L`evasione dell`IVA all`importazione quale autonoma fattispecie di

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L`evasione dell`IVA all`importazione quale autonoma fattispecie di
L’evasione dell’IVA all’importazione quale autonoma fattispecie di reato – Tributo interno o diritto di confine ? di Michele Petito e Tommaso De Angelis1 La giurisprudenza penale di legittimità ha spesso fornito orientamenti interpretativi contrastanti in merito alla esatta qualificazione dell’IVA all’importazione, ipotizzando la natura di diritto di confine in alternativa a quella più generale di imposta di consumo. Un primo orientamento giurisprudenziale2 riteneva arbitrario considerare il diritto di confine assorbente o sostitutivo dell’IVA. Infatti, la diversa finalità dei prelievi in discorso, consentiva di confermare la diversa oggettività penale del reato in caso di evasione: doganale per l’IVA all’importazione e fiscale per l’IVA nazionale. Tale orientamento determinava una definizione della evasione (o della tentata evasione) dell’IVA in dogana non quale delitto di contrabbando, previsto e punito dagli artt. 282 e seguenti del D.P.R. n. 43 del 23 gennaio 1973 (T.U.L.D.), ma quale reato di evasione dell’IVA all’importazione, previsto dall’art. 703 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e ss.mm. Il medesimo articolo stabilisce che l’IVA sulle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione dall’autorità doganale, secondo il meccanismo di accertamento e riscossione proprio dei diritti di confine. Il dispositivo normativo non si limiterebbe a rinviare alla normativa doganale la sola modalità di accertamento del tributo, ma andrebbe oltre, nella parte in cui prevede che, anche alle controversie ed alle sanzioni per l’IVA all’importazione si applica la normativa doganale. Un secondo orientamento giurisprudenziale4 riteneva che tale interpretazione fosse in contrasto con l’art. 34, co.2 del D.P.R. n. 43/1973, nella parte in cui si annoverano, tra i diritti di confine, non solo i dazi ma anche le imposte di consumo. In particolare, l’art. 34 del D.P.R. n. 43/1973, afferma che: “si considerano diritti doganali tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali. Fra i diritti doganali costituiscono diritti di confine: i dazi all’importazione e quelli all’esportazione, i prelievi e le alte imposizioni all’importazioni o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le 1
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Funzionari della Agenzia delle Dogane – Direzione Regionale per la Lombardia ‐ Area Antifrode Cass. pen. sent. n. 3221/1988; n. 7932/1998; n. 117/1985. 3
“l’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine.” 4
Cass. pen. sent. n. 1230/1988; n. 5370/1998; n. 1630/1997. merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato”. Pertanto, secondo quest’ultimo orientamento, l’IVA, quale imposta generale sul consumo, rientrerebbe a pieno titolo tra i diritti di confine e conseguentemente la relativa evasione della stessa costituirebbe contrabbando, al pari di quella avente ad oggetto i dazi doganali. In parole più semplici, se tutte le imposte di consumo gravanti sui prodotti provenienti da paesi terzi, vengono riscosse all’atto dell’importazione e per questo motivo sono annoverate tra i diritti di confine, non si può ipotizzare un trattamento diverso per l’imposta sul valore aggiunto. Appare evidente che la risoluzione della “vexata quaestio” verte sul corretto inquadramento giuridico dell’IVA all’importazione, qualificandola o meno come imposta di consumo. Preliminarmente è fondamentale tener presente che, in virtù dell’art. 34 del D.P.R. n. 43/1973, i diritti doganali sono tali se riscossi dall’autorità doganale in forza di una legge ed in relazione ad una operazione doganale. Ciò per far comprendere che non tutti i tributi riscossi dall’autorità doganale rientrano tra i diritti doganali. Infatti, l’autorità doganale è competente a riscuotere i diritti per conto di altre amministrazioni pubbliche o per conto di enti diversi dallo Stato, che nulla hanno a che vedere con le operazioni doganali e quindi con i diritti doganali. Si pensi ad esempio alla tassa di ancoraggio delle navi, ai contributi per conto di alcuni enti ed organismi nazionali, alla tassa di circolazione ed al diritto fisso relativo a trasporti soggetti in ragione di accordi bilaterali. L’IVA, invece, essendo riscossa dall’autorità doganale in relazione alle operazioni di importazione è un vero e proprio diritto doganale, così come definito dall’art. 34 del D.P.R. n. 43/1973. Il problema ora è chiarire se l’IVA, oltre ad essere un diritto doganale, può rientrare, come imposta di consumo, tra il novero dei diritti di confine tassativamente indicati dall’art. 34 del D.P.R. n. 43/1973. L’art. 1 del D.P.R. n. 633/72 stabilisce testualmente che “l’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”. Pertanto, già dal dispositivo letterale dell’art. 1, si evince che l’IVA all’importazione non può essere inquadrata tra le imposte di consumo, in quanto la stessa colpisce le importazioni da chiunque effettuate, a prescindere dalla qualificazione soggettiva dell’importatore (persona fisica o giuridica). In altre parole è irrilevante che l’introduzione di beni esteri nel territorio nazionale sia effettuata da un’esercente un’impresa, arte o professione oppure da un consumatore finale. L’obbligazione doganale del pagamento dell’IVA sorge indifferentemente a carico di un privato o di un soggetto passivo, anche se quest’ultimo potrà avvalersi, successivamente, del meccanismo della detrazione previsto dall’art. 19 del D.P.R. 633/1972, ove ne ricorrano i presupposti. Questa affermazione è confermata dalla Corte di Cassazione, II sezione penale, che con sentenza n. 117 del 14/03/1985, ha chiarito in via definitiva che “l’imposta sul valore aggiunto non può essere considerata alla stregua di un’imposta di consumo in favore dello Stato, ai sensi dell’articolo 34 del D.P.R. 43/1973, sia per la specialità delle violazioni finanziarie, sia perché l’articolo 1 del D.P.R. 633/72 stabilisce che essa si applica sulle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio delle imprese, di arti e professioni, nonché sulle importazioni da chiunque effettuate e non già sui soli consumi”. In questa stessa ottica si è posto il legislatore nazionale che, con il D.Lgs. n. 507/1999, nel prevedere la depenalizzazione del delitto di contrabbando, ha determinato in 4.000 euro i limite dei diritti (di confine o IVA) per far assumere alla violazione mera natura amministrativa, giusto quanto previsto dall’art. 295 bis del D.P.R. n. 43/1973, qualora non ricorrano le ipotesi di contrabbando aggravato, previste dal co. 2 dell’art. 295. Nello specifico, il legislatore ha precisato che, nel calcolare il limite di rilevanza penale dell’illecito, non bisogna operare un cumulo tra i diritti di confine e l’IVA. In altre parole, tale limite deve essere calcolato separatamente per le due categorie di tributi, come precisato dal Dipartimento delle Dogane (ora Agenzia delle Dogane) con nota prot. n. 50 del 15 gennaio 2000. Quindi, il legislatore nazionale ha tenuto ben distinti i due tributi, proprio nella considerazione che l’IVA all’importazione non è riconducibile alla categoria dei diritti di confine ma può essere, tuttavia, ad essa assimilata dal punto di vista applicativo, per espresso rinvio operato dall’art. 70 del D.P.R. n. 633/72. Pertanto, l’IVA all’importazione deve essere considerata un diritto doganale, assimilabile ai diritti di confine, la cui evasione costituisce autonoma fattispecie di reato di evasione dell’IVA all’importazione, prevista dall’art. 70 del D.P.R. n. 633/72, punita con le stesse pene previste per il contrabbando per espresso rinvio “quod poenam”. La Corte di cassazione, III sezione penale, nella sentenza n. 16860 del 17 marzo 2010, confermava l'esistenza del reato di evasione dell'IVA all'importazione, punibile secondo il rito doganale, considerando l'IVA all'importazione una sorta di diritto dovuto all'introduzione dei beni nel territorio doganale, classificabile come tributo doganale ai fini sanzionatori. Con recenti sentenze la Suprema Corte è tornata sull’argomento, rivedendo alcune precedenti interpretazioni. Per le particolari ipotesi in cui non si realizza il reato di contrabbando, la III sezione penale, con sentenza n. 37044 del 26 settembre 2012, afferma di aver avuto modo di esaminare in diverse occasioni le questioni che concernono l'applicabilità dell’art. 70 alle operazioni commerciali poste in essere con Paesi che hanno stipulato specifica convenzione con le istituzioni comunitarie. Secondo la Suprema Corte le operazioni di importazione da quei Paesi (segnatamente con la Confederazione Elvetica) non sono soggette alle conseguenze penali del reato di contrabbando, ma possono costituire oggetto di autonoma violazione quale evasione di un tributo "interno", con l'unico limite del divieto di doppia imposizione5. L'Accordo stipulato il 19 dicembre 1972 tra la Comunità Elvetica e la Comunità Europea prevede all'art. 3 che i dazi doganali all'importazione negli scambi tra la Svizzera e la Comunità sono gradualmente soppressi (con eliminazione totale a far data dal 1 luglio 1977) e che "nessun nuovo dazio doganale all'importazione viene introdotto", aggiungendo poi, all'art. 6, che "nessuna nuova tassa di effetto equivalente a dei dazi doganali all'importazione è introdotta negli scambi tra la Comunità e la Svizzera". Resta salva la facoltà di riscossione dell'IVA all'atto dell'ingresso delle merci nel territorio degli Stati aderenti all’Unione, trattandosi di imposta il cui presupposto finanziario è diverso da quello dei dazi doganali6. La Corte, pertanto, considera l'IVA come “un tributo interno che, secondo i principi del Trattato CE, è dovuto allo Stato al momento dell'ingresso delle merci, a meno che non si provi che il tributo è già stato assolto anteriormente, sia pure al momento dell'esportazione dallo Stato di provenienza”. Secondo la Corte tale conclusione appare del tutto in linea con la decisione della Corte di Giustizia che ha affermato che l'IVA all'importazione costituisce un tributo interno e non una tassa ad effetto equivalente al dazio doganale (sentenza del 25 febbraio 1998 nella causa n. 299/1986). Con sentenza del 11 dicembre 2012, n. 1172/2012, la III sezione della Cassazione Penale, afferma che il reato di evasione dell’IVA all’importazione, con riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, e D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292, “non è configurabile, nel caso di merci importate dalla Repubblica di San Marino nel territorio italiano, in quanto, a seguito dell’Accordo di cooperazione e di unione doganale tra la Comunità Europea e la Repubblica sammarinese, in vigore dal 28 marzo 2002, gli scambi doganali con l’Italia sono effettuati in esenzione da tutti i dazi all’importazione ed all’esportazione”. La Corte ribadisce che non si può far rientrare l’IVA all’importazione tra i diritti di confine come ritenuto dalla giurisprudenza più risalente nel tempo, che qualificava detta imposta come “uno dei diritti di confine, avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta esclusivamente alla dogana in occasione della relativa operazione di importazione” sottolineando che “la sottrazione dell’IVA all’importazione è, quindi, sottrazione ad un diritto doganale di confine, sanzionata esclusivamente dalla legge doganale come reato di contrabbando” (Cass. Penale, Sez. III n. 1298 del 1/8/1992). Secondo la Suprema Corte, tale impostazione deve essere oggi considerata obsoleta, in quanto da tempo superata perché in contrasto con lo stesso dato normativo che rimanda alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine soltanto “quoad poenam”. 5
Cassazione penale, sez. III, n. 36198 del 4/7/2007, n. 16860 dei 17/3/2010, n. 42073 del 6/10/2011 6
Cassazione penale, sez. III, n. 22555 del 30/6/2002, n. 17432 del 9 maggio 2005 Con recentissima sentenza del 15 gennaio 2013, n. 1863, la III sezione penale ha confermato tale orientamento, affermando che l’evasione dell’IVA all’importazione non può essere assimilata alla fattispecie di evasione dei dazi doganali che resta, in tal modo, distinta. L’IVA all’importazione ‐ continua la Corte ‐ è dovuta, in linea generale, anche nelle importazioni dalla Svizzera. Infatti, “… in base all’art. 4 dell’Accordo del 19 dicembre 1992 tra la CEE e la Svizzera, sono stati aboliti i dazi doganali in senso proprio e le tasse ad effetto equivalente, categorie a cui non appartiene l’IVA, la quale ha natura di tributo interno, comunque dovuto…”, tranne nel caso in cui la merce introdotta abbia già scontato l’imposta svizzera (onere probatorio, quest’ultimo, a carico dell’importatore nazionale). Il recente D.L. 2 marzo 2012 nr. 16, convertito con modifiche in Legge 26 aprile 2012 n. 44, all’art. 9, co. 3bis, ha definito l’IVA all’importazione quale tributo connesso alle risorse proprie tradizionali (RPT). L’Agenzia delle Dogane con nota prot. 23725/RU del 6 marzo 2013 ha rafforzato tale principio, valutando anche l’ipotesi della operazione doganale in cui il dazio gravante sulle merci sia pari a zero per tariffa (ovvero nei casi di riconosciuto trattamento preferenziale). 8 marzo 2013