disponibile - comprensorio alpino valle brembana
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Periodico di cultura venatoria e gestione faunistico-ambientale del Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana - Poste italiane S.p.A spedizione in A.P. - 70% - DCB Bergamo - Cod. ISSN 1723-5758 - contiene IP Agosto 2007 Anno XI - n. 31 La nostra “Casa del cacciatore” Le zone di rifugio e ambientamento Mostra di gestione venatoria Dopo il tiro Prove di lavoro per cani da traccia Il camoscio e il bosco Agosto 2007 Sommario L’editoriale Enrico Bonzi 3 Giovan Battista Vitali ATTUALITÀ L’antistoria della caccia 4 Per una biblioteca venatoria del comprensorio Direttore responsabile: Enrico Bonzi Coordinatore: Flavio Galizzi Redazione: Flavio Galizzi, Lino E. Ceruti, Giambattista Gozzi, Luigi Capitanio, Piergiacomo Oberti Hanno collaborato: Tiziano Ambrosi, Umberto Arioli, Martino Bianchi, Gianantonio Bonetti, Carlo Calvetti, Luigi Capitanio, Lino E. Ceruti, Annibale Facchini, Sergio Facchini, Flavio Galizzi, Alessandra Garuffi, Gianfranco Milesi, Piergiacomo Oberti, Stefania Pendezza, Luigi Poleni, Pier Giorgio Sirtori, Diego Vassalli, Giovanbattista Vitali Direzione e redazione Lenna (Bg) - Piazza IV Novembre, 10 Tel. e Fax 0345/82565 www.comprensorioalpinovb.it e-mail comprensorio: [email protected] e-mail redazione: [email protected] 5 LETTERE 6 Lepre Milesi Gianfranco CACCIAINVALBREMBANA 8 26 Appunti di medicina veterinaria Alessandra Gaffuri 28 29 8 Armi e balistica Sergio Facchini Avifauna Ripopolabile 9 Educazione Faunistica 10 Ungulati Gianantonio Bonetti La ricarica Martino Bianchi Capanno Stefania Pendezza 30 32 34 Pagine d’Autore 10 Annibale Facchini 36 Proposte di lettura ARTICOLI Luigi Capitanio 37 L’angolo della poesia Alessandro Raffaele Balestra 37 Curiosità 38 Flavio Galizzi In cucina Carlo Calvetti La nostra “Casa del Cacciatore” Lino E. Ceruti 11 Mostra di gestione venatoria Gianantonio Bonetti 13 Prove di lavoro per cani da traccia Flavio Galizzi 2 24 RUBRICHE Per saperne di più Umberto Arioli Foto: di G. Gritti, A. Galizzi, P. Bianchi, M. Bianchi, M. Diliddo Luigi Capitanio Avifauna Tipica Alpina Progetto grafico: Manuele Anghileri Impaginazione e stampa: Diliddo Grafica&Stampa, San Pellegrino Terme In copertina: “Toy alla lunga” foto di A. Galizzi G. P. Sirtori Tiziano Ambrosi Luigi Poleni La rivista si avvale della collaborazione di tutti i Soci, con scritti e materiale grafico fotografico, senza impegni da parte della Redazione, che si riserva di vagliare ed eventualmente modificare quanto pervenuto, e tratterrà il materiale nel proprio archivio. La riproduzione anche parziale è vietata, salvo il consenso degli autori e del Comitato di Gestione Dopo il tiro COMMISSIONI Piergiacomo Oberti 21 Il camoscio e il bosco Flavio Galizzi Direttore Responsabile: Enrico Bonzi Editore: Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana Registrazione presso il Tribunale di Bergamo, n° 29/97 del 22/07/97 Rivista dei Soci del Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana Le zone di rifugio e ambiantamento 16 39 INFORMAZIONI E SCADENZE: Cani da traccia Diego Vassalli 40 S iamo ormai alle porte per l’apertura della caccia. I primi saranno i cacciatori di selezione, con l’apertura al capriolo stabilita al 19 agosto, e dal 16 settembre seguiranno tutti gli altri. Un augurio a tutti è più che doveroso. Dalle comunicazioni che mi sono pervenute dalle Commissioni risulta che i censimenti hanno dato buoni risultati, con presenza di selvaggina in aumento; questo significa per tutti noi buona gestione, e soprattutto rispetto per la fauna e l’ambiente. Un grazie a tutti quelli che si impegnano su questo fronte, che offrono le loro giornate di lavoro a beneficio della gestione e di tutto quanto necessita per andare avanti con la costante volontà di migliorare sempre le cose. Ne sono prova i lavori svolti per completare la nuova sede, la perfetta organizzazione e gestione della prova nazionale dei cani da traccia, i censimenti e la nostra costante presenza sul territorio. Quello che più mi sta a cuore è proprio la nuova sede, la nuova “casa del cacciatore”, anche se all’inaugurazione mi sarei aspettato più partecipazione, anche da parte di molti dirigenti venatori. Mi auguro che pian piano ci si affezioni come merita, e tutti la sentano come casa loro. Purtroppo, al momento di andare in stampa, non si hanno ancora notizie riguardo all’emanando decreto ministeriale, che farà chiarezza, o porterà nuove ombre, sul futuro venatorio dei siti Natura 2000. Per ora ci basta sapere che né la Regione, né la Provincia hanno messo vincoli restrittivi all’attività venatoria dentro questi territori; speriamo di non doverci trovare di nuovo a lottare perché i nostri diritti sacrosanti vengano rispettati. Lo sapremo comunque fare con fermezza e determinazione. In attesa di novità…. auguro a tutti di cuore una splendida stagione venatoria Il Presidente del Comprensorio Enrico Bonzi Attualità 4 L’antistoria della caccia Mentre tutto quanto ruota intorno alla caccia cerca di crescere, cerca di adattare il proprio agire per farlo progredire quanto più possibile in sintonia con l’evoluzione del pensiero e della nuova sensibilità nei confronti dell’ambiente e della fauna che lo popola, c’è ancora chi sogna la caccia selvaggia, la caccia “no limits”, con quello spirito di battaglia quasi eroico di chi va a morire per un ideale, senza accorgersi che rischia di trascinare con sé anche tutti gli altri. Sono questi i pensieri che mi sono passati per la mente quando ho letto dell’ennesima proposta di legge che, alla “caccia di selezione” così come l’abbiamo costruita, faticosamente, fino ad oggi, e che rappresenta una conquista etica e sostenibile del prelievo venatorio di specie così preziose e importanti per l’ecosistema alpino, vorrebbe sostituire, o quantomeno affiancare, la caccia col segugio. La proposta di legge n. 1092 del senato, 9 novembre 2006, presentata da un senatore bergamasco, vorrebbe che la caccia ai cervidi e ai bovidi si tornasse a fare come nel medio evo, ai tempi dei nobili, a cui in ogni caso era riservata in esclusiva, con l’ausilio dei cani da seguita. Chi anche solo vedesse alcune scene rappresentate nelle pittura di quei tempi, con le mute di cani che aggrediscono letteralmente cervi e caprioli atterriti e bloccati dal panico della morte, non potrebbe che rimanere sconcertato. La caccia agli ungulati erbivori ruminanti ha fatto, proprio in questi ultimi anni, e il nostro Comprensorio è stato in prima fila, passi da gigante, ha acquisito conoscenze e stili di comportamento che nessuno più accetterebbe di nascondere sotto un mantello nero e rinnegare per dare sfogo ad altre insensate forme di prelievo. Ritengo, e in questo mi sento sostenuto sicuramente da tutti quelli che ne hanno CACCIAINVALBREMBANA fatto esperienza e la praticano con serietà, dedizione e impegno, che siamo ormai giunti ad un punto di “non ritorno” di cui possiamo essere tutti orgogliosi, e da cui non si può più tornare indietro. L’argomento della proposta di legge viene classificato come “caccia sportiva”, e il solo titolo la dice lunga. Ormai nessuno di noi intende più la caccia di Selezione come uno “sport”, bensì come servizio di gestione della fauna selvatica, assegnando a questa attività funzioni di controllo delle popolazioni, con azioni e comportamenti impregnati di valenze etiche e rituali che la caratterizzano e la rendono per ciò stesso “accettabile” anche dall’opinione pubblica, pertanto “compatibile”. Proporrei addirittura, a questo punto, che all’esame per essere ammessi alla caccia di selezione si inserisca un vincolo di partecipazione a corsi autorizzati e specifici nei quali compaia come materia obbligatoria “l’etica venatoria”, come stile di comportamento e di pensiero per poter esercitare un’attività così delicata e particolare com’è il prelievo venatorio di queste specie. Questo è il percorso corretto che si deve fare per legittimare, all’inizio di questo nuovo secolo che apre il terzo millennio, l’intervento venatorio che caratterizza la caccia di selezione, altro che immaginare di tornare ai tempi del Re Sole! Waidmann’s heil! Buona lettura a tutti Le Redazione Mi sono capitati per le mani, grazie ad alcuni amici cacciatori con lo spirito di “conservare” tracce del nostro passato, i primi due numeri di “OL MIGÓF”. Siamo alla fine degli anni ’70, esattamente nel 1978. Quasi trent’anni fa! Si tratta di numeri unici realizzati da un gruppo di cacciatori della valle ben intenzionati, fin d’allora, a mettere nero su bianco per dare voce ai cacciatori partendo dalle situazioni reali territoriali, senza farsi continuamente imbeccare dai politici o da quanti hanno fini leggermente diversi dalle istanze venatorie del territorio. Quanta passione dentro quelle pagine, quanto spirito d’iniziativa; uno spirito che a dir la verità non è mai venuto meno, basti pensare al nostro notiziario di oggi, il quale, anche se in veste tipografica molto diversa, ricalca un po’ quelle istanze, quella voglia di essere protagonisti, o quantomeno di essere propositivi, di voler crescere riflettendo, confrontandosi, impegnandosi in prima persona. Questo è sicuramente il nostro carattere che continua ad essere vivo e vivace. “Sota la sènder brasca” si diceva del carattere dei bergamaschi. Prendendo spunto da questa piacevole rivisitazione, vorrei lanciare un’iniziativa per la cui realizzazione serve innanzitutto il coinvolgimento di tutti noi, oltre che un progetto organico e ben strutturato perché l’iniziativa vada in porto e raggiunga gli scopi voluti. Perché non realizziamo una BIBLIOTECA DEL COMPRENSORIO, ben fornita, in grado di essere punto di riferimento di quanti volessero approfondire la conoscenza del nostro patrimonio faunistico, cacciabile o no, e perché no anche della flora e di letteratura venatoria? Potrebbe essere l’inizio di un’avventura interessante, ricca di spunti e di coinvolgimenti sotto il profilo scientifico della conoscenza, ma anche culturale e storico. È solamente una proposta, sulla quale mi piacerebbe avere qualche parere, e perché no qualche proposta interessante. Una potrebbe essere quella di mettere a disposizione dell’iniziativa quei soldi che ci vengono versati dagli amici che usufruiscono dell’ospitalità venatoria, o magari da qualche donazione. Penso che sia una sfida possibile, a partire da quello che molti di noi hanno a casa e che Attualità Per una biblioteca venatoria del comprensorio forse non ritengono, giustamente, valorizzato abbastanza. Sarebbe bello inaugurare il primo lotto di questa iniziativa proprio ricordando, nel 2008, il primo numero della prima pubblicazione venatoria di valle “OL MIGÒF”. Flavio Galizzi CACCIAINVALBREMBANA 5 Lettere LETTERA AL DIRETTORE In riferimento all’articolo pubblicato sulla rivista “Caccia in Valle Brembana Maggio 2007” da parte della commissione Avifauna tipica alpina e firmato dal Presidente Oberti Piergiacomo, in particolare all’ultimo paragrafo dove esprime il suo disapprovo a concedere la caccia vagante alla selvaggina migratoria a chi ha optato per la “specializzazione n°5 “(Ungulati) e non “FORMA” di caccia, richiamando in sua motivazione il Regolamento Regionale. Precisiamo alcune cose partendo dall’inizio La Legge dello Stato n°157 del 11.02.1992. Art.12. “Esercizio dell’attività Venatoria” Comma 5 lettera “a“ prevede (Caccia vagante in zona alpi) lettera “b” (Caccia ad appostamento fisso) quindi la legge identifica due FORME di caccia “vagante e appostamento fisso”. La Legge Regionale n°26 del 11.08.1993. Art. 35. (Esercizio della caccia in FORMA esclusiva) al Comma 1 lettera (“a“ e “b”) richiama in ogni sua parte la legge dello stato e conferma due FORME di caccia, Vagante e appostamento. Il Regolamento Regionale di cui si parla datato 2003, non è un regolamento ma una integrazione di Legge. Oggetto: Modifica dell’art. 35. L.R. 26/93 “ 1 Bis. Il cacciatore che ha optato per la FORMA di caccia di cui al Comma 1 lettera “b “(appostamento fisso) può disporre di dieci giornate di caccia Vagante alla selvaggina migratoria da effettuarsi a partire dal 1 Novembre, di ogni stagione venatoria previo comunicazione al comitato di gestione. Il cacciatore che ha optato per la forma di caccia di cui al comma 1, lettera “ a” (Vagante in zona alpi) può esercitare a partire dal 1 Novembre la caccia anche ad appostamento fisso previo consenso del titolare, per n°10 giornate di caccia. La Legge non parla e tanto meno vieta l’esercizio della caccia vagante alla migratoria a chi esercita la caccia ad Ungulati , essendo questa una specializzazione, praticata in Forma vagante, come la specializzazione alla Lepre, e alla Tipica alpina, con la quale si può esercitare la caccia alla migratoria sin dal giorno di apertura, quindi a mio modesto parere ed interpre- 6 CACCIAINVALBREMBANA tando la legge ritengo che tutti i cacciatori che esercitano la FORMA vagante di qualsiasi specializzazione abbiano il diritto per Legge di praticare la caccia alla migratoria sin dal giorno di apertura senza nessun pregiudizio. Distinti saluti Vecchietti Enrico San Giovanni Bianco, 18.06.2007 Pubblichiamo e rispondiamo con piacere alla lettera inviata dal Socio Vecchietti Enrico Le osservazioni che vengono espresse in maniera puntuale e chiara sono certamente condivisibili in quanto rispondono alle disposizioni e norme in vigore. Gradirei comunque sottolineare due aspetti del problema che ritengo emergano dalle considerazioni fatte sia da parte della Commissione Tipica che da parte del socio Vecchietti Enrico, che è un neocacciatore di ungulati e riesce quindi ancora a ”leggere il problema dal di fuori”. Innanzitutto, da quanto si è potuto intendere anche dal chiacchierare che si è fatto attorno a questo problema, la proposta formulata dalla Commissione Tipica risulta perlomeno “fuori luogo”, in quanto non si ritiene corretto che una commissione consultiva di “specializzazione”, quali sono le nostre in base allo statuto, abbia la competenza di entrare nel merito di come si debbano svolgere la attività venatorie degli altri soci che praticano altre specializzazioni; semmai ciò entra nei compiti specifici del Comitato Tecnico di Gestione, che ha cura di coordinare tutte le forme di caccia che si praticano nel comprensorio. Volendo entrare poi nel “merito” della questione, ritengo che sia necessario fare alcune considerazioni riguardo alla Caccia di Selezione agli ungulati e ai suoi vincoli. Premesso che sarebbe quantomeno penoso valutare la caccia in termini di KG di selvaggina prelevata, tutte le forme di caccia, indipendentemente dalla quantità dei prelievi e dalla qualità, devono avere ed hanno gli stessi diritti, la stessa dignità, le stesse motivazioni passionali e lo stesso valore etico, e sono scelte personali dei soci. Messo nel cassetto definitivamente questo elemento di disturbo del ragionamento, il cui solo pensiero squalifica un cacciatore serio, vale la pena sottolineare come la caccia di Selezione è quella che si è imposta i vincoli maggiori, dimostrando con questo un livello di maturità e di senso etico e ragionato dell’attività venatoria difficilmente riscontabile in altre forme: 1) si è data un criterio di gestione rispetto al territorio, definendo le “Zone” di caccia per ciascun cacciatore: 5 zone vuol dire, in sostanza, ridurre a un quinto il territorio a disposizione di ogni cacciatore; per ora sono gli unici (a parte ovviamente i capannisti, ma la loro è un’altra forma di caccia) ad aver fatto questa scelta; 2) si è data un regolamento assai restrittivo e vincolante sull’assegnazione dei capi da prelevare, con penalità e sospensioni, all’interno del prelievo stesso di specie cacciabili, che non esistono in altre forme di caccia, se non per le specie vietate (ma questo vale per tutti); 3) si è data un codice di comportamento rigoroso, che prevede la comunicazione preventiva di uscita con segnalazione diretta alle strutture di controllo, di chi ogni volta esce e di dove va a caccia, pena gravi sanzioni, per permettere in ogni momento un puntuale controllo; 4) ogni cacciatore ha l’obbligo di praticare la caccia accompagnato da un Accompagnatore, entrambi responsabili del prelievo; 5) si è imposta, come criterio fondamentale di vincolo per continuare a svolgere questa forma di caccia, diverse giornate di lavoro, pena la riduzione anche significativa della assegnazioni dei capi, a fronte di un regolamento del Comprensorio che prevedrebbe almeno due giornate di lavoro per tutti i soci, a beneficio della gestione collettiva ritengo che sia una richiesta più che legittima. Saranno poco più di una ventina di cacciatori. Si può pensare che proprio questi pochi rappresentino un eccesso di pressione venatoria sul territorio? E poi, perché, come giustamente ci fanno capire le osservazioni in merito alle disposizioni di legge sottolineate dal socio Vecchietti, tale restrizione dovrebbe interessare solamente la specializzazione dei cacciatori di Selezione? Perché tale limitazione, se ci deve essere a protezione della fauna, non riguarda anche le altre specializzazioni? A partire dalla tipica fino alla lepre? Non è sicuramente mia intenzione sollevare questioni che possano costituire elemento di tensione, o peggio di conflitto, tra i vari cacciatori e le diverse specializzazioni, vuole al contrario essere un elemento in più di riflessione per stemperare gli animi e far comprendere che se si guarda con serenità e senza secondi fini al problema, qualche altro cacciatore che gira per i nostri boschi, se corretto, serio e onesto nei suoi intenti, non può che essere un elemento in più di controllo del territorio e della fauna. Il CTG, comprendendone lo spirito, ha cercato di venire incontro alla do- Se le motivazioni possono essere queste, e accettabili, resta importante che il fine gestionale resti una caratteristica forte all’interno della specializzazione ungulati, quindi nel regolamento per la caccia di specializzazione agli ungulati si dovrebbe indicare comunque che coloro che intendono chiedere di esercitare anche la forma di caccia alla migratoria vagante lo debbano fare prima dell’inizio della stagione, e possono esercitarla solamente dopo che hanno concluso il loro piano individuale di prelievo, salvo ovviamente rinuncia del capo. Ciò affinché la tensione al completamento del piano sia un dovere primario e un impegno di tutti: la caccia agli ungulati è sì una specializzazione venatoria, ma è anche fondamentalmente un dovere e un impegno di gestione della popolazione di ungulati. manda autorizzando la caccia alla migratoria vagante anche per gli ungulatisti a partire dal 14 ottobre, come lo scorso anno; proposta che, nonostante le difficoltà incontrate in seno alla Consulta Provinciale, è stata adottata dalla Giunta Provinciale. Ci auguriamo, con il contributo di questa riflessione, che sia solo il primo passo. Con queste mie riflessioni ho cercato di sviscerare quanto più possibile l’argomento. Sperando di non aver urtato la sensibilità di nessuno, mi auguro che il problema, che in realtà, se letto con serenità, è solo un falso problema, possa trovare dal prossimo anno una soluzione condivisa e definitiva. Lettere e non individuale, che la maggior parte degli altri cacciatori di fatto non svolgono (c’è gente che fa fino a oltre quaranta giornate di servizio per la gestione di questa specializzazione, tutti incarichi di grosse responsabilità!). A fronte di tutto ciò, che ritengo costituisca titolo di merito assoluto, va sottolineato, e non è solo parere mio, che i meriti che il nostro Comprensorio ha acquisito nel mondo venatorio anche fuori della nostra Provincia siano da attribuire per la maggior parte proprio alla caccia di Selezione e di come essa venga seriamente e correttamente gestita. Negli ultimi tempi si sono alzate alcune voci di richiesta, da parte di alcuni soci ungulatisti, di poter godere, terminata la caccia di selezione, anche di alcune giornate alla migratoria con il fucile a canna liscia, che per anni è stato forzatamente lasciato appeso al chiodo, per fare ancora qualche uscita senza più tutti quei vincoli imposti dalla selezione, per godere da soli di quell’atmosfera e di quel senso di libertà che la caccia vagante sulle nostre montagne sa ancora regalare, più in termini affettivi di “poesia e tradizione” che di carniere. Intese in questi termini, le richieste in tal senso inviate al Comitato di Gestione, al di là del fatto di essere pienamente legittime per legge, non sembrano in ogni caso fuori luogo. Anche perché, da un’indagine approssimativa fatta tra i cacciatori di selezione, tale desiderio viene quasi esclusivamente espresso dai cacciatori residenti di una certa età, da quelli che nei tempi passati hanno esercitato proprio la vagante, tutti pensionati, con la voglia di riassaporare il piacere di una uscita con la doppietta sulle spalle. Per molti di loro la caccia di selezione agli ungulati si risolve in pochissime uscite, a volte nemmeno troppo impegnative, tre o quattro in tutto, con prelievi minimi, e stare alla finestra tutto l’autunno costituisce un sacrificio troppo grande. Anche se l’apertura è al 20 di agosto, con la contrazione che si è verificata nei caprioli, molti sono quelli che non hanno avuto l’opportunità di prelevarlo, per cui hanno fatto solo il camoscio. Considerate le loro tante licenze e il forte legame affettivo nei confronti della caccia, Cordialmente Flavio Galizzi CACCIAINVALBREMBANA 7 Le Commissioni Commissione Tipica Alpina Terminata la sessione primaverile dei censimenti e ultimata la raccolta delle schede e cartografie dei rilevamenti, la commissione nelle ultime riunioni si è dedicata principalmente all’esame di alcune normative che entreranno in vigore nel prossimo futuro: il calendario integrativo provinciale 2007/2008, e l’istituzione dei S.I.C. e Z.P.S. nel contesto di Rete Natura 2000. Al momento non siamo ancora in possesso del calendario definitivo, ma dalla bozza predisposta dalla Provincia e visionata in un incontro col C.T.G., non si rilevano sostanziali cambiamenti per quanto riguarda la nostra forma di caccia. Sulla falsariga del precedente vengono confermate, nelle zone di caccia programmata, le date di apertura e chiusura della zona A e della zona B, i periodi di caccia,le speci cacciabili, l’uso dei cani ecc… una novità, che riguarda di più gli amici capannisti, è il divieto di cattura della beccaccia da appostamento fisso.Viene recepita la proposta della commissione di anticipare l’inizio dei censimenti al 16 agosto per poter monitorare determinate aree della zona di minor tutela, prima dell’inizio dell’addestramento cani, mentre siamo ancora in attesa di ricevere una risposta in riferimento all’utilizzo di due cani per operatore durante le operazioni di censimento, argomento già trattato sul numero precedente della nostra pubblicazione. L’Amministrazione Provinciale, di fronte al probabile evolversi del qua- 8 CACCIAINVALBREMBANA dro normativo, si è cautelata subordinando il tutto ad eventuali e diverse disposizioni che potrebbero essere introdotte dagli Enti Gestori delle zone di Protezione Speciale in materie venatoria. Per quanto attiene ai nuovi istituti di tutela, S.I.C. – siti di interesse comunitario - e Z.P.S. – zone di protezione speciale -, introdotti dalla Comunità Europea, definiti dalla Regione e fatti propri a livello nazionale, che coprono significative porzioni di territorio cacciabile del nostro Comprensorio e che soggiacciono a misure di conservazioni e a procedure di “valutazione di incidenza”, si attende di conoscere i contenuti del Decreto Ministeriale che dovrebbero dettagliare modalità e competenze sulla loro gestione. Ne frattempo prendiamo atto che con comunicazione del 16 aprile, la Regione Lombardia ha classificato 6 Z.P.S. nella nostra provincia, prescrivendo per la zona Alpi: a) l’addestramento e l’allenamento cani da caccia, anche in età inferiore ai 15 mesi, prima della seconda domenica di settembre e fino alla chiusura della stagione venatoria; b) fatto salvo il divieto di introdurre specie non autoctone, altri interventi di introduzione sono sottoposti a specifica valutazione di incidenza; c) lo svolgimento di gare cinofile è vietato dal 15 aprile al 15 agosto con l’utilizzo esclusivo di fagiani e starne; d) l’attivazione di nuovi appostamenti fissi è sottoposta a specifica valutazione di incidenza (che si traduce nella produzione, non gratuita, di una pratica burocratica redatta da un tecnico competente). Per concludere mi rivolgo a tutti coloro che sono abilitati a svolgere i censimenti all’Avifauna di monte, esortandoli a una fattiva partecipazione e spirito collaborativi con i Responsabili di Settore che coordinano le uscite sul territorio. A tutti in bocca al lupo. Il Presidente Piergiacomo Oberti Commissione Lepre Ci avviciniamo ormai all’apertura, e le valutazioni che possiamo fare riguardo al successo riproduttivo delle lepri sono sicuramente buone. Complice il favorevole inverno, si è registrato, visti i dati emersi dall’analisi dei censimenti primaverili nelle zone campione, un discreto successo riproduttivo, sicuramente superiore allo scorso anno. I censimenti, eseguiti di notte con i fari in collaborazione con il corpo di sorveglianza, hanno dato infatti risultati più che soddisfacenti, con indici di aumento in certe zone, rispetto allo scorso anno, intorno al 20%. Tutto ciò ci permetterà di svolgere con la massima tranquillità e soddisfazione la prossima stagione venatoria. Auguro a tutti un autunno pieno di soddisfazioni. Il Presidente Gianfranco Milesi La stagione venatoria si sta avvicinando, perciò è ora di prepararsi al lancio della selvaggina. Confermiamo anche per questo anno tre lanci di selvaggina, di cui due pronta caccia. Viene confermato anche per questa stagione la compilazione del verbale di lancio, che sarà consegnato agli incaricati insieme ai selvatici e che dovrà essere compilato e riconsegnato entro 48 ore presso la sede del Comprensorio Alpino oppure spedito tramite fax. Gli incaricati sono pregati di presentarsi presso il piazzale del cimitero di San Giovanni Bianco muniti di contenitori idonei per il ritiro della selvaggina. Qualora l’addetto al ritiro della selvaggina volesse incaricare un sostituto, questo deve presentarsi con una delega firmata dal responsabile del ritiro o dal Presidente della sezione, in caso contrario non si farà nessuna consegna. Vi informiamo che, se qualche incaricato non sarà presente al ritiro della selvaggina, la sua quota sara’ suddivisa equamente tra gli altri addetti presenti. Per quanto riguarda l’orario per la consegna dei selvatici, i vari responsabili del ritiro devono telefonare nella settimana del lancio al Comprensorio Alpino che confermerà l’ora della distribuzione. Si raccomanda agli addetti al lancio di rilasciare la selvaggina nella stessa giornata in cui viene consegnata nei luoghi indicati dalla commissione. Pensiamo di fare cosa gradita ai soci, la pubblicazione sulla rivista delle zone di lancio, delle relative date ed il numero dei selvatici che verranno immessi. Il Presidente Luigi Poleni ZONA 1: VEDESETA E TALEGGIO TALEGGIO Sotto Peghera - Bonetto - Piazzamorandi - Cimapane VEDESETA Prato Giugno – Prato Cerai – Lavina Laghi LANCI: 11.08.07 06.10.07 03.11.07 STARNE STARNE FAGIANI STARNE FAGIANI VEDESETA 33 35 12 33 12 TALEGGIO 53 53 26 35 26 ZONA 2: S.GIOVANNI – DOSSENA - CAMERATA - SERINA - CORNALBA - OLTRE IL COLLE SAN GIOVANNI Pianca/Costa Lupi – S.Pietro/S.Gallo/Portiera – Fuipiano/ Cornalita DOSSENA Paglio – Silos CAMERATA Prato del Monte/Campelli – Cà Bianca/Prà de l’Albe SERINA Campi – Campi Erolo – Valle Bascià CORNALBA Gardati – Cavrei OLTRE IL COLLE Colle di Zambla – Monte di Zambla – Vandullo LANCI: 11.08.07 06.10.07 Le Commissioni Commissione Ripopolabile 03.11.07 STARNE STARNE FAGIANI STARNE FAGIANI S.GIOVANNI BIANCO 50 50 18 45 18 DOSSENA 30 30 17 30 17 CAMERATA CORNELLO 30 28 5 24 5 SERINA 30 30 15 25 15 CORNALBA 5 5 9 5 9 OLTRE IL COLLE 23 23 15 23 15 ZONA 3: LENNA – RONCONBELLO – ISOLA DI FONDRA - BRANZI - VALLEVE - MOIO VALNEGRA LENNA: St. Trinità – Riet – Barec RONCOBELLO Piazzoli (Prati Valsecca) – Capovalle (Valcressa) ISOLA DI FONDRA Moie di Cornelli e Pusdosso – Forcelle di Via Piana BRANZI - VALLEVE Corne – Gatti MOIO DE CALVI Chiarelli – Pioda VALNEGRA Preda - San Carlo - Fiora – Roncale LANCI: 11.08.07 06.10.07 03.11.07 STARNE STARNE FAGIANI STARNE FAGIANI LENNA 10 10 16 5 16 RONCOBELLO 10 10 11 10 11 ISOLA DI FONDRA 5 5 13 5 13 BRANZI ValleveFoppolo 10 10 16 10 16 MOIO DE CALVI E VALNEGRA 5 5 7 5 7 ZONA 4: PIAZZA BREMBANA - OLMO AL BREMBO - S.BRIGIDA - CUSIO VALTORTA - AVERARA - PIAZZATORRE - MEZZOLDO - PIAZZOLO PIAZZA BREMBANA: Monte Sole – Stralenna – Prati Sosè. OLMO AL BREMBO: Zinibriga – Acqua Calda – Frola. SANTA BRIGIDA Cugno – Grass – Colle. CUSIO: Taleggio di Cusio – S. Maria Maddalena VALTORTA Piani Alti – Zerta Piana - Ceresola AVERARA Grasselli – Cantedoldo PIAZZATORRE Prati Pegherolo – Prati Malicco – Fo MEZZOLDO Sparavera/Piazzoli – Soliva/Piacca – Cà Bonetti/La Costa PIAZZOLO Forcella-Ronchi LANCI: 11.08.07 06.10.07 03.11.07 STARNE STARNE FAGIANI STARNE FAGIANI PIAZZA BREMBANA 5 5 19 0 19 OLMO AL BREMBO 5 5 16 5 16 SANTA BRIGIDA 7 7 5 5 5 VALTORTA 5 5 5 5 5 AVERARA 7 7 5 5 5 PIAZZATORRE 10 10 5 10 5 MEZZOLDO 5 5 6 5 6 PIAZZOLO 5 5 4 5 4 CACCIAINVALBREMBANA 9 Le Commissioni Commissione Capanno In data 19 maggio si è tenuta l’assemblea dei soci capannisti del Comprensorio. Nell’occasione ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato, a partire dal presidente del CTG, i membri della commissione, e soprattutto tutti i soci. La Commissione, riunitasi nei primi giorni di giugno, ha preso in esame le proposte emerse nel corso dell’Assemblea. Alla richiesta di un socio di stilare un elenco specifico per il merlo, la Commissione non ha ritenuto opportuno dare corso, perché già attuata nella stagione 2005/2006 quando al momento della timbratura del tesserino si dava la possibilità di esprimere la propria preferenza per il ritiro di presiccio della specie merlo, per poter eventualmente in seguito stilare un elenco specifico. Nonostante tale possibilità, solamente due soci avevano aderito a tale iniziativa. Per quanto riguarda anomale assegnazioni, si è provveduto all’intensificazione dei controlli incrociati, cercando di limitare al massimo i disagi per eventuali anomalie. Riguardo ai “presicci” che per ragioni diverse possono morire, si ribadisce che la sostituzione è impossibile, considerato l’esiguo numero dei presicci a disposizione. Le situazioni particolari riguardanti casi specifici sono state tutte esaminate e a tutte è stata data adeguata risposta. 10 CACCIAINVALBREMBANA È già stato predisposto un nuovo elenco delle assegnazioni dei presicci, che potrà essere ritirato dai soci capannisti all’atto della timbratura del tesserino presso l’ufficio del Comprensorio, a Lenna. Se verranno riscontrati eventuali errori preghiamo i soci di segnalarli tempestivamente al CTG, ricordando a tutti di controllare i propri numeri telefonici (non più di due!). Nel nuovo calendario provinciale appena approvato c’è una novità importante da sottolineare per i capannisti: è vietato l’abbattimento della Beccaccia da appostamento fisso. Come tutti sapete, alla data di andare in stampa, pende ancora l’incognita riguardo alle nuove possibili prescrizioni o restrizioni riguardanti i SIC e le ZPS, che prima dell’apertura verranno rese note in uno specifico decreto legge, ma sulle quali non siamo in grado, al momento, di esprimere alcun parere, se non una certa preoccupazione. Una saluto a tutti. Il Presidente Umberto Arioli Commissione Ungulati Si sono susseguite, con la solita cadenza mensile, le riunioni della Commissione Ungulati. Diversi gli argomenti che hanno maggiormente focalizzato il dibattito nelle ultime riunioni. Fra questi, sicuramente è la discussione inerente la bozza del nuovo Regolamento Provinciale per la caccia di selezione agli ungulati. Una revisione si era posta al momento del recepimento, da parte della Regione Lombardia, della modifica alla legge 157 sui tempi di caccia. La struttura portante di questo Regolamento è sicuramente data da quello vecchio, consolidato e collaudato dall’esperienza di questi anni, ma alcune modifiche importanti suggeriscono ai cacciatori di selezione di prenderne attentamente visione prima d’iniziare la ormai prossima stagione venatoria. Altro punto che ha impegnato la Commissione è quello della raccolta dei dati usciti dai censimenti che consentono sicuramente d’accertare la discreta espansione delle popolazioni di cervo, la sostanziale tenuta di quelle di capriolo e la più che soddisfacente propagazione e densità di quelle di camoscio. Mi preme a questo punto evidenziare che, dietro sollecitazione espressa all’unanimità da parte della Commissione Ungulati, il CTG ha deliberato di non riassegnare, anche in caso di prelievi sanitari, nessun capo di ungulato a chi, sotto i 70 anni, non ha partecipato ai censimenti. D’altra parte il Regolamento Provinciale, all’art. 4, prevede, in questo caso, addirittura la sospensione dalla caccia di selezione. Vorrei poi ringraziare quanti si sono impegnati per la buona riuscita della mostra di gestione faunistica, per la realizzazione ed inaugurazione della nuova sede del CA e per la gara dei cani da traccia in memoria dei mai dimenticati amici Roberto Gatti e Isacco Bagardi. Tuttavia devo purtroppo rilevare che sono quasi sempre le stesse persone. A tutti, comunque, un grande augurio perchè l’ormai prossima stagione venatoria sia, nel rispetto delle norme, proficua di grandi soddisfazioni. Waidmannsheil. Il Presidente Gianantonio Bonetti La nostra “Casa del cacciatore” I N A U G U R A Z I O N E D E L L A N U O VA S E D E D E L C O M P R E N S O R I O - Lino E. Ceruti È stata veramente una bellissima festa. La data non la potremo dimenticare, non solo per la coincidenza con la ricorrenza nazionale, ma perché, per noi, rappresenta il coronamento di un sogno che rincorrevamo da anni. Non stiamo a ricordare la laboriosa ricerca di una soluzione al reperimento della sede; prima l’ipotesi di Piazza Brembana, che non ha poi trovato adeguata soluzione, infine Lenna, con l’occasione offerta della sede dell’ex Stazione ferroviaria, che già aveva per alcuni anni ospitato il centro di verifica ungulati. È stato per merito dell’impegno di tutti, del Comitato Tecnico attuale, di quello precedente, di quanti dal di fuori si sono impegnati affinché si raggiungesse l’obiettivo che ci eravamo posti, ambizioso ma possibile, che è stato possibile che il nostro sogno diventasse realtà. Negli anni addietro siamo stati risparmiatori, abbiamo pian piano accantonato risorse da destinare all’impresa, e con qualche aiuto ce l’abbiamo fatta. Si chiama caparbietà, un carattere distintivo di noi valligiani che nelle cose buone si rivela sempre vincente. Per quelle giornate, sabato 2 e domenica 3 giungo, c’erano diverse manifestazioni, tutte di qualità, e ognuna è stata il corollario dell’altra. Oltre alla inaugurazione della nuova Casa del Cacciatore era prevista la mostra annuale dei trofei, che illustra l’andamento delle popolazioni di ungulati della nostra valle e la professionalità con cui il prelievo ogni anno viene svolto e, il giorno successivo, domenica, la prova nazionale dei cani da traccia, altro momento qualificante della gestione faunistica svolto nella nostra provincia, e per il quale il nostro Comprensorio si è giustamente distinto per la straordinaria capacità organizzativa. L’incontro al teatro Codussi CACCIAINVALBREMBANA 11 L’ufficio per il pubblico Il taglio del nastro All’inaugurazione eravamo presenti in molti, a far da corona al Comitato di Gestione, ai molti responsabili delle diverse attività gestionali e agli invitati. Ad ascoltare le parole del Presidente Enrico Bonzi c’erano i Consiglieri regionali Macconi, Saffiotti e Frosio, che hanno sottolineato come siamo stati “in gamba” e come l’impegno che sappiamo mettere nelle cose che meritano porta sempre a raggiungere gli obiettivi programmati. Le parole del sindaco di Lenna Mario Lazzaroni 12 CACCIAINVALBREMBANA C’erano le autorità religiose e militari, il Presidente della Comunità Montana Busi e l’Assessore provinciale Pisoni, che hanno lodato l’iniziativa e si sono complimentati per la nuova Sede. Ha fatto da padrino il Sindaco di Lenna Mario Lazzaroni. Oltre all’aspetto celebrativo, che ha avuto il suo momento più significativo con il taglio del nastro, affidato ai nostri due “Soci Anziani” Mario Belotti e Mario Mazzoleni di anni 85, è stato offerto un rinfresco a tutti i partecipanti e successivamente, al Teatro Codussi, ci sono stati gli interventi, graditissimi, degli ospiti. I consiglieri regionali hanno ribadito il loro impegno a sostenere nelle sedi regionali le nostre istanze, in particolare hanno sottolineato come la Regione si sia mossa e si stia tuttora movendo perché non possano esserci sorprese in ordine all’attività venatoria nelle ZPS e nei SIC, individuati dalla Regione e per i quali hanno fatto in modo che non potessero sopravvenire limitazioni di sorta. Staremo a vedere! L’assessore Pisoni, oltre a complimentarsi per la realizzazione, ha fatto presente come il calendario provinciale sia ormai definito, e già oggi, al momento di andare in stampa, possiamo dire approvato. La festa, intervallata dalle musiche dei suonatori di Corni invitati dal Trentino per l’occasione, ha poi visto la presentazione della Relazione sulla Caccia di Selezione della stagione 2006, presentata dal Presidente della Commissione Ungulati Bonetti. La nuova sede si presenta dignitosa: l’edificio è storico e ricorda un momento importante dello sviluppo della nostra Valle, quando anche l’Alta Valle fu raggiunta dalla ferrovia, era l’anno 1926. L’interno è perfettamente funzionale, luminoso e completo: oltre all’ufficio per il pubblico, perfettamente attrezzato, vi è un’ ampia sala per le riunioni del CTG, delle Commissioni e della Redazione del nostro Giornale. A fianco, in fase di arredamento, è stata ricavata la sala per i Centri di verifica, provvisti di tutto quanto necessita per lo svolgimento delle rilevazioni biometriche dei capi prelevati. Un ampio e comodo piazzale ci permetterà di svolgere questo lavoro in tutta tranquillità e in maniera adeguata. Al termine c’è stato un pranzo conviviale al quale hanno partecipato più di un centinaio di persone. Ora non ci resta che viverla, e far sì che diventi una vera “Casa del Cacciatore”, come ha voluto chiamarla il nostro Presidente. Mostra di gestione venatoria RELAZIONE FINALE CACCIA DI SELEZIONE 2006 - Gianantonio Bonetti La caccia rappresenta per noi cacciatori di selezione un forte e passionale interesse soggettivo, è il nostro stile di vita, ma, non dimentichiamolo mai, è soprattutto un modo per partecipare ad una azione sociale, quale è la gestione dell’ambiente montano e della fauna selvatica che lo abita. La stagione venatoria che ci siamo lasciati alle spalle, ancora una volta ha posto in evidenza l’avvenuto sorpasso del camoscio sul capriolo. A fronte di stime di abbondanza e di censimenti condivisi con il Corpo di Polizia provinciale abbiamo registrato nel 2006 nel nostro comprensorio una presenza di 4135 camosci a fronte di una popolazione di 2560 caprioli. La popolazione di camosci ha mediamente raggiunto la capacità portante del nostro comprensorio, che la stessa Carta delle vocazioni faunistiche della provincia valuta in circa 4000 capi, su una superficie vocazionale a questo bovide di 39.770 ha. Una media di oltre 10 camosci al kmq. (100 ha), colloca la Valle Brembana tra le migliori realtà alpine per la gestione di questo rupicaprino. La responsabilità di noi cacciatori di selezione per la conservazione di questa imponente popolazione è altissima, a questo punto prelevare attraverso la caccia, non è più solo una scelta, è una necessità. Naturalmente occorre una sempre maggiore attenzione alla quantità e qua- lità dei piani di abbattimento approvati e realizzati. In merito a questo punto, sono 374 i camosci prelevati a fronte di un piano di abbattimento approvato dalla Provincia di 420 capi. Abbiamo realizzato l’89% del piano e se consideriamo le “perdite fisiologiche”, possiamo dire che il piano di abbattimento, almeno in termini complessivi è stato completamente attuato. Dall’analisi critica dei prelievi effettuati per sesso e classi di età, anche quest’anno il prelievo appare ancora una volta differenziale e forse eccessivo per quanto riguarda i maschi rispetto alle femmine nelle classi 2-3 anni e 4-10 anni. Nella classe 2-3 anni sono stati prelevati 44 maschi su 44 assegnati, mentre, per quanto concerne le femmine, ne sono state prelevate 44 sulle 54 assegnate. La stessa discrasia anche nella classe superiore dei soggetti da 4 a 10 anni, 43 maschi prelevati rispetto ai 40 approvati e solo 37 femmine prelevate sulle 56 assegnate. Non era andata meglio in termini di equilibrio nella sex ratio nel 2005, allora, nella classe 2-3 anni venne prelevato l’87,23% dei maschi, e il 57,44% delle femmine, mentre nelle classi da trofeo, cioè quella 4-10 anni venne prelevato il 127% dei maschi e solo il 68% delle femmine. Non solo l’INFS, ma anche il più normale cacciatore di selezione può intravedere il rischio della destrutturazione della popolazione di camosci, che occorre evi- tare con un nuovo piano di assestamento venatico. Nella prossima stagione occorrerà incidere maggiormente sulla classe delle femmine e favorire l’invecchiamento delle classi maschili. Contemporaneamente occorre rinvigorire lo spirito etico che ci spinge a risparmiare le femmine lattanti di tutte le specie, introducendo in un eventuale nuovo regolamento di selezione un sistema premiante o penalizzante in funzione della qualità delle femmine abbattute. La percentuale dei prelievi nei singoli settori risulta essere molto buona, dimostrando una omogenea distribuzione della specie su tutto il territorio brembano. I pesi medi, sostanzialmente superiori allo scorso anno, accompagnati da un buono stato delle mute e da una buona presenza di grasso perirenale, dimostrano, almeno visivamente, un buon stato sanitario generale della specie. Vanno però segnalati alcuni casi di cheratocongiuntivite riscontrati in zone in cui è molto forte l’intersezione con ovini e caprini domestici. Se per il camoscio, come abbiamo visto, il piano di abbattimento è ormai una necessità di conservazione della specie e deve assumere sempre più una valenza di assestamento e riequilibrio della popolazione, per il capriolo occorre senza dubbio adottare criteri maggiormente conservativi nell’attuazione del prelievo. CACCIAINVALBREMBANA 13 La popolazione di questo cervide appare assestata intorno ai 2500 capi, più di un terzo in meno rispetto alla situazione ufficiale registrata all’inizio del decennio. La vocazionalità del nostro territorio secondo la Carta delle vocazioni faunistiche provinciali indicherebbe una presenza potenziale di 3650 caprioli su una superficie utile alla specie di 43840 ha. In valle Brembana abbiamo una densità media di 5,84 caprioli al kmq., la metà rispetto alla densità dei camosci. E’ evidente che questo cervide sta attraversando un periodo critico, ce lo conferma anche l’esito del piano di prelievo attuato: 167 capi abbattuti rispetto ad un piano di abbattimento approvato di 230 capi: il 72,6%. Anche per questa specie è stato riscontrato un maggiore prelievo a carico dei maschi: 92 rispetto a 75 femmine. Sono diversi e numerosi i problemi conosciuti, e non, a carico di questa specie, come cacciatori dobbiamo evitare la destrutturazione e il prelievo non sostenibile di questo cervide. Occorre riequilibrare il prelievo a carico delle femmine, con maggiore attenzione alle femmine lattanti, non dimentichiamo che prelevando una femmina lattante agli inizi di agosto si rischia di prelevare nel concreto tre capi. Tecnicamente ineccepibili sono i prelievi di maschi di capriolo già nel corso dell’estate, bisogna ammettere tuttavia che l’abbattimento delle femmine prima Uno scorcio dell mostra 14 CACCIAINVALBREMBANA della metà di settembre priva della madre i caprioli di classe 0 nati nella primavera, in un periodo in cui essi risultano ancora fortemente dipendenti dalle cure parentali. Questa eventualità può introdurre una causa di mortalità in più per i piccoli di classe 0 con indesiderabili ripercussioni negative sul tasso di incremento della popolazione. Forse non torneremo alle densità di caprioli riscontrate nel nostro comprensorio a metà degli anni novanta, occorre però assestare la popolazione in maniera più omogenea nei diversi settori; appare infatti molto diversificato il risultato dei prelievi nei cinque settori: si va da un massimo dell’88% nel settore 1 a un minimo del 55% nel settore 4. A parità di sforzo di caccia, emerge con evidenza una difforme distribuzione della presenza di caprioli all’interno del Comprensorio. I pesi medi riscontrati al centro di verifica sono generalmente bassi per la specie capriolo e denotano lo stato di sofferenza di questo piccolo cervide. Molte sono le cause che, anche se conosciute, risultano molto difficili da affrontare. A noi spetta il costante impegno di monitoraggio e la piena disponibilità di volontariato a sostegno degli interventi che le autorità preposte, da noi sensibilizzate, riterranno opportuno adottare (vedi recuperi ambientali). La gestione venatoria del cervo è una recente conquista, resa possibile anche da un costante monitoraggio della popolazione, stimata in 200 esemplari. Il piano di prelievo approvato di 8 capi, si è concretizzato con l’abbattimento di 6 cervi, pari al 75%, con un rapporto paritario tra i sessi, La consistenza potenziale del cervo in Valle Brembana è valutata intorno agli 800 capi, su una superficie vocazionale di 46.900 ha. Ipotizzando di raggiungere questo traguardo, è evidente che, anche ammettendo un prelievo venatorio del 10-15%, non sarà mai possibile assegnare un cervo ad ogni cacciatore di selezione, tuttavia occorre guardare a questa specie come un ungulato emergente nei prossimi anni. Lo dimostra la diffusione numerica e territoriale del cervo anche negli altri comprensori alpini e nell’ATC Prealpino, nonché l’aumento di incidenti stradali che hanno per protagonista questo ungulato. Per il momento occorre assestare il prelievo sotto i 10 capi, programmare in tutti i settori dettagliati censimenti della specie e arginare con ogni mezzo le “perdite extravenatorie”. Nel panorama legislativo nazionale e regionale si è aperta una finestra normativa che finalmente rende possibile la caccia di selezione al di là del ridotto arco temporale di 61 giorni per ogni specie. L’opportunità è importante anche perché consegna ai cacciatori di selezione un ruolo fiduciario di gestori di questo capitale faunistico, che, non dimentichiamolo mai, appartiene alla collettività. Questo aspetto positivo per la caccia di selezione è però temperato dalle forti preoccupazioni che nutriamo nei confronti della gigantesca espansione dei Siti Natura 2000 (SIC e ZPS) nella nostra provincia ed, in particolare, in Valle Brembana. Non è questa la sede per avviare un dibattito su questi nuovi istituti, ma chiediamo alle istituzioni di garantire la conservazione del capitale ungulati con la necessaria partecipazione dei cacciatori di selezione. Colgo l’occasione per ringraziare la Provincia di Bergamo per le fitte sinergie nella gestione degli ungulati selvatici con il Comprensorio alpino e il Corpo di Polizia provinciale per il faticoso presidio Camoscio Capriolo Cervo della popolazione di ungulati, che recentemente ha reso possibile porre freno a incresciosi episodi di bracconaggio, che pongono in cattiva luce la nostra categoria e rischiano di compromettere gli sforzi profusi per la buona gestione. Un grande grazie anche al C.T.G., ed in modo particolare al nostro presidente Sig. Enrico Bonzi, per la nuova e fortemente voluta sede, sicuramente degna delle grandi tradizioni venatorie della nostra terra. A tutti Voi il mio grazie per la collaborazione ed il migliore augurio per la prossima stagione con il tradizionale Waidmannsheil! CACCIAINVALBREMBANA 15 Prove di lavoro per cani da traccia - Flavio Galizzi Dopo alcune giornate di pioggia e di tempo alterno, che hanno messo a dura prova l’apparato organizzativo, che per una manifestazione di importanza nazionale, con 12 partecipanti, è molto complesso e coinvolge un elevato numero di persone, finalmente domenica 3 giugno è venuto il momento tanto atteso. Atteso non solo per i partecipanti e gli organizzatori, ma per tutti gli appassionati che hanno voluto seguire la manifestazione. Il tempo è stato benevolo e alle sette del mattino, all’appuntamento presso l’hotel Alpino di Roncobello, il cielo si era aperto ed eravamo proprio in molti. Iscritti alla gara erano 9 cani adulti in classe libera e 3 in classe giovani, dunque il lavoro preparatorio ha comportato la fatica di predisporre 12 tracce, per gli adulti di circa 1.200 metri con due angoli a novanta gradi, per i giovani circa 800 con un angolo a novanta gradi, la distanza regolamentare per questo tipo di prova. Perché questo non risulti uno dei tanti avvenimenti che si succedono nel corso della stagione venatoria, una delle tante prove che passa senza lasciare un segno, merita che si spendano due parole sul contenuto tecnico della prova di lavoro e su 16 CACCIAINVALBREMBANA come si svolge. Si tratta innanzitutto, come avviene per le manifestazioni cinofile di un certo livello, di finalizzare l’impegno, per questi tipi di cani, all’ottenimento di uno standard di lavoro di assoluta affidabilità, di alto profilo, affinché si possano selezionare ottimi riproduttori con caratteristiche individuali che possano offrire garanzie perché le specie selezionate per questo lavoro possano trasmetterle alla loro discendenza. Lo standard di bellezza, lo stile di lavoro e l’equilibrio psichico sono elementi fondamentali per la riproduzione selezionata. È quindi molto importante, per chi vuole conoscere meglio come lavorano i cani da traccia, poter assistere almeno una volta ad una manifestazione, magari seguendo da vicino tutta la prova con l’occhio di chi vuole imparare. Una volta visto da vicino lavorare uno di questi cani, si comprende come il servizio stesso del recupero di un capo ferito assuma una grande importanza per la caccia di selezione, e non si ritenga quindi inutile, come purtroppo spesso avviene, il coinvolgimento del recuperatore ogni volta che si abbia anche solo il dubbio di aver ferito un capo. Non solo per il rispetto as- soluto che ogni cacciatore deve avere per il selvatico che preleva, ma anche perché fa parte del suo dovere accertarsi sempre, ogni volta che spara, dove è finito il colpo. La disciplina e la tecnica del recupero di un capo ferito comportano diversi passaggi, che nel corso della prova devono essere messi in pratica da ogni binomio cane-cacciatore. Vediamone la successione. Innanzitutto, prima della prova di lavoro, i cani vengono portati in luogo aperto e lasciati di fianco allo zaino del conduttore, solitamente accucciati sulla loro coperta; i conduttori si allontanano e i cani devono rimanere seduti a custodire lo zaino, non si devono per nessun motivo allontanare o seguire il padrone; questa abilità si chiama “attesa del conduttore”. C’è quindi la prova dello sparo: dopo 10 minuti di attesa un guardiacaccia spara con la carabina, come se ci fosse stata un’azione di caccia, e il cane non si deve assolutamente muovere; dopo 5 minuti si spara un secondo colpo, e solamente dopo altri 5 minuti i conduttori possono recuperare i loro ausiliari. Vederli tutti distanziati, accucciati di fianco agli zaini dei loro padroni, immobili, è stato uno spettacolo molto bello, reso ancor più affascinante dalla bellezza della conca di Mezzano in questa stagione di primavera avanzata. Siamo sopra quota 1600, più in basso i maggiociondoli alpini hanno iniziato a finire, e tra qualche giorno l’anfiteatro risplenderà del giallo di intense e splendide fioriture. Una volta superata la prova dello sparo, inizia il lavoro vero e proprio sulla traccia. A turno i giudici accompagnano i concorrenti e i loro cani all’inizio della traccia loro assegnata. Si comincia con una prova di obbedienza: il cane, senza l’ausilio del guinzaglio, deve accompagnare il conduttore seguendolo al piede, poi il cane deve dimostrare di saper rimanere fermo, seduto su invito del conduttore, mentre lui si muove nelle vicinanze o si allontana. Si giunge così nei pressi dell’anschuss e il cane viene di nuovo lasciato a pochi passi di distanza, accanto allo zaino, immobile. L’anschuss è il punto esatto deve in teoria dovrebbe esserci stato il ferimento del capo, individuato e segnato da un rametto di pino come dovrebbe avvenire nel caso reale di un’azione di caccia in cui il cacciatore, prima di chiamare per il recupero dell’animale ferito, provvede a segnare con dei rami visibili il luogo esatto e la direzione presa dal capo ferito. Qui sono state lasciate alcune tracce del ferimento, pelo, pezzetti di ossa e un po’ di sangue, che il conduttore esamina. Questi torna poi dal cane, che nel frattempo deve essere rimasto immobile a distanza, gli mette la “lunga” e lo porta sull’anschuss. Inizia a questo punto il lavoro del cane sulla traccia, che l’ausiliare deve dimostrare di saper seguire fino al ritrovamento della spoglia. La traccia non segue mai un tracciato regolare, non è conosciuta dal conduttore, il quale in ogni caso non deve né correggere né sollecitare il cane, ma semplicemente seguirlo con molta attenzione e lasciarlo lavorare. La tranquillità e la sicurezza dell’animale nel seguire la traccia, e nel saperla prontamente recuperare ogni qualvolta la perde per brevi tratti, sono elementi fondamentali di giudizio da parte del giudice che segue ad ogni passo il lavoro del cane. Il percorso in libera varia solitamente dai 1000 ai 1200 metri, con diverse difficoltà, compreso a volte l’attraversamento di torrentelli o di fitta vegetazione, come in realtà potrebbe avvenire in una reale situazione di caccia. Anche la predisposizione delle tracce, quindi, è un lavoro da esperti, che richiede attenzione e distribuzione corretta e omogenea di diverse situazioni “complesse” che il cane deve dimostrare di saper risolvere da solo, fino al ritrovamento della spoglia. Nei pressi del punto finale della traccia, che il giudice conosce, il conduttore viene invitato a lasciar libero il cane, che si deve portare con sicurezza sulla spoglia, segnare o meno il suo ritrovamento con l’abbaio, o tornare dal conduttore per “guidarlo” sull’animale recuperato. A questo punto manca l’ultima prova, quella della difesa. Il cane viene lasciato accucciato accanto alla spoglia, dove viene lasciato anche lo zaino e la coperta che di solito si porta sempre appresso, e il conduttore si allontana. Tocca al Giudice avvicinarsi alla spoglia; per il cane lui è un estraneo, quindi deve saper difendere l’animale e lo zaino ringhiando e abbaiando. Solo a questo punto la prova si può definire correttamente conclusa. Manca però ancora un gesto, quello del premio per il lavoro svolto: il giudice consegna al conduttore due rametti spezzati da un abete, o altra essenza arborea nobile del luogo, come gesto di omaggio al bosco, custode della fauna. Il conduttore ne tiene uno per sé, che metterà sul cappello, e con il secondo premia il suo compagno di lavoro: lo infila nel collare omaggiandolo per l’ottimo lavoro svolto. Ogni cacciatore di ungulati dovrebbe, almeno una volta, avere l’opportunità di seguire una prova di lavoro, per conoscere La premiazione procedure e svolgimento del delicato lavoro di recupero, così da esserne coinvolto e saper apprezzare fino in fondo il lavoro che questi splendidi e importanti compagni di caccia sanno svolgere sul campo, conscio dei sacrifici e dell’impegno che comporta questa bellissima disciplina venatoria. La prova del 3 giugno ha visto vincitore il nostro socio Diego Vassalli che ha per anni guidato il Gruppo Conduttori Cani da Traccia, e il suo cane Toy, splendidamente condotto e premiato con un “eccellente”, che si aggiunge al titolo di “Campione italiano di lavoro” conseguito a Bormio lo scorso 13 maggio. Un grandissimo risultato che onora tutti noi. Complimenti a Diego, al Gruppo Conduttori cani da Traccia della Provincia di Bergamo, al neo presidente del Gruppo Osvaldo Valtulini per l’impeccabile organizzazione, ai molti che in diversi modi e a diverso titolo hanno dato un fondamentale aiuto e supporto per lo svolgimento della prova, allo sponsor SWAROWSKI OPTIK per i prestigiosi premi e a tutti gli altri sponsor che hanno contribuito alla ottima riuscita della manifestazione. Un grazie di cuore ai Giudici internazionali delegati dell’E.N.C.I. Hans Bernhart, Ezio Albertini, Paolo Pancotto e Giuliano Colombi,ai Conduttori, con i loro ottimi cani, che hanno accettato di condividere con noi questi due giorni di festa. Al termine della prova ci si è trovati tutti a pranzo presso l’hotel Alpino di Roncobello, e alle 16 in punto a Lenna, presso la sala della mostra dei trofei, ci sono state le relazioni dei giudici e le premiazioni di tutti i partecipanti. Un rinnovato ringraziamento a tutti gli organizzatori e un arrivederci al prossimo anno. Alcuni concorrenti CACCIAINVALBREMBANA 17 Seguiamo da vicino una prova... - Servizio fotografico di A. Galizzi 1. Prima dell’inizio del lavoro sulla traccia il cane deve dimostrare tranquillità e obbedienza, rimanendo fermo mentre il conduttore perlustra il territorio nei pressi dell’anschuss. 4. Il cane viene portato sull’anschuss. 2. L’esame dell’anschuss da parte del conduttore. 5. Inizia il lavoro di individuazione della direzione presa dall’animale ferito. 3. Prima dell’inizio del lavoro sulla traccia al cane viene messo il collare e la “lunga”. 6. Una volta individuata la traccia il cane, tenuto alla lunga dal conduttore, inizia a seguirla. 18 CACCIAINVALBREMBANA 7. Il cane va “accompagnato” nel suo lavoro sulla traccia; la presenza del conduttore deve tranquillizzarlo e farlo sentire sicuro. 10. La traccia è ripresa e la cerca continua. 8. Il percorso si snoda tra la vegetazione, come solitamente tende a fare un animale ferito. 11. Le asperità non mancano 9. Non è infrequente che debbano essere affrontati ostacoli imprevisti e di un certo impegno, che il cane deve dimostrare di saper superare con sicurezza. Il giudice osserva sempre con attenzione come il cane lavora e come si disimpegna. 12. Il terreno è spesso impervio e difficoltoso, a volte più per il conduttore che per il cane. CACCIAINVALBREMBANA 19 13. Siamo ormai nei pressi della conclusione della traccia: il cane viene liberato dalla lunga e deve trovare da solo il capo ferito tornando a segnalarne il ritrovamento al conduttore. 16. La consegna del “Bruch” al conduttore da parte del giudice Albertini, un momento rituale che conclude sempre l’azione di recupero arricchendola di un significato simbolico ed etico. 14. Il cane viene lasciato accanto alla spoglia, dove il conduttore ha lasciato anche lo zaino, e deve saperlo “difendere” all’arrivo del giudice. 17. Anche il cane riceve il meritato riconoscimento. 15. La prova è conclusa e il giudice commenta “a caldo” il lavoro del cane e del conduttore. 18. La foto ricordo al termine della prova: in primo piano il conduttore Diego Vassalli e il Giudice Ezio Albertini e sullo sfondo Toy accanto allo zaino. 20 CACCIAINVALBREMBANA Le Zone di rifugio e ambientamento I M P O R TA N Z A E S I G N I F I C AT O N E L L A G E S T I O N E FA U N I S T I C A E V E N AT O R I A ( 2a PA R T E ) - Giovan Battista Vitali La pianificazione delle zone di rifugio ed ambientamento La progettazione di una rete di zone di rifugio ed ambientamento non può prescindere da un’attenta valutazione delle caratteristiche ambientali del territorio a caccia programmata, in cui perimetrale tali istituti, sia per valutare le zone più potenzialmente vocate per le specie di riferimento sia per avere “corridoi venatori” efficienti. La metodologia per la progettazione di una rete di zone di rifugio ed ambientamento può essere così schematicamente riassunta: Analisi delle caratteristiche ambientali e agroforestali del territorio oggetto di attività venatoria attraverso l’elaborazione di specifiche cartografie tematiche: • carta dell’uso del suolo, con individuazione delle più importanti classi tipologiche (es. prati e pascoli, boschi cedui, boschi a fustaia, seminativi, vigneti, urbanizzato, rete stradale, rete idrografica ed irrigua, ecc…) Esempio di carta dell’uso del suolo Esempio di carta del paesaggio • carta del paesaggio in cui viene vengono riportate le principali tipologie paesaggistiche del territorio in esame, tali perimetrazioni consentono di individuare le aree ecologicamente più complesse e quindi a più alto valore ecologico, tali individuazioni vengono, normalmente, effettuate attraverso degli indici di diversità e complessità ambientale (es. indice di shennon, indice di patton, ecc…) Valutazione delle potenzialità faunistiche del territorio attraverso la redazione di una cartografia che indichi le aree a differente vocazionalità nei confronti di una specie, ad esempio la carta delle potenzialità vocazionali per la lepre o per il fagiano. Queste carte sono redatte attraverso dei modelli di vocazionalità ambientale, con cui viene valutata ogni singola tipologia ambientale considerando l’idoneità della stessa nei confronti della specie considerata e la relativa ampiezza nel contesto analizzato. CACCIAINVALBREMBANA 21 La figura successiva rappresenta la carta della vocazionalità ambientale nei confronti della lepre. Esempio di carta della potenzialità ambientale per la lepre Individuazione cartografica degli istituti faunistici previsti dalla pianificazione faunisto-venatoria provinciale. Tale cartografia consente di avere una chiara immagine della dislocazione territoriale di tali istituti (zone di ripopolamento e cattura, oasi di protezione, zone speciali ungulati, zone addestramento cani, parchi naturali, riserve naturali, ecc…). Identificazione e delimitazione delle zone di rifugio ed ambientameto, tale operazione deve essere effettuata considerando i seguenti elementi progettuali: 22 CACCIAINVALBREMBANA • Caratteristiche ambientali del territorio considerato, ovvero la vocazionalità ambientale nei confronti delle specie d’interesse; • Ampiezza indicativa delle ZRA, per la tipologia “A” minore di 100 Ha, per quella di tipo “B” maggiore di 100 Ha; • Mantenimento di corridoi venatori di aventi una larghezza minima di 500 m tra le diverse aree di protezione faunistica; • Posizionamento “satellitare” delle ZRA rispetto agli istituti previsti dalla pianificazione provinciale, in modo da in modo potenziare gli effetti della buona gestione di questi ultimi; • Eventuale posizionamento di ZRA in adiacenza ad altri Istituti di protezione faunistica per migliorarne la gestione (zone cuscinetto o fasce tampone) La gestione delle zone di rifugio ed ambientamento La gestione delle zone di rifugio ed ambientamento Le zone di rifugio ed ambientamento, sebbene siano degli istituti aventi un forte significato venatorio, per non assumere solamente la funzione di strutture a supporto dei attività di pronta caccia, devono avere un importante ruolo nella miglioramento complessivo della gestione faunistica e per il miglioramento dell’ambiente nel territorio a caccia programmata. Affinché il vero ruolo delle ZRA si possa concretizzare è necessario che in esse vengano compiute adeguate operazioni di gestione faunistica e di miglioramento ambientale. Per far ciò è necessario elaborare dei specifici piani di gestione ambientale e faunistica, nei quali, a differenza delle ZRC o dell Oasi di protezione, deve essere presa in considerazione la valenza venatoria delle zone di rifugio ed ambientamento. Il piano di gestione ambientale e faunistica Esempio di distribuzione territoriale delle ZRA Il piano di gestione ambientale e faunistica è uno strumento indispensabile affinché le aspettative della creazione di una rete di ZRA non siano deluse, infatti l’irraggiamento ed il rifugio della fauna selvatica non dipende solamente dalle caratteristiche ambientali di partenza, ma soprattutto da come avvengono le immissioni di selvaggina e da come si sono create le condizioni ottimali per l’insediamento della stessa. Il piano deve essere anche articolato su due modelli gestionali, cioè uno per le ZRA di tipo “A” ed uno per le ZRA di tipo “B”. Il modello gestionale per le zone di tipo “A” , aree di dimensioni limitate, è imperniato su attività di ripopolamento al fine di favorire l’irradiamento nel territorio circostante, mentre quello delle zone di tipo “B” deve prevede immissioni di qualità, anche realizzate con l’uso di recinti e voliere, il cui fine è quello di creare delle popolazioni autosufficienti o almeno di nuclei in grado di soddisfare le aspettative venatorie. Schematicamente un piano di gestione ambientale e faunistica delle ZRA è così articolato: • piano di immissione delle specie di riferimento; • indicazioni per potenziare o salvaguardare particolari specie, anche d’interesse non venatorio, e le relative iniziative gestionali; • Interventi di miglioramento ambientale da porre in atto per favorire la presenza e la riproduzione delle specie di riferimento e di quelle da potenziare o salvaguardare; • Eventuale realizzazione di strutture per il pre-ambientamento, l’ambientamento e la riproduzione della fauna immessa; • Eventuale realizzazione di specifiche strutture per favorire la presenza e la riproduzione delle specie da potenziare o salvaguardare; • Eventuali interventi e accorgimenti da attuare per la prevenzione dei danni alle colture ed il controllo delle specie opportunistiche o antagoniste; • Organizzazione del servizio di vigilanza; • Monitoraggio delle varie attività svolte, compreso il censimento delle specie di riferimento; • Eventuale programmazione delle catture, per quelle ZRA di una certa ampiezza e dove le popolazioni delle specie di riferimento hanno raggiunto una densità adeguata • Eventuale definizione e regolamentazione di un servizio di volontariato per effettuare le varie attività definite ai punti precedenti. Una particolare attenzione deve essere data alle tecniche di immissione di selvaggina, soprattutto per i galliformi per i quali è consigliabile l’utilizzo di strutture al fine di favorirne l’insediamento ed aumentare le probabilità di sopravvivenza degli animali immessi. Tali strutture possono essere molto semplici come le capannine di foraggiamento, oppure più complesse come i recinti di ambientamento con voliere di pre-ambientamento. In generale tutte le tecniche di immissione che prevedono specifiche strutture permettono di ottenere migliori risultati dall’attività di ripopolamento. Le capannine di foraggiamento consentono di somministrare gli alimenti per facilitare il passaggio dall’alimentazione a base di mangimi zootecnici a quella naturale, in questo caso la capannina deve essere tamponata solo su due lati, in modo tale da consentire una “via di fuga” per gli animali che si stanno alimentando, mentre le capannine che vengono posizionate all’interno delle voliere di pre-ambientamento il tamponamento deve essere su tre lati al fine di garantire un valido riparo dalle intemperie. Il foraggiamento e la fornitura di acqua deve avvenire per un periodo minimo di 10 gg (con un controllo bi-giornaliero), e comunque fino a quando le condizioni climatiche non garantiranno la presenza di una quantità sufficiente di alimento naturale disponibile. Esempio di capannina di foraggiamento realizzata con balle di paglia Le voliere di pre-ambientamento devono essere dotate di una zona non coperta e di un’area coperta, tale suddivisione in due zone consente ai soggetti di migliorare la copertura corporea, rendendola più consona ed efficiente per sopportare le condizioni atmosferiche in ambiente naturale (in particolare le precipitazioni atmosferiche e gli sbalzi di temperatura. Tale periodo di pre-ambientamento deve proseguire per 3-4 settimane. I recinti a cielo aperto devono avere una superficie minima di 2.500, con un rapporto superficie/capo pari a 16,6 mq/capo (indicazioni del Game Conservancy Trust) ed essere attrezzate con voliere interne per il pre-ambientamento, con colture faunistiche di cerali a paglia, prato polifita sfalciato e erba medica, avere un equipaggiamento arboreo/arbustivo posizionato nella parte centrale del recinto e la recinzione deve essere realizzata con tutti gli accorgimenti adatti ad evitare l’ingresso di predatori. Esempio recinto di a cielo aperto completamente attrezzato Esempio di voliera di pre ambientamento realizzata con strutture in ferro per tunnels Schema costruttivo della recinzione Esempio di voliera di pre ambientamento CACCIAINVALBREMBANA 23 Dopo il tiro C O M E C O M P O R TA R S I D O P O L O S PA R O - G. P. Sirtori Siamo al momento della verità. La carabina è spianata e l’immagine del capo assegnato compare nel nostro reticolo. Concentrazione ed emozione. Una ridda di considerazioni passano in quel momento nel nostro cervello: bisogna valutare la propria capacità, la distanza. L’altitudine, il vento, la posizione del selvatico, la taratura della carabina, l’angolo di sito e memorizzare con riferimenti precisi il posto dove si trova il nostro bersaglio. Il bravo accompagnatore intanto conferma che quello è il capo giusto, quello che ci è stato assegnato e magari, se c’è la possibilità e il tempo, col telemetro ci dà l’esatta distanza. Il reticolo è ben fisso, immobile sull’area vitale e la progressiva, misurata pressione sul grilletto fa partire il colpo. Se il calibro utilizzato non scuote troppo l’arma e la nostra spalla, è possibile osservare la reazione al colpo dell’animale, raggiunto dalla nostra palla, nell’ottica di puntamento. 24 CACCIAINVALBREMBANA Taluni riescono anche ad avvertire il “ciak” prodotto dal proiettile all’impatto sul corpo dell’animale. Quando c’è stata la buona coincidenza di tutte le variabili influenti sul tiro possiamo vedere la nostra preda cadere sul posto, o dopo pochi passi, coadiuvati in questo dall’accompagnatore che ha seguito attentamente l’abbattimento. A questo punto la tensione si allenta, ma l’attenzione non deve calare. Buona norma è ricaricare immediatamente, non muovesi dal posto e restare celati, perché bisogna essere pronti a intervenire di nuovo con un eventuale colpo di grazie, per evitare inutili sofferenze qualora il colpo non abbia prodotto l’effetto voluto, e l’animale si rialzi, per impedirne l’allontanamento. L’immobilità è pure molto importante affinché il capo colpito,e gli eventuali altri animali nelle vicinanze, non possano associare il “botto” del colpo alla presenza del cacciatore. Si ritiene opportuno che l’attesa si deb- ba protrarre per almeno 15 – 20 minuti prima di dirigersi alla volta del capo abbattuto. Lo shock provocato dal proiettile può – non sempre – provocare la morte immediata e far restare sul posto l’animale fulminato. Frequentemente, però, anche un colpo ben piazzato nell’area cuore – polmoni può determinare una reazione immediata al dolore provocando una fuga precipitosa, per lo più di breve durata, ma capace di far scomparire alla vista il nostro capo fintantoché il crollo della pressione sanguigna nelle sue arterie cerebrali non lo faccia cadere, e farci dubitare di non averlo colpito. Se la morte non avviene immediatamente, c’è sempre anche la possibilità che il capo si rialzi e si possa allontanare: questo può accadere più facilmente se il cacciatore si fa scoprire, provocando una scarica di adrenalina che consente all’animale, facendo ricorso alle ultime attività vitali, la sua fuga. Questo fatto è più fa- cile che accada quando l’animale è già in allarme perché ha percepito la presenza di un pericolo, ed è carico di adrenalina. È assai più probabile che cada sul posto il capo che pascola tranquillo, indisturbato, senza alcun motivo di apprensione. Se il colpo è stato efficace in breve tempo l’ungulato cercherà, anche per il venir meno delle forze, di nascondersi o acquattarsi fino al sopraggiungere della morte. È doveroso lasciarlo morire in pace,. Senza cercare di raggiungerlo troppo rapidamente, perché rischieremmo di farlo allontanare terrorizzato, e di complicare poi il recupero. Solo i colpi che interessano il sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) bloccano sul posto l’animale. Le regole di immobilità, silenzio e concentrazione sono fondamentali per una buona conclusione dell’azione di caccia e di “doveroso rispetto” per la selvaggina. Le reazioni al colpo descritte su molti libri o riviste di caccia non sono facilmente inquadrabili (come ogni fenomeno biologico), anche se possono esserci di aiuto nell’individuazione della possibile zona d’impatto del proiettile. Sembrano più facilmente riscontrabili nei cervidi, un po’ meno nei camosci e ancor meno nel cinghiale. Prima di muoversi, considerato che spesso la forte emozione gioca brutti “L’ultimo pasto” scherzi, è doveroso rimettere in sicura l’arma; solo quando si è raggiunto l’animale, dopo la doverosa attesa, con l’arma carica comunque per ogni eventuale necessità, e se ne è constatata la morte, secondo le buone tradizioni mitteleuropee, che molto hanno da insegnarci a proposito di tradizione ed etica venatoria, il cacciatore si toglie il cappello e corica sul fianco destro l’animale, Vuole essere un segno di ringraziamento per le emozioni che ci ha concesso di provare e di rispetto per il sacrificio di questo esemplare selvatico. Questi gesti rituali servono anche a dimostrare e affermare una cultura venatoria che caratterizza il Cacciatore di ungulati, che oggi può rivestire a testa alta il nuovo ruolo di gestore del patrimonio faunistico cacciabile, compatibile con i principi della conservazione, dello sviluppo e di un razionale utilizzo di queste risorse rinnovabili, patrimonio indisponibile delle Stato cui ci è concesso di accedere. Una volta constatata la correttezza del prelievo, l’accompagnatore spezza con le mani (non con il coltello!) due piccoli rametti verdi da un albero: uno di questi viene posto il bocca al capo abbattuto, come “ultimo pasto” che il cacciatore riconoscente offre alla sua preda (vale solo per gli erbivori, quindi non per il cinghiale), mentre l’altro rametto viene bagnato col sangue uscito dal foro di entrata del proiettile e poi, tenuto posato sulla lama del coltello o sul cappello dell’accompagnatore, viene offerto al Cacciatore, che se lo metterà sul lato destro del cappel- lo. L’accompagnatore stringe la mano al cacciatore complimentandosi con lui per la buon esito della caccia; nella tradizione europea si usa complimentarsi con la formula tedesca WEIDMANNSHEIL!, alla quale si risponde WEIDMANNSDANKE. Questa tradizione, e in genere ogni tradizione che si ritualizza in gesti significativi, mai abbandonata nella cultura venatoria mitteleuropea, ha certamente contribuito a mantenere alto il rispetto per il patrimonio faunistico e per i cacciatori che esercitano responsabilmente questa forma di caccia, ma anche per tutti glia altri, perché la tradizione si allarga anche a tutte le altre forme di caccia. Viene perfino indicata l’essenza della fronda arborea da utilizzare per il BRUCK: quercia, ontano, cirmolo, mugo, abete, ai quali possiamo aggiungere le nostre tipiche essenze italiane, come il leccio e l’alloro per l’Appennino e il ginepro. Non bisogna considerare queste forme rituali come espressine di una cultura che non si appartiene, ma semplicemente come un modello radicato di tradizione venatoria preesistente alla nostra, quindi parte essenziale della caccia di specializzazione di montagna. Concludo riportando un pensiero di Roberto Gatti: “In questo caso si può ben affermare che la forma… è sostanza, specialmente nell’attuale momento storico… in cui la caccia ha bisogno di rifarsi un’immagine.” A proposito di Weidmannsheil. Capiterà a molti di imbattersi in diverse trascrizioni di questo saluto: Waidmannshail, Weidmannshail, Weidmann’sheil, Waidmann’s Hail…. In realtà si tratta sempre dello stesso saluto, scritto in modo diverse secondo l’origine, più o meno antica o geografica della parola, ma sempre con lo stesso significato. Anche la pronuncia non cambia, in quanto il dittongo “ei” e “ai” si pronunciano sempre allo stesso modo [ai]. Nessun problema dunque, ciascuno adotti la forma che più gli piace, basta che lo usi. CACCIAINVALBREMBANA 25 Il camoscio e il bosco - Luigi Capitanio Ho assistito spesso a discussioni sostenute da alcuni cacciatori di ungulati circa la presenza nella nostra valle di camosci appartenenti a due specie ben distinte o, a detta dei più moderati, a specie quantomeno diverse così definite: il camoscio che vive solo sulle rocce ( cornaröl ), e il camoscio che vive prevalentemente nel bosco (boscaröl). La discussione poi si focalizza sull’opportunità o meno di prelevare in modo massiccio i camosci presenti nel bosco a vantaggio di quelli stazionanti a quote maggiori, prelievo che compenserebbe le perdite invernali maggiori nelle popolazioni che abitualmente abitano le zone più elevate. Devo premettere che per me è comunque piacevole assistere a queste discussioni, senza doverci entrare in modo diretto, in sostanza senza lasciarmi coinvolgere più di tanto. Non per mancanza di opinioni in merito, o per il rischio che schierandomi possa procurarmi possibili antipatie, ma per il semplice gusto di lasciar sviluppare in ogni contendente una forma di pensiero proprio, quasi sempre sostenuto da convinzioni dovute a racconti di vecchi cacciatori e da esperienze o teorie strettamente personali. Oggi, pur senza consultare la letteratura esistente, non è difficile prendere posizione su un argomento simile. Al riguardo, tutti noi “cacciatori moderni” abbiamo letto qualcosa in merito o partecipato a corsi di formazione, e ben sappiamo che l’arco alpino italiano è abitato da una sola specie: Rupicaprarupicapra-rupicapra, per l’appunto il 26 CACCIAINVALBREMBANA camoscio alpino. Ma allora perché abbiamo dei camosci che difficilmente si inoltrano nel bosco e altri che difficilmente ne escono? Leggendo alcuni autori in materia di camosci è possibile farsene un’idea. Per quanto riguarda la letteratura specializzata poi, Henry - Frédéric Blanc, 1874, nel suo “Le chasseur de chamois”, in merito al tema della frequentazione degli habitat da parte del camoscio, ebbe a scrivere: “Ciò che al riguardo del camoscio è stato descritto nel modo peggiore è il suo habitat. Se si dovesse credere alle dichiarazioni dei cacciatori “da salotto”, questo animale frequenterebbe senza tregua non soltanto i picchi nudi e inaccessibili, ma anche le nevi eterne e perfino i ghiacciai. Nulla di più inesatto…esso abita dunque un po’ dappertutto…ed è dunque nel bosco che, durante la calda stagione estiva, ne troverete sempre un numero maggiore. Esso vi trova il suo cibo e la sua sicurezza. La regione di Taillefer (nel Delfinato), a partire dai seicento metri, è abitata sicuramente da un numero di camosci considerevole, sicuramente maggiore di quello delle zone rocciose collegate e coperte d’erba. Il fatto è lungi da costituire un’eccezione, ne è piuttosto la regola” Anche da noi, per quanto riguarda la frequentazione degli habitat, non è diverso da quanto sostiene Blanc, anche se la maggior parte dei cacciatori continua però ad associare la presenza del camoscio solo agli alti pascoli alpini e alle rocce più elevate. Simile opinione è largamente diffusa anche fuori della schiera dei cacciatori di ungulati, come tra i frequentatori occasionali della montagna, ingannati forse dalla facilità di avvistare i camosci in zone impervie, o dalla visione di alcuni documentari che per ragioni tecniche e facilità di ripresa mostrano i camosci solo negli spazi aperti, proponendo così modelli comportamentali del camoscio che non sempre corrispondono alla verità. La motivazione della presenza del camoscio nel bosco e nella foresta in generale, va invece interpretata come un fatto naturale in riferimento alla specie e alle sue esigenze ecologiche. Infatti, contrariamente a quanto alcune scuole di pensiero sostengono, il suo insediamento nel bosco non deriva in modo esclusivo da modifiche importanti del suo habitat principe, che è, e resta, tipicamente alpino. Recenti studi hanno dimostrato come i camosci abitassero i boschi delle Alpi e delle Prealpi in misura maggiore di quanto rileviamo oggi, ancor prima della trasformazione del piano montano in paesaggio coltivato ad opera dell’uomo. Ancor oggi i camosci colonizzano in modo spontaneo i boschi di montagna, nella misura in cui l’uomo glielo permette ovviamente, ma in modo indipendente dalla trasformazione degli habitat. Questo fenomeno della colonizzazione del bosco è sicuramente in relazione a diversi fattori, di cui solo alcuni sono stati finora dimostrati. Ad esempio: 1. Assenza dei grandi predatori quali: orso, lince e lupo, che prevalentemente operavano nella foresta. 1. Disturbo conseguente alle attività umane da reddito, la caccia e il turismo. 2. Competizione alimentare e spaziale con pecore e capre. 3. Frammentazione dei pascoli con recupero degli spazi da parte del bosco. Nel sottolineare come la presenza e lo sviluppo delle popolazioni di camoscio nella nostra provincia nell’ultimo secolo sia stata la storia di un vero successo, nella vicenda non possiamo che riconoscere al bosco un ruolo di primaria importanza. Alla fine della seconda guerra mondiale la popolazione di questa specie era certamente ridotta al lumicino a causa di una caccia sfrenata, soprattutto in relazione alle difficoltà economiche del momento. Prima ancora che venissero adottate leggi di tutela per proteggere i pochi camosci scampati, già i cacciatori avevano individuato le prime zone idonee alla loro protezione, e in queste aree la superficie coperta dal bosco era molto importante. Gli sforzi di allora, intrapresi per proteggere la specie, hanno permesso un costante incremento dei suoi effettivi fino ad oggi, e l’obiettivo iniziale di salvaguardia, per il pericolo di scomparsa come già avvenne per altre specie, è stato meritoriamente raggiunto. Oggi invece, risolto il problema iniziale della salvaguardia della specie, si presenta il problema del contenimento numerico della stessa, alla ricerca di una qualità accettabile in relazione agli spazi disponibili, dove anche il bosco, non più considerato come ambiente-rifugio, dovrà essere costantemente monitorato per comprenderne il limite di sopportabilità dei danni da brucatura, valore che se trascurato ne potrebbe pregiudicare la naturale rigenerazione, con ovvie ripercussioni sulle popolazioni che dal bosco traggono il loro sostentamento. Alcuni studiosi di indubbio valore scientifico hanno già affrontato questo dilemma. È il caso di Wolfang Schröder, che nella sua opera “Gams und Gebirgswald” del 1982, così scriveva: “Il camoscio delle foreste è una comparsa recente provocata da due fattori; da una parte la ridotta predazione causata dalla scomparsa del lupo e della lince, e dall’altra una caccia moderata alla specie che favorisce gli spostamenti e la formazione di nuove colonie”. Lo stesso autore poi propone “l’abbat- timento di tutti i camosci al di sotto del limite altimetrico di 1300 metri”. Nella proposta di abbattimento di tutti i camosci che abitualmente stazionano a quote relativamente basse, Schröder certamente ipotizza questo intervento, peraltro singolarmente radicale, come soluzione in riferimento ai danni causati al bosco, ben sapendo che gli stessi, in linea generale, sono attribuibili a tutti gli ungulati nella misura della loro densità, del fabbisogno alimentare relativo alla specie e alla durata annuale della permanenza in questo ambiente. Per quanto riguarda il camoscio però, il problema dei danni da morso risulta mal tollerato in quanto la sua è una presenza recente, e rimane il dubbio sulla legittimità della sua presenza nel bosco e sulle densità numeriche che questo ungulato, dalle abitudini tradizionalmente gregarie, presenta. Se ancora non bastasse, il problema viene ancor più evidenziato dall’impossibilità pratica di gestire correttamente questo selvatico in un ambiente certamente non consueto, dove la specie diventa forzatamente elusiva ai conteggi e le esperienze nostrane ancora non si sono cimentate in misura sufficiente con censimenti e prelievi. Nel nostro caso il bosco ha avuto un ruolo fondamentale nell’iniziale protezione del camoscio; non poteva essere altrimenti, vista la proporzione che il bosco raggiunge nelle zone frequentate dalla specie, ed è estremamente importante che si cominci ad avere un occhio di riguardo verso la “salute” del bosco. Se fino ad ora la tutela era intesa come salvaguardia delle specie animali in pericolo, è legittimo oggi pensare anche ad una tutela dell’ambiente idoneo a quella specie? La risposta non può che essere positiva. Eppure ancora oggi, nonostante un cambiamento radicale delle filosofie che hanno generato i movimenti di protezione della natura, tutelare qualcosa è spesso inteso come intervenire a senso unico, proibizionista; ne sono un esempio i parchi e le aree protette in generale, nate per soddisfare le esigenze di protezione di alcune specie animali in difficoltà per i motivi più diversi, spesso con il risultato che le specie oggetto di protezione, aumentate a dismisura, si trasformano poi inevitabilmente in distruttrici dell’habitat che dovrebbe garantire il loro stesso sostentamento. Una sorta di implosione insomma, un cane che si mangia la coda! Come considerare allora la presenza del camoscio nel bosco, in un contesto però più ampio, dove la protezione della specie è necessariamente in subordine alla salute e al rinnovamento arboreo? Certamente in modo positivo. Da noi attualmente le condizioni sia del bosco che delle popolazioni di camoscio non presentano condizioni di stress tale da suggerire l’abbattimento in massa di animali sotto quote altimetriche considerate “critiche” come proponeva Schröber. Ora, in ultima analisi e per ritornare ai dubbi iniziali, possiamo chiederci: è accettabile la presenza del camoscio nel bosco? Sicuramente i pareri tra i nostri cacciatori rimarranno discordanti, legati soprattutto alla difficoltà della gestione di questo ungulato in quell’habitat e al fastidio che la caccia al camoscio nel bosco comporta. Ma alla fine l’importante, per tutti noi, è che “ci siano camosci” e che continuino ad essere correttamente gestiti! CACCIAINVALBREMBANA 27 Rubriche Appunti di medicina veterinaria - Tiziano Ambrosi Displasia dell’anca Per displasia dell’anca si intende un’anomalia dello sviluppo dell’articolazione coxo-femorale caratterizzata dalla sub lussazione o lussazione completa della testa del femore nei pazienti più giovani e da una artropatia degenerativa da lieve a grave nei pazienti più anziani. Si tratta di una condizione patologica di origine multifattoriale, geneticamente influenzata, caratterizzata da una alterata o insufficiente corrispondenza dei capi articolari (incongruenza) e dallo sviluppo di una artropatia secondaria (osteoartrosi). La displasia dell’anca colpisce molte specie animali ,uomo compreso. Inizialmente considerata come anomalia congenita caratterizzata da anomalie della crescita e dello sviluppo dei tessuti articolari ,simile a quanto osservato nei bambini,responsabile di una dolorosa artropatia secondaria a osteoartrosi nell’uomo di media eta’ o anziano. Ultimamente é considerata, nel cane, come malattia dello sviluppo. L’anca è la struttura anatomica che sostiene tutto il peso della metà posteriore del cane a livello delle teste femorali;inoltre partecipa al movimento direzionale in avanti od all’indietro, è coinvolta in tutte le andature e posizioni del corpo. Pertanto la natura del movimento rotazione di queste teste femorali all’interno di una cavità stabilisce se il cane può svolgere la sua funzione di animale da compagnia o da lavoro con o senza dolore intenso. Vi sono molti fattori che influenzano il modo in cui si manifesta la displasia dell’anca; studi importanti sono stati condotti sulle masse muscolari e sul regime di attività fisica, avvalorando l’influenza dell’ambiente e dei fattori ereditari. 28 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche Aumentando l’esperienza clinica si è constatato l’esistenza di una fase acuta in cui il cucciolo, durante il rapido accrescimento scheletrico,poteva manifestare segni clinici i reazione algica. Nelle fasi successive della sua vita, i segni clinici cronicizzano portando a deformità dell’articolazione coxofemorale ,appiattimento della cavità acetabolare ,deformità della testa del femore. La displasia dell’anca è una patologia dello sviluppo riscontrata nella maggior parte delle razze canine. Lo sviluppo della HD (sigla anglosassone per indicare la displasia dell’anca) è notevolmente influenzato da complessi fattori genetici, colpisce entrambi i sessi con la stessa frequenza. La manifestazione dei segni clinici e la loro gravità possono essere molto variabili nei soggetti colpiti da HD. Un aspetto comunemente osservato è la riluttanza del cane a muoversi, proteggendo così una articolazione dolente,motivo che porta il soggetto displasico a correre in modo anomalo con movimenti” nuovi” che richiedono una minor mobilità dell’anca portando l’animale a non trottare scegliendo una andatura galoppante oppure saltellante come un “coniglio”. Inoltre il cane ha riluttanza a cambiare posizione o si ostina a mantenere la stessa a causa del dolore può avere difficoltà a sollevarsi, assumere bruscamente la posizione di decubito, cambiare repentinamente stata d’animo da giocosi e socievoli ad aggressivi o mordaci per il dolore. Il grado di zoppia è molto variabile, da lieve, quando si rende visibile solo dopo che il cane ha compiuto un intenso sforzo fisico ,a drammaticamente grave,quando il cane non è più in grado di sostenere il peso del proprio corpo. La sintomatologia è influenzata da molti fattori,tra i quali il più importante è l’età del cane; i sintomi clinici possono evidenziarsi in età preadolescente, tra i 5 e gli 8 mesi di vita oppure in età adulta dopo i 12 mesi. Pochissimi cuccioli manifestano dolore durante i primi mesi di vita,a 5-6 mesi di età, un cucciolo può manifestare improvvisamente una più grave sintomatologia dolorosa dopo esercizio fisico, quando va in salita, quando salta o si arrampica, a volte reagisce ringhiando quando viene avvicinato da bambini che intendono cavalcarlo per gioco. Questa fase avviene durante il periodo di rapido accrescimento. Spesso l’animale ha grosse difficoltà a sollevarsi da terra ,soprattutto su superfici scivolose; oppure si corica pesantemente invece di adagiarsi al suolo. Tutto questo è sintomo di dolore a livello dell’articolazione dell’anca in seguito al trauma subito dalla rima articolare dell’acetabolo per i continui stress esercitati a questo livello dalla testa del femore bassamente contenuta nella cavità. Nel cane adulto il dolore è dovuto all’artropatia degenerativa cronica (osteoartrosi) conseguente alla forma giovanile. I segni clinici spesso si manifestano in modo acuto dopo una corsa o un prolungato esercizio fisico portando il cane a sedersi frequentemente anziché rimanere in stazione quadrupedale, quando si ferma. Col passare del tempo le masse muscolari della coscia possono atrofizzarsi in seguito al dolore che ne limita l’uso,contemporaneamente si ipertrofizzano quelli della spalla permettendo all’animale di spostare in avanti il peso e sentire meno dolore. Spesso gli animali adulti displasici durante la stagione fredda non ama- no rimanere all’aperto, hanno difficoltà a salire le scale, trascinano i piedi, quando trottano gli arti posteriori possono incrociarsi. Sebbene inizialmente la zoppia può essere intermittente, verso il 3°-4° anno di età diventa costante creando talvolta lesioni all’articolazione del ginocchio, alla regione lombosacrale aggiungendo ulteriore dolore e malessere al cane. La taglia, il sovrappeso, lo stile di vita sono direttamente proporzionali alle manifestazioni dolorose; i cani di piccola taglia in sede autoptica manifestano le stesse alterazioni patologiche dei cani di grossa taglia, tuttavia grazie alle loro dimensioni non mostrano i segni clinici della fase acuta o il dolore ola zoppia dell’osteoartrosi secondaria. Talvolta anche cani di grossa mole possono non manifestare alcun segno clinico perché non svolgono nessuna attività fisica, l’osteoartrosi si sviluppa egualmente ma in modo più subdolo fino a quando in età avanzata il cane non riesce più a sostenere il suo peso e qui diventa difficile convincere il proprietario che il suo cane è affetto da una malattia di sviluppo. Spesso molti cani da lavoro (caccia , obbedienza, utilità, agilità….) pur avendo HD, ma al tempo stesso amano e hanno desiderio di lavorare con il proprio conduttore, stabiliscono una soglia di tolleranza al dolore più alta del normale che permette a tali soggetti di non manifestare alcun segno di dolore. Lo sviluppo dell’HD è fortemente influenzato da complessi fattori genetici da poter ritenere che l’eziologia della displasia dell’anca (HD) sia multifattoriale. I principali fattori, sia ereditari che ambientali, che giocano un ruolo nell’anomalia dello sviluppo osseo e dei tessuti molli, sono: -) l’incremento rapido del peso. -) la crescita esagerata in soggetti alimentati eccessivamente e situazioni che determinano infiammazioni sinoviali con conseguente aumento del liquido sinoviale che annulla la stabilità articolare.Tutti questi fattori contribuiscono allo sviluppo della lassità articolare dell’anca e alla conseguente sub lussazione, che sono responsabili dei segni clinici e delle alterazioni precoci determinando dolore e zoppia. Per saperne di più Alessandra Gaffuri La cheratocongiuntivite infettiva La cheratocongiuntivite infettiva causata da Mycoplasma conjunctivae è un’infezione oculare altamente contagiosa che è frequente nei piccoli ruminanti domestici (pecora e capra). Nel territorio alpino la cheratocongiuntivite infettiva è spesso osservata nei camosci e negli stambecchi, ma la malattia è pure segnalata in mufloni e caprini selvatici nei Pirenei ed in Nuova Zelanda. Negli stadi iniziali, la malattia è caratterizzata da una congiuntivite mono o bilaterale con iperemia della trama vascolare; successivamente compare una congiuntivite mucopurulenta, caratterizzata da secrezioni che conglutinano il pelo nella zona sottoorbitale, e una cheratite che porta ad opacamento corneale e, nei casi più gravi, a perforazione della cornea e a temporanea cecità. Camosci e stambecchi contraggono generalmente la malattia dai piccoli ruminanti tramite trasmissione diretta per contatto tra animali o indiretta tramite mosche. L’infezione è spesso endemica nelle greggi di pecore e si mantiene all’interno della popolazione; nel camoscio invece è stato dimostrato, da stu- di condotti in Svizzera, che la malattia non si mantiene e che vi è solo una temporanea presenza di M. conjunctivae all’interno della popolazione. La malattia nel camoscio e nello stambecco si risolve in genere spontaneamente; la mortalità è normalmente bassa, circa il 5% degli animali, ma in particolari situazioni può raggiungere anche il 30%. Questa differenza può dipendere dalla virulenza del ceppo di M. conjunctivae responsabile dell’infezione o da una particolare predisposizione dell’ospite, dovuta ad esempio al genotipo, alla presenza di altre infezioni concomitanti, alla densità della popolazione. Anche fattori ambientali quali la conformazione del territorio e fattori climatici (raggi ultravioletti) possono influenzare l’andamento della malattia. Anche nelle nostre Alpi Orobie si sono osservate in alcuni anni delle gravi epidemie di cheratocongiuntivite nel camoscio, mentre in altri vengono segnalati solo casi sporadici, che causano una mortalità limitata. A seguito di un focolaio di cheratocongiuntivite è possibile osservare animali che hanno superato la malattia ma che mostrano i segni dell’avvenuta infezio- ne, quali opacamento della cornea, disturbi visivi che determinano scadimento delle condizioni generali. Nelle zone dove si verificano casi di cheratocongiuntivite infettiva è necessario limitare il disturbo antropico, per non creare delle situazioni di stress e di fuga in animali con la vista compromessa. Non è possibile attuare degli interventi curativi negli animali ammalati; di fronte a casi di lesioni molto gravi ed irreversibili potrebbe essere consigliato l’abbattimento dell’animale per evitare inutili sofferenze. Un’esemplare che ha superato la malattia, ma ha perso l’uso d’un occhio. CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 29 Armi e balistica - Sergio Facchini Riflessioni...sulle ottiche di puntamento Se si volesse scrivere qualcosa di serio sulle ottiche di puntamento, sarebbe necessario praticamente un volume! Cercherò pertanto di essere estremamente succinto e chiaro nell’esposizione dei molteplici aspetti concernenti l’utilizzo dell’ottica di puntamento nella pratica venatoria. Trattandosi di uno strumento ottico di precisione, il cannocchiale dovrebbe possedere sempre tutte le qualità fondamentali indispensabili per effettuare tiri di precisione a grande distanza ovvero qualità delle lenti, dei congegni meccanici di correzione del tiro e del tubo che li racchiude. La qualità delle lenti è direttamente proporzionale al tipo di cristallo utilizzato che, a sua volta, determina la nitidezza, la luminosità, il contrasto, la resa cromatica ed una spiccata resistenza alle abrasioni. La qualità dei congegni meccanici di regolazione del tiro ossia il funzionamento corretto delle torrette per la deriva e l’alzo riveste una grande importanza per quanto attiene alla precisione di piazzamento del tiro. Ritornando alla qualità delle lenti è doveroso sottolineare che la nitidezza è la proprietà di osservare immagini nette, pulite, senza alcun tipo di alone, sia al centro del campo visivo che sul bordo esterno; la luminosità dipende dalla quantità di luce che, passando attraverso l’obiettivo e le lenti di raddrizzamento dell’immagine, raggiunge il nostro occchio posto dietro la lente dell’oculare, quantità di luce che, negli strumenti di qualità, supera il 90% di quella iniziale filtrata dall’obiettivo. Il contrasto è forse l’elemento chiave, in quanto consente di determinare i diversi piani focali della 30 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche totalità dell’immagine ossia permette di determinare le varie distanze a cui si trovano oggetti differenti che, a prima vista, potrebbero sembrare equidistanti, come fossero posti su un unico piano. La resa cromatica dovrebbe rispecchiare fedelmente tutti i colori, i toni e le minime sfumature, soprattutto in alta montagna nella caccia al camoscio; purtroppo però molti cannocchiali hanno una predominante cromatica azzurrognola o paglierina, assente negli strumenti di prima scelta. La resistenza delle lenti alle abrasioni ed ai graffi viene ottenuta con applicazioni stratificate di speciali film protettivi che contemporaneamente ottimizzano la resa cromatica. Per quanto concerne il tubo esterno del cannocchiale che racchiude lenti e congegni di correzione del punto si impatto del proiettile, oggi predominano le leghe leggere, secondo alcune Case più robuste dell’acciaio, unicamente per ridurre il peso; ma, a detta di vecchi armaioli che di cannocchiali ne hanno montati a migliaia, l’acciaio resta insuperabile perchè il tubo non subisce la benchè minima flessione e le lenti non soffrono di tensioni che potrebbero determinare incostanza degli impatti delle palle. Dato che i cannocchiali vanno sposati agli attacchi, quali di questi ultimi si prestano meglio per forgiare il trittico perfetto arma, attacchi e ottica? Sono migliori gli attacchi fissi, quelli a pivot o a piede di porco? Pur considerandomi un giovane cacciatore anziano, tradizionalista e di idee forse superate, monterei un pivot originale Mannlicher su qualsiasi carabina bolt-action, tranne Blaser e Merkel che vantano attacchi specifici, oppure attacchi EAW o SAUER dell’ul- tima generazione. Per qualsiasi tipo di arma rigata basculante opterei invece per un classico attacco a piede di porco, senza alcun dubbio. Tra i 150 € di un attacco fisso e gli 800-1000 € di un piede di porco montato a regola d’arte c’è una bella differenza! Chi più spende, meno spende, come dice un vecchio adagio? Credo proprio di sì. Tornando al discorso cannocchiale, sappiamo che ne esistono ad ingrandimento fisso e ad ingrandimento variabile. Cosa scegliere? Da almeno quindici anni tutti prediligono il cannocchiale variabile e le vendite confermano inequivocabilmente questa tendenza. Un variabile di buona qualità permette di cacciare ogni ungulato sia alla cerca che all’aspetto, talvolta anche in battuta. I variabili sono offerti in varie tipologie ovvero con ingrandimenti più o meno marcati e con diametri diversi di obiettivo. Dall’iniziale 1,5 – 6 x 42 degli anni ‘70 agli assurdi 6 – 24 x 50 ed oltre!!! Ma tutto ciò non Vi sembra illogico? Cerchiamo di essere obiettivi e di restare con i piedi per terra!!! La caccia alpina agli ungulati non è una specialità di tiro al bersaglio a grande distanza dove si esaltano improbabili centri ad oltre 300 metri! Ma purtroppo la moda...è questa! E allora cavalletti, canne da 80 cm, calibri esasperati, munizioni al limite della sicurezza, ridicoli portamunizioni applicati al calcio della carabina, berretti e tute militaresche tipo “Desert Storm” con scarponcini tattici-mimetici, ottiche mostruose e altro ancora ... ! Tornando alle ottiche variabili è giusto sottolineare che per la caccia al capriolo ed al cervo, nella luce incerta dell’alba e del tramonto, risultano vantaggiose quelle con buon diametro dell’obiettivo come il 2,5 – 10 x 42, 3 – 10 x 50 o 56 e simili, mentre per la caccia al camoscio è più che sufficiente un buon 3 – 9 x 36 od un 3 -10 x 42 in quanto la luce piena del giorno ne facilita il puntamento. Se l’ottica può utilizzare un proprio paraluce, è saggio dotarsene per ovviare ad eventuali difficoltà di puntamento con sole di punta o comunque in posizione semifrontale. Lo si voglia o meno, il cannocchiale ad ingrandimento variabile non sarà mai robusto quanto uno ad ingrandimento fisso, perchè il primo è molto più complesso in quanto dotato di un numero maggiore di lenti che incidono sul peso complessivo assieme al meccanismo di variazione degli ingrandimenti. Anche se oggi impera il variabile, un discreto numero di cacciatori predilige ancora il cannocchiale ad ingrandimento fisso in lega o più spesso in acciaio. Quattro ingrandimenti per il bosco e sei per le zone aperte erano i cannocchiali più utilizzati fino agli anni ‘70 su tutto l’arco alpino, oltre a qualche raro otto ingrandimenti. I 4x32, 6x36, 6x42, 8x56 costituivano almeno il 99% delle ottiche di puntamento, quando apparvero i primi variabili. La questione reticolo non preoccupava nessuno, infatti nelle zone boscose si preferiva il numero 1 con tre segmenti molto marcati, il numero 4 con tre segmenti mediamente spessi con croce centrale a barre molto sottili ed il “cross hair” con fili sottilissimi ortogonali per tiri a distanza elevata, oltre i 200 metri. Oggi le cose non sono cambiate granché in quanto il reticolo preferito rimane il numero 4, incalzato da vicino dal reticolo “Plex”, caratterizzato da quattro barre ortogonali di sezione minore rispetto al numero 4 e dalla piccola croce di puntamento centrale estremamente sottile. Il reticolo numero 1 è in forte regresso, ma nel bosco per tiri su animali in movimento rimane forse il migliore, soprattutto con luce fioca o lunare. Un tempo, fino ad una quindicina di anni fa, il reticolo dei cannocchiali variabili era posizionato anteriormente sul primo piano dell’immagine, mentre oggi è posto in posizione posteriore, sul secondo piano dell’immagine. Con la posizione anteriore il reticolo aumentava o diminuiva di dimensioni a seconda dell’aumento o meno dell’ingrandimento; con il posizionamento posteriore invece, il reticolo riamane di dimensioni costanti, pur variando gli ingrandimenti. Ne consegue che col reticolo posto anteriormente risulta più facile l’inquadramento del bersaglio con luce scarsa, anche se il soggetto appare parzialmente coperto dal progressivo ingrossamento delle barre del reticolo stesso; la parziale e progressiva copertura del bersaglio non si verifica invece quando il reticolo si trova sul secondo piano focale dell’immagine, consentendo così puntamenti accurati anche a distanze medio-lunghe. Di conseguenza quando si acquista un cannocchiale variabile bisogna spe- cificare sempre il tipo di reticolo preferito, in base a quanto detto in precedenza il numero di applicazione venatoria (14-etc). Siamo al dunque: la scelta della marca del cannocchiale. I nomi più famosi mi auguro siano conosciuti da tutti: Zeiss, Hensoldt (difficili da reperire e costosissimi), Svarowski, Kahles, Schmidt & Bender, Nickel, Karl Kaps, Steiner sono ottimi prodotti europei, di cui i primi tre rappresentano il meglio con gli altri che seguono; tra i prodotti americani spiccano i Leupold ed i Burris, mentre tra quelli giapponesi è apparsa recentemente la Nikon. Una bella arma europea con un’ottica europea di gran nome vale sempre più di qualsiasi altra combinazione arma-ottica. Tenendo conto che queste annotazioni serviranno forse a fugare qualche dubbio, mi pare giustificabile, in questo tempo di super-ottiche, concludere lansciandovi qualche dubbio: il Conte Paul Pallfy von Erdöd, grande cacciatore di cervi (ne abbattè quasi 200 in trent’anni), usò sempre sulla sua carabina Holland & Holland calibro .375 H&H Mag. uno Zeiss Zielvier 4x (quattro ingrandimenti); il Dr. Marcel Couturier, per il suoi oltre 500 (cinquecento, avete letto bene) camosci abbattuti col suo Mannlicher-Schönauer cal. 8 x 56 Mannlicher, utilizzò sempre uno Zeiss Zielvier 4x (quattro ingrandimenti)! Cacciavano, è vero, con carabine dotate di ottica, ma soprattutto cacciavano...con le gambe!!! 31 La ricarica - Martino Bianchi Attrezzatura per la ricarica Il primo attrezzo fondamentale per la ricarica è la prudenza. A rischio di tediarvi con una paternale che parrebbe più che ovvia, e pertanto inutile, è meglio che si spenda un minimo di inchiostro sulla questione perché in gioco c’è la vostra pelle e quella di qualche sventurato amico tiratore. Pertanto: • come scritto in ogni manuale di ricarica, mai eccedere le dosi consigliate; • verificare sempre di non aver inserito nel bossolo due cariche di polvere; • verificare viceversa di aver inserito polvere. Infatti la cartuccia vuota esploderà lo stesso per la carica dell’innesco e la palla rimarrà incastrata nella canna con il rischio di otturarla e farla esplodere con la detonazione successiva; • non sperimentare polveri di cui non si conoscono le dosi o polveri per cartucce a pallini • non mischiare varietà diverse di polveri; • usare gli inneschi consigliati, quindi non usare inneschi magnum per cariche normali; • tenere sempre in grande considerazione la lunghezza della cartuccia. La palla che si incastra nella rigatura 32 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche quando si chiude l’arma, provocherà sovrapressioni non prevedibili; • non fumare mangiare o bere durante l’operazione di ricarica; • lavorare in una stanza pulita, su un tavolo sgombero e al chiuso. Un alito di vento impercettibile proveniente dalla finestra altera la pesatura della polvere; • lavorare solo se si è riposati concentrati e lucidi senza farsi distrarre da amici, televisore o altro; • tenere inneschi e polveri in luogo fresco e asciutto, sotto chiave e fuori dalla portata di bambini. • Si consiglia di affiancarsi, almeno le prime volte, ad un amico ricaricatore esperto e prudente. Veniamo ora all’attrezzatura vera e propria. Il minimo indispensabile per ricaricare consiste di: 1. Pressa; 2. Bilancina di precisione; 3. Dies (che si legge dais), che sono le matrici per ricalibrare i bossoli e per reinserire le palle. Ogni calibro vuole i propri dies; 4. Shellholder, cioè rondella porta bossoli della misura del calibro prescelto da montare sulle pressa; 5. Autoprime, cioè ricapsulatore; 6. Calibro possibilmente digitale per agevolare la rapida conversione pollici-millimetri; 7. Manuale di ricarica, possibilmente della casa produttrice della polvere maggiormente utilizzata e che quindi contiene le dosi consigliate; 8. Flashhole tool, che è un attrezzino per microfresare il foro di vampa dei bossoli; 9. Deburring tool, che è un altro arnese per addolcire l’angolo d’ingresso della bocca del colletto dei bossoli; 10. Flashhole uniformer tool, che è un attrezzo per pulire ed uniformare la sede dell’innesco; 11. Kit per lubrificare i bossoli; 12. Imbutino per la polvere; 13. Tavoletta di legno forata per appoggiare i bossoli; 14. Materiali di consumo, e cioè polvere, bossoli, inneschi, e palle. Attrezzatura ulteriore da acquistare in un secondo tempo: 15. Dies speciali, Crimp (cioè per crimpare i bossoli, che significa stringerne il colletto dopo aver inserito la palla), Neck (è una matrice che ricalibra solo il colletto dei bossoli e non l’intero estruso), etc ; 16. Tornietto ricalibratore; 17. Tricker, che è un piccolo attrezzo che consente di dosare manualmente meglio la polvere lasciando cadere singoli grani per volta; 18. Tumbler, che è un burattatore a polvere, una macchinetta, cioè, che riempita di bossoli e di trucioli di mais trattati con un apposito acido, vibrando per qualche ora, è in grado di lucidare e pulire le munizioni esplose; 19. Calibri vari e comparatori; 20. Banco da ricarica; 21. altri aggeggi vari di cui parleremo nel seguito; Una volta completata la lista della spesa, bisogna capire a cosa serve tutto questo cumulo di ferraglie.Tanto per cominciare bisogna trovare un luogo, come già detto, fresco, asciutto e pulito dove depositare tutto il materiale. La pressa andrebbe avvitata con dei tirafondi ad un tavolo con il pianale di legno robusto da officina. Personalmente preferisco montarla su uno spezzone quadrato di compensato dal lato di circa 20/30 cm e spesso 3-4 cm che successivamente fisso su un tavolo qualsiasi purché stabile e solido, con delle normali morse a vite da falegname in modo da montarla e smontarla agevolmente alla bisogna, anche in luoghi normalmente interdetti dalla moglie (sala da pranzo, cucina, etc). Alla pressa, per prima cosa, applichiamo nella parte superiore del pistone lo Shellholder del calibro giusto. Ve ne sono diversi per ogni gruppo di calibro. Di solito nella scatola dei dies o nei manuali di ricarica sono riportate delle tabelle esplicative in tal senso. Una volta istallata la pressa, monteremo sull’estremità superiore del suo pistone lo shellholder della misura appropriata al calibro secondo le tabelle delle case costruttrici. Sulla parte superiore della pressa invece, andremo ad avvitare il dies ricalibratore e decapsulatore: quello cioè, che di solito ha riportato sul suo fianco sizing die e che ha un pistillo di acciaio che fuoriesce dalla sua bocca, il decapsulatore appunto. Normalmente si usa il full lenght sizing die (sigla FL) che ricalibra il bossolo per tutta la sua lunghezza, ma esistono anche ricalibratori per il solo colletto che quindi non vanno a ricalibrare il resto del bossolo. Lo stesso risultato grossomodo si potrebbe ottenere con il die FL, avendo l’accortezza di non ricalibrare fino in fondo i bossoli mantenendo sovralzato il die. Le prime volte comunque conviene ricalibrare l’intero bossolo perché, come vedremo in seguito, non tutte le carabine accettano la ricalibratura del solo colletto, a causa di alcune loro piccole imperfezioni costruttive ( es: disassatura tra camera e canna, o camere di scoppio non uniformi…etc). In ogni caso sia l’uno che l’altro die vanno avvitati fino a quando sfioreranno lo shellholder avendo posizionato il pistone della pressa nel punto più alto possibile. A quel punto si fisserà la ghiera di bloccaggio contro la presa e saremo pronti per l’operazione di ricalibratura. Per quanto riguarda il Seating die, o altrimenti detto matrice “mettipalla”, va avvitato anch’esso in testa alla pressa fino a quando, con il pistone completamente innalzato, si appoggia al bossolo che avremo precedentemente inserito nello shellholder. Quando il die tocca il bossolo, bisogna fare un quarto di giro al contrario per evitare che si vada a stringere il colletto. Se invece il die è dotato di crimpatore, cioè una svasatura che consente di stringere ulteriormente il colletto del bossolo addosso alla palla, e si vuole appunto crimpare la palla, allora dobbiamo avvitare di un giro o più fino a quando si otterrà l’effetto desiderato. La vite sulla sommità di questo die serve a determinare la misura di inserimento della palla nel bossolo. La nostra stazione di ricarica è così pronta a procedere con la lavorazione. Tutto quanto detto, considerati termini tecnici che necessariamente ho dovuto usare, potrebbe sembrare molto complesso, ma se abbiamo la possibilità, direi addirittura che ciò è d’obbligo, di vedere tutto da un amico che già ricarica o, come detto sopra, di farsi assistere, dopo due serate passate assieme ricaricare tutto sembrerà molto più facile e semplice. Nel prossimo numero esploreremo singolarmente tutte le operazioni necessarie a realizzare la cartuccia. Autoprime, scovolo x bossoli, Flashhole tool, Chanfering tool che serve per fresare l’ingresso del colletto del bossolo Set di dies dall’alto: Seater, mettipalla, FL ricalibratore totale, NK ricalibratore per il solo colletto Nel contenitore rosso si notano gli Shellholders, sotto una tavolozza per sorreggere i bossoli su cui giace uno shellholder. CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 33 Educazione faunistica - Stefania Pendezza Fauna selvatica? La parola ai bambini! Quanti sanno che in provincia di Bergamo ci sono 10 coppie di aquile reali nidificanti? E che tra i campi di cereali e le siepi campestri possiamo scorgere fagiani, mentre, al limite dei prati, piccoli leprotti? E che la popolazione di caprioli è progressivamente aumentata con l’avanzamento del bosco e lo spopolamento delle montagne? E che sulle nostre alte vette dominano camosci e stambecchi? Purtroppo pochi conoscono questi aspetti naturalistici e geomorfologici caratterizzanti il nostro territorio, che presenta paesaggi alquanto diversificati: dalla pianura intensamente coltivata e urbanizzata, alle praterie di alta quota. Ogni ambiente è strettamente correlato alla presenza di determinate specie faunistiche che lo connotano e lo rendono unico. In particolare, nella zona prealpina e alpina sono presenti moltissimi ungulati (capriolo, cervo, stambecco, camoscio, cinghiale, ecc.) e, nella zona di pianura, lagomorfi (lepre, coniglio) e galliformi. Inoltre, la bergamasca rappresenta un’importante rotta di migrazione per gli uccelli che popolano numerosi i nostri cieli. Riappropriarsi di queste conoscenze e acquisire la consapevolezza delle risorse e delle tradizioni del mondo rurale consentono di sviluppare quella coscienza ecologica necessaria per comprendere e salvaguardare il territorio. In partico- 34 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche lare, riportare a scuola tali esperienze arricchisce il bagaglio culturale e contribuisce alla formazione della personalità, che non può essere completa se priva di questi elementi, facenti parte della nostra storia e della nostra cultura. È proprio da queste considerazioni che nascono i Progetti Educativi della Provincia di Bergamo - Settore Agricoltura Caccia e Pesca, realizzati grazie alla collaborazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Bergamo e, nell’ultimo anno scolastico, dell’Azienda Bergamasca Formazione. I Progetti proposti (“A scuola con gusto”, “Amico Albero”, “Acqua W” e “Fauna selvatica e ambienti naturali della bergamasca”) prevedono una serie di interventi gratuiti in classe e visite guidate sul territorio. Le scuole di ogni ordine e grado possono aderire all’iniziativa attraverso specifici bandi, promossi dalla Provincia. “Il positivo riscontro registrato in questi anni da tali iniziative presso l’utenza scolastica nella sua globalità -studenti, docenti e genitori- commenta l’Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Luigi Pisoni - ha confermato la nostra convinzione che le nuove generazioni richiedano e apprezzino momenti di apprendimento ed esperienze in materia di cultura rurale. Del resto, la necessità di una maggiore sinergia fra mondo della scuola e territorio di appartenenza si rende sempre più manifesta nella società moderna, in cui spesso i ragazzi sono allettati da alternative iper-tecnologiche e poco aderenti alla realtà quotidiana. Il ritorno alle proprie origini culturali e alle tradizioni locali diventa allora necessario per l’instaurarsi di un rapporto integrato con il territorio di appartenenza e le risorse agroalimentari, faunistiche e ambientali ivi contenute”. In questo quadro progettuale, un ruolo importante riveste il Progetto “Fauna selvatica e ambienti naturali della ber- gamasca”, finalizzato all’acquisizione di una più consapevole sensibilità ambientale tramite l’informazione scientifica e aggiornata, in merito al patrimonio faunistico della provincia. Durante il corso, che in questi ultimi anni ha fatto partecipe migliaia di ragazzi, esperti in percorsi didattici faunistico-ambientali hanno coinvolto gli alunni, attraverso esperienze ludico-sensoriali e tecnico-scientifiche. In particolare, l’osservazione in classe di animali impagliati (forniti dalla Provincia di Bergamo o concessi gentilmente da alcuni cacciatori), le uscite sul territorio e le visite alla Sala Faunistica della Provincia di Bergamo hanno affascinato ed interessato i ragazzi a tal punto che l’acquisizione di contenuti “tecnici” quali la biodiversità, le dinamiche di popolazione e la conservazione della specie è risultata essere una naturale conseguenza. Ma per raccontare le fasi di attuazione e i risultati di questo percorso educativo, quale modo migliore se non esprimere lo stupore, la curiosità e la meraviglia dei giovani fruitori del progetto? Diamo quindi la parola ai ragazzi attraverso l’espressione di alcuni brevi racconti da loro formulati in seguito all’intervento degli esperti. “L’esperta ci ha fatto imparare molte cose belle su animali che non conoscevo, tipo la beccaccia, un animale che non sapevo neanche che esistesse. Sulla fauna selvatica bergamasca non sapevo così tante cose!” (Nicolò); “Guardare gli animali impagliati e osservarli in classe è stato bellissimo; scoprire nuovi animali e nuove creature è stata una vera avventura!” (Valentina). Già, e non solo Nicolò e Valentina non conoscevano molti degli animali che abitano il territorio bergamasco! Tuttavia anche per chi riconosceva gli animali non sono certo mancate le sorprese e le occasioni di scoperta, grazie agli strumenti di indagine messi a disposizione dagli esperti. “Quando l’esperto ha tirato fuori gli animali impagliati ero impaziente. Mi è piaciuto soprattutto il barbagianni che era molto morbido. Ho osservato le sue penne e le piume con lo stereoscopio. Non credevo fossero fatte così” (Marta); “Quando stavo disegnando la penna mi sono reso conto perché alcune sue parti si chiamano barbe: è una barba disegnarle!” (Luca); “Mi è piaciuto classificare gli animali di pianura, collina e montagna. Disegnare le penne e le piume è stato faticoso, però quando le hai fatte escono molto bene” (Sara). “Mi è piaciuto guardare nello stereoscopio perché si vede un mondo meraviglioso che a occhio nudo non possiamo vedere” (Greta). Portare gli animali impagliati in classe è stato importante e stimolante per gli alunni, poiché, oltre all’osservazione riavvicinata, è stato anche possibile toccare, con delicatezza, gli animali, arricchendo l’esperienza conoscitiva di connotazioni sensoriali. “Ho visto tanti animali in classe, quello che mi è piaciuto di più è la lepre. La lepre è una preda, ha gli occhi laterali e ha un pelo morbido che mi piace molto” (Miriam); “A me è piaciuto vedere la faina, perché è un diavolo come me. Lo so che era impagliata, ma a me sembrava che sorrideva. Aveva il pelo morbidissimo. Mi è piaciuta molto anche la leggenda del pettirosso” (Matteo); “A me è piaciuta la marmotta con il suo pelo folto e il muso bello e paffuto. Mi è piaciuto anche quando siamo usciti per andare nel bosco a cercare tracce di animali. Abbiamo trovato: escrementi di animali, resti di cibo non umano e cinguettii di uccelli” (Valentina). Come evidenziato da Valentina, il corso sulla Fauna Selvatica non si è svolto solo in classe, ma ha condotto i bambini e i ragazzi in uscite sul territorio, alla scoperta degli ecosistemi, degli animali e delle piante che li popolano. Un momento importante di scoperta: studiare un animale significa infatti conoscere anche il territorio in cui vive. Sapere che lo scoiattolo ha bisogno delle ghiande e delle nocciole fa riflettere i bambini sull’importanza dei boschi autoctoni; conoscere l’etologia delle marmotte mette in luce le caratteristiche e le catene alimentari delle praterie alpine, osservare la presenza dell’airone cenerino implica l’esistenza di corsi d’acqua ricchi di pesci e rane. E a proposito di rane, ci ricorda Giovanni: “Quando abbiamo fatto l’uscita mi sono divertito molto, soprattutto quando io e Andrea cercavamo le rane vicino a un canaletto”. Quanti bambini si dedicano ancora a questa attività, che un tempo occupava le giornate estive di molti ragazzi di campagna? “A me è piaciuto molto andare nel bosco. Appena entrata ho subito trovato una traccia: una foglia mangiata! Poi ho trovato anche degli escrementi, un formicaio, una tana, degli insetti. La cosa più emozionante che ho visto è stata una noce mangiucchiata e un uccellino che ne portava via un pezzetto!” (Giulia); “Io avrei voluto fare ancora uscite.. Mi è piaciuto tutto, soprattutto quando al parco ho scoperto molte tracce di animali. Ho provato quiete nell’ascoltare gli uccelli cantare” (Marco). Un’occasione, quindi, anche per allontanarsi dalla confusione dell’ambiente urbano e gustarsi il canto dei boschi. Un’esperienza da fare con gli amici che ha coinvolto anche la sfera relazionale, come ci ricorda la piccola Sofia: “A me è piaciuto uscire e addentrarmi tra gli alberi. È stato bello e divertente farlo con gli amici”. Come si evince da ciò che gli alunni hanno scritto, il corso promosso dalla Provincia di Bergamo ha toccato aspetti diversi, dalla sfera cognitiva a quella relazionale, da quella ludica a quella emotiva. E, a proposito di emozioni, è giusto concludere con un pensiero, particolarmente toccante. A scriverlo è Lorenzo, un bambino di soli 8 anni: “A me è piaciuto tutto, soprattutto quando abbiamo fatto l’uscita nel bosco e abbiamo cercato le tracce degli animali selvatici. Da quel momento quando sono tornato nel bosco con i miei genitori ho capito che qualcosa in me era cambiato”. Possiamo desiderare di più da un’esperienza didattica? CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 35 Pagine d’autore - Annibale Facchini Periodicamente sfoglio i miei libri di caccia. Rileggo i capitoli che più mi interessano e fantastico riguardando vecchie fotografie. Giorni orsono mi è capitato tra le mani “Quante pecore hai?” un bel libro scritto da Domenico (Nico) Acquarone. Da questa opera ho voluto trascrivere non le avventure per abbattere le “capre” e le “pecore” che ha cercato tutta la vita in tre continenti ma una pagina semplice e allo stesso tempo struggente, ricca di sentimento. Lasciare quello che si ama è sempre doloroso anche se si tratta di una casa di caccia. Sicuramente molti di noi hanno condiviso le stesse sensazioni e, se non lo hanno fatto, sicuramente lo faranno “Quest’anno, forse, sarà l’ultima volta che andrò a caccia a Lessach. Sento che terminerà un pezzo di vita, come quando ho conseguito la maturità o mi sono laureato. Mi mancheranno la stanza in cui passavo le notti con un tasso e una volpe imbalsamati sull’armadio, il bagno privo di chiave ma con la possibilità 36 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche di bloccare la porta aprendo un cassetto, il piccolo soggiorno con la foto del padre di Franzi che presenta il più bel cervo mai ucciso in riserva, il premio conseguito da Franzi al tiro al bersaglio, le chiavi di casa appese alle corna di capriolo. Più del momento in cui viene posto il fucile sullo zaino, o di quello in cui inquadro l’animale nel reticolo, rimpiangerò l’atmosfera di attesa delle mattine in cui alle primissime luci dell’alba inciampavo nelle radici o nei sassi del sentiero che saliva sul monte. Mi resterà, quale ricordo, il cappello che ho ornato col piumetto di camoscio, con i denti del cervo e con quelli della marmotta, con le piume dei forcelli e del cedrone, tutti montati in argento. Indossavo quel cappello un pomeriggio a Salisburgo, quando un turista giapponese mi ha fotografato e mi ha segnalato alla moglie, tutto soddisfatto perché aveva ritratto un autentico caratteristico austriaco.” Proposte di lettura Noèmber Luigi Capitanio Nell’ultimo numero della nostra rivista si è dato risalto ad un concorso gastronomico che ha avuto come protagonista il camoscio. Questa manifestazione ha trovato molti estimatori anche tra le fila dei “non cacciatori”. I complimenti per l’iniziativa sono giunti anche alla redazione del nostro giornale. Nel proporre come solito alcune pubblicazioni che in qualche modo parlino di caccia o di qualche argomento inerente la stessa, ho voluto soddisfare le curiosità di chi, cacciatore e non, utilizza le carni di selvaggina da piuma o da pelo per arricchire la propria mensa. Il primo libro, “Ricette di Selvaggina” è una raccolta di ricette presentate e curate in modo meticoloso da Monica Del Soldato. Questo libro ha il merito di spiegare in modo semplice anche ai principianti tutte le tecniche di preparazione delle carni da utilizzare poi in cucina. Attraverso una sequenza di immagini insegna l’arte della spiumatura della selvaggina da piuma, della preparazione attraverso la spellatura di lepri e quant’altro. Propone ricette semplici, di facile realizzazione, da utilizzare come primi o secondi piatti, sfruttando al meglio la cacciagione che nelle case dei cacciatori spesso arriva con discreta abbondanza. Insomma una raccolta di ricette per cucinare secondo la tradizione e con quel tocco di fantasia in più. Un modo per riscoprire la suggestione di pietanze che sembrano appartenere al passato, per imparare ad apprezzare il tipico gusto delle carni selvatiche. Dal costo molto contenuto, ristampato nel 2005 da Giunti Gruppo Editoriale di Firenze, è reperibile nelle librerie della città. Il secondo libro, “Cacciagione in Cucina”, è anch’esso una raccolta di ricette presentate dalla moglie di un noto cacciatore. L’autrice del libro, Silvana Bergamaschi Grassani, insegnante elementare e giornalista, ha presentato ricette per la preparazione di selvaggina sulla rivista “Il Cacciatore Italiano”, organo ufficiale della F.I.D.C., e sul periodico “Caccia”, dove tiene una rubrica sulla cucina internazionale. In precedenza ha scritto “La selvaggina a modo mio”, due edizioni esaurite in brevissimo tempo, frutto della dedizione e della lunga esperienza nella ricerca di come “trattare” in cucina carni di selvaggina. Veronese di nascita, la signora Silvana risiede in Valcanale (UD), facendo proprie le tradizioni e la cultura mitteleuropea anche nelle arti di cucina. Edito da Carlo Lorenzini Editore, è reperibile nelle migliori librerie della città o presso l’Armeria Bonalumi. ‘l va ol casadùr ‘n dèl bosc e ‘l pensa a iér e a la bèla stagiù, quando ‘n di sògn i osèi i sa montunàa a ros söi brocù. L’è noèmber e i fòie i suna sota i pé come ‘l gias di Zenér. Ol tabiòt l’è là, sö la costa, sota i stèle che i barbèla ‘n dèl cél seré. Giösta ‘l tep de rià, impizà la stüa e tèca fò; ü bu café e la sigarèta (bröt vése!). L’è ciàr, i viscére i ciòca ‘n di gabie e i sdurdì i fa sö la primaéra. Ol gregna ‘l casadùr sota i barbìs e ‘l ciàpa ‘l sciòp, perchè d’ la spionéra l’a samò ést, sö la peghéra ‘n mès al prat, dò bèle iscére guluse de pastüra, che i è dré a ègn sà. Alessandro Raffaele Balestra* *Nato a Bergamo da famiglia di origini brembane, fin dall’infanzia ha seguito il padre al capanno di caccia, e si è appassionato all’arte venatoria e alla montagna. Insegna Lettere al Collegio Vescovile S. Alessandro. Continua a praticare la caccia e coltiva l’amore per la montagna e la sua Valle. Tratto da “I giorni della mia caccia”, della serie “i piccoli quaderni” edito dal Collegio Vescovile Sant’Alessandro (BG) CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 37 Curiosità - Flazio Galizzi Cronache venatorie d’altri tempi Siamo nel 1889, in autunno, e in quel di Mezzoldo, a confine con Piazzatorre, come raccontano le cronache di allora su L’Eco di Bergamo, vennero abbattuti due orsi, avvistati in Valle Chiuso, segnalati da un pastore assai preoccupato per il suo gregge. Così racconta il cronista di allora, firmato G.B.G. “Nelle ore pomeridiano di ieri, i fratelli Paolo e Giuseppe del fu Simone Marieni, di Mezzoldo, furono avvertiti da un capraio che nella località detta Valle Chiuso vi erano due orsi. Non è a dirsi come i due bravi giovani si affrettarono a prendere il fucile per dar la caccia alle due belve, in oggi divenute cose rare. Ben presto furono nella località indicata, e arditamente si dettero a scovare le due fiere. Prima ad essere presa di mira fu un’orsa, ed i tiri di fucile dei due bravi cacciatori la colpirono in una coscia e nella schiena, sicché rimase subito morta. Non così il maschio, assai più piccolo. Dopo aver ricevuto il primo colpo, ruzzolò sul pendio e andò a fermarsi sul ciglio d’un precipizio. La situazione per i cacciatori era doppiamente pericolosa. Bisognava spingersi sull’orlo dell’abisso nell’incertezza che evitato il pericolo di precipitare nel burrone si potesse essere at- taccati dalla fiera. Ma il Marieni Paolo, che aveva tirato il colpo, animato dalla passione dell’impossessarsi della preda, coraggiosamente si avvicinò all’orso afferrandolo per una zampa con l’intenzione di caricarselo sulle spalle. Ma l’animale non era per anco spirato e improvvisamente si rivoltò contro il Marieni addentandogli ferocemente una gamba. Fu un terribile momento. In bravo cacciatore senza perdersi d’animo, alzato il fucile, vibrò parecchi colpi sul muso dell’orso, con tal violenza che la canna si spezzò e l’orso dovette soccombere.” La cronaca, un po’ romanzata come era uso nell’ottocento, rimane un documento sulla presenza di questa coppia di orsi in valle, sicuramente, dalla descrizione, una femmina e il suo piccolo. Gli orsi oggi La stima delle dimensioni di un orso può essere fatta in questo modo: misurando la larghezza della pianta del piede e moltiplicando per 10 i centimetri, si ottiene il peso approssimativo in Kg. L’impronta fotografata da F. Galizzi è attribuibile ad un esemplare che supera i 200 Kg.! Sono presenti in discreta quantità specialmente nelle foreste dell’Europa dell’est, in particolare in Slovenia. Gli incontri sono possibili, come nel caso del piccolo, fotografato da Piero Bianchi, che si avvicinava incuriosito attirato dal richiamo del guardiacaccia. Nota di cronaca: 38 L’ultimo orso in Val Brembana venne abbattuto nel 1891, in alta Val Corona; l’esemplare, impagliato, si trova presso il Museo di Scienze di Bergamo. CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche In cucina - Carlo Calvetti Sottofesa di camoscio marinata con risotto al taleggio e leggero pesto di “parüc”* Per poter soddisfare il palato, apprezzarne il gusto particolare e ricco della selvaggina, bisogna avere la certezza della qualità della carne. Lo stato ed il modo con cui l’animale è stato cacciato risulta quindi essere determinante. Di conseguenza il trattamento della spoglia dopo l’abbattimento è di estrema importanza. È consigliabile che la carne sia conservata in pezzi anatomici completi, separati a seconda della destinazione d’uso, evitando tagli inutili e prematuri rispetto alla preparazione che si vuole fare. È invece importante separare la carne dal grasso, che deve essere bianco, sempre se tutte le procedure corrette di caccia sono state rispettate. È necessario provvedere a raffreddare la carne, e successivamente, dopo una corretta frollatura di alcuni giorni in cella frigorifera, congelarla nel più breve tempo possibile. Lo scongelamento prima dell’utilizzo, diversamente, deve avvenire lentamente, in un frigo, senza far subire alla carne sbalzi termici. La cottura poi non dovrebbe essere generalizzata come si faceva in passato, destinando tutto, indifferentemente, alla preparazione di “salmì”, bensì ogni parte dell’animale, secondo le differenti caratteristiche, potrà essere utilizzata con modalità di cottura diverse a seconda del piatto che si vorrà realizzare. È sempre sbagliato destinare alla preparazione di salmì o ragù le parti nobili dell’animale, che dovrebbero essere invece utilizzate per la preparazione di piatti che richiedono cotture brevi, veloci e semplici, per meglio assaporarne le qualità intrinseche di ogni parte. Procedimento: Marinare la sottofesa. Prendere zucchero semolato e sale, nella proporzione rispettivamente di 1/3 e 2/3; fare un trito con bacche di ginepro, chiodi di garofano, cannella, pepe, salvia, rosmarino e poco aglio. Mischiare il tutto con il sale e lo zucchero e cospargere bene la carne, avendo cura di tenerla poi sollevata per evitare che resti a contatto con il liquido che produce a seguito della marinatura. Lasciar aromatizzare la carne per 48 ore. Dopo questa fase, ripulire la carne dalla marinatura e passarla a fuoco vivo in una padella, per una cottura tipo rosat – beef; al cuore deve risultare rosa. Lasciare raffreddare e tagliare fine. Condire con una citronette leggera, oppure disporla sopra un piatto di risotto mantecato al taleggio, con qualche goccia di aceto balsamico. Si otterrà così un piatto unico e sicuramente alternativo al classico arrosto. La carne così cotta la si potrà anche condire con un leggero pesto al parüc*. *Buon Enrico (Chenopodium bonus Henricus), una sorta di spinacio selvatico che si trova allo stato spontaneo in montagna, più frequentemente nei pressi delle malghe, dal gusto veramente squisito. !!! o t i t e p p a n Buo CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 39 Informazioni e scadenze Cani da traccia - Diego Vassalli Fra pochi giorni si ricomincia, la nuova stagione di caccia è alle porte e noi conduttori con i nostri cani siamo pieni di aspettative positive.Gli ultimi mesi sono serviti si a tirare un po’ il fiato, ma soprattutto sono serviti per confrontarci con altre realtà nazionali che come noi si propongono al servizio dei cacciatori di ungulati per il recupero del capo ferito. Due gli aspetti del confronto: le prove di lavoro, dove emergono i soggetti da seguire per la riproduzione, e l’organizzazione della stazione di recupero. Per quanto riguarda le prove di lavoro il primo semestre è stato molto interessante: sono emersi cani di sicuro interesse e valore con attitudini al lavoro che hanno evidenziato l’equilibrio e lo stile di razza in parecchi soggetti, tanto da ritenerli ormai pronti per il lavoro naturale. Per quanto riguarda la stazione di recupero emerge dal confronto la necessità di organizzarsi, servono qualità e servizio e la collaborazione di tutti i cacciatori, accompagnatori in prima fila. Quando si spara bisogna sempre verificare cosa è successo, e chi ci può aiutare in questo caso è il nostro cane; non un cane qualsiasi ma un soggetto abilitato ed allenato che, dopo un confronto con il responsabile della stazione di recupero, si decide di inviare con il suo conduttore altrettanto preparato ed abilitato al recupero. Premiazione Guardie Consegnate dal Presidente della Provincia le medaglie per l’anzianità di servizio alle guardie della Polizia Provinciale. Tra le altre c’erano anche le guardie che operano sul nostro comprensorio brembano: Gian Battista Albani Rocchetti, che ha maturato ormai 25 anni di servizio, e Bruno Boffelli, con 16 anni. I complimenti e gli auguri sono stati loro rivolti anche dl nostro Presidente del Comprensorio Enrico Bonzi anche a nome dei nostri cacciatori. Felicitazioni anche da parte della Redazione. 40 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche La qualità del recupero la garantiscono i conduttori con i loro cani. Il servizio offerto dalla stazione di recupero, da quest’anno, è operativo con un numero di telefono sempre rintracciabile: il 349-6694891, sia per il Comprensorio Alpino Valle Brembana che per l’Ambito Territoriale Prealpino. Con il numero 348-6960717 il servizio è attivo per il Comprensorio Alpino Valle Seriana, Valle di Scalve e Valle Borlezza. Grazie per la collaborazione e….in bocca al lupo 20a Festa del Cacciatore e Pescatore 22 - 23 - 24 - 25 26 Agosto 2007 Lenna (Bg) Informazioni e scadenze MERCATINO DELL’USATO Su richiesta di alcuni soci, e certi di fare cosa gradita a molti, la Redazione ha deciso, a partire dal prossimo numero di dicembre, di avviare una nuova rubrica dal titolo “MERCATINO”. Verranno proposte tutte le richieste – offerte dei soci, o amici del Comprensorio, in materia di cessioni o acquisti d’occasione di materiale venatorio, dalle armi ai cani, dai binocoli alle attrezzature da caccia. Coloro che intendessero usufruirne sono pregati di far pervenire al comprensorio le loro “RICHIESTE - OFFERTE”, indicando correttamente nome e recapito telefonico e descrizione dell’oggetto che intende cedere - offrire. La Redazione non è responsabile, in ogni caso, della qualità degli oggetti trattati. ARCHIVIO IMMAGINI Coloro che volessero collaborare con la Rivista offrendo immagini interessanti, possono recapitare il materiale, di cui la Redazione terrà copia, presso l’ufficio Comprensorio. INFORMAZIONI SMS Presso il Comprensorio funzione un servizio dedicato all’informazione tempestiva dei Soci tramite SMS, riguardante tutte le novità riguardo alla caccia. Tutti i soci che volessero ricevere tali comunicazioni in tempo reale sono pregati di comunicare il loro numero di cellulare alla segreteria del Comprensorio. SI RICORDA CHE IN BASE AL NOSTRO STATUTO TUTTI I SOCI SONO TENUTI A FAR TIMBRARE IL LORO TESSERINO REGIONALE PRESSO GLI UFFICI DEL COMPRENSORIO PRIMA DELL’AVVIO DELL’ATTIVITÀ VENATORIA. CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 41 20a Festa del Cacciatore e Pescatore 22 - 23 - 24 - 25 26 Agosto 2007 Lenna (Bg) 42 CACCIAINVALBREMBANA COMPRENSORIO VENATOTRIO ALPINO VALLE BREMBANA: Enrico Bonzi – Presedente Lino E. Ceruti . Rappresentatne Provincia Pietro Milesi – Rappresentante Comunità Montana Angelo Bonzi – Rappresentante CPA/ANLC Teofano Boffelli – Rappresentante ANUU Giuseppe Bonomi – Rappresentante F.I.D.CCarlo Milesi – Rappresentante F.I.D.CAthos Curti – Gruppo Cinofilo Bergamasco Giovanni Morali – Rappresentante C.A.I. Bruno Calvi – Rappresentante C.A.I. Antonio Locatelli – Rappresentante Coldiretti Sperandio Colombo - Rappresentante Coldiretti COMMISSIONI: Avifauna tipica alpina:Presidente sig. Piergiacomo Oberti Ungulati: Presidente sig.Gian antonio Bonetti Lepre: sig. Milesi Gian Franco Capanno: sig. Umberto Arioli Stanziale ripopolabile: sig.Luigi Poleni SEDE: Lenna (BG) – Piazza IV Novembre, 10– tel./fax 034582565 www.comprensorioalpinovb.it - e-mail : [email protected] segretaria : Alba Rossi Orari di apertura: Merc. – Giov. Ven.: 9/12.30–14/17.30 Sabato: 9/12.30 ASSESSORATO PROVINCIALE SETTORE CACCIA E PESCA Via San Giorgio – tel. 035387700 Assessore Sett. Caccia e Pesca – Luigi Pisoni Ufficio Tecnico Caccia e Pesca Dirigente – Alberto Cigliano Collaboratori tecnico faunistici – Giacomo Moroni – Alberto Testa Servizio di Vigilanza Provinciale Responsabile – Gian Battista Albani Rocchetti Collaboratori – Bruno Boffelli, Cristiano Baroni SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ Pronto Soccorso Sanitario Ospedale Civile S. Giovanni B.: Tel. 034527111 Centro antiveleni – Ospedali Riuniti di Bergamo: Tel 035269469 (Tel 118) Soccorso Alpino CAI – Elisoccorso: Clusone: Tel. 034623123 Pronto Soccorso Veterinario – BG Via Corridoni 91 - Tel. 035362919 Corpo Polizia Provinciale: numero verde 800350035 Emergenza Sanitaria; Tel. 118 Vigili del fuoco: Tel 115 CACCIAINVALBREMBANA 43