita dall’occhio. Il fatto che questa specie
raggiunga l’occhio e ne sia da questo percepita, non vuol dire che la cosa in
sé sia entrata in me, né vuol dire che i raggi visivi emessi dall’occhio arrivino
alla cosa e la vedano. Per chiarire questo punto si provi a guardare, in uno
specchio, la propria immagine riflessa [lett.: emessa, fa 發] sulla superficie
dello specchio. Lo specchio è un corpo traslucido e quindi ricevendo l’immagine, di rimando, la riflette all’occhio. L’occhio in tal modo la vede47.
Quando passa a descrivere la conformazione dell’occhio
umano, Aleni non esita a fare ricorso ad una terminologia che
per i lettori cinesi doveva risultare carica di senso:
La vista è dotata di tre strumenti. Tutt’intorno all’occhio [lett.: davanti,
dietro, sotto e sopra], vi sono parecchi strati di tessuto corneo che servono
a proteggere la pupilla48 come le mura di una città. All’interno del cervello
vi sono due nervi collegati all’occhio che consentono la consapevolezza
della percezione [lett.: “il qi 氣 della percezione”], così come la capacità
visiva [lett.: “il li 力della capacità visiva”] […] ed infine l’umore cristallino
[tongzi 瞳子], come corpo diafano, riflette la miriade di colori.
La trattazione prosegue poi incentrandosi su una serie di
temi affrontati negli scritti minori di Aristotele e cari ad un
ambiente culturale, come quello tardo-rinascimentale, ancora
permeato di suggestioni fisiognomiche e metoposcopiche. Alla
fine dei Ming, attraverso un testo come il Xingxue cushu, temi
quali: la visione durante il sonno, la percezione dei colori negli
animali, il rapporto tra la manifestazione dei sentimenti umani
si rimanda a Thomas Frangenberg, Egnatio Danti’s Optics. Cinquecento Aristotelianism and the Medieval Tradition, «Nuncius», 3, 1, 1988, pp. 3-38, che ha studiato
in dettaglio il Proemio. Sull’edizione di Danti del trattato di Vignola si rimanda alla
pregevole edizione critica di Pascal Duborg Glatigny, Les deux règles de la perspective pratique de Vignole 1583, Paris, Cnrs, 2003.
47 Sul De multiplicatione specierum di Roger Bacon (1214 c.-1294) vedi Lindberg, Theories, cit., pp. 107-116, e Katherine Tachau, Vision and Certitude in the
Age of Ockham, Leiden-New York-København-Köln, Brill, 1988, pp. 8-11.
48 Usa il termine mouzi 眸子per il quale si veda Ruan Yuan 阮元, Jingji zuangu
經籍纂詁(Esegesi delle occorrenze nei testi classici, 1798), 2 voll., Beijing, Xinhua
shudian, 1982, pp. 815, 823.
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e i cambiamenti che essi producono nello sguardo, la possibilità
di leggere, nella motilità degli occhi, le intenzioni e i sentimenti
umani, potevano innestarsi in un contesto intellettuale estremamente ricettivo nei confronti di queste tematiche.
Sebbene nel Xingxue cushu non siano presenti riferimenti
alla teoria dell’immagine retinica che costituirà la base della
moderna scienza ottica, la trattazione dei fondamenti dell’ottica medievale risulta estremamente chiara e sistematica, anche
grazie allo sforzo di realizzare una vera e propria operazione
di traduzione culturale mediante l’inclusione di quelle suggestive tematiche ed un uso ragionato di termini mutuati dall’antica tradizione cinese. Dopo tutto non si può dimenticare che
lo stesso Keplero, nel formulare la sua rivoluzionaria tesi negli
Ad Vitellionem paralipomena (Frankfurt, 1604), aveva voluto
anzitutto manifestare il suo debito nei confronti della grande
tradizione dell’ottica medievale, che aveva appunto in Witelo il
suo più grande maestro.