Org lavoro 2012_13_lez_1_Che cos e il lavoro

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Org lavoro 2012_13_lez_1_Che cos e il lavoro
Corso di organizzazione del lavoro
A.a. 2012-2013
[email protected]
• Ricevimento: mercoledì 17-19
(Corso Italia 23, piano terra)
• Testo di riferimento: E. Pugliese, E.
Mingione, Il lavoro, Carocci, Roma 2010.
• Prima lezione: CHE COS’E’ IL LAVORO?
1. Che cos’è il lavoro?
Il lavoro nella cultura classica
• Pònos: indica tutte le attività che implicano
uno sforzo penoso
• Pòiesis: indica la produzione dell’artigiano, il
risultato di una tecnica, contrapposta alla
• Pràxis: il cui fine non è la produzione di un
oggetto, ma un’attività senza altro scopo che
il suo esercizio e il suo compimento
Aristotele: theoria (verità), poiesis
(produzione), praxis (azione)
1.1. (segue) Che cos’è il lavoro?
SFERA PRIVATA E SFERA PUBBLICA NELLA
CULTURA GRECA (Hannah Arendt, Vita activa)
• OIKOS (casa): è il mondo del lavoro (domestico
e agricolo), svolto dagli schiavi, dalle donne dai
bambini
• POLIS (città): è il mondo della politica e della
guerra, delle relazioni tra uomini LIBERI (dal
dominio di altri uomini E dalla necessità)
• Aristotele: chi svolge attività manuali (non solo
gli schiavi) non può essere un buon cittadino,
vivere la “vita buona” e dunque essere uomo in
senso completo: “c’è bisogno di ozio per
coltivare la virtù e per le attività politiche”.
1.2. Una lenta transizione
• Nella cultura ebraica, il lavoro è una
condanna DIVINA, legata al peccato
originale e alla cacciata dal Paradiso
terrestre (in cui NON si lavora)
• Il “figlio di un falegname” e il regno degli
umili (di coloro che lavorano)
• Paolo di Tarso: “chi non vuol lavorare
neppure mangi”
• Benedetto da Norcia: “ORA ET LABORA”
(perché l’ozio è nemico dell’anima)
1.3. (segue) Che cos’è il lavoro?
• Lutero, Calvino e il concetto di BERUF
(vocazione / dovere professionale)
• L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo (Weber 1904)
• L’enciclica Rerum Novarum (Leone XIII,
1891): il lavoro come “destino e dovere
dell’uomo”; la “questione sociale”
2. Il lavoro nella società industriale
• La nascita dell’economia politica (per i greci,
un ossimoro)
• La separazione tra famiglia e impresa
(Weber)
• IL LAVORO COME FONTE DI OGNI
VALORE (il lavoro produttivo)
• IL LAVORO COME MERCE (quindi come
COSTO della produzione; e i produttori
come “strumenti animati” – la definizione di
Aristotele per gli schiavi)
3. Il lavoro produttivo
• Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776
“Il lavoro svolto in un anno è il fondo da cui ogni
nazione trae in ultima analisi tutte le cose
necessarie e comode della vita che in un anno
consuma”
Improduttiva è invece l’attività di sovrani, funzionari
statali (civili e militari), ecclesiastici, giuristi, medici,
letterati, commedianti, musicisti, cantanti, ballerini
(ottica capovolta rispetto al mondo classico)
• La parabola di Saint-Simon, 1819: cosa
succederebbe se… la Francia perdesse domani i
suoi 3.000 migliori politici/giuristi/filosofi…??
4. Il lavoro nella società industriale
FORMALE: definito non più dal suo
contenuto sostanziale (attività svolta ai fini
della sopravvivenza) ma dalla cornice in cui
si inserisce: luogo, orario, mansioni
specifiche, contratto o permesso di
esercitare un’attività
•La casalinga, il cuoco e l’infermiera…
5. Il lavoro FORMALE e ASTRATTO
• Pugliese e Mingione: «un’attività sistematica e
specializzata che ha come contropartita un
reddito piuttosto che il soddisfacimento
immediato di un bisogno»
(N.B.: non ogni attività che comporti guadagno è
un lavoro)
• Marx e il lavoro ASTRATTO: prescinde
dall’utilità concreta. Il DENARO si interpone tra
l’attività lavorativa e il soddisfacimento del
bisogno. Il contenuto dell’attività non ha alcun
riferimento alle modalità di vita del lavoratore
6. Il lavoro come MERCE
• Valore di scambio e valore d’uso: secondo la
teoria del valore-lavoro, il primo è dato dal
lavoro “socialmente necessario” a produrre una
determinata merce (Smith 1776: il lavoro è la
misura reale del valore di scambio di tutte le
merci; così Ricardo e Marx)
• Fattore produttivo acquistato da chi detiene i
mezzi di produzione (salari, rendite, profitti)
• Implica la separazione del produttore dai mezzi
e dal risultato del suo lavoro (alienazione)
7. Il lavoro nella società industriale
• La Prima Rivoluzione Industriale (17701830, Inghilterra)
• FORMALE
• ASTRATTO
• LIBERO
• SPECIALIZZATO
• ALIENATO
• SOCIALIZZATO
8. Il lavoro formalmente LIBERO
• Eliminazione dei vincoli di STATUS (feudali,
corporativi, giuridici) che limitavano la mobilità
personale e la scelta dell’occupazione
• POLANYI, La grande trasformazione, 1944
• Le tre merci fittizie (LAVORO, TERRA e
MONETA) e la nascita dell’economia di mercato
• la c.d. SPEENHAMLAND LAW, o sistema dei
sussidi (1795-1834): un reddito minimo ad
integrazione dei guadagni (commisurato al
prezzo del pane)
8.1. (segue) Il lavoro formalmente libero
• L’effetto “agghiacciante” del sistema dei sussidi
sulla produttività del lavoro: nessuno aveva
interesse a lavorare, dato che i salari (miseri)
erano spesso inferiori al sussidio minimo
• “Una volta il sussidio, sempre il sussidio”
• La legge rimase in vigore finché (1834) i
governanti si resero conto «che il tentativo di
creare un ordine capitalistico senza un mercato
del lavoro era fallito disastrosamente».
8.2. (segue) Il lavoro formalmente libero
• La (nuova) separazione dell’economia dalla
politica (Laissez faire, laissez aller, le monde
va de lui-même )
• Le leggi dello Stato e le leggi della natura
• MALTHUS, 1798, Saggio sui principi della
popolazione: la popolazione cresce in
proporzione geometrica (1,2,4,8,16,32,…) e le
risorse in proporzione aritmetica (1,3,5,7,9, …)
• «è la quantità di cibo che regola il numero della
specie umana»
8.3. (segue) Il lavoro formalmente libero
Joseph Townsend, 1786 (Dissertation on the Poor Laws)
«La fame domerà gli animali più feroci, insegnerà la decenza e
l’educazione, l’obbedienza e la soggezione ai più brutali, ai più
ostinati, ai più perversi ... In generale, è soltanto la fame che può
spronarli e pungolarli [i poveri] al lavoro e tuttavia le nostre leggi
hanno detto che essi non dovranno mai patire la fame. Le leggi,
occorre dire, hanno anche detto che essi dovranno essere costretti
a lavorare, ma l’obbligo della legge è seguito con agitazione,
violenza e rumoreggiamenti, crea cattiva volontà e non può mai
creare un servizio buono e accettabile, mentre la fame non soltanto
è una pressione pacifica, silenziosa e inflessibile, ma, essendo il
motivo più naturale per l’attività e per il lavoro, richiede i maggiori
sforzi, e quando viene soddisfatta dalla libera generosità di un altro
pone le basi per la buona volontà e la gratitudine. Lo schiavo deve
essere costretto a lavorare ma l’uomo libero dovrebbe essere
lasciato al suo giudizio e alla sua discrezione, dovrebbe essere
protetto nel pieno godimento del proprio, sia esso poco o molto e
punito quando invade la proprietà del vicino»
9. Il lavoro SPECIALIZZATO
• La divisione del lavoro e l’introduzione delle
macchine
• Aumento della produttività (SMITH e la fabbrica
di spilli)
• Durkheim e la solidarietà organica
• Le conseguenze negative della divisione del
lavoro (ancora Smith)
• La divisione del lavoro (sociale/tecnica), ovvero
Marx contro Smith
La società delle
macchine
• Macchina a vapore (1765); (rimozione di un vincolo
energetico: la produzione mondiale di carbone passa da
6.000.000 di T del 1769 alle 65.000.000 T del 1819)
• Telaio meccanico (1787)
• Locomotiva (1804)
• Illuminazione a gas (1807)
Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of
Nations 1776
“un operaio non addestrato in questa attività (della quale la divisione del lavoro
ha fatto un mestiere distinto), né abituato all’uso delle sue macchine
(l’invenzione delle quali è probabilmente stata determinata dalla stessa
divisione del lavoro) potrebbe forse a malapena, impegnandosi al massimo,
fare uno spillo al giorno, e certamente non potrebbe farne venti. Ma nel modo in
cui viene svolta, non soltanto questa attività è un lavoro specializzato, ma è
divisa i molti rami, la maggior parte dei quali parimenti specializzati. Un uomo
svolge il filo metallico, un altro lo drizza, un terzo lo taglia, un quarto lo
appuntisce, un quinto lo arrota nella parte destinata alla capocchia; per fare la
capocchia occorrono due o tre distinte operazioni; il montarla è un lavoro
particolare e il lucidare gli spilli è un altro, mentre mestiere a sé è persino quello
di incartarli. La fabbricazione di uno spillo è così divisa in circa diciotto distinte
operazioni [...] Ho visto una piccola fabbrica di questo tipo dove lavoravano
soltanto dieci uomini e quindi dove taluni di essi eseguivano due o tre distinte
operazioni. Ma sebbene fossero poverissimi e quindi scarsamente attrezzati
dalle macchine necessarie [...] quelle dieci persone potevano [...] fare
complessivamente oltre quarantottomila spilli in un giorno. Ognuno [...] faceva
in media quattromilaottocento spilli al giorno. Ma se avessero lavorato
separatamente e indipendentemente, [...] essi certamente non avrebbero
potuto fare [...] forse nemmeno la quattromilaottocentesima parte di ciò che essi
sono ora capaci di eseguire in conseguenza di una adeguata divisione e
combinazione delle loro differenti operazioni.”
"Proprio come i vari mestieri sono maggiormente sviluppati
nelle grandi città, così il vitto, a palazzo, è preparato in
maniera di gran lunga superiore. Nei piccoli centri lo
stesso uomo fabbrica letti, porte, aratri, tavoli, e spesso
costruisce anche le case, e ancora è ben felice se può
trovare abbastanza lavoro per sostenersi. Ed è
impossibile che un uomo dai molti mestieri possa farli
tutti bene. Nelle grandi città, invece, poiché sono molti a
richiedere i prodotti di ogni mestiere, per vivere basta
che un uomo ne conosca uno solo, e spesso anche
meno di uno. Per esempio, un tale fabbrica scarpe da
uomo, un altro scarpe da donna, e vi sono luoghi dove
uno può guadagnarsi da vivere riparando scarpe, un
altro tagliando il cuoio, un altro cucendo la tomaia,
mentre un altro ancora non esegue nessuna di queste
operazioni, ma mette insieme le varie parti. Di necessità,
chi svolge un compito molto specializzato lo farà nel
modo migliore". (Senofonte, IV secolo a.C.)
Émile Durkheim
• La divisione del lavoro sociale, 1893;
• Non ha solo cause economiche, ma rende
possibile un nuovo tipo di società, più
grande e retta da una fitta rete di
interdipendenze (differenziazione
funzionale);
• Necessità di una nuova forma di solidarietà (organica e non
più meccanica): se al mutamento economico non si
accompagna dunque un mutamento morale (della coscienza
collettiva) si rischia l’anomia; il contratto sostituisce lo status, il
merito è il criterio per l’assegnazione di doveri e ricompense,
e l’ineguaglianza sociale dovrà essere il frutto di una
ineguaglianza naturale (l’anomia come stato patologico e
transitorio)
Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of
Nations 1776
“Con lo sviluppo della divisione del lavoro, l’occupazione della
stragrande maggioranza di coloro che vivono di lavoro, cioè
della gran massa del popolo, risulta limitata a poche e
semplicissime operazioni, spesso una o due. Ma ciò che
forma l’intelligenza della gran maggioranza degli uomini è
necessariamente la loro occupazione ordinaria. Un uomo che
spende tutta la vita compiendo poche semplici operazioni, i cui
effetti oltretutto sono sempre gli stessi o quasi, non ha
nessuna occasione di applicare la sua intelligenza o di
esercitare la sua inventiva a scoprire nuovi espedienti per
superare difficoltà che non incontra mai. Costui perde quindi
naturalmente l’abitudine a questa applicazione, e in genere
diviene tanto stupido e ignorante quanto può esserlo una
creatura umana. ... La destrezza nel suo mestiere specifico
sembra in questo modo acquisita a spese delle sue
qualità intellettuali, sociali e militari ... a meno che il
governo non si prenda la cura di impedirlo.”
Smith vs. Durkheim?
• Non è il difensore estremo della libertà del
mercato (la “mano invisibile”) e della divisione
del lavoro, come talvolta si crede: descrive
con lucidità anche i suoi effetti negativi;
• Smith “profeta”? La divisione del lavoro
conoscerà un aumento che Smith non poteva
prevedere con la seconda rivoluzione
industriale e con l’invenzione della catena di
montaggio (Ford, 1913) che renderà più acuti
i problemi legati alla ripetitività delle mansioni
Marx vs. Smith
• Contro la tesi “naturalistica” di Smith
• La divisione tecnica del lavoro presuppone e amplifica
la divisione sociale (tra città e campagna, manifattura
e commercio, paesi coloniali e paesi industriali, tra
imprenditori e lavoratori salariati)
• La seconda si fonda sullo scambio, presuppone il
mercato, rende possibile l’emergere dell’imprenditore
(che acquista forza lavoro e ha interesse ad
aumentare la specializzazione per mantenere elevato
il profitto) -
10. Il lavoro ALIENATO
• L’alienazione (Entfremdung) in Hegel
(secondo momento della dialettica, in cui
ogni concetto si “perde” nel suo opposto):
positiva e negativa, necessaria
• L’alienazione religiosa in Feuerbach
(proiezione delle migliori qualità umane in
un essere trascendente, Dio): fenomeno
negativo, perché implica una scissione
senza nessuna successiva sintesi
10.1. Il lavoro ALIENATO
• MARX e l’alienazione (o estraniazione)
• I manoscritti economico-filosofici (1844)
• Da fenomeno IDEALE a fenomeno REALE
(e negativo), che permette di descrivere
l’organizzazione del lavoro nel sistema di
produzione capitalistico (nell’agricoltura,
ma soprattutto nell’industria)
• Homo sum, humani nihil a me alienum
puto
10.2. Quattro dimensioni dell’alienazione
1) L’operaio è alienato rispetto ai prodotti del suo
lavoro, perché i beni che produce non sono di sua
proprietà
2) L’operaio è alienato rispetto al suo lavoro,
poiché non produce per se stesso ma per un altro,
secondo modalità non scelte ma imposte
3) L’operaio è alienato rispetto alla sua essenza
umana (GATTUNGWESEN: essere appartenente
a una determinata specie, che produce da sé il
suo ambiente)
4) Infine, l’operaio è alienato rispetto al suo datore
di lavoro, che lo tratta come un mezzo per uno
scopo (il profitto) e rispetto al quale esiste un
rapporto conflittuale per la distribuzione del valore
creato attraverso il lavoro)
10.3. Le critiche di Marx
all’economia politica classica
•Il capitalismo è un modo di produzione
storicamente determinato (contingente, non
necessario)
•I rapporti di produzione non possono essere
studiati in astratto
“L’economia politica non conosce dunque l’operaio
disoccupato, l’uomo-operaio che si trova al di fuori
di questo rapporto di lavoro. Il ladro, il mariuolo, il
mendicante, il disoccupato, l’affamato, il lavoratore
miserabile e delinquente, sono figure che non
esistono per essa economia politica, bensì solo
per altri occhi, per quelli del medico, del giudice,
del becchino, del poliziotto, ecc.; come fantasmi
fuori dal suo regno.”
10.4. Le verità “nascoste”
•Il conflitto tra capitale e lavoro (destinato ad
aggravarsi) e l’appropriazione del pluslavoro
(plusvalore) da parte del capitalista
•La riduzione del lavoratore a merce tra le
merci
«L’operaio diventa una merce tanto più a
buon mercato quanto più crea delle merci.
Con la messa in valore del mondo delle
cose cresce in rapporto diretto la
svalutazione del mondo degli uomini»
10.5 L’alienazione come oggettivazione
Ogni attività lavorativa implica un’oggettivazione (la
forza-lavoro viene trasferita nell’oggetto prodotto), ma
nel lavoro alienato questo processo è distorto
dall’assimilazione del produttore al prodotto
“L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa
non solo che il suo lavoro diventa un oggetto,
qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso esiste
fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e
diventa di fronte a lui una potenza per se stante;
significa che la vita che egli ha dato all’oggetto gli si
contrappone ostile ed estranea”
10.6. Effetti dell’alienazione
1. Il produttore non può nulla sulla sorte del
prodotto (destinato allo scambio)
2. Il produttore non può nulla sulle condizioni
della produzione (ripetitive, e imposte:
divisione tecnica)
3. Il produttore è destinato ad adattarsi
all’ambiente, anziché dominarlo attivamente
4. I rapporti umani sono appiattiti sulla
dimensione economica:
«Chi può comprare la bravura è valoroso, anche
se è vile...»
10.7. (segue) Effetti dell’alienazione
• L’ALIENAZIONE non riguarda dunque
soltanto la sfera produttiva ma si estende
a tutti i rapporti umani, ovvero a quei
vincoli con la società che soli conferiscono
a ognuno la sua “umanità”.
• L’individuo “naturalmente” egoista
(immaginato dagli economisti) non esiste
• Le risorse create da molti utilizzate per il
benessere di pochi
Marx “giusnaturalista”?
“L’uomo torna così all’abitazione in caverne,
ma in una forma di estraneità e di ostilità. Il
selvaggio nella sua caverna – elemento
naturale e sereno che gli dà gioia e protezione
– non si sente estraneo, o piuttosto si sente
così familiarmente come il pesce nell’acqua.
Ma l’abitazione-sottosuolo del povero è
un’abitazione ostile, che sta come una potenza
estranea, che gli si concede soltanto per il suo
sudore di sangue”
10.8 (fine) Due precisazioni
1.L’alienazione colpisce (in modo diverso) non
solo il lavoratore ma anche il capitalista:
“Il suo godimento è solo cosa secondaria, un
riposo, subordinato alla produzione, godimento
calcolato, dunque anch’esso economico, ché egli
mette il suo godimento nel costo del capitale, e
quindi il suo godimento gli costa solo quanto di ciò
che ha dissipato in esso è risarcito dalla
riproduzione del capitale con profitto. Il godimento
è così sussunto sotto il capitale, e l’individuo che
gode sotto quello che capitalizza, mentre prima
(nella società feudale) avveniva il contrario.”
10.8 (fine) Due precisazioni
2. Marx non evidenzia una tensione tra “l’uomo allo stato di
natura” (non alienato) e “l’uomo nella società” (alienato) ma
tra il potenziale creato da una specifica forma di società e
l’impossibilità di realizzarlo.
Nel corso dello sviluppo storico, dice Marx, la stessa
ascesa della borghesia ha messo in moto delle possibilità
di sviluppo che sarebbero state impensabili nei sistemi
produttivi precedenti.
La struttura dei rapporti sociali di produzione rende però
inattuabile la realizzazione di tali possibilità. Il capitalismo
crea dunque delle opportunità che poi non riesce a
realizzare: di qui la contraddizione tra i rapporti sociali di
produzione e il modo di produzione (motore del
cambiamento sociale).
10.9. L’elogio della borghesia
Da “Il manifesto del partito comunista”, 1848:
Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere
l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie
che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali
gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le
migrazioni dei popoli e le crociate.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare
continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di
produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione
di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era
invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di
produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione,
l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali,
l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono
l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti.
11. Il lavoro SOCIALIZZATO
• Per la semplice ragione che per
la produzione della maggior
parte delle merci (dalle armi da
fuoco ai nuovi telai) non è più
sufficiente la vecchia bottega
artigiana, in cui il maestro
lavorava con i suoi apprendisti,
ma è necessario
COORDINARE e INTEGRARE
il lavoro di decine e decine di
persone.
• Marx vide in questa condizione
intrinsecamente sociale del
lavoro nella società industriale
una delle precondizioni
necessarie allo sviluppo di una
“coscienza rivoluzionaria” da
parte del proletariato.
Dobb 1946
L’avvento del vapore abbatté tutte le barriere
che limitavano fin’allora tanto la complessità e
la massa del macchinario, quanto le dimensioni
delle operazioni meccaniche ad esso affidate.
… Ogni progresso delle macchine tendeva a
generare una maggiore specializzazione tra i
membri del gruppo … e a sua volta la divisione
del lavoro …preparava il terreno favorevole a
ulteriori invenzioni atte a riprodurre
meccanicamente le operazioni semplificate.
Dobb 1946 (segue)
“A questa tendenza cumulativa altre due se
ne affiancarono: … una crescente
produttività del lavoro …; una crescente
concentrazione della produzione e della
proprietà di capitali” (da cui nascerà il
capitalismo azionario e monopolistico del XX
secolo)
11.1. Il lavoro
socializzato e
l’organizzazione degli
interessi delle classi
subalterne
• La nascita dei partiti di massa (Prima Internazionale –
A.I.L.: 1864; PSI: 1892) e dei sindacati (In Inghilterra le
prime Trade Union dal 1824, in Italia, la Camera del
Lavoro di Milano, 1891)
• Interessi dei lavoratori nel sistema politico e sui luoghi di
lavoro (AIL 1864: giornata di otto ore; scontro tra
mazziniani e marxisti sul carattere nazionale o di classe
delle lotte operaie)
• L’organizzazione collettiva dei lavoratori svela la
contraddizione tra forma e sostanza dei processi
produttivi
11.2. Il lavoro socializzato e il diritto
•La contraddizione tra forma e sostanza:
Sul piano SOSTANZIALE, i lavoratori di una
stessa fabbrica sono integrati in una
ORGANIZZAZIONE (gerarchica) finalizzata al
raggiungimento di uno scopo, la produzione
(collettiva) di un determinato bene o servizio.
Sul piano FORMALE, l’unico “produttore” è
l’imprenditore, a cui spetta la proprietà della merce
prodotta; l’organizzazione viene giuridicamente
scomposta in una serie di contratti individuali.
Locatio servi/hominis/operarum
Locazione per il godimento di una RES (inizialmente
il servo, poi anche i liberti e gli uomini liberi;
“opere” distinte a partire dal Medio Evo, poi dall’art.
1708 CN 1804 / 1570 cc italiano 1865)
Distinta dalla locatio operis (prestazione d’opera)
sulla base di quattro elementi:
• A) Subordinazione (cfr. gli indici)
• B) Onerosità (sconosciuta ai romani, qui sotto
influsso della filosofia greca…)
• C) Collaborazione
• D) Continuità (ma mai in perpetuum…cfr. art. 1628
CC italiano del 1865)
12. Il contratto di lavoro subordinato
• Rende invisibile la socialità del processo produttivo
• Rende irrilevante la disparità di forze tra domanda e
offerta di lavoro (di qui la contrattazione collettiva)
• Legittima il potere dell’imprenditore
sull’organizzazione ANCHE in una società
democratica (composta di soggetti liberi ed eguali)
• Rende la quantità di forza lavoro esistente in una
determinata organizzazione una variabile
DIPENDENTE dalle scelte organizzative e produttive
dell’imprenditore (di qui la necessità di una
legislazione sociale volta a tutelare i lavoratori dalle
incertezze legate alla produzione e all’andamento
dell’economia: infortuni, disoccupazione, vecchiaia)
14. La disoccupazione nella società industriale
Garofalo:«se sono proprietario di un certo numero di schiavi, devo
nutrirli, vestirli, ecc. anche quando non ho come utilizzare il loro
lavoro, perché ad es. ci troviamo in una stagione morta dell’attività
agricola; l’imprenditore capitalista agricolo, invece, assumerà i
braccianti nella misura e nella stagione in cui gli servono: in
questo modo, le diseconomie derivanti dall’eccesso di forza lavoro
rispetto alle possibilità d’impiego (che in altri modi di produzione
gravavano sulla singola unità produttiva) vengono espulse dalle
imprese e scaricate sul sistema socio-economico generale»
Polanyi e il disoccupato come “povero non meritevole”; la
disoccupazione nella prima società industriale è soprattutto un
fenomeno volontario;
Marx per primo parla della necessità di un “esercito industriale di
riserva” necessario a mantenere bassi i profitti;
oggi la disoccupazione è percepita come un fenomeno strutturale
nei paesi c.d. a capitalismo avanzato
13. Il confine interno/esterno
• Nel paradigma “classico” della società
industriale esiste dunque un confine netto tra
INTERNO (unità produttiva in cui si esercita il
potere di direzione dell’imprenditore sulla forza
lavoro, sia pure sulla base di singoli contratti
individuali) ed ESTERNO (mercato, luogo della
concorrenza tra imprese e di reperimento dei
fattori della produzione: forza lavoro, beni
strumentali, materie prime, semilavorati);
Una lettura “economica” del
confine interno/esterno
• COASE 1937, “The Nature of the Firm”,
muove da un interrogativo fondamentale:
se partiamo dall’ipotesi secondo cui il
mercato (un sistema di produzione
decentrato in cui la distribuzione delle
risorse è decisa attraverso il sistema dei
prezzi) è un’istituzione efficiente per
l’allocazione delle risorse… perché
esistono le imprese?
Coase 1937 (segue)
• La “sostituzione delle relazioni di mercato” può
dipendere dai “costi di transazione” (es. costi di
informazione o costi di stipulazione dei contratti), o
dall’intervento di fattori esterni (es. tasse sulle
compravendite; agevolazioni alle imprese)
• La dimensione dell’impresa può essere studiata
sulla base di queste variabili (un’impresa tenderà
ad espandersi finché i costi legati
all’organizzazione non saranno uguali ai costi
legati alla possibilità di reperire quella risorsa sul
mercato
Coase 1937 (segue)
• Le imprese come “islands of conscious
power in this ocean of unconscious cooperation like lumps of butter coagulating
in a pail of buttermilk” (“isole di potere
consapevole in un oceano di cooperazione
inconsapevole, come grumi di burro
coagulatisi nella panna”)
Dicotomie “classiche”
• Divisione tecnica vs. sociale del lavoro
(Smith/Marx)
• Gerarchia / mercato (Coase)
• Ordine costruito (taxis) / ordine costruito
(cosmos) (Hayek)
• Integrazione verticale/orizzontale
• Make or buy? (lo spostamento verso il
secondo termine come caratteristica della
nuova organizzazione del lavoro alla fine del
XX secolo)