Il ritorno al nucleare: scelta strategica o “bufala atomica”?

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Il ritorno al nucleare: scelta strategica o “bufala atomica”?
18-05-2009
Il ritorno al nucleare: scelta strategica o “bufala
atomica”?
a cura di MAURO ZANONI
Il governo è ormai lanciato sulla strada del ritorno al nucleare: lo scorso 13 maggio il Senato ha approvato la scelta
di individuare diversi siti per l’insediamento di nuove centrali, incurante delle critiche di ecologisti e di una parte
dell’opposizione. A vent’anni di distanza dal referendum che a seguito del disastro di Chernobyl decise la chiusura
delle centrali allora esistenti, si torna quindi al nucleare. Ma si tratta di una scelta strategica oppure, come afferma
Renzo Bellini, di una bufala atomica?
Lo scorso 13 maggio il Senato ha approvato il ritorno del nucleare nel nostro Paese. Quasi scontato il voto:
a favore PdL e UDC; contro Pd e IdV.
La questione dell’utilizzo del nucleare assume nel nostro Paese implicazioni e complessità maggiori legate
alla particolarità del nostro territorio. Proprio questo aspetto, che aumenta i rischi per la sicurezza degli
impianti, sembra essere la ragione delle maggiori critiche dell’opposizione che accusa il governo di avere
omesso una valutazione seria in tema di controlli per la scelta dei possibili siti di nuovo insediamento.
Critiche riprese dalla stampa, che denunciano la scarsa valutazione dei rischi idro-geologici (quali ad
esempio, come ben evidenziato in un recente articolo apparso su Repubblica.it, terremoti, inondazioni ed
esondazioni) e dall’impatto ambientale che la presenza della centrale produce sul territorio circostante.
E’ utile sottolineare come nel nostro Paese non esista una mappa strategica aggiornata dei siti utilizzabili, in
quanto l’ultima risale al 1987, cioè alla drammatica vicenda della centrale del guasto alla centrale di
Chernobyl. Un nome che evoca scenari inquietanti: una nube di materiali radioattivi fuoriuscì dal reattore e
ricadde su vaste aree intorno alla centrale che furono pesantemente contaminate, rendendo necessaria
l'evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche
l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori. Il rapporto
ufficiale redatto da agenzie dell'ONU stila un bilancio di 65 morti accertati con sicurezza e altri 4.000
presunti (che non sarà possibile associare direttamente al disastro) per tumori e leucemie su un arco di 80
anni (per saperne di più si veda la scheda su Wikipedia, L’enciclopedia libera).
Dopo quel gli italiani decisero attraverso un referendum l’abbandono del nucleare e la chiusura delle
centrali allora esistenti. Da allora, come detto, la mappa dei siti non è stata più rivisitata ed aggiornata alla
luce dei cambiamenti di un territorio profondamente mutato in questi oltre vent’anni.
Ora il governo decide di rivedere quella scelta e di riaprire la strada del nucleare, sostenendo che la
sicurezza avrebbe fatto grandi passi avanti e che restare fuori dalla scommessa nucleare porterebbe il
nostro Paese ai margini del mondo economicamente sviluppato. Si sostiene, addirittura, che la scelta
nucleare sia vantaggiosa rispetto ad altre fonti oltre che dal punto di vista economico anche da quello
ambientale, in quanto consentirebbe una riduzione delle emissioni di CO2.
Dall’altro lato ambientalisti ed opposizione sostengono l’esatto contrario: non solo i rischi ambientali
sarebbero enormi, ma anche i risvolti economici e la riduzione di emissioni appaiono tutti da verificare.
Sorge quindi la classica domanda: siamo in presenza di una scelta strategica oppure, come afferma Renzo
Bellini su Eguaglianza e Libertà, siamo di fronte ad una bufala atomica?
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Il problema dell’energia è da anni oggetto di discussione politica e scientifica nel mondo intero, soprattutto
a seguito dell’aumento del fabbisogno complessivo e dell’incremento di domanda proveniente dai Paesi
emergenti. Questioni strategiche che toccano temi quali il futuro dell’economia, l’assetto socio-economico
tra vecchio e nuovo mondo, la questione ambientale che diventa ogni giorno più preoccupante.
Non è un caso che l’Unione Europea abbia da tempo indicato la necessitò di intervenire secondo approcci e
scelte differenziate che abbiano al centro obiettivi di risparmio, rinnovamento delle fonti e abbassamento
delle fonti di inquinamento. E’ la famosa strategia del 20-20-20:
- riduzione del 20% delle emissioni di CO2
- riduzione del 20% del consumo energetico
- incremento del 20% delle fonti rinnovabili
Seguendo il ragionamento di Renzo Bellini (Segretario confederale della CISL, Responsabile del
Dipartimento Politiche per lo sviluppo sostenibile, da sempre impegnato su questo fronte), proviamo
dunque a vedere quale impatto avrebbe il ritorno al nucleare su queste tre dimensioni.
Secondo Bellini non esiste un nesso positivo di causa-effetto tra “utilizzo dell’energia atomica e politica
climatica (nel senso che l’una risolverebbe l’altra). Ciò in quanto l’atomo non è eco-energetico e anche il
raddoppio di centrali nucleari ridurrebbe solo del 6% l’emissione di CO2, mentre è ovvio che la probabilità
di incidenti catastrofici crescerebbe con l’aumentare degli impianti”. Per realizzare concretamente gli
obiettivi di riduzione dell’inquinamento da emissioni, è necessario concentrarsi sugli assi strategici: fonti
rinnovabili – risparmio - efficienza. Cosa che finora non è mai stata fatta dai governi del nostro Paese, in
quanto “l’Italia è il fanalino di coda in Europa. Infatti, la produzione di energia dall’eolico è dell’1% in Italia,
mentre in Danimarca è il 7%, in Spagna 9%, Germania 7%. Addirittura il fotovoltaico in Germania è 30 volte
superiore a quello dell’Italia”.
Così come poco o nulla è ancora stato fatto sul piano del risparmio energetico. In questa prospettiva Bellini
cita un recente studio dell’ENEA secondo cui “investendo 8,2 miliardi di euro per un programma di
riqualificazione energetica degli immobili pubblici (efficienza – fonti rinnovabili) si avrebbe un risparmio di 28
miliardi di euro, rilanciando inoltre una vera e propria filiera produttiva utile all’economia e all’occupazione
e realizzando un aumento del Pil dello 0,6%. Analogamente si potrebbe ragionare su un sistema di trasporti
pubblici ecocompatibili funzionali allo sviluppo di una politica industriale in tal senso”.
E’ peraltro ormai risaputo che investire nel risparmio energetico, oltre che generare una riduzione
dell’inquinamento, produce anche risparmio e sviluppo economico. Non a caso Barack Obama, tra le prime
decisioni assunte una volta eletto Presidente, ha annunciato un piano analogo a quello proposto dall’ENEA
evidenziando in ciò proprio quel rapporto virtuoso risparmio energetico - minore inquinamento – rilancio
dell’economia.
E sul piano dell’incremento delle fonti rinnovabili? Qui la situazione appare più chiaro-scurale. Afferma
Bellini che è necessario andare “oltre i soliti ragionamenti sul solare e sull’eolico, biomasse ecc. Si tratta di
esplorare tutte le potenzialità insite nella geotermia. Oggi la Toscana produce il 25% del proprio fabbisogno
energetico con questa risorsa; molte altre regioni hanno analoghe opportunità (60% Lazio, Sardegna; 45%
Veneto, Emilia Romagna; 30% Lombardia, Sicilia, Campania)”. Occorre dunque percorrere con maggiore
impegno questa strada, smettendo di considerare le fonti rinnovabili come un vezzo ecologista: se una delle
Regioni economicamente più sviluppate del nostro Paese garantisce con questa fonte il 25% del proprio
fabbisogno, allora significa che questa è una soluzione concreta.
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Ovviamente, come sottolinea Bellini, è fondamentale agire anche sul piano della differenziazione delle fonti
energetiche e tenere uno sguardo attento ai costi di produzione.
Sulla differenziazione delle fonti "tradizionali", assodato che va perseguito il processo di sostituzione del
petrolio, si tratta quindi "di scegliere tra gas, carbone, nucleare. La scelta del gas è già fatta da tempo, e da
questo punto di vista bisogna contenerla per evitare che si passi da una dipendenza (petrolio) ad un’altra
(gas). [...] Per quanto riguarda il carbone è utile sapere che il nostro utilizzo è solo del 12% e ci costringe ad
un uso di petrolio e gas pari all’85% contro una media Europea del 50%. Un equilibrio più consistente sul
carbone pulito permetterebbe di avere una materia prima a basso costo, con riserve per oltre un secolo la
cui provenienza è di aree geopolitiche più sicure".
Ma ciò che colpisce di più nel ragionamento di Bellini è la parte che riguarda le tendenze in atto negli altri
Paesi industrializzati, questione spesso addotta dai sostenitori del nucleare per indicare una tendenza
inevitabile (“lo fanno tutti gli altri, perché noi dobbiamo essere vincolati da scelte ideologiche da anni ‘70?”).
Afferma Bellini che "non è poi vero che il mondo abbia fatto questa scelta. Infatti si è passati da una media
di 17 centrali costruite all’anno (tra il 1970 – 1990) ad una media di 1,7 centrali per lo più fatte nei paesi
emergenti. Inoltre la quota di produzione di energia nucleare scenderà di 6 punti entro il 2030 attestandosi
attorno al 9%." Ciò è legato a due considerazioni: da un lato la strategicità della scelta (cioè la possibilità che
rappresenti davvero il futuro energetico; dall’altro le questioni connesse alla sostenibilità dei costi e al loro
effettivo recupero nel tempo.
Perché in fondo il nucleare non è poi così strategico. Infatti la materia prima utilizzata per l'attuale
tecnologia (uranio 235) potrebbe durare tra al massimo "tra i 30 e i 40 anni e inoltre non c’è nessun paese
europeo che lo produca. Si tratta quindi di un percorso già vecchio. Diverso sarebbe attendere le
cosiddette centrali di IV generazione, che risolverebbero due problemi: quello della materia prima e quello
dello stoccaggio delle scorie perché esse verrebbero riutilizzate nel ciclo".
Occorre poi soprattutto fare i conti con i costi che "per la costruzione di una centrale variano da 4,6
miliardi di euro (Moody’s) a 5,2 miliardi (Power e Light) ai quali vanno aggiunti i tassi di interesse per un
finanziamento che incomincia ad essere remunerativo dopo 15 – 20 anni, e senza calcolare che servono 7
anni per saldare il debito di energia consumata per produrre una centrale" (problema intrinseco alla
tecnologia nucleare che ha bisogno di una notevolissima carica per lo start up per cominciare poi a
produrre a sua volta energia). “E che dire – prosegue Bellini – dell’irrisolto problema dello stoccaggio delle
scorie? L’unico impianto individuato al mondo (quello di Yucca Mountain negli Stati Uniti) è costato fino ad
ora 60 miliardi di dollari e sarà operativo nel 2020. Sarà utile porsi il problema che per produrre 50 anni di
energia bisogna preoccuparsi di 500 mila anni di gestione”.
Dunque chi si oppone lo farebbe perché figlio di una cultura involutiva tardo ecologista? Al contrario,
conclude Bellini, sono “le convenienze di mercato che disincentivano oggi gli investimenti sulle attuali
centrali nucleari. Il che non significa escludere il nostro rientro su questa tecnologia. Bisogna farlo in un
orizzonte internazionale, recuperando il troppo tempo perduto, costruendo una strategia di ricerca capace
di trovare la soluzione giusta per il nostro tempo in quel mix che gli esperti identificano nel solare diretto e
indiretto (rinnovabili) nella energia nucleare da fusione e fissione più sicure (IV generazione) e dalla energia
termica intrappolata nelle viscere della terra”.
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