Org lavoro 2012_13_lez_1_Che cos e il lavoro
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Corso di organizzazione del lavoro A.a. 2012-2013 [email protected] • Ricevimento: mercoledì 17-19 (Corso Italia 23, piano terra) • Testo di riferimento: E. Pugliese, E. Mingione, Il lavoro, Carocci, Roma 2010. • Prima lezione: CHE COS’E’ IL LAVORO? 1. Che cos’è il lavoro? Il lavoro nella cultura classica • Pònos: indica tutte le attività che implicano uno sforzo penoso • Pòiesis: indica la produzione dell’artigiano, il risultato di una tecnica, contrapposta alla • Pràxis: il cui fine non è la produzione di un oggetto, ma un’attività senza altro scopo che il suo esercizio e il suo compimento Aristotele: theoria (verità), poiesis (produzione), praxis (azione) 1.1. (segue) Che cos’è il lavoro? SFERA PRIVATA E SFERA PUBBLICA NELLA CULTURA GRECA (Hannah Arendt, Vita activa) • OIKOS (casa): è il mondo del lavoro (domestico e agricolo), svolto dagli schiavi, dalle donne dai bambini • POLIS (città): è il mondo della politica e della guerra, delle relazioni tra uomini LIBERI (dal dominio di altri uomini E dalla necessità) • Aristotele: chi svolge attività manuali (non solo gli schiavi) non può essere un buon cittadino, vivere la “vita buona” e dunque essere uomo in senso completo: “c’è bisogno di ozio per coltivare la virtù e per le attività politiche”. 1.2. Una lenta transizione • Nella cultura ebraica, il lavoro è una condanna DIVINA, legata al peccato originale e alla cacciata dal Paradiso terrestre (in cui NON si lavora) • Il “figlio di un falegname” e il regno degli umili (di coloro che lavorano) • Paolo di Tarso: “chi non vuol lavorare neppure mangi” • Benedetto da Norcia: “ORA ET LABORA” (perché l’ozio è nemico dell’anima) 1.3. (segue) Che cos’è il lavoro? • Lutero, Calvino e il concetto di BERUF (vocazione / dovere professionale) • L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (Weber 1904) • L’enciclica Rerum Novarum (Leone XIII, 1891): il lavoro come “destino e dovere dell’uomo”; la “questione sociale” 2. Il lavoro nella società industriale • La nascita dell’economia politica (per i greci, un ossimoro) • La separazione tra famiglia e impresa (Weber) • IL LAVORO COME FONTE DI OGNI VALORE (il lavoro produttivo) • IL LAVORO COME MERCE (quindi come COSTO della produzione; e i produttori come “strumenti animati” – la definizione di Aristotele per gli schiavi) 3. Il lavoro produttivo • Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776 “Il lavoro svolto in un anno è il fondo da cui ogni nazione trae in ultima analisi tutte le cose necessarie e comode della vita che in un anno consuma” Improduttiva è invece l’attività di sovrani, funzionari statali (civili e militari), ecclesiastici, giuristi, medici, letterati, commedianti, musicisti, cantanti, ballerini (ottica capovolta rispetto al mondo classico) • La parabola di Saint-Simon, 1819: cosa succederebbe se… la Francia perdesse domani i suoi 3.000 migliori politici/giuristi/filosofi…?? 4. Il lavoro nella società industriale FORMALE: definito non più dal suo contenuto sostanziale (attività svolta ai fini della sopravvivenza) ma dalla cornice in cui si inserisce: luogo, orario, mansioni specifiche, contratto o permesso di esercitare un’attività •La casalinga, il cuoco e l’infermiera… 5. Il lavoro FORMALE e ASTRATTO • Pugliese e Mingione: «un’attività sistematica e specializzata che ha come contropartita un reddito piuttosto che il soddisfacimento immediato di un bisogno» (N.B.: non ogni attività che comporti guadagno è un lavoro) • Marx e il lavoro ASTRATTO: prescinde dall’utilità concreta. Il DENARO si interpone tra l’attività lavorativa e il soddisfacimento del bisogno. Il contenuto dell’attività non ha alcun riferimento alle modalità di vita del lavoratore 6. Il lavoro come MERCE • Valore di scambio e valore d’uso: secondo la teoria del valore-lavoro, il primo è dato dal lavoro “socialmente necessario” a produrre una determinata merce (Smith 1776: il lavoro è la misura reale del valore di scambio di tutte le merci; così Ricardo e Marx) • Fattore produttivo acquistato da chi detiene i mezzi di produzione (salari, rendite, profitti) • Implica la separazione del produttore dai mezzi e dal risultato del suo lavoro (alienazione) 7. Il lavoro nella società industriale • La Prima Rivoluzione Industriale (17701830, Inghilterra) • FORMALE • ASTRATTO • LIBERO • SPECIALIZZATO • ALIENATO • SOCIALIZZATO 8. Il lavoro formalmente LIBERO • Eliminazione dei vincoli di STATUS (feudali, corporativi, giuridici) che limitavano la mobilità personale e la scelta dell’occupazione • POLANYI, La grande trasformazione, 1944 • Le tre merci fittizie (LAVORO, TERRA e MONETA) e la nascita dell’economia di mercato • la c.d. SPEENHAMLAND LAW, o sistema dei sussidi (1795-1834): un reddito minimo ad integrazione dei guadagni (commisurato al prezzo del pane) 8.1. (segue) Il lavoro formalmente libero • L’effetto “agghiacciante” del sistema dei sussidi sulla produttività del lavoro: nessuno aveva interesse a lavorare, dato che i salari (miseri) erano spesso inferiori al sussidio minimo • “Una volta il sussidio, sempre il sussidio” • La legge rimase in vigore finché (1834) i governanti si resero conto «che il tentativo di creare un ordine capitalistico senza un mercato del lavoro era fallito disastrosamente». 8.2. (segue) Il lavoro formalmente libero • La (nuova) separazione dell’economia dalla politica (Laissez faire, laissez aller, le monde va de lui-même ) • Le leggi dello Stato e le leggi della natura • MALTHUS, 1798, Saggio sui principi della popolazione: la popolazione cresce in proporzione geometrica (1,2,4,8,16,32,…) e le risorse in proporzione aritmetica (1,3,5,7,9, …) • «è la quantità di cibo che regola il numero della specie umana» 8.3. (segue) Il lavoro formalmente libero Joseph Townsend, 1786 (Dissertation on the Poor Laws) «La fame domerà gli animali più feroci, insegnerà la decenza e l’educazione, l’obbedienza e la soggezione ai più brutali, ai più ostinati, ai più perversi ... In generale, è soltanto la fame che può spronarli e pungolarli [i poveri] al lavoro e tuttavia le nostre leggi hanno detto che essi non dovranno mai patire la fame. Le leggi, occorre dire, hanno anche detto che essi dovranno essere costretti a lavorare, ma l’obbligo della legge è seguito con agitazione, violenza e rumoreggiamenti, crea cattiva volontà e non può mai creare un servizio buono e accettabile, mentre la fame non soltanto è una pressione pacifica, silenziosa e inflessibile, ma, essendo il motivo più naturale per l’attività e per il lavoro, richiede i maggiori sforzi, e quando viene soddisfatta dalla libera generosità di un altro pone le basi per la buona volontà e la gratitudine. Lo schiavo deve essere costretto a lavorare ma l’uomo libero dovrebbe essere lasciato al suo giudizio e alla sua discrezione, dovrebbe essere protetto nel pieno godimento del proprio, sia esso poco o molto e punito quando invade la proprietà del vicino» 9. Il lavoro SPECIALIZZATO • La divisione del lavoro e l’introduzione delle macchine • Aumento della produttività (SMITH e la fabbrica di spilli) • Durkheim e la solidarietà organica • Le conseguenze negative della divisione del lavoro (ancora Smith) • La divisione del lavoro (sociale/tecnica), ovvero Marx contro Smith La società delle macchine • Macchina a vapore (1765); (rimozione di un vincolo energetico: la produzione mondiale di carbone passa da 6.000.000 di T del 1769 alle 65.000.000 T del 1819) • Telaio meccanico (1787) • Locomotiva (1804) • Illuminazione a gas (1807) Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations 1776 “un operaio non addestrato in questa attività (della quale la divisione del lavoro ha fatto un mestiere distinto), né abituato all’uso delle sue macchine (l’invenzione delle quali è probabilmente stata determinata dalla stessa divisione del lavoro) potrebbe forse a malapena, impegnandosi al massimo, fare uno spillo al giorno, e certamente non potrebbe farne venti. Ma nel modo in cui viene svolta, non soltanto questa attività è un lavoro specializzato, ma è divisa i molti rami, la maggior parte dei quali parimenti specializzati. Un uomo svolge il filo metallico, un altro lo drizza, un terzo lo taglia, un quarto lo appuntisce, un quinto lo arrota nella parte destinata alla capocchia; per fare la capocchia occorrono due o tre distinte operazioni; il montarla è un lavoro particolare e il lucidare gli spilli è un altro, mentre mestiere a sé è persino quello di incartarli. La fabbricazione di uno spillo è così divisa in circa diciotto distinte operazioni [...] Ho visto una piccola fabbrica di questo tipo dove lavoravano soltanto dieci uomini e quindi dove taluni di essi eseguivano due o tre distinte operazioni. Ma sebbene fossero poverissimi e quindi scarsamente attrezzati dalle macchine necessarie [...] quelle dieci persone potevano [...] fare complessivamente oltre quarantottomila spilli in un giorno. Ognuno [...] faceva in media quattromilaottocento spilli al giorno. Ma se avessero lavorato separatamente e indipendentemente, [...] essi certamente non avrebbero potuto fare [...] forse nemmeno la quattromilaottocentesima parte di ciò che essi sono ora capaci di eseguire in conseguenza di una adeguata divisione e combinazione delle loro differenti operazioni.” "Proprio come i vari mestieri sono maggiormente sviluppati nelle grandi città, così il vitto, a palazzo, è preparato in maniera di gran lunga superiore. Nei piccoli centri lo stesso uomo fabbrica letti, porte, aratri, tavoli, e spesso costruisce anche le case, e ancora è ben felice se può trovare abbastanza lavoro per sostenersi. Ed è impossibile che un uomo dai molti mestieri possa farli tutti bene. Nelle grandi città, invece, poiché sono molti a richiedere i prodotti di ogni mestiere, per vivere basta che un uomo ne conosca uno solo, e spesso anche meno di uno. Per esempio, un tale fabbrica scarpe da uomo, un altro scarpe da donna, e vi sono luoghi dove uno può guadagnarsi da vivere riparando scarpe, un altro tagliando il cuoio, un altro cucendo la tomaia, mentre un altro ancora non esegue nessuna di queste operazioni, ma mette insieme le varie parti. Di necessità, chi svolge un compito molto specializzato lo farà nel modo migliore". (Senofonte, IV secolo a.C.) Émile Durkheim • La divisione del lavoro sociale, 1893; • Non ha solo cause economiche, ma rende possibile un nuovo tipo di società, più grande e retta da una fitta rete di interdipendenze (differenziazione funzionale); • Necessità di una nuova forma di solidarietà (organica e non più meccanica): se al mutamento economico non si accompagna dunque un mutamento morale (della coscienza collettiva) si rischia l’anomia; il contratto sostituisce lo status, il merito è il criterio per l’assegnazione di doveri e ricompense, e l’ineguaglianza sociale dovrà essere il frutto di una ineguaglianza naturale (l’anomia come stato patologico e transitorio) Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations 1776 “Con lo sviluppo della divisione del lavoro, l’occupazione della stragrande maggioranza di coloro che vivono di lavoro, cioè della gran massa del popolo, risulta limitata a poche e semplicissime operazioni, spesso una o due. Ma ciò che forma l’intelligenza della gran maggioranza degli uomini è necessariamente la loro occupazione ordinaria. Un uomo che spende tutta la vita compiendo poche semplici operazioni, i cui effetti oltretutto sono sempre gli stessi o quasi, non ha nessuna occasione di applicare la sua intelligenza o di esercitare la sua inventiva a scoprire nuovi espedienti per superare difficoltà che non incontra mai. Costui perde quindi naturalmente l’abitudine a questa applicazione, e in genere diviene tanto stupido e ignorante quanto può esserlo una creatura umana. ... La destrezza nel suo mestiere specifico sembra in questo modo acquisita a spese delle sue qualità intellettuali, sociali e militari ... a meno che il governo non si prenda la cura di impedirlo.” Smith vs. Durkheim? • Non è il difensore estremo della libertà del mercato (la “mano invisibile”) e della divisione del lavoro, come talvolta si crede: descrive con lucidità anche i suoi effetti negativi; • Smith “profeta”? La divisione del lavoro conoscerà un aumento che Smith non poteva prevedere con la seconda rivoluzione industriale e con l’invenzione della catena di montaggio (Ford, 1913) che renderà più acuti i problemi legati alla ripetitività delle mansioni Marx vs. Smith • Contro la tesi “naturalistica” di Smith • La divisione tecnica del lavoro presuppone e amplifica la divisione sociale (tra città e campagna, manifattura e commercio, paesi coloniali e paesi industriali, tra imprenditori e lavoratori salariati) • La seconda si fonda sullo scambio, presuppone il mercato, rende possibile l’emergere dell’imprenditore (che acquista forza lavoro e ha interesse ad aumentare la specializzazione per mantenere elevato il profitto) - 10. Il lavoro ALIENATO • L’alienazione (Entfremdung) in Hegel (secondo momento della dialettica, in cui ogni concetto si “perde” nel suo opposto): positiva e negativa, necessaria • L’alienazione religiosa in Feuerbach (proiezione delle migliori qualità umane in un essere trascendente, Dio): fenomeno negativo, perché implica una scissione senza nessuna successiva sintesi 10.1. Il lavoro ALIENATO • MARX e l’alienazione (o estraniazione) • I manoscritti economico-filosofici (1844) • Da fenomeno IDEALE a fenomeno REALE (e negativo), che permette di descrivere l’organizzazione del lavoro nel sistema di produzione capitalistico (nell’agricoltura, ma soprattutto nell’industria) • Homo sum, humani nihil a me alienum puto 10.2. Quattro dimensioni dell’alienazione 1) L’operaio è alienato rispetto ai prodotti del suo lavoro, perché i beni che produce non sono di sua proprietà 2) L’operaio è alienato rispetto al suo lavoro, poiché non produce per se stesso ma per un altro, secondo modalità non scelte ma imposte 3) L’operaio è alienato rispetto alla sua essenza umana (GATTUNGWESEN: essere appartenente a una determinata specie, che produce da sé il suo ambiente) 4) Infine, l’operaio è alienato rispetto al suo datore di lavoro, che lo tratta come un mezzo per uno scopo (il profitto) e rispetto al quale esiste un rapporto conflittuale per la distribuzione del valore creato attraverso il lavoro) 10.3. Le critiche di Marx all’economia politica classica •Il capitalismo è un modo di produzione storicamente determinato (contingente, non necessario) •I rapporti di produzione non possono essere studiati in astratto “L’economia politica non conosce dunque l’operaio disoccupato, l’uomo-operaio che si trova al di fuori di questo rapporto di lavoro. Il ladro, il mariuolo, il mendicante, il disoccupato, l’affamato, il lavoratore miserabile e delinquente, sono figure che non esistono per essa economia politica, bensì solo per altri occhi, per quelli del medico, del giudice, del becchino, del poliziotto, ecc.; come fantasmi fuori dal suo regno.” 10.4. Le verità “nascoste” •Il conflitto tra capitale e lavoro (destinato ad aggravarsi) e l’appropriazione del pluslavoro (plusvalore) da parte del capitalista •La riduzione del lavoratore a merce tra le merci «L’operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci. Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini» 10.5 L’alienazione come oggettivazione Ogni attività lavorativa implica un’oggettivazione (la forza-lavoro viene trasferita nell’oggetto prodotto), ma nel lavoro alienato questo processo è distorto dall’assimilazione del produttore al prodotto “L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto gli si contrappone ostile ed estranea” 10.6. Effetti dell’alienazione 1. Il produttore non può nulla sulla sorte del prodotto (destinato allo scambio) 2. Il produttore non può nulla sulle condizioni della produzione (ripetitive, e imposte: divisione tecnica) 3. Il produttore è destinato ad adattarsi all’ambiente, anziché dominarlo attivamente 4. I rapporti umani sono appiattiti sulla dimensione economica: «Chi può comprare la bravura è valoroso, anche se è vile...» 10.7. (segue) Effetti dell’alienazione • L’ALIENAZIONE non riguarda dunque soltanto la sfera produttiva ma si estende a tutti i rapporti umani, ovvero a quei vincoli con la società che soli conferiscono a ognuno la sua “umanità”. • L’individuo “naturalmente” egoista (immaginato dagli economisti) non esiste • Le risorse create da molti utilizzate per il benessere di pochi Marx “giusnaturalista”? “L’uomo torna così all’abitazione in caverne, ma in una forma di estraneità e di ostilità. Il selvaggio nella sua caverna – elemento naturale e sereno che gli dà gioia e protezione – non si sente estraneo, o piuttosto si sente così familiarmente come il pesce nell’acqua. Ma l’abitazione-sottosuolo del povero è un’abitazione ostile, che sta come una potenza estranea, che gli si concede soltanto per il suo sudore di sangue” 10.8 (fine) Due precisazioni 1.L’alienazione colpisce (in modo diverso) non solo il lavoratore ma anche il capitalista: “Il suo godimento è solo cosa secondaria, un riposo, subordinato alla produzione, godimento calcolato, dunque anch’esso economico, ché egli mette il suo godimento nel costo del capitale, e quindi il suo godimento gli costa solo quanto di ciò che ha dissipato in esso è risarcito dalla riproduzione del capitale con profitto. Il godimento è così sussunto sotto il capitale, e l’individuo che gode sotto quello che capitalizza, mentre prima (nella società feudale) avveniva il contrario.” 10.8 (fine) Due precisazioni 2. Marx non evidenzia una tensione tra “l’uomo allo stato di natura” (non alienato) e “l’uomo nella società” (alienato) ma tra il potenziale creato da una specifica forma di società e l’impossibilità di realizzarlo. Nel corso dello sviluppo storico, dice Marx, la stessa ascesa della borghesia ha messo in moto delle possibilità di sviluppo che sarebbero state impensabili nei sistemi produttivi precedenti. La struttura dei rapporti sociali di produzione rende però inattuabile la realizzazione di tali possibilità. Il capitalismo crea dunque delle opportunità che poi non riesce a realizzare: di qui la contraddizione tra i rapporti sociali di produzione e il modo di produzione (motore del cambiamento sociale). 10.9. L’elogio della borghesia Da “Il manifesto del partito comunista”, 1848: Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate. La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. 11. Il lavoro SOCIALIZZATO • Per la semplice ragione che per la produzione della maggior parte delle merci (dalle armi da fuoco ai nuovi telai) non è più sufficiente la vecchia bottega artigiana, in cui il maestro lavorava con i suoi apprendisti, ma è necessario COORDINARE e INTEGRARE il lavoro di decine e decine di persone. • Marx vide in questa condizione intrinsecamente sociale del lavoro nella società industriale una delle precondizioni necessarie allo sviluppo di una “coscienza rivoluzionaria” da parte del proletariato. Dobb 1946 L’avvento del vapore abbatté tutte le barriere che limitavano fin’allora tanto la complessità e la massa del macchinario, quanto le dimensioni delle operazioni meccaniche ad esso affidate. … Ogni progresso delle macchine tendeva a generare una maggiore specializzazione tra i membri del gruppo … e a sua volta la divisione del lavoro …preparava il terreno favorevole a ulteriori invenzioni atte a riprodurre meccanicamente le operazioni semplificate. Dobb 1946 (segue) “A questa tendenza cumulativa altre due se ne affiancarono: … una crescente produttività del lavoro …; una crescente concentrazione della produzione e della proprietà di capitali” (da cui nascerà il capitalismo azionario e monopolistico del XX secolo) 11.1. Il lavoro socializzato e l’organizzazione degli interessi delle classi subalterne • La nascita dei partiti di massa (Prima Internazionale – A.I.L.: 1864; PSI: 1892) e dei sindacati (In Inghilterra le prime Trade Union dal 1824, in Italia, la Camera del Lavoro di Milano, 1891) • Interessi dei lavoratori nel sistema politico e sui luoghi di lavoro (AIL 1864: giornata di otto ore; scontro tra mazziniani e marxisti sul carattere nazionale o di classe delle lotte operaie) • L’organizzazione collettiva dei lavoratori svela la contraddizione tra forma e sostanza dei processi produttivi 11.2. Il lavoro socializzato e il diritto •La contraddizione tra forma e sostanza: Sul piano SOSTANZIALE, i lavoratori di una stessa fabbrica sono integrati in una ORGANIZZAZIONE (gerarchica) finalizzata al raggiungimento di uno scopo, la produzione (collettiva) di un determinato bene o servizio. Sul piano FORMALE, l’unico “produttore” è l’imprenditore, a cui spetta la proprietà della merce prodotta; l’organizzazione viene giuridicamente scomposta in una serie di contratti individuali. Locatio servi/hominis/operarum Locazione per il godimento di una RES (inizialmente il servo, poi anche i liberti e gli uomini liberi; “opere” distinte a partire dal Medio Evo, poi dall’art. 1708 CN 1804 / 1570 cc italiano 1865) Distinta dalla locatio operis (prestazione d’opera) sulla base di quattro elementi: • A) Subordinazione (cfr. gli indici) • B) Onerosità (sconosciuta ai romani, qui sotto influsso della filosofia greca…) • C) Collaborazione • D) Continuità (ma mai in perpetuum…cfr. art. 1628 CC italiano del 1865) 12. Il contratto di lavoro subordinato • Rende invisibile la socialità del processo produttivo • Rende irrilevante la disparità di forze tra domanda e offerta di lavoro (di qui la contrattazione collettiva) • Legittima il potere dell’imprenditore sull’organizzazione ANCHE in una società democratica (composta di soggetti liberi ed eguali) • Rende la quantità di forza lavoro esistente in una determinata organizzazione una variabile DIPENDENTE dalle scelte organizzative e produttive dell’imprenditore (di qui la necessità di una legislazione sociale volta a tutelare i lavoratori dalle incertezze legate alla produzione e all’andamento dell’economia: infortuni, disoccupazione, vecchiaia) 14. La disoccupazione nella società industriale Garofalo:«se sono proprietario di un certo numero di schiavi, devo nutrirli, vestirli, ecc. anche quando non ho come utilizzare il loro lavoro, perché ad es. ci troviamo in una stagione morta dell’attività agricola; l’imprenditore capitalista agricolo, invece, assumerà i braccianti nella misura e nella stagione in cui gli servono: in questo modo, le diseconomie derivanti dall’eccesso di forza lavoro rispetto alle possibilità d’impiego (che in altri modi di produzione gravavano sulla singola unità produttiva) vengono espulse dalle imprese e scaricate sul sistema socio-economico generale» Polanyi e il disoccupato come “povero non meritevole”; la disoccupazione nella prima società industriale è soprattutto un fenomeno volontario; Marx per primo parla della necessità di un “esercito industriale di riserva” necessario a mantenere bassi i profitti; oggi la disoccupazione è percepita come un fenomeno strutturale nei paesi c.d. a capitalismo avanzato 13. Il confine interno/esterno • Nel paradigma “classico” della società industriale esiste dunque un confine netto tra INTERNO (unità produttiva in cui si esercita il potere di direzione dell’imprenditore sulla forza lavoro, sia pure sulla base di singoli contratti individuali) ed ESTERNO (mercato, luogo della concorrenza tra imprese e di reperimento dei fattori della produzione: forza lavoro, beni strumentali, materie prime, semilavorati); Una lettura “economica” del confine interno/esterno • COASE 1937, “The Nature of the Firm”, muove da un interrogativo fondamentale: se partiamo dall’ipotesi secondo cui il mercato (un sistema di produzione decentrato in cui la distribuzione delle risorse è decisa attraverso il sistema dei prezzi) è un’istituzione efficiente per l’allocazione delle risorse… perché esistono le imprese? Coase 1937 (segue) • La “sostituzione delle relazioni di mercato” può dipendere dai “costi di transazione” (es. costi di informazione o costi di stipulazione dei contratti), o dall’intervento di fattori esterni (es. tasse sulle compravendite; agevolazioni alle imprese) • La dimensione dell’impresa può essere studiata sulla base di queste variabili (un’impresa tenderà ad espandersi finché i costi legati all’organizzazione non saranno uguali ai costi legati alla possibilità di reperire quella risorsa sul mercato Coase 1937 (segue) • Le imprese come “islands of conscious power in this ocean of unconscious cooperation like lumps of butter coagulating in a pail of buttermilk” (“isole di potere consapevole in un oceano di cooperazione inconsapevole, come grumi di burro coagulatisi nella panna”) Dicotomie “classiche” • Divisione tecnica vs. sociale del lavoro (Smith/Marx) • Gerarchia / mercato (Coase) • Ordine costruito (taxis) / ordine costruito (cosmos) (Hayek) • Integrazione verticale/orizzontale • Make or buy? (lo spostamento verso il secondo termine come caratteristica della nuova organizzazione del lavoro alla fine del XX secolo)