Canone cinematografico: riflessioni sul caso italiano, tra cinema di

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Canone cinematografico: riflessioni sul caso italiano, tra cinema di
Canone cinematografico: riflessioni sul caso italiano, tra cinema di genere e crisi
dei generi
di Camilla Toschi
«Dopotutto domani è un altro giorno». Una frase che ci richiama subito alla mente uno dei più
grandi classici dello schermo, 1 entrato a tutti gli effetti nel nostro immaginario.
Ma, nel cinema, cosa intendiamo per “canone”? Un classic movie è un testo ormai canonizzato? Ma
soprattutto: è possibile ancora riflettere sul cinema in termini di “genere” in un’età ormai di
globalizzazione e multitasking?
In linea con altre forme d’Arte,2 anche nel cinema si cominciò a parlare di “genere” dal
momento in cui se ne poterono individuare e riconoscere più di uno: questi si cominciarono a
distinguere nelle loro specificità nei primi anni di vita del medium, quando nacquero i nickelodeon,3
destinati all’intrattenimento di un pubblico medio basso. Con un nickelino si potevano vedere pellicole
brevissime (di circa due minuti) di cui le case produttrici cominciarono a studiare e ricercare le
componenti sotterranee e le costanti iconografiche di effetto sicuro. 4 Sicuramente il cinema delle
origini - anche se inizialmente per mere ragioni commerciali – intuì con forza il decisivo ruolo del
pubblico, che voleva riconoscersi in meccanismi facilmente accessibili. E fu David Wark Griffith, 5 padre
del cinema narrativo, a trasformare il medium, da curiosa invenzione tecnologica per fiere popolari e
intrattenimenti domenicali, in settima Arte.
La distinzione in “generi” riconoscibili da parte degli spettatori, che Griffith promosse, è stata il
primo passo verso la definizione di possibili canoni propri del mezzo cinematografico; rapidamente i
generi si moltiplicarono: da quello fantastico (inaugurato da Melies), o politico, a quello sociale e
geografico, fino, ad esempio, a quello “per l'infanzia” e a molti altri. In questa sede mi vorrei
concentrare sull'analisi di un “genere” specifico di casa nostra: la cosiddetta “commedia all'italiana”,
oggi sempre più spesso al centro di polemiche e accuse di essere costantemente uguale a se stessa,
nonché più fedele alle regole del mercato che alla qualità. A una prima analisi, sembra quasi che il
cinema italiano abbia deciso di auto-canonizzarsi, chiudendosi nel “ghetto” della commedia leggera, o
vagamente impegnata (di qualità riconosciuta per tradizione), al fine di proteggersi da ingerenze
produttive europee e d'oltreoceano. Vale la pena approfondire la questione.
Nella storia del cinema il termine “commedia all'italiana”6 indica un genere nato in Italia negli
anni Cinquanta,7 durante un felice periodo creativo in cui vengono prodotte commedie brillanti, ma
con contenuti attuali: alle gag comiche e agli intrecci tipici della commedia tradizionale si affianca infatti
una pungente satira di costume, che riflette l'evoluzione sociale di quegli anni. Mario Monicelli ne è
padre indiscusso,8 affiancato da grandissimi sceneggiatori capaci di dialoghi indimenticabili, come Steno
(Stefano Vanzina), Age e Scarpelli, Rodolfo Sonego e Suso Cecchi D'Amico.
Il genere inizia a declinare attorno alla metà degli anni Settanta, per esaurirsi all'inizio degli
Ottanta, quando l'irruzione del terrorismo e della crisi economica fanno inclinare a visioni più crude e
drammatiche della realtà. Dal 1975 - quando la critica ne decreta ufficialmente la fine con Amici Miei
dello stesso Monicelli - la “commedia all'italiana” comincia una lenta trasformazione: perde la sua ironia
pungente, si rifugia in una rappresentazione falsata e rassicurante della società, o addirittura scade nel
trash dei B movie degli anni '70 e '80. Ma cosa è diventato ormai questo genere? In cosa si può
identificare, oggi, un’ eventuale “commedia italiana”?
Interrogato da una nota rivista9 circa lo “stato di salute” attuale del nostro cinema, Quentin
Tarantino commenta
impietosamente: «Le pellicole italiane, che ho visto negli ultimi tre anni,
sembrano tutte uguali, non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi,
genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo? Ho amato così tanto il cinema italiano
degli anni Sessanta e Settanta e alcuni film degli anni Ottanta, e ora sento che è tutto finito. Una vera
tragedia».
Da appassionata campanilista, vorrei rispondere citando i felici esempi di cinematografia italiana
impegnata e di qualità, non necessariamente ascrivibili al genere “commedia”, che abbiamo potuto
vedere, in questi ultimi anni, nelle nostre sale, per smontare questa diagnosi liquidatoria. Ma è ' anche
vero, però, che i dati Cinetel in buona parte la confermano. Come mai? Davvero il pubblico non
pretende di meglio? E' proprio vero che i numeri parlano da soli? Le regole del mercato sembrano
vincenti: in Italia si produce e soprattutto si distribuisce quello che il pubblico cerca.
Partendo dal dato statistico, possiamo constatare che negli ultimi anni 10 la maggior parte delle
opere che hanno incontrato il favore del pubblico sono state effettivamente commedie centrate sulla
famiglia, sulle sue molteplici declinazioni
e varianti (rapporti genitori-figli, crisi sentimentali e,
ultimamente, amori adolescenziali…), nonché sulle difficoltà economiche e affettive di personaggi
smarriti e infantili. Al centro del quadro soggetti prevalentemente maschili ( più del 60 %):
dall'adolescente, al precario, al cinquantenne in crisi. L’ “eroe” è ancora pensato al maschile, anche se gli
si affiancano, per ragioni evidenti, donne giovani e belle; di donne adulte protagoniste, invece, se ne
vedono davvero poche. Tarantino sembra dunque avere ragione, ma possibile che il cinema italiano si
fermi qui? Certo ultimamente, grazie ad una maggiore spinta produttiva, in Italia si è verificato un
incremento degli investimenti economici che ha incoraggiato la nascita di un nuovo cinema d'autore,
che ha fornito qualche prova di qualità, attingendo ai modelli del “cinema di genere” (come il noir o il
thriller) e riscuotendo un discreto successo e una buona risposta da parte del pubblico. Due esempi in
controtendenza sono offerti da Paolo Sorrentino 11 e da Matteo Garrone, consacrati a Cannes nel 2008
con Il Divo e Gomorra.12 Anche se diverse sul piano dello stile, entrambe le opere cercano di raccontare
la “crisi” della società italiana, attraverso canali interpretativi nuovi e originali, che hanno riscosso al
botteghino un ottimo risultato in Italia e in Europa, lasciando sperare in un possibile rilancio del
cinema italiano d'autore nel mondo.
Il cinema cosiddetto indipendente ha cercato dunque di farsi strada nella diffusa e generalizzata
mediocrità delle commedie italiane, dove spesso gli spunti di denuncia sociale erano appena abbozzati; è
vero, però, che a volte, il cinema d'autore (in cui forse potremmo ritrovare un possibile “canone”)
raggiunge soltanto superficialmente un pubblico medio, senza coinvolgerlo o convincerlo pienamente,
come testimonia l’infelice distribuzione delle opere di tre giovani autori italiani molto promettenti: La
bocca del lupo13 di Pietro Marcello, Le quattro volte14 di Frammartino e il recentissimo Corpo Celeste15 di Alice
Rohrwacher. In questi casi, pur avendo investito nella distribuzione e avendo ottenuto riconoscimenti
prestigiosi della critica nei Festival di Torino (vinto da Marcello nel 2009) e di Cannes (in cui fu
premiato Frammartino alla Quinzaine), le pellicole non hanno coinvolto gli spettatori. L’anno che ha
visto le realizzazioni dei primi due, il 2009, si è inoltre distinto per il gran ritorno del documentario e
del cinema storico-politico: esempi importanti sono stati indubbiamente la rivisitazione del ‘68, in
chiave personale e autobiografica, da parte di Michele Placido ne Il grande sogno,16 e di Giuseppe
Tornatore, con lo spettacolare e ambizioso Baarìa;17 a cui va aggiunto il premiatissimo L'uomo che verrà18
di Giorgio Diritti, non considerato, purtroppo, nella critica tagliente di Tarantino.
Le considerazioni possibili circa il “genere” cinema italiano contemporaneo non si esauriscono
qui; l'augurio è che i diversi canoni continuino a trovare nuovi ambiti e contesti di sperimentazione
senza che un’unica tipologia si imponga sulle altre. Le idee di qualità certo non mancano, la speranza è
che l'italiano medio ritrovi la voglia di scoprirle.
Didascalie immagini:
1. Le quattro volte di Michelangelo Frammartino, Italia/Germania/Svizzera, 2009, '88
2.
Corpo Celeste di Alice Rohwacher, Italia/Francia/Svizzera, 2011, '100
3.
The Great Train Robbery di Edwin S. Porter (USA, 1903, 10')
4.
I soliti ignoti di Mario Monicelli, Italia, 1958, '100
1
La nozione di canone è leggibile attraverso una duplice prospettiva: quella delle opere, in cui vi è contenuta
un’affermazione di norme, atte a formare una tradizione (a cui si contrappone solitamente un anti-canone); e quella del
pubblico, legata ai concetti di ricezione, comunità (interpretazione), memoria (selettività), ma anche di gusto (e della sua
sopravvivenza nel tempo).
2
Il primo tentativo di classificazione dei generi letterari conosciuto risale a Platone; mentre fu Aristotele a fornire le
indicazioni per una classificazione che arrivò rigidamente al Rinascimento.
3
Il nome deriva dalla parola odeon (nome con cui nell'antica Grecia si indicavano gli edifici destinati alle rappresentazioni
musicali) unita con la parola nickel, termine che indicava la monetina da cinque centesimi di dollaro (nichelino), che serviva
per pagare l'ingresso. Il primo nickelodeon nacque nel giugno del 1905 a Pittsburgh in Pennsylvania. Questi prototipi di cinema
iniziarono a decadere dal 1915, quando il film The Birth of a Nation di David Griffith impose la regola, divenuta poi canonica,
di una durata di circa 1h e 30' o 2h, ponendo quindi la necessità di sale più confortevoli.
4
Es. The Great Train Robbery di Edwin S. Porter (USA, 1903, 10') vero e proprio prototipo del genere western.
5
David Llewelyn Wark Griffith (La Grange, 1875 – Los Angeles, 1948) è stato un regista, produttore cinematografico e
sceneggiatore statunitense. La sua fama è probabilmente pari a quella del suo film La nascita di una nazione. La storiografia
cinematografica lo riconosce come uno dei padri della settima arte, in particolare colui che stabilì le regole del cinema
narrativo. E' a ragione considerato il creatore del linguaggio filmico basato sul montaggio e l'inventore del flashback. La sua
prima opera corale, La nascita di una nazione, una «pietra miliare della cinematografia» ricorda Mereghetti, il primo colossal della
produzione cinematografica americana, inaugura il cinema quale mezzo espressivo artistico.
6
Probabilmente i tre film che meglio rappresentano il genere della “commedia all'italiana” sono I mostri di Dino Risi
magistralmente interpretato dalla coppia Vittorio Gassman e Tognazzi, Il medico della mutua di Luigi Zampa con uno
straordinario Alberto Sordi, e I soliti ignoti di Mario Monicelli con Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e Totò. Il
capolavoro di Monicelli, del 1958, è considerato da molti critici, per ambientazione, tematiche, tipologia dei personaggi e
impostazioni estetiche, il film precursore del genere.
7
Il termine deriva della parafrasi del titolo di uno dei grandi successi del periodo: Divorzio all'italiana di Pietro Germi (Italia,
1961, '105).
8
Monicelli è affiancato da altri grandi registi tra cui Pietro Germi, Nanni Loy, Luigi Comencini, , Vittorio De Sica, Lina
Wertmüller, Ettore Scola, Luigi Zampa, Luigi Magni, Dino Risi, Camillo Mastrocinque, Luciano Salce, Sergio Corbucci.
9
TV Sorrisi e Canzoni, n. 23, 28 maggio 2007.
10
Mi riferisco all'ultimo decennio, quindi a quei film usciti tra il 2000 e il 2010 equivalenti a circa 350 titoli.
11
L'uomo in più (2003), Le conseguenze dell'amore (2004), L'amico di famiglia (2006), Il divo (2008) e l'ultimo This Must Be the Place
(2011).
12
Film tratto dal libro: Roberto Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2009.
13
La bocca del lupo di Pietro Marcello, Italia, 2009, '68.
14
Le quattro volte di Michelangelo Frammartino, Italia/Germania/Svizzera, 2009, '88.
15
Corpo Celeste di Alice Rohwacher, Italia/Francia/Svizzara, 2011, '100.
16
Il grande sogno di Michele Placido, Italia/Francia, 2009, '101.
17
Baarìa di Giuseppe Tornatore, Italia, 2009, '150.
18
L'Uomo che verrà di Giorgio Diritti, Italia, 2009, '117.