disponibile - comprensorio alpino valle brembana

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disponibile - comprensorio alpino valle brembana
Periodico di cultura venatoria e gestione faunistico-ambientale del Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana - Poste italiane S.p.A spedizione in A.P. - 70% - DCB Bergamo - Cod. ISSN 1723-5758 - contiene IP
Agosto 2007
Anno XI - n. 31
La nostra
“Casa del cacciatore”
Le zone di rifugio
e ambientamento
Mostra
di gestione venatoria
Dopo il tiro
Prove di lavoro
per cani da traccia
Il camoscio e il bosco
Agosto 2007
Sommario
L’editoriale
Enrico Bonzi
3
Giovan Battista Vitali
ATTUALITÀ
L’antistoria della caccia
4
Per una biblioteca venatoria
del comprensorio
Direttore responsabile: Enrico Bonzi
Coordinatore: Flavio Galizzi
Redazione:
Flavio Galizzi, Lino E. Ceruti, Giambattista Gozzi, Luigi
Capitanio, Piergiacomo Oberti
Hanno collaborato:
Tiziano Ambrosi, Umberto Arioli, Martino Bianchi,
Gianantonio Bonetti, Carlo Calvetti, Luigi Capitanio,
Lino E. Ceruti, Annibale Facchini, Sergio Facchini,
Flavio Galizzi, Alessandra Garuffi, Gianfranco Milesi,
Piergiacomo Oberti, Stefania Pendezza, Luigi Poleni, Pier
Giorgio Sirtori, Diego Vassalli, Giovanbattista Vitali
Direzione e redazione
Lenna (Bg) - Piazza IV Novembre, 10
Tel. e Fax 0345/82565
www.comprensorioalpinovb.it
e-mail comprensorio: [email protected]
e-mail redazione: [email protected]
5
LETTERE
6
Lepre
Milesi Gianfranco
CACCIAINVALBREMBANA
8
26
Appunti di medicina veterinaria
Alessandra Gaffuri
28
29
8
Armi e balistica
Sergio Facchini
Avifauna Ripopolabile
9
Educazione Faunistica
10
Ungulati
Gianantonio Bonetti
La ricarica
Martino Bianchi
Capanno
Stefania Pendezza
30
32
34
Pagine d’Autore
10
Annibale Facchini
36
Proposte di lettura
ARTICOLI
Luigi Capitanio
37
L’angolo della poesia
Alessandro Raffaele Balestra
37
Curiosità
38
Flavio Galizzi
In cucina
Carlo Calvetti
La nostra “Casa del Cacciatore”
Lino E. Ceruti
11
Mostra di gestione venatoria
Gianantonio Bonetti
13
Prove di lavoro per cani da traccia
Flavio Galizzi
2
24
RUBRICHE
Per saperne di più
Umberto Arioli
Foto:
di G. Gritti, A. Galizzi, P. Bianchi, M. Bianchi, M. Diliddo
Luigi Capitanio
Avifauna Tipica Alpina
Progetto grafico: Manuele Anghileri
Impaginazione e stampa:
Diliddo Grafica&Stampa, San Pellegrino Terme
In copertina:
“Toy alla lunga” foto di A. Galizzi
G. P. Sirtori
Tiziano Ambrosi
Luigi Poleni
La rivista si avvale della collaborazione di tutti i Soci,
con scritti e materiale grafico fotografico, senza impegni
da parte della Redazione, che si riserva di vagliare ed
eventualmente modificare quanto pervenuto, e tratterrà
il materiale nel proprio archivio. La riproduzione anche
parziale è vietata, salvo il consenso degli autori e del
Comitato di Gestione
Dopo il tiro
COMMISSIONI
Piergiacomo Oberti
21
Il camoscio e il bosco
Flavio Galizzi
Direttore Responsabile:
Enrico Bonzi
Editore:
Comprensorio Venatorio Alpino
Valle Brembana
Registrazione presso il Tribunale di Bergamo, n° 29/97
del 22/07/97
Rivista dei Soci del Comprensorio Venatorio Alpino Valle
Brembana
Le zone di rifugio e
ambiantamento
16
39
INFORMAZIONI E SCADENZE:
Cani da traccia
Diego Vassalli
40
S
iamo ormai alle porte per l’apertura della caccia.
I primi saranno i cacciatori di selezione, con l’apertura al capriolo stabilita
al 19 agosto, e dal 16 settembre seguiranno tutti gli altri.
Un augurio a tutti è più che doveroso.
Dalle comunicazioni che mi sono pervenute dalle Commissioni risulta che i censimenti hanno dato
buoni risultati, con presenza di selvaggina in aumento; questo significa per tutti noi buona gestione,
e soprattutto rispetto per la fauna e l’ambiente. Un grazie a tutti quelli che si impegnano su questo
fronte, che offrono le loro giornate di lavoro a beneficio della gestione e di tutto quanto necessita per
andare avanti con la costante volontà di migliorare sempre le cose.
Ne sono prova i lavori svolti per completare la nuova sede, la perfetta organizzazione e gestione della
prova nazionale dei cani da traccia, i censimenti e la nostra costante presenza sul territorio.
Quello che più mi sta a cuore è proprio la nuova sede, la nuova “casa del cacciatore”, anche se all’inaugurazione mi sarei aspettato più partecipazione, anche da parte di molti dirigenti venatori.
Mi auguro che pian piano ci si affezioni come merita, e tutti la sentano come casa loro.
Purtroppo, al momento di andare in stampa, non si hanno ancora notizie riguardo all’emanando decreto ministeriale, che farà chiarezza, o porterà nuove ombre, sul futuro venatorio dei siti Natura 2000.
Per ora ci basta sapere che né la Regione, né la Provincia hanno messo vincoli restrittivi all’attività
venatoria dentro questi territori; speriamo di non doverci trovare di nuovo a lottare perché i nostri
diritti sacrosanti vengano rispettati. Lo sapremo comunque fare con fermezza e determinazione.
In attesa di novità….
auguro a tutti di cuore una splendida stagione venatoria
Il Presidente del Comprensorio
Enrico Bonzi
Attualità
4
L’antistoria della caccia
Mentre tutto quanto ruota intorno alla caccia cerca di crescere, cerca di adattare il proprio agire per farlo progredire
quanto più possibile in sintonia con l’evoluzione del pensiero e della nuova sensibilità nei confronti dell’ambiente e
della fauna che lo popola, c’è ancora chi sogna la caccia selvaggia, la caccia “no limits”, con quello spirito di battaglia
quasi eroico di chi va a morire per un ideale, senza accorgersi che rischia di trascinare con sé anche tutti gli altri.
Sono questi i pensieri che mi sono passati per la mente
quando ho letto dell’ennesima proposta di legge che, alla
“caccia di selezione” così come l’abbiamo costruita, faticosamente, fino ad oggi, e che rappresenta una conquista etica
e sostenibile del prelievo venatorio di specie così preziose
e importanti per l’ecosistema alpino, vorrebbe sostituire, o
quantomeno affiancare, la caccia col segugio.
La proposta di legge n. 1092 del senato, 9 novembre 2006,
presentata da un senatore bergamasco, vorrebbe che la caccia ai cervidi e ai bovidi si tornasse a fare come nel medio
evo, ai tempi dei nobili, a cui in ogni caso era riservata in
esclusiva, con l’ausilio dei cani da seguita.
Chi anche solo vedesse alcune scene rappresentate nelle
pittura di quei tempi, con le mute di cani che aggrediscono
letteralmente cervi e caprioli atterriti e bloccati dal panico
della morte, non potrebbe che rimanere sconcertato.
La caccia agli ungulati erbivori ruminanti ha fatto, proprio in questi ultimi anni, e il nostro Comprensorio è stato
in prima fila, passi da gigante, ha acquisito conoscenze e
stili di comportamento che nessuno più accetterebbe di nascondere sotto un mantello nero e rinnegare per dare sfogo
ad altre insensate forme di prelievo. Ritengo, e in questo
mi sento sostenuto sicuramente da tutti quelli che ne hanno
CACCIAINVALBREMBANA
fatto esperienza e la praticano con serietà, dedizione e impegno, che siamo ormai giunti ad un punto di “non ritorno” di cui possiamo essere tutti orgogliosi, e da cui non si
può più tornare indietro.
L’argomento della proposta di legge viene classificato
come “caccia sportiva”, e il solo titolo la dice lunga.
Ormai nessuno di noi intende più la caccia di Selezione
come uno “sport”, bensì come servizio di gestione della
fauna selvatica, assegnando a questa attività funzioni di
controllo delle popolazioni, con azioni e comportamenti
impregnati di valenze etiche e rituali che la caratterizzano e
la rendono per ciò stesso “accettabile” anche dall’opinione
pubblica, pertanto “compatibile”.
Proporrei addirittura, a questo punto, che all’esame per
essere ammessi alla caccia di selezione si inserisca un vincolo di partecipazione a corsi autorizzati e specifici nei quali compaia come materia obbligatoria “l’etica venatoria”,
come stile di comportamento e di pensiero per poter esercitare un’attività così delicata e particolare com’è il prelievo
venatorio di queste specie.
Questo è il percorso corretto che si deve fare per legittimare, all’inizio di questo nuovo secolo che apre il terzo
millennio, l’intervento venatorio che caratterizza la caccia
di selezione, altro che immaginare di tornare ai tempi del
Re Sole!
Waidmann’s heil!
Buona lettura a tutti
Le Redazione
Mi sono capitati per le mani, grazie
ad alcuni amici cacciatori con lo spirito di “conservare” tracce del nostro
passato, i primi due numeri di “OL
MIGÓF”.
Siamo alla fine degli anni ’70, esattamente nel 1978. Quasi trent’anni
fa!
Si tratta di numeri unici realizzati
da un gruppo di cacciatori della valle
ben intenzionati, fin d’allora, a mettere nero su bianco per dare voce ai cacciatori partendo dalle situazioni reali
territoriali, senza farsi continuamente imbeccare dai politici o da quanti
hanno fini leggermente diversi dalle
istanze venatorie del territorio.
Quanta passione dentro quelle pagine, quanto spirito d’iniziativa; uno
spirito che a dir la verità non è mai
venuto meno, basti pensare al nostro
notiziario di oggi, il quale, anche se in
veste tipografica molto diversa, ricalca un po’ quelle istanze, quella voglia
di essere protagonisti, o quantomeno
di essere propositivi, di voler crescere riflettendo, confrontandosi, impegnandosi in prima persona. Questo
è sicuramente il nostro carattere che
continua ad essere vivo e vivace.
“Sota la sènder brasca” si diceva del
carattere dei bergamaschi.
Prendendo spunto da questa piacevole rivisitazione, vorrei lanciare
un’iniziativa per la cui realizzazione
serve innanzitutto il coinvolgimento
di tutti noi, oltre che un progetto organico e ben strutturato perché l’iniziativa vada in porto e raggiunga gli
scopi voluti.
Perché non realizziamo una BIBLIOTECA DEL COMPRENSORIO,
ben fornita, in grado di essere punto di riferimento di quanti volessero
approfondire la conoscenza del nostro patrimonio faunistico, cacciabile o no, e perché no anche della flora
e di letteratura venatoria?
Potrebbe essere l’inizio di un’avventura interessante, ricca di spunti
e di coinvolgimenti sotto il profilo
scientifico della conoscenza, ma anche culturale e storico.
È solamente una proposta, sulla
quale mi piacerebbe avere qualche
parere, e perché no qualche proposta interessante. Una potrebbe essere
quella di mettere a disposizione dell’iniziativa quei soldi che ci vengono
versati dagli amici che usufruiscono
dell’ospitalità venatoria, o magari
da qualche donazione. Penso che sia
una sfida possibile, a partire da quello che molti di noi hanno a casa e che
Attualità
Per una biblioteca venatoria
del comprensorio
forse non ritengono, giustamente,
valorizzato abbastanza.
Sarebbe bello inaugurare il primo
lotto di questa iniziativa proprio ricordando, nel 2008, il primo numero
della prima pubblicazione venatoria
di valle “OL MIGÒF”.
Flavio Galizzi
CACCIAINVALBREMBANA
5
Lettere
LETTERA AL DIRETTORE
In riferimento all’articolo pubblicato
sulla rivista “Caccia in Valle Brembana
Maggio 2007” da parte della commissione Avifauna tipica alpina e firmato dal
Presidente Oberti Piergiacomo, in particolare all’ultimo paragrafo dove esprime
il suo disapprovo a concedere la caccia
vagante alla selvaggina migratoria a chi
ha optato per la “specializzazione n°5
“(Ungulati) e non “FORMA” di caccia,
richiamando in sua motivazione il Regolamento Regionale.
Precisiamo alcune cose partendo dall’inizio La Legge dello Stato n°157 del
11.02.1992.
Art.12. “Esercizio dell’attività Venatoria” Comma 5 lettera “a“ prevede
(Caccia vagante in zona alpi) lettera “b”
(Caccia ad appostamento fisso) quindi la
legge identifica due FORME di caccia
“vagante e appostamento fisso”.
La Legge Regionale n°26 del 11.08.1993.
Art. 35. (Esercizio della caccia in FORMA esclusiva) al Comma 1 lettera (“a“
e “b”) richiama in ogni sua parte la legge dello stato e conferma due FORME di
caccia, Vagante e appostamento.
Il Regolamento Regionale di cui si parla datato 2003, non è un regolamento ma
una integrazione di Legge. Oggetto: Modifica dell’art. 35. L.R. 26/93 “ 1 Bis. Il
cacciatore che ha optato per la FORMA di
caccia di cui al Comma 1 lettera “b “(appostamento fisso) può disporre di dieci
giornate di caccia Vagante alla selvaggina migratoria da effettuarsi a partire dal
1 Novembre, di ogni stagione venatoria
previo comunicazione al comitato di gestione. Il cacciatore che ha optato per la
forma di caccia di cui al comma 1, lettera
“ a” (Vagante in zona alpi) può esercitare
a partire dal 1 Novembre la caccia anche
ad appostamento fisso previo consenso del
titolare, per n°10 giornate di caccia.
La Legge non parla e tanto meno vieta
l’esercizio della caccia vagante alla migratoria a chi esercita la caccia ad Ungulati ,
essendo questa una specializzazione, praticata in Forma vagante, come la specializzazione alla Lepre, e alla Tipica alpina,
con la quale si può esercitare la caccia alla
migratoria sin dal giorno di apertura,
quindi a mio modesto parere ed interpre-
6
CACCIAINVALBREMBANA
tando la legge ritengo che tutti i cacciatori che esercitano la FORMA vagante di
qualsiasi specializzazione abbiano il diritto per Legge di praticare la caccia alla migratoria sin dal giorno di apertura senza
nessun pregiudizio.
Distinti saluti
Vecchietti Enrico
San Giovanni Bianco, 18.06.2007
Pubblichiamo e rispondiamo con
piacere alla lettera inviata dal Socio
Vecchietti Enrico
Le osservazioni che vengono
espresse in maniera puntuale e chiara sono certamente condivisibili in
quanto rispondono alle disposizioni e
norme in vigore.
Gradirei comunque sottolineare
due aspetti del problema che ritengo
emergano dalle considerazioni fatte
sia da parte della Commissione Tipica
che da parte del socio Vecchietti Enrico, che è un neocacciatore di ungulati e riesce quindi ancora a ”leggere il
problema dal di fuori”.
Innanzitutto, da quanto si è potuto
intendere anche dal chiacchierare che
si è fatto attorno a questo problema,
la proposta formulata dalla Commissione Tipica risulta perlomeno “fuori
luogo”, in quanto non si ritiene corretto che una commissione consultiva di “specializzazione”, quali sono
le nostre in base allo statuto, abbia la
competenza di entrare nel merito di
come si debbano svolgere la attività
venatorie degli altri soci che praticano altre specializzazioni; semmai ciò
entra nei compiti specifici del Comitato Tecnico di Gestione, che ha cura di
coordinare tutte le forme di caccia che
si praticano nel comprensorio.
Volendo entrare poi nel “merito”
della questione, ritengo che sia necessario fare alcune considerazioni
riguardo alla Caccia di Selezione agli
ungulati e ai suoi vincoli.
Premesso che sarebbe quantomeno
penoso valutare la caccia in termini di
KG di selvaggina prelevata, tutte le
forme di caccia, indipendentemente
dalla quantità dei prelievi e dalla qualità, devono avere ed hanno gli stessi
diritti, la stessa dignità, le stesse motivazioni passionali e lo stesso valore
etico, e sono scelte personali dei soci.
Messo nel cassetto definitivamente
questo elemento di disturbo del ragionamento, il cui solo pensiero squalifica un cacciatore serio, vale la pena
sottolineare come la caccia di Selezione è quella che si è imposta i vincoli
maggiori, dimostrando con questo un
livello di maturità e di senso etico e
ragionato dell’attività venatoria difficilmente riscontabile in altre forme:
1) si è data un criterio di gestione rispetto al territorio, definendo le
“Zone” di caccia per ciascun cacciatore: 5 zone vuol dire, in sostanza, ridurre a un quinto il territorio
a disposizione di ogni cacciatore;
per ora sono gli unici (a parte ovviamente i capannisti, ma la loro
è un’altra forma di caccia) ad aver
fatto questa scelta;
2) si è data un regolamento assai restrittivo e vincolante sull’assegnazione dei capi da prelevare, con penalità e sospensioni, all’interno del
prelievo stesso di specie cacciabili,
che non esistono in altre forme di
caccia, se non per le specie vietate
(ma questo vale per tutti);
3) si è data un codice di comportamento rigoroso, che prevede la comunicazione preventiva di uscita
con segnalazione diretta alle strutture di controllo, di chi ogni volta
esce e di dove va a caccia, pena gravi sanzioni, per permettere in ogni
momento un puntuale controllo;
4) ogni cacciatore ha l’obbligo di praticare la caccia accompagnato da
un Accompagnatore, entrambi responsabili del prelievo;
5) si è imposta, come criterio fondamentale di vincolo per continuare
a svolgere questa forma di caccia,
diverse giornate di lavoro, pena la
riduzione anche significativa della
assegnazioni dei capi, a fronte di
un regolamento del Comprensorio che prevedrebbe almeno due
giornate di lavoro per tutti i soci,
a beneficio della gestione collettiva
ritengo che sia una richiesta più che
legittima. Saranno poco più di una
ventina di cacciatori. Si può pensare
che proprio questi pochi rappresentino un eccesso di pressione venatoria sul territorio? E poi, perché, come
giustamente ci fanno capire le osservazioni in merito alle disposizioni di
legge sottolineate dal socio Vecchietti,
tale restrizione dovrebbe interessare
solamente la specializzazione dei cacciatori di Selezione? Perché tale limitazione, se ci deve essere a protezione
della fauna, non riguarda anche le
altre specializzazioni? A partire dalla
tipica fino alla lepre?
Non è sicuramente mia intenzione
sollevare questioni che possano costituire elemento di tensione, o peggio di conflitto, tra i vari cacciatori e
le diverse specializzazioni, vuole al
contrario essere un elemento in più di
riflessione per stemperare gli animi e
far comprendere che se si guarda con
serenità e senza secondi fini al problema, qualche altro cacciatore che gira
per i nostri boschi, se corretto, serio e
onesto nei suoi intenti, non può che
essere un elemento in più di controllo
del territorio e della fauna.
Il CTG, comprendendone lo spirito,
ha cercato di venire incontro alla do-
Se le motivazioni possono essere
queste, e accettabili, resta importante che il fine gestionale resti una
caratteristica forte all’interno della
specializzazione ungulati, quindi nel
regolamento per la caccia di specializzazione agli ungulati si dovrebbe
indicare comunque che coloro che intendono chiedere di esercitare anche la
forma di caccia alla migratoria vagante
lo debbano fare prima dell’inizio della stagione, e possono esercitarla solamente dopo che hanno concluso il
loro piano individuale di prelievo,
salvo ovviamente rinuncia del capo.
Ciò affinché la tensione al completamento del piano sia un dovere primario e un impegno di tutti: la caccia
agli ungulati è sì una specializzazione
venatoria, ma è anche fondamentalmente un dovere e un impegno di gestione della popolazione di ungulati.
manda autorizzando la caccia alla migratoria vagante anche per gli ungulatisti a partire dal 14 ottobre, come lo
scorso anno; proposta che, nonostante le difficoltà incontrate in seno alla
Consulta Provinciale, è stata adottata
dalla Giunta Provinciale. Ci auguriamo, con il contributo di questa riflessione, che sia solo il primo passo.
Con queste mie riflessioni ho cercato di sviscerare quanto più possibile
l’argomento.
Sperando di non aver urtato la sensibilità di nessuno, mi auguro che il
problema, che in realtà, se letto con
serenità, è solo un falso problema,
possa trovare dal prossimo anno una
soluzione condivisa e definitiva.
Lettere
e non individuale, che la maggior
parte degli altri cacciatori di fatto
non svolgono (c’è gente che fa fino
a oltre quaranta giornate di servizio per la gestione di questa specializzazione, tutti incarichi di grosse
responsabilità!).
A fronte di tutto ciò, che ritengo costituisca titolo di merito assoluto, va
sottolineato, e non è solo parere mio,
che i meriti che il nostro Comprensorio ha acquisito nel mondo venatorio
anche fuori della nostra Provincia siano da attribuire per la maggior parte
proprio alla caccia di Selezione e di
come essa venga seriamente e correttamente gestita.
Negli ultimi tempi si sono alzate
alcune voci di richiesta, da parte di alcuni soci ungulatisti, di poter godere,
terminata la caccia di selezione, anche
di alcune giornate alla migratoria con
il fucile a canna liscia, che per anni è
stato forzatamente lasciato appeso al
chiodo, per fare ancora qualche uscita senza più tutti quei vincoli imposti
dalla selezione, per godere da soli di
quell’atmosfera e di quel senso di libertà che la caccia vagante sulle nostre montagne sa ancora regalare, più
in termini affettivi di “poesia e tradizione” che di carniere.
Intese in questi termini, le richieste in tal senso inviate al Comitato di
Gestione, al di là del fatto di essere
pienamente legittime per legge, non
sembrano in ogni caso fuori luogo.
Anche perché, da un’indagine approssimativa fatta tra i cacciatori di
selezione, tale desiderio viene quasi
esclusivamente espresso dai cacciatori residenti di una certa età, da quelli
che nei tempi passati hanno esercitato
proprio la vagante, tutti pensionati,
con la voglia di riassaporare il piacere di una uscita con la doppietta sulle
spalle. Per molti di loro la caccia di
selezione agli ungulati si risolve in
pochissime uscite, a volte nemmeno
troppo impegnative, tre o quattro in
tutto, con prelievi minimi, e stare alla
finestra tutto l’autunno costituisce un
sacrificio troppo grande. Anche se
l’apertura è al 20 di agosto, con la contrazione che si è verificata nei caprioli,
molti sono quelli che non hanno avuto l’opportunità di prelevarlo, per cui
hanno fatto solo il camoscio. Considerate le loro tante licenze e il forte legame affettivo nei confronti della caccia,
Cordialmente
Flavio Galizzi
CACCIAINVALBREMBANA
7
Le Commissioni
Commissione
Tipica Alpina
Terminata la sessione primaverile
dei censimenti e ultimata la raccolta
delle schede e cartografie dei rilevamenti, la commissione nelle ultime
riunioni si è dedicata principalmente
all’esame di alcune normative che entreranno in vigore nel prossimo futuro: il calendario integrativo provinciale 2007/2008, e l’istituzione dei S.I.C.
e Z.P.S. nel contesto di Rete Natura
2000. Al momento non siamo ancora
in possesso del calendario definitivo, ma dalla bozza predisposta dalla
Provincia e visionata in un incontro
col C.T.G., non si rilevano sostanziali
cambiamenti per quanto riguarda la
nostra forma di caccia. Sulla falsariga
del precedente vengono confermate,
nelle zone di caccia programmata, le
date di apertura e chiusura della zona
A e della zona B, i periodi di caccia,le
speci cacciabili, l’uso dei cani ecc…
una novità, che riguarda di più gli
amici capannisti, è il divieto di cattura della beccaccia da appostamento
fisso.Viene recepita la proposta della
commissione di anticipare l’inizio dei
censimenti al 16 agosto per poter monitorare determinate aree della zona
di minor tutela, prima dell’inizio dell’addestramento cani, mentre siamo
ancora in attesa di ricevere una risposta in riferimento all’utilizzo di due
cani per operatore durante le operazioni di censimento, argomento già
trattato sul numero precedente della
nostra pubblicazione.
L’Amministrazione Provinciale, di
fronte al probabile evolversi del qua-
8
CACCIAINVALBREMBANA
dro normativo, si è cautelata subordinando il tutto ad eventuali e diverse
disposizioni che potrebbero essere introdotte dagli Enti Gestori delle zone
di Protezione Speciale in materie venatoria. Per quanto attiene ai nuovi
istituti di tutela, S.I.C. – siti di interesse comunitario - e Z.P.S. – zone di
protezione speciale -, introdotti dalla
Comunità Europea, definiti dalla Regione e fatti propri a livello nazionale,
che coprono significative porzioni di
territorio cacciabile del nostro Comprensorio e che soggiacciono a misure
di conservazioni e a procedure di “valutazione di incidenza”, si attende di
conoscere i contenuti del Decreto Ministeriale che dovrebbero dettagliare
modalità e competenze sulla loro gestione.
Ne frattempo prendiamo atto che
con comunicazione del 16 aprile, la
Regione Lombardia ha classificato 6
Z.P.S. nella nostra provincia, prescrivendo per la zona Alpi:
a) l’addestramento e l’allenamento
cani da caccia, anche in età inferiore ai
15 mesi, prima della seconda domenica di settembre e fino alla chiusura
della stagione venatoria;
b) fatto salvo il divieto di introdurre
specie non autoctone, altri interventi
di introduzione sono sottoposti a specifica valutazione di incidenza;
c) lo svolgimento di gare cinofile è
vietato dal 15 aprile al 15 agosto con
l’utilizzo esclusivo di fagiani e starne;
d) l’attivazione di nuovi appostamenti fissi è sottoposta a specifica valutazione di incidenza (che si traduce
nella produzione, non gratuita, di una
pratica burocratica redatta da un tecnico competente).
Per concludere mi rivolgo a tutti coloro che sono abilitati a svolgere i censimenti all’Avifauna di monte, esortandoli a una fattiva partecipazione e
spirito collaborativi con i Responsabili di Settore che coordinano le uscite
sul territorio.
A tutti in bocca al lupo.
Il Presidente
Piergiacomo Oberti
Commissione
Lepre
Ci avviciniamo ormai all’apertura,
e le valutazioni che possiamo fare riguardo al successo riproduttivo delle
lepri sono sicuramente buone.
Complice il favorevole inverno, si è
registrato, visti i dati emersi dall’analisi dei censimenti primaverili nelle
zone campione, un discreto successo
riproduttivo, sicuramente superiore
allo scorso anno.
I censimenti, eseguiti di notte con i
fari in collaborazione con il corpo di
sorveglianza, hanno dato infatti risultati più che soddisfacenti, con indici
di aumento in certe zone, rispetto allo
scorso anno, intorno al 20%.
Tutto ciò ci permetterà di svolgere
con la massima tranquillità e soddisfazione la prossima stagione venatoria.
Auguro a tutti un autunno pieno di
soddisfazioni.
Il Presidente
Gianfranco Milesi
La stagione venatoria si sta avvicinando, perciò è ora di prepararsi al
lancio della selvaggina. Confermiamo anche per questo anno tre lanci di
selvaggina, di cui due pronta caccia.
Viene confermato anche per questa
stagione la compilazione del verbale
di lancio, che sarà consegnato agli incaricati insieme ai selvatici e che dovrà essere compilato e riconsegnato
entro 48 ore presso la sede del Comprensorio Alpino oppure spedito tramite fax.
Gli incaricati sono pregati di presentarsi presso il piazzale del cimitero di San Giovanni Bianco muniti di
contenitori idonei per il ritiro della
selvaggina. Qualora l’addetto al ritiro della selvaggina volesse incaricare
un sostituto, questo deve presentarsi
con una delega firmata dal responsabile del ritiro o dal Presidente della
sezione, in caso contrario non si farà
nessuna consegna.
Vi informiamo che, se qualche incaricato non sarà presente al ritiro
della selvaggina, la sua quota sara’
suddivisa equamente tra gli altri addetti presenti. Per quanto riguarda
l’orario per la consegna dei selvatici,
i vari responsabili del ritiro devono
telefonare nella settimana del lancio
al Comprensorio Alpino che confermerà l’ora della distribuzione.
Si raccomanda agli addetti al lancio
di rilasciare la selvaggina nella stessa
giornata in cui viene consegnata nei
luoghi indicati dalla commissione.
Pensiamo di fare cosa gradita ai
soci, la pubblicazione sulla rivista
delle zone di lancio, delle relative
date ed il numero dei selvatici che
verranno immessi.
Il Presidente
Luigi Poleni
ZONA 1:
VEDESETA E TALEGGIO
TALEGGIO
Sotto Peghera - Bonetto - Piazzamorandi - Cimapane
VEDESETA
Prato Giugno – Prato Cerai – Lavina Laghi
LANCI:
11.08.07
06.10.07
03.11.07
STARNE
STARNE
FAGIANI
STARNE
FAGIANI
VEDESETA
33
35
12
33
12
TALEGGIO
53
53
26
35
26
ZONA 2:
S.GIOVANNI – DOSSENA - CAMERATA - SERINA - CORNALBA
- OLTRE IL COLLE
SAN
GIOVANNI
Pianca/Costa Lupi – S.Pietro/S.Gallo/Portiera – Fuipiano/
Cornalita
DOSSENA
Paglio – Silos
CAMERATA
Prato del Monte/Campelli – Cà Bianca/Prà de l’Albe
SERINA
Campi – Campi Erolo – Valle Bascià
CORNALBA
Gardati – Cavrei
OLTRE IL
COLLE
Colle di Zambla – Monte di Zambla – Vandullo
LANCI:
11.08.07
06.10.07
Le Commissioni
Commissione
Ripopolabile
03.11.07
STARNE
STARNE
FAGIANI
STARNE
FAGIANI
S.GIOVANNI
BIANCO
50
50
18
45
18
DOSSENA
30
30
17
30
17
CAMERATA
CORNELLO
30
28
5
24
5
SERINA
30
30
15
25
15
CORNALBA
5
5
9
5
9
OLTRE IL
COLLE
23
23
15
23
15
ZONA 3:
LENNA – RONCONBELLO – ISOLA DI FONDRA - BRANZI
- VALLEVE - MOIO VALNEGRA
LENNA:
St. Trinità – Riet – Barec
RONCOBELLO
Piazzoli (Prati Valsecca) – Capovalle (Valcressa)
ISOLA DI
FONDRA
Moie di Cornelli e Pusdosso – Forcelle di Via Piana
BRANZI
- VALLEVE
Corne – Gatti
MOIO DE
CALVI
Chiarelli – Pioda
VALNEGRA
Preda - San Carlo - Fiora – Roncale
LANCI:
11.08.07
06.10.07
03.11.07
STARNE
STARNE
FAGIANI
STARNE
FAGIANI
LENNA
10
10
16
5
16
RONCOBELLO
10
10
11
10
11
ISOLA DI
FONDRA
5
5
13
5
13
BRANZI
ValleveFoppolo
10
10
16
10
16
MOIO DE
CALVI E
VALNEGRA
5
5
7
5
7
ZONA 4:
PIAZZA BREMBANA - OLMO AL BREMBO - S.BRIGIDA
- CUSIO VALTORTA - AVERARA - PIAZZATORRE - MEZZOLDO
- PIAZZOLO
PIAZZA
BREMBANA:
Monte Sole – Stralenna – Prati Sosè.
OLMO AL
BREMBO:
Zinibriga – Acqua Calda – Frola.
SANTA
BRIGIDA
Cugno – Grass – Colle.
CUSIO:
Taleggio di Cusio – S. Maria Maddalena
VALTORTA
Piani Alti – Zerta Piana - Ceresola
AVERARA
Grasselli – Cantedoldo
PIAZZATORRE
Prati Pegherolo – Prati Malicco – Fo
MEZZOLDO
Sparavera/Piazzoli – Soliva/Piacca – Cà Bonetti/La Costa
PIAZZOLO
Forcella-Ronchi
LANCI:
11.08.07
06.10.07
03.11.07
STARNE
STARNE
FAGIANI
STARNE
FAGIANI
PIAZZA
BREMBANA
5
5
19
0
19
OLMO AL
BREMBO
5
5
16
5
16
SANTA
BRIGIDA
7
7
5
5
5
VALTORTA
5
5
5
5
5
AVERARA
7
7
5
5
5
PIAZZATORRE
10
10
5
10
5
MEZZOLDO
5
5
6
5
6
PIAZZOLO
5
5
4
5
4
CACCIAINVALBREMBANA
9
Le Commissioni
Commissione
Capanno
In data 19 maggio
si è tenuta l’assemblea dei soci capannisti del Comprensorio. Nell’occasione ringraziamo tutti coloro che hanno
partecipato, a partire dal presidente
del CTG, i membri della commissione, e soprattutto tutti i soci.
La Commissione, riunitasi nei primi giorni di giugno, ha preso in esame le proposte emerse nel corso dell’Assemblea.
Alla richiesta di un socio di stilare
un elenco specifico per il merlo, la
Commissione non ha ritenuto opportuno dare corso, perché già attuata
nella stagione 2005/2006 quando al
momento della timbratura del tesserino si dava la possibilità di esprimere la propria preferenza per il ritiro di
presiccio della specie merlo, per poter eventualmente in seguito stilare
un elenco specifico. Nonostante tale
possibilità, solamente due soci avevano aderito a tale iniziativa.
Per quanto riguarda anomale assegnazioni, si è provveduto all’intensificazione dei controlli incrociati, cercando di limitare al massimo i disagi
per eventuali anomalie.
Riguardo ai “presicci” che per ragioni diverse possono morire, si ribadisce che la sostituzione è impossibile, considerato l’esiguo numero dei
presicci a disposizione. Le situazioni
particolari riguardanti casi specifici
sono state tutte esaminate e a tutte è
stata data adeguata risposta.
10
CACCIAINVALBREMBANA
È già stato predisposto un nuovo
elenco delle assegnazioni dei presicci, che potrà essere ritirato dai soci capannisti all’atto della timbratura del
tesserino presso l’ufficio del Comprensorio, a Lenna.
Se verranno riscontrati eventuali
errori preghiamo i soci di segnalarli
tempestivamente al CTG, ricordando
a tutti di controllare i propri numeri
telefonici (non più di due!).
Nel nuovo calendario provinciale
appena approvato c’è una novità importante da sottolineare per i capannisti: è vietato l’abbattimento della
Beccaccia da appostamento fisso.
Come tutti sapete, alla data di andare in stampa, pende ancora l’incognita riguardo alle nuove possibili
prescrizioni o restrizioni riguardanti
i SIC e le ZPS, che prima dell’apertura verranno rese note in uno specifico decreto legge, ma sulle quali non
siamo in grado, al momento, di esprimere alcun parere, se non una certa
preoccupazione.
Una saluto a tutti.
Il Presidente
Umberto Arioli
Commissione
Ungulati
Si sono susseguite, con la solita
cadenza mensile, le riunioni della
Commissione Ungulati. Diversi gli
argomenti che hanno maggiormente
focalizzato il dibattito nelle ultime
riunioni. Fra questi, sicuramente è
la discussione inerente la bozza del
nuovo Regolamento Provinciale per
la caccia di selezione agli ungulati.
Una revisione si era posta al momento del recepimento, da parte della
Regione Lombardia, della modifica
alla legge 157 sui tempi di caccia. La
struttura portante di questo Regolamento è sicuramente data da quello
vecchio, consolidato e collaudato
dall’esperienza di questi anni, ma
alcune modifiche importanti suggeriscono ai cacciatori di selezione di
prenderne attentamente visione prima d’iniziare la ormai prossima stagione venatoria.
Altro punto che ha impegnato la
Commissione è quello della raccolta dei dati usciti dai censimenti che
consentono sicuramente d’accertare
la discreta espansione delle popolazioni di cervo, la sostanziale tenuta
di quelle di capriolo e la più che soddisfacente propagazione e densità di
quelle di camoscio.
Mi preme a questo punto evidenziare che, dietro sollecitazione
espressa all’unanimità da parte della
Commissione Ungulati, il CTG ha deliberato di non riassegnare, anche in
caso di prelievi sanitari, nessun capo
di ungulato a chi, sotto i 70 anni, non
ha partecipato ai censimenti. D’altra
parte il Regolamento Provinciale, all’art. 4, prevede, in questo caso, addirittura la sospensione dalla caccia di
selezione.
Vorrei poi ringraziare quanti si
sono impegnati per la buona riuscita
della mostra di gestione faunistica,
per la realizzazione ed inaugurazione della nuova sede del CA e per la
gara dei cani da traccia in memoria
dei mai dimenticati amici Roberto
Gatti e Isacco Bagardi. Tuttavia devo
purtroppo rilevare che sono quasi
sempre le stesse persone. A tutti, comunque, un grande augurio perchè
l’ormai prossima stagione venatoria
sia, nel rispetto delle norme, proficua
di grandi soddisfazioni.
Waidmannsheil.
Il Presidente
Gianantonio Bonetti
La nostra “Casa del cacciatore”
I N A U G U R A Z I O N E D E L L A N U O VA S E D E D E L C O M P R E N S O R I O
- Lino E. Ceruti
È stata veramente una bellissima festa.
La data non la potremo dimenticare, non
solo per la coincidenza con la ricorrenza
nazionale, ma perché, per noi, rappresenta
il coronamento di un sogno che rincorrevamo da anni.
Non stiamo a ricordare la laboriosa ricerca di una soluzione al reperimento della
sede; prima l’ipotesi di Piazza Brembana,
che non ha poi trovato adeguata soluzione,
infine Lenna, con l’occasione offerta della
sede dell’ex Stazione ferroviaria, che già
aveva per alcuni anni ospitato il centro di
verifica ungulati.
È stato per merito dell’impegno di tutti, del Comitato Tecnico attuale, di quello
precedente, di quanti dal di fuori si sono
impegnati affinché si raggiungesse l’obiettivo che ci eravamo posti, ambizioso ma
possibile, che è stato possibile che il nostro
sogno diventasse realtà.
Negli anni addietro siamo stati risparmiatori, abbiamo pian piano accantonato risorse da destinare all’impresa, e con
qualche aiuto ce l’abbiamo fatta. Si chiama
caparbietà, un carattere distintivo di noi
valligiani che nelle cose buone si rivela
sempre vincente.
Per quelle giornate, sabato 2 e domenica
3 giungo, c’erano diverse manifestazioni,
tutte di qualità, e ognuna è stata il corollario dell’altra. Oltre alla inaugurazione della
nuova Casa del Cacciatore era prevista la
mostra annuale dei trofei, che illustra l’andamento delle popolazioni di ungulati della nostra valle e la professionalità con cui il
prelievo ogni anno viene svolto e, il giorno
successivo, domenica, la prova nazionale
dei cani da traccia, altro momento qualificante della gestione faunistica svolto nella
nostra provincia, e per il quale il nostro
Comprensorio si è giustamente distinto
per la straordinaria capacità organizzativa.
L’incontro al teatro Codussi
CACCIAINVALBREMBANA
11
L’ufficio per il pubblico
Il taglio del nastro
All’inaugurazione eravamo presenti in
molti, a far da corona al Comitato di Gestione, ai molti responsabili delle diverse
attività gestionali e agli invitati.
Ad ascoltare le parole del Presidente
Enrico Bonzi c’erano i Consiglieri regionali Macconi, Saffiotti e Frosio, che hanno
sottolineato come siamo stati “in gamba”
e come l’impegno che sappiamo mettere
nelle cose che meritano porta sempre a
raggiungere gli obiettivi programmati.
Le parole del sindaco di Lenna Mario Lazzaroni
12
CACCIAINVALBREMBANA
C’erano le autorità religiose e militari,
il Presidente della Comunità Montana
Busi e l’Assessore provinciale Pisoni, che
hanno lodato l’iniziativa e si sono complimentati per la nuova Sede. Ha fatto da
padrino il Sindaco di Lenna Mario Lazzaroni.
Oltre all’aspetto celebrativo, che ha
avuto il suo momento più significativo
con il taglio del nastro, affidato ai nostri
due “Soci Anziani” Mario Belotti e Mario
Mazzoleni di anni 85, è stato offerto un
rinfresco a tutti i partecipanti e successivamente, al Teatro Codussi, ci sono stati
gli interventi, graditissimi, degli ospiti.
I consiglieri regionali hanno ribadito il
loro impegno a sostenere nelle sedi regionali le nostre istanze, in particolare hanno
sottolineato come la Regione si sia mossa
e si stia tuttora movendo perché non possano esserci sorprese in ordine all’attività
venatoria nelle ZPS e nei SIC, individuati
dalla Regione e per i quali hanno fatto in
modo che non potessero sopravvenire limitazioni di sorta. Staremo a vedere!
L’assessore Pisoni, oltre a complimentarsi per la realizzazione, ha fatto presente come il calendario provinciale sia
ormai definito, e già oggi, al momento di
andare in stampa, possiamo dire approvato.
La festa, intervallata dalle musiche dei
suonatori di Corni invitati dal Trentino
per l’occasione, ha poi visto la presentazione della Relazione sulla Caccia di Selezione della stagione 2006, presentata dal
Presidente della Commissione Ungulati
Bonetti.
La nuova sede si presenta dignitosa:
l’edificio è storico e ricorda un momento
importante dello sviluppo della nostra
Valle, quando anche l’Alta Valle fu raggiunta dalla ferrovia, era l’anno 1926.
L’interno è perfettamente funzionale,
luminoso e completo: oltre all’ufficio per
il pubblico, perfettamente attrezzato, vi è
un’ ampia sala per le riunioni del CTG,
delle Commissioni e della Redazione del
nostro Giornale.
A fianco, in fase di arredamento, è stata ricavata la sala per i Centri di verifica,
provvisti di tutto quanto necessita per lo
svolgimento delle rilevazioni biometriche dei capi prelevati.
Un ampio e comodo piazzale ci permetterà di svolgere questo lavoro in tutta
tranquillità e in maniera adeguata.
Al termine c’è stato un pranzo conviviale al quale hanno partecipato più di
un centinaio di persone.
Ora non ci resta che viverla, e far sì che
diventi una vera “Casa del Cacciatore”,
come ha voluto chiamarla il nostro Presidente.
Mostra di gestione venatoria
RELAZIONE FINALE CACCIA DI SELEZIONE 2006
- Gianantonio Bonetti
La caccia rappresenta per noi cacciatori
di selezione un forte e passionale interesse
soggettivo, è il nostro stile di vita, ma, non
dimentichiamolo mai, è soprattutto un
modo per partecipare ad una azione sociale, quale è la gestione dell’ambiente montano e della fauna selvatica che lo abita.
La stagione venatoria che ci siamo lasciati alle spalle, ancora una volta ha posto in evidenza l’avvenuto sorpasso del
camoscio sul capriolo.
A fronte di stime di abbondanza e di
censimenti condivisi con il Corpo di Polizia provinciale abbiamo registrato nel
2006 nel nostro comprensorio una presenza di 4135 camosci a fronte di una popolazione di 2560 caprioli.
La popolazione di camosci ha mediamente raggiunto la capacità portante del
nostro comprensorio, che la stessa Carta
delle vocazioni faunistiche della provincia valuta in circa 4000 capi, su una superficie vocazionale a questo bovide di
39.770 ha.
Una media di oltre 10 camosci al kmq.
(100 ha), colloca la Valle Brembana tra le
migliori realtà alpine per la gestione di
questo rupicaprino.
La responsabilità di noi cacciatori di
selezione per la conservazione di questa imponente popolazione è altissima,
a questo punto prelevare attraverso la
caccia, non è più solo una scelta, è una
necessità.
Naturalmente occorre una sempre
maggiore attenzione alla quantità e qua-
lità dei piani di abbattimento approvati e
realizzati.
In merito a questo punto, sono 374 i
camosci prelevati a fronte di un piano di
abbattimento approvato dalla Provincia
di 420 capi. Abbiamo realizzato l’89%
del piano e se consideriamo le “perdite
fisiologiche”, possiamo dire che il piano
di abbattimento, almeno in termini complessivi è stato completamente attuato.
Dall’analisi critica dei prelievi effettuati
per sesso e classi di età, anche quest’anno il prelievo appare ancora una volta
differenziale e forse eccessivo per quanto
riguarda i maschi rispetto alle femmine
nelle classi 2-3 anni e 4-10 anni.
Nella classe 2-3 anni sono stati prelevati 44 maschi su 44 assegnati, mentre, per
quanto concerne le femmine, ne sono state prelevate 44 sulle 54 assegnate.
La stessa discrasia anche nella classe
superiore dei soggetti da 4 a 10 anni, 43
maschi prelevati rispetto ai 40 approvati
e solo 37 femmine prelevate sulle 56 assegnate.
Non era andata meglio in termini di
equilibrio nella sex ratio nel 2005, allora, nella classe 2-3 anni venne prelevato
l’87,23% dei maschi, e il 57,44% delle femmine, mentre nelle classi da trofeo, cioè
quella 4-10 anni venne prelevato il 127%
dei maschi e solo il 68% delle femmine.
Non solo l’INFS, ma anche il più normale cacciatore di selezione può intravedere il rischio della destrutturazione della
popolazione di camosci, che occorre evi-
tare con un nuovo piano di assestamento
venatico.
Nella prossima stagione occorrerà incidere maggiormente sulla classe delle
femmine e favorire l’invecchiamento delle classi maschili.
Contemporaneamente occorre rinvigorire lo spirito etico che ci spinge a risparmiare le femmine lattanti di tutte le specie, introducendo in un eventuale nuovo
regolamento di selezione un sistema premiante o penalizzante in funzione della
qualità delle femmine abbattute.
La percentuale dei prelievi nei singoli
settori risulta essere molto buona, dimostrando una omogenea distribuzione della specie su tutto il territorio brembano.
I pesi medi, sostanzialmente superiori allo scorso anno, accompagnati da un
buono stato delle mute e da una buona
presenza di grasso perirenale, dimostrano, almeno visivamente, un buon stato
sanitario generale della specie. Vanno
però segnalati alcuni casi di cheratocongiuntivite riscontrati in zone in cui è molto forte l’intersezione con ovini e caprini
domestici.
Se per il camoscio, come abbiamo visto, il piano di abbattimento è ormai una
necessità di conservazione della specie e
deve assumere sempre più una valenza
di assestamento e riequilibrio della popolazione, per il capriolo occorre senza
dubbio adottare criteri maggiormente
conservativi nell’attuazione del prelievo.
CACCIAINVALBREMBANA
13
La popolazione di questo cervide appare assestata intorno ai 2500 capi, più di un
terzo in meno rispetto alla situazione ufficiale registrata all’inizio del decennio.
La vocazionalità del nostro territorio
secondo la Carta delle vocazioni faunistiche provinciali indicherebbe una presenza potenziale di 3650 caprioli su una
superficie utile alla specie di 43840 ha.
In valle Brembana abbiamo una densità media di 5,84 caprioli al kmq., la metà
rispetto alla densità dei camosci.
E’ evidente che questo cervide sta attraversando un periodo critico, ce lo conferma anche l’esito del piano di prelievo
attuato: 167 capi abbattuti rispetto ad un
piano di abbattimento approvato di 230
capi: il 72,6%.
Anche per questa specie è stato riscontrato un maggiore prelievo a carico dei
maschi: 92 rispetto a 75 femmine.
Sono diversi e numerosi i problemi conosciuti, e non, a carico di questa specie,
come cacciatori dobbiamo evitare la destrutturazione e il prelievo non sostenibile di questo cervide.
Occorre riequilibrare il prelievo a carico
delle femmine, con maggiore attenzione
alle femmine lattanti, non dimentichiamo che prelevando una femmina lattante
agli inizi di agosto si rischia di prelevare
nel concreto tre capi.
Tecnicamente ineccepibili sono i prelievi di maschi di capriolo già nel corso
dell’estate, bisogna ammettere tuttavia
che l’abbattimento delle femmine prima
Uno scorcio dell mostra
14
CACCIAINVALBREMBANA
della metà di settembre priva della madre i caprioli di classe 0 nati nella primavera, in un periodo in cui essi risultano
ancora fortemente dipendenti dalle cure
parentali.
Questa eventualità può introdurre una
causa di mortalità in più per i piccoli di
classe 0 con indesiderabili ripercussioni
negative sul tasso di incremento della
popolazione.
Forse non torneremo alle densità di
caprioli riscontrate nel nostro comprensorio a metà degli anni novanta, occorre
però assestare la popolazione in maniera
più omogenea nei diversi settori; appare
infatti molto diversificato il risultato dei
prelievi nei cinque settori: si va da un
massimo dell’88% nel settore 1 a un minimo del 55% nel settore 4.
A parità di sforzo di caccia, emerge
con evidenza una difforme distribuzione
della presenza di caprioli all’interno del
Comprensorio.
I pesi medi riscontrati al centro di verifica sono generalmente bassi per la specie
capriolo e denotano lo stato di sofferenza
di questo piccolo cervide. Molte sono le
cause che, anche se conosciute, risultano
molto difficili da affrontare. A noi spetta
il costante impegno di monitoraggio e
la piena disponibilità di volontariato a
sostegno degli interventi che le autorità
preposte, da noi sensibilizzate, riterranno opportuno adottare (vedi recuperi
ambientali).
La gestione venatoria del cervo è una
recente conquista, resa possibile anche
da un costante monitoraggio della popolazione, stimata in 200 esemplari.
Il piano di prelievo approvato di 8 capi,
si è concretizzato con l’abbattimento di 6
cervi, pari al 75%, con un rapporto paritario tra i sessi,
La consistenza potenziale del cervo in
Valle Brembana è valutata intorno agli
800 capi, su una superficie vocazionale di
46.900 ha.
Ipotizzando di raggiungere questo traguardo, è evidente che, anche ammettendo un prelievo venatorio del 10-15%, non
sarà mai possibile assegnare un cervo ad
ogni cacciatore di selezione, tuttavia occorre guardare a questa specie come un
ungulato emergente nei prossimi anni.
Lo dimostra la diffusione numerica
e territoriale del cervo anche negli altri
comprensori alpini e nell’ATC Prealpino,
nonché l’aumento di incidenti stradali
che hanno per protagonista questo ungulato.
Per il momento occorre assestare il prelievo sotto i 10 capi, programmare in tutti
i settori dettagliati censimenti della specie e arginare con ogni mezzo le “perdite
extravenatorie”.
Nel panorama legislativo nazionale
e regionale si è aperta una finestra normativa che finalmente rende possibile la
caccia di selezione al di là del ridotto arco
temporale di 61 giorni per ogni specie.
L’opportunità è importante anche perché consegna ai cacciatori di selezione un
ruolo fiduciario di gestori di questo capitale faunistico, che, non dimentichiamolo
mai, appartiene alla collettività.
Questo aspetto positivo per la caccia
di selezione è però temperato dalle forti
preoccupazioni che nutriamo nei confronti della gigantesca espansione dei Siti
Natura 2000 (SIC e ZPS) nella nostra provincia ed, in particolare, in Valle Brembana.
Non è questa la sede per avviare un
dibattito su questi nuovi istituti, ma chiediamo alle istituzioni di garantire la conservazione del capitale ungulati con la
necessaria partecipazione dei cacciatori
di selezione.
Colgo l’occasione per ringraziare la
Provincia di Bergamo per le fitte sinergie nella gestione degli ungulati selvatici
con il Comprensorio alpino e il Corpo di
Polizia provinciale per il faticoso presidio
Camoscio
Capriolo
Cervo
della popolazione di ungulati, che recentemente ha reso possibile porre freno a
incresciosi episodi di bracconaggio, che
pongono in cattiva luce la nostra categoria e rischiano di compromettere gli sforzi profusi per la buona gestione.
Un grande grazie anche al C.T.G., ed
in modo particolare al nostro presidente
Sig. Enrico Bonzi, per la nuova e fortemente voluta sede, sicuramente degna
delle grandi tradizioni venatorie della
nostra terra.
A tutti Voi il mio grazie per la collaborazione ed il migliore augurio per la
prossima stagione con il tradizionale
Waidmannsheil!
CACCIAINVALBREMBANA
15
Prove di lavoro
per cani da traccia
- Flavio Galizzi
Dopo alcune giornate di pioggia e di
tempo alterno, che hanno messo a dura
prova l’apparato organizzativo, che per
una manifestazione di importanza nazionale, con 12 partecipanti, è molto complesso e coinvolge un elevato numero di
persone, finalmente domenica 3 giugno
è venuto il momento tanto atteso. Atteso
non solo per i partecipanti e gli organizzatori, ma per tutti gli appassionati che
hanno voluto seguire la manifestazione.
Il tempo è stato benevolo e alle sette del
mattino, all’appuntamento presso l’hotel
Alpino di Roncobello, il cielo si era aperto
ed eravamo proprio in molti.
Iscritti alla gara erano 9 cani adulti in
classe libera e 3 in classe giovani, dunque
il lavoro preparatorio ha comportato la fatica di predisporre 12 tracce, per gli adulti
di circa 1.200 metri con due angoli a novanta gradi, per i giovani circa 800 con un
angolo a novanta gradi, la distanza regolamentare per questo tipo di prova.
Perché questo non risulti uno dei tanti
avvenimenti che si succedono nel corso
della stagione venatoria, una delle tante
prove che passa senza lasciare un segno,
merita che si spendano due parole sul contenuto tecnico della prova di lavoro e su
16
CACCIAINVALBREMBANA
come si svolge.
Si tratta innanzitutto, come avviene per
le manifestazioni cinofile di un certo livello, di finalizzare l’impegno, per questi tipi
di cani, all’ottenimento di uno standard di
lavoro di assoluta affidabilità, di alto profilo, affinché si possano selezionare ottimi
riproduttori con caratteristiche individuali che possano offrire garanzie perché le
specie selezionate per questo lavoro possano trasmetterle alla loro discendenza.
Lo standard di bellezza, lo stile di lavoro
e l’equilibrio psichico sono elementi fondamentali per la riproduzione selezionata.
È quindi molto importante, per chi vuole
conoscere meglio come lavorano i cani da
traccia, poter assistere almeno una volta
ad una manifestazione, magari seguendo
da vicino tutta la prova con l’occhio di chi
vuole imparare.
Una volta visto da vicino lavorare uno
di questi cani, si comprende come il servizio stesso del recupero di un capo ferito assuma una grande importanza per la
caccia di selezione, e non si ritenga quindi
inutile, come purtroppo spesso avviene, il
coinvolgimento del recuperatore ogni volta che si abbia anche solo il dubbio di aver
ferito un capo. Non solo per il rispetto as-
soluto che ogni cacciatore deve avere per
il selvatico che preleva, ma anche perché
fa parte del suo dovere accertarsi sempre,
ogni volta che spara, dove è finito il colpo.
La disciplina e la tecnica del recupero di
un capo ferito comportano diversi passaggi, che nel corso della prova devono essere
messi in pratica da ogni binomio cane-cacciatore. Vediamone la successione.
Innanzitutto, prima della prova di lavoro, i cani vengono portati in luogo aperto e
lasciati di fianco allo zaino del conduttore,
solitamente accucciati sulla loro coperta; i
conduttori si allontanano e i cani devono
rimanere seduti a custodire lo zaino, non
si devono per nessun motivo allontanare o
seguire il padrone; questa abilità si chiama
“attesa del conduttore”. C’è quindi la prova dello sparo: dopo 10 minuti di attesa un
guardiacaccia spara con la carabina, come
se ci fosse stata un’azione di caccia, e il
cane non si deve assolutamente muovere;
dopo 5 minuti si spara un secondo colpo, e
solamente dopo altri 5 minuti i conduttori
possono recuperare i loro ausiliari.
Vederli tutti distanziati, accucciati di
fianco agli zaini dei loro padroni, immobili, è stato uno spettacolo molto bello,
reso ancor più affascinante dalla bellezza
della conca di Mezzano in questa stagione di primavera avanzata. Siamo sopra
quota 1600, più in basso i maggiociondoli
alpini hanno iniziato a finire, e tra qualche
giorno l’anfiteatro risplenderà del giallo di
intense e splendide fioriture.
Una volta superata la prova dello sparo,
inizia il lavoro vero e proprio sulla traccia.
A turno i giudici accompagnano i concorrenti e i loro cani all’inizio della traccia loro
assegnata.
Si comincia con una prova di obbedienza: il cane, senza l’ausilio del guinzaglio,
deve accompagnare il conduttore seguendolo al piede, poi il cane deve dimostrare
di saper rimanere fermo, seduto su invito
del conduttore, mentre lui si muove nelle vicinanze o si allontana. Si giunge così
nei pressi dell’anschuss e il cane viene di
nuovo lasciato a pochi passi di distanza,
accanto allo zaino, immobile.
L’anschuss è il punto esatto deve in teoria dovrebbe esserci stato il ferimento del
capo, individuato e segnato da un rametto
di pino come dovrebbe avvenire nel caso
reale di un’azione di caccia in cui il cacciatore, prima di chiamare per il recupero
dell’animale ferito, provvede a segnare
con dei rami visibili il luogo esatto e la
direzione presa dal capo ferito. Qui sono
state lasciate alcune tracce del ferimento,
pelo, pezzetti di ossa e un po’ di sangue,
che il conduttore esamina. Questi torna
poi dal cane, che nel frattempo deve essere rimasto immobile a distanza, gli mette
la “lunga” e lo porta sull’anschuss. Inizia
a questo punto il lavoro del cane sulla
traccia, che l’ausiliare deve dimostrare di
saper seguire fino al ritrovamento della
spoglia. La traccia non segue mai un tracciato regolare, non è conosciuta dal conduttore, il quale in ogni caso non deve né
correggere né sollecitare il cane, ma semplicemente seguirlo con molta attenzione
e lasciarlo lavorare. La tranquillità e la sicurezza dell’animale nel seguire la traccia,
e nel saperla prontamente recuperare ogni
qualvolta la perde per brevi tratti, sono
elementi fondamentali di giudizio da parte del giudice che segue ad ogni passo il
lavoro del cane.
Il percorso in libera varia solitamente
dai 1000 ai 1200 metri, con diverse difficoltà, compreso a volte l’attraversamento di
torrentelli o di fitta vegetazione, come in
realtà potrebbe avvenire in una reale situazione di caccia. Anche la predisposizione
delle tracce, quindi, è un lavoro da esperti, che richiede attenzione e distribuzione
corretta e omogenea di diverse situazioni
“complesse” che il cane deve dimostrare
di saper risolvere da solo, fino al ritrovamento della spoglia.
Nei pressi del punto finale della traccia,
che il giudice conosce, il conduttore viene
invitato a lasciar libero il cane, che si deve
portare con sicurezza sulla spoglia, segnare o meno il suo ritrovamento con l’abbaio,
o tornare dal conduttore per “guidarlo”
sull’animale recuperato.
A questo punto manca l’ultima prova,
quella della difesa. Il cane viene lasciato accucciato accanto alla spoglia, dove viene lasciato anche lo zaino e la coperta che di solito si porta sempre appresso, e il conduttore
si allontana. Tocca al Giudice avvicinarsi
alla spoglia; per il cane lui è un estraneo,
quindi deve saper difendere l’animale e lo
zaino ringhiando e abbaiando.
Solo a questo punto la prova si può definire correttamente conclusa.
Manca però ancora un gesto, quello del
premio per il lavoro svolto: il giudice consegna al conduttore due rametti spezzati
da un abete, o altra essenza arborea nobile
del luogo, come gesto di omaggio al bosco,
custode della fauna. Il conduttore ne tiene uno per sé, che metterà sul cappello, e
con il secondo premia il suo compagno di
lavoro: lo infila nel collare omaggiandolo
per l’ottimo lavoro svolto.
Ogni cacciatore di ungulati dovrebbe,
almeno una volta, avere l’opportunità di
seguire una prova di lavoro, per conoscere
La premiazione
procedure e svolgimento del delicato lavoro di recupero, così da esserne coinvolto e
saper apprezzare fino in fondo il lavoro che
questi splendidi e importanti compagni di
caccia sanno svolgere sul campo, conscio
dei sacrifici e dell’impegno che comporta
questa bellissima disciplina venatoria.
La prova del 3 giugno ha visto vincitore il nostro socio Diego Vassalli che ha
per anni guidato il Gruppo Conduttori
Cani da Traccia, e il suo cane Toy, splendidamente condotto e premiato con un
“eccellente”, che si aggiunge al titolo di
“Campione italiano di lavoro” conseguito
a Bormio lo scorso 13 maggio. Un grandissimo risultato che onora tutti noi.
Complimenti a Diego, al Gruppo Conduttori cani da Traccia della Provincia di
Bergamo, al neo presidente del Gruppo
Osvaldo Valtulini per l’impeccabile organizzazione, ai molti che in diversi modi e
a diverso titolo hanno dato un fondamentale aiuto e supporto per lo svolgimento
della prova, allo sponsor SWAROWSKI
OPTIK per i prestigiosi premi e a tutti gli
altri sponsor che hanno contribuito alla ottima riuscita della manifestazione.
Un grazie di cuore ai Giudici internazionali delegati dell’E.N.C.I. Hans Bernhart,
Ezio Albertini, Paolo Pancotto e Giuliano
Colombi,ai Conduttori, con i loro ottimi
cani, che hanno accettato di condividere
con noi questi due giorni di festa.
Al termine della prova ci si è trovati tutti
a pranzo presso l’hotel Alpino di Roncobello, e alle 16 in punto a Lenna, presso la
sala della mostra dei trofei, ci sono state
le relazioni dei giudici e le premiazioni di
tutti i partecipanti. Un rinnovato ringraziamento a tutti gli organizzatori e un arrivederci al prossimo anno.
Alcuni concorrenti
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Seguiamo da vicino una prova...
- Servizio fotografico di A. Galizzi
1. Prima dell’inizio del lavoro sulla traccia il cane deve dimostrare tranquillità e obbedienza, rimanendo fermo mentre il conduttore perlustra
il territorio nei pressi dell’anschuss.
4. Il cane viene portato sull’anschuss.
2. L’esame dell’anschuss da parte del conduttore.
5. Inizia il lavoro di individuazione della direzione presa dall’animale ferito.
3. Prima dell’inizio del lavoro sulla traccia al cane viene messo il collare
e la “lunga”.
6. Una volta individuata la traccia il cane, tenuto alla lunga dal conduttore, inizia a seguirla.
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CACCIAINVALBREMBANA
7. Il cane va “accompagnato” nel suo lavoro sulla traccia; la presenza del
conduttore deve tranquillizzarlo e farlo sentire sicuro.
10. La traccia è ripresa e la cerca continua.
8. Il percorso si snoda tra la vegetazione, come solitamente tende a fare
un animale ferito.
11. Le asperità non mancano
9. Non è infrequente che debbano essere affrontati ostacoli imprevisti e
di un certo impegno, che il cane deve dimostrare di saper superare con
sicurezza. Il giudice osserva sempre con attenzione come il cane lavora
e come si disimpegna.
12. Il terreno è spesso impervio e difficoltoso, a volte più per il conduttore
che per il cane.
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13. Siamo ormai nei pressi della conclusione della traccia: il cane viene
liberato dalla lunga e deve trovare da solo il capo ferito tornando a
segnalarne il ritrovamento al conduttore.
16. La consegna del “Bruch” al conduttore da parte del giudice Albertini,
un momento rituale che conclude sempre l’azione di recupero arricchendola di un significato simbolico ed etico.
14. Il cane viene lasciato accanto alla spoglia, dove il conduttore ha lasciato anche lo zaino, e deve saperlo “difendere” all’arrivo del giudice.
17. Anche il cane riceve il meritato riconoscimento.
15. La prova è conclusa e il giudice commenta “a caldo” il lavoro del cane
e del conduttore.
18. La foto ricordo al termine della prova: in primo piano il conduttore
Diego Vassalli e il Giudice Ezio Albertini e sullo sfondo Toy accanto
allo zaino.
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CACCIAINVALBREMBANA
Le Zone di rifugio
e ambientamento
I M P O R TA N Z A E S I G N I F I C AT O N E L L A G E S T I O N E
FA U N I S T I C A E V E N AT O R I A ( 2a PA R T E )
- Giovan Battista Vitali
La pianificazione delle zone di rifugio
ed ambientamento
La progettazione di una rete di zone di
rifugio ed ambientamento non può prescindere da un’attenta valutazione delle
caratteristiche ambientali del territorio a
caccia programmata, in cui perimetrale
tali istituti, sia per valutare le zone più
potenzialmente vocate per le specie di
riferimento sia per avere “corridoi venatori” efficienti.
La metodologia per la progettazione di
una rete di zone di rifugio ed ambientamento può essere così schematicamente
riassunta:
Analisi delle caratteristiche ambientali e agroforestali del territorio oggetto
di attività venatoria attraverso l’elaborazione di specifiche cartografie tematiche:
• carta dell’uso del suolo, con individuazione delle più importanti classi
tipologiche (es. prati e pascoli, boschi
cedui, boschi a fustaia, seminativi, vigneti, urbanizzato, rete stradale, rete
idrografica ed irrigua, ecc…)
Esempio di carta dell’uso del suolo
Esempio di carta del paesaggio
• carta del paesaggio in cui viene vengono riportate le principali tipologie
paesaggistiche del territorio in esame,
tali perimetrazioni consentono di individuare le aree ecologicamente più
complesse e quindi a più alto valore
ecologico, tali individuazioni vengono, normalmente, effettuate attraverso
degli indici di diversità e complessità
ambientale (es. indice di shennon, indice di patton, ecc…)
Valutazione delle potenzialità faunistiche del territorio attraverso la redazione di una cartografia che indichi le
aree a differente vocazionalità nei confronti di una specie, ad esempio la carta
delle potenzialità vocazionali per la lepre
o per il fagiano. Queste carte sono redatte attraverso dei modelli di vocazionalità
ambientale, con cui viene valutata ogni
singola tipologia ambientale considerando l’idoneità della stessa nei confronti
della specie considerata e la relativa ampiezza nel contesto analizzato.
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La figura successiva rappresenta la
carta della vocazionalità ambientale nei
confronti della lepre.
Esempio di carta della potenzialità ambientale per la lepre
Individuazione cartografica degli
istituti faunistici previsti dalla pianificazione faunisto-venatoria provinciale.
Tale cartografia consente di avere una
chiara immagine della dislocazione territoriale di tali istituti (zone di ripopolamento e cattura, oasi di protezione, zone
speciali ungulati, zone addestramento
cani, parchi naturali, riserve naturali,
ecc…).
Identificazione e delimitazione delle
zone di rifugio ed ambientameto, tale
operazione deve essere effettuata considerando i seguenti elementi progettuali:
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CACCIAINVALBREMBANA
• Caratteristiche ambientali del territorio considerato, ovvero la vocazionalità ambientale nei confronti delle specie
d’interesse;
• Ampiezza indicativa delle ZRA, per la
tipologia “A” minore di 100 Ha, per
quella di tipo “B” maggiore di 100 Ha;
• Mantenimento di corridoi venatori di
aventi una larghezza minima di 500 m
tra le diverse aree di protezione faunistica;
• Posizionamento “satellitare” delle
ZRA rispetto agli istituti previsti dalla pianificazione provinciale, in modo
da in modo potenziare gli effetti della
buona gestione di questi ultimi;
• Eventuale posizionamento di ZRA in
adiacenza ad altri Istituti di protezione
faunistica per migliorarne la gestione
(zone cuscinetto o fasce tampone)
La gestione delle zone di rifugio
ed ambientamento
La gestione delle zone di rifugio ed
ambientamento
Le zone di rifugio ed ambientamento, sebbene siano degli istituti aventi un
forte significato venatorio, per non assumere solamente la funzione di strutture a
supporto dei attività di pronta caccia,
devono avere un importante ruolo nella miglioramento complessivo della gestione faunistica e per il miglioramento
dell’ambiente nel territorio a caccia programmata.
Affinché il vero ruolo delle ZRA si possa concretizzare è necessario che in esse
vengano compiute adeguate operazioni
di gestione faunistica e di miglioramento
ambientale.
Per far ciò è necessario elaborare dei
specifici piani di gestione ambientale e
faunistica, nei quali, a differenza delle
ZRC o dell Oasi di protezione, deve essere presa in considerazione la valenza
venatoria delle zone di rifugio ed ambientamento.
Il piano di gestione ambientale
e faunistica
Esempio di distribuzione territoriale delle
ZRA
Il piano di gestione ambientale e faunistica è uno strumento indispensabile
affinché le aspettative della creazione
di una rete di ZRA non siano deluse,
infatti l’irraggiamento ed il rifugio della fauna selvatica non dipende solamente dalle caratteristiche ambientali
di partenza, ma soprattutto da come
avvengono le immissioni di selvaggina e da come si sono create le condizioni ottimali per l’insediamento della
stessa.
Il piano deve essere anche articolato
su due modelli gestionali, cioè uno per
le ZRA di tipo “A” ed uno per le ZRA di
tipo “B”.
Il modello gestionale per le zone di
tipo “A” , aree di dimensioni limitate, è
imperniato su attività di ripopolamento
al fine di favorire l’irradiamento nel territorio circostante, mentre quello delle
zone di tipo “B” deve prevede immissioni di qualità, anche realizzate con l’uso
di recinti e voliere, il cui fine è quello di
creare delle popolazioni autosufficienti o
almeno di nuclei in grado di soddisfare
le aspettative venatorie.
Schematicamente un piano di gestione
ambientale e faunistica delle ZRA è così
articolato:
• piano di immissione delle specie di
riferimento;
• indicazioni per potenziare o salvaguardare particolari specie, anche
d’interesse non venatorio, e le relative
iniziative gestionali;
• Interventi di miglioramento ambientale da porre in atto per favorire la presenza e la riproduzione delle specie di
riferimento e di quelle da potenziare o
salvaguardare;
• Eventuale realizzazione di strutture
per il pre-ambientamento, l’ambientamento e la riproduzione della fauna
immessa;
• Eventuale realizzazione di specifiche
strutture per favorire la presenza e la
riproduzione delle specie da potenziare o salvaguardare;
• Eventuali interventi e accorgimenti da
attuare per la prevenzione dei danni
alle colture ed il controllo delle specie
opportunistiche o antagoniste;
• Organizzazione del servizio di vigilanza;
• Monitoraggio delle varie attività svolte, compreso il censimento delle specie di riferimento;
• Eventuale programmazione delle
catture, per quelle ZRA di una certa
ampiezza e dove le popolazioni delle
specie di riferimento hanno raggiunto
una densità adeguata
• Eventuale definizione e regolamentazione di un servizio di volontariato
per effettuare le varie attività definite
ai punti precedenti.
Una particolare attenzione deve essere
data alle tecniche di immissione di selvaggina, soprattutto per i galliformi per i
quali è consigliabile l’utilizzo di strutture
al fine di favorirne l’insediamento ed aumentare le probabilità di sopravvivenza
degli animali immessi.
Tali strutture possono essere molto
semplici come le capannine di foraggiamento, oppure più complesse come i
recinti di ambientamento con voliere di
pre-ambientamento.
In generale tutte le tecniche di immissione che prevedono specifiche strutture
permettono di ottenere migliori risultati
dall’attività di ripopolamento.
Le capannine di foraggiamento consentono di somministrare gli alimenti
per facilitare il passaggio dall’alimentazione a base di mangimi zootecnici a
quella naturale, in questo caso la capannina deve essere tamponata solo su due
lati, in modo tale da consentire una “via
di fuga” per gli animali che si stanno alimentando, mentre le capannine che vengono posizionate all’interno delle voliere
di pre-ambientamento il tamponamento
deve essere su tre lati al fine di garantire
un valido riparo dalle intemperie.
Il foraggiamento e la fornitura di acqua
deve avvenire per un periodo minimo di
10 gg (con un controllo bi-giornaliero), e
comunque fino a quando le condizioni
climatiche non garantiranno la presenza
di una quantità sufficiente di alimento
naturale disponibile.
Esempio di capannina di foraggiamento realizzata con balle di paglia
Le voliere di pre-ambientamento devono essere dotate di una zona non coperta
e di un’area coperta, tale suddivisione in
due zone consente ai soggetti di migliorare la copertura corporea, rendendola
più consona ed efficiente per sopportare
le condizioni atmosferiche in ambiente
naturale (in particolare le precipitazioni
atmosferiche e gli sbalzi di temperatura.
Tale periodo di pre-ambientamento
deve proseguire per 3-4 settimane.
I recinti a cielo aperto devono avere una
superficie minima di 2.500, con un rapporto superficie/capo pari a 16,6 mq/capo
(indicazioni del Game Conservancy Trust)
ed essere attrezzate con voliere interne per
il pre-ambientamento, con colture faunistiche di cerali a paglia, prato polifita sfalciato
e erba medica, avere un equipaggiamento
arboreo/arbustivo posizionato nella parte
centrale del recinto e la recinzione deve
essere realizzata con tutti gli accorgimenti
adatti ad evitare l’ingresso di predatori.
Esempio recinto di a cielo aperto completamente attrezzato
Esempio di voliera di pre ambientamento realizzata con strutture in ferro per tunnels
Schema costruttivo della recinzione
Esempio di voliera di pre ambientamento
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Dopo il tiro
C O M E C O M P O R TA R S I D O P O L O S PA R O
- G. P. Sirtori
Siamo al momento della verità.
La carabina è spianata e l’immagine
del capo assegnato compare nel nostro
reticolo. Concentrazione ed emozione.
Una ridda di considerazioni passano
in quel momento nel nostro cervello: bisogna valutare la propria capacità, la distanza. L’altitudine, il vento, la posizione
del selvatico, la taratura della carabina,
l’angolo di sito e memorizzare con riferimenti precisi il posto dove si trova il
nostro bersaglio. Il bravo accompagnatore intanto conferma che quello è il capo
giusto, quello che ci è stato assegnato e
magari, se c’è la possibilità e il tempo, col
telemetro ci dà l’esatta distanza.
Il reticolo è ben fisso, immobile sull’area vitale e la progressiva, misurata
pressione sul grilletto fa partire il colpo.
Se il calibro utilizzato non scuote troppo l’arma e la nostra spalla, è possibile
osservare la reazione al colpo dell’animale, raggiunto dalla nostra palla, nell’ottica
di puntamento.
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CACCIAINVALBREMBANA
Taluni riescono anche ad avvertire il
“ciak” prodotto dal proiettile all’impatto
sul corpo dell’animale.
Quando c’è stata la buona coincidenza
di tutte le variabili influenti sul tiro possiamo vedere la nostra preda cadere sul
posto, o dopo pochi passi, coadiuvati in
questo dall’accompagnatore che ha seguito attentamente l’abbattimento.
A questo punto la tensione si allenta,
ma l’attenzione non deve calare. Buona
norma è ricaricare immediatamente, non
muovesi dal posto e restare celati, perché bisogna essere pronti a intervenire di
nuovo con un eventuale colpo di grazie,
per evitare inutili sofferenze qualora il
colpo non abbia prodotto l’effetto voluto,
e l’animale si rialzi, per impedirne l’allontanamento. L’immobilità è pure molto
importante affinché il capo colpito,e gli
eventuali altri animali nelle vicinanze,
non possano associare il “botto” del colpo alla presenza del cacciatore.
Si ritiene opportuno che l’attesa si deb-
ba protrarre per almeno 15 – 20 minuti
prima di dirigersi alla volta del capo abbattuto.
Lo shock provocato dal proiettile può
– non sempre – provocare la morte immediata e far restare sul posto l’animale
fulminato. Frequentemente, però, anche
un colpo ben piazzato nell’area cuore
– polmoni può determinare una reazione immediata al dolore provocando una
fuga precipitosa, per lo più di breve durata, ma capace di far scomparire alla
vista il nostro capo fintantoché il crollo
della pressione sanguigna nelle sue arterie cerebrali non lo faccia cadere, e farci
dubitare di non averlo colpito.
Se la morte non avviene immediatamente, c’è sempre anche la possibilità
che il capo si rialzi e si possa allontanare:
questo può accadere più facilmente se il
cacciatore si fa scoprire, provocando una
scarica di adrenalina che consente all’animale, facendo ricorso alle ultime attività
vitali, la sua fuga. Questo fatto è più fa-
cile che accada quando l’animale è già in
allarme perché ha percepito la presenza
di un pericolo, ed è carico di adrenalina.
È assai più probabile che cada sul posto il
capo che pascola tranquillo, indisturbato,
senza alcun motivo di apprensione.
Se il colpo è stato efficace in breve
tempo l’ungulato cercherà, anche per il
venir meno delle forze, di nascondersi o
acquattarsi fino al sopraggiungere della morte. È doveroso lasciarlo morire in
pace,. Senza cercare di raggiungerlo troppo rapidamente, perché rischieremmo di
farlo allontanare terrorizzato, e di complicare poi il recupero. Solo i colpi che
interessano il sistema nervoso centrale
(cervello e midollo spinale) bloccano sul
posto l’animale.
Le regole di immobilità, silenzio e concentrazione sono fondamentali per una
buona conclusione dell’azione di caccia e
di “doveroso rispetto” per la selvaggina.
Le reazioni al colpo descritte su molti
libri o riviste di caccia non sono facilmente inquadrabili (come ogni fenomeno biologico), anche se possono esserci di
aiuto nell’individuazione della possibile
zona d’impatto del proiettile. Sembrano
più facilmente riscontrabili nei cervidi,
un po’ meno nei camosci e ancor meno
nel cinghiale.
Prima di muoversi, considerato che
spesso la forte emozione gioca brutti
“L’ultimo pasto”
scherzi, è doveroso rimettere in sicura l’arma; solo quando si è raggiunto l’animale,
dopo la doverosa attesa, con l’arma carica
comunque per ogni eventuale necessità, e se ne è constatata la morte, secondo
le buone tradizioni mitteleuropee, che
molto hanno da insegnarci a proposito di
tradizione ed etica venatoria, il cacciatore si toglie il cappello e corica sul fianco
destro l’animale, Vuole essere un segno di
ringraziamento per le emozioni che ci ha
concesso di provare e di rispetto per il sacrificio di questo esemplare selvatico.
Questi gesti rituali servono anche a dimostrare e affermare una cultura venatoria
che caratterizza il Cacciatore di ungulati,
che oggi può rivestire a testa alta il nuovo
ruolo di gestore del patrimonio faunistico
cacciabile, compatibile con i principi della
conservazione, dello sviluppo e di un razionale utilizzo di queste risorse rinnovabili, patrimonio indisponibile delle Stato
cui ci è concesso di accedere.
Una volta constatata la correttezza del
prelievo, l’accompagnatore spezza con
le mani (non con il coltello!) due piccoli
rametti verdi da un albero: uno di questi
viene posto il bocca al capo abbattuto,
come “ultimo pasto” che il cacciatore riconoscente offre alla sua preda (vale solo
per gli erbivori, quindi non per il cinghiale), mentre l’altro rametto viene bagnato
col sangue uscito dal foro di entrata del
proiettile e poi, tenuto posato sulla lama
del coltello o sul cappello dell’accompagnatore, viene offerto al Cacciatore, che
se lo metterà sul lato destro del cappel-
lo. L’accompagnatore stringe la mano al
cacciatore complimentandosi con lui per
la buon esito della caccia; nella tradizione europea si usa complimentarsi con la
formula tedesca WEIDMANNSHEIL!,
alla quale si risponde WEIDMANNSDANKE.
Questa tradizione, e in genere ogni tradizione che si ritualizza in gesti significativi,
mai abbandonata nella cultura venatoria
mitteleuropea, ha certamente contribuito a
mantenere alto il rispetto per il patrimonio
faunistico e per i cacciatori che esercitano
responsabilmente questa forma di caccia,
ma anche per tutti glia altri, perché la tradizione si allarga anche a tutte le altre forme
di caccia. Viene perfino indicata l’essenza
della fronda arborea da utilizzare per il
BRUCK: quercia, ontano, cirmolo, mugo,
abete, ai quali possiamo aggiungere le nostre tipiche essenze italiane, come il leccio e
l’alloro per l’Appennino e il ginepro.
Non bisogna considerare queste forme rituali come espressine di una cultura
che non si appartiene, ma semplicemente
come un modello radicato di tradizione
venatoria preesistente alla nostra, quindi
parte essenziale della caccia di specializzazione di montagna.
Concludo riportando un pensiero di Roberto Gatti:
“In questo caso si può ben affermare che
la forma… è sostanza, specialmente nell’attuale momento storico… in cui la caccia
ha bisogno di rifarsi un’immagine.”
A proposito di Weidmannsheil.
Capiterà a molti di imbattersi in diverse trascrizioni di questo saluto: Waidmannshail, Weidmannshail, Weidmann’sheil,
Waidmann’s Hail….
In realtà si tratta sempre dello stesso saluto, scritto in modo diverse secondo l’origine, più o meno antica o geografica
della parola, ma sempre con lo stesso significato. Anche la pronuncia non cambia, in quanto il dittongo “ei” e “ai”
si pronunciano sempre allo stesso modo [ai]. Nessun problema dunque, ciascuno adotti la forma che più gli piace,
basta che lo usi.
CACCIAINVALBREMBANA
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Il camoscio e il bosco
- Luigi Capitanio
Ho assistito spesso a discussioni sostenute da alcuni cacciatori di ungulati circa
la presenza nella nostra valle di camosci
appartenenti a due specie ben distinte o,
a detta dei più moderati, a specie quantomeno diverse così definite: il camoscio
che vive solo sulle rocce ( cornaröl ), e
il camoscio che vive prevalentemente
nel bosco (boscaröl). La discussione poi
si focalizza sull’opportunità o meno di
prelevare in modo massiccio i camosci
presenti nel bosco a vantaggio di quelli
stazionanti a quote maggiori, prelievo
che compenserebbe le perdite invernali
maggiori nelle popolazioni che abitualmente abitano le zone più elevate.
Devo premettere che per me è comunque piacevole assistere a queste discussioni, senza doverci entrare in modo
diretto, in sostanza senza lasciarmi coinvolgere più di tanto. Non per mancanza
di opinioni in merito, o per il rischio che
schierandomi possa procurarmi possibili
antipatie, ma per il semplice gusto di lasciar sviluppare in ogni contendente una
forma di pensiero proprio, quasi sempre
sostenuto da convinzioni dovute a racconti di vecchi cacciatori e da esperienze
o teorie strettamente personali.
Oggi, pur senza consultare la letteratura esistente, non è difficile prendere
posizione su un argomento simile. Al
riguardo, tutti noi “cacciatori moderni” abbiamo letto qualcosa in merito o
partecipato a corsi di formazione, e ben
sappiamo che l’arco alpino italiano è
abitato da una sola specie: Rupicaprarupicapra-rupicapra, per l’appunto il
26
CACCIAINVALBREMBANA
camoscio alpino.
Ma allora perché abbiamo dei camosci
che difficilmente si inoltrano nel bosco
e altri che difficilmente ne escono? Leggendo alcuni autori in materia di camosci è possibile farsene un’idea.
Per quanto riguarda la letteratura specializzata poi, Henry - Frédéric Blanc,
1874, nel suo “Le chasseur de chamois”, in
merito al tema della frequentazione degli habitat da parte del camoscio, ebbe a
scrivere:
“Ciò che al riguardo del camoscio è stato
descritto nel modo peggiore è il suo habitat. Se si dovesse credere alle dichiarazioni
dei cacciatori “da salotto”, questo animale
frequenterebbe senza tregua non soltanto i
picchi nudi e inaccessibili, ma anche le nevi
eterne e perfino i ghiacciai. Nulla di più inesatto…esso abita dunque un po’ dappertutto…ed è dunque nel bosco che, durante la
calda stagione estiva, ne troverete sempre un
numero maggiore. Esso vi trova il suo cibo e
la sua sicurezza. La regione di Taillefer (nel
Delfinato), a partire dai seicento metri, è abitata sicuramente da un numero di camosci
considerevole, sicuramente maggiore di quello delle zone rocciose collegate e coperte d’erba. Il fatto è lungi da costituire un’eccezione,
ne è piuttosto la regola”
Anche da noi, per quanto riguarda la
frequentazione degli habitat, non è diverso da quanto sostiene Blanc, anche se
la maggior parte dei cacciatori continua
però ad associare la presenza del camoscio solo agli alti pascoli alpini e alle rocce più elevate. Simile opinione è largamente diffusa anche fuori della schiera
dei cacciatori di ungulati, come tra i frequentatori occasionali della montagna,
ingannati forse dalla facilità di avvistare
i camosci in zone impervie, o dalla visione di alcuni documentari che per ragioni
tecniche e facilità di ripresa mostrano i
camosci solo negli spazi aperti, proponendo così modelli comportamentali del
camoscio che non sempre corrispondono
alla verità.
La motivazione della presenza del camoscio nel bosco e nella foresta in generale, va invece interpretata come un fatto
naturale in riferimento alla specie e alle
sue esigenze ecologiche. Infatti, contrariamente a quanto alcune scuole di pensiero sostengono, il suo insediamento
nel bosco non deriva in modo esclusivo
da modifiche importanti del suo habitat principe, che è, e resta, tipicamente
alpino. Recenti studi hanno dimostrato
come i camosci abitassero i boschi delle
Alpi e delle Prealpi in misura maggiore
di quanto rileviamo oggi, ancor prima
della trasformazione del piano montano
in paesaggio coltivato ad opera dell’uomo. Ancor oggi i camosci colonizzano in
modo spontaneo i boschi di montagna,
nella misura in cui l’uomo glielo permette ovviamente, ma in modo indipendente dalla trasformazione degli habitat.
Questo fenomeno della colonizzazione
del bosco è sicuramente in relazione a diversi fattori, di cui solo alcuni sono stati
finora dimostrati. Ad esempio:
1. Assenza dei grandi predatori quali:
orso, lince e lupo, che prevalentemente operavano nella foresta.
1. Disturbo conseguente alle attività
umane da reddito, la caccia e il turismo.
2. Competizione alimentare e spaziale
con pecore e capre.
3. Frammentazione dei pascoli con recupero degli spazi da parte del bosco.
Nel sottolineare come la presenza e lo
sviluppo delle popolazioni di camoscio
nella nostra provincia nell’ultimo secolo sia stata la storia di un vero successo,
nella vicenda non possiamo che riconoscere al bosco un ruolo di primaria importanza.
Alla fine della seconda guerra mondiale la popolazione di questa specie
era certamente ridotta al lumicino a causa di una caccia sfrenata, soprattutto in
relazione alle difficoltà economiche del
momento. Prima ancora che venissero
adottate leggi di tutela per proteggere
i pochi camosci scampati, già i cacciatori avevano individuato le prime zone
idonee alla loro protezione, e in queste
aree la superficie coperta dal bosco era
molto importante. Gli sforzi di allora,
intrapresi per proteggere la specie, hanno permesso un costante incremento dei
suoi effettivi fino ad oggi, e l’obiettivo
iniziale di salvaguardia, per il pericolo
di scomparsa come già avvenne per altre specie, è stato meritoriamente raggiunto. Oggi invece, risolto il problema
iniziale della salvaguardia della specie,
si presenta il problema del contenimento
numerico della stessa, alla ricerca di una
qualità accettabile in relazione agli spazi disponibili, dove anche il bosco, non
più considerato come ambiente-rifugio,
dovrà essere costantemente monitorato
per comprenderne il limite di sopportabilità dei danni da brucatura, valore che
se trascurato ne potrebbe pregiudicare la
naturale rigenerazione, con ovvie ripercussioni sulle popolazioni che dal bosco
traggono il loro sostentamento.
Alcuni studiosi di indubbio valore
scientifico hanno già affrontato questo
dilemma. È il caso di Wolfang Schröder,
che nella sua opera “Gams und Gebirgswald” del 1982, così scriveva:
“Il camoscio delle foreste è una comparsa
recente provocata da due fattori; da una parte
la ridotta predazione causata dalla scomparsa
del lupo e della lince, e dall’altra una caccia
moderata alla specie che favorisce gli spostamenti e la formazione di nuove colonie”.
Lo stesso autore poi propone “l’abbat-
timento di tutti i camosci al
di sotto del limite altimetrico di 1300 metri”.
Nella proposta di abbattimento di tutti i camosci
che abitualmente stazionano a quote relativamente
basse, Schröder certamente
ipotizza questo intervento,
peraltro singolarmente radicale, come soluzione in
riferimento ai danni causati
al bosco, ben sapendo che
gli stessi, in linea generale,
sono attribuibili a tutti gli
ungulati nella misura della
loro densità, del fabbisogno alimentare relativo alla
specie e alla durata annuale
della permanenza in questo ambiente. Per quanto
riguarda il camoscio però,
il problema dei danni da
morso risulta mal tollerato
in quanto la sua è una presenza recente,
e rimane il dubbio sulla legittimità della sua presenza nel bosco e sulle densità
numeriche che questo ungulato, dalle
abitudini tradizionalmente gregarie,
presenta. Se ancora non bastasse, il problema viene ancor più evidenziato dall’impossibilità pratica di gestire correttamente questo selvatico in un ambiente
certamente non consueto, dove la specie
diventa forzatamente elusiva ai conteggi e le esperienze nostrane ancora non si
sono cimentate in misura sufficiente con
censimenti e prelievi.
Nel nostro caso il bosco ha avuto un
ruolo fondamentale nell’iniziale protezione del camoscio; non poteva essere
altrimenti, vista la proporzione che il
bosco raggiunge nelle zone frequentate
dalla specie, ed è estremamente importante che si cominci ad avere un occhio
di riguardo verso la “salute” del bosco.
Se fino ad ora la tutela era intesa come
salvaguardia delle specie animali in pericolo, è legittimo oggi pensare anche ad
una tutela dell’ambiente idoneo a quella
specie?
La risposta non può che essere positiva. Eppure ancora oggi, nonostante un
cambiamento radicale delle filosofie che
hanno generato i movimenti di protezione della natura, tutelare qualcosa è spesso inteso come intervenire a senso unico, proibizionista; ne sono un esempio i
parchi e le aree protette in generale, nate
per soddisfare le esigenze di protezione
di alcune specie animali in difficoltà per i
motivi più diversi, spesso con il risultato
che le specie oggetto di protezione, aumentate a dismisura, si trasformano poi
inevitabilmente in distruttrici dell’habitat che dovrebbe garantire il loro stesso
sostentamento. Una sorta di implosione
insomma, un cane che si mangia la coda!
Come considerare allora la presenza del
camoscio nel bosco, in un contesto però
più ampio, dove la protezione della
specie è necessariamente in subordine
alla salute e al rinnovamento arboreo?
Certamente in modo positivo. Da noi
attualmente le condizioni sia del bosco
che delle popolazioni di camoscio non
presentano condizioni di stress tale da
suggerire l’abbattimento in massa di animali sotto quote altimetriche considerate
“critiche” come proponeva Schröber.
Ora, in ultima analisi e per ritornare
ai dubbi iniziali, possiamo chiederci: è
accettabile la presenza del camoscio nel
bosco? Sicuramente i pareri tra i nostri
cacciatori rimarranno discordanti, legati
soprattutto alla difficoltà della gestione
di questo ungulato in quell’habitat e al
fastidio che la caccia al camoscio nel bosco comporta. Ma alla fine l’importante,
per tutti noi, è che “ci siano camosci” e
che continuino ad essere correttamente
gestiti!
CACCIAINVALBREMBANA
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Rubriche
Appunti di medicina
veterinaria
- Tiziano Ambrosi
Displasia dell’anca
Per displasia dell’anca si intende
un’anomalia dello sviluppo dell’articolazione coxo-femorale caratterizzata dalla sub lussazione o lussazione
completa della testa del femore nei
pazienti più giovani e da una artropatia degenerativa da lieve a grave nei
pazienti più anziani.
Si tratta di una condizione patologica di origine multifattoriale, geneticamente influenzata, caratterizzata
da una alterata o insufficiente corrispondenza dei capi articolari (incongruenza) e dallo sviluppo di una
artropatia secondaria (osteoartrosi).
La displasia dell’anca colpisce molte
specie animali ,uomo compreso.
Inizialmente considerata come anomalia congenita caratterizzata da anomalie della crescita e dello sviluppo
dei tessuti articolari ,simile a quanto
osservato nei bambini,responsabile
di una dolorosa artropatia secondaria a osteoartrosi nell’uomo di media
eta’ o anziano. Ultimamente é considerata, nel cane, come malattia dello
sviluppo.
L’anca è la struttura anatomica che
sostiene tutto il peso della metà posteriore del cane a livello delle teste
femorali;inoltre partecipa al movimento direzionale in avanti od all’indietro, è coinvolta in tutte le andature e posizioni del corpo. Pertanto
la natura del movimento rotazione
di queste teste femorali all’interno
di una cavità stabilisce se il cane può
svolgere la sua funzione di animale
da compagnia o da lavoro con o senza dolore intenso.
Vi sono molti fattori che influenzano
il modo in cui si manifesta la displasia
dell’anca; studi importanti sono stati
condotti sulle masse muscolari e sul
regime di attività fisica, avvalorando
l’influenza dell’ambiente e dei fattori ereditari.
28
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
Aumentando l’esperienza clinica
si è constatato l’esistenza di una fase
acuta in cui il cucciolo, durante il rapido accrescimento scheletrico,poteva
manifestare segni clinici i reazione
algica. Nelle fasi successive della sua
vita, i segni clinici cronicizzano portando a deformità dell’articolazione
coxofemorale ,appiattimento della cavità acetabolare ,deformità della testa
del femore.
La displasia dell’anca è una patologia dello sviluppo riscontrata nella
maggior parte delle razze canine.
Lo sviluppo della HD (sigla anglosassone per indicare la displasia dell’anca) è notevolmente influenzato da
complessi fattori genetici, colpisce entrambi i sessi con la stessa frequenza.
La manifestazione dei segni clinici
e la loro gravità possono essere molto
variabili nei soggetti colpiti da HD.
Un aspetto comunemente osservato
è la riluttanza del cane a muoversi,
proteggendo così una articolazione
dolente,motivo che porta il soggetto
displasico a correre in modo anomalo
con movimenti” nuovi” che richiedono una minor mobilità dell’anca
portando l’animale a non trottare scegliendo una andatura galoppante oppure saltellante come un “coniglio”.
Inoltre il cane ha riluttanza a cambiare posizione o si ostina a mantenere la stessa a causa del dolore può
avere difficoltà a sollevarsi, assumere
bruscamente la posizione di decubito,
cambiare repentinamente stata d’animo da giocosi e socievoli ad aggressivi o mordaci per il dolore.
Il grado di zoppia è molto variabile, da lieve, quando si rende visibile
solo dopo che il cane ha compiuto
un intenso sforzo fisico ,a drammaticamente grave,quando il cane non è
più in grado di sostenere il peso del
proprio corpo. La sintomatologia è
influenzata da molti fattori,tra i quali
il più importante è l’età del cane; i sintomi clinici possono evidenziarsi in
età preadolescente, tra i 5 e gli 8 mesi
di vita oppure in età adulta dopo i 12
mesi.
Pochissimi cuccioli manifestano dolore durante i primi mesi di vita,a 5-6
mesi di età, un cucciolo può manifestare improvvisamente una più grave
sintomatologia dolorosa dopo esercizio fisico, quando va in salita, quando
salta o si arrampica, a volte reagisce
ringhiando quando viene avvicinato
da bambini che intendono cavalcarlo
per gioco. Questa fase avviene durante il periodo di rapido accrescimento.
Spesso l’animale ha grosse difficoltà a sollevarsi da terra ,soprattutto su
superfici scivolose; oppure si corica
pesantemente invece di adagiarsi al
suolo.
Tutto questo è sintomo di dolore a
livello dell’articolazione dell’anca in
seguito al trauma subito dalla rima
articolare dell’acetabolo per i continui
stress esercitati a questo livello dalla
testa del femore bassamente contenuta nella cavità.
Nel cane adulto il dolore è dovuto
all’artropatia degenerativa cronica
(osteoartrosi) conseguente alla forma giovanile. I segni clinici spesso si
manifestano in modo acuto dopo una
corsa o un prolungato esercizio fisico
portando il cane a sedersi frequentemente anziché rimanere in stazione
quadrupedale, quando si ferma.
Col passare del tempo le masse muscolari della coscia possono atrofizzarsi in seguito al dolore che ne limita
l’uso,contemporaneamente si ipertrofizzano quelli della spalla permettendo all’animale di spostare in avanti il
peso e sentire meno dolore.
Spesso gli animali adulti displasici
durante la stagione fredda non ama-
no rimanere all’aperto, hanno difficoltà
a salire le scale, trascinano i piedi, quando trottano gli arti posteriori possono
incrociarsi. Sebbene inizialmente la
zoppia può essere intermittente, verso il
3°-4° anno di età diventa costante creando talvolta lesioni all’articolazione del
ginocchio, alla regione lombosacrale aggiungendo ulteriore dolore e malessere
al cane. La taglia, il sovrappeso, lo stile
di vita sono direttamente proporzionali
alle manifestazioni dolorose; i cani di
piccola taglia in sede autoptica manifestano le stesse alterazioni patologiche
dei cani di grossa taglia, tuttavia grazie
alle loro dimensioni non mostrano i
segni clinici della fase acuta o il dolore
ola zoppia dell’osteoartrosi secondaria.
Talvolta anche cani di grossa mole possono non manifestare alcun segno clinico perché non svolgono nessuna attività
fisica, l’osteoartrosi si sviluppa egualmente ma in modo più subdolo fino a
quando in età avanzata il cane non
riesce più a sostenere il suo peso e
qui diventa difficile convincere il
proprietario che il suo cane è affetto
da una malattia di sviluppo.
Spesso molti cani da lavoro (caccia , obbedienza, utilità, agilità….)
pur avendo HD, ma al tempo stesso
amano e hanno desiderio di lavorare con il proprio conduttore, stabiliscono una soglia di tolleranza al
dolore più alta del normale che permette a tali soggetti di non manifestare
alcun segno di dolore.
Lo sviluppo dell’HD è fortemente influenzato da complessi fattori genetici
da poter ritenere che l’eziologia della
displasia dell’anca (HD) sia multifattoriale.
I principali fattori, sia ereditari che
ambientali, che giocano un ruolo nell’anomalia dello sviluppo osseo e dei
tessuti molli, sono:
-) l’incremento rapido del peso.
-) la crescita esagerata in soggetti alimentati eccessivamente e situazioni che
determinano infiammazioni sinoviali
con conseguente aumento del liquido
sinoviale che annulla la stabilità articolare.Tutti questi fattori contribuiscono
allo sviluppo della lassità articolare dell’anca e alla conseguente sub lussazione,
che sono responsabili dei segni clinici e
delle alterazioni precoci determinando
dolore e zoppia.
Per saperne di più
Alessandra Gaffuri
La cheratocongiuntivite infettiva
La cheratocongiuntivite infettiva causata
da Mycoplasma conjunctivae è un’infezione
oculare altamente contagiosa che è frequente nei piccoli ruminanti domestici (pecora e
capra).
Nel territorio alpino la cheratocongiuntivite infettiva è spesso osservata nei camosci
e negli stambecchi, ma la malattia è pure
segnalata in mufloni e caprini selvatici nei
Pirenei ed in Nuova Zelanda.
Negli stadi iniziali, la malattia è caratterizzata da una congiuntivite mono o bilaterale
con iperemia della trama vascolare; successivamente compare una congiuntivite mucopurulenta, caratterizzata da secrezioni che
conglutinano il pelo nella zona sottoorbitale,
e una cheratite che porta ad opacamento
corneale e, nei casi più gravi, a perforazione
della cornea e a temporanea cecità. Camosci
e stambecchi contraggono generalmente la
malattia dai piccoli ruminanti tramite trasmissione diretta per contatto tra animali
o indiretta tramite mosche. L’infezione è
spesso endemica nelle greggi di pecore e si
mantiene all’interno della popolazione; nel
camoscio invece è stato dimostrato, da stu-
di condotti in Svizzera, che la malattia non
si mantiene e che vi è solo una temporanea
presenza di M. conjunctivae all’interno della
popolazione. La malattia nel camoscio e nello stambecco si risolve in genere spontaneamente; la mortalità è normalmente bassa,
circa il 5% degli animali, ma in particolari
situazioni può raggiungere anche il 30%.
Questa differenza può dipendere dalla virulenza del ceppo di M. conjunctivae responsabile dell’infezione o da una particolare predisposizione dell’ospite, dovuta ad esempio
al genotipo, alla presenza di altre infezioni
concomitanti, alla densità della popolazione.
Anche fattori ambientali quali la conformazione del territorio e fattori climatici (raggi
ultravioletti) possono influenzare l’andamento della malattia. Anche nelle nostre
Alpi Orobie si sono osservate in alcuni anni
delle gravi epidemie di cheratocongiuntivite nel camoscio, mentre in altri vengono segnalati solo casi sporadici, che causano una
mortalità limitata. A seguito di un focolaio
di cheratocongiuntivite è possibile osservare
animali che hanno superato la malattia ma
che mostrano i segni dell’avvenuta infezio-
ne, quali opacamento della cornea, disturbi
visivi che determinano scadimento delle
condizioni generali. Nelle zone dove si verificano casi di cheratocongiuntivite infettiva
è necessario limitare il disturbo antropico,
per non creare delle situazioni di stress e di
fuga in animali con la vista compromessa.
Non è possibile attuare degli interventi curativi negli animali ammalati; di fronte a casi
di lesioni molto gravi ed irreversibili potrebbe essere consigliato l’abbattimento dell’animale per evitare inutili sofferenze.
Un’esemplare che ha superato la malattia, ma
ha perso l’uso d’un occhio.
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Armi e balistica
- Sergio Facchini
Riflessioni...sulle ottiche di puntamento
Se si volesse scrivere qualcosa di serio
sulle ottiche di puntamento, sarebbe necessario praticamente un volume! Cercherò pertanto di essere estremamente
succinto e chiaro nell’esposizione dei
molteplici aspetti concernenti l’utilizzo
dell’ottica di puntamento nella pratica
venatoria.
Trattandosi di uno strumento ottico
di precisione, il cannocchiale dovrebbe
possedere sempre tutte le qualità fondamentali indispensabili per effettuare tiri
di precisione a grande distanza ovvero
qualità delle lenti, dei congegni meccanici di correzione del tiro e del tubo che
li racchiude.
La qualità delle lenti è direttamente
proporzionale al tipo di cristallo utilizzato che, a sua volta, determina la nitidezza, la luminosità, il contrasto, la resa
cromatica ed una spiccata resistenza
alle abrasioni.
La qualità dei congegni meccanici di
regolazione del tiro ossia il funzionamento corretto delle torrette per la deriva e l’alzo riveste una grande importanza per quanto attiene alla precisione
di piazzamento del tiro. Ritornando
alla qualità delle lenti è doveroso sottolineare che la nitidezza è la proprietà di osservare immagini nette, pulite,
senza alcun tipo di alone, sia al centro
del campo visivo che sul bordo esterno;
la luminosità dipende dalla quantità di
luce che, passando attraverso l’obiettivo e le lenti di raddrizzamento dell’immagine, raggiunge il nostro occchio posto dietro la lente dell’oculare, quantità
di luce che, negli strumenti di qualità,
supera il 90% di quella iniziale filtrata
dall’obiettivo. Il contrasto è forse l’elemento chiave, in quanto consente di
determinare i diversi piani focali della
30
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
totalità dell’immagine ossia permette
di determinare le varie distanze a cui si
trovano oggetti differenti che, a prima
vista, potrebbero sembrare equidistanti,
come fossero posti su un unico piano.
La resa cromatica dovrebbe rispecchiare
fedelmente tutti i colori, i toni e le minime sfumature, soprattutto in alta montagna nella caccia al camoscio; purtroppo però molti cannocchiali hanno una
predominante cromatica azzurrognola
o paglierina, assente negli strumenti di
prima scelta. La resistenza delle lenti
alle abrasioni ed ai graffi viene ottenuta
con applicazioni stratificate di speciali
film protettivi che contemporaneamente ottimizzano la resa cromatica.
Per quanto concerne il tubo esterno
del cannocchiale che racchiude lenti e
congegni di correzione del punto si impatto del proiettile, oggi predominano
le leghe leggere, secondo alcune Case
più robuste dell’acciaio, unicamente
per ridurre il peso; ma, a detta di vecchi
armaioli che di cannocchiali ne hanno
montati a migliaia, l’acciaio resta insuperabile perchè il tubo non subisce la
benchè minima flessione e le lenti non
soffrono di tensioni che potrebbero determinare incostanza degli impatti delle
palle.
Dato che i cannocchiali vanno sposati agli attacchi, quali di questi ultimi si
prestano meglio per forgiare il trittico
perfetto arma, attacchi e ottica? Sono
migliori gli attacchi fissi, quelli a pivot
o a piede di porco? Pur considerandomi
un giovane cacciatore anziano, tradizionalista e di idee forse superate, monterei
un pivot originale Mannlicher su qualsiasi carabina bolt-action, tranne Blaser
e Merkel che vantano attacchi specifici,
oppure attacchi EAW o SAUER dell’ul-
tima generazione. Per qualsiasi tipo di
arma rigata basculante opterei invece
per un classico attacco a piede di porco, senza alcun dubbio. Tra i 150 € di un
attacco fisso e gli 800-1000 € di un piede
di porco montato a regola d’arte c’è una
bella differenza! Chi più spende, meno
spende, come dice un vecchio adagio?
Credo proprio di sì.
Tornando al discorso cannocchiale,
sappiamo che ne esistono ad ingrandimento fisso e ad ingrandimento variabile. Cosa scegliere? Da almeno quindici
anni tutti prediligono il cannocchiale
variabile e le vendite confermano inequivocabilmente questa tendenza. Un
variabile di buona qualità permette di
cacciare ogni ungulato sia alla cerca che
all’aspetto, talvolta anche in battuta. I
variabili sono offerti in varie tipologie
ovvero con ingrandimenti più o meno
marcati e con diametri diversi di obiettivo. Dall’iniziale 1,5 – 6 x 42 degli anni
‘70 agli assurdi 6 – 24 x 50 ed oltre!!! Ma
tutto ciò non Vi sembra illogico? Cerchiamo di essere obiettivi e di restare
con i piedi per terra!!! La caccia alpina
agli ungulati non è una specialità di tiro
al bersaglio a grande distanza dove si
esaltano improbabili centri ad oltre 300
metri! Ma purtroppo la moda...è questa!
E allora cavalletti, canne da 80 cm, calibri esasperati, munizioni al limite della
sicurezza, ridicoli portamunizioni applicati al calcio della carabina, berretti
e tute militaresche tipo “Desert Storm”
con scarponcini tattici-mimetici, ottiche
mostruose e altro ancora ... !
Tornando alle ottiche variabili è giusto
sottolineare che per la caccia al capriolo
ed al cervo, nella luce incerta dell’alba
e del tramonto, risultano vantaggiose
quelle con buon diametro dell’obiettivo
come il 2,5 – 10 x 42, 3 – 10 x 50 o 56 e
simili, mentre per la caccia al camoscio
è più che sufficiente un buon 3 – 9 x 36
od un 3 -10 x 42 in quanto la luce piena
del giorno ne facilita il puntamento. Se
l’ottica può utilizzare un proprio paraluce, è saggio dotarsene per ovviare ad
eventuali difficoltà di puntamento con
sole di punta o comunque in posizione
semifrontale.
Lo si voglia o meno, il cannocchiale ad
ingrandimento variabile non sarà mai
robusto quanto uno ad ingrandimento
fisso, perchè il primo è molto più complesso in quanto dotato di un numero
maggiore di lenti che incidono sul peso
complessivo assieme al meccanismo di
variazione degli ingrandimenti.
Anche se oggi impera il variabile, un
discreto numero di cacciatori predilige
ancora il cannocchiale ad ingrandimento fisso in lega o più spesso in acciaio.
Quattro ingrandimenti per il bosco e sei
per le zone aperte erano i cannocchiali
più utilizzati fino agli anni ‘70 su tutto
l’arco alpino, oltre a qualche raro otto
ingrandimenti.
I 4x32, 6x36, 6x42, 8x56 costituivano
almeno il 99% delle ottiche di puntamento, quando apparvero i primi variabili.
La questione reticolo non preoccupava nessuno, infatti nelle zone boscose si
preferiva il numero 1 con tre segmenti
molto marcati, il numero 4 con tre segmenti mediamente spessi con croce
centrale a barre molto sottili ed il “cross
hair” con fili sottilissimi ortogonali per
tiri a distanza elevata, oltre i 200 metri.
Oggi le cose non sono cambiate granché
in quanto il reticolo preferito rimane il
numero 4, incalzato da vicino dal reticolo “Plex”, caratterizzato da quattro
barre ortogonali di sezione minore rispetto al numero 4 e dalla piccola croce
di puntamento centrale estremamente
sottile. Il reticolo numero 1 è in forte regresso, ma nel bosco per tiri su animali
in movimento rimane forse il migliore,
soprattutto con luce fioca o lunare.
Un tempo, fino ad una quindicina di
anni fa, il reticolo dei cannocchiali variabili era posizionato anteriormente
sul primo piano dell’immagine, mentre oggi è posto in posizione posteriore, sul secondo piano dell’immagine.
Con la posizione anteriore il reticolo
aumentava o diminuiva di dimensioni
a seconda dell’aumento o meno dell’ingrandimento; con il posizionamento
posteriore invece, il reticolo riamane
di dimensioni costanti, pur variando
gli ingrandimenti. Ne consegue che col
reticolo posto anteriormente risulta più
facile l’inquadramento del bersaglio con
luce scarsa, anche se il soggetto appare
parzialmente coperto dal progressivo
ingrossamento delle barre del reticolo
stesso; la parziale e progressiva copertura del bersaglio non si verifica invece
quando il reticolo si trova sul secondo
piano focale dell’immagine, consentendo così puntamenti accurati anche a distanze medio-lunghe.
Di conseguenza quando si acquista
un cannocchiale variabile bisogna spe-
cificare sempre il tipo di reticolo preferito, in base a quanto detto in precedenza
il numero di applicazione venatoria (14-etc).
Siamo al dunque: la scelta della marca
del cannocchiale. I nomi più famosi mi
auguro siano conosciuti da tutti: Zeiss,
Hensoldt (difficili da reperire e costosissimi), Svarowski, Kahles, Schmidt &
Bender, Nickel, Karl Kaps, Steiner sono
ottimi prodotti europei, di cui i primi
tre rappresentano il meglio con gli altri
che seguono; tra i prodotti americani
spiccano i Leupold ed i Burris, mentre
tra quelli giapponesi è apparsa recentemente la Nikon. Una bella arma europea con un’ottica europea di gran nome
vale sempre più di qualsiasi altra combinazione arma-ottica. Tenendo conto
che queste annotazioni serviranno forse
a fugare qualche dubbio, mi pare giustificabile, in questo tempo di super-ottiche, concludere lansciandovi qualche
dubbio: il Conte Paul Pallfy von Erdöd,
grande cacciatore di cervi (ne abbattè quasi 200 in trent’anni), usò sempre
sulla sua carabina Holland & Holland
calibro .375 H&H Mag. uno Zeiss Zielvier 4x (quattro ingrandimenti); il Dr.
Marcel Couturier, per il suoi oltre 500
(cinquecento, avete letto bene) camosci
abbattuti col suo Mannlicher-Schönauer
cal. 8 x 56 Mannlicher, utilizzò sempre
uno Zeiss Zielvier 4x (quattro ingrandimenti)!
Cacciavano, è vero, con carabine dotate di ottica, ma soprattutto cacciavano...con le gambe!!!
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La ricarica
- Martino Bianchi
Attrezzatura per la ricarica
Il primo attrezzo fondamentale per la
ricarica è la prudenza.
A rischio di tediarvi con una paternale che parrebbe più che ovvia, e pertanto inutile, è meglio che si spenda
un minimo di inchiostro sulla questione perché in gioco c’è la vostra pelle
e quella di qualche sventurato amico
tiratore.
Pertanto:
• come scritto in ogni manuale di ricarica, mai eccedere le dosi consigliate;
• verificare sempre di non aver inserito
nel bossolo due cariche di polvere;
• verificare viceversa di aver inserito polvere. Infatti la cartuccia vuota
esploderà lo stesso per la carica dell’innesco e la palla rimarrà incastrata
nella canna con il rischio di otturarla
e farla esplodere con la detonazione
successiva;
• non sperimentare polveri di cui non
si conoscono le dosi o polveri per
cartucce a pallini
• non mischiare varietà diverse di polveri;
• usare gli inneschi consigliati, quindi
non usare inneschi magnum per cariche normali;
• tenere sempre in grande considerazione la lunghezza della cartuccia.
La palla che si incastra nella rigatura
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
quando si chiude l’arma, provocherà
sovrapressioni non prevedibili;
• non fumare mangiare o bere durante
l’operazione di ricarica;
• lavorare in una stanza pulita, su un
tavolo sgombero e al chiuso. Un alito
di vento impercettibile proveniente
dalla finestra altera la pesatura della
polvere;
• lavorare solo se si è riposati concentrati e lucidi senza farsi distrarre da
amici, televisore o altro;
• tenere inneschi e polveri in luogo
fresco e asciutto, sotto chiave e fuori
dalla portata di bambini.
• Si consiglia di affiancarsi, almeno le
prime volte, ad un amico ricaricatore
esperto e prudente.
Veniamo ora all’attrezzatura vera e
propria. Il minimo indispensabile per
ricaricare consiste di:
1. Pressa;
2. Bilancina di precisione;
3. Dies (che si legge dais), che sono
le matrici per ricalibrare i bossoli e
per reinserire le palle. Ogni calibro
vuole i propri dies;
4. Shellholder, cioè rondella porta bossoli della misura del calibro prescelto da montare sulle pressa;
5. Autoprime, cioè ricapsulatore;
6. Calibro possibilmente digitale per
agevolare la rapida conversione
pollici-millimetri;
7. Manuale di ricarica, possibilmente
della casa produttrice della polvere maggiormente utilizzata e che
quindi contiene le dosi consigliate;
8. Flashhole tool, che è un attrezzino
per microfresare il foro di vampa
dei bossoli;
9. Deburring tool, che è un altro arnese per addolcire l’angolo d’ingresso
della bocca del colletto dei bossoli;
10. Flashhole uniformer tool, che è un
attrezzo per pulire ed uniformare la
sede dell’innesco;
11. Kit per lubrificare i bossoli;
12. Imbutino per la polvere;
13. Tavoletta di legno forata per appoggiare i bossoli;
14. Materiali di consumo, e cioè polvere, bossoli, inneschi, e palle.
Attrezzatura ulteriore da acquistare
in un secondo tempo:
15. Dies speciali, Crimp (cioè per crimpare i bossoli, che significa stringerne il colletto dopo aver inserito
la palla), Neck (è una matrice che
ricalibra solo il colletto dei bossoli e
non l’intero estruso), etc ;
16. Tornietto ricalibratore;
17. Tricker, che è un piccolo attrezzo
che consente di dosare manualmente meglio la polvere lasciando cadere singoli grani per volta;
18. Tumbler, che è un burattatore a
polvere, una macchinetta, cioè, che
riempita di bossoli e di trucioli di
mais trattati con un apposito acido,
vibrando per qualche ora, è in grado di lucidare e pulire le munizioni
esplose;
19. Calibri vari e comparatori;
20. Banco da ricarica;
21. altri aggeggi vari di cui parleremo
nel seguito;
Una volta completata la lista della spesa, bisogna capire a cosa serve
tutto questo cumulo di ferraglie.Tanto per cominciare bisogna trovare un
luogo, come già detto, fresco, asciutto
e pulito dove depositare tutto il materiale.
La pressa andrebbe avvitata con dei
tirafondi ad un tavolo con il pianale
di legno robusto da officina. Personalmente preferisco montarla su uno
spezzone quadrato di compensato dal
lato di circa 20/30 cm e spesso 3-4 cm
che successivamente fisso su un tavolo qualsiasi purché stabile e solido,
con delle normali morse a vite da falegname in modo da montarla e smontarla agevolmente alla bisogna, anche
in luoghi normalmente interdetti dalla
moglie (sala da pranzo, cucina, etc).
Alla pressa, per prima cosa, applichiamo nella parte superiore del pistone lo Shellholder del calibro giusto.
Ve ne sono diversi per ogni gruppo di
calibro. Di solito nella scatola dei dies
o nei manuali di ricarica sono riportate delle tabelle esplicative in tal senso.
Una volta istallata la pressa, monteremo sull’estremità superiore del suo
pistone lo shellholder della misura appropriata al calibro secondo le tabelle
delle case costruttrici.
Sulla parte superiore della pressa
invece, andremo ad avvitare il dies
ricalibratore e decapsulatore: quello
cioè, che di solito ha riportato sul suo
fianco sizing die e che ha un pistillo di
acciaio che fuoriesce dalla sua bocca, il
decapsulatore appunto. Normalmente
si usa il full lenght sizing die (sigla FL)
che ricalibra il bossolo per tutta la sua
lunghezza, ma esistono anche ricalibratori per il solo colletto che quindi
non vanno a ricalibrare il resto del
bossolo. Lo stesso risultato grossomodo si potrebbe ottenere con il die FL,
avendo l’accortezza di non ricalibrare
fino in fondo i bossoli mantenendo
sovralzato il die. Le prime volte comunque conviene ricalibrare l’intero
bossolo perché, come vedremo in seguito, non tutte le carabine accettano
la ricalibratura del solo colletto, a causa di alcune loro piccole imperfezioni
costruttive ( es: disassatura tra camera
e canna, o camere di scoppio non uniformi…etc). In ogni caso sia l’uno che
l’altro die vanno avvitati fino a quando sfioreranno lo shellholder avendo
posizionato il pistone della pressa nel
punto più alto possibile. A quel punto
si fisserà la ghiera di bloccaggio contro la presa e saremo pronti per l’operazione di ricalibratura.
Per quanto riguarda il Seating die,
o altrimenti detto matrice “mettipalla”, va avvitato anch’esso in testa alla
pressa fino a quando, con il pistone
completamente innalzato, si appoggia
al bossolo che avremo precedentemente inserito nello shellholder. Quando il
die tocca il bossolo, bisogna fare un
quarto di giro al contrario per evitare
che si vada a stringere il colletto. Se invece il die è dotato di crimpatore, cioè
una svasatura che consente di stringere ulteriormente il colletto del bossolo
addosso alla palla, e si vuole appunto
crimpare la palla, allora dobbiamo avvitare di un giro o più fino a quando
si otterrà l’effetto desiderato. La vite
sulla sommità di questo die serve a
determinare la misura di inserimento
della palla nel bossolo.
La nostra stazione di ricarica è così
pronta a procedere con la lavorazione.
Tutto quanto detto, considerati termini tecnici che necessariamente ho
dovuto usare, potrebbe sembrare
molto complesso, ma se abbiamo la
possibilità, direi addirittura che ciò è
d’obbligo, di vedere tutto da un amico
che già ricarica o, come detto sopra, di
farsi assistere, dopo due serate passate
assieme ricaricare tutto sembrerà molto più facile e semplice.
Nel prossimo numero esploreremo
singolarmente tutte le operazioni necessarie a realizzare la cartuccia.
Autoprime, scovolo x bossoli, Flashhole tool,
Chanfering tool che serve per fresare l’ingresso
del colletto del bossolo
Set di dies dall’alto:
Seater, mettipalla, FL ricalibratore totale,
NK ricalibratore per il solo colletto
Nel contenitore rosso si notano gli Shellholders, sotto una tavolozza per sorreggere i bossoli su cui giace uno shellholder.
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
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Educazione faunistica
- Stefania Pendezza
Fauna selvatica? La parola ai bambini!
Quanti sanno che in provincia di
Bergamo ci sono 10 coppie di aquile
reali nidificanti? E che tra i campi di cereali e le siepi campestri possiamo scorgere fagiani, mentre, al limite dei prati,
piccoli leprotti? E che la popolazione di
caprioli è progressivamente aumentata
con l’avanzamento del bosco e lo spopolamento delle montagne? E che sulle
nostre alte vette dominano camosci e
stambecchi? Purtroppo pochi conoscono
questi aspetti naturalistici e geomorfologici caratterizzanti il nostro territorio,
che presenta paesaggi alquanto diversificati: dalla pianura intensamente coltivata e urbanizzata, alle praterie di alta
quota. Ogni ambiente è strettamente
correlato alla presenza di determinate
specie faunistiche che lo connotano e
lo rendono unico. In particolare, nella
zona prealpina e alpina sono presenti
moltissimi ungulati (capriolo, cervo,
stambecco, camoscio, cinghiale, ecc.) e,
nella zona di pianura, lagomorfi (lepre,
coniglio) e galliformi. Inoltre, la bergamasca rappresenta un’importante rotta
di migrazione per gli uccelli che popolano numerosi i nostri cieli.
Riappropriarsi di queste conoscenze e
acquisire la consapevolezza delle risorse
e delle tradizioni del mondo rurale consentono di sviluppare quella coscienza
ecologica necessaria per comprendere
e salvaguardare il territorio. In partico-
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
lare, riportare a scuola tali esperienze
arricchisce il bagaglio culturale e contribuisce alla formazione della personalità,
che non può essere completa se priva di
questi elementi, facenti parte della nostra storia e della nostra cultura.
È proprio da queste considerazioni
che nascono i Progetti Educativi della Provincia di Bergamo
- Settore Agricoltura Caccia
e Pesca, realizzati grazie alla
collaborazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Bergamo
e, nell’ultimo anno scolastico,
dell’Azienda Bergamasca Formazione. I Progetti proposti
(“A scuola con gusto”, “Amico
Albero”, “Acqua W” e “Fauna
selvatica e ambienti naturali
della bergamasca”) prevedono
una serie di interventi gratuiti in classe e visite guidate sul
territorio. Le scuole di ogni ordine e grado possono aderire all’iniziativa attraverso specifici bandi, promossi
dalla Provincia.
“Il positivo riscontro registrato in questi
anni da tali iniziative presso l’utenza scolastica nella sua globalità -studenti, docenti e
genitori- commenta l’Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Luigi Pisoni - ha confermato la nostra convinzione che le nuove generazioni richiedano e apprezzino momenti
di apprendimento ed esperienze in materia
di cultura rurale. Del resto, la necessità
di una maggiore sinergia fra mondo della
scuola e territorio di appartenenza si rende
sempre più manifesta nella società moderna,
in cui spesso i ragazzi sono allettati da alternative iper-tecnologiche e poco aderenti
alla realtà quotidiana. Il ritorno alle proprie
origini culturali e alle tradizioni locali diventa allora necessario per l’instaurarsi di
un rapporto integrato con il territorio di appartenenza e le risorse agroalimentari, faunistiche e ambientali ivi contenute”.
In questo quadro progettuale, un ruolo importante riveste il Progetto “Fauna
selvatica e ambienti naturali della ber-
gamasca”, finalizzato all’acquisizione
di una più consapevole sensibilità ambientale tramite l’informazione scientifica e aggiornata, in merito al patrimonio faunistico della provincia.
Durante il corso, che in questi ultimi anni ha fatto partecipe migliaia di
ragazzi, esperti in percorsi didattici
faunistico-ambientali hanno coinvolto
gli alunni, attraverso esperienze ludico-sensoriali e tecnico-scientifiche. In
particolare, l’osservazione in classe di
animali impagliati (forniti dalla Provincia di Bergamo o concessi gentilmente
da alcuni cacciatori), le uscite sul territorio e le visite alla Sala Faunistica della
Provincia di Bergamo hanno affascinato
ed interessato i ragazzi a tal punto che
l’acquisizione di contenuti “tecnici”
quali la biodiversità, le dinamiche di
popolazione e la conservazione della
specie è risultata essere una naturale
conseguenza.
Ma per raccontare le fasi di attuazione
e i risultati di questo percorso educativo, quale modo migliore se non esprimere lo stupore, la curiosità e la meraviglia dei giovani fruitori del progetto?
Diamo quindi la parola ai ragazzi
attraverso l’espressione di alcuni brevi
racconti da loro formulati in seguito all’intervento degli esperti. “L’esperta ci ha
fatto imparare molte cose belle su animali
che non conoscevo, tipo la beccaccia, un animale che non sapevo neanche che esistesse.
Sulla fauna selvatica bergamasca non sapevo così tante cose!” (Nicolò); “Guardare
gli animali impagliati e osservarli in classe
è stato bellissimo; scoprire nuovi animali e
nuove creature è stata una vera avventura!” (Valentina). Già, e non solo Nicolò e
Valentina non conoscevano molti degli
animali che abitano il territorio bergamasco! Tuttavia anche per chi riconosceva gli animali non sono certo mancate le sorprese e le occasioni di scoperta,
grazie agli strumenti di indagine messi
a disposizione dagli esperti. “Quando
l’esperto ha tirato fuori gli animali impagliati ero impaziente. Mi è piaciuto soprattutto il barbagianni che era molto morbido.
Ho osservato le sue penne e le piume con lo
stereoscopio. Non credevo fossero fatte così”
(Marta); “Quando stavo disegnando la
penna mi sono reso conto perché alcune sue
parti si chiamano barbe: è una barba disegnarle!” (Luca); “Mi è piaciuto classificare
gli animali di pianura, collina e montagna.
Disegnare le penne e le piume è stato faticoso, però quando le hai fatte escono molto
bene” (Sara). “Mi è piaciuto guardare nello
stereoscopio perché si vede un mondo meraviglioso che a occhio nudo non possiamo
vedere” (Greta).
Portare gli animali impagliati in classe è stato importante e stimolante per
gli alunni, poiché, oltre all’osservazione riavvicinata, è stato anche possibile
toccare, con delicatezza, gli animali,
arricchendo l’esperienza conoscitiva di
connotazioni sensoriali. “Ho visto tanti
animali in classe, quello che mi è piaciuto
di più è la lepre. La lepre è una preda, ha
gli occhi laterali e ha un pelo morbido che
mi piace molto” (Miriam); “A me è piaciuto vedere la faina, perché è un diavolo
come me. Lo so che era impagliata, ma a
me sembrava che sorrideva. Aveva il pelo
morbidissimo. Mi è piaciuta molto anche la
leggenda del pettirosso” (Matteo); “A me è
piaciuta la marmotta con il suo pelo folto e
il muso bello e paffuto. Mi è piaciuto anche
quando siamo usciti per andare nel bosco a
cercare tracce di animali. Abbiamo trovato: escrementi di animali, resti di cibo non
umano e cinguettii di uccelli” (Valentina).
Come evidenziato da Valentina, il corso sulla Fauna Selvatica non si è svolto
solo in classe, ma ha condotto i bambini
e i ragazzi in uscite sul territorio, alla
scoperta degli ecosistemi, degli animali
e delle piante che li popolano. Un momento importante di scoperta: studiare
un animale significa infatti conoscere
anche il territorio in cui vive. Sapere che
lo scoiattolo ha bisogno delle ghiande e
delle nocciole fa riflettere i bambini sull’importanza dei boschi autoctoni; conoscere l’etologia delle marmotte mette
in luce le caratteristiche e le catene alimentari delle praterie alpine, osservare
la presenza dell’airone cenerino implica l’esistenza di corsi d’acqua ricchi di
pesci e rane. E a proposito di rane, ci
ricorda Giovanni: “Quando abbiamo fatto
l’uscita mi sono divertito molto, soprattutto
quando io e Andrea cercavamo le rane vicino a un canaletto”. Quanti bambini si
dedicano ancora a questa attività, che
un tempo occupava le giornate estive
di molti ragazzi di campagna? “A me
è piaciuto molto andare nel bosco. Appena
entrata ho subito trovato una traccia: una
foglia mangiata! Poi ho trovato anche degli escrementi, un formicaio, una tana, degli insetti. La cosa più emozionante che ho
visto è stata una noce mangiucchiata e un
uccellino che ne portava via un pezzetto!”
(Giulia); “Io avrei voluto fare ancora uscite.. Mi è piaciuto tutto, soprattutto quando
al parco ho scoperto molte tracce di animali.
Ho provato quiete nell’ascoltare gli uccelli
cantare” (Marco). Un’occasione, quindi,
anche per allontanarsi dalla confusione
dell’ambiente urbano e gustarsi il canto
dei boschi. Un’esperienza da fare con
gli amici che ha coinvolto anche la sfera
relazionale, come ci ricorda la piccola
Sofia: “A me è piaciuto uscire e addentrarmi tra gli alberi. È stato bello e divertente
farlo con gli amici”.
Come si evince da ciò che gli alunni
hanno scritto, il corso promosso dalla
Provincia di Bergamo ha toccato aspetti diversi, dalla sfera cognitiva a quella
relazionale, da quella ludica a quella
emotiva. E, a proposito di emozioni, è
giusto concludere con un pensiero, particolarmente toccante. A scriverlo è Lorenzo, un bambino di soli 8 anni: “A me
è piaciuto tutto, soprattutto quando abbiamo fatto l’uscita nel bosco e abbiamo cercato le tracce degli animali selvatici. Da quel
momento quando sono tornato nel bosco con
i miei genitori ho capito che qualcosa in me
era cambiato”.
Possiamo desiderare di più da un’esperienza didattica?
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
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Pagine d’autore
- Annibale Facchini
Periodicamente sfoglio i miei libri di caccia.
Rileggo i capitoli che più mi interessano e fantastico riguardando vecchie fotografie.
Giorni orsono mi è capitato tra le mani
“Quante pecore hai?” un bel libro scritto da
Domenico (Nico) Acquarone.
Da questa opera ho voluto trascrivere non le
avventure per abbattere le “capre” e le “pecore” che ha cercato tutta la vita in tre continenti
ma una pagina semplice e allo stesso tempo
struggente, ricca di sentimento. Lasciare quello che si ama è sempre doloroso anche se si
tratta di una casa di caccia. Sicuramente molti
di noi hanno condiviso le stesse sensazioni e,
se non lo hanno fatto, sicuramente lo faranno
“Quest’anno, forse, sarà l’ultima volta che andrò a caccia a Lessach. Sento che terminerà un pezzo di vita, come quando ho conseguito la maturità
o mi sono laureato.
Mi mancheranno la stanza in cui passavo le notti
con un tasso e una volpe imbalsamati sull’armadio, il bagno privo di chiave ma con la possibilità
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
di bloccare la porta aprendo un cassetto, il piccolo soggiorno con la foto del padre di Franzi che
presenta il più bel cervo mai ucciso in riserva, il
premio conseguito da Franzi al tiro al bersaglio,
le chiavi di casa appese alle corna di capriolo.
Più del momento in cui viene posto il fucile
sullo zaino, o di quello in cui inquadro l’animale nel reticolo, rimpiangerò l’atmosfera di attesa
delle mattine in cui alle primissime luci dell’alba inciampavo nelle radici o nei sassi del sentiero che saliva sul monte.
Mi resterà, quale ricordo, il cappello che ho ornato col piumetto di camoscio, con i denti del cervo e con quelli della marmotta, con le piume dei
forcelli e del cedrone, tutti montati in argento.
Indossavo quel cappello un pomeriggio a Salisburgo, quando un turista giapponese mi ha
fotografato e mi ha segnalato alla moglie, tutto
soddisfatto perché aveva ritratto un autentico caratteristico austriaco.”
Proposte di lettura
Noèmber
Luigi Capitanio
Nell’ultimo numero della nostra rivista si è dato risalto ad
un concorso gastronomico che ha avuto come protagonista il
camoscio. Questa manifestazione ha trovato molti estimatori
anche tra le fila dei “non cacciatori”. I complimenti per l’iniziativa sono giunti anche alla redazione del nostro giornale.
Nel proporre come solito alcune pubblicazioni che in qualche modo parlino di caccia o di qualche argomento inerente
la stessa, ho voluto soddisfare le curiosità di chi, cacciatore
e non, utilizza le carni di selvaggina da piuma o da pelo per
arricchire la propria mensa.
Il primo libro, “Ricette di Selvaggina” è una raccolta di ricette presentate e curate in modo meticoloso da Monica Del Soldato. Questo libro
ha il merito di spiegare in modo semplice
anche ai principianti tutte le tecniche di
preparazione delle carni da utilizzare
poi in cucina. Attraverso una sequenza di immagini insegna l’arte della
spiumatura della selvaggina da piuma, della preparazione attraverso la
spellatura di lepri e quant’altro. Propone ricette semplici, di facile realizzazione, da utilizzare come primi o
secondi piatti, sfruttando al meglio la cacciagione che nelle case dei cacciatori spesso arriva con discreta abbondanza. Insomma una raccolta di ricette per cucinare
secondo la tradizione e con quel tocco di fantasia in più. Un
modo per riscoprire la suggestione di pietanze che sembrano
appartenere al passato, per imparare ad apprezzare il tipico
gusto delle carni selvatiche. Dal costo molto contenuto, ristampato nel 2005 da Giunti Gruppo Editoriale di Firenze, è
reperibile nelle librerie della città.
Il secondo libro, “Cacciagione in Cucina”,
è anch’esso una raccolta di ricette presentate dalla moglie di un noto cacciatore.
L’autrice del libro, Silvana Bergamaschi Grassani, insegnante elementare
e giornalista, ha presentato ricette per
la preparazione di selvaggina sulla rivista “Il Cacciatore Italiano”, organo
ufficiale della F.I.D.C., e sul periodico
“Caccia”, dove tiene una rubrica sulla
cucina internazionale. In precedenza
ha scritto “La selvaggina a modo mio”,
due edizioni esaurite in brevissimo
tempo, frutto della dedizione e della lunga esperienza nella ricerca di come “trattare” in cucina carni di selvaggina. Veronese di nascita, la signora Silvana risiede in Valcanale
(UD), facendo proprie le tradizioni e la cultura mitteleuropea
anche nelle arti di cucina. Edito da Carlo Lorenzini Editore, è
reperibile nelle migliori librerie della città o presso l’Armeria
Bonalumi.
‘l va ol casadùr ‘n dèl bosc
e ‘l pensa a iér e a la bèla stagiù,
quando ‘n di sògn i osèi
i sa montunàa a ros söi brocù.
L’è noèmber e i fòie i suna
sota i pé come ‘l gias di Zenér.
Ol tabiòt l’è là, sö la costa,
sota i stèle che i barbèla ‘n dèl cél seré.
Giösta ‘l tep de rià, impizà la stüa
e tèca fò; ü bu café e la sigarèta (bröt vése!).
L’è ciàr, i viscére i ciòca ‘n di gabie
e i sdurdì i fa sö la primaéra.
Ol gregna ‘l casadùr sota i barbìs e ‘l ciàpa ‘l sciòp,
perchè d’ la spionéra l’a samò ést, sö la peghéra
‘n mès al prat, dò bèle iscére
guluse de pastüra, che i è dré a ègn sà.
Alessandro Raffaele Balestra*
*Nato a Bergamo da famiglia di origini brembane,
fin dall’infanzia ha seguito il padre al capanno di caccia,
e si è appassionato all’arte venatoria e alla montagna.
Insegna Lettere al Collegio Vescovile S. Alessandro.
Continua a praticare la caccia
e coltiva l’amore per la montagna e la sua Valle.
Tratto da “I giorni della mia caccia”,
della serie “i piccoli quaderni”
edito dal Collegio Vescovile Sant’Alessandro (BG)
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
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Curiosità
- Flazio Galizzi
Cronache venatorie d’altri tempi
Siamo nel 1889, in autunno, e in quel di
Mezzoldo, a confine con Piazzatorre,
come raccontano le cronache di allora su
L’Eco di Bergamo, vennero abbattuti due
orsi, avvistati in Valle Chiuso, segnalati
da un pastore assai preoccupato per il
suo gregge.
Così racconta il cronista di allora, firmato
G.B.G.
“Nelle ore pomeridiano di ieri, i fratelli Paolo
e Giuseppe del fu Simone Marieni, di Mezzoldo, furono avvertiti da un capraio che nella
località detta Valle Chiuso vi erano due orsi.
Non è a dirsi come i due bravi giovani si affrettarono a prendere il fucile per dar la caccia
alle due belve, in oggi divenute cose rare. Ben
presto furono nella località indicata, e arditamente si dettero a scovare le due fiere.
Prima ad essere presa di mira fu un’orsa, ed i
tiri di fucile dei due bravi cacciatori la colpirono in una coscia e nella schiena, sicché rimase
subito morta.
Non così il maschio, assai più piccolo. Dopo
aver ricevuto il primo colpo, ruzzolò sul pendio e andò a fermarsi sul ciglio d’un precipizio.
La situazione per i cacciatori era doppiamente
pericolosa. Bisognava spingersi sull’orlo dell’abisso nell’incertezza che evitato il pericolo
di precipitare nel burrone si potesse essere at-
taccati dalla fiera. Ma il Marieni Paolo, che
aveva tirato il colpo, animato dalla passione
dell’impossessarsi della preda, coraggiosamente si avvicinò all’orso afferrandolo per
una zampa con l’intenzione di caricarselo
sulle spalle. Ma l’animale non era per anco
spirato e improvvisamente si rivoltò contro
il Marieni addentandogli ferocemente una
gamba. Fu un terribile momento.
In bravo cacciatore senza perdersi d’animo,
alzato il fucile, vibrò parecchi colpi sul muso
dell’orso, con tal violenza che la canna si spezzò e l’orso dovette soccombere.”
La cronaca, un po’ romanzata come era
uso nell’ottocento, rimane un documento
sulla presenza di questa coppia di orsi in
valle, sicuramente, dalla descrizione, una
femmina e il suo piccolo.
Gli orsi oggi
La stima delle dimensioni di un orso può
essere fatta in questo modo: misurando la
larghezza della pianta del piede e moltiplicando per 10 i centimetri, si ottiene il
peso approssimativo in Kg. L’impronta
fotografata da F. Galizzi è attribuibile ad
un esemplare che supera i 200 Kg.!
Sono presenti in discreta quantità specialmente nelle foreste dell’Europa dell’est, in particolare in Slovenia. Gli incontri sono possibili, come nel caso del piccolo, fotografato da Piero Bianchi, che si avvicinava incuriosito attirato dal richiamo del guardiacaccia.
Nota di cronaca:
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L’ultimo orso in Val Brembana venne abbattuto nel 1891, in alta Val Corona; l’esemplare, impagliato,
si trova presso il Museo di Scienze di Bergamo.
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
In cucina
- Carlo Calvetti
Sottofesa di camoscio marinata
con risotto al taleggio
e leggero pesto di “parüc”*
Per poter soddisfare il palato, apprezzarne il gusto particolare e ricco della
selvaggina, bisogna avere la certezza
della qualità della carne. Lo stato ed il
modo con cui l’animale è stato cacciato
risulta quindi essere determinante.
Di conseguenza il trattamento della
spoglia dopo l’abbattimento è di estrema importanza.
È consigliabile che la carne sia conservata in pezzi anatomici completi, separati a seconda della destinazione d’uso,
evitando tagli inutili e prematuri rispetto alla preparazione che si vuole fare. È
invece importante separare la carne dal
grasso, che deve essere bianco, sempre
se tutte le procedure corrette di caccia
sono state rispettate.
È necessario provvedere a raffreddare
la carne, e successivamente, dopo una
corretta frollatura di alcuni giorni in cella frigorifera, congelarla nel più breve
tempo possibile.
Lo scongelamento prima dell’utilizzo,
diversamente, deve avvenire lentamente, in un frigo, senza far subire alla carne
sbalzi termici.
La cottura poi non dovrebbe essere
generalizzata come si faceva in passato,
destinando tutto, indifferentemente, alla
preparazione di “salmì”, bensì ogni parte dell’animale, secondo le differenti caratteristiche, potrà essere utilizzata con
modalità di cottura diverse a seconda del
piatto che si vorrà realizzare. È sempre
sbagliato destinare alla preparazione di
salmì o ragù le parti nobili dell’animale,
che dovrebbero essere invece utilizzate
per la preparazione di piatti che richiedono cotture brevi, veloci e semplici, per
meglio assaporarne le qualità intrinseche di ogni parte.
Procedimento:
Marinare la sottofesa.
Prendere zucchero semolato e sale, nella proporzione rispettivamente di 1/3 e 2/3; fare un trito con bacche di ginepro,
chiodi di garofano, cannella, pepe, salvia, rosmarino e poco aglio. Mischiare il tutto con il sale e lo zucchero e cospargere
bene la carne, avendo cura di tenerla poi sollevata per evitare che resti a contatto con il liquido che produce a seguito della
marinatura.
Lasciar aromatizzare la carne per 48 ore.
Dopo questa fase, ripulire la carne dalla marinatura e passarla a fuoco vivo in una padella, per una cottura tipo rosat – beef;
al cuore deve risultare rosa.
Lasciare raffreddare e tagliare fine.
Condire con una citronette leggera, oppure disporla sopra un piatto di risotto mantecato al taleggio, con qualche goccia di
aceto balsamico.
Si otterrà così un piatto unico e sicuramente alternativo al classico arrosto.
La carne così cotta la si potrà anche condire con un leggero pesto al parüc*.
*Buon Enrico (Chenopodium bonus Henricus), una sorta di spinacio selvatico che si trova allo stato spontaneo in montagna,
più frequentemente nei pressi delle malghe, dal gusto veramente squisito.
!!!
o
t
i
t
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p
p
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n
Buo
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
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Informazioni
e scadenze
Cani da traccia
- Diego Vassalli
Fra pochi giorni si ricomincia, la nuova stagione di caccia è alle porte e noi
conduttori con i nostri cani siamo pieni
di aspettative positive.Gli ultimi mesi
sono serviti si a tirare un po’ il fiato, ma
soprattutto sono serviti per confrontarci
con altre realtà nazionali che come noi si
propongono al servizio dei cacciatori di
ungulati per il recupero del capo ferito.
Due gli aspetti del confronto: le prove
di lavoro, dove emergono i soggetti da
seguire per la riproduzione, e l’organizzazione della stazione di recupero.
Per quanto riguarda le prove di lavoro il primo semestre è stato molto interessante: sono emersi cani di sicuro interesse e valore con attitudini al lavoro
che hanno evidenziato l’equilibrio e lo
stile di razza in parecchi soggetti, tanto da ritenerli ormai pronti per il lavoro
naturale.
Per quanto riguarda la stazione di recupero emerge dal confronto la necessità
di organizzarsi, servono qualità e servizio e la collaborazione di tutti i cacciatori, accompagnatori in prima fila.
Quando si spara bisogna sempre verificare cosa è successo, e chi ci può aiutare in
questo caso è il nostro cane; non un cane
qualsiasi ma un soggetto abilitato ed allenato che, dopo un confronto con il responsabile della stazione di recupero, si decide
di inviare con il suo conduttore altrettanto
preparato ed abilitato al recupero.
Premiazione Guardie
Consegnate dal Presidente della Provincia le medaglie per l’anzianità di
servizio alle guardie della Polizia Provinciale. Tra le altre c’erano anche le
guardie che operano sul nostro comprensorio brembano:
Gian Battista Albani Rocchetti, che ha maturato ormai 25 anni di servizio,
e Bruno Boffelli, con 16 anni. I complimenti e gli auguri sono stati loro
rivolti anche dl nostro Presidente del Comprensorio Enrico Bonzi anche a
nome dei nostri cacciatori. Felicitazioni anche da parte della Redazione.
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
La qualità del recupero la garantiscono i conduttori con i loro cani.
Il servizio offerto dalla stazione di recupero, da quest’anno, è operativo con
un numero di telefono sempre rintracciabile: il 349-6694891, sia per il Comprensorio Alpino Valle Brembana che per
l’Ambito Territoriale Prealpino.
Con il numero 348-6960717 il servizio
è attivo per il Comprensorio Alpino Valle Seriana, Valle di Scalve e Valle Borlezza.
Grazie per la collaborazione e….in
bocca al lupo
20a Festa del Cacciatore e Pescatore
22 - 23 - 24 - 25 26 Agosto 2007
Lenna (Bg)
Informazioni e scadenze
MERCATINO DELL’USATO
Su richiesta di alcuni soci, e certi
di fare cosa gradita a molti, la
Redazione ha deciso, a partire dal
prossimo numero di dicembre,
di avviare una nuova rubrica dal
titolo “MERCATINO”.
Verranno proposte tutte le richieste
– offerte dei soci, o amici del
Comprensorio, in materia di
cessioni o acquisti d’occasione di
materiale venatorio, dalle armi ai
cani, dai binocoli alle attrezzature
da caccia.
Coloro che intendessero usufruirne
sono pregati di far pervenire al
comprensorio le loro “RICHIESTE
- OFFERTE”, indicando
correttamente nome e recapito
telefonico e descrizione dell’oggetto
che intende cedere - offrire. La
Redazione non è responsabile,
in ogni caso, della qualità degli
oggetti trattati.
ARCHIVIO IMMAGINI
Coloro che volessero collaborare
con la Rivista offrendo immagini
interessanti, possono recapitare
il materiale, di cui la Redazione
terrà
copia,
presso
l’ufficio
Comprensorio.
INFORMAZIONI SMS
Presso il Comprensorio funzione un
servizio dedicato all’informazione
tempestiva dei Soci tramite SMS,
riguardante tutte le novità riguardo
alla caccia.
Tutti i soci che volessero ricevere
tali comunicazioni in tempo reale
sono pregati di comunicare il loro
numero di cellulare alla segreteria
del Comprensorio.
SI RICORDA CHE IN BASE AL NOSTRO STATUTO TUTTI I SOCI SONO TENUTI
A FAR TIMBRARE IL LORO TESSERINO REGIONALE PRESSO GLI UFFICI
DEL COMPRENSORIO PRIMA DELL’AVVIO DELL’ATTIVITÀ VENATORIA.
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
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20a Festa del Cacciatore e Pescatore
22 - 23 - 24 - 25 26 Agosto 2007
Lenna (Bg)
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CACCIAINVALBREMBANA
COMPRENSORIO VENATOTRIO
ALPINO VALLE BREMBANA:
Enrico Bonzi – Presedente
Lino E. Ceruti . Rappresentatne Provincia
Pietro Milesi – Rappresentante Comunità Montana
Angelo Bonzi – Rappresentante CPA/ANLC
Teofano Boffelli – Rappresentante ANUU
Giuseppe Bonomi – Rappresentante F.I.D.CCarlo Milesi – Rappresentante F.I.D.CAthos Curti – Gruppo Cinofilo Bergamasco
Giovanni Morali – Rappresentante C.A.I.
Bruno Calvi – Rappresentante C.A.I.
Antonio Locatelli – Rappresentante Coldiretti
Sperandio Colombo - Rappresentante Coldiretti
COMMISSIONI:
Avifauna tipica alpina:Presidente sig. Piergiacomo Oberti
Ungulati: Presidente sig.Gian antonio Bonetti
Lepre: sig. Milesi Gian Franco
Capanno: sig. Umberto Arioli
Stanziale ripopolabile: sig.Luigi Poleni
SEDE:
Lenna (BG) – Piazza IV Novembre, 10– tel./fax 034582565
www.comprensorioalpinovb.it - e-mail : [email protected]
segretaria : Alba Rossi
Orari di apertura: Merc. – Giov. Ven.: 9/12.30–14/17.30
Sabato: 9/12.30
ASSESSORATO PROVINCIALE
SETTORE CACCIA E PESCA
Via San Giorgio – tel. 035387700
Assessore Sett. Caccia e Pesca – Luigi Pisoni
Ufficio Tecnico Caccia e Pesca
Dirigente – Alberto Cigliano
Collaboratori tecnico faunistici – Giacomo Moroni – Alberto Testa
Servizio di Vigilanza Provinciale
Responsabile – Gian Battista Albani Rocchetti
Collaboratori – Bruno Boffelli, Cristiano Baroni
SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ
Pronto Soccorso Sanitario
Ospedale Civile S. Giovanni B.: Tel. 034527111
Centro antiveleni – Ospedali Riuniti di Bergamo:
Tel 035269469 (Tel 118)
Soccorso Alpino CAI – Elisoccorso: Clusone:
Tel. 034623123
Pronto Soccorso Veterinario – BG
Via Corridoni 91 - Tel. 035362919
Corpo Polizia Provinciale:
numero verde 800350035
Emergenza Sanitaria; Tel. 118
Vigili del fuoco: Tel 115
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