MASIN E IL VECCHIO DRIA

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MASIN E IL VECCHIO DRIA
INVENTIAMO INSIEME….
LE FIABE DELLA VAL BISAGNO
Lavoro di continuità tra la classe 5B della scuola primaria
e le classi 1A e 1B della scuola secondaria
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MASIN E IL VECCHIO DRIA
C'era una volta un bambino di nome Masin che abitava con un anziano di nome Dria in
una casetta nelle alture di Zena, perché era orfano.
Masin lavorava nei campi mattina e sera.
Dria gli consentiva solo un quarto d'ora di
riposo al pomeriggio. Il bambino ogni
giorno guardava con desiderio un grande
albero di bellissime mele che si sbranava
con gli occhi, perché Dria gli permetteva
di mangiare solo gli scarti.
Il suo padrone lo aveva avvertito di non
superare mai e poi mai il recinto che
delimitava l'abitazione, altrimenti lo
avrebbe fatto lavorare giorno e notte
per un mese intero.
Un giorno il bambino, morto di fame, scavalcò il recinto, salì in fretta sull'albero e si
mangiò qualche mela. Mentre stava ancora mangiando l'ultima mela, Dria uscì, lo vide e
disse: ”Vegni chi, figgieu! Nu ti doveivi mangiâ e meie! Oua ti devi travaggiâ pe un
meise, giurnu e nötte ! Ma … se tu la punizione vorrai saltar, una prova dovrai
affrontar!”
Dria prese per la maglia Masin, lo portò nella sua casa e gli ordinò di tagliare tutti gli
alberi dei dintorni e di pulire tutta la casa entro il suo ritorno.
Il vecchio aggiunse: “Se non riuscirai a completare la prova, dovrai lavorare giorno e
notte per me!”
Una talpa di nome Annina sentì tutto, gli andò vicino e gli chiese che cosa c'era che lo
rendeva tanto triste.
Masin rispose: “Ho infranto un ordine che mi ha imposto il mio padrone e adesso, per
evitare la punizione, devo eseguire una prova difficilissima!”
“E qual é?” chiese la talpa.
“Devo tagliare tutti gli alberi dei dintorni e pulire tutta la sua casa prima del suo
ritorno, E' UNA COSA IMPOSSIBILE!!!!!!!”
Anche la talpa lo pensò e dalla sua borsetta tiro fuori la sua bacchetta (era una talpa
magica!) che eseguì tutto in un istante.
Masin la ringraziò tantissimo.
La talpa, prima di andare via, gli concesse di esprimere altri tre desideri. Masin ci
pensò un po' e poi disse: “ Vorrei far rinchiudere Dria in carcere, andare a scuola ed
essere ricco.”
Così fu, e visse per sempre felice e contento.
Gianluca Costa (5B), Giacomo Caligiuri, Tommaso Turtur, Daniel Espinoza (1A)
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CATERINA E IL FOLLETTO DEL BASILICO
C'era una volta una bambina che si chiamava Caterina e viveva sui monti della valle. Un
giorno la mamma, che si chiamava Marietta, le disse: ”Vai a raccogliere delle castagne
nel bosco!”
Lei malvolentieri annuì e si mise in cammino.
Mentre stava tornando verso casa, le caddero delle castagne dal cestino.
Inginocchiandosi, si trovò davanti un uomo bruttu comme 'n resâto e grammu cumme
l'aggiu che si chiamava Scimun, che la rapì e la portò in una casetta vicino alle rive del
Bisagno e le ordinò raccogliere tutto il baxeico, tutte le tomate e tutte le basaňe
dall'orto prima che lui ritornasse.
Mentre stava raccogliendo del basilico, uscì dalla terra uno gnomo tutto verde come il
basilico. Lei, terrorizzata, gli chiese: “Chi sei?”
Lui disse: “Sono il folletto del basilico e ti aiuterò a sconfiggere Scimun. Puoi
esprimere tre desideri; quale vuoi che esaudisca per primo?”
Lei gli chiese se poteva raccogliere tutto il baxeico, tutte le tomate e tutte le basane
prima che il vecchio ritornasse.
Lui annuì e, recitando un formula magica, disse:
“Tomate, basaňe e baxeico,
anê in te cavagne
primma che u Scimun
segge turnou a caza sô!”
In un secondo gli ortaggi erano tutti nei loro
cesti e Simone, quando ritornò, rimase stupito.
Il giorno dopo le ordinò di lavare tutta la casa
con solo un mandillu e di dar da mangiare ai
venti bibin e alle cinquanta galinne de sôe
mugge prima di sera; in cambio le avrebbe dato
delle ciappellette e la libertà.
Lei, che aveva una fame tremenda e non vedeva
l'ora di rivedere sua madre, senza pensare
annuì; ma ben presto si rese conto che le due
prove erano impossibili.
Non si scoraggiò e iniziò il duro lavoro. Ad un
certo punto sentì un rabadan nel giardino di
Scimun; prese un bacco e andò fuori in silenzio.
Era il folletto del basilico che usciva dalla
terra: gli chiese che prove doveva superare
questa
volta.
Caterina
gli
domandò
timidamente:
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“A casa gianca comme o laete
e bestie cun a pansa pinna
Scimun vediâ
e nu se sciatiâ!”
Quando Simone ritornò, vide la casa tutta linda e gli animali con la pancia piena; allora
diede a Caterina sei ciappellette e la lasciò andare a casa sua.
Quando la mamma Marietta la vide, la abbracciò e le disse: ”Povia a me picciňa ch'a l'ha
tanta famme !!”
Così entrarono in casa e vissero per sempre insieme e felici.
Camilla Marra (5B), Chiara Bontempi, Fred Carrasco (1A)
DRIA E L'ORCO
C'era una volta, nella Val Bisagno, un bambino di nome
Dria che aveva una sorella di nome Lisin; i loro
genitori, si chiamavano Marietta e Stevin.
Un giorno, mentre Marietta e Lisin stavano cucinando,
Dria andò nel bosco per tagliare la legna, ma venne
rapito da un orco che lo portò nel suo castello enorme
e sporco.
Nel cortile vi era un enorme faggio.
Una volta entrati nel castello, l' orco diede un
coltellino a Dria e gli disse:
“Ora tu taglierai quell'enorme albero che c'è in cortile
con questo piccolo coltellino, altrimenti ti mangerò,
chiaro?!”
Dria, per la paura non rispose, ma prese il coltellino,
andò in giardino e provò a tagliare l'albero, purtroppo
senza successo.
Dopo
svariati
tentativi
inutili,
Dria cominciò ad
avere fame, perciò prese una mela da un albero lì
vicino.
Mentre stava per mangiarla, questa gli disse:
“Non mangiarmi! Sono magica e posso farti avverare
tre desideri!”
Dria rispose: “Potresti fare in modo che quell'albero
cada?”
La mela rispose: “Certo, lo farò subito!”
In un battibaleno l'albero cadde. Ma l'orco non era
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ancora contento e gli disse:
“Ora, marmocchio, dovrai pulirmi tutto il castello oppure ti ucciderò! Chiaro?!”
Dria rispose: “Chiarissimo!”
Dopo poco, si nascose dietro un angolo del castello per esprimere due desideri: il primo
era che il castello fosse pulito da cima a fondo, il secondo era che l'orco morisse.
Naturalmente tutto si avverò in un baleno, ma la mela morì perché aveva già esaudito
tre desideri.
In seguito Dria uscì dal castello, corse verso casa sua e avvertì la sua famiglia di aver
trovato un meraviglioso castello.
Infatti dopo poco si trasferirono là e da quel giorno vissero per sempre felici e
contenti.
Chiara Gelmi (5B), Jessica Lumbaca, Lorenzo Podda (1A)
IL NARCISO DELL’ORO
Tanto, tanto tempo fa, sulle rive del Bisagno,
abitava un contadino di nome Stevin.
Tutti i suoi vicini di casa erano molto poveri,
proprio come lui. Stevin nel suo giardino aveva
degli alveari le cui api facevano un miele che
Stevin mangiava volentieri e definiva: bun
cumme u pan.
Il passatempo preferito di Stevin era farsi
raccontare le leggende da suo padre che,
essendo piuttosto vecchio, ne aveva sentite
tante. Un giorno suo padre gli raccontò la
leggenda del Narciso dell'Oro, che si trovava
sotto il torrente Bisagno. Se il polline speciale
di questo narciso veniva raccolto dalle api, il
loro miele diventava d'oro vero.
Suo padre gli raccomandò, però, di non cercare
il Narciso dell'Oro, perché si diceva che sotto
le acque del Bisagno ci fossero molti pericoli.
Stevin però non lo ascoltò e, la notte seguente,
si armò di una spada arrugginita che aveva
ereditato da suo nonno e si incamminò verso il greto del Bisagno. Una volta arrivato, si
mise a spostare pietre e ciottoli di qua e di là ai margini del torrente finché non trovò
una botola sigillata. Il fiume era in secca e non c'era pericolo di venire portati via dalla
corrente.
Stevin si mise allora a cercare di aprire la botola in tutti i modi: saltandoci sopra,
spaccando pietre, facendo leva con bastoni, aste e rami.
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Dopo essersi molto sforzato, riuscì ad aprire la botola e a entrare. Scese centinaia e
centinaia di scale fino a che non arrivò ad una stanza molto ampia. Al centro della
stanza giaceva un enorme drago a sei teste: l'Idra. Questa si svegliò appena Stevin
fece il primo passo: era enorme e rossa.
Dopo che si fu alzata, le sue teste iniziarono a sputare fuoco per spaventare Stevin.
Dietro di essa, Stevin scorse uno splendido fiore colorato e lucente: era il Narciso
dell'Oro.
Stevin era determinato ad averlo e, correndo con la spada in avanti, si precipitò contro
l' Idra.
Lui conosceva le leggende e sapeva che “se tagli una testa all'Idra, gliene nascono due
al suo posto”.
Correndo come se lo stesse inseguendo un leone inferocito, si precipitò dritto verso la
sua pancia e, quando fu abbastanza vicino, conficcò la spada arrugginita nel ventre. Il
mostro, dopo un lungo ruggito, si abbatté a terra e lì rimase, morto.
Stevin, esausto, andò dal Narciso e lo raccolse: ma un bagliore improvviso lo colpì. Si
addormentò all'istante, sprofondando in un sonno profondo.
La mattina seguente Stevin si svegliò nel suo letto, a casa sua.
All’iniziò pensava fosse stato tutto un sogno, ma poi, una volta uscito in giardino, vide in
un vaso di ceramica il Narciso dell’Oro.
Felicissimo, guardò l’alveare che gocciolava, non di miele, ma di oro fuso. Prese allora un
secchio e ci versò dentro l’oro.
Notò anche che la sua spada arrugginita si era trasformata in una spada in argento
lucente ed era incastonata di pietre preziose.
Da quel giorno, usò l’oro per rendere più ricca la sua famiglia e tutti i suoi vicini.
Luca Rivolo (5B), Davide Cannella, Ludovica Genco (1A)
SCIMON E IL MISTERO DELL'ACQUEDOTTO
C'era una volta, in un paesino della val Bisagno, un ragazzo di nome Scimon che viveva
con la sua povera famiglia. Un giorno, quando era appena tornato dai campi, la madre gli
disse: “Vai a prendere l'acqua all'acquedotto!” Arrivatoci, vide però che l'acquedotto si
era prosciugato.
Corse indietro per raccontare tutto alla madre; ma, a
pochi passi da casa, sprofondò in una buca e svenne.
Si svegliò in una grotta e vide una persona che aveva un
aspetto normale, ma in realtà era un mago, che gli disse:
“Mi chiamo Mago Masin. Vuoi che l'acqua ritorni
all'acquedotto?”
Lui gli rispose: “ Certo, ma si è prosciugato!”
E lui disse: “ Prendi questo dente di leone: è magico e può
esaudire un tuo desiderio, quando ci soffi sopra; ma
prima di usarlo dovrai portarmi il diamante che giace
dietro una roccia che si trova in fondo all'acquedotto; io
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non posso uscire perché sono stato condannato per magia a rimanere in questa grotta.”
Il mago lo aiutò ad uscire dalla grotta e Scimon, dubbioso, ripartì per l'acquedotto.
Proseguendo, lungo la strada vide qualcosa brillare dietro una roccia. Si avvicinò, vide il
diamante e lo prese. Corse dal mago per darglielo; ma lungo il sentiero lo fermò un
uomo brutto comme un resato che gli disse: “Mi chiamo Stevin. Ho sentito quello che ti
ha detto il mago, ma non lascerò che lui esaudisca il tuo desiderio! So che rivuoi
l'acqua, ma è solo mia! Non ti lascerò portare il diamante al mago... COMBATTI CON
ME!”
Scimon gli tirò un calcio, ma subito Stevin replicò con un pugno.
Dopo una dura lotta, Scimon vinse e andò dal mago col diamante.
Masin gli disse: ”Me l'hai portato! Eccoti in cambio il dente di leone!”
Subito Scimon ci soffiò sopra ed espresse il suo desiderio. Stevin morì e Scimon prese
tutta l'acqua che voleva dall'acquedotto, che non si prosciugò più per molti secoli.
Mariano Deidda (5B), Arianna Giovanardi, Andrea Lembo (1A)
GIACOMIN NEL LABIRINTO MAGICO
C'era una volta Giacomin, un ragazzino di
famiglia povera che viveva sulle rive del
Bisagno.
Portava una camicia a quadri, dei
pantaloni consumati e degli stivaletti
sempre sporchi perché suo padre,
vedovo, lo faceva andare nel bosco a
raccogliere la legna per il camino.
Un giorno Giacomin, mentre raccoglieva
la legna, vide un boeggiu in un tronco:
guardando giù si intravedevano delle
scalette. Giacomin si incuriosì, si infilò
nel buco e scese. Si ritrovò in uno
splendido giardino fiorito e iniziò a
visitarlo.
Le pareti si alzavano sempre di più man mano che Giacomin avanzava; si alzarono fino a
trasformarsi in un labirinto fiorito da cui non si riusciva ad uscire.
Mentre vagava disperato, Giacomin scorse un fiore, una ginestra che splendeva più
degli altri. La toccò e ne uscì una fatina che disse: “Ciao, sono Ginestrina, la fata delle
ginestre. Cosa ti porta qui?”
Giacomin rispose: “Stavo passeggiando nel bosco quando ho visto un buco ed ora...
eccomi qua intrappolato, che non riesco più ad uscire! Ti me poeu agiutâ ?”
Allora la fatina rispose: “Non riesci ad uscire perché non c'è via d'uscita! Io ti posso
aiutare, ma in cambio devi farmi un favore.”
Giacomin si affrettò a dire: “Tutto quello che vuoi!”
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La fatina rispose: “Dovrai portarmi l'unica ginestra rosa che cresce in questo
“labirinto-giardino”.
Così il ragazzo si mise subito in cammino alla ricerca della strana ginestra.
Dopo molto camminare, finalmente trovò la strana ginestra rosa; ma, mentre tornava
dalla fatina, un orco iniziò a rincorrerlo. Il ragazzo si mise a correre a perdifiato e in
breve tempo raggiunse la fatina. Le disse: “Ginestrina, aiutami, ti prego! Mi sta
inseguendo un orco!”
La fatina rispose: “Io ammazzerò l'orco, ma tu mi dovrai portare quindici tipi diversi di
ginestre in cambio.”
Così Giacomin si mise subito in cammino in cerca di quindici tipi diversi di ginestre.
Dopo molto camminare, finalmente riuscì a trovarli tutti; ma, mentre tornava dalla
fatina, si trovò davanti un muro ad ostacolarlo: non riusciva a superarlo...
Allora apparve Ginestrina che gli disse: “Ti farò superare il muro ed uscire da qui se mi
porterai la ginestra magica al profumo di basilico.”
Giacomin gli diede i quindici tipi di ginestre e si mise subito in cammino, alla ricerca
della ginestra magica.
Dopo molto camminare, finalmente trovò la ginestra magica; tornò subito dalla fatina
che uccise l'orco malvagio e gli diede la libertà.
Il buco si chiuse per sempre e Giacomin tornò a casa dal papà. Raccolse la legna per il
camino e si tenne quell'immenso segreto tutto per sé.
E visse per sempre felice e contento.
Benedetta Tomasi (5B), Elena Ottonello, Matteo Lizaraso (1A)
CATAININ, L'ORCO E IL NARCISO
C'era una volta nella Val Bisagno una figgiuea di nome Catainin che viveva in collina; era
povera, ma molto generosa. Poco lontano da lì c'erano dei campi coltivati da un orco.
Sul cancello c'era scritto:”Vietato l'ingresso”.
Catainin aveva saputo dalla gente del paese che
dentro a quell'orto c'era un fiore magico: un
narciso.
Tutte le volte che passava di lì, le veniva voglia di
scavalcare quel cancello per ammirare il narciso. Un
giorno infine decise di farlo e si ritrovò davanti
tanti ortaggi e piante: tomate, puisci, articiocche,
basaňe e succhin, ma non vedeva il narciso.
Catainin continuò a cercarlo, finché non lo trovò.
Provò a raccoglierlo, ma l'orco la vide e, pensando
che fosse un ladro, prese un bastone e glielo tirò in
testa. La povia figgiuea si ritrovò sdraiata davanti al
cancello e senza il narciso. Ritentò poco dopo di
scavalcare di nuovo il cancello, ma l'orco, sapendo
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che ci avrebbe riprovato, aveva messo una corda legata all'estremità del cancello; così
Catainin inciampò e cadde.
Strisciando, però, riuscì lo stesso ad entrare e ad avvicinarsi al narciso. Appena lo
annusò, si trovò in un mondo parallelo.
Anche in quel mondo c'erano delle persone terrorizzata dall'orco. Catainin doveva
assolutamente trovare una via d'uscita. Ma come? Aveva bisogno di un aiuto magico.
Vide anche lì un bel narciso e stavolta riuscì a coglierlo. Lo annusò e si ritrovò nel
nostro mondo.
Tornò dall'orco, sperando che il narciso potesse ancora aiutarla.
Infatti, quando lo agitò nell'aria, l'orco morì.
Così Catainin si tenne il narciso magico. Dentro la casa dell'orco trovò tantissimo oro e
così non fu più povera, ma rimase sempre molto generosa.
Davide Capanna (5B), Michele Api, Eleonora Aledda (1A)
LISIN E IL MAGO MASIN
C'era una volta una povia figetta di nome Lisin. Abitava nel bosco vicino all'acquedotto.
Un giorno, mentre camminava nel bosco, vide delle ghiande; le raccolse,se le mise in
tasca e se ne andò.
Il giorno seguente venne svegliata da un ramadan che proveniva da una delle ghiande
raccolte. Balzò dal letto e si avvicinò lentamente...
Di colpo uscì dalla ghianda un folletto che le disse:
“MI CHIAMO MASIN
E TRE DESIDERI
POSSO ESAUDIR!”
In quello stesso istante sentì delle voci provenire dalla cucina. Abbandonò il folletto,
andò a vedere che cosa era successo e trovo un disordine pazzesco. Uscì di casa e vide
che degli stregoni avevano rapito sua madre. Di sprescia inseguì gli stregoni, ma loro
furono troppo veloci per lei.
Tornata a casa con il fiatone, la povia figetta si mise a piangere. All'improvviso le
comparve davanti il folletto che aveva visto uscire dalla ghianda. Costui le disse che, se
avesse dimostrato coraggio e fosse andata a liberare la madre che era prigioniera degli
stregoni sul picco Salterino (dove era molto complicato salire), le avrebbe fatto un
regalo magico.
Il giorno seguente Lisin partì per il picco. Dopo essere arrivata alle pendici, incominciò
a salire. Salì, salì, salì e dopo un sacco di tempo si trovò in cima al picco; da lì vide una
gigantesca fortezza dove, a pochi metri di distanza, si trovavano delle guardie.
Lisin chiese se poteva entrare, e loro le dissero di sì. Ma aggiunsero che non poteva
entrare nella porta con su scritto: “PRIGIONIERI RAPITI”.
Entrò nella fortezza e vide un'infinità di porte con su scritto varie, tra cui:
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“LEONI IN VISTA,
ATTENTI ALLA PISTA!”
In una c'era scritto:
“DRAGHETTI AFFAMATI,
QUELLI CHE SONO ENTRATI
NON SONO MAI PIU' TORNATI”
In un'altra,finalmente,vide la porta che cercava, cioè quella con su scritto:
“PRIGIONIERI RAPITI
MOLTO INCAROGNITI”
Entrò e subito vide sua madre in un angolino, da sola. Subito dopo che lei era entrata,
suonò una campanella che era stata messa lì come allarme. La povera Lisin era stata
scoperta!
A quel punto non sapeva cosa fare... Allora prese in braccio la madre e scese dalla
finestra annodando tutte le lenzuola trovate nella prigione. Una volta calata, però,
ebbe una brutta sorpresa: gli stregoni che avevano rapito la madre erano lì schierati
davanti a lei.
Era completamente terrorizzata quando comparve il folletto che le fece dono, per il
coraggio dimostrato, di un talismano per proteggersi dagli stregoni e dalle loro magie.
Gli stregoni tentarono con tutte le magie possibili di catturarla,ma non ci riuscirono.
Umiliati per tutti i tentativi falliti, lasciarono andare la povia figetta insieme alla
madre, promettendo di non infastidirla mai più.
E lei visse felice e contenta, senza più problemi.
Luciano Viganò (5B), Luca Magnano, Giada Ivaldi (1A)
CATEN E LA FATINA NARCISINA
C'era una volta nella Val Bisagno una contadina di nome Caten, un po' grasottella e
simpatica. Portava sempre un mandillu in testa e amava molto gli animali, tanto che
portava sempre con sé un cestino di vimini dove stavano le sue due galline, di nome
Titina e Marietta, a cui era molto affezionata.
Vicino alla casa della contadina c'era un bellissimo campo di succhin, delimitato da un
cancello con la scritta “Vietato l'accesso agli estranei”
Caten passava ogni giorno davanti a quel bellissimo campo di succhin e la tentazione di
raccoglierli per mangiarseli aumentava.
Un giorno qualunque la contadina, passando, notò che c’era qualcuno nell’orto e disse:
“MA CHI U L'E' QUELLU LI'?”
Incuriosita, cercò di scavalcare il cancello. Alla fine, dopo molti tentativi, ci riuscì; alzò
lo sguardo e subito rimase incantata dalla bellezza di quel campo coltivato. Poi si
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avvicinò de sprescia alla zona da cui proveniva il rumore e notò che c'era un uomo
gigantesco che stava strappando tutte le piante di succhin e al loro posto metteva
tanta rumenta puzzolente.
Visto che l'uomo era girato di spalle, la
contadina si avvicinò ancora di più, gli
tocco il braccio e gli disse: “Ma che stai
combinando?! Cose ti stae faxendo?”
L'uomo, appena sentì la voce di Caten, si
girò: in un attimo la prese e la appese a
pancia in giù su un ramo. Allora la
contadina si mise a gridare:
“ TIAME ZU DE CHI! TIAME ZU DE
CHI!”
“TE TIU ZU SE TI VEGNI CUN MI!”
rispose l'uomo.
Caten, senza pensarci due volte, disse
di sì, perché la pancia iniziava a farle
male!
L'uomo la tirò giù e iniziò a spingerla
per avvicinarla al suo carretto.
Caten gridava: “NU SPUNCIÂ! NU
SPUNCIÂ!”
Quando arrivarono al carretto, l'uomo salì e disse alla contadina che doveva salire
anche lei. Caten ubbidì, anche se non era molto convinta. Si trovarono presto in un orto
pieno di tomate. L'uomo le disse che doveva superare delle prove oppure non avrebbe
più rivisto le sue due galline, perchè le avrebbe bruciate.
Caten si mise a piangere e disse: “ Ma perchè? Perchè propriu mi?”
L'uomo ordinò alla contadina: “Dovrai raccogliere tutti i pomodori di questo campo in
cinque minuti e poi fare la salsa in dieci minuti senza l'aiuto di nessuno, mentre io sarò
in casa a sbrigare delle faccende.”
Caten iniziò a lavorare senza perdere tempo, solo che dopo un po'si fermò, si sedette e
si rese conto che era un'impresa impossibile!
Si accorse allora che di fianco a lei c'era un bellissimo narciso giallo e gli toccò i petali.
Ad un tratto spuntò dal fiore una piccola fatina che le disse:
“SUN NA FATINA E ME CIAMMU NARCISINA!
SUN CHI PÊ AGIUTÂTE!”
Allora Caten disse: “Ma davvero?! Meno male che sei arrivata te! Per favore, aiutami a
raccogliere questi pomodori e a fare un'ottima salsa!!”
La fatina rispose: “Va ben!”
Così Narcisina prese un petalo di narciso, lo iniziò ad agitarlo e disse:
“BIM-BUM-BAM!”
La contadina rimase sorpresa da quello che aveva fatto la fatina e la ringraziò
tantissimo! Quando arrivò l'uomo, le disse: “ Come hai fatto a fare tutto questo
lavoro?”
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E la contadina disse: “ Ho lavorato senza perdere tempo e senza distrarmi!”
L'uomo rimase a bocca aperta e le disse che poteva andarsene via con le sue galline.
Però, prima di andarsene, Caten passò dalla fatina, la ringraziò e le disse che, se voleva,
poteva andare con lei a casa sua.
Narcisina accettò; però prima andò dall'uomo e disse:
“BIM-BUM-BAM!”
Immediatamente all'uomo spunto la coda e le orecchie da asino per punizione.
La fatina Narcisina , la contadina Caten e le due galline vissero per sempre felici e
contenti!
Elisa Molinari (5B), Matilde Caligiuri, Hay Lin Fazzari, Alice Rimassa (1A)
L'AVVENTURA DI CATAININ E DEL DEDE’
C'era una volta una ragazza
di nome Catainin che parlava
zeneize. Vestiva sempre con
un abito giallo con sopra un
grembiule rosso e aveva i capelli legati da un
foulard a pois rossi. Abitava in una casetta di
pietra sulle colline con la sua famiglia ed un
fratello maggiore, Miché. Ogni giorno le veniva
ordinato di andare nelle fasce coltivate a
raccogliere: côi, tumate, baxeico e puisci, a
seconda delle stagioni.
Un giorno, mentre era nei campi, vide che le
piantine più alte erano mangiucchiate; mentre le
osservava, uscì da una fogliolina una coccinella, che
si presentò:
”Io sono la Fatina Dedè, sono magica e se hai
bisogno di me io ti aiuterò. Per chiamarmi basta
battere per tre volte le mani. Però adesso tocca
te aiutarmi. Pe piačei, tiame zu de chi ! Voglio
andare sui fiori!”
La ragazza la aiutò e diventarono amici.
La mattina seguente nell'orto trovò un orco che mangiava tutte le piante. L'orco la rapì
e la portò nella sua tana. Le disse che in un'ora doveva ripulire perfettamente la sua
tana, se no l’avrebbe mangiata. Quando l'orco se ne andò, Catainin, disperata, decise di
iniziare subito il faticoso lavoro. Ad un certo punto si ricordò le parole della sua amica
coccinella e fece quello che le aveva suggerito.
Al terzo battito di mani la Fatina Dedè apparve subito e le disse: ” Come ti ho
promesso, ti aiuterò in questa faticosa prova.”
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La coccinella pronunciò queste parole:
”Con la scopa e con lo straccio,
ripulisci tutto quanto!”
Tutto ad un tratto la caverna era pulita come non era mai stata.
L'orco arrivò e la vide splendere. Portò fuori la ragazza e le disse che doveva battersi
contro di lui. Allora Catainin batté di nuovo tre volte le mani e apparve la sua amica,che
la aiutò a sconfiggere l'orco.
La Dedè le regalò anche una piccola bambola di pezza e un sacco pieno di palanche. E da
quel giorno Catainin si poté permettere di comprarsi ogni giorno un po’ di fugassa.
Cantava alla sua bambola “Fa’ a nanna popon de pessa! ” e visse per sempre felice e
contenta con i suoi genitori e suo fratello.
Margherita Noli, Alessandro Marcialis, Alice Scarso (1A)
TERESIN E L’ERBA MAGICA
C'era una volta, tanto tempo fa, una besagnina di nome
Teresin. Lavorava in una buttega di artigianato; non era né
miscia né ricca.
Un giorno nella buttega entrò una giovane donna.
”Come posso aiutarla?” le domandò Teresin.
“Mi chiamo Gianca e sono qui per cercare un lavoro” rispose
la giovane.
Teresin ascoltò la storia di Gianca e, impietosita dai suoi
racconti, la prese come sua aiutante.
Gianca era in realtà una strega; era tornata a cercare
Teresin, per vendicarsi di un torto subito quando erano
bambine. Infatti tanto tempo fa, Teresin aveva buttato
l’amichetta nelle acque del Bisagno per farle un brutto
scherzo e Gianca non l’aveva mai perdonata.
Un giorno Teresin trovò che nella sua buttega c’era un gran
invexendo; cercando di capire cosa fosse successo, chiamo
subito Gianca per avere spiegazioni.
In quel momento entrò Gianca e le disse : “Io ti rovinerò il
negozio! “
“Perchè ce l'hai con me ?“ chiese Teresin.
“Non ti ricordi? Da piccole noi eravamo amiche, un giorno tu mi hai buttato nel
torrente, mi è dispiaciuto molto e per questo non ti perdonerò mai!” rispose Gianca in
modo minaccioso.
Così dicendo Gianca acciuffò la povera Teresin e la rinchiuse dentro un baule.
Teresin cominciò ad urlare , ma nessuno poteva sentire i suoi richiami disperati.
Dovete sapere che la buona besagnina era solita indossare ogni giorno il suo grembiule
da lavoro nelle cui tasche teneva delle erbe speciali che raccoglieva in un orto segreto.
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Prontamente estrasse l’erba magica dalla tasca del grembiule e pronunciò la formula
magica che una fatina le aveva insegnato:
Erba, erbetta
casa, casetta.
Erba, erbina
apri subito la porticina!
Come d’incanto il baule si aprì e Teresin saltò fuori con un balzo.
Come d’incanto comparve anche la buona fatina, custode dell’orto segreto, che la
tranquillizzò dicendole che aveva neutralizzato per sempre i poteri malvagi della strega
Gianca.
Teresin ringraziò la buona fatina per averle salvato la vita. Poi andò da Gianca e le
chiese umilmente scusa per il brutto scherzo che le aveva fatto tanti anni prima.
Gianca accettò le scuse e abbracciò la vecchia amica. Le due donne continuarono a
lavorare ancora per tanto tempo insieme.
Se vi capita di passare dalle parti della loro buttega, potete trovarle ancora lì e
sentirle litigare come un tempo, ma sappiate che si vogliono sempre un gran bene e
fanno sempre pace !
Martina Mugelli (5B), Jacqueline Ortiz, Giulia Dragomir , Elena Eusebio (1B)
ROZINN-A
C’erano una volta due sposi, di nome
Catainin e Carlin, i quali avevano due
figli: Pedrin e Rozinn-a.
Catainin aspettava un terzo bambino.
Ogni giorno, quando si affacciava dalla
finestra, vedeva un albero carico di
albicocche mature e aveva sempre una
gran voglia di mangiarsele. Così un
giorno disse tra sé e sé: -Quando Carlin
andrà in bottega, ruberò una di quelle
belle albicocche.
Così, quando Carlin la mattina presto
uscì, Catainin si calò nell’orto e prese
una di quelle albicocche e così fece
anche nei giorni seguenti. Mano a mano
che passavano i giorni, gli elfi che erano
i proprietari di quell’orto, si accorsero
che le loro albicocche, fatte con la magia e anni di incantesimi, erano state rubate da
qualcuno. Allora escogitarono un piano per saper chi stesse rubando la loro frutta: uno
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di loro si nascose dietro un cespuglio, e, quando Catainin stava per prendere un’altra
albicocca, l’elfo sbucò da dietro il cespuglio e la colse con le mani nel sacco.
La povera donna si giustificò dicendo che era in gravidanza e aveva voglia di albicocche,
ma l’elfo fu spietato e le disse che quando la figlia maggiore avesse raggiunto l’età di
venti anni gli elfi se la sarebbero presa. La madre si disperò e disse all’elfo:
-Oh signor elfo, No!
-E invece sì, così sarà! - rispose seccamente l’elfo.
Passato qualche anno, gli elfi chiedevano tutti i giorni alla Rozinn-a di ricordare alla
madre la promessa fatta. La bambina lo disse alla madre che, un po’ distratta, disse alla
figlia:
-Dagli pure quello che vogliono!
Rozinn-a tornò dagli elfi dicendo loro che potevano prendersi ciò che volevano.
Allora gli elfi rapirono la povera Rozinn-a e la legarono in una stanza buia dicendole di
dipingere su tutto il muro ogni specie di fiore. La bambina, ovviamente disperata,
obbedì.
L’elfo Gioanin, sentendo quel pianto, corse in suo aiuto e le chiese:
-Perché piangi tanto?
-Devo disegnare ogni sorta di fiore sopra questo muro- rispose la fanciulla piangendo.
Allora l’elfo, con uno schiocco di dita, fece apparire ogni tipo di fiore presente su
questa terra, sul muro.
Ella ringraziò l’elfo che improvvisamente sparì.
Quando gli altri elfi tornarono furono stupiti di vedere tutti quei fiori, le ordinarono
quindi di andare dall’elfo Supremo che sicuramente se la sarebbe mangiata.
Le dissero di rubare la mela d’oro. L’elfo Gioanin però, di nascosto dagli altri elfi, le
regalo’ una foglia magica che l’avrebbe protetta dagli incantesimi. Fu così che Rozinn-a
riuscì facilmente a rubare la mela d’oro all’elfo Supremo e a difendersi dagli
incantesimi che le aveva inflitto.
Quando tornò dagli elfi con la mela d’oro essi non credevano ai loro occhi e, non
sapendo più che cosa escogitare, decisero che l’avrebbero mangiata e basta.
Le fecero scaldare un grosso pentolone d’acqua ma ancora una volta Gioanin, che era
innamorato della fanciulla, apparve e la guidò in una stanza segreta che conteneva
tante candele che in realtà erano le anime degli elfi. I due soffiarono con forza su
tutte le candele accese fino a che tutti gli elfi morirono, tranne Gioanin.
Infine riuscirono a sposarsi e vissero per sempre felici e contenti.
Francesco Santoro (5B), Davide Borella, Federico Fadelli (1B)
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L'ACQUA PREZIOSA
C'erano una volta due cari amici: Ferdinando
chiamato Nando e Ottone.
Nando era un fornaio, il più bravo della
vallata. Ottone invece faceva il pescatore.
Baciccia, il fratello minore di Ottone, era il
controllore N°5: sorvegliava cioè un tratto
dell'acquedotto sul Bisagno.
A quei tempi, mancando spesso l'acqua. Nando
si trovava in difficoltà perché non poteva far
girare la macina del suo mulino.
Allora chiese a Baciccia, il controllore N°5, di
dargliene un po' per il suo mulino, e lui,
essendo molto buono, accettò.
Una sera, di nascosto, Nando andò a rubare
l'acqua, ma il controllore se ne accorse e disse: “Ma che bezugo che sono, mi hanno
fatto un mastrusso!!!!”. Allora andò subito ad arrestare il responsabile. “Nando, - disse
– voi avete violato la legge, ora andrete in galera!!!!”
Nando era in prigione già da tre giorni e così l’amico Ottone, che aveva avuto notizia
della vicenda dal fratello, studiò un modo per liberarlo.
Egli
aveva
una
rondine
intelligentissima che sapeva eseguire
ogni comando.
Ottone le chiese: “Vai e consegna
questa chiave magica al mio amico
Nando!!!”
La rondine obbedì, strinse la chiave
nel becco, passò attraverso le grate
della finestrella della prigione, la
consegnò a Nando che riuscì così a
liberarsi facilmente.
Dopo una brutta disavventura e
compreso il suo errore, Nando andò
subito a scusarsi con Baciccia il severo
controllore.
Presto diventarono grandi amici e
continuarono a vivere felici e
rispettando sempre la legge!
Alice Marra (5B), Chiara Biscari, Sara Ferrera (1B)
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TEXA, LA BESAGNINA
C'era una volta una contadinella genovese di nome
Texa che viveva nelle vicinanze del Bisagno con suo
fratello Guglielmo.
Ella era bionda, magra, con gli occhi azzurri e la
carnagione chiara.
Texa era conosciuta da tutti per la sua allegria e
ogni sabato scendeva in città per vendere le sue
verdure. Si metteva con il suo carretto all'angolo di
Borgo Incrociati e per questo era chiamata Texa la
Besagnina.
Il fratello le raccomandava tutti i giorni di non
avvicinarsi ad un signore a cavallo che bazzicava da
quelle parti.
Quella mattina Texa vide tanta gente nella via. Un
uomo le si avvicinò dicendole: - Vieni con me ti
porterò in un posto dove farai un grande affare,
fidati di me! Quell'uomo si chiamava Senterello: era alto, magro, abbastanza forte e furbo.
Si vestiva spesso con camicia e pantaloni marroni indossava neri stivali e un cappello,
nero anch’esso.
Texa convinta delle parole di
Senterello, prese tutto e lo
seguì fino ad una capanna
sulle
colline
intorno
a
Genova.
Guglielmo, il fratello buono
di
Texa
accorgendosi
dell’assenza della sorella,
corse in città, vide il
carretto
di
Texa
abbandonato all'entrata del
bosco e capì che era
accaduto qualcosa di brutto
alla sorella.
Guglielmo seguì le trace del cavallo fino alla capanna. Dalla finestrelle vide che la
sorella era stata obbligata a fare le faccende domestiche: doveva spolverare, lavare
tantissime pentole e cucinare per il malvagio Senterello.
Il fuoco del forno era acceso, Guglielmo non esitò un attimo, entrò come una furia,
spinse quell’uomo malvagio nel forno e liberò la povera sorella spaventata.
Da quel giorno Texa non disubbidì più a suo fratello e continuarono a vivere felici e
contenti!!!!!
Elisa Benassi (5B), Sara Merello, Nicole Melgarejo, Alice Senatore (1B)
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IL RACCOLTO SCOMPARSO
C'era una volta un anziano signore di nome Bacci. Egli era un pescatore, vendeva il süe
pescü per guadagnare qualche palanca. Era alto e magro; abitava a Boccadasse insieme
a sua moglie e i suoi tre figli. Il suo carattere era solitario e riservato.
Nel tempo libero, amava giocare a bocce con il suo amico Carlin.
Bacci aveva ricevuto una lettera da suo zio Ginetto nella quale c'era scritto: “Cau
Bacci, te devu di che mön roboü ü raccoltü. Vegni un po chiüé a darme una man. Da tuo
zio Ginetto”.
Bacci andò subito da Carlin, il suo amico per chiedergli se lo poteva aiutare a risolvere
la questione.
Carlin aveiva una buttega di ferramenta in Burgu Incrocie: aveva scope, zappe, rastrelli
e anche una pozione magica che rendeva invisibile chi la beveva.
Bacci ringraziò Carlin dicendogli: ”Grazie Carlin, oua vaddu da ü me zio Ginetto a
cutrullà ü raccoltu”
Bacci si recò da
suo zio e gli disse
“Ginetto
oü
comprou
un
prodotto
magico
che
rende
invisibile,
così
possù usarla per
vedde oü ladru”.
Quella stessa sera
Bacci bevette la
pozione magica: in
un istante diventò
invisibile e si nascose dietro un muretto. Il ladro arrivò e immediatamente il coraggioso
Bacci sbucò fuori e lo rinchiuse in un sacco. Quando l'effetto della pozione magica
svanì, Bacci andò da suo zio dicendogli che aveva catturato il ladro. Quando lo tirarono
fuori dal sacco, scoprirono che si trattava di Giobatta, l'amico dello zio Ginetto;
Giobatta si giustificò dicendo: “Nessuno compra i miei ortaggi, son misciü e senza
speranza ed é per questo che rubo il tuo raccolto. Ginetto si impietosì, perdonò l’amico
e lo invitò ad aiutarlo nella coltivazione dei suoi orti sulle colline di Molassana.
Giobatta riconoscente per essere stato salvato dalla prigione, rimase a vivere con
Ginetto e gli fu fedele e sincero amico per tutta la vita.
Alessandro Fuentes (5B), Pietro Rivarola, Mattia Corallo (1B)
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GIOVANNI E LA BUTTEGA RUBATA
C'era una volta un contadino di nome Giovanni Bonetti che viveva in una casa vicino
all'acquedotto nella Val Bisagno. Egli aveva un negozio a Borgo Incrociati dove ogni
giorno vendeva la frutta e le verdure che coltivava.
Un giorno Giovanni incontrò un poliziotto di nome Stêva. Egli gli disse: ”Non puoi più
prendere l'acqua dall’acquedotto o ti toglierò la tua buttega.” Dopo un po' il besagnino
incontrò Baciccia, un uomo misterioso, che gli disse: "Bezugo, ti sei fatto ingannare da
quel poliziotto! L'acquedotto è aperto, puoi prendere tutta l'acqua che vuoi."
Il contadino andò subito a prendere l'acqua, ma il poliziotto se ne accorse subito e gli
disse: "Se non vuoi che ti chiuda il negozio, devi pagare una sanzione di cinquemila lire."
Il contadino non potendo pagare quella multa troppo salata, perse il suo negozio.
Amareggiato, deluso e nero di rabbia andò a casa di Baciccia che lo aveva ingannato,
procurandogli molti guai, ma non lo trovò.
Cercandolo ormai da molti giorni, finalmente lo incontrò e gli
urlò: "Stai fermo bezugo che non sei altro!!! Tu mi hai
rovinato!
Baciccia cercò di divincolarsi, ma Giovanni, che era molto
forte e robusto, lo legò e lo consegnò alla polizia.
Scoprì che il misterioso Baciccia era un criminale ricercato
da tempo, sulla cui testa pesava una taglia di cinquemila
lire.
Grazie a questa somma di denaro, il buon Giovanni poté
ricomprare il suo negozio e ricominciare a vendere i
prodotti del suo orto.
Da quel momento visse con la sua famiglia per sempre felice
e contento
Samuele Scordari (5B), Gianluca Deiana, Arrilla Shima, Mirko Varriale (1B)
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AMILCARE, GINO PINO E I SEMI MAGICI
C'era una volta un contadino di nome Amilcare che aveva due nipotini: Giacinto e
Teresa.
Amilcare disse: ''Figeu anemu a prende l'aegua” ; i nipoti gli risposero: “No zio noi
restiamo qui”.
Amilcare rispose: “Va bene andrò da solo”. Si incamminò per la stessa strada di sempre,
ma Attilo, il controllore dell' acquedotto, gli disse che la strada era chiusa per una
frana, ma c'era un' altra strada che passava per la casa di Gino Pino.
Amilcare si chiese chi fosse, ma si incamminò lo stesso.
Gino Pino era un uomo ricco, aveva una casa bellissima ma era violento e brutale. Infatti
gli disse: “Vai via o morirai”
Amilcare rispose: “Ma chi è che sta urlando? Sarà qualche bezugo”.
Gino Pino, non ottenendo risposta, si arrabbiò e uscì dalla sua proprietà armato di
pistola.
Amilcare vedendolo venire verso di lui, scappò via terrorizzato.
Il giorno dopo Amilcare chiese aiuto ai suoi nipotini, Giacinto e Teresa.
“Zio tieni questi semi di grano magici con i quali potrai rendere buone le persone
malvagie”.
Amilcare, non avendo più aegua andò
all'acquedotto, portando con sé i semi di
grano magici.
L’astuto Gino Pino lo vide arrivare e lo
chiuse in una trappola: “Ahahahah,
Amilcare ti ho acciuffato!”
Ma Amilcare prontamente gli lanciò i semi
e, come d'incanto, Gino Pino si calmò e
diventò mansueto come un agnellino.
Amilcare venne liberato e
strinse
amicizia con il ricco Gino Pino che, da quel
giorno era diventato un uomo generoso
con tutte le persone bisognose della città.
Insieme i due nuovi amici andarono a
prendere l' acqua. E continuarono ad
aiutarsi per sempre.
Simone Chessa (5B),
Samuel Sanna, Lorenzo Ferrando (1B)
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LINA, LA FATINA
C’era una volta nella Val Bisagno, in un'epoca antica, un contadino di nome Nando che
aveva una moglie di nome Giannina. Nando era robusto, maldestro e credulone, ma
anche molto gentile e simpatico con tutti.
Aveva anche un cane di nome Teo, che era il suo migliore amico.
Un giorno, purtroppo il cane morì.
Nando era molto triste, però poco
dopo conobbe Lina, la sua nuova
vicina di casa, che aveva tanti
poteri. Una mattina, Giannina,
mentre terminava di confezionare
le marmellate, chiamò Nando e gli
disse: ”Caro Nando io vado in città
a vendere le mie marmellate,
tornerò tra una settimana, ma tu
non ti muovere, perché verrà una
tempesta.”
“Va bene! Ci vediamo tra una
settimana” rispose Nando.
Quando la moglie partì, Nando pensò che sarebbe stato bello fare amicizia con la bella
e misteriosa Lina. Così andò a cercarla.
“Ciao Lina”- disse timidamente Nando - mi fai fare un giro con la tua scopa magica,
così in tanto ciattelliamo?”
Lina acconsentì. Mentre volavano, videro Teo, il cane di Nando, che volava verso di loro.
Nando capì che era stata Lina a farlo ricomparire e così la ringraziò.
Mentre tornavano a casa, una terribile tempesta stava abbattendosi sulla vallata.
Il Bisagno si ingrossava a vista d’occhio: sembrava la fine del mondo.
Nando era molto preoccupato per il ritorno a casa di Giannina, perché sapeva che
doveva attraversare il ponte di Sant’Agata.
Solo Lina, con la sua scopa magica, poteva andarle in aiuto. Alla richiesta di Nando, non
se lo fece ripetere due volte. Senza esitare, cavalcò la sua scopa e volò verso il ponte
di Sant’Agata dove vide Lina in estrema difficoltà perché il ponte era crollata, travolto
dalle acque del Bisagno in piena.
Fece salire Giannina sulla sua scopa e la riportò subito a casa.
Teo la sentì arrivare per primo e le corse incontro scodinzolando felice.
Anche Nando l’abbraccio felice. Prepararono subito la cena e insieme mangiarono la
pasta al pomodoro, che era il piatto preferito di Nando.
La bella fatina venne invitata a fermarsi a casa loro ogni volta che l’avesse desiderato.
E da quel giorno, se guardate nel cielo dopo la tempesta, potete vedere Lona la fatina
volare ancora sulla sua scopa.
Elisa Petrignano (5B), Chiara Campora , Veronica Primerano (1B)
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CARMINE E IL CAPPELLO MAGICO
C'era una volta, tanto tanto tempo fa, un uomo di nome
Carmine. Egli viveva con la moglie Geltrude nella Val
Bisagno in una casina di campagna.
Carmine aveva grandi occhi azzurri e un grosso nasone;
indossava sempre un cappello speciale che gli era stato
regalato dalla nonna, se lo perdeva, perdeva anche le
emozioni.
Carmine era un uomo onesto ed altruista. Svolgeva il
lavoro di contadino e per andare al suo terreno, ogni
giorno passava davanti alla casa di Teresa Parodi.
Teresa aveva grandi occhi verdi, lunghi capelli rossi e il
naso all’insù. Quando Carmine passava di lì, gli piaceva
fermarsi a ciattellare un po’ con Teresa. Ella gli offriva
sempre un pezzo di focaccia. Carmine però doveva passare
anche davanti alla casa di Gioanin.
Gioanin era un uomo presuntuoso...ma di lui si sa poco
perchè era molto riservato. La cosa che si sa con certezza
è che amava molto il suo orto ed era molto geloso dei suoi
prodotti meravigliosi. Davanti alla sua casina c'era un cartello con scritto “Non rubate
i miei ortaggi”
Le sue carote erano belle e succulente, ne aveva tantissime e quando Carmine passava
di lì, ne coglieva sempre una.
Un giorno, però Gioanin se ne accorse.
Si recò da Geltrude, la moglie di Carmine, e le raccontò del furto di carote.
Quando Carmine tornò a casa, i due litigarono molto. Geltrude gli tolse anche il cappello
magico. Carmine non sapeva più cosa, era confuse e sconvolto.
Si recò a casa di Teresa, ma la trovò sottosopra e buia. Per terra vide un biglietto
firmato da Gioanin con su scritto “Sei stato sciocco a rubarmi le carote, ti ho
ricambiato il furto rapendo Teresa, se la rivorrai vieni al Vecchio Mulino”. Quando
Carmine giunse al Vecchio Mulino, vide Teresa rinchiusa in una gabbia.
Gioanin lo accolse urlando: “Hai
visto cosa succede a rubarmi
le carote? Sei solo un bezugo!!!
Io ora vado a dormire ma sappi
che ho un sonno molto
leggero..."
Teresa disse a bassa voce: “
Carmine ti volevo portare il
cappello ma Gioanin lo ha
nascosto sotto il suo letto, vai
a
riprenderlo,
però
stai
attento a non svegliarlo.”
Carmine andò silenzioso vicino
al letto di Gioanin e prese il
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suo cappello, se lo mise in testa e ritrovò tutte le sue emozioni.
Grazie al cappello chiese scusa a Gioanin e gli promise che non gli avrebbe rubato mai
più le carote; chiese scusa anche alla moglie Geltrude. Liberò Teresa dalla gabbia, che
così potè tornare a casa.
Gioanin perdonò Carmine e invitò la bella Teresa a preparare le sue meravigliose
focacce a casa sua. Insieme vissero felici e contenti.
Davide Albricci (5B), Livia Cantu', Sara Malaspina (1B)
FRANCO, CARLOTTA E IL BANDITO
C'era una volta, tanto tempo fa, un contadino di nome Franco. Aveva capelli biondi come
l'oro, occhi azzurri limpidi come cielo ed era molto alto e magro. Adorava vestirsi in
maniera comoda, con magliette piene di toppe variopinte e pantaloni lunghi e verdi
forniti di bretelle, indossava stivali di gomma neri e un capello di paglia da cui non si
separava mai.
Aveva una immensa coltivazione di basilico, molto famosa e conosciuta in tutta la
vallata. Era un uomo dal cuore d'oro, aiutava tutte le persone in difficoltà, senza
esitare neanche un istante.
Un giorno arrivò in città una bella fanciulla di nome Carlotta: aveva lunghissimi capelli
castani e bellissimi occhi lucenti.
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Carlotta era venuta in città per acquistare del basilico; le avevano detto che il basilico
migliore era quello di Franco .
Una volta giunta nell'orto di Franco, lo vide mentre era intento a raccogliere il famoso
basilico; gli si avvicinò e gli chiese: “ Salve! Vorrei comprare del basilico!”
Franco si voltò, non appena vide Carlotta, se ne innamorò perdutamente.
“Salve bella fanciulla! Quale è il vostro nome?”
”Mi chiamo Carlotta e voi come vi chiamate ?”. “Io sono Franco “ rispose lui.
“Oh, bene Carlotta! Vi darò il migliore basilico che c'è nel mio orto !”
Franco e Carlotta iniziarono a frequentarsi e dopo pochi giorni di fidanzamento … si
sposarono. Un giorno Carlotta volle andare a cogliere delle fragole nel bosco. Franco
prima che partisse le raccomandò: “Stai attenta moglie mia! Non spingerti troppo in là
o potresti incontrare un uomo malvagio, da tutti conosciuto come il Bandito“.
Cammina, cammina Carlotta si dimenticò delle raccomandazioni fatte dal marito ed
entrò nella parte più fitta del bosco. Ad un certo punto, sbucò da un cespuglio il
terribile Bandito che prese Carlotta e la portò nella sua casa vicino all'acquedotto.
Era ormai sera e, non vedendo ritornare Carlotta, Franco iniziò a preoccuparsi.
Il mattino seguente il buon contadino decise di andare a cercarla. Si incamminò verso il
bosco, ma dopo molta strada stanco e stremato, si addormentò.
Durante il sonno, sentì una voce che gli diceva: ”Franco, se vuoi ritrovare tua moglie,
devi trovare l’albero magico: è l’unico albero vicino all’acquedotto, la sua corteccia
contiene della polvere magica. Trovalo, prendi un po’ di corteccia, lanciala in aria e
ritroverai la tua amata Carlotta.”
In quel momento Franco si svegliò e iniziò a cercare l’albero magico. Non fu difficile
trovarlo e prenderne la corteccia; la lanciò in aria e, per magia, Carlotta gli apparve
davanti. Felice e contento Franco riportò la bella Carlotta a casa.
Ma il terribile bandito si aggira ancora per quei boschi e se vi capita di fare una
passeggiate, state attenti a non incontrarlo!
Saverio Scrugli (5B), Lavinia Lazzeroni, Carola Provasi (1B)
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