6. Ultras declino - Facoltà di Scienze della Formazione

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6. Ultras declino - Facoltà di Scienze della Formazione
Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
Gli Ultras oggi. Declino o cambiamento ?
di Antonio Roversi e Carlo Balestri.
Saggio apparso sulla rivista POLIS (3/99) edita a Bologna per Il Mulino
I. Introduzione.
Nelle pagine che seguono cercheremo di delineare alcuni degli aspetti che caratterizzano l'attuale
situazione del football hooliganism in Italia. Prima di iniziare è però necessaria una precisazione. Nella
lettura scientifica internazionale sulla violenza calcistica (soccer-related violence) non è raro, infatti,
trovare indicati con il termine di football hooliganism due fenomeni distinti.
Il primo fenomeno riguarda quelle che possiamo chiamare intemperanze degli spettatori (spectator
disorderness). Questo termine indica gli atti di intemperanza dei tifosi che non hanno un carattere
programmato, non hanno per obiettivo i tifosi avversari e sono riconducibili in primo luogo al clima
emotivo di eccitazione provocato dall'evento sportivo. Di solito questi disordini accadono dentro lo
stadio, durante o al termine della partita, ed hanno come oggetto i protagonisti del calcio giocato
(giocatori, arbitri e guardalinee, dirigenti, allenatori). Essi possono coinvolgere inoltre diverse
tipologie di spettatori (dai frequentatori delle curve (ends), ai supporters del settore dei distinti, agli
appassionati delle tribune (stands))1. I comportamenti più frequenti di questi tifosi infine comprendono
il lancio di oggetti in campo (come bottiglie, sassi, monete) contro arbitri, guardalinee e giocatori; le
aggressioni all'arbitro fuori dallo stadio; gli assalti ai pullman della squadra ospite.
Il secondo fenomeno riguarda, invece, l'insieme di comportamenti riconducibili al football
hooliganism in senso stretto, ovvero gli atti di vandalismo ed aggressione sistematica che, in occasione
delle partite di calcio, particolari gruppi giovanili di tifosi - nel caso italiano, i gruppi ultras compiono ai danni di analoghi gruppi avversari sia dentro che, soprattutto, fuori dagli stadi.
La prima forma di soccer related violence è tutto sommato parte integrante, da sempre,
dell'atmosfera da stadio2 e rappresenta un comportamento sociale stabile nel senso che la sua
fenomenologia non rivela grandi variazioni nel tempo. Se diamo uno sguardo agli ultimi dati, tratti
dallo spoglio di alcuni quotidiani, relativi agli incidenti di questo tipo verificatisi dal febbraio ‘95 ad
oggi3 ci accorgiamo che questi comportamenti sono oggi più frequenti nel Sud dell’Italia, dove il tifo
calcistico è vissuto ancora con un alto grado di coinvolgimento e passione e inoltre che essi
caratterizzano in misura rilevante anche le serie minori4.
1
In Italia, solitamente, i settori più popolari dello stadio sono le curve che coincidono con le gradinate (terraces). Il settore
dei distinti - il nome già indica una differenza di status rispetto al settore popolare delle curve - è quello che segue la
lunghezza del campo ed è situato dalla parte opposta rispetto alla più nobile tribuna.
2
Cfr. Dunning E. - Murphj P. - Williams J., The Roots of Football Hooliganism. An Historical and Sociological Study;
London, Routledge, 1988.
3
I dati sono tratti dallo spoglio dei seguenti quotidiani: Il Resto del Carlino, La Repubblica, L’ Unità e
La Gazzetta dello sport.
4
A fronte di 59 incidenti registrati nel periodo preso in esame, 33 vedono coinvolte
squadre del Sud Italia e 25 si riferiscono a fatti accaduti in Serie minori (Serie C e
Campionato Dilettanti).
1
Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
Diversamente stanno le cose per quanto riguarda gli episodi di fooball hooliganism. In questo caso
siamo di fronte, in Italia, ad un fenomeno che nasce tra la fine degli Anni Sessanta e l'inizio degli Anni
Settanta e si diffonde negli stadi delle principali città del nord, per giungere poi al Sud ed in provincia.
Nel corso degli anni Ottanta, poi, si diffonde e si radica anche nelle serie dilettantistiche minori. In
questo saggio ci occuperemo di questo secondo fenomeno e tenteremo di spiegare la congiuntura che
esso sta attualmente attraversando ed i mutamenti che la caratterizzano. Lo faremo utilizzando le
conoscenze che abbiamo accumulato nel corso di una ormai decennale osservazione partecipante
(participant observation) condotta tra molti gruppi di ultras italiani. Questo compito ci è stato
ulteriormente facilitato dalla nascita, nel 1995, di uno strumento di monitoraggio concreto del
fenomeno: l’Archivio - Osservatorio sul tifo calcistico in Europa che coniuga all’attività di recupero
materiali e di ricerca anche il lavoro sul campo5.
II. Uno sguardo d'insieme
Iniziamo da alcuni dati statistici. Sappiamo che le statistiche che riguardano gli episodi di football
hooliganism - in assenza di altri dati certi6 - possono basarsi unicamente sui resoconti giornalistici.
Sappiamo anche che la letteratura scientifica ha avanzato numerose perplessità circa l'attendibilità di
queste fonti7 e ha sostenuto che gli organi di stampa “are not simply passive reflectors of events such
as football hooliganism, but play both an intentional and unintentional part in their construction”.8 Per
quanto riguarda l'Inghilterra, Eric Dunning, sostiene ad esempio che il diffuso mito della scomparsa
del football hooliganism come problema sociale ha trovato un forte sostegno nei mass media inglesi
che “de-politicized the issue of soccer hooliganism”9.
Per quanto riguarda l’Italia siamo in presenza di un problema analogo, come mostra la tabella 1.
Table 1
Incidents related to League matches in Serie A and B. Seasons 1980/81 - 1997/98
.............................................................
Seasons Number of incidents Number of matches % incidents
.............................................................
1980/81 17
620
2,7
1981/82 25
620
4,0
1982/83 41
620
6,6
1983/84 37
620
5,9
1984/85 45
620
7,2
1985/86 55
620
8,8
1986/87 59
620
9,5
1987/88 61
620
9,8
1988/89 65
686
9,4
5
L’Archivio-Osservatorio è all’interno di un progetto chiamato Progetto Ultrà. Il progetto si pone essenzialmente due
obiettivi: difendere i valori legati alla cultura popolare del tifo e limitare i comportamenti intolleranti presenti nel mondo
del tifo calcistico attraverso un lavoro di tipo sociale portato avanti insieme agli stessi tifosi.
6
Da alcuni anni, in Italia, il Centro Studi di Polizia di Brescia elabora e diffonde i dati relativi agli incidenti campionato
per campionato. Questi dati, però, non sono attendibili perchè non distinguono tra comportamenti tipici da Football
Hooliganism, intemperanze classiche dei tifosi ed altro.
7
Cfr. E. Dunning: Soccer Crowd Disorder and the Press .. in Football on Trial)
8
Ibidem, pag.
9
Ibidem, pag.
2
Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
1989/90 66
686
9,6
1990/91 73
686
10,6
1991/92 56
686
8,1
1992/93 58
686
8,6
1993/94 64
686
9,3
1994/95 40
686
5,8
1995/96 34
686
4,9
1996/97 27
686
3,9
1997/98 23
686
3,6
..........................................................
Source: Newspapers: Corriere della Sera, Resto del Carlino and Stadio/Corriere dello Sport. Per il
1996/97 e 1997/98: La Repubblica, La Gazzetta dello Sport, Il Resto del Carlino e L’Unità.
Come si vede da questa tavola, dopo aver raggiunto un picco nella stagione 1990/91, il numero degli
incidenti tra gruppi ultras italiani tenderebbe a diminuire e mostrerebbe una forte riduzione soprattutto
dal campionato 1994/95 in poi. Contrariamente a Dunning, però, riteniamo che la diminuzione degli
episodi "registrati" di football hooliganism non dipenda dalla minor attenzione riservata dagli organi di
stampa a questo fenomeno.
E' certo possibile che, dopo decenni di attenzione a volte anche ossessiva per questo fenomeno,
nella stampa non solo sportiva sia subentrato un calo di interesse dovuto anche all’emergere con forza,
nel corso degli ultimi anni, di nuovi temi (ci riferiamo, ad esempio alla sentenza Bosman, o alla forte
spinta alla commercializzazione attuata dalle società di calcio). Allo stesso tempo, però, l’analisi degli
importanti mutamenti avvenuti all'interno dello stesso mondo ultras negli ultimi anni, ci porta a
supporre che, nonostante le cifre rilevino inevitabilmente valori sottostimati rispetto al numero di
incidenti realmente avvenuti, la loro diminuzione corrisponda ad un trend reale.
Ciò significa affermare che gli episodi di football hooliganism stiano per scomparire dalla scena
calcistica italiana come alcuni sostengono sia avvenuto in Inghilterra ?
La tesi che intendiamo sostenere in questo saggio non è questa. E' nostra convinzione piuttosto che
siano diminuiti gli episodi di football hooliganism di tipo tradizionale e che essi siano stati sostituiti, in
parte, da nuove forme di conflittualità da stadio ancora, per molti aspetti, da scoprire ed esaminare.
Prima di discutere questo punto, però, è opportuno ricordare brevemente i tratti salienti e peculiari
che hanno caratterizzato, e che ancora in buona parte caratterizzano questo mondo e lo distinguono da
quello che è il modello hooligan inglese e nordeuropeo. Innanzittutto, sono profondamente diversi i
contesti in cui i due fenomeni vanno ad inserirsi. In Inghilterra, patria del calcio, la passione per questo
spettacolo sportivo ha coinvolto, sino a tempi recenti, prevalentemente la working class. Per avere
un’idea della compenetrazione tra calcio e cultura operaia in Inghilterra, basti pensare all’architettura
degli stadi che, con le sue forme, richiama molto da vicino la tipica struttura delle fabbriche; o ancora,
come ci ricorda Taylor, l’origine operaia di molte delle squadre inglesi.10E proprio in virtù di queste
origini e di questo legame, come gli studi condotti dai colleghi inglesi ci hanno insegnato, il modello
di football hooliganism inglese si manifesta come una sorta di prolungamento del tradizionale schema
comportamentale della rough working class. Il gruppo hooligan proviene solitamente dagli strati più
bassi della società11; adotta quello che è stato definito lo Stile Maschio Violento; tende ad aggregarsi
soprattutto per tifare durante la partita e per aggredire i tifosi avversari; rivela, infine, una assenza di
10
Ad esempio, il West Ham, fondato da un gruppo di operai del settore delle acciaierie; lo Sheffield United, nato per
volere di alcuni artigiani che lavoravano i coltelli; il Manchester United, costituitosi grazie alla volontà degli operai che
costruivano la rete ferroviaria. Su questo argomento cfr, Taylor I.:”Hooligans: Soccer’s Resistance Movement”, New
Society, 7 August 1969; pp. 204-6.
11
Studi recenti hanno comunque dato dei risultati diversi, dai quali emerge un allargamento della base sociale degli
hooligans. Cfr Kerr J.H., Understanding Soccer Hooliganism; Open Univerity Press, Buckingham, 1994 e Armstrong G.,
Football Hooligans; Berg, Oxford, 1998.
3
Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
forme evolute e durevoli di coordinamento, di organizzazione e di promozione delle attività di curva.
In Italia, invece, il legame tra il calcio e la classe operaia è, sin dall’origine, molto più labile e la
passione per il calcio ha sempre coinvolto un gran numero di individui provenienti da tutti i ceti
sociali. Così il gruppo ultrà, che pure nasce risentendo dell'influenza del modello hooligan inglese, è,
nella sua composizione sociale, tendenzialmente più interclassista (rilevante, tra l'altro, è la presenza
femminile al suo interno) e coniuga al tipico ribellismo giovanile una vocazione politica antisistema,
mutuata dai gruppi politici estremisti che in quegli anni in Italia occupavano le piazze e fornivano un
ottimo esempio di spirito di gruppo, durezza e compattezza12. Questa caratteristica peculiare
contribuisce a far sì che il movimento ultras mutui dalla sfera politica modi di agire e forme di
organizzazione, e si doti di strutture organizzative stabili e complesse, capaci di mobilitarsi sia verso le
attività interne (come l'allestimento di coreografie, la produzione di striscioni e bandiere) sia verso
quelle esterne (la produzione e la vendita di gadgets, il tesseramento, le sottoscrizioni, il rapporto con
le società di calcio etc).
Queste differenze hanno dato vita a due diversi sistemi di tifo. Il modello inglese, centrato su una
serie di attività che esaltano il senso di gruppo ma non implicano, in particolare, un durevole e costante
impegno extrapartita e nel corso dell'intera settimana, nè tantomeno gruppi di lavoro o responsabili di
settore per le varie attività. E il modello italian, in cui il gruppo ultras è più proteso verso l'esterno ed è
in grado di mettere in piedi, grazie alle sue strutture organizzative, manifestazioni carnevalesche di tifo
che coinvolgono l'intera curva e richiedono un forte impegno economico, di lavoro e di
coordinamento. Considerate le diverse caratteristche risulta evidente come anche la violenza abbia
assunto un peso differente nei due modelli: per gli hooligans inglesi è il principale strumento di
aggregazione e unione; per gli ultras italiani, influenzati dalla visione politica della violenza come
strumento e non come fine, essa ha rappresentato, invece, una delle opzioni del gruppo. Il gruppo ultrà,
infatti, affidava il proprio senso di comunità anche ad altre manifestazioni che venivano ad assumere
un alto valore simbolico (quali, ad esempio, l’organizzare coreografie, l'autoprodursi il materiale, il
partecipare, da militante, alle riunioni organizzative infrasettimanali). Proprio per la sua natura
associativa complessa, il repertorio di norme non scritte che regolavano e controllavano i
comportamenti dei membri del gruppo ultrà rispetto alla violenza era molto più complesso e preciso di
quello delineato da Marsh e colleghi nel loro libro The rules of disorder sui comportamenti degli
hooligans inglesi. Ad esempio, la violenza veniva praticata non indistintamente, ma solo in determinati
casi e contro alcuni precisi gruppi di ultras considerati nemici; erano i componenti del direttivo (le
persone che coordinavano e gestivano le attività del gruppo) che decidevano se ed in che modo
praticare violenza; i più giovani potevano partecipare agli scontri solo dopo aver dato ampia prova di
affidabilità non solo nel campo militare ma anche in quello organizzativo; era proibito coinvolgere
negli scontri persone estranee alla logica ultrà come era proibito fare atti di vandalismo gratuiti.
Nello stesso tempo, però, il meccanismo di autoriproduzione dei gruppi ultras italiani ha presentato
alcuni tratti comuni ai gruppi hooligan. Infatti, anche per quanto riguarda gli ultras lo stadio ha
rappresentato la tappa conclusiva di un processo di socializzazione alla vita di gruppo che avveniva
altrove - quartieri, bar, compagnie di amici, centri giovanili, gruppi politici - e aveva il suo punto
culminante nello stadio, con l'ammissione di alcuni di loro nei gruppi di curva. Era cioè in altri spazi
sociali, e non sugli spalti, che per molti iniziava, fino a qualche tempo fa, il cammino per diventare un
ultras. Questo meccanismo richiama il modo in cui, secondo Dunning, si sono formate alcune football
ends inglesi.13 Era in questi luoghi che avveniva l'apprendimento, da parte del giovane, di quella
12
Cfr. su questo tema, tra gli altri, Balestri C., Podaliri C.: The ultras, racism and football culture in Italy, in A. Brown
(edited): Fanatics, Routledge, London, 1998.
13
Tale meccanismo, afferma Dunning, si basa sul principio della segmentazione ordinata (ordered
segmentation) ossia sul fatto che gruppi giovanili appartenenti ad una stessa comunità, ma tra loro
indipendenti, hanno la tendenza ad unirsi secondo una sequenza fissa di fronte all’eventualità di un
conflitto con gruppi giovanili di altre comunità. Cfr. E. Dunning, P. Murphy e J. Williams: The roots
of Football Hooliganism, Routledge, London, 1987; pag 201 e segg.. Da notare che tale meccanismo,
4
Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
"grammatica etico normativa"14 consistente nel mostrare doti di affidabilità, coraggio, solidarietà e
durezza, grazie alle quali il giovane alla fine era considerato uno del gruppo. Spesso, quindi, questo
passaggio era propedeutico ad arrivare a far parte, a pieno titolo, della vita di curva e del gruppo ultras.
A questo punto aveva inizio la fase dell'adattamento e perfezionamento del codice appreso al contesto
specifico della curva, dove le gerarchie e le competenze erano molto più strutturate, formalizzate e
vincolanti. Era così che le esperienze maturate fuori dal confine dello stadio venivano riassorbite dal
gruppo ultrà classico in schemi tematici ricorrenti - la coralità assorbente, gli slogan ossessivi, la
militarizzazione del gruppo, una rassicurante visione manichea - e ripopolavano continuamente
l'immaginario del giovane tifoso di nuove figure mitiche e nuovi contenuti simbolici tratti dallo
specifico contesto del calcio. Per questo motivo bisogna riconoscere che la cultura ultras dei gruppi
storici è stata per lungo tempo una cultura forte, poichè si è dimostrata capace di trasformare la curva
in un territorio in cui, al di là della provenienza sociale, delle motivazioni e degli stimoli soggettivi,
dei differenti stili di vita, valevano per tutti i giovani tifosi le medesime regole e norme. Ed è stata una
cultura che ha imposto una sorta di monopolio all'uso della violenza, indirizzandola solo verso nemici
esterni, ed è riuscita a far tacere, dentro la curva, le differenti opinioni personali in nome della comune
fede di gruppo. In sostanza è riuscita a dare ad ogni singola realtà del movimento ultras italiano tutte le
caratteristiche di un microcosmo autosufficiente e totalizzante, capace di integrare emotivamente ogni
membro nel proprio ruolo, nei propri doveri e nel senso di appartenenza ad una dimensione collettiva.
Così nelle parole di un ultras: "Per me essere ultras è uno stile di vita: il lunedì fai il bilancio della
domenica e per tutta la settimana ci si sbatte per i finanziamenti, i pullman, gli striscioni, i fumogeni.
La domenica alle 9 di mattina sei allo stadio per i preparativi....Così si sono creati legami
forti......Quello ultras è un fenomeno collettivo, di gruppo pesante"15.
III. La morte di un ultras.
Alla fine degli Anni Ottanta, il meccanismo sopra descritto comincia ad entrare in crisi, una crisi
tuttora in atto e che sta producendo varie trasformazioni. Proviamo ad analizzarne le ragioni,
cominciando col raccontare un episodio che, forse, ha toccato ed è coinciso con l'apice della crisi delle
norme che regolano il movimento ultras italiano: l'uccisione del tifoso del Genoa Vincenzo Spagnolo.
Il 29 gennaio 1995, in occasione della partita di campionato italiano Genoa - Milan, un giovane
sostenitore del Genoa viene accoltellato da un piccolo gruppo di tifosi milanisti e rimane ucciso.
L'episodio genera, oltre che una ondata di allarme tra l'opinione pubblica e una rinnovata richiesta di
inasprimento delle misure repressive, anche una risposta simbolica: tutti i campionati di calcio
vengono sospesi per una domenica.
Ma perchè muore quel giovane tifoso ? I fatti, in breve, sono questi. Come in molti altri stadi italiani,
la curva del Milan non presenta più il quadro che era tipico delle curve italiane, caratterizzate da alcuni
grandi gruppi ultras organizzati al loro interno e tra loro coordinati, e soprattutto capaci di esercitare
una sorta di egemonia sui comportamenti dei tifosi della curva. Ora, la curva milanista ha smarrito
questo carattere unitario ed i grandi gruppi hanno in parte perso la loro capacità egemonica.
Soprattutto, si assiste al proliferare di piccole formazioni che operano in maniera autonoma, secondo
logiche occasionali e spesso imprevedibili. Tra queste piccole nuove formazioni spontanee vi è anche
un gruppo di giovani - conosciuti con il nome "Barbour", per via della caratteristica giacca di moda tra
molti giovani italiani - che vorrebbe entrare a far parte delle Brigate Rossonere 2, una nuova
formazione ultras, nata dalla scissione di uno dei maggiori gruppi milanisti, le Brigate Rossonere
appunto. Gli esponenti di questo nuovo gruppo decidono di fare una azione spettacolare per farsi
in Italia, non funziona nelle città dove esistono due tifoserie rivali. In questi casi, infatti, le due
tifoserie non si alleano per fronteggiare i nemici esterni.
14
A. Salvini: Il rito aggressivo, Giunti, Firenze, 1988; pag.141.
15
A. Roversi:
5
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conoscere e rispettare sia all'interno della curva milanista che fuori. Coinvolgono anche i giovani del
gruppo Barbour e decidono di organizzare una spedizione punitiva contro i genoani.
Si tratta chiaramente di una decisione presa autonomamente senza consultare gli altri gruppi della
curva (comportamento anni prima impensabile!).Il gruppo non utilizza il treno speciale dei tifosi
milanisti, ma ne prende uno di linea, per sottrarsi ai controlli di polizia. Non indossa alcun emblema
del Milan per non farsi identificare. Giunto nei pressi dello stadio Marassi di Genova ed individuato un
gruppo di tifosi avversari ecco che scatta l'aggressione. Il giovane Vincenzo Spagnolo affronta il
diciottenne Simone Barbaglia a mani nude, secondo la logica ultras, il ragazzo gli risponde
piantandogli un coltello vicino al cuore. Spagnolo morirà poco dopo all’ospedale.
La notizia del decesso del giovane viene diramata via radio 5 minuti prima della fine del primo
tempo. In quel momento, i tifosi genoani, che già sapevano che un loro compagno era stato ferito,
reagiscono tentando di interrompere la partita. Dirigenti e giocatori delle due squadre accolgono le
richieste della curva lasciando, nel secondo tempo, il campo vuoto e libero al dolore. Finita la partita
rimane, però, la rabbia dei tifosi genoani. Sono disperati e furiosi: tentano invano di raggiungere il
settore dei tifosi milanisti per vendicare il loro compagno. Per tutta la notte si scatena una guerriglia
urbana secondo i codici comportamentali ultras che produce 7 contusi e molti milioni di danni. Sono
bastati, invece, 4 soli secondi di violenza anomica per produrrre un danno irreparabile: la morte di
Vincenzo Spagnolo.
Sette giorni dopo la morte di Vincenzo Spagnolo, nella domenica senza calcio, su iniziativa dei
leader delle due tifoserie di Genova (Genoa e Sampdoria), viene organizzato un raduno nazionale tra
ultras. Gli ultras si incontrano per riflettere - sul loro mondo, sui cambiamenti che ne hanno stravolto
la fisionomia - nel tentativo di porre dei limiti alla violenza e di ridisegnare delle regole per un mondo
che sembra non averne più.
Ma vediamo ora, prima di affrontare i contenuti del raduno di Genova, di delineare le ragioni
oggettive della crisi.. Abbiamo già detto che il forte collante rappresentato dall'essere ultras non regge
più nelle curve. L'esempio della curva del Milan è paradigmatico della perdita di unità e compattezza
che colpisce, negli ultimi anni, il mondo ultras originario: è fin troppo facile ora per alcuni ragazzini
senza storia dar vita a singoli gruppetti ed agire autonomamente. All'interno degli stessi gruppi si
verificano attriti spesso pesanti (tali comunque da minarne la già relativa unità). I rapporti tra i grandi
gruppi di curva sono divenuti tutt'altro che idilliaci.
Già nel corso degli Anni Ottanta, anni in cui il movimento si allarga in progressione geometrica
anche sui campi minori e provinciali, al suo interno hanno luogo mutamenti strutturali rilevanti. Sono
cambiamenti dovuti, in parte, al forte ricambio generazionale soprattutto della leadership (alcuni dei
capi storici sono uccisi dall'eroina), ma anche al generale riflusso dei movimenti politici (la cui
influenza aveva conferito a gran parte del movimento ultras un ulteriore elemento di identificazione ed
unità) ed alla parallela disgregazione di molti spazi aggregativi e di socializzazione esterni allo stadio
(che, come abbiamo visto, costituivano il primo gradino di identificazione per il giovane futuro ultras).
All'interno del movimento ultras, si sviluppa così la tendenza a conferire maggior importanza al senso
di appartenenza locale e ad utilizzare sistematicamente le contrapposizioni campanilistiche nella
individuazione degli ultras da considerare nemici. Parallelamente prende sempre più piede anche la
tendenza a considerare la violenza non più come strumento, ma come possibilità di espressione fine a
se stessa. E' per questi motivi che lo spirito di gruppo, basato sul culto della durezza e su una
organizzazione paramilitare, assieme all'attaccamento morboso per la piccola patria, preparano il
terreno ad un fertile inserimento di atteggiamenti razzisti e xenofobi. Alcuni di questi gruppi, che si
dichiareranno poi, all'inizio degli Anni '90, dichiaratamente di destra, cominciano a cercare di scalzare
dalla leadership di curva i gruppi storici, esercitando una pericolosa attrazione con azioni
militari/eroiche, cercando di sgretolare il consenso di curva degli altri gruppi anche dal punto di vista
delle attività più espressive, arrivando anche a regolamenti di conti tramite lo scontro fisico.
Ma le dinamiche che attraversano le curve in questi anni ed i conflitti che ne scaturiscono hanno
riguardato anche altri aspetti. Ad esempio quello economico. Il gruppo ultras ha sempre avuto bisogno,
proprio per sostenere tutte le sue molteplici attività, di cospique entrate economiche che ha ricercato
attraverso forme di autofinanziamento (tesseramento, vendita materiale) ma anche, in alcune
situazioni, attraverso rapporti non sempre limpidi e chiari con le società di calcio. Diventa così
inevitabile che, all'interno dei gruppi ultras, compaiano anche personaggi che, con molta disinvoltura,
approfittano della loro posizione per ottenere biglietti omaggio dalla società e rivenderli per
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Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
guadagnarci personalmente; o persone che, con il beneplacito del club, aprono dei punti vendita con il
merchandising ultras. Questa situazione, degenerata dalla fine degli Anni Ottanta, ha dato avvio a
polemiche, contrasti ed anche veri e propri conflitti che durano tuttora, tra una linea "affaristica", una
"dura e pura" che rifiuta perfino meccanismi minimi di sponsorizzazione, ed una terza fautrice della
classica via di mezzo.
Più in generale, comunque, le curve finiscono per diventare specchio di una società sempre più
atomizzata e sempre meno capace di produrre ragioni e valori dello stare insieme. Se, fino agli Anni
Ottanta, lo stadio si poneva come punto d'arrivo di un percorso aggregativo che aveva inizio nel
quartiere, nel bar, nei luoghi della politica, capaci di produrre legami veri e di coinvolgere grandi
numeri, ora si assiste ad una frammentazione incapace di riprodurre le ragioni dell'identità comune e
della socialità. E lo stadio, pur rimanendo luogo di socialità privilegiato, non può non subire le
ripercussioni di un contesto così delineato16.
Ecco allora diminuire l'interesse e la partecipazione alla vita del gruppo, venir meno quella militanza
che fa dell'essere ultras uno stile di vità totalizzante e coinvolgente. Tutto ciò porta come diretta
conseguenza un assottigliamento dei direttivi dei gruppi che perdono il controllo e l'egemonia
sull'intera curva. Si indeboliscono i meccanismi del rispetto del più anziano e della necessità
dell'apprendistato. Si assiste al proliferare di "cani sciolti", giovani che non si riconoscono in nessuno
dei gruppi presenti in curva e che, spesso senza esperienza, si rendono protagonisti di atti vandalici
gratuiti e pericolosi, senza considerare ,nè tantomeno conoscere, la storia e le regole del movimento
ultras. Anche i gemellaggi tra tifoserie, un tempo simbolo di rispetto ed amicizia tra diverse curve (ed i
loro capi) tendono a rompersi o a non rinnovarsi. In una curva frammentata è sufficiente un solo
gruppo contrario o un manipolo di "cani sciolti" che attacchi i tifosi gemellati per far saltare l'intera
alleanza.
Ai problemi interni al mondo ultras si sommano poi quelli relativi alla repressione esterna. Alcuni
gravi episodi avvenuti nel 1989 avevano portano il Governo italiano ad adottare misure eccezionali
nei confronti dei fenomeni di violenza connessi alle manifestazioni sportive. Nasce così la legge 401
che introduce il divieto di ingresso allo stadio come misura preventiva da adottare contro chi viene
denunciato per reati di violenza sportiva. Questa legge unita al diffondersi, in occasione di Italia '90, di
telecamere a circuito chiuso per riprendere i comportamenti degli ultras negli stadi italiani e nelle vie
di transito dei tifosi, comincia a colpire alcuni dei responsabili dei gruppi, contribuendo così ad
acuirne la crisi.
IV. Si apre una nuova fase.
E’ in un contesto così delineato che si consuma, dunque, l’omicidio Spagnolo. Il raduno ultrà
organizzato la settimana successiva alla morte del tifoso diventa così la presa d'atto ufficiale e
soggettiva, da parte del movimento ultras, della profonda crisi in corso. A Genova giungono i leaders
di quasi tutti i gruppi ultras d'Italia, rendendo esplicite le contraddizioni e le profonde differenze che li
caratterizzano. Ci sono quelli che hanno ottimi rapporti con la società e sono bravi a sfruttare, per i
propri interessi personali, il giro di soldi legato alla vendita dei biglietti. Ci sono quelli che utilizzano
il razzismo ed una politica di destra allo stadio per tenere unito il gruppo. Altri, molti meno,
apertamente di sinistra. Ci sono alcuni vecchi (35 e più anni) che continuano a tenere le redini di
qualche gruppo. Ci sono giovani di 23/24 anni che hanno acquistato, senza aver troppa esperienza,
forte potere decisionale all’interno del proprio gruppo. L'incontro produce un risultato importante, un
comunicato sottoscritto dalla maggior parte dei presenti dal titolo "Basta lame basta infami" (No more
knifes, no more thugs). Nel documento sta scritto tra l'altro: "Basta con questi ultras che ultras non
sono, che cercano proprio a spese del mondo ultras di fare notizia, di diventare grandi ignorando il
16
Per un’analisi sulla disgregazione sociale giovanile, cfr, ad esempio, Luigi Berzano: Giovani e
violenza, Ananke, Torino, 1998. Dall’indagine svolta sul territorio di Torino emerge, infatti, che i
gruppi di quartiere e le bande che avevano caratterizzato il territorio urbano fino agli anni Ottanta,
sono andate scomparendo nella loro quasi totalità.
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Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
male fatto (come in questo caso irreparabile). Basta con la moda dei 20 contro 2 o delle molotov e dei
coltelli".
Questo comunicato viene ferocemente criticato dalla maggior parte dell'opinione pubblica, dei
giornali e delle forze politiche italiane. Quasi nessuno coglie l'importante elemento di novità che esso
contiene. Quel documento, infatti, manifesta un preoccupato, seppur tardivo, riconoscimento della crisi
in atto all'interno del mondo ultras e il timore che l'intero movimento possa cadere sotto i colpi di chi,
con un comportamento vile ed irresponsabile - come il giovane assassino e il suo gruppo - nega i
tradizionali valori del mondo ultras, ne tradisce lo spirito originario e fornisce così il pretesto per un
ulteriore inasprimento della repressione da parte delle forze dell'ordine. Esercitando una severa
autocritica per non aver compreso per tempo che l'escaltion della violenza senza regole veniva a
minare le fondamenta stesse del movimento, gli ultras decidono da quel momento di ridisegnare i
codici e le regole relativi all'uso della violenza e considerano infame, cioè fuori dal movimento, non
più - o meglio non solo - chi tradisce il compagno o il suo gruppo, ma chi non rispetta le regole.
Già da subito dopo il raduno di Genova, si possono notare alcuni effetti. La maggior parte dei gruppi si
attiene alle indicazioni del documento, alcuni arrivano persino a sconfessare la violenza come metodo
lecito d'azione. Altri gruppi, invece, più o meno velatamente, non condividono e non accettano il
divieto di usare armi. In generale, comunque, gli atti di violenza diminuiscono anche se, tra il febbraio
1995 e il giugno 1997, il numero di feriti da arma da taglio rimane molto elevato (14 persone: tutti
feriti ad una coscia tranne un giovane marocchino ferito gravemente alla schiena da un gruppo di ultras
bolognesi in spedizione punitiva ). E' però significativo che, durante l'ultimo campionato 1997/1998,
non vi siano stati feriti da arma da taglio. Altrettanto significativo è il fatto che molti degli
accoltellatori pare provengano non tanto da gruppi organizzati, ma dalla schiera dei "cani sciolti".
La reale diminuzione degli episodi di violenza non ci deve far sottovalutare, però, uno spostamento
degli incidenti verso le Serie minori ed il rilevante numero di episodi violenti avvenuti negli stadi del
Sud Italia. E soprattutto non ci deve far sottovalutare quello che appare come un vero elemento di
novità di questi ultimi anni, vale a dire il numero molto alto di incidenti che coinvolgono ultras e forze
dell'Ordine. Ci riferiamo non agli episodi che riguardano l'intervento delle forze dell'Ordine per evitare
lo scontro fra due fazioni rivali, ma agli scontri diretti tra gruppi ultras e forze dell'Ordine, in assenza
completa dei tifosi avversari. Dal febbraio del 1995 ad oggi, questo tipo di incidenti sono stati ben 28,
su un numero di incidenti censiti per le sole due maggiori Serie pari ad 82,. Il rapporto tra ultras e
forze dell'Ordine è, in altre parole, notevolmente peggiorato nel corso degli ultimi anni. Ha certo
contribuito ad inasprire il clima la nuova legge votata in Parlamento subito dopo l'omicidio Spagnolo
che ha reso ancora più restrittiva la norma del divieto di ingresso allo stadio. Con questo strumento le
Forze dell'Ordine hanno strategicamente puntato, alcune volte in modo anche troppo esplicito, a
neutralizzare i responsabili dei direttivi ultras (gli unici cioè in grado di esercitare un controllo, seppur
parziale, sulla violenza nelle curve), tralasciando i "cani sciolti", spesso i maggiori responsabili degli
episodi di violenza.
La stessa presenza della polizia dentro e attorno gli stadi, che spesso rasenta una vera e propria
militarizzazione del territorio, finisce per produrre un aumento, talvolta esagerato ed immotivato, della
repressione. Sempre più spesso, poi, alcuni comportamenti non proprio lungimiranti delle forze
dell'ordine hanno finito per innescare meccanismi di reazione da parte dei gruppi ultras o per sfociare
in grosse ed ingiustificate cariche contro tutti i tifosi senza distinzione (per restare ad episodi recenti
possiamo citare le forti critiche mosse dal governo britannico per il comportamento violento ed
aggressivo della polizia italiana ai danni dei tifosi inglesi prima, durante e dopo la partita ItaliaInghilterra giocata a Roma nell'ottobre 1997)
Più in generale si può dire che il raduno di Genova apra una nuova fase. Da quel momento molti
gruppi ultrà tentano, con più forza, di riproporsi come agenzia di socializzazione che non abbia come
unico obiettivo quello di praticare violenza. Si impegnano così maggiormente nell’organizzare
iniziative benefiche, quasi a sottolineare l’aspetto più solidaristico del movimento (dall'iniziativa
nazionale di sostegno al Telefono Azzurro; agli aiuti umanitari che molti gruppi ultras italiani hanno
raccolto per l'ex Jugoslavia). Ma soprattutto decidono di continuare ad incontrarsi. Infatti, nonostante
le profonde differenze ed i contrasti - ed aldilà delle appartenenze di classe sociale ed anagrafica, i
backgrounds culturali e politici - , si fa strada, tra i gruppi una consapevolezza nuova: che esista , per
tutti loro, oltre le differenze, un’unità di fondo e di grado più alto; quella della comune appartenenza al
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Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
movimento ultrà17. Sembra quasi un paradosso, ma proprio nel momento di maggior debolezza interna,
i gruppi ultrà, tradizionalmente rivali, si scoprono capaci di trovare punti di contatto e di azione
comune tra loro. Ecco che, dunque, il maggior risultato del raduno di Genova, nel quale per la prima
volta gli ultrà di tutta Italia si incontrano, si conoscono e si confrontano, diventa proprio la ricerca,
sempre più marcata, di ulteriori momenti di dialogo tra gli ultrà, e proprio quest’esigenza porterà
all’organizzazione di altri raduni18.
La ricerca dell’incontro e del confronto interno al movimento ultrà è diventato, dunque, un modo per
difendersi dalle degenerazioni violente interne, ma anche per fare quadrato contro un’opinione
pubblica che considera gli ultrà unicamente come feroci criminali, un apparato istituzionale che,
specialmente dopo l’omicidio Spagnolo, ha ulteriormente affilato le armi della repressione, ed
un’industria calcistica che tende a sottrarre significato all’essere tifoso per relegare il frequentatore
dello stadio al ruolo di semplice consumatore dell’evento sportivo.
Ecco così che l’essere ultrà viene anche a connotarsi, ed è questa la novità dopo l’omicidio Spagnolo,
per l’appartenenza ad un movimento quasi di resistenza, che non lotta, come qualcuno scrisse19, contro
l’imborghesimento del calcio, ma contro il tentativo di imborghesire il fenomeno del tifo calcistico, e
di distruggerne la cultura popolare di cui gli ultrà, in Italia, si sentono i legittimi depositari.
IV Conclusioni.
Per concludere vorremmo soffermarci su due punti.
Il primo punto vuole ribadire che, in Italia, anche se il meccanismo di autoproduzione dei gruppi ultrà
ricordava molto da vicino il principio della segmentazione ordinata introdotto da Dunning, la base
sociale degli ultrà non è mai stata composta prevalentemente dagli strati più bassi della società. Anzi,
dalle uniche due ricerche da cui emerge la provenienza sociale degli ultrà svolte a Bologna (Roversi:
Calcio, tifo e violenza) ed a Pisa (Salvini: Il rito aggressivo) appare chiaro come, nel primo caso vi
fosse sì una maggior provenienza dalla classe operaia, ma di quella più integrata e meno marginale,
mentre nel secondo caso la maggioranza degli ultrà provenisse addirittura dalla piccola borghesia
cittadina.
Lo stesso meccanismo che vedeva i gruppi ultrà autoprodursi, attraverso l’alleanza di gruppi giovanili
autonomi ma appartenenti ad una stessa comunità, è entrato pesantemente in crisi verso la fine degli
Anni Ottanta, di fronte alla disgregazione degli spazi di socializzazione giovanile presenti nelle città.
Così, oggigiorno, è molto più facile che avvenga il processo inverso, cioè che lo stadio si configuri
come luogo di socialità primaria e che in esso prenda forma e struttura una comunità capace di porsi e
di agire anche fuori dallo stadio, negli altri luoghi della città. Infatti, le curve degli stadi, nonostante i
segnali di atomizzazione e di disgregazione di cui abbiamo accennato, rappresentano ancora uno dei
luoghi forti di socialità.
Il secondo punto su cui vogliamo soffermarci è quello relativo alla violenza nel mondo del tifo
calcistico. E’ questo un problema che, come rileva anche Dunning, in Italia, nonostante la diminuzione
degli incidenti, rimane tuttora irrisolto. Forse perchè finora, nel nostro paese, l’unica risposta per
17
Chiamiamo il mondo degli ultrà movimento perchè così si definiscono gli ultras stessi e anche perchè questo mondo non
si discosta molto dalla definizione che Melucci dà del concetto di movimento: “fenomeno collettivo che si presenta con una
certa unità esterna, ma che al suo interno contiene significati, forme d’azione, modi di organizzazione molto differenziati.”.
In Alberto Melucci: L’Invenzione del presente, Il Mulino, Bologna, 1982; pag. 15.
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Nel 1998, grazie anche all'attività del Progetto Ultrà , la strategia del confronto e del dialogo attorno a temi ultras è
diventata pratica comune. I temi affrontati nei raduni riguardano la mentalità originaria degli ultras, i diritti dei tifosi e la
difesa della cultura popolare del tifo di fronte all'avanzata dell'industria calcio.
19
Cfr. I. Taylor: op. cit..
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Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo
arginare il fenomeno del tifo violento è stata l’adozione di misure d’ordine pubblico e di controllo
sociale sempre maggiore.
Si è, insomma, pensato di delegare alle sole Forze dell’Ordine il compito di contenere, reprimere, e
punire il tifo violento. Ed il risultato, come appare anche dagli ultimi dati in nostro possesso, è ancora
una grande tensione intorno ai campi da gioco, ed un’esasperazione del conflitto, non tanto, come
abbiamo visto, tra ultrà delle opposte tifoserie, ma tra ultrà e forze dell’ordine.
Per questo, per arginare, in maniera più efficace, i comportamenti violenti occorrerebbe introdurre, a
fianco dei provvedimenti repressivi, misure di intervento sociale, con politiche non tanto mirate a
controllare e reprimere, ma capaci di analizzare i motivi di questa violenza e di incidere, con un lavoro
di lungo periodo, sulla mentalità che sta alla base di certi atteggiamenti. Da una conoscenza
approfondita del fenomeno del tifo di curva, infatti, emerge un universo variegato e contraddittorio,
un luogo di aggregazione sociale giovanile portatore anche di valori positivi ed energie potenti, di cui
la violenza espressa in varie occasioni non rappresenta che uno degli aspetti. Inoltre, l’applicazione di
una politica di intervento sociale consentirebbe tramite, ad esempio, l’ausilio e la mediazione di alcune
agenzie sociali (ci si riferisce ad esperienze simili già radicate in altri paesi come, ad esempio: i
Fanprojekte tedeschi; i Fancoaching belgi; la stessa Football Supporter Association in Inghilterra) di
attivare un dialogo tra tifosi autoorganizzati ed istituzioni, premessa indispensabile non solo per creare
un clima meno teso negli stadi, ma anche per evitare la marginalizzazione, qualunque sia la loro
effettiva provenienza e composizione sociale, di gruppi autorganizzati di popolazione.
La seguente bibliografia si propone di offrire al lettore un ampio panorama dei lavori pubblicati in
Italia sull’argomento.
Bibliografia:
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Boys Parma: Boys 1977-1997: 20anni di tradizione!,Parma, 1997
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Cametti Silvio: I guerrieri di Verona-Brigate gialloblu' dal 1971ad oggi, Sport Comunication, Verona,
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Collettivo Autonomo Curva Nord Ancona: 1987-1997, Un guerriero non si ferma mai, Ancona, 1997
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