Onere della prova ed inerenza dei costi d`impresa alla luce della

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Onere della prova ed inerenza dei costi d`impresa alla luce della
APPROFONDIMENTI E PROCEDURE
Onere della prova ed inerenza dei costi d’impresa
alla luce della recente giurisprudenza
A cura di
Marco Bargagli
Dottore in economia
e giurisprudenza,
esperto di fiscalità
internazionale
Premessa
La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dell’inerenza dei costi sostenuti
dall’impresa e, in particolare, sull’onere della prova posto a carico del contribuente che intende
dedurre i costi sostenuti. Sullo specifico tema si sta ormai consolidando l’orientamento espresso da parte della giurisprudenza di legittimità, in base al quale grava sull’Amministrazione
finanziaria l’onere di provare che un costo dedotto dal reddito dell’impresa non risulta inerente
con l’attività esercitata dal soggetto economico. In questa sede saranno quindi ripercorsi, nei
tratti essenziali, gli elementi giuridici richiesti per la deduzione ai fini fiscali di un componente
negativo di reddito imputato in contabilità, nonchè illustrato il panorama giuridico di riferimento
in subiecta materia.
La suprema Cassazione, con la recente Sentenza n. 7881/2016 ha nuovamente affrontato il tema dell’onere della prova dell’inerenza dei costi derivanti dalle attività economiche
poste in essere dall’impresa.
In particolare, il contenzioso tributario era nato a seguito di una proposta di recupero a tassazione di costi indeducibili in quanto, a parere dell’ufficio, non idoneamente documentati.
Di contro, il contribuente reclamava la piena deducibilità delle spese sostenute che risultavano regolarmente documentate dalle fatture di acquisto ricevute da parte dei vari fornitori.
Inerenza
dei costi
sostenuti
L’art. 109, D.P.R. n. 917/1986, detta le regole generali previste per la deduzione delle spese
e degli altri componenti negativi dal reddito d’impresa.
In particolare, per espressa disposizione normativa, i ricavi, le spese e gli altri componenti
positivi e negativi di reddito, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.
Tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia
ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Con particolare riferimento al requisito dell’inerenza, le spese e gli altri componenti negativi di reddito diversi dagli interessi passivi1, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità
sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in
quanto esclusi (art. 109, co. 5, D.P.R. n. 917/1986).
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Che trovano la loro peculiare disciplina fiscale nell’art. 96, TUIR.
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La prassi ministeriale2 ha chiarito come il concetto di inerenza non sia legato ai ricavi
dell’impresa, ma all’attività di questa e, pertanto, possono essere considerati deducibili
anche costi e oneri sostenuti in proiezione futura, quali le spese promozionali e comunque
quelle dalle quali si attendono ricavi in tempi successivi.
Sul punto, anche la giurisprudenza è unanimemente orientata a richiedere, per la deducibilità dei costi e degli oneri, che gli stessi siano rapportati come causa ad effetto nel circuito
della produzione del reddito, come di seguito schematizzato.
Schema di sintesi: inerenza e correlazione costi e ricavi
Costi, spese ed altri componenti
negativi di reddito
Se e nella misura in cui sono finalizzati,
anche in proiezione futura,
alla produzione del reddito
Requisiti
(art. 109, D.P.R. n. 917/1986)
Attività d’impresa
- Competenza
- Inerenza e correlazione
- Certezza ed obiettiva determinabilità
Conseguentemente possiamo affermare che il giudizio di deducibilità di un costo per inerenza riguarda la natura del bene o del servizio ed il suo rapporto con l’attività d’impresa,
da valutarsi in relazione allo scopo perseguito al momento in cui la spesa è stata sostenuta
e con riferimento a tutte le attività tipiche dell’impresa stessa e non, semplicemente, ex
post in relazione ai risultati ottenuti in termini di produzione del reddito3.
Sul tema dell’inerenza, autorevole dottrina ha ritenuto che il principio di inerenza non
avrebbe una espressa disciplina nel TUIR ma discenderebbe direttamente dal principio
costituzionale di capacità contributiva e che la disposizione dell’art. 109, co. 5, D.P.R. n.
917/1986 si riferirebbe al solo profilo della coesistenza di proventi imponibili ed esenti4.
Inoltre, l’accertamento dell’inerenza del costo deve essere condotto tenendo conto delle
specifiche condizioni sulle quali si basa la scelta dell’imprenditore, al fine di verificare che
il sostenimento del costo medesimo realizzi effettivamente un vantaggio economico per
l’impresa5.
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Circolare n. 30/9/944 del 07/07/1983 e Risoluzione n. 158/E del 28/10/1998.
3
Comando Generale della Guardia Di Finanza III Reparto Operazioni - Ufficio Tutela Entrate - circolare 1/2008 Volume II, pagine n. 75.
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Cfr.: R. Lupi, “Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività”, in Rassegna Tributaria n. 6/2004, pag. 1935; G.
Zizzo, “Il reddito d’impresa”, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, pag. 243; M. Beghin, “Prestiti gratuiti
ai soci e disciplina fiscale degli oneri finanziari sopportati dalla società: considerazioni sul concetto di inerenza e sulla regola di deducibilità (pro-rata) degli interessi passivi”, in Riv. Dir. Trib., 1998, II, pag. 153; A. Panizzolo, “Inerenza ed atti erogativi nel sistema delle
regole di determinazione del reddito d’impresa”, in Riv. Dir. Trib., 1999, I, pag. 676; C. Attardi, “Reddito d’impresa. Interessi passivi
ed inerenza. Note a margine del disegno di legge Finanziaria 2008”, in Il Fisco n. 40/2007, pag. 5828.
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Cfr. Agenzia delle entrate, Direzione Centrale Normativa, Circolare n. 25/E del 19/05/2010.
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Come in precedenza illustrato, i criteri generali per la deducibilità dei costi di esercizio o
dei componenti negativi di reddito sono subordinati al rispetto dei principi di competenza, di certezza ed obiettiva determinabilità e di inerenza (ex. art. 109, D.P.R. n. 917/1986).
Da ciò discende che, a livello generale, l’inerenza di un costo è un requisito indispensabile
per la deducibilità di un componente negativo dal reddito di impresa, considerando che la
mancanza dell’inerenza deve essere individuata, in particolare, in tutte quelle situazioni in
cui non si rileva quel necessario collegamento tra il componente negativo di reddito e la
logica economica adottata dall’impresa nella sua gestione, finalizzata alla produzione di
reddito.
Inerenza
quantitativa ed
antieconomicità
Sotto il profilo della cd. “inerenza quantitativa”, la posizione espressa dalla prassi ministeriale in tema di inerenza delle spese sostenute ed antieconomicità delle scelte aziendali,
porta a ritenere che l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito di una verifica fiscale, potrebbe ritenere indeducibili dal reddito di impresa i costi ritenuti antieconomici.
La Guardia di Finanza con la Circolare n. 1/2008 (Volume II, capitolo 3), nel capitolo dedicato alle metodologie di controllo ed al riscontro analitico - normativo del reddito d’impresa,
illustra i principi generali per la determinazione del reddito d’impresa ed i relativi criteri di
controllo sull’osservanza degli stessi.
In particolare, il citato documento di prassi prevede anche la possibilità di sindacare, nel
corso di una verifica fiscale, le scelte imprenditoriali adottate dal contribuente giudicate
antieconomiche affermando che, nell’ambito dei riscontri analitici - normativi, i verificatori
dovranno verificare la sussistenza del rapporto di causa ed effetto, ovvero del collegamento funzionale fra il costo e l’oggetto e/o l’attività esercitata dall’impresa.
Nel dettaglio, dovrà essere effettuato un approfondito esame di merito sia delle originarie
finalità alla base del sostenimento della spesa, sia del concreto utilizzo cui è stato sottoposto il bene o servizio acquistato rispetto alla spesa dedotta, disconoscendo la deducibilità
del costo in tutti quei casi in cui venga provato che le ragioni alla base del sostenimento
dell’onere, valutate anche alla luce della concreta destinazione, esulino da comprovate finalità imprenditoriali.
Inoltre, viene prevista anche la possibilità per i verificatori di effettuare un’analisi di congruità del componente negativo di reddito dedotto dall’impresa.
Infatti, in base quanto previsto dall’art. 109, D.P.R. n. 917/1986, la deducibilità dei costi dal
reddito d’impresa è prevista nella misura in cui gli stessi si riferiscono all’attività o all’oggetto dell’impresa, prevedendo, pertanto, l’effettuazione di una valutazione dell’inerenza
della spesa anche sul piano “quantitativo”.
In merito, proprio l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto la possibilità di subordinarne la deducibilità alla loro congruità rispetto ai ricavi (Risoluzione n. 9/121 dell’8/04/1980)
ovvero alla natura dei beni acquistati o delle prestazioni ricevute (Circolare n. 20/9/613 del
16/06/1984).
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Tuttavia, proprio la Circolare n. 1/2008 della Guardia di Finanza, al fine di scongiurare superficiali “automatismi rettificativi”, prevede che il parziale recupero fiscale di un costo per
non congruità (come accade peraltro per il totale recupero del costo, per la mancanza del
prescritto requisito dell’inerenza), dovrà avvenire sia sulla base di precisi riscontri documentali e fattuali, che comprovino la parziale destinazione “extraimprenditoriale” del bene
o del servizio, sia sulla base di un confronto dell’entità della spesa con parametri oggettivi di riferimento, quali, ad esempio, la natura del bene o del servizio, l’entità complessiva
dei costi e dei ricavi, le caratteristiche e le dimensioni dell’azienda e l’attività da questa in
concreto svolta. In questi casi, la motivazione del disconoscimento della quota del costo
ritenuta non congrua dovrà essere particolarmente argomentata, facendo adeguatamente
rilevare la grave, precisa e concordante valenza sintomatica della parziale destinazione extraimprenditoriale, risultante dai parametri di riferimento in concreto utilizzati.
Su tale argomento, l’Agenzia delle Entrate, nella nota n. 55440/2008, ha chiarito che i
comportamenti palesemente antieconomici possono configurarsi sia con l’eccessivo ammontare di componenti negativi di reddito, sia con un’illogica compressione di componenti
positivi, non adeguatamente giustificata da parte del contribuente.
In particolare, secondo l’Agenzia delle Entrate, in presenza di una condotta antieconomica
il contribuente dovrà fornire, sulla base di argomenti adeguati e convincenti, una giustificazione circa il presunto comportamento antieconomico adottato.
Pertanto, in sede di verifica, a fronte di una condotta ritenuta antieconomica corrisponderebbe una sorta di ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente il quale, se non riesce a fornire idonei chiarimenti, rischia il recupero a tassazione del componente negativo di
reddito dedotto (parziale o totale), ovvero il componente positivo di reddito non dichiarato.
La richiamata direttiva impartita dall’Agenzia, inoltre, evidenzia che i rilievi fondati sulle
presunzioni connesse a comportamenti antieconomici, connotate dai requisiti di gravità,
precisione e concordanza si estendono anche all’ambito dell’imposta sul valore aggiunto.
Infatti, la condotta antieconomica in rassegna, potrebbe riguardare un duplice aspetto:
- il recupero a tassazione di un costo indeducibile comporterà il recupero dell’IVA
indebitamente detratta al momento dell’acquisto;
- la rettifica relativa a una diversa e maggiore quantificazione dei ricavi, causerà il
sorgere di un maggior debito IVA, a carico del soggetto sottoposto a verifica6.
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Per maggiori approfondimenti in subiecta materia cfr. ex multis: L’antieconomicità nella recente giurisprudenza: tra efficacia presuntiva e rischio di “stereotipi accertativi” di Marco Bargagli e Marco Thione in “il fisco” n. 46 del 2011, pag. 1-7481 G. Pagani,
Antieconomicità delle scelte imprenditoriali e accertamento fiscale, in “il fisco” n. 21/2011, fascicolo n. 1, pag. 3321; M. Nussi, Il
giudizio di inerenza dei compensi agli amministratori tra insindacabilità delle scelte imprenditoriali e autonomia dai fenomeni simulatori o elusivi, in “GT - Rivista di giurisprudenza tributaria” n. 5/2011, pag. 400; A.M. Proto, Nozione di antieconomicità e rilevanza
della buona fede del contribuente nell’Iva, in “Rassegna Tributaria” n. 5/2010, pag. 1412; P. Turis, Attività economica e limiti del
sindacato dell’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento delle imposte, in “il fisco” n. 42/2010, fascicolo n. 1, pag. 6848;
G. Ferranti, L’indeducibilità dei compensi agli amministratori e i “nonsense” fiscali, in “Corriere tributario” n. 36/2010, pag. 2929; G.
Ferranti, Il principio di inerenza “quantitativa” e la sindacabilità dei comportamenti antieconomici, in “Corriere tributario” n. 18/2010,
pag. 1409; M. Beghin, Reddito d’impresa ed economicità delle operazioni, in “Corriere tributario” n. 44/2009, pag. 3626; A. Salvati,
Riflessioni in tema di antieconomicità e ragionevolezza nell’accertamento induttivo, in “Rassegna Tributaria” n. 3/2009, pag. 816; S.
Capolupo, La valutazione della economicità degli atti, in “il fisco” n. 7/2009, fascicolo n. 1, pag. 1031; C. Pino, È “comportamento
antieconomico “l’attività di amministratore svolta senza percepire compensi?, in “Corriere tributario” n. 12/2008, pag. 955; M. Beghin, Perdite su crediti, antieconomicità dell’operazione e giudizio d’inerenza, in “Corriere tributario” n. 5/2008, pag. 377; E. Orsi,
Circ. n. 1 del 29 dicembre 2008 della Guardia di Finanza - Il sindacato sulle scelte antieconomiche - Posizione della Guardia di Finanza, in “il fisco” n. 37/2009, fascicolo n. 1, pag. 6111; M. Thione, A. Braccialarghe, L’antieconomicità delle scelte imprenditoriali:
evoluzione della giurisprudenza e posizioni della dottrina, in “il fisco” n. 25/2008, fascicolo n. 1, pag. 4519.
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In tema di inerenza quantitativa, la giurisprudenza di legittimità ha nel tempo delineato un
consolidato orientamento secondo cui il comportamento antieconomico del contribuente
viene ad integrare, se non adeguatamente giustificato, gli elementi indiziari connotati da
requisiti di gravità, precisione e concordanza, che legittimano l’accertamento analitico induttivo ai sensi dell’art. 39 , co. 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973.
La posizione
della
Giurisprudenza
Schematizziamo, di seguito, le argomentazioni logico - giuridiche che emergono dalle sentenze emesse dagli ermellini in tema di inerenza quantitativa.
Casistica
Occorre fornire la motivazione della scelta imprenditoriale
Valutazione della congruità delle componenti reddituali (costi e - La valutazione di congruità delle componenti economiche di
ricavi)
reddito rientra nei poteri di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale, pertanto, può rettificare le dichiarazioni (anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle
scritture contabili), disconoscendo, conseguentemente, la deducibilità di parte di un costo, ove questo superi il limite al di
là del quale non possa essere ritenuta la sua inerenza ai ricavi
o, quanto meno, all’oggetto dell’impresa;
- in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai
canoni dell’economia per il quale il contribuente non fornisca idonea giustificazione, è legittimo l’accertamento ai sensi
dell’ art. 39 , co. 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973 (accertamento
analitico - induttivo);
- nel caso in cui la contabilità, per quanto formalmente corretta,
possa essere considerata complessivamente inattendibile in
quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza, l’Amministrazione può ricorrere all’accertamento analitico
- induttivo del reddito.
Nella Sentenza n. 21184 datata 08/10/2014, la Corte di Cassazione ha affermato che, ai fini
della deducibilità dei costi imputabili a consulenze infragruppo, il contribuente deve provare
l’inerenza e la congruità della spesa, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria
può legittimamente disconoscere la deducibilità dei relativi costi sulla base del principio di
inerenza, disciplinato dall’art. 109, D.P.R. n. 917/1986.
Inerenza in tema
di Transfer Price
infragruppo
Sempre in tema di onere della prova afferente la deduzione di un costo dal reddito di impresa, la giurisprudenza di legittimità, in tema di distacco del personale e dei relativi riaddebiti di costo infragruppo, ha affermato che trattandosi di una componente negativa del
reddito “la prova della sua esistenza ed inerenza incombe al contribuente” (cfr. Corte di
Cassazione, Sentenza n. 1709/2007) e che “per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente che la spesa sia stata dell’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una
spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della
stessa” (cfr. sentenza Corte di Cassazione n. 4570/2001).
Ancora la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’onere della prova dei presupposti
dei costi e degli oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi
compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi incombe sul contribuente il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei
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costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dalla Amministrazione finanziaria
anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni,
in difetto di tal prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo
sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.
In definitiva, quantomeno sotto il profilo passivo, l’onere della prova dei presupposti dei costi e degli oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi grava sul
contribuente il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dalla Amministrazione finanziaria anche la
congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto
di tal prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.
Più di recente, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 6656/2016, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale espresso da parte del giudice di legittimità, ha affermato che l’onere di dimostrare che un’operazione economica realizzata all’estero, con una
società controllata o controllante costituisce reddito imponibile, è posto a carico dell’Amministrazione finanziaria.
Quindi, secondo il giudice di legittimità, risulta a carico dell’Agenzia delle Entrate l’onere
di provare che la differenza tra il costo sostenuto per la pubblicità ed il ricavo delle vendite
fosse fittizio, costituendo in realtà un reddito realizzato all’estero e, come tale, da considerarsi fiscalmente prodotto in Italia.
Infatti, la prova dell’elusione fiscale, e dei suoi presupposti, grava sull’Amministrazione che
intende operare le conseguenti rettifiche risultando irrilevante, sotto tale profilo, la giurisprudenza in precedenza citata in tema di costi deducibili che, come illustrato, pone l’onere di dimostrare la deducibilità in capo al contribuente. Infatti, come rilevato dalla Corte, nel
caso esaminato non si trattava di costi deducibili, “ma dell’assumere come reddito occulto
una differenza tra costi e ricavi realizzati all’estero”.
L’Agenzia delle Entrate, prosegue il giudice, “non ha adeguatamente dimostrato perché,
sulla base dei valori normali delle merci vendute, il ricavo avrebbe dovuto essere superiore alla spesa sostenuta per vendere, ritenendo invece che l’Agenzia abbia agito sulla base
di una presunzione non convincente: quella per cui la spese sostenute per la pubblicità
avrebbero dovuto far conseguire alla società ricavi perlomeno pari alla spesa affrontata”.
In conclusione, a parere della Cassazione:
- da un lato, l’Agenziadelle Entrate non ha sufficientemente dimostrato il valore normale delle merci;
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Una serie di diversi servizi che non devono essere preventivamente determinati ma che possono essere parte di un paniere dal
quale scegliere.
2
Nel caso del voucher con più servizi sarà quindi necessaria l’indicazione del valore del bene, ma non necessariamente a quale bene
lo stesso si riferisce, con il limite però dei 258,23 euro, superato il quale l’intero importo concorre alla determinazione del reddito
di lavoro dipendente facendo venir meno tutti i benefici.
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- dall’altro, dal costo di pubblicità addebitato non si può dedurre che si debba avere,
necessariamente, pena la non economicità della operazione, un ricavo corrispondente o maggiore, trattandosi di due voci non correlate, nel senso che la spesa di
pubblicità non necessariamente assicura ricavi tali da coprirla7.
Come noto, la detrazione IVA (artt. 19 e ss., D.P.R. n. 633/1972) costituisce uno dei principi
fondamentali che regola la tassazione in materia di imposta sul valore aggiunto, consentendo al soggetto passivo d’imposta di poter recuperare il tributo a lui addebitato in via di
rivalsa da parte del cedente o del prestatore del servizio.
Inerenza e diritto
alla detrazione
IVA
In buona sostanza, attraverso la detrazione IVA si concretizza il principio della “neutralità”, in virtù del quale il tributo da versare all’Erario risulta dalla differenza tra l’ammontare
dell’imposta relativa alle operazioni effettuate e l’ammontare dell’imposta assolta o dovuta
dal contribuente ovvero a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi
importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.
L’imposta assolta sugli acquisti è detraibile solo se:
1. è inerente rispetto all’attività di impresa, arte e professione esercitata, in quanto il
bene o il servizio acquistato deve essere connesso all’attività economica del soggetto passivo;
2. è assolta dal cessionario in relazione agli acquisti ed alle importazioni da lui effettuate;
3. viene addebitata in fattura dal cedente e risulta dalle fatture di acquisto emesse dai
fornitori dei beni e dei servizi;
4. è dovuta, tenuto conto che l’esercizio del diritto di detrazione spetta pienamente
solo qualora l’operazione sia realmente soggetta ad IVA e non si può automaticamente estendere all’imposta pagata al fornitore, sulla semplice circostanza che è
stata indicata in fattura e versata all’erario da parte del cedente.
7
Per un approfondimento cfr. M. Bargagli, “Transfer Price, controllo societario e onere della prova nella
recente evoluzione giurisprudenziale”, Ipsoa Editore, in “Fiscalità e Commercio Internazionale” n. 8-9 del
2016.
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Schema di sintesi: inerenza e diritto alla detrazione IVA
Inerenza
con l’attività esercitata
Detrazione IVA
Elementi essenziali della fattura
Indicazione in fattura
ed assolvimento dell’imposta
IVA dovuta erario
(l’operazione deve realmente
essere soggetta ad IVA)
Indicazione degli elementi previsti dalla legge
in tema di fatturazione (ex art. 21, D.P.R. n. 63/1972),
tra cui:
-
Inerenza in caso
di fatture
generiche
la data di emissione;
il numero della fattura;
la partita IVA del cedente e la sua denominazione;
la descrizione completa dei beni e dei servizi ceduti.
In tema di imposta sul valore aggiunto, il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere
negato nel caso in cui le fatture emesse da parte del fornitore non soddisfino i requisiti
formali (ivi compresa la generica descrizione delle prestazioni rese in fattura), qualora le
autorità fiscali dispongano di tutte le informazioni necessarie per accertare che i requisiti
sostanziali relativi al diritto alla detrazione IVA siano soddisfatti.
Tale approccio di natura sostanziale, è stato espresso recentemente dalla Corte di Giustizia UE (sentenza relativa alla causa C-516/14, depositata il 15 settembre 2016), che ha
esaminato il caso in cui la descrizione indicata nelle fatture ricevute non avrebbe, a parere delle autorità fiscali, soddisfatto i requisiti fissati dalla normativa in materia di IVA che,
come detto, prevede di indicare in fattura la natura, la qualità e la quantità dei beni e dei
servizi formanti oggetto dell’operazione (ossia la compiuta descrizione dei beni e/o dei
servizi ceduti).
La descrizione dei servizi fatturati come “servizi giuridici generici” senza ulteriori specificazioni, non era stata considerata sufficiente da parte delle autorità fiscali, in quanto solo
una fattura che presenti una pur minima descrizione dei servizi resi consentirebbe la detrazione dell’IVA.
Di conseguenza, occorrerà di volta in volta verificare se le fatture emesse da parte del
prestatore del servizio soddisfino o meno i requisiti previsti dall’art. 226 della Direttiva n.
2006/112/UE e, nello specifico, dal § 6 che indica il contenuto minimo indispensabile delle
fatture avuto riguardo in particolare:
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- all’entità ed alla natura dei servizi resi;
- alla data in cui è stata effettuata la prestazione.
Sullo specifico punto la Corte di giustizia UE, condividendo le conclusioni alle quali era
giunto anche l’Avvocato Generale UE, ha concluso: dato che la fattura è funzionale al compimento di controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria ai fini della riscossione e detrazione dell’imposta, è sufficiente la scelta adottata dal contribuente (nel caso in esame
l’indicazione in fattura della descrizione “servizi giuridici resi”), dal momento che essa
permette di garantire il controllo del calcolo dell’imposta.
In caso contrario, qualora si dovesse accertare che la normativa del singolo Stato preveda
un’aliquota ridotta per determinati servizi giuridici, la formulazione utilizzata non soddisfarebbe i requisiti previsti dal suddetto art. 226, § 6.
Inoltre, la Corte non ha condiviso la tesi secondo la quale la non corretta indicazione della
natura del servizio reso non permetterebbe l’esercizio del diritto alla detrazione.
Infatti, una volta che l’Amministrazione finanziaria dispone di tutte le informazioni necessarie per accertare la sussistenza dei requisiti sostanziali relativi al diritto alla detrazione,
non può imporre il rispetto di ulteriori condizioni che possano inficiare l’esercizio del diritto
medesimo.
Quindi, in definitiva, l’Amministrazione finanziaria non può negare il diritto alla detrazione dell’IVA con la sola motivazione che una fattura non rispetta i requisiti formali previsti
dall’art. 226, punti 6 e 7 della Direttiva n. 2006/112/UE.
Come accennato in premessa, la suprema Cassazione, con la Sentenza n. 7881/2016 ha
fornito nuovi chiarimenti sull’annosa questione dell’inerenza ai fini della deducibilità dei
costi derivanti dalle attività economiche poste in essere dall’impresa.
In particolare, in esito al controllo fiscale, erano emerse due distinte posizioni:
- l’Agenzia delle Entrate proponeva il recupero a tassazione di costi indeducibili in
quanto non idoneamente documentati;
La recente
Sentenza della
Corte di
Cassazione
- il contribuente reclamava la piena deducibilità delle spese sostenute che a suo parere risultavano regolarmente documentate da fatture di acquisto ricevute da parte
dei fornitori.
Le motivazioni espresse da parte del giudice di merito nei primi due gradi di giudizio si basavano sulla legittimità del recupero a tassazione di costi ritenuti non inerenti.
Infatti, il nucleo essenziale della decisione impugnata recitava: “In riferimento poi ai costi
non inerenti la commissione fa notare che essi derivano da fatture emesse da diverse società .. omissis .. per le quali neanche in appello la società ha prodotto valida documentazione per provare l’inerenza dei costi in esse evidenziate all’attività da essa svolta...”.
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APPROFONDIMENTI E PROCEDURE
Onere della prova ed inerenza dei costi d’impresa alla luce della recente giurisprudenza
Di contro gli Ermellini, accogliendo la posizione del contribuente, hanno affermato che:
- data l’incontroversa esistenza di fatture (di cui non si assume la redazione in contrasto con le prescrizioni di cui ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal D.P.R.
n. 633 del 1972, art. 21) - deve, come già rilevato in precedenza, ritenersi operante
la presunzione di veridicità di quanto in esse rappresentato, con conseguente onere dell’Agenzia di fornire prova dell’indeducibilità, per non inerenza, del costo.
- agli effetti della deducibilità di un costo (e della detraibilità dell’IVA corrispondentemente assolta), rileva esclusivamente l’effettività del costo e la sua riferibilità (o
inerenza) all’attività o ai beni da cui derivano i ricavi e non anche il riscontro documentale del rapporto contrattuale tra le parti.
In conclusione, ai fini della valutazione dell’inerenza del costo sostenuto, l’onere della prova grava ancora una volta in capo all’Amministrazione finanziaria che intende recuperare
a tassazione il componente negativo di reddito.
Considerazioni
conclusive
Come è stato illustrato nel presente intervento, la valutazione dell’inerenza dei costi sostenuti dall’impresa, sulla base delle regole generali di determinazione del reddito di una
società (sancite dall’art. 109, D.P.R. n. 917/1986), è un argomento che riveste centrale importanza nel panorama tributario.
Sullo specifico tema, la prassi e la giurisprudenza ammettono una valutazione dei comportamenti antieconomici posti in essere dal contribuente e, simmetricamente, anche della
congruità dei ricavi dell’impresa (sotto il profilo della ingiustificata compressione dei ricavi), in linea con le disposizioni previste nel nostro ordinamento in tema di accertamento
induttivo-presuntivo.
Il maggioritario orientamento espresso dalla suprema Corte di Cassazione, tuttavia, sembra
porre in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere della prova di dimostrare la non inerenza dei costi sostenuti dall’impresa considerato che, come anche recentemente espresso da parte del giudice di legittimità, l’esistenza materiale delle fatture di acquisto (che
possiedono in re ipsa i requisiti formali previsti dall’art. 21 del decreto IVA, che disciplina la
fatturazione delle operazioni), rende operante la presunzione di veridicità di quanto in esse
rappresentato, con conseguente onere a carico dell’Amministrazione finanziaria di fornire
la prova dell’indeducibilità, per la mancata inerenza del costo sostenuto.
A tal fine, infatti, per la deducibilità di un costo dal reddito dell’impresa rileva esclusivamente l’effettività dello stesso e la sua riferibilità (i.e. inerenza) all’attività svolta, risultando
irrilevante il riscontro documentale del rapporto contrattuale instaurato tra le parti.
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