pagine d`esempio - Libreria Universo

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pagine d`esempio - Libreria Universo
CAPITOLO OTTAVO
Gli ingredienti della coppia amorosa
Intimità, impegno, passione ed evoluzione
«E poi la chiamo, contro tutto quello che verrà, moglie»
Forse è giunto il momento di riassumere il percorso fatto fino
a qui, riepilogando alcuni elementi fondamentali che rendono la
coppia amorosa, più che utile, indispensabile all’evoluzione e alla
maturazione di ciascuno di noi e alla realizzazione di una vita felice
e piena di significato. Ecco dunque le funzioni che abbiamo descritto
nei capitoli precedenti, l’essenza dell’amore limpido.
1. Rivitalizzare gli orientamenti esistenziali: aiutare a realizzare in età
adulta le pulsioni di base di entrambe le persone: sopravvivere, darsi
sicurezza economica e psicologica, riprodursi, creare affettività,
amore e senso di appartenenza, conoscere e imparare cose nuove,
evolvere, esprimere la propria individualità, dare un significato
alle piccole e grandi azioni orientate ad attuare se stessi e a dare
un senso alla propria vita.
2. Imparare ad amare: aiutare a evolvere da una modalità amorosa
esclusiva e possessiva, e poi meramente procreativa e sessuale, a
una più matura e più coerente con le età successive, passare cioè
da un modello amoroso Up-Down tendenzialmente infantile e
totalizzante, imparato nella famiglia d’origine, a un modello paritario e reciproco, tendenzialmente adulto e genitoriale. (Diciamo
tendenzialmente, perché si sa che ogni tanto qualche regressione
ci scappa e fa pure bene).
3. Supportarsi nel cambiamento: sostenere i partner nel loro flusso
evolutivo permanente attraverso le diverse età della vita con un’alleanza che preveda feedback sia positivi che critici all’interno di un
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4.
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presupposto di amore incondizionato costruttivo e affettuoso. E
poi confermare l’identità, aiutando ad assorbire le trasformazioni
o stimolando i cambiamenti necessari.
Sviluppare le potenzialità: favorire l’evoluzione e l’apprendimento
delle qualità negate sia a livello delle pulsioni dimenticate che
delle caratteristiche di personalità non formate o formate in modo
controproducente. Questo apprendimento è la reciproca integrazione delle parti di sé necessarie per una vita anche individuale
soddisfacente e felice, è la soddisfazione del bisogno nascosto.
Stabilizzare la stima di sé: prima attraverso l’innamoramento e
l’idealizzazione, e in seguito attraverso la valorizzazione e l’apprendimento delle capacità per cui si è scelta quella persona e la
comprensione profonda delle differenze e dei limiti.
Imparare a fare l’amore: per unire le essenze delle due umanità,
nude e crude, autentiche nell’abbandonarsi totalmente fra le braccia
dell’amato, che tutto accoglie e tutto glorifica. Una sessualità che
compenetra i corpi e stabilisce un legame a livello fisico, ancestrale
e viscerale.
Costruire una nuova cultura: stabilire un insieme di abitudini, di regole,
di valori comportamentali al passo con i tempi e con le esigenze di
ciascun individuo e della vita a due. Intendiamo una cultura nuova
rispetto alle famiglie di origine, ma anche alle situazioni di coppia
o di solitudine antecedenti. La coppia, intesa come organismo sociale, richiede processi di funzionamento propri che devono essere
inizialmente negoziati e condivisi, ma anche rivisti in concomitanza
con i cambiamenti che man mano si verificano nella vita.
Conoscere l’altro: come essere umano intero, con aspetti attraenti
e irritanti, capirne i limiti come inevitabili inefficienze, frutto
della sua storia e della sua origine, imparare dunque e praticare
la comprensione, l’accettazione e la tenerezza, in una parola la
«compassione», non solo verso il proprio partner.
Abbi cura
Dalla finestra la vedo chinarsi sulle rose
reggendole vicino al fiore per non pungersi le dita.
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Con l’altra mano taglia, si ferma e poi taglia ancora,
più sola al mondo di quanto mi sia mai reso conto.
Non alzerà lo sguardo, non subito. È sola
con le rose e con qualcosa che riesco solo a pensare,
ma non a dire.
So bene come si chiamano questi cespugli
regalatici per le nostre nozze tardive:
Ama, Onora, Abbi Cura…
è quest’ultima la rosa che all’improvviso mi porge,
dopo essere entrata in casa tra uno sguardo e l’altro.
Ci affondo il naso, ne aspiro la dolcezza,
lascio che mi si attacchi addosso
– profumo di promessa, di tesoro.
Le prendo il polso perché mi venga più vicina,
i suoi occhi verdi come muschio di fiume.
E poi la chiamo, contro tutto quello che verrà,
moglie,
finché posso, finché il mio respiro,
un petalo affannato dietro l’altro,
riesce ancora a raggiungerla.
Raymond Carver,
Il nuovo sentiero per la cascata, Poesie
Quanto tempo in media al giorno una persona occidentale dedica
a realizzare queste finalità rispetto alla realizzazione di sé altrove, sul
lavoro, ad esempio? O nello sport?
I rapporti affettivi sono anche onerosi, non possiamo immaginare che realizzare tanta bellezza e felicità sia facile; come non è facile
costruire rapporti di fiducia e di vicinanza con un figlio, ad esempio,
diventare una coppia richiede tempo e cura.
Ma c’è dell’altro.
Robert J. Sternberg (2002) ha scritto qualche anno fa un libro
intitolato La freccia di cupido, che spiega bene cosa ci vuole per costruire una buona coppia.
Gli ingredienti del suo triangolo dell’amore sono: l’impegno, la
passione e l’intimità.
Li riportiamo brevemente, perché ci sembrano confermare
ampiamente e con semplicità (e semplici sono spesso le cose più vere)
quanto stiamo dicendo.
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L’impegno ha un aspetto di breve termine, la decisione cioè
di amare quella persona all’inizio, e poi uno di lungo termine, che
consiste nella cura per far durare l’amore. L’impegno è anche il grado
di attaccamento con cui si sta insieme, anche qui, non tanto per il
dichiarato, che spesso è enfatico e seduttivo (puah), quanto per le azioni
che si mettono in atto per difendere e valorizzare il rapporto.
In questo comprendiamo ad esempio la condivisione dei
patrimoni economici, i progetti materiali e familiari per il futuro,
l’alleanza nelle difficoltà, l’immagine di sé come persona che vive in
coppia, ora e per il futuro, l’autorevolezza, la coerenza e l’affidabilità
nel prendere decisioni, la protezione dalle intrusioni dell’esterno
quando queste minano la cultura della coppia, la serietà insomma
nel credere in quello che si sta andando a fare.
La passione è invece il cerino sul covone di paglia, come un
caminetto acceso nelle sere d’inverno, una nuotata nudi d’estate, un
massaggio con l’olio profumato, ecc., ma anche il senso di mancanza
degli abbracci quando si è lontani.
La passione è il corpo che urla (ci pare che raramente sussurri),
che invoca l’unione e la fusione, così appagante per tutti i sensi e in
tutti i sensi, è il non poter fare a meno della bellezza dell’altro, non
solo, ovviamente, in termini sessuali.
È la passione per le gite in bicicletta che solo con il proprio
compagno vengono così, per le coccole che si scambiano nei momenti
di scoramento o di solitudine, è la passione per quei piatti cucinati
solo per due, discutendo sull’origano o il prezzemolo, la passione per
le letture insieme in amaca o le chiacchierate a lume di candela fino a
tardi, dopo il lavoro. È uscire dal cinema e commentare insieme, fitto
fitto, e lei e lui dicono cose diverse perché hanno provato sentimenti
diversi, e i suoi sono sempre così… così… diversi e interessanti, magari
proprio perché è come se avesse visto un altro film.
La passione è la voglia mantenuta nel tempo di fare qualcosa
con l’altro, perché è l’altro con cui al meglio condividiamo la vita di
tutti i giorni, non altri, con lui o con lei certe cose riescono sempre
meglio.
La passione del bagno caldo al rientro da una giornata piovosa e faticosa, con lui o lei che ti spugna dolcemente la schiena, la
passione per i massaggi ai piedi fatti simultaneamente, che non si
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farebbero certo a nessun altro, io a te e tu a me. E si possono anche
lavare prima, come Gesù.
La passione politica, le arrabbiature, le indignazioni che si
fomentano a vicenda, gli entusiasmi condivisi e accolti con gridolini di gioia e segni di approvazione entusiasta. Stiamo esagerando?
Non crediamo proprio, ma che fate la sera, quando state insieme?
Guardate la tivù?
E poi l’intimità; Sternberg elenca dieci punti, che, per rispetto,
ma anche un po’ per pigrizia, riportiamo pari pari:
1. Il desiderio di alimentare il benessere della persona amata.
2. Sentirsi felici con la persona amata.
3. Tenere in alta considerazione il partner.
4. Fare affidamento sulla persona amata.
5. Avere una comprensione reciproca.
6. Condividere se stessi e i propri averi con la persona amata (questo
secondo noi andrebbe messo nell’impegno, ma condividere se
stessi è bellissimo, e giustamente va qui).
7. Ricevere supporto emozionale.
8. Dare supporto emozionale (si poteva unire questo punto a quello
precedente dicendo «scambiare reciprocamente supporto emozionale», ma allora non si arrivava a dieci).
9. Comunicare intimamente con la persona amata.
10. Valorizzare la persona amata.
Tutto giusto, ovviamente, a noi però piace pensare all’intimità
come a quell’autenticità ottenuta con l’amore incondizionato e l’accettazione di sé, prima di tutto, e poi con l’accettazione dell’altro.
È poesia pura, anche se non proprio «alta», quella che racconta
Robin Williams al suo giovane paziente, ribaldo e aggressivo, nel film
Will Hunting, genio ribelle, parlando di sua moglie, morta qualche
anno prima; riportiamo a memoria: «Sai cosa mi manca di più di lei?
Mi mancano le sue puzzette dentro il letto». Questa era l’intimità
che gli mancava, quella rilassatezza, quella naturalezza che si può
ottenere solo dopo anni di vicinanza, di familiarità, di accoglienza
per difetti e mancanze, anche ben più gravi. Ci si arriva solo dopo
aver capito che all’altro non importa nulla di inezie come queste,
perché ama immensamente il resto. Allora tutto è possibile. E proprio
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questo finiva per mancargli di più, le piccole e tipiche cose possibili
solo con lei.
L’intimità è limpidezza e trasparenza — non sempre penso e
so quello che dico, ma dico sempre quello che penso — e proprio a
te, perché tu lo puoi capire e accogliere, e se anche non ti piacerà o
sarai in disaccordo me lo dirai, esattamente come farò io.
Il signore della poltrona
Poiché pur sentendoci bene volevano sentirci ancora meglio,
stavano sempre vicini vicini
per facilitare le orecchie. Ad esempio non stavano seduti su
due poltrone, bensì su una.
Lì parlavano fitto fitto, a lungo capendosi alla perfezione.
Ma non stavano un po’ scomodi
su una poltrona sola?
No, essendo un signore e una signora di forme
complementari, lì stavano perfettamente,
come due contigui puzzles.
Vivian Lamarque, Poesie 1972-2002
L’intimità è quel miracolo di contemporaneità e coincidenza
di bisogno e risposta da parte dell’altro, così da andare verso lo
stato emozionale dell’altro con un atteggiamento che ne favorisce
l’espressione, almeno.
Poi si vedrà,
ma se ho paura ho bisogno solo di protezione,
se provo dolore ho bisogno proprio di contenimento,
se provo rabbia ho bisogno di sentire un’alleanza che aiuta a
sfogarmi,
se provo gioia ho bisogno che anche tu condivida la mia felicità,
se ho sbagliato ho bisogno di indulgenza,
se sono incerto ho bisogno, proprio e solo in questo caso, di parole
e saggi consigli.
Questi sono i comportamenti che bisogna imparare a fare
e con tempestività e giusta misura per essere competenti e capaci
nelle relazioni affettive, questa è intelligenza emotiva. L’intimità
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è la sensibilità che aiuta a corrispondere in tempo reale ai bisogni
emotivi, è la flessibilità e la capacità di essere diversi per l’altro nei
diversi momenti, un’abilità che si acquista con il suo aiuto, perché
per anni ti ha spiegato cosa fare per farlo contento, finché non hai
nemmeno più bisogno di chiedere: «Cosa vuoi da me? Cosa posso
fare per te?».
Frasi che vanno bene giusto per i manuali per le professioni
d’aiuto, ma che nella coppia prendono un sapore di manierata e
distaccata gentilezza formale.
Così se si ha paura non si minimizzerà, se si è tristi non si
sdrammatizzerà, se si è arrabbiati non si farà ragionare, se si è incerti
non si rinvierà a domani.
E poi c’è l’ascolto, senza il quale l’intimità è del tutto impossibile.
Ma di questo parleremo occupandoci della comunicazione.
Stiamo esagerando? Non crediamo proprio. Altrimenti che fate
la sera e quando state insieme? Andate in discoteca?
Però ci manca un punto, oltre l’impegno, la passione e l’intimità… ci spiace per la forma triangolare di Sternberg che verrà graficamente stravolta, ma a noi sembra mancare uno degli elementi più
importanti della vita di coppia: mancano l’evoluzione e la crescita.
Ve l’immaginate che noia, senza cambiamenti, senza imparare
cose nuove, senza creatività, e poi, insomma, la staticità in Natura
non esiste.
La coppia che non si rinnova si separa o perché uno dei due
prima o poi, senza neanche accorgersene, comincia a guardarsi attorno
e vede la bellezza del mondo in movimento, oppure perché entra in
gioco il famigerato terzo a scompaginare un ménage stantio. Molti
si separano, pur se «solo» psicologicamente, anche mantenendo la
convivenza perché si consumano da dentro reiterando per anni sempre
gli stessi gesti, sempre le stesse azioni, le stesse vacanze, gli stessi cibi,
le stesse «posizioni», gli stessi discorsi.
Quando mancano gli stimoli esterni non si ha progressivamente
più niente da comunicarsi. Insomma, anche l’amore, se le persone
non arricchiscono la loro personalità, alla fine finisce per diventare
una consuetudine che non attiva più l’elemento costitutivo della
pulsione alla crescita: la curiosità.
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Per questo le persone che si amano devono avere vite anche
separate, devono diventare un po’ diverse nel tempo, imparare cose
nuove, vivere altre esperienze, valorizzare altre parti di sé, magari
sconosciute a se stesse e tanto più al partner che ne sarà sorpreso e
incuriosito.
Smettere di crescere vuol dire morire, perfino le nostre cellule
cerebrali se non vengono stimolate muoiono, e ne muoiono già a camionate per conto loro. L’amore si rinnova se le persone si rinnovano,
se vanno e poi tornano a raccontare, a portare anche all’altro la novità,
se la crescita individuale è accolta e supportata festosamente dall’altro
come supporto alla sua autorealizzazione al suo rinnovamento. Altro
che gelosia, altro che invidia.
Gradini
Come ogni fior languisce e giovinezza
cede a vecchiaia, anche la vita in tutti
i gradi suoi fiorisce, insieme ad ogni
senno e virtù, né può durare eterna.
Quando la vita chiama, il cuore sia
pronto a partire ed a ricominciare,
per offrirsi sereno e valoroso,
ad altri nuovi vincoli e legami.
Ogni inizio contiene una magia
che ci protegge e a vivere ci aiuta.
Dobbiamo attraversare spazi e spazi
senza fermare in alcun d’essi il piede,
lo spirito universale non vuol legarci
ma su di grado in grado sollevarci.
Appena ci avvezziamo ad una sede
rischiamo d’infiacchire nell’ignavia;
sol chi è disposto a muoversi e partire
vince la consuetudine inceppante.
Forse il momento stesso della morte
ci farà andare incontro a spazi nuovi;
della vita il richiamo non ha fine…
Su, cuore mio, congedati e guarisci!
Hermann Hesse, Poesie
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L’amore limpido sa che il fiume è sempre in movimento, che
non esistono due gocce uguali, che l’acqua che scorre non è mai la
stessa, che perfino uno stagno o una pozzanghera sono brulicanti
di vita.
Le persone che amano limpidamente comprendono e amano il
rinnovamento perché sono felici quando la vita dell’altro è felice, così
come sono felici quando l’altro torna fra le loro braccia a raccontare
quanto ha visto nel mondo.
Certo che tutto questo può anche risultare qualche volta faticoso; è difficile, tanto per dirne una, essere disponibili quando si
è stanchi la sera, spesso si vorrebbe mandare al diavolo l’intimità e
guardarsi in santa pace la partita o il film in tivù. Ma proprio questo
è anche bello fare quando si è intimi e reciproci, dire «lasciami stare
stasera» e sentirsi lo stesso accolti e «a casa». È di nuovo la base sicura,
accogliente nella diversità.
Si capisce, no, perché ci piace tanto? Il fatto è che, per tutta la
vita, abbiamo bisogno di questa sensazione di vicinanza comprensiva
e indulgente (altra parola magnifica!).
Fermatevi un attimo ad assaporare questa sensazione di piacere
che tutti proviamo.
Anche mentre leggete, adesso, immaginate di appoggiare le
vostre spalle sul suo petto, liscio o villoso che sia, giovane o vecchio,
sodo o avvizzito, perfino rifatto, quello di lei, o depilato, quello di lui.
Non c’importa più di niente, se chiudiamo gli occhi sentiamo tutto
il nostro corpo morbido accolto e siamo felici, ma dev’essere il suo,
proprio il suo, quello che sappiamo, con certezza, che non ci scrollerà
mai via, neanche dopo. Il suo odore, il suo respiro, il suo silenzio, lì
accanto a noi, parla di pace, di accoglienza, di riposo.
E si è felici e strafelici.
Il signore del trono
Era una signora felice strafelice.
Perché nella sua mente non c’era Nessuno, c’era
Qualcuno.
Qualcuno lì nella sua mente ben stabilmente seduto,
come su di un trono un Re.
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La signora lo guardava fisso e gli faceva dei piccoli
inchini di pensiero sulle scale d’oro del trono.
Quando scendeva la sera il signore si addormentava
nella mente della signora,
la signora allora si muoveva abbastanza piano nelle
stanze per non svegliarlo.
Vivian Lamarque, Poesie 1972-2002
Riassumendo, dunque…
– 9 caratteristica dell’amore limpido: l’impegno
– 10a caratteristica dell’amore limpido: la passione
– 11a caratteristica dell’amore limpido: l’intimità
a
12a caratteristica dell’amore limpido: l’evoluzione individuale
e di coppia
La vita di oggi del resto ci offre continuamente situazioni che
vanno affrontate con nuove informazioni, con nuove competenze,
con nuove saggezze; pensiamo alla nascita dei figli, alla loro uscita dalla famiglia, ma anche i nuovi interessi individuali che man
mano possono evidenziarsi nel corso di un’esistenza, pensiamo ai
cambiamenti dell’età. Ecco, ormai, nella nostra vorticosa società,
complessa e difficile, ogni giorno siamo dentro un flusso evolutivo
che ci richiede nuove abilità, flessibilità, apprendimento e soprattutto
una maturazione come esseri umani nella quale la vicinanza di un
compagno amoroso altrettanto capace di evoluzione è sicuramente
vantaggiosa e auspicabile.
Ma non può essere un altro qualsiasi: in queste situazioni le
relazioni superficiali e occasionali non servono a nulla, serve una
costanza e una presenza stabile nel tempo, serve proprio quella
persona lì, quella persona con cui abbiamo già creato una profonda alleanza. Con quella persona la coppia avrà già esaurito la sua
iniziale funzione conservativa e integrativa, per passare alla sua
funzione evolutiva.
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Non è una necessità di fedeltà, ma piuttosto una necessità di
profonda conoscenza e dunque di durata, di intensità, di condivisione
delle esperienze.
Per questo tendenzialmente siamo monogami, più di quanto
non siamo poligami.
Di nuovo nelle relazioni ci attivano sempre le stesse pulsioni
di autonomia e appartenenza, di evoluzione e sopravvivenza, in
contemporanea, a noi tocca il difficile e sempre provvisorio impegno di capire le nostre priorità e armonizzarle con quelle dell’altro,
affettuosamente.
È questa la crescita della coppia e dell’individuo, è questa l’opera
d’arte da creare durante tutta la vita, la capacità di trovare felicità nella
relazione amorosa mentre ci si autorealizza e mentre si evolve.
Il signore puntino
Non potendolo vedere sempre, quando infine
poteva vederlo lo guardava moltissimo,
fino all’ultimo minuto, fino all’ultimo secondo,
e anche dopo si voltava indietro.
Il signore diventava sempre più piccolo,
ormai era quasi del tutto irriconoscibile,
eppure lei lo riconosceva benissimo,
anche sottoforma di minuscolo puntino laggiù.
Vivian Lamarque, Poesie 1972-2002
Prima di concludere questo capitolo vorremmo però fare ancora
qualche precisazione sull’intimità. Più sopra l’abbiamo definita come
l’autenticità ottenuta con l’amore incondizionato, l’accettazione di sé e
l’accoglienza dell’altro. Una sensibilità che aiuta a corrispondere in tempo
reale ai reciproci bisogni emotivi in diverse situazioni.
E tuttavia dobbiamo ancora spiegare cosa intendiamo per autenticità, una parola che spesso viene fraintesa, così come del resto
avviene per la parola spontaneità.
Vediamo di chiarire.
Spesso ci troviamo di fronte a persone manierate, formali,
contegnose, persone con atteggiamenti convenzionali, freddi e di219
staccati, oppure baldanzosi e arroganti, si fa fatica quasi a guardarle
negli occhi, per non parlare di toccarle. Con loro anche una stretta
di mano sembra un avvicinamento eccessivo.
E ne siamo inevitabilmente respinti. È più forte di noi, perché
qualsiasi schermo, qualsiasi copertura, non necessariamente in forma
di ritiro, ma anche quando si traveste da grande e ostentata gentilezza,
immediatamente ci mette in guardia. Il nostro intuito di esseri umani
ci allarma, ci rende sospettosi, annusiamo l’aria e sentiamo un vago
odore di coltre fumogena. Quando ce ne accorgiamo ci domandiamo
immediatamente cosa nasconda tutta quella cautela o quel sovrabbondare di parole e gesti, la diffidenza subito si impadronisce di noi:
«Ma che vuole questo?».
Niente di grave, ovviamente, se questi atteggiamenti sono solo
un’iniziale circospezione, un pudore, una ritrosia, un imbarazzo, un
temporaneo formalismo di facciata che spesso si scioglie dopo qualche
chiacchiera, dopo un paio di appuntamenti e, perché no, con l’aiuto
di un buon bicchiere di vino, nostro ammorbidente preferito.
Il problema è invece molto diverso se ci troviamo di fronte a
quello che, in genere, viene definito «un falso sé» oppure «una personalità anaffettiva» o un «iperadattamento», una struttura di personalità ormai stabilizzata per proteggere, nascondendoli, i pensieri,
i comportamenti e le emozioni più vere della persona.
L’identità è in questo modo coperta e sostituita da un soprabito,
diciamo così, buono per tutte le occasioni e soprattutto il più possibile anonimo e inespressivo. Una divisa, insomma, che, come tutte
le divise, serve a mettere in secondo piano l’individualità rispetto al
ruolo. Come soldati o religiosi, queste persone non possono apparire
né mostrare ciò che sono veramente: sono esclusivamente il loro
ruolo sociale.
Naturalmente ce ne sono di tutti i tipi e gradazioni, ma la loro
caratteristica principale è quella di aver coperto, in età precoce, le
fondamentali manifestazioni emotive con una glaciazione solenne
che tutto ammoscia, edulcora, omogeneizza e comprime.
La comunicazione con loro diventa allora piatta e superficiale,
così come le emozioni e i sentimenti naturali, che vengono ovattati
oppure addirittura sostituiti con quelli consentiti e ritenuti leciti
dalle famiglie d’origine.
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Queste persone hanno spesso ricevuto l’ingiunzione «non sentire»,
oppure «non essere te stesso» o anche «non mostrare le emozioni».
Insomma sono state, per dirla in termini colloquiali, «anestetizzate», letteralmente snaturate e raggelate.
In questo senso non possiamo più definire spontaneo il loro
modo di esprimersi o di reagire agli stimoli, perché questo modo automatico e stereotipato è in larga misura il sostituto difensivo proprio
della spontaneità, della naturalezza, della schiettezza del vivere sociale
originario, tendenzialmente amichevole e affettivo.
Fanno sì vedere quello che sono, ma quello che sono è solo
una pallida rappresentazione del vero sé. Qualche volta mostrano
emozioni, ma sono sempre le stesse che hanno imparato da bambini
e che hanno sostituito quelle vere, spontanee e naturali.
Qualcuno nella sua famiglia d’origine non poteva alzare la voce
e arrabbiarsi e allora doveva sostituire quella naturale aggressività con
altre reazioni, tipo allontanarsi immusonito, bofonchiando fra sé e
sé. Qualcuno, non potendo mostrare apertamente il suo disaccordo,
imparava a fare capricci e provocare o ancora a chiudersi in se stesso
accampando scuse, come la stanchezza, ad esempio, accettabili in
quella famiglia. Qualcuno ancora, non potendo chiedere affetto e
coccole, allora si ammalava per ottenere, almeno, un po’ di considerazione e attenzione.
Tenere il muso, brontolare fra sé e sé, provocare, isolarsi, fare la
vittima, stare male fisicamente, anestetizzarsi sono fra i più consueti
modi (comportamenti e sentimenti sostitutivi) con cui da bambini
impariamo a difenderci se le nostre reazioni naturali sono state sistematicamente frustrate.
Tentare di abbracciare un genitore respingente è altrettanto
doloroso che cercare di imporre i propri gusti in una famiglia che
svaluta costantemente gli orientamenti individuali. Per questo dopo
un po’ smettiamo, a costo di snaturarci.
Come abbiamo visto nel secondo capitolo essere accettato e
ben voluto dai genitori è, per un bambino, sempre la motivazione
prioritaria al comportamento. Sopravvivere in quella famiglia, con
le sue regole e le sue condizioni, val bene la rinuncia anche di una
parte dei propri orientamenti esistenziali, di alcuni bisogni di base
e delle relative capacità.
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Esiste tutta una letteratura su come gli esseri umani smettono
di essere autentici e assumono emozioni e comportamenti «parassiti»,
così si chiamano, che si portano dietro dall’infanzia come la faccia
da mostrare, in automatico, in tutte le occasioni.
Ma non confondiamo ciò che percepiamo come automatico e immediato con ciò che è naturale e spontaneo per un essere umano.
E poi ci sono quelli che hanno letteralmente messo la sordina
a tutto il loro sentire, non possono provare né piacere, né dolore, e
dunque non possono nemmeno sentire la mancanza, la solitudine,
il bisogno dell’altro.
Si muovono nella vita come se non avessero bisogni affettivi, ma
solo materiali; alla fine in un compagno o in una compagna cercano
solo un alleato per costruire una famiglia, per mettere su casa, per
fare carriera, per essere «normale».
Dobbiamo ben dire che un certo adattamento è necessario,
che un qualche livello di anonimato e di formalismo è pur sempre
utile nelle relazioni sociali, ma qui stiamo parlando di veri e propri
Copioni di vita, formatisi nell’infanzia e diventati personalità e
modelli di comportamento abituali che non riescono più a passare
da un primo incontro, in cui ci si annusa, prudenti e curiosi, a un
susseguirsi di reciproche aperture che possano portare, se tutto va
bene, alla nudità e alla verità. Restano in superficie, e questo basta
loro; è troppo pericoloso avvicinarsi e mostrarsi come si è.
Dai rituali dei primi contatti formali, ai passatempi come chiacchiera rilassata o scaramuccia maliziosa, tanto per conoscersi un po’ di
più, alle attività operose fatte insieme, fino alle prime aperture verso
le diverse tipologie di intimità, gli incontri fra esseri umani sono un
vero e proprio tragitto verso la con-fidenza (altra parola bellissima)
che le persone possono percorrere insieme, con disponibilità e rispetto
dei tempi e dei modi dell’altro.
Con una grande attenzione, ovviamente, anche ai messaggi di
ritorno che, dobbiamo accettarlo, possono essere qualche volta un
«altolà», qualche volta un «non più di così», qualche volta un «non
adesso», ma anche un curioso «via libera».
«Con-fidare» nei propri simili e nel prossimo è per gli esseri
umani una condizione di sopravvivenza, conoscersi, integrarsi con
i vicini, sentirsi protetti e solidali, è raggiungere, attraverso il senso
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di appartenenza, la sicurezza materiale psicologica di cui abbiamo
bisogno in tutte le età della vita.
Il modo in cui trascorriamo il tempo con le persone è poi, in
ultima analisi, ciò che differenzia un rapporto fra colleghi, conoscenti,
amici e compagni di tutta la vita. Ci si conosce progressivamente
aprendo la propria finestra e lasciandosi guardare dentro, con un
tacito e forse anche universale obiettivo: poter essere se stessi veramente con il numero di persone necessario alla propria sopravvivenza
e alla propria felicità.
Arrivare all’intimità non è facile dunque e, come dicevamo, molte
persone non solo non sono capaci di essere intime con gli altri, ma a volte
non lo sono nemmeno con se stesse. In questo senso non sono autentiche
«per se stesse».
Per ottenere una relazione amorosa intima bisogna prima di
tutto saper essere intimi personalmente, con gli altri e con se stessi,
dobbiamo ripeterci e dire ancora che, anche dal punto di vista dell’intimità, non ci si può prendere «cura» di una coppia senza prendersi
«cura» degli individui che la compongono, se non sono, loro per
primi, capaci di autenticità, profondità e comprensione di sé.
Autenticità e naturalezza implicano la capacità di provare emozioni
e sentimenti veri e genuini, la capacità di lasciar trasparire gli stati d’animo, oppure coprirli temporaneamente se è il caso, magari per delicatezza
verso gli altri, ma mai negarli o camuffarli. Essere capaci di vedersi e
lasciarsi vedere. Accettarsi come si è senza vergogna. Essere intimi con
se stessi significa guardare con compassione i propri difetti e le proprie
rigidità, i propri dolori e le proprie perdite, amarsi incondizionatamente
e proprio per questo poter mostrare anche i propri limiti.
Mi presento, eccomi qui, io sono così!
Accettare gli altri, così come sono, con i loro limiti ne è l’inevitabile conseguenza.
Una crescita individuale nel senso della progressiva riappropriazione dell’autenticità è possibile proprio all’interno di una
relazione amorosa intensa e continuata nel tempo, proprio perché è
il tempo trascorso insieme che ci permette di scoprirci e denudarci
progressivamente, proprio perché è lo sguardo amoroso e accogliente
dell’altro che facilita lo smascheramento delle nostre coperture e delle
emozioni sostitutive.
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È l’amato che ci può aiutare a uscire dal broncio e dall’isolamento quando siamo arrabbiati, che può liberare finalmente, e senza
pudore, il naturale bisogno di coccole o aiuto, che può chiederci di
cosa abbiamo bisogno quando facciamo i capricci o provochiamo.
È l’altro che ci può aiutare a uscire dai nostri comportamenti
sostitutivi copionali, a riavvicinarci all’autenticità dei nostri bisogni
e a poterli finalmente soddisfare.
Proprio per questo Viviana Geron, una nostra amica insegnante
di «biodanza», per avviare a sperimentare l’intimità relazionale, fa
danzare (ma guarda un po’) l’intimità con il peggio di se stessi: «mette
a palla» una musica tostissima, urlata e pestata, e invita a mimare
le proprie rigidità, i rifiuti, le prevenzioni, le parti «malmostose» o
rifiutanti, prevenute o arrabbiate. Poi dopo un po’, fa abbracciare le
persone fra loro, ancora tutte grondanti rabbia, durezza e sudore,
al ritmo di una dolcissima e pacificante «Love me tender» di Elvis
Presley. Fa accogliere e «amare teneramente», appunto, quel lato B
del disco di ognuno, la nostra ombra non più negata, la vergogna
sciolta in acido, o meglio ancora, sciolta in un amorevole abbraccio.
«Uno sballo!» Poi, non contenta, abbassa le luci e chiede di ricordare
le persone perdute, quelle che, se pure ormai fuori dalla nostra vita,
ancora sostano nella mente per amore o riconoscenza o dolore.
Sentire la tristezza della perdita, dell’abbandono, magari del
tradimento o del naufragio, abbandonarsi allo straziante dolore per
la morte di un genitore o della compagna di una vita, è un’esperienza
che incredibilmente apre alla vita stessa, ne dà una dimensione epica
ed eroica, e consapevole della fortuna che hanno i sopravvissuti. Siamo
accompagnati verso il dentro (in-timus), verso ciò che è, ed è stato,
veramente importante per la nostra vita.
Tutti portano con sé la «presenza» di qualcuno intensamente
amato e solo fisicamente perduto, e quella dignità condivisa della
sofferenza, quegli sguardi reciproci pieni di lacrime ci restituiscono
un’ancestrale e profondissima vicinanza nel dolore, come ormai si
può vedere solo nelle prime file di qualche funerale «vero».
In un attimo tutti siamo consapevoli che la vita è anche perdita, ma che, allo stesso tempo, la perdita può essere minore se non
lasciamo andare, se teniamo in vita, col pensiero, se stiamo ancora
vicini alle persone perdute.
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Così ci sono molti sorrisi a raccogliere quelle lacrime.
Quasi non ci si crede, da quanto poco siamo abituati.
Anche così ci rendiamo consapevoli di quanto siamo cagionevoli,
insicuri e certi della nostra stessa fine. E che l’unico antidoto è tenersi
per mano, abbracciarsi, stare vicini e guardare in faccia la realtà.
Per questo, alla fine, senza che nessuno dica niente, tutti si avvicinano per un abbraccio finale, nemmeno troppo triste, fra esseri
umani veri.
Intimità con se stessi, nelle perdite e nelle difettosità, e con gli
altri.
E, forse, è proprio questo il punto d’arrivo dell’intimità, oltre il
due, ché il due, dopo un po’, non basta più.
n fulmine si è abbattuto.
U
Non c’è colpa, né dolo
non rimprovero, non lamenti
solo la mia parte di dolore.
Donata in sorte
una vita così immeritata
non sa prevedere doni o disgrazie.
Sento ogni singola goccia di dolore
fra stupore e rimpianto.
Oggi sono un grappolo d’uva
grandinato, domani forse foglia al vento,
danzante. Faccio la mia parte come tutti,
nulla di più di quello che capita
a vivere: soffrire e gioire.
Ci si sente così a tornare da una guerra, vinti o vittoriosi
solo sopravvissuti. Potremo ancora ridere?
Lavarci via questo terrore dalla pelle?
Potremo guardare in faccia le donne
che cercano fra noi i loro morti?
Noi che passiamo, quasi ci scusiamo.
Tempo, passerà, tanto tempo prima di alzare gli occhi
e cercare nuovi sorrisi, senza la colpa di essere vivi.
Potremo innamorarci ancora del tanto
che avremo? E che eravamo, e del poco
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che siamo? Nudi il corpo e l’anima,
mostreremo le ferite. Sì lo faremo!
Sono le nostre medaglie,
il dignitoso orgoglio di essere umani.
Restare in vita così, fra vivi e morti, rende evidente
il senso corale della vita.
G. P.
L’amore che non avvicina ciò che siamo veramente è solo simpatia, stima magari, ma non accende, non scalda l’essenza più profonda e
vera di noi, si limita a spennellare la superficie, a rinfrescare la facciata,
mentre le fondamenta restano nascoste, sempre trascurate e dunque
più fragili e sempre più sospettate di essere impresentabili, sempre
più corrose dagli agenti atmosferici e dal tempo che passa.
E allora, alla fine, basterà una scossa di terremoto per rilevare
la gracilità di tutto l’impianto. Senza un’anima di cemento armato,
senza fondamenta, senza radici robuste e ben nutrite, la nostra parte
emersa rimarrà sempre e solo una baracca solitaria appena appoggiata
su quel terreno, continuamente scivoloso e franoso, che è la vita.
Allora anche un brutto voto, la morte di una persona cara, la perdita
del lavoro, il tradimento dell’amato potranno avere conseguenze
disastrose su quelle menti e quelle radici insicure, il dolore diventerà
insostenibile, come fosse un naufragio inevitabile.
Anche se autentici del tutto, com’era il nostro Bambino Naturale all’inizio della nostra vita, non lo saremo mai, certo se vogliamo
costruire una relazione affettiva intima, duratura e utile ad accompagnare il nostro cammino, dobbiamo almeno cercare di perseguire
il massimo di quella naturalezza che ci è stata data all’origine.
Poter sentire e provare le emozioni e i sentimenti naturali, poter
crescere, evolvere, essere sani, proteggersi, pensare con la propria
testa, essere vicini e affettivi, appartenere, essere importanti, trovare
significato nella propria vita, ecc., sono i sacri e inviolabili diritti di
ciascun essere umano, non ci stanchiamo di ripeterlo, sono le nostre
specificità in Natura.
Questa è la nostra autenticità originaria.
L’intimità è la condivisione di questa umanità.
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Sarebbe stata da proteggere e coltivare nell’infanzia, ora sarà da
riscoprire e attivare nelle relazioni d’amore, nell’età adulta.
Autenticità e naturalezza sono le doti individuali che rendono
possibile una relazione intima amorosa, sono le condizioni per trasformare un’alleanza del fare in un’alleanza dell’essere. Insieme. Un grande
sostegno per la vita.
Ecco, ora possiamo anche riassumere le diverse tipologie di
intimità, e lo facciamo proponendo due schemi: uno mette in primo
piano le emozioni autentiche e l’altro le modalità di espressione degli orientamenti esistenziali, in questo modo diamo un’idea di cosa
intendiamo per autenticità e possibilità di entrare in intimità.
Naturalmente essere intimi non vuol dire, come già abbiamo
accennato, corrispondere in ogni caso e immediatamente alle richieste
espressive o ai bisogni relazionali, ma semplicemente esserne capaci e
saper offrire al proprio compagno un’accoglienza sufficiente sul piano
emotivo nel momento del bisogno, ben sapendo che l’uguaglianza e
la reciprocità sono le premesse indispensabili perché il rapporto non
si sbilanci e non diventi simbiotico.
Ricordiamo che non stiamo parlando di essere d’accordo con
quanto accade o di condividere la reazione, ma semplicemente di
accogliere le emozioni per favorirne lo sfogo, anche contenendole
se diventassero distruttive, ma con l’obiettivo, prima o poi, di
comprendere ciò che le ha generate e rivitalizzare la capacità razionale di risolvere il problema. A una persona spaventata non si può
chiedere una ricostruzione lucida dell’accaduto, né si può invitare
a ragionare e tanto meno a sdrammatizzare chi è in lacrime per la
perdita di una persona cara, allo stesso modo bisogna prendere sul
serio la rabbia e l’indignazione prima di far emergere obiezioni e
controdeduzioni.
Non c’è nulla che fa arrabbiare di più, e lo sappiamo tutti, di
qualcuno che ti vuol far ragionare e pensare positivo quando sei
fortemente alterato. (Sgrunt).
In questo senso ogni emozione richiede una risposta specifica,
ma anche una certa riflessione di chi la accoglie per saper decidere
quanto lasciar emergere o contenere, oppure al contrario quanto
soffiare sul fuoco per sfiatare l’energia compressa accumulata.
Vediamo prima di tutto le emozioni (tabella 8.1).
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TABELLA 8.1
Emozioni e atteggiamenti accoglienti
Emozioni di base
Atteggiamenti accoglienti
Tristezza
Compassione, pena, dispiacere, condivisione
Paura
Protezione, attenzione, potenza nell’aiutare
Rabbia
Serietà, valutazione dei fatti, comprensione
Gioia
Entusiasmo, allegria, condivisione
E poi c’è tutta l’area degli orientamenti esistenziali (tabella 8.2).
Per ciascuno di essi abbiamo impulsi e bisogni autentici che anche
da adulti dovremmo conoscere e saper esprimere; ricordiamo infatti,
come abbiamo ampiamente mostrato nel primo capitolo, che dalla
nostra capacità di contattarli e soddisfarli dipende la nostra felicità.
Se saremo aiutati dal nostro partner, di certo, avremo vita più
facile.
Svariati sono, come si vede, i modi in cui possiamo essere intimi:
quello sessuale, si intende, in questo senso prevalentemente attuato
per soddisfare l’appartenenza, ma ci sono anche le coccole, i giochi
e il prendersi cura dell’altro.
C’è l’intimità del fare le cose insieme, in silenzio o discutendo o
ascoltando musica, del chiedere e trovare aiuto, nell’area della conoscenza e della crescita. C’è l’intimità del lasciar esprimere, del guardare
con approvazione e orgoglio le attività dell’altro, del far notare limiti
e difetti amorevolmente, nell’area dell’autorealizzazione, ecc.
Chi ha familiarità con l’Analisi Transazionale (ma gli altri possono leggere qualche accenno in proposito nel capitolo dodicesimo,
riquadro Gli stati dell’Io) avrà anche notato che ciascuna di queste
tipologie coinvolge diversi Stati dell’Io, cioè diverse parti della nostra
personalità: a volte si è in intimità attivando la parte Genitoriale
che si prende cura della parte Bambina dell’altro, a volte l’intimità
si raggiunge con le parti Adulte e razionali che collaborano insieme
in qualche attività finalizzata. In altri casi ancora ci lasciamo andare
insieme con le nostre parti Bambine che giocano e si divertono o
fanno l’amore, oppure ancora accordiamo e confrontiamo i sistemi
di valore con gli Stati dell’Io Genitoriali.
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TABELLA 8.2
Orientamenti esistenziali e modalità accoglienti
Espressione autentica e
geneticamente trasmessa degli
orientamenti esistenziali
Modalità accoglienti che ne
favoriscono la realizzazione
Stimoli
Risposte
SOPRAVVIVENZA
Essere vitali, affidarsi, chiedere
carezze, cercare protezione, aiuto,
limiti e struttura, esprimere desideri
e bisogni
PUOI ESISTERE, ESSERE SANO,
IMPORTANTE
Accudire, prendersi cura, abbracciare, proteggere, dare limiti, soddisfare direttamente o aiutare a
soddisfare
APPARTENENZA
Amare e desiderare l’altro, sorridereesprimere tenerezza, entusiasmo,
sensualità, solidarietà e senso di
giustizia
PUOI AMARE, ESSERE INTIMO,
GODERE
Accogliere gli afflati, mostrare
desiderio, corrispondere e rispecchiare l’affetto, fare regali, offrirsi,
proteggere
CONOSCENZA
Curiosare, chiedere, interessarsi,
discutere, coinvolgere, fare insieme,
stimolare, emulare
PUOI CRESCERE, ESPLORARE,
RIUSCIRE
Ascoltare, lodare in pubblico e in
privato, collaborare, apprezzare,
criticare, dare importanza, dare
feedback
AUTOREALIZZAZIONE
Inventare, sognare, fare a modo
proprio, immaginare, riflettere, fare
progetti, fantasticare, divergere,
opporsi
PUOI ESSERE TU, AUTONOMO,
DIVERSO
Accogliere gli stimoli, lasciar andare e lasciar fare, dare contributi,
rispettare, lasciarsi influenzare,
proteggere
In tutti questi casi possiamo raggiungere quello stato di autenticità, di libera espressione e accettazione di noi e nel contempo di
accoglienza affettuosa dell’altro, che chiamiamo intimità.
Un grandissimo alleato per la coppia, ma anche per le persone
singole nei loro rapporti di amicizia, per il benessere di tutti i giorni,
per le possibilità evolutive, per la capacità di risolvere i problemi,
per la realizzazione degli obiettivi propri e a due, per sentirsi sicuri e
confidare nel prossimo e nei propri simili.
Non dimentichiamo che tutti i primati ricorrono a lunghi
rituali di amicizia e quanto più è grande il gruppo, tanto più tempo
gli dedicano. Si tratta del grooming, quel tempo occupato a pulirsi
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reciprocamente che ha proprio la funzione di rendere coeso e pacifico
il gruppo al suo interno. Ecco, per noi umani tutto il processo che
abbiamo descritto in questo capitolo ha questa stessa funzione: dai
rituali, ai passatempi, dalle chiacchiere al bar, ai party, o in piazza,
alle più profonde intimità sessuali è tutta una ricerca di possibilità di
affidamento e accoglienza amichevole con i propri simili.
A diversi livelli e a diversi gradi rinsaldiamo i diversi tipi di
rapporto attraverso il linguaggio che diventa, però, via via più significativo e coinvolgente a seconda dell’utilità della relazione desiderata
dalle persone.
Colloquiando possiamo interagire con un numero altissimo di
«altri», ne comprendiamo, ovviamente anche attraverso tutto il non
verbale, le intenzioni, le qualità, gli interessi, i gusti e nel frattempo
«socializziamo», ci rassicuriamo e ci proteggiamo, a volte anche
mantenendo la nostra distanza di sicurezza.
La complessità della mente umana implica differenze enormi
fra le persone, e sappiamo quanto possiamo essere pericolosi, per
questo abbiamo bisogno di molto tempo per conoscerci, scoprirci,
poterci fidare e diventare finalmente intimi.
Per vivere tutta una vita insieme o anche solo per uscire a cena
o realizzare un progetto di lavoro.
Tutto questo, come dicevamo, ci protegge, ci rassicura, rinsalda
la nostra autostima e la nostra identità e contemporaneamente ci
pacifica e ci rende felici ogni volta che ci riusciamo. Ci sembra che
valga proprio la pena occuparsene seriamente.
la lunga interminabile
È
conversazione delle donne,
sembra una cosa da niente,
questo pensano gli uomini;
neanche loro immaginano
che è questa conversazione
che trattiene il mondo nella sua orbita.
Se non ci fossero le donne
che parlano tra loro
gli uomini avrebbero già perso
il senso della casa e del pianeta.
José Saramago, Poesie
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