La questione del riconoscimento delle professioni non
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La questione del riconoscimento delle professioni non
“Day of the Liberal Profession” Bruxelles, 19 July 2012 RELATION Roberto Falcone, Vice-President of Cna Professioni (Italy) Attualmente le libere professioni, in Italia si distinguono in regolamentate e non. Nel loro insieme contribuiscono alla produzione di oltre il 15% del PIL (prodotto interno lordo) nazionale. I due mondi, da considerarsi omogenei per la capacità di trasformare una determinata conoscenza in prestazioni alla persona e all’impresa, spesso non dialogano e non collaborano quanto potrebbero e dovrebbero. Per comprendere meglio quale dimensione socio-economica abbiamo di fronte è opportuno svolgere un’analisi ad ampio raggio. Sino agli anni ‘80 il mercato dei servizi professionali era basato su un sistema di tipo esclusivamente ordinistico. Con l’avvento della new economy e della globalizzazione dei mercati, la domanda di conoscenze altamente specializzate ha fatto sì che prendessero corpo nuove professioni nella consapevolezza, per altro, che non tutte le attività sono riservate per legge. Per rispondere parzialmente alla domanda creata dai nuovi bisogni, a partire dalla fine degli anni ’80, vi è stato un fiorire di associazioni professionali nel settore giuridico, tributario, sanità, benessere, servizi all’impresa, etc… nate con lo scopo di costituire enti esponenziali in grado di stimolare il legislatore a creare un albo o un collegio. L’esigenza era comprensibile perché, allora come oggi, vi è il rischio di veder svanire riconoscimenti giurisprudenziali che confermano la possibilità di svolgere 1 attività non espressamente riservate dalla legge e in concorrenza con gli iscritti agli albi professionali. Il tributarista, il chinesiologo, l’osteopata, il naturopata, solo per fare alcuni esempi, hanno iniziato quindi a percorrere un lungo cammino per l’affermazione dell’autonomia della loro professione non solo quale specializzazione di una fase dell’attività ordinistica ma, attraverso il lavoro delle associazioni di riferimento, come coagulo di una nuova organizzazione e “assemblaggio” della conoscenza, di un saper fare agile, snello e in grado affermarsi sul mercato. Il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), cominciò allora a monitorare, sin dal 1989, il magmatico mondo delle associazioni professionali con la pubblicazione di ben cinque rapporti sulle professioni non regolamentate la cui elaborazione si è inspiegabilmente diradata. L’ultimo rapporto, infatti, risale a cinque anni fa e riporta un elenco di 155 associazioni. Peraltro, la spinta propulsiva del CNEL ha anche prodotto nel 2003 un disegno di legge, d’iniziativa dello stesso Consiglio, come previsto dalla Costituzione Italiana, per il riconoscimento delle professioni non regolamentate. Successivamente, l’esito dell’indagine conoscitiva del 1998 dell’Antitrust (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) sul mondo delle professioni, ha stigmatizzato l’eccesso di regolamentazione delle professioni in Italia e suggerito al legislatore un percorso fondato sostanzialmente sul principio “No a nuovi ordini, No a nuove riserve professionali, Sì al riconoscimento delle nuove professioni in un quadro di libertà di esercizio”. Oggi, a fronte di circa 1.700.000 professionisti iscritti agli Albi e Collegi, ben 3.000.000 sono i professionisti non regolamentati. Sulla base di tali numeri, negli ultimi anni abbiamo assistito a un radicale mutamento culturale che ha portato il Parlamento Italiano a recepire la necessità di 2 separare il riconoscimento delle nuove professioni dall’ammodernamento degli ordini, due percorsi che devono necessariamente viaggiare su binari distinti, perché diverse sono anche le esigenze. Sulla stessa lunghezza d’onda (distinzione del percorso legislativo dei senz’albo da quello delle professioni regolamentate) si sono mossi anche i recenti provvedimenti governativi anticrisi economico-finanziaria: riforma delle professioni da un lato (abolizione delle tariffe, società tra professionisti, pubblicità, formazione continua obbligatoria, polizza professionale obbligatoria, tirocinio, etc…) e dall’altro il riconoscimento delle professioni non regolamentate (disegno di legge “Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi”). Ora finalmente, il disegno di legge sulle nuove professioni, dopo aver attraversato le legislature che si sono succedute negli ultimi quindici anni senza però arrivare ad un risultato concreto, è giunto all’esame in Senato per l’approvazione definitiva. Il testo, innovativo e in linea con le nuove esigenze del mondo professionale non regolamentato e del mercato non solo italiano ma europeo, definisce per la prima volta la nozione di professione non regolamentata oltre ad ispirare una nuova cultura secondo la quale il riconoscimento non deve più necessariamente essere legato all’istituzione di un ordine professionale ma alla normativa UNI (Ente Nazionale di Unificazione Italiano) e quindi alla certificazione professionale. La normazione, ossia la definizione delle norme e regole che caratterizzano una professione alle quali dovrà attenersi il professionista per essere certificato, rappresenta soprattutto una forma di tutela per i consumatori e di garanzia ai fini della trasparenza del mercato dei servizi professionali, oltre che per gli stessi professionisti. Un riconoscimento dunque basato su libertà di esercizio e sistema di qualità professionale in un mercato che possa mettere in condizione l'utente di scegliere il professionista più qualificato. 3 Peraltro occorre precisare, così come riportato nel documento che Cna professioni, in rappresentanza anche di Rete Imprese Italia, ha presentato in audizione al Senato che le disposizioni contenute nel disegno di legge non intendono in alcun modo entrare in conflitto con il mondo degli Albi o Collegi, per i quali esistono delle apposite riserve di legge e sulla cui legittimità ed opportunità non esprimiamo, in questa sede, alcun parere. Parimenti ci preme sottolineare che il modello di autoregolamentazione definito nel disegno di legge si contraddistingue per la completa volontarietà dei professionisti di aderire ai percorsi qualificatori. E’ necessario porre il cittadino-utente nella condizione di poter scegliere a chi rivolgersi valutando attentamente gli elementi che, volontariamente, qualificano i professionisti. Siamo in presenza di un modello estremamente moderno e in perfetta sintonia con l’impostazione europea di determinare un’area di libero esercizio delle attività economiche e professionali accomunata dal rispetto di standard qualitativi che abbiano una valenza sovranazionale. Questa legge rappresenta, quindi, una opportunità per tutto il comparto professionale (regolamentato e non): il professionista certificato potrà fornire quei segnali di competenza utili a rendere automatico il riconoscimento delle qualifiche professionali anche a livello comunitario. A tal proposito, si ritiene che anche la direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (2005/36/CE) possa essere un ulteriore strumento che potrà consentire ai professionisti di sfruttare pienamente le potenzialità offerte dal mercato unico. Rilanciare quindi le piattaforme comuni, di fatto mai avviate, potrà contribuire a semplificare le attuali procedure di riconoscimento, favorendo la libera circolazione dei professionisti e garantendo allo stesso tempo adeguati livelli di qualificazione professionale. Il Decreto Legislativo 206/2007 di recepimento della direttiva n. 36/2005 “qualifiche professionali”, in 4 particolare, prevede all’art. 26 la possibilità, per le associazioni professionali, di essere iscritte in un elenco presso il Ministero di Giustizia e abilitate a partecipare alle Piattaforme Europee (tra le associazioni di categoria dichiarate idonee, figura anche la Lapet, l’Associazione Nazionale Tributaristi che mi onoro di presiedere). Riconoscendo le difficoltà che oggi ostacolano l’utilizzo di questo strumento, è stato suggerito, prima nell’ambito della consultazione pubblica sulla direttiva qualifiche professionali indetta dalla Commissione europea e successivamente in quella promossa dal Dipartimento politiche europee in Italia, di modificare la norma che regola la composizione numerica richiesta per l’avvio di una piattaforme comune, riducendo l’attuale intervento dei due terzi degli stati membri ad un numero più ristretto. I risultati di questa piattaforma, con meno stati membri partecipanti, potrebbero essere recepiti a livello informatico e utilizzati quale riferimento per gli altri. Tra gli ulteriori suggerimenti, già recepiti nel libro verde, pubblicato il 22 giugno 2011, le proposte relative al miglioramento della rete informatica a livello comunitario (Imi), l’introduzione della carta professionale europea, lo snellimento del sistema professionale regolamentato. Peraltro, anche nella direttiva 2006/123/CE “servizi”, è stato posto l’accento sul tema della certificazione di qualità invitando gli stati membri ad adottare “misure di accompagnamento volte ad incoraggiare i prestatori e garantire, su base volontaria, la qualità dei servizi, facendo certificare o valutare le loro attività da organismi indipendenti o accreditati”. Norma, tra l’altro, ancora non recepita dall’Italia. In conclusione, si propone un riconoscimento basato su libertà di esercizio con l’abolizione di riserve inutili e sistema di certificazione della qualità professionale. 5 A tal fine, occorre adottare con urgenza misure tese a recepire e promuovere la cultura della qualità, sia nella fase normativa a monte che in quella certificativa a valle. In buona sostanza, ciò che si suggerisce è di usare un intervento legislativo meno invasivo per fare emergere rapidamente professioni ormai vitali per la ripresa e lo sviluppo dell’economia europea. Il riconoscimento delle nuove professioni non solo potrà favorire la mobilità dei professionisti nel mercato unico, ma attraverso la semplificazione, razionalizzazione e rimozione di tutto ciò che penalizza le professioni rispetto alle altre attività economiche, contribuire al rilancio dell’occupazione giovanile. In un regime di libera concorrenza infatti, è lo stesso mercato a fare la naturale selezione ed è la meritocrazia a premiare le capacità e valorizzare le competenze. Ad emergere sarà solo chi possiede quella professionalità che deriva da un’adeguata e necessaria formazione. Bruxelles, lì 19 Luglio 2012 Roberto Falcone Vicepresidente CNA Professioni 6