organismi di diritto pubblico

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organismi di diritto pubblico
Oggetto: ORGANISMI DIRITTO PUBBLICO
In risposta al quesito formulatomi, premetto che la definizione dell’ambito soggettivo dei contratti
pubblici, quale definita dalla normativa nazionale, postula il collegamento con un’amministrazione
pubblica.
L’art.3, comma 25, D.Lgs. n.163/2006 elenca, tra le “amministrazioni aggiudicatici”, gli “organismi
di diritto pubblico”.
Pertanto tali organismi sono obbligati all’osservanza delle procedure ad evidenza pubblica.
La definizione di organismo di diritto pubblico è fornita dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 65, art. 2
(che ha sostituito il D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, art. 2), il quale nello statuire, in materia di
appalti pubblici, che rientrano tra le amministrazioni aggiudicatrici gli organismi di diritto pubblico,
da di detti organismi la seguente definizione: sono tali gli organismi dotati di personalità giuridica,
istituiti per soddisfare specifiche finalità d'interesse generale non aventi carattere industriale o
commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle Regioni, dagli enti
locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al controllo
o i cui organi d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da
componenti designati dai medesimi soggetti pubblici".
Tale disposizione è stata poi recepita nel D.Lgs. 17 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), il quale
all'art. 3 (sulle definizioni) comma 26 stabilisce:" L"organismo di diritto pubblico" è qualsiasi
organismo, anche in forma societaria:
- istituito per soddisfare specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o
commerciale;
- dotato di personalità giuridica;
- la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da
altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi
oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei
quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di
diritto pubblico.
Tale definizione ricalca pedissequamente la definizione di organismo di diritto pubblico data
dall'art. 1, lett. b) della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.
In giurisprudenza è pacifico che le tre sopra indicate condizioni richieste per la configurazione di un
organismo di diritto pubblico debbano ricorrere cumulativamente (tra le tante: C. giust. Ce 15
maggio 2003 in causa C-214/00, punti 21 e 38, in Urb. app., 2003, 885; C. giust. Ce 10 maggio
2001 in cause riun. C-223 e C-260/99, in Foro it., 2001, IV, 294; Cons. St., sez. VI, 9 giugno 2008
n. 2764; Cass., sez. un., 15 maggio 2006 n. 11088), e che la nozione di « bisogno non industriale »
o « commerciale », rientrando nel diritto comunitario, non possa essere modificata
discrezionalmente dal legislatore nazionale (C. giust. Ce 27 febbraio 2003 in causa C-373/2000,
punto 40, in Giur. it., 2003, 1687).
Più complessa è la loro concreta individuazione e, più in generale, la concreta identificazione degli
organismi in commento.
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A norma dell'art. 3, comma 27 D.Lgs. n.163/2006 « Gli elenchi, non tassativi, degli organismi e
delle categorie di organismi di diritto pubblico che soddisfano detti requisiti figurano nell'allegato
III, al fine dell'applicazione delle disposizioni delle parti I, II, IV e V » e sono: la società « Stretto di
Messina », l'ente « Mostra Oltremare », l'Enac, l'Enav, gli enti portuali, i consorzi per le opere
idrauliche, le università, le IPAB, gli istituti superiori scientifici e culturali, gli enti di ricerca e
previdenziali, i consorzi di bonifica, gli enti irrigui, i consorzi per le aree industriali, le comunità
montane, gli enti preposti ad attività di spettacolo sportive e turistiche, gli enti culturali di
promozione artistica.
L’inserimento della IPAB tra gli organismi di diritto pubblico va esaminato alla luce della riforma
di settore recata dalla legge delega n.328/2000 – che ha riconosciuto il ruolo istituzionale delle
IPAB nell’ambito del c.d. “terzo settore” quali parti costitutive della rete regionale dei servizi
sociali – e del successivo decreto legislativo attuativo n.207/2001.
In particolare con quest’ultima norma è stato attuato il processo di privatizzazione della IPAB
mediante la trasformazione obbligatoria in ASP (azienda per i servizi alla persona) – per quelle
prive delle caratteristiche indicate dal DPCM 16.2.1990 – oppure in persone giuridiche di diritto
privato (associazioni o fondazioni).
Con il primo modello è stata conservata la personalità giuridica di diritto pubblico, mentre con il
secondo dette istituzioni si sono, invece, trasformate in soggetti di diritto privato.
Le ASP (caratterizzate da: personalità giuridica di diritto pubblico, finalità socio assistenziali e non
di lucro, membri del CdA nominati dalla Regione) devono ascriversi al novero degli organismi di
diritto pubblico.
Diversamente, per le associazioni o fondazioni (caratterizzate, ai sensi degli artt. 16 – 18 del D.Lgs
n.207/2001 da: personalità giuridica di diritto privato, assenza dello scopo di lucro, piena autonomia
statutaria e gestionale, perseguimento di finalità di utilità sociale), deve procedersi ad una
valutazione caso per caso.
In generale, alla luce dei requisiti richiesti, cumulativamente, dall’art.3 del D.Lgs. n.163/2006 si
segnala che:
1) Il requisito soggettivo della personalità giuridica delle fondazioni (ex IPAB) non è in discussione
anche perché espressamente previsto nel citato art.16 D.Lgs. n.207/2001.
Il fatto che si tratti di personalità giuridica di diritto privato non è ostativo al riconoscimento della
natura di organismo di diritto pubblico, come ha chiarito la Corte di giustizia con sentenza del 15
maggio 2003, causa C-214/00 (in senso conforme Cassazione Civile, sez. un. ordinanza 8.2.2006
n.2637; Consiglio di Stato, sez. VI 16.6.2009 n.3829; Consiglio di Stato, sez. V, 12.10.2010
n.7393).
2) Quanto al requisito del soddisfacimento di esigenze di interesse generale non aventi carattere
industriale o commerciale, secondo l’art.16, comma 3, le ex IPAB trasformate in
fondazioni/associazioni non hanno scopo di lucro e “perseguono scopi di utilità sociale, utilizzando
tutte le modalità consentite dalla loro natura giuridica”.
Secondo il pertinente quadro giurisprudenziale, il requisito richiede che l’organismo sia istituito per
soddisfare esigenze della collettività attraverso lo svolgimento di attività rivolta a fini di utilità
generale e tali esigenze abbiano natura non industriale o commerciale.
Si è affermato che lo svolgimento di attività svolte al suddetto scopo soddisfa la condizione
richiesta dalla norma anche quando esse costituiscano solo una parte delle attività effettivamente
svolte, avendo il giudice comunitario chiarito che “la qualità di organismo di diritto pubblico non
dipende dall’importanza relativa che, nell’attività di organismo medesimo, è rivestita dal
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soddisfacimento di bisogni di interesse generale di carattere non industriale o commerciale,
risultando piuttosto sufficiente a tal fine che il perseguimento di tale tipologia di bisogno rientri tra
i compiti istituzionali dell’organismo di cui si discute, anche senza carattere di preminenza” (Corte
di giustizia, sentenza 15 gennaio 1998, in causa C-44/96; conformi Consiglio di Stato, sez. VI
19.5.2008 n.2280; Corte di Cassazione, sez. un. 7.10.2008 n.24722).
Il perseguimento di scopi di utilità sociale da parte delle fondazioni /associazioni ex IPAB sembra
soddisfare il requisito in parola atteso che tali attività (assistenza sociale e socio sanitaria, assistenza
sanitaria) rispondono a finalità di interesse generale di natura non industriale o commerciale.
Sul punto è opportuna, però, una ulteriore riflessione:
Le c.d. « esigenze di interesse generale » costituiscono una categoria ampia, all'interno della quale
si deve individuare la sottocategoria di quelle aventi carattere non industriale o commerciale: se un
ente, che pure persegua il soddisfacimento di esigenze di interesse generale, operi in un mercato
concorrenziale, ciò (secondo la prima giurisprudenza comunitaria) « può costituire indizio a
sostegno del fatto che non si tratti di un bisogno di interesse generale avente carattere non
industriale o commerciale » (ad esempio, secondo C. giust. Ce 10 novembre 1998 in causa C360/1996, punti 48-49, in Foro it., 1999, IV, 139). – Successivamente la Corte di giustizia ha
precisato che « l'esistenza di una concorrenza articolata consente, di per sé, di concludere per la
mancanza di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale » (C.
giust. Ce 27 febbraio 2003 in causa C-373/2000). Inoltre, se un ente persegua il soddisfacimento di
esigenze di interesse generale, senza scopo di lucro, ma in un settore caratterizzato da una
situazione di concorrenza effettiva e secondo criteri di economicità, sì da sopportare direttamente il
rischio economico della propria attività, non può essere considerato come organismo di diritto
pubblico (C. giust. Ce 10 maggio 2001 in cause riun. C-223/99 e C-260/99, punto 40, in Foro it.,
2001, IV, 294, sull'ente « Fiera di Milano »; cfr. Cass., sez. un., 4 aprile 2000 n. 97, in Foro amm.,
2001, 17).
In questo filone giurisprudenziale si colloca la sentenza della Corte di Cassazione, sezioni unite, 7
aprile 2010 n.8225, la quale ha chiarito che un ente, sebbene istituito per soddisfare esigenze di
interesse generale, non è configurabile come organismo di diritto pubblico quando svolga la sua
attività nel mercato concorrenziale e secondo criteri di economicità, essendo i relativi rischi
finanziari direttamente a suo carico.
Alla luce delle suddette pronunce giudiziali, la valutazione della sussistenza del requisito negativo
(non industrialità o non commercialità) va effettuata tenendo conto, da un lato, delle circostanze che
hanno presieduto alla creazione dell’organismo e, dall’altro, delle condizioni in cui l’organismo
esercita la sua attività.
Quindi, la prima operazione da effettuare, sebbene non risolutiva, è verificare se l’organismo
esercita la propria attività in regime di concorrenza. Inoltre, è necessario verificare se l’ente in
questione subisca le perdite connesse all’esercizio della sua attività.
L’assenza del rischio d’impresa consiste nella sopravvivenza di un soggetto in spregio dei principi
della normale gestione commerciale.
Affinché questa si realizzi è necessario che esista una connessione strutturale e, dunque, una
interdipendenza tra il bilancio di tale soggetto e il bilancio dello Stato o di un qualsiasi altro ente
pubblico.
Ciò posto - in un contesto caratterizzato sia dalla libertà di scelta delle unità d’offerta sociali e
sociosanitarie, sia dalla imminente introduzione del regime dei voucher - è legittimo chiedersi se
anche le fondazioni (e, in generale, le unità d’offerta sociosanitarie) appaiono destinate ormai a
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confrontarsi con le altre imprese del settore in reciproca concorrenza, sopportando il “rischio
d’impresa”.
3) Con riguardo alla terza condizione richiesta (dall'art. 3, comma 26, del codice dei contratti
pubblici) per la configurazione di un organismo di diritto pubblico, si ritiene che l'influenza
dominante dell'apparato pubblico operi « sotto i tre alternativi profili del finanziamento, controllo,
organizzazione » (Cons. St., sez. II, 30 giugno 2004 n. 2957, in Cons. St., 2005, I, 140; nel senso
dell'alternatività dei suddetti tre profili, anche Cass., sez. un., 15 maggio 2006 n. 11088).
Sul primo profilo, il concetto di « finanziamento maggioritario deve essere inteso secondo la sua
accezione comune, che è quantitativa e fa riferimento al superamento della metà dei finanziamenti
totali » (C. giust. Ce 3 ottobre 2000 in causa C-380/98, in Foro it., 2001, IV, 324).
Più complessa è l’interpretazione dell’espressione “finanziata” utilizzata dal Legislatore nazionale
(e comunitario).
Sul punto giova premettere che l'art. 8-quater d.lgs. n. 502 del 1992 dispone che "la qualità di
soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale
a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di
cui all'articolo 8-quinquies"; l'art. 8-bis del d. lgs. n. 502 del 1992 ulteriormente precisa che
l'esercizio di attività per conto ed a carico del servizio sanitario nazionale è subordinato, non solo
all'autorizzazione per la realizzazione e l'esercizio della struttura sanitaria ed al suo accreditamento
istituzionale, ma anche alla "stipulazione degli accordi contrattuali di cui all'art. 8-quinquies"; l'art.
8-quinquies del d. lgs. n. 502 del 1992 pone il rapporto di accreditamento su una base saldamente
negoziale: al di fuori del contratto la struttura accreditata non è obbligata a erogare prestazioni agli
assistiti del servizio sanitario regionale e, per converso, l'amministrazione sanitaria non è tenuta a
pagare la relativa remunerazione (Cons. st., sez. V, 30/4/2003, n. 2253); in forza dei principi che
regolano l'autonomia privata, così come non vi è modo di obbligare il privato a contrarre con
l'amministrazione, pure è da escludere che quest'ultima possa essere costretta ad acquistare
prestazioni sanitarie o socio-sanitarie in esubero rispetto alle esigenze programmate o in eccesso
rispetto alle risorse finanziarie disponibili (Cons. st., sez. V, 23/5/2005, n. 2581).
Pertanto l'acquisto delle prestazioni sanitarie e/o socio-sanitarie da parte dell'amministrazione
presuppone la stipulazione dell'accordo contrattuale, in mancanza del quale l'attività non può essere
esercitata per conto e a carico del servizio sanitario nazionale.
Gli accordi contrattuali di cui all'art. 8 quinquies, d.lg. n. 502 del 1992 (regime c.d.
dell'accreditamento che ha sostituito quello del convenzionamento sanitario) costituendo un nesso
organizzativo del servizio pubblico, e dunque partecipando della natura delle concessioni di servizio
pubblico, risultano inquadrabili nell'ambito nazionale degli accordi previsti dall'art. 11, l. 7 agosto
1990 n. 241, figura idonea ad evidenziare anche il carattere sinallagmatico degli impegni reciproci.
Ciò premesso, si può affermare che le somme versate dalle amministrazioni pubbliche, quale
corrispettivo di prestazioni contrattuali, non costituiscono finanziamento pubblico.
In sostanza, se, da un lato, la forma di finanziamento di un dato organismo può essere rivelatrice di
una stretta dipendenza di quest'ultimo rispetto ad un'altra amministrazione pubblica, dall'altro
bisogna però constatare come tale criterio non abbia valore assoluto. Non tutti i finanziamenti
erogati da un'amministrazione pubblica hanno per effetto di creare o rafforzare uno specifico
legame di subordinazione o dipendenza.
Soltanto le prestazioni che, mediante un aiuto finanziario versato senza specifica controprestazione,
finanzino o sostengano le attività dell'ente interessato possono essere qualificate come
"finanziamento pubblico".
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Ne consegue che la remunerazione di prestazioni erogate in base a tariffe predeterminate non
rappresenta un contributo o una sovvenzione in denaro, costituendo in questo caso il corrispettivo di
prestazioni contrattuali fornite dalle unità d’offerta.
Certo, un tale rapporto contrattuale può ugualmente determinare una situazione di dipendenza del
soggetto interessato nei confronti dell'amministrazione pubblica controparte; tuttavia, questa
dipendenza è di natura diversa da quella risultante da una semplice prestazione di sostegno. Infatti,
una tale dipendenza va piuttosto assimilata a quella esistente nelle normali relazioni commerciali,
che si sviluppano nell'ambito di contratti a carattere sinallagmatico liberamente negoziati tra le parti
contraenti (in senso conforme, Corte giustizia CE 03.10.2000 n.380).
Ad adiuvandum, il regime dei voucher (voluto dalla Regione) è un contributo alla tesi che le
organizzazioni private accreditate non svolgono attività soggetta a “finanziamento pubblico".
Sul secondo profilo della “dominanza pubblica” si è affermato in giurisprudenza che « il controllo
che secondo il diritto comunitario consente di individuare una dominanza pubblica sull'organismo
che ne è soggetto non consiste esclusivamente in un controllo di tipo amministrativo esercitabile
dagli enti pubblici sull'organizzazione e sulla gestione dell'attività di una società, ma anche in quello
conseguente all'acquisizione del pacchetto di maggioranza della società stessa o, comunque, della
quota di capitale sociale idonea in concreto ad assicurarne il controllo » (Cons. St., sez. V, 22
agosto 2003 n. 4748); « un mero controllo a posteriori non soddisfa il controllo della gestione,
mentre soddisfa detto criterio una situazione in cui i pubblici poteri verificano non solo i conti
annuali dell'organismo considerato, ma anche l'esattezza, la regolarità, l'economicità, la redditività e
la razionalità dell'amministrazione (cfr. C. giust. Ce 27 febbraio 2003 in causa C-373/2000) »
(Cons. St., sez. VI, 23 gennaio 2006 n. 182).
Infine, sul terzo alternativo profilo, nel caso in cui gli Statuti prevedano la nomina pubblica della
maggioranza dei componenti del CdA, tanto basta per ritenere soddisfatto il requisito di che trattasi.
Per maggiori chiarimenti, la questione deve essere affrontata caso per caso.
Segnalo, per completezza che, in ipotesi di applicazione della normativa in materia di appalti
pubblici, anche per le prestazioni sociosanitarie, intese come attività atte a soddisfare bisogni di
salute della persona, ossia di cura e assistenza di persone assistite dal S.s.n. (art. 3 septies commi 1 e
2, d.lg. n. 502 del 1992) resta la necessità di rispettare le regole generali di diritto interno e i principi
del diritto comunitario: infatti pur non riconducibili, immediatamente, alla disciplina comunitaria e
nazionale specificamente riferita ai contratti pubblici di servizi (direttiva 31 marzo 2004 n.
2004/18/Cee) e d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture)], le stesse vanno riportate alla previsione dell'allegato II B (che elenca i "servizi sanitari e
sociali") dell'art. 20 del d.lg. n. 163 del 2006. Secondo tale articolo, l'aggiudicazione degli appalti
aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B è disciplinata esclusivamente dagli art. 68
(specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e 225 (avvisi relativi
agli appalti aggiudicati); tuttavia per effetto del successivo art. 27 comma 1, d.lg. n. 163 del 2006,
"l'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in
parte, dall'applicazione del presente codice deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità" e "l'affidamento deve
essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto
(Consiglio Stato a. plen., 03/03/2008, n. 1).
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A disposizione, porgo cordiali saluti.
Avv. Emanuele Corli
Via Francesco Carini, 1
25121 Brescia
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