Il Mezzogiorno d`Italia dalla Monarchia spagnola all`Impero
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Il Mezzogiorno d`Italia dalla Monarchia spagnola all`Impero
Il Mezzogiorno d’Italia dalla Monarchia spagnola all’Impero asburgico. Economia e finanza pubblica (1707-1734) Il tema proposto, nell’accogliere il cortese invito del caro amico professor Juan Hernandez a partecipare a questo incontro, è l’economia e la finanza pubblica del Regno di Napoli nel passaggio dalla Monarchia ispanica a quella asburgica, preludio della indipendenza del Regno, conseguita nel 1734, auspice la Spagna borbonica di Filippo V ed Elisabetta Farnese. Di tale tema mi sono occupato anni addietro, dedicandovi complessivamente oltre due lustri di continua attenzione, concretatasi in due volumi 1 e in una serie di saggi 2 , la maggior parte di questi ultimi raccolti recentemente in un volume 3 . Sul tema del Mezzogiorno d’Italia austriaco non sono mancate nel frattempo pubblicazioni di autorevoli colleghi (vorrei ricordare R. Aiello, G. Ricuperati, G. Galasso, P. Villani, per citare alcuni). Esse hanno molto dilatato il quadro delle conoscenze della vita politica e culturale in senso lato del Regno napoletano in questo periodo. Di alcuni vicerè è stato messo a fuoco la intima personalità, oltre che lo specifico ruolo svolto nell’espletamento della funzione viceregnale nel Mezzogiorno. Tutto ciò ha enormemente arricchito un trentennio circa di storia meridionale ancora pressoché ignorato sino a qualche decennio addietro. Ciò che non appare sostanzialmente modificato è la ricostruzione della vita economica e finanziaria del Regno napoletano nel periodo austriaco effettuata a suo tempo dal sottoscritto e ripresa in varie occasioni. È su questo aspetto di conseguenza che mi tratterrò esponendo la linea di fondo da me seguita negli studi ai quali ho accennato. Allorché nel 1707 le truppe imperiali conquistarono il Regno di Napoli si trovarono di fronte ad un Paese finanziariamente ed economicamente stremato da anni 1 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci e il Regno di Napoli. I. Le finanze pubbliche, Napoli, Giannini, 1969, e IDEM, Gli Austriaci e il Regno di Napoli. II. Ideologia e politica di sviluppo, Napoli, Giannini, 1973, d’ora in poi citati come vol. I e vol. II. 2 Cfr. A. DI VITTORIO, Il Banco di S. Carlo e il riformismo asburgico, in “Rassegna Economica”, 1969, n. 2, pp. 235-263; L’Austria e il problema monetario e bancario del Viceregno di Napoli (17071734), in “Rivista Storica Italiana”, 1969, IV,pp. 778-811; La mancata numerazione dei fuochi del 1732 nel Viceregno austriaco di Napoli, in “Ricerche Storiche ed Economiche in memoria di Corrado Barbagallo”, Napoli, E.S.I., 1969, vol. II, pp. 465-491, Porti e porto “franco”. Un aspetto della politica commerciale austriaca nel Mezzogiorno continentale d’Italia 1707-1734, in “Mitteilungen des Österreichishischen Statsarchivs”, 1972, n. 25, pp. 257-269, Un capitolo di storia bancaria europea: i banchi pubblici e il finanziamento dello Stato asburgico agli inizi del ‘700, in “Rassegna Economica”, 1974, n. 4, pp. 903-936; Un caso di correlazione tra guerre, spese militari e cambiamenti economici: le guerre asburgiche della prima metà del XVIII secolo e le loro ripercussioni sulla finanza e l’economia dell’Impero, in “Nuova Rivista Storica”, 1982, I-II, pp. 59-81. 3 A. DI VITTORIO, Wirtshaftliche habsburgische themen und probleme zwischen Wien und Neapel 18. Jahrhundert, Innsbruck, Athesia, 2009, pp. 286. 1 di guerra, di una guerra che, anche se non “guerreggiata”, era stata pur sempre costosa. Le entrate statali nel 1707-8 si aggiravano sul milione e mezzo di ducati 4 , cifra ad un livello così basso quale non sarà mai più toccato nell’intero arco del periodo di dominazione austriaca e, ad ogni modo, del tutto insufficiente a coprire le stesse spese di carattere più urgente. La principale attività economica della popolazione del Regno, l’agricoltura, pur rappresentando sempre il cardine dell’intero sistema economico meridionale, non giocava più il ruolo che essa aveva svolto nel passato. La produzione agricola, granaria in specie, già dalla fine del ‘600 5 serviva, infatti, in misura crescente a sfamare una, popolazione in aumento, contribuendo in tal modo non poco ad una riduzione delle esportazioni del Regno e in sostanza ad un ulteriore appesantimento della sua bilancia dei pagamenti. Il contributo degli altri settori alla formazione del prodotto nazionale era quanto mai modesto. La produzione mineraria era quasi del tutto assente ed in ogni caso limitata a minerali di scarsa o di secondaria importanza. Il minerale ferroso tuttavia aveva un centro di estrazione di una certa rilevanza in Stilo, in Calabria. Le manifatture, alcune delle quali avevano goduto in passato di una certa rinomanza, quali quelle seriche, si limitavano ad una produzione di qualità nel complesso mediocre, non in grado di competere sui mercati internazionali con i prodotti non solo stranieri, ma neppure con quelli di altri Stati d’Italia. La produzione – si trattasse di manifatture tessili, o della concia, o della ceramica, o di altre – era di conseguenza diretta a soddisfare la domanda interna, soprattutto, è da aggiungere, quella domanda meno esigente, che rappresentava tuttavia la maggior parte della domanda totale. La stessa industria del ferro, che aveva ancora una volta in Stilo un cospicuo centro produttore, non riusciva a soddisfare che in parte le necessità del Regno. La marineria del Paese si dedicava essenzialmente al piccolo cabotaggio ed ai trasporti dall’uno all’altro versante del Regno, non riuscendo neppure a coprire da solo, negli anni iniziali della dominazione austriaca, tale limitata rete di traffici. Il commercio estero era di conseguenza affidato alla bandiera straniera, che provvedeva allo scambio dei prodotti agricoli del Regno contro materie prime – ferro in primo luogo e prodotti manufatti –, tessili in specie. 4 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., pp. 104-105. Cfr. L. DE ROSA, Introduzione a C.CELANO, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della Città di Napoli divisa dall’autore in dieci giornate per guida e comodo dei viaggiatori, Napoli, E.S.I., 1970 (I ed. 1962), pp. XXIX-XXX. 5 2 E tuttavia gli Austriaci avevano, nel 1707-8, una guerra in corso, per la quale abbisognavano di notevoli mezzi, finanziari e di altro genere. Era inevitabile che il Regno venisse chiamato a dare il contributo per combattere quelle stesse forze, vale a dire quelle ispaniche, dalle quali sino a qualche tempo prima esso era dipeso. Gli anni successivi al 1707-8 sono di conseguenza anni di accentuata pressione fiscale ma anche, a causa delle esigenze della guerra di Successione in corso, di stimolo della produzione, di aumentate esportazioni e in definitiva di eccitazione economica, come il periodo ciclico di rialzo, desunto dall’andamento dei cambi esteri, sta a testimoniare 6 . Le entrate statali raggiungono nel 1711 – punto di massimo di un ciclo iniziato nel 1708-10 – i 2.500.000 ducati, eguagliando in tal modo le uscite 7 . I buoni raccolti del 1710-12 8 permettono all’agricoltura di riprendersi, dopo il pessimo raccolto del 1709, e di convogliare cospicue esportazioni di grano e di altre derrate verso il fronte della Catalogna, oltre che di fronteggiare i complessi problemi annonari della capitale, accentuati in questi anni da una micidiale epidemia di peste bovina (1711-12), che falcidia in misura rilevante il patrimonio zootecnico del Regno. Questo è chiamato nel giro di meno di 5 anni – tra il 1707 ed il 1711 – a offrire tre donativi e quattro valimenti 9 , né lo sforzo finanziario al quale era stato sottoposto si esaurisce a tale data, anno della chiamata al soglio imperiale di Carlo d’Asburgo come Carlo VI, in quanto la guerra continua, anzi viene intensificata, dal momento che Carlo d’Asburgo, che sino ad allora aveva seguito le operazioni militari in Catalogna, ora, lontano dal fronte, ha fretta di portare a termine vittoriosamente il conflitto per la successione al trono di Spagna. Il Regno di Napoli viene a trovarsi così ancora una volta in prima linea per quanto riguarda gli sforzi – finanziari e di altro genere – volti ad accelerare il ritmo delle operazioni belliche in Catalogna. L’eccezionale pressione fiscale del 1713 permise alle entrate statali di raggiungere quasi 3.000.000 di ducati 10 , cifra che sarà superata solo agli inizi degli anni trenta del secolo. Tale maggiore capacità contributiva è da mettere in relazione da un lato con l’aumento di popolazione – cha da più fonti e indizi risulta essere in atto nel Regno già dalla fine del ‘600 – dall’altro con la stessa guerra, la quale, pur sottraendo capitali al meccanismo di accumulazione e alterando la struttura della 6 Il Doria (cfr. M. SCHIPA, Il Regno di Napoli descritto nel 1713 da P. M. Doria, in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, 1899, XXIV, p. 342) osserva che in tali anni “gli Anglo-olandesi portavan nel Regno gran quantità d’oro, per comprare le merci necessarie a quella città di Barcellona”. In anni a noi più vicini il testo di P. M. DORIA, Massime generali e particolari…, è stato pubblicato a cura di V. Conti, con una introduzione di G. Galasso (Napoli, Guida, 1973). 7 Cfr. A .DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., pp. 104-105. 8 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, cit., tabella n. 19. 9 Cfr. A DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., pp. 125-129. 10 Ibidem, pp. 104-105. 3 spesa pubblica, con la preferenza data alle spese militari, stimolò in pari tempo l’economia del Paese, agendo da acceleratore sull’intero sistema economico. È solo verso la fine della guerra di successione spagnola (1714) però che gli Austriaci cercheranno più concretamente di intervenire nella vita economica del Regno, facendo subentrare agli espedienti ideati e formulati i più duraturi indirizzi di ripresa economica, sfruttando in parte l’onda ascendente del nuovo ciclo, che culminerà nella fase espansiva del 1718, anno di guerra anche questo. La produzione agricola degli anni immediatamente seguenti alla fine della guerra di successione di Spagna aumenta – non aumenta tuttavia la produttività, a causa del persistere di tecniche agricole quanto mai arretrate –, sia perché il Regno fruisce di due annate eccezionalmente buone nel 1713 11 e nel 1715 12 e di buone annate ininterrottamente dal 1716 sino a tutto il 1721 13 , sia perché si assiste, sotto la spinta demografica, ad un’espansione della terra messa a coltura 14 . Sono questi inoltre gli anni in cui la Giunta di Commercio, sorta nel 1710, e la Giunta delle Arti, creata nel 1711, tipici strumenti di politica mercantilistica, avviano la loro attività, contribuendo con la loro analisi della realtà economica del Regno ad una migliore conoscenza dei suoi problemi e delle sue esigenze economiche. Sono questi anche gli anni (1710-14) in cui più si discute sulla linea di politica portuale da seguire, se valorizzare, cioè il porto flegreo di Pozzuoli o volgersi invece al litorale adriatico. Le entrate derivanti da tratte di grani e orzi raggiungono nel 1713 e nel 1715 cifre vicino ai 100.000 ducati 15 , mai più raggiunte nell’intero periodo austriaco, mentre si assiste, tra il 1713 ed il 1715, ad una ripresa delle esportazioni di vino 16 , delle saccarie (le entrate dalle relative tratte raggiungono nel 1713 la cifra record dell’intero periodo austriaco) 17 e dei seccamenti e salumi (le entrate derivanti dalle relative tratte nel 1715 rappresentano uno dei gettiti provenienti da tali generi più cospicui di tutto il periodo austriaco) 18 . Anche il settore tessile mostra una certa ripresa in questo periodo. Nel 1717, ad esempio, si ha la cifra più alta di immatricolati all’Arte della seta di tutti i primi 34 anni del ‘700 per quanto riguarda i mercanti, mentre per quanto concerne i maestri la quota 11 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, cit., tabella n. 19. Ibidem. 13 Ibidem. 14 Ibidem, pp. 119-124. 15 Ibidem, tabella n. 25. 16 Ibidem, tabella n. 26. 17 Ibidem, tabella n. 27. 18 Ibidem, tabella n. 28. 12 4 del 1717 sarà superata solo da quella del 1722 19 . Il gettito derivante alla R. Corte nel 1713 dalle Grana due a libbra di seta che si tinge di nero rappresenta il più alto del periodo 1713-34 20 . A riprova di questa fase di espansione economica è lo stesso espandersi della circolazione bancaria, che tocca dei vertici negli anni 1716-17 21 . Gli anni della guerra di Sicilia (1718-20), se da un lato rappresentano una stasi per quanto riguarda lo stimolo a riforme economiche e finanziarie, dall’altro segnano un nuovo sforzo dell’apparato produttivo regnicolo, stimolato dalla spesa bellica, che culminerà nella fase espansiva post-bellica degli anni 1722-23. Si tratta di anni (1718, 1720, 1721) ancora una volta di forte pressione fiscale 22 , di notevole livello delle entrate statali – attorno ai 2.500.000 ducati 23 –, ma anche di anni di continui disavanzi del bilancio statale. L’agricoltura, nonostante le scarse considerazioni in cui fu tenuta da Vienna a causa delle teorie dello sviluppo alle quali ispirava la propria politica economica, funge da valido cardine dell’apparato produttivo del Regno grazie anche alla lunga serie di buoni raccolti di cui viene a godere in questi anni (fino a tutto il 1721), appena interrotta, ma già ripresa nel 1723 24 . La produzione manifatturiera, tessile in specie, mantiene in questi anni un ritmo sostenuto, come fanno fede le matricole dell’Arte della seta, che nel 1722 raggiungono un nuovo vertice per quanto riguarda i maestri ed una cifra assai notevole per quanto riguarda i mercanti25 , mentre gli introiti derivanti dalle Grana due a libbra di seta che si tinge di nero si mantengono ad un livello eccezionalmente alto tra il 1721 e il 1723 26 . Le aumentate entrate di questi anni provenienti dalle Ferriere di Stilo testimoniano del notevole sforzo produttivo sostenuto anche dall’industria del ferro regnicola27 . È da notare in questo periodo la forte contrazione delle esportazioni di grano, vino e di altre derrate agricole 28 , ma essa va addebitata alla necessità di rifornire l’esercito imperiale in Sicilia, oltre che di provvedere alle crescenti esigenze del Regno, con una popolazione in aumento, ed in particolare della capitale, che proprio in questi anni, per l’aumento dell’uscita di grani dal Regno, conosce l’aggravarsi del problema 19 Ibidem, tabella n. 21. Ibidem, tabella n. 22. 21 Ibidem, tabella n. 42. 22 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., pp. 125-129. 23 Ibidem, pp. 104-105. 24 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II,cit., tabella n. 19. 25 Ibidem, tabella n. 21. 26 Ibidem, tabella n. 22. 27 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., p. 222. 28 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, cit., tabelle nn. 25, 26, 27. 20 5 annonario, al quale un certo rimedio intende portare l’appalto generale della panificazione del 1722 29 . La circolazione bancaria registra un aumento assai notevole nel 1719 (rispetto al 1718) ed un nuovo balzo in avanti nel 1722 (rispetto al 1721) 30 , chiaro indice di una fase inflazionistica. Si tratta infatti ancora una volta di anni di eccitazione e, in definitiva, di allargamento della massa monetaria cartacea del Napoletano. All’inizio degli anni ’20 del XVIII secolo gli Austriaci erano ormai nel Regno da tre lustri, e, a parte una vigorosa politica fiscale determinata da esigenze – direttamente o indirettamente – belliche , avevano anche impostato una politica economica e finanziaria che permettesse al Regno una ripresa meno contingente e più duratura. Il principale settore economico del Paese, l’agricoltura, era stato però da essi completamente trascurato, essenzialmente a causa della filosofia dello sviluppo – rappresentata dal mercantilismo, in specie nella versione “cameralista” di area germanica –, alla quale Vienna si richiamava nella sua politica economica. Ma forse anche per la sensazione, attestata dalle frequenti buone annate degli anni 1707-23 (su 17 anni solo 3 fecero registrare cattivi o pessimi raccolti agricoli) 31 , che l’agricoltura potesse svolgere il suo ruolo per forza naturale, indipendentemente da qualsiasi intervento in materia. Gli altri settori, ai quali la concezione mercantilistica ispiratrice degli ambienti cesarei viennesi attribuiva un ben diverso ruolo nell’ambito dell’economia di un Paese, come il settore manifatturiero e commerciale, non erano stati certo appena lambiti dall’interesse delle autorità austriache, nonostante il protrarsi della guerra di successione spagnola prima e della guerra di Sicilia dopo. All’inizio degli anni ’20 del XVIII secolo, infatti, la politica viennese diviene più decisa nei suoi programmi e più articolata nei suoi obiettivi, permettendo al meccanismo economico regnicolo di aumentare il ritmo dei suoi giri. A partire da quest’epoca, inoltre, un periodo di tranquillità politica permette di impostare programmi di sviluppo economico a più lunga scadenza i quali si sostituiranno, per lo stimolo che riusciranno a imprimere all’economia del Regno, alla funzione di acceleratore che sino ad allora era stata rappresentata dalle necessità belliche. A cominciare dal 1723 si assiste a una fase di risveglio dell’economia regnicola che culminerà negli anni 1727- 29 Ibidem, p. 452. Ibidem, tabella n. 42. 31 Ibidem, tabella n. 19. 30 6 29. Le entrate statali rimarranno attestate in tale periodo attorno ai 2.500.000 ducati 32 , ma non per effetto di una accentuata pressione fiscale, bensì per un aumentato gettito delle entrate indirette, indice della fase espansiva conosciuta dall’economia meridionale in tali anni. Il venir meno delle forti spese militari di qualche tempo addietro permette al bilancio statale di chiudersi con più frequenza in pareggio. Il settore agricolo conosce, con le carestie del 1724, 1728, 1729 33 , gravi crisi in questo periodo, ma il minor apporto alla formazione del prodotto nazionale proveniente da tale settore viene bilanciato dagli altri, che beneficiano di cure e stimoli di sviluppo mai goduti in precedenza al fine di permettere all’economia regnicola di inserirsi nel più vasto tessuto economico imperiale. Sono questi gli anni del “boom” minerario in Calabria 34 , del piano Sinzendorff per lo sviluppo delle manifatture del Regno 35 , dello spiccato interesse per le esigenze portuali del Mezzogiorno 36 , dell’ampliamento – con progetti e trattati di commercio – dell’area commerciale del Paese 37 , dello sviluppo della marineria, militare e mercantile 38 , di cure prestate al servizio postale 39 ed infine di riforme finanziarie, quali l’avviata ricompra, attraverso il Banco di S. Carlo, dei fiscali 40 . La circolazione bancaria registra livelli che non saranno mai più raggiunti sino alla fine del periodo austriaco 41 , mentre il gettito proveniente dagli arrendamenti appare in continuo rialzo 42 . Il risveglio di attività commerciale degli anni 1725-29, pur contribuendo a una ripresa della bilancia commerciale del Regno, non evitò che la bilancia dei pagamenti del Paese, deficitaria all’entrata degli Austriaci nel Regno, rimanesse, come attesta il movimento dei cambi esteri, nel complesso impacciata e contenuta nei suoi movimenti, risentendo, senza dubbio, della non eccellente situazione agricola di alcuni di questi anni. Il cambiamento della situazione politica in Europa nel 1729, determinato dal trattato di Siviglia, che univa Spagna, Francia, Inghilterra e Olanda con esclusione dell’Impero e che prevedeva per la Spagna la possibilità di ritornare in Italia con la 32 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., pp. 104-105. Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, cit., tabella n. 19. 34 Ibidem, p. 176 e segg. 35 Ibidem, p. 29 e segg. 36 Ibidem, p. 33 e segg. 37 Ibidem, p. 35 e segg. 38 Ibidem, le pp. 34-35, per la marina mercantile, e A. Di Vittorio, Gli Austriaci etc., I, cit., p. 282 e segg., per la marina militare. 39 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, p. 381 e segg. 40 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., pp. 76-79. 41 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, cit., tabella n. 42. 42 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc, I, cit., pp. 136-137. 33 7 successione dell’infante don Carlos negli Stati di Toscana e di Parma e Piacenza, inizia un nuovo periodo nella vita economica del Mezzogiorno. Gli anni successivi al 1729 – e sino alla fine della dominazione austriaca nel Regno (1734) – sono caratterizzati infatti da un lato dai preparativi bellici, dall’altro dall’interruzione dei programmi avviati nel periodo precedente oltre che di quei pochissimi – la numerazione dei fuochi in principal luogo 43 – messi in cantiere all’inizio proprio di quest’ultima fase della dominazione asburgica nel Mezzogiorno. Preparativi bellici da un lato, interruzione dei programmi economici e finanziari dall’altro, vengono a por fine a quel moderato risveglio economico degli anni ’20 del secolo, promosso da Vienna secondo i canoni della dominante concezione mercantilistica. La ripresa della pressione fiscale permetterà alle entrate statali di raggiungere e oltrepassare nel 1731 i 3.000.000 di ducati 44 , ma il deficit del bilancio dello Stato non scomparirà sino alla fine della dominazione austriaca 45 . L’attenzione è concentrata, infatti, sui preparativi bellici, ma un duro colpo è portato a tale attività dal crollo delle ambizioni di fare della Calabria una provincia mineraria (1731)46 , anche se le miniere e annesse ferriere di Stilo proprio in tali anni conoscono nuovi traguardi produttivi 47 . Nel settore manifatturiero se è da registrare una certa effervescenza nelle manifatture laniere nel Salernitano, non si può dire altrettanto dell’altro importante distretto tessile laniero situato a nord-est di Napoli 48 . Le manifatture seriche sono in crisi agli inizi degli anni trenta, come appare evidente dal crollo delle iscrizioni all’Arte relativa – sia dei mercanti che dei maestri – tra il 1729 ed il 1732 49 , e dalla contrazione delle entrate derivanti dalle Grana due a libbra di seta che si tinge di nero tra il 1731 ed il 1734 50 . La prostrazione economica si avverte anche nel settore commerciale. Il gettito derivante alla R. Corte da diritti di tratte di Saccarie, Seccamenti e salumi, Tavole e legnami, oltre che dai portolani del Regno, si presenta chiaramente decrescente tra il 1729 ed il 1734 51 . La stessa produzione agricola proprio alla fine del periodo di dominazione austriaca registra delle notevoli contrazioni in quanto su cinque 43 Ibidem, pp. 93-94. Ibidem, pp. 104-105. 45 Ibidem. 46 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, cit., p. 184. 47 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., p. 222. 48 Cfr. A. Di Vitttorio, Gli Austriaci etc., II, cit., pp. 60-61. 49 Ibidem, tabella n. 21. 50 Ibidem, tabella n. 22. 51 Ibidem, tabelle nn. 27, 28, 36, 29-34. 44 8 anni (1730-34) ben tre sono costituiti da annate agricole cattive o pessime 52 e tutto ciò non può non riflettersi, oltre che sulle relative esportazioni, anche sui sempre presenti e complessi problemi annonari della capitale e del Regno. La circolazione bancaria subisce dei rallentamenti significativi, ed in definitiva dei cali, dopo il 1729 53 , mentre il corso dei cambi esteri, in complesso in regresso o stazionarietà, contrassegna ulteriormente questo periodo di stasi economica, che si conclude con la guerra del 1733-34 e la fine della dominazione austriaca nel Mezzogiorno. Gli sforzi di Vienna, quindi, per stimolare un certo sviluppo economico del Regno, pur facendo parte di un unico disegno ispirato a criteri mercantilistici, non furono egualmente distribuiti nell’intero arco di tempo in cui essa fu presente nel Mezzogiorno ma, alle prese pressoché ininterrottamente con guerre o con i grossi problemi di politica estera o interna, essa li concentrò prevalentemente nel periodo 1718-28. Se in campo economico è più difficile parlare di riforme vere e proprie – menzionerei come tale solo la proposta, rimasta tale, del Radente-Fleishmann del 1722 sulla unicità della tariffa doganale del Regno 54 , avanzata sulla scia della tariffa unica del dazio del 3% “ad valorem” del 1718 su tutti i generi commerciati con la Porta Ottomana 55 –, in campo finanziario si può dire di essere di fronte ad alcuni provvedimenti che, per la loro organicità e finalità, possono essere considerati di stampo riformistico. Essi sono: 1) l’istituzione della Giunta delle Università, per il miglioramento della finanza locale, del marzo 1729; 2) la ricompra dei fiscali, attraverso il Banco di S. Carlo, istituito nel 1728; 3) la numerazione dei fuochi del 1732, non completata, o per lo meno non utilizzata a fini tributari. Il primo provvedimento riguardava il tentativo di aumentare le entrate statali mediante il riordinamento della finanza locale, vale a dire delle “università”, molto spesso oberate da debiti e in arretrato con le imposte dovute alla R. Corte. Queste, con provvedimento del 31 gennaio 1729, si vedevano ridotte i propri debiti mediante una vera e propria conversione della rendita (al 5%) dei loro creditori. Ciò allo scopo di 52 Ibidem, tabella n. 19. Ibidem, tabella n. 42. 54 Ibidem, pp. 47-57. 55 Ibidem, pp. 36-42. 53 9 salvaguardare i pagamenti fiscali che esse erano tenute a fare alla R. Corte. Era inoltre vietata la vendita di gabelle ed altri corpi dell’Università per qualunque motivo, come pure la vendita di frutti di tali corpi e gabelle. Una serie di altre disposizioni faceva da corona per agevolare le Università verso un miglioramento della loro situazione. La giunta delle Università fu stabilita il 10 marzo 1729 proprio perché vigilasse sull’osservanza di questo complesso di norme. Essa però incontrò sul suo cammino ostacoli tali che non le consentirono di svolgere il gravoso e delicato incarico che le era stato assegnato 56 . Il secondo provvedimento riguardava il tentativo più completo, compiuto da Vienna nei primi decenni del ‘700, di riassestamento delle finanze imperiali attraverso la ricompra degli effetti statali alienati dai vari sovrani nei diversi tempi. Tale compito, avviato nel Regno di Napoli, fu affidato al Banco di S. Carlo, istituito con cedola del 12 gennaio 1726, reso operativo il 18 marzo 1728. Il Banco fu dotato di un fondo iniziale di 100.000 ducati, ampliabile con deposito dei privati di denaro “a rendita d’annue entrate” al tasso del 4%. Benché la ricompra dei fiscali, cioè delle imposizioni dirette ordinarie, non fosse in sé e per sé un’operazione del tutto nuova, pure l’istituzione del Banco che doveva attuarla con organicità fu accolta con ostilità nel Regno. La prima opposizione fu quella delle Piazze napoletane, timorose che, col venir meno delle rendite di fiscali e arrendamenti a coloro che davan da vivere al popolo minuto si verificasse un ulteriore impoverimento di tale classe. Esse avanzarono numerose obiezioni, coadiuvate da una consulta di esperti avvocati, ed alla fine offrirono un cospicuo donativo purchè non si procedesse alla ricompra. Il sovrano però non accettò il donativo e fece solo concessioni di carattere formale, sollecitando anzi perché si accelerassero i tempi per rendere il Banco pienamente operativo 57 . Superata l’opposizione delle Piazze ed avviato il Banco la sua attività, il ruolo di ostacolare la ricompra passò soprattutto alla Camera della Sommaria, che annoverava tra i suoi membri non pochi possessori di rendite al 7-11%, rendite che da un momento all’altro potevano essere ridotte al 4%. La Sommaria approfittò soprattutto di difficoltà di carattere finanziario del Banco per ostacolarne il funzionamento. Ciò nonostante il Banco di S. Carlo funzionò, contrariamente a quanto si è a lungo ritenuto, ed iniziò ad 56 Più ampiamente sulla Giunta delle Università cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., I, cit., p. 86 e segg. 57 Sul Banco di S. Carlo cfr. in particolare A. DI VITTORIO, Il Banco di S. Carlo in Napoli ed il riformismo asburgico, in “Rassegna Economica”, 1969, n. 2, pp. 235-263. 10 effettuare la ricompra dei fiscali alienati sotto Filippo V – tra 1700 e 1707 – ad un tasso d’interesse del 10-11%. All’11 novembre 1729 le partite di fiscali ricomprate ascendevano a 149.783,88 ducati. Nel complesso tra il 1728 ed il 1734 si ricomprarono capitali per circa 250.000 ducati, interessando in tal modo ben 127 università delle dodici province del Regno. La fitta rete degli interessi locali cercò in ogni modo di paralizzare il funzionamento del Banco, non diversamente da quanto sarebbe accaduto con la numerazione dei fuochi, il terzo dei provvedimenti di natura riformistica adottato dagli Asburgo nel Mezzogiorno continentale. Tra fine 1731 – primi del 1732 Vienna, infatti, poneva in atto un ulteriore tentativo di riordinamento della finanza comunale nell’intento di aumentare in tal modo le entrate ordinarie del Regno. Attraverso una nuova numerazione dei fuochi, cioè dei nuclei familiari, da un lato essa intendeva attuare una migliore redistribuzione del carico fiscale, dall’altro, poiché si avvertiva un aumento demografico, essa desiderava procurare una maggiore entrata alla R. Corte attraverso il più elevato gettito fiscale, cioè delle imposizioni dirette ordinarie, conseguenza appunto della espansione demografica che da diversi indizi era in atto nel Regno nei primi decenni del XVIII secolo. L’ultima numerazione del Regno risaliva al 1669 e da allora non era stata effettuata alcuna rilevazione, per cui la base dei pagamenti era vecchia di oltre 60 anni, essendo poca cosa, rispetto all’espansione demografica in atto, i periodici aggiustamenti del numero dei fuochi effettuati per motivi vari, come gravi eventi bellici e naturali 58 . La numerazione fu avviata con la prammatica del 31 gennaio 1732 e con l’istituzione di una Giunta della numerazione che ne sovrintendesse i lavori (6 febbraio 1732). Benché portata a compimento per oltre 2/3 delle Università del Regno, rimase priva di risultati sul piano fiscale, nel senso che essa non fu posta a base di una redistribuzione sia pure parziale del carico fiscale tra le Università. La numerazione, infatti, incontrò non poche difficoltà, specie da parte delle università, timorose di un maggiore carico fiscale derivante da un eventuale aumento dei propri fuochi. Tali difficoltà ostacolarono le operazioni connesse con la numerazione. I terremoti, inoltre che colpirono il Napoletano nel 1732 e la scarsità di raccolto di quel periodo, in uno col cattivo stato dei banchi pubblici e la dissestata situazione finanziaria, contribuirono a far 58 Più ampiamente sulla numerazione dei fuochi del 1732 ed il suo significato nell’ambito del riformismo asburgico cfr. A. DI VITTORIO, La mancata numerazione dei fuochi del 1732 nel Viceregno austriaco di Napoli, in “Ricerche storiche ed economiche in memoria di Corrado Barbagallo”, Napoli, E.S.I., 1969, vol. II, pp. 465-491. in tema di numerazione dei fuochi del 1732 è tornata I. Zilli nel volume Imposta diretta e debito pubblico nel Regno di Napoli 1669-1737, Napoli, E.S.I., 1990, alle pp. 55-68. 11 sì che la numerazione non andasse avanti. La guerra, infine, che di lì a poco (1734) si sarebbe fatta sentire, portando alla fine della presenza asburgica nel Mezzogiorno continentale, avrebbe chiuso definitivamente le operazioni connesse alla numerazione. Queste riforme finanziarie, pur non perseguendo generalmente gli obiettivi prefissati, non vanno sottovalutate. Innanzitutto, esse non sono dei provvedimenti non collegati tra di loro, ma si inquadrano nel tentativo di riassetto delle finanze imperiali avviato da Carlo VI all’indomani della sua ascesa al trono, tentativo che in altre parti dell’Impero fu coronato da un certo successo 59 , e che portò negli stessi territori ereditari alla elaborazione dei primi bilanci (1724) 60 articolati in entrate e uscite, piuttosto che sull’antiquata ripartizione tra “camerale” 61 e “contribuzionale” 62 , nonché al tentativo di riordino del debito pubblico. Inoltre, cosa assai importante, lo spirito di questi provvedimenti, che caratterizzarono la politica finanziaria di Vienna nel Mezzogiorno, era quello di usare lo strumento tributario per incidere non solo sulla più generale finanza pubblica, sia in termini di riassetto, che di maggiori entrate, riordinando e alleggerendo l’apparato impositivo, ma anche di agire attraverso lo strumento finanziario sulla più generale economia del Regno. Questa si era mostrata poco sensibile, anche a guerra di successione di Spagna conclusa, agli stimoli e agli impulsi che, sull’onda del pensiero mercantilista, le venivano da Vienna, specie nei settori manifatturiero, mercantile e marittimo. Lo strumento finanziario dovè apparire a Vienna come quello più idoneo a conseguire dei risultati in tempi brevi, assicurando all’erario quelle entrate che un’economia più recettiva avrebbe potuto assicurare per altre vie. Ciò può contribuire a spiegare perché le riforme finanziarie furono adottate, in età asburgica, tardivamente nel Regno – tra 1728 e 1732 –, in un periodo poco propizio politicamente, con Vienna impegnata in problemi di carattere politico, economico e militare, che riguardavano direttamente la successione della corona imperiale e la sicurezza territoriale dell’Impero nei Balcani. In definitiva, Vienna nei primi decenni del ‘700, attraverso lo strumento fiscale e il riordinamento finanziario colse il ruolo che la finanza pubblica poteva svolgere in un 59 Cfr. in merito A. DI VITTORIO, Gli Austriaci etc., II, cit., pp. 503-504. Finanz und Hofkammerarchiv, Wien, ms. 159 D I, Bilanzirter Universal Kameral Sommari Jahrs Extract pro Jahre 1724. 61 Il “camerale” era il complesso di imposizioni indirette devolute alla Corte per il proprio mantenimento. 62 Il “contribuzionale” erano le imposizioni dirette fornite dai Länder alla Corona. 60 12 periodo di difficoltà economiche e finanziarie, se non di crisi vera e propria 63 . A livello imperiale essa ricorse prevalentemente al riassetto della finanza statale. A livello periferico ricorse all’uso prevalente dello strumento fiscale, incappando nelle difficoltà frapposte dalle forze locali, che dovevano porre un brusco arresto ai tentativi riformistici finanziari viennesi, bloccando, in definitiva, il più generale ruolo che la finanza pubblica poteva avere in età di crisi. Ciò naturalmente non significa che il Viceregno austriaco di Napoli avesse “più luci che ombre”, o che in altri settori il giudizio non possa essere notevolmente diverso, ma è indubbio che sul piano economico e finanziario Vienna – compatibilmente con i tempi – cercò di svolgere un’opera di stimolo e di rinnovamento nel Mezzogiorno, il cui momento culminante fu rappresentato dall’istituzione del Banco di S. Carlo, preposto al riordino del debito pubblico napoletano 64 . In sostanza mercantilismo e tentativi di riformismo rappresentano un binomio che caratterizzò la presenza di Vienna nel Mezzogiorno. Se gli strumenti e gli incentivi allo sviluppo delle attività minerarie, manifatturiere, mercantili, marittime e i tentativi di riforme finanziarie non valsero, per una serie di ragioni, a trarre il Mezzogiorno fuori dal suo stato di arretratezza, non è da sottovalutare il preciso disegno di Vienna volto all’inserimento del Mezzogiorno nel più vasto contesto imperiale 65 . Antonio Di Vittorio 63 Sullo stato delle finanze dell’impero nella seconda metà del ‘600 cfr. J. BERENGER, Finance et Absolutisme autrichien dans la seconde moitié du XVII siécle, Paris-Lille, 1975, I-II. Per la prima metà del ‘700 v. la sempre valida opera di F. VON MENSI, Die Finanzen Österreichs von 1701 bis 1740, Wien, Manz, 1890. 64 Una puntualizzazione della presenza di Vienna nel Mezzogiorno in chiave riformistica è in A. DI VITTORIO, Mezzogiorno d’Italia e mondo asburgico (1700-1860). Una rassegna storiografica, in “Annali dell’Istituo storico italo-germanico in Trento”, 1978, IV,pp. 310-312. Coglie in pieno il senso di questa linea di interpretazione della presenza austriaca nel Mezzogiorno P.VILLANI nel saggio Il Viceregno austriaco e il problema del “ceto civile”, in Settecento napoletano. Sulle ali dell’aquila imperiale 1707-1734, Napoli, Electa, 1994, pp. 35-42. V., inoltre, R. Colapietra nella recensione al volume di N. FRAGGIANNI. Lettere a B. Corsini (1739-1746), a cura di Elia Del Curatolo, Jovene Editore, Napoli 1991, pp. XCVI-671, in “Rassegna Storica Salernitana”, 1992, IX, pp. 329-332. 65 Di riformismo economico asburgico, per la Sicilia austriaca (1719-1734), parla apertamente F. GALLO nel suo bel volume “L’alba dei Gattopardi. La formazione della classe dirigente nella Sicilia austriaca (1719-1734)”, Roma, Donzelli, 1996, pp. X-244. 13