Nepal - TOAssociati
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Nepal – Le esiliate della giungla di Frank Charton, da Grandes Reportages In Nepal, nei villaggi della pianura del Terai. Qui vivono i rana tharu, una comunità nata da un gruppo di principesse indiane scappate secoli fa da una guerra nel nord dell'India. Penetriamo lentamente in una strana foresta che cambia aspetto continuamente. Lì si nasconde Kalagaudi, villaggio rana tharu. È un popolo discreto ed enigmatico, da non confondere con i Rana, la dinastia di primi ministri che hanno regnato per un secolo sul Nepal, tra il 1845 e il 1953. Abbiamo viaggiato tutto il pomeriggio verso ovest, partendo da Nepalganj, la grande città del sud del Terai, un'immensa pianura tropicale che forma la parte meridionale del Nepal. Da una ventina di chilometri la strada si è ridotta a una serie di solchi sommersi dal fango. La nostra auto si ferma davanti a una fattoria di mattoni di argilla e paglia. Gli abitanti stanno dormendo all'aperto sullo charpai, una rete di strisce di cuoio tese su un telaio di legno (quattro piedi). Il nostro arrivo scatena una grande agitazione: cani che abbaiano, persone assonnate che si rivestono velocemente e ci corrono incontro. Le donne accendono un fuoco, sbucciano cipolle in un batter d'occhio, mettendo a cuocere il dal (lenticchie). Poco dopo ceniamo seduti per terra su una stuoia, mangiando il riso con le mani alla luce delle candele. Niente piatti, niente tavolo, niente tovaglioli. Le parole sono rare, ma gli sguardi s'illuminano di curiosità e i sorrisi accendono i volti. Abbiamo la fortuna di essere arrivati fin qui insieme a Pravesh Rana, che è un membro della famiglia. È il primo abitante del villaggio che "ce l'ha fatta" perché è l'unico a non fare il contadino e a vivere fuori della comunità, anche se non parla una parola d'inglese. Pravesh fa il poliziotto a Nepalganj ed è l'orgoglio della famiglia e del suo villaggio. La comunità sopravvive nell'autarchia quasi totale, in una zona che il nostro interprete definisce "il luogo più solitario del Nepal profondo". Gli uomini sono vestiti in modo anonimo o all'occidentale, ma la maggior parte delle donne sfoggia ancora il costume tradizionale. Abiti cangianti fatti con pezzi di stoffa cuciti insieme, patchwork luminosi che fanno risaltare i grossi bracciali d'argento intorno a caviglie e polsi, oltre ai tatuaggi su braccia e gambe. Quando abbiamo finito di mangiare ci avvolgiamo nelle coperte allineate sulla veranda. La pesca nel fiume Alle cinque e mezzo del mattino fa freddo e c'è molta umidità. La notte è stata breve, tra l'autista che russava, i cani che si azzuffavano continuamente e gli accessi di tosse del nonno. A stomaco vuoto partiamo con Pradesh in una bruma gelida, attraverso la grande pianura ancora immersa nell'oscurità. Il cammino è difficile: siamo in equilibrio su creste di terra friabile o dentro i campi arati e soffici) intervallati da zolle di terra indurita. Da tutti i lati risuonano grida e fischi, ma la fitta nebbia impedisce la visibilità. La scena ha qualcosa di surreale, sembra di stare dentro un film di Tim Burton. Le sagome dei contadini che arano il terreno escono a poco a poco dal limbo con le loro coppie di zebù e i bufali, mentre l'alba compare dietro gli alberi. L'immensa savana è segnata da alcune porzioni di terreno coltivate. Una scacchiera animata da decine di tiri di buoi, che vanno e vengono con una flemma tutta mattutina. Lavorano dalle quattro del mattino, per approfittare delle ore più fresche e dell'umidità della terra, più facile da arare. Tornando verso il villaggio visitiamo la scuola del signor Debraj, in un granaio pieno di tarli, il negozio di Rajindra Rana, che vende il tè e ha il telefono, il pollaio modello industriale di Bomna Rana - una "tecnologia importata dagli Emirati Arabi" dove il proprietario ha lavorato come bracciante per una stagione, come molti nepalesi. Tutti ci accolgono con gentilezza. Nei cortili delle fattorie assistiamo alla mungitura degli zebù, alla macinazione dei cereali con un mortaio azionato a piede e alla riparazione delle reti da pesca. Vicino a una casa "tappezzata" da escrementi di mucca messi a seccare per usarli come combustibile, alcune donne si muovono intorno a uno strano cappello ornato di nastri multicolori: è il chaturi, decorazione tradizionale delle portantine usate dagli uomini durante i matrimoni. Birchi Rana ci spiega che suo figlio si sposerà tra poco e che quindi sfilerà nel villaggio portato dagli amici. Verso le nove del mattino torniamo dai nostri ospiti, per il primo dei due pasti della giornata, il solito ma sempre ottimo dal bhat (riso e lenticchie). Dopo un pò, risate e chiacchiere attirano la nostra attenzione: un gruppo di donne si dirige verso il fiume, portando sulla spalle delle strane reti che sembrano aquiloni. In un'atmosfera festosa costeggiano in fila indiana i campi di colza. Una volta arrivate al fiume piantano le reti nel punto più stretto del corso d'acqua, formando una nassa impermeabile. Le pescatrici non devono far altro che risalire il fiume per qualche centinaio di metri, per poi ridiscenderlo a ranghi serrati, camminando sbattendo i piedi e agitando le braccia nell'acqua. I pesci si precipitano nelle reti che le rana tharu tirano su insieme, mettendo il pescato nelle zucche appese alla cintura. Il pesce arricchirà il dal bhat della sera, fornendo anche qualche proteina. Nelle vicinanze, fanno il bagno dei bufali. Emerge una serie di froge, di occhi e di orecchie che uno sguardo distratto potrebbe scambiare per quelli di una colonia d'ippopotami. Esibizioni canore Siamo appena rientrati e un gruppo di ragazzini sorridenti indica l'estremità del villaggio, dove risuonano zufoli, cembali e tamburi. Nel cortile di una fattoria di uno degli anziani si svolgono le prove della danza di primavera. Questa successione di festeggiamenti, chiamata holi, celebra ogni anno nel subcontinente indiano il plenilunio di marzo, il ritorno della primavera e la fertilità. È la festa principale dei rana tharu. Gli abitanti del villaggio compiono innanzitutto il rito della tika, una sorta di pastiglia sacra attaccata in mezzo gli occhi, preparata con escrementi di vacca mescolati a cenere. Inoltre tutti vanno solennemente a rendere visita al capo del villaggio. Ci sono dei banchetti a base di carne di mucca, maiale e capra, e poi ci sono le esibizioni canore e le danze per rinsaldare i legami della comunità. I festeggiamenti durano otto giorni e gli spettacoli musicali sono di diverso genere. C'è la pantomima: un uomo travestito da donna, il Sumla Rana, volteggia come un derviscio per dimenticare le vessazioni che accompagnano la sua condizione umana. C'è anche il giro del vicinato: gruppi di donne suonano le tabla di casa in casa e raccolgono offerte di cibo. Le più importanti nascono dalla tradizione orale: sono le kalakhar (danze in cerchio), in cui due gruppi di tre o quattro donne si tengono per le braccia e girano in tondo, cantando il lavoro dei campi, le preoccupazioni domestiche, la nostalgia del passato e le inquietudini del futuro. Gli uomini, musicisti o danzatori, a volte si uniscono a loro, lanciando ammiccamenti e giochi di parole scabrosi. Il cerchio e il fuoco La sera le donne cucinano all'aperto, mentre gli uomini si lavano alle fontane azionate da pompe a mano e gli animali consumano il foraggio nelle stalle. Quando siamo riuniti intorno al fuoco per il secondo pasto della giornata, verso le sei del pomeriggio, chiedo all'anziana del villaggio, Jaymati, spiegazioni sulle origini ariane delle donne ranatharu. Dopo una pausa per tirare qualche boccata dalla sua pipa ad acqua, mi risponde: "La bisnonna della mia bisnonna ricordava ancora i racconti dei nostri antenati, arrivati qui dal nord dell'India molto tempo fa. Durante una guerra, le principesse e i dignitari di diversi clan e feudi (rana vuoi dire regina in hindi) furono allontanati dall'India per mettersi al sicuro con il loro seguito, composto da serve, gioielli e greggi. Trovarono degli spazi disponibili nelle grandi foreste allora vergini della pianura del Terai, e si stabilirono qui. I loro compagni, uccisi o prigionieri, non riuscirono mai a raggiungerle. Stanche di aspettare, le principesse rana finirono per prendere marito tra gli uomini dell' etnia tharu, il popolo indigeno del Terai. Così è nato il nostro popolo rana tharu". Questo popolo, composto da circa sessantamila persone, conserva le sue differenze culturali, come la sopravvivenza dei riti animistici e un residuo di matriarcato, che riguarda soprattutto la proprietà dei beni e del bestiame. Nei giorni successivi cerchiamo di moltiplicare i contatti con i rana tharu, sparsi in una decina di località che si trovano nella zona sudovest del Terai. In alcuni villaggi riusciamo a vedere delle case splendidamente decorate da sculture murali tradizionali. Spesso, però, questi bassorilievi si perdono perché il clima tropicale costringe a restaurare spesso i muri fatti di argilla. Galli, mucche o figure geometriche tendono così a diventare sempre più rare. Ai lati delle strade ogni tanto si vedono delle capanne. Ci abitano i rana tharu liberati da poco dalla schiavitù degli usurai che li aveva incatenati da generazioni. È il kamaiya, il lavoro coatto svolto per ripagare i debiti ereditati dai genitori. Il nuovo governo maoista ha abolito questo costume, insieme alla monarchia, e ha promesso di assegnare delle terre e di aiutarli a dissodare i loro terreni. Perché si rifacciano una vita da uomini e donne liberi. Perché il loro esilio lontano non si trasformi in schiavitù permanente .