Platone
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Introduzione a Platone 1 LA MENTE: QUALCOSA DI FISICO O DI IMMATERIALE? Chi sei tu? C’è qualcosa in te che non si riduce a materia e, quindi, ti eleva rispetto al mondo delle cose e degli animali, oppure tutto – anche la tua mente – si riduce a materia? C’è qualcosa che sopravviverà quando il tuo corpo morirà oppure con la morte del tuo corpo non rimarrà più nulla di te? In altre parole, cos’è che – in ultima analisi – fa dell’uomo un “uomo”? Interroghiamo il grande Platone. Per inquadrarlo, ti propongo prima un cenno ai pensatori precedenti. I pitagorici concepiscono l’uomo come un mix di anima e corpo: l’anima, per loro, alla morte del corpo emigra in altri corpi (metempsicosi). Sono – possiamo dire – “dualisti”. Gli atomisti - che fanno capo a Democrito -, invece, dualisti non sono: per loro, infatti, anche l’anima è costituita da “atomi”. In altre parole gli atomisti hanno una concezione “unitaria” dell’uomo. Una concezione, questa, che viene spezzata in modo profondo da Platone: è lui che teorizza la presenza nell’uomo di un’anima “spirituale”, di qualcosa cioè di assolutamente eterogeneo rispetto al corpo. Come arriva Platone a tale teorizzazione che verrà considerata per secoli una “conquista” del pensiero occidentale? Ti propongo qui un primo approccio semplificato e poi ti farò fare un’immersione nel “Fedone”, il dialogo in cui Paltone argomenta l’immortalità dell’anima. Platone parte dai “concetti” di Socrate: questi chiedeva agli interlocutori “che cosa” caratterizza – ad esempio – una determinata virtù (vedi il coraggio), che cosa cioè fa sì che il coraggio sia il coraggio e non si confonda con altre virtù. E’ riflettendo su tali concetti che Platone arriva a dare un fondamento alla sua tesi. Egli, infatti, coglie in tali concetti delle caratteristiche che non hanno nulla a che fare con l’esperienza delle cose sensibili: i concetti sono “astratti” ed “universali”, mentre le cose sono tutte “concrete” e “particolari”. Siamo di fronte, quindi, ad una disomogeneità tra concetti e cose. I concetti, in altre parole, non avendo le caratteristiche della concretezza e della particolarità tipiche della materia, sono... non materiali, cioè spirituali. La tua conclusione non solo è coerente, ma è quella a cui arriva Platone: proprio perché non hanno le caratteristiche delle cose materiali, i concetti non possono che essere non materiali, cioè "spirituali". Ma non siamo ancora arrivati alla soluzione dell'interrogativo di fondo: come Platone arriva ad affermare la spiritualità dell'anima? Adesso sei in grado di... tagliare il traguardo. L’anima è spirituale perché - presumo - conosce le idee. E' questa la strada imboccata da Platone. L'anima è spirituale perché conosce dei contenuti spirituali. Siamo finalmente arrivati al traguardo. L'anima è spirituale, secondo Platone, perché, 1 Nasce ad Atene nel 428/427 a.C. da una famiglia aristocratica: il padre pare discenda da Codro, antico re di Atene; la madre è figlia di Glaucone il Vecchio, fratello di Crizia. "Platone" è un soprannome datogli in modo scherzoso dal maestro di ginnastica (per la sua "ampia" costituzione). Ha un'educazione che ricevono tutti i rampolli delle famiglie-bene del tempo. E' in contatto tramite il sofista Crizia con gli elementi filospartani che poi diventano gli autori di un golpe (il governo dei trenta tiranni). Entra in contatto diretto con Socrate nel 408, incontro che segna il suo pensiero. Durante il processo di Socrate è pronto a mettere a disposizione i suoi beni nel caso di un'eventuale multa che Socrate non sia in grado di pagare. Dopo la morte di Socrate intraprende una serie di viaggi, tra cui uno a Siracusa dove è tiranno Dionigi il Vecchio (il cognato di questi, Dione, è affascinato dalle idee politiche di Platone). Tornato ad Atene in modo avventuroso (pare che nel viaggio di ritorno, nell'isola di Egina - in guerra con Atene - venga fatto schiavo e poi riscattato da Anniceride di Cirene), fonda una scuola in un parco a pochi km da Atene dedicato all'eroe Accademo (da qui il nome Accademia dato alla scuola), scuola che ha il compito di preparare una nuova classe dirigente. Nel 367 muore a Siracusa Dionigi il Vecchio a cui succede il figlio Dionigi il Giovane più aperto politicamente del padre. Dione ne approfitta per invitare di nuovo Platone nella speranza di attuare quella riforma che nel viaggio precedente non è riuscita. Tra Dionigi il Giovane e Dione, però, si creano forti contrasti tant'è che Dionigi manda in esilio lo stesso Dione. Platone cerca di riconciliare i due, ma invano. Nel 361 Platone torna di nuovo a Siracusa, ma anche stavolta raccoglie solo delusioni (viene addirittura fatto prigioniero dallo stesso Dionigi - lo salva Archita di Taranto - ). Muore ad Atene a ottanta anni circa. Di Platone abbiamo tutte le opere: un'"Apologia di Socrate", 34 dialoghi e 13 lettere. Tra i "Dialoghi" più significativi: Critone, Eutifrone, Gorgia, Menone, Fedone, Repubblica, Parmenide, Sofista, Filebo, Sofista, Leggi. conoscendo le idee che sono spirituali, non può che avere una natura affine a tali contenuti: come farebbe un occhio a percepire qualcosa di astratto ed universale? Platone non solo sostiene la spiritualità dell'anima, ma arriva a sostenere che l'anima è immortale, addirittura eterna. Puoi intuirne il perché? Perché non è materiale. Ma perché ciò che non è materiale non può morire? Mi sembra semplice la risposta (tenendo presente, almeno il concetto della morte secondo gli atomisti): proprio perché l'anima è spirituale (cioè non materiale), non è composta di parti e quindi non può essere divisa, non può disgregarsi, non può morire. Infatti: la morte è vista come la disgregazione delle parti di cui un organismo è composto: ciò che non è composto, quindi, non può disgregarsi, non può morire. Passiamo ora al “Fedone”. IL FEDONE di Platone: A CONFRONTO CON UN CLASSICO “DIALOGO” SULL’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA. (Si tratta di un percorso che presuppone la lettura del dialogo) Il “Fedone” – per certi aspetti – è una prosecuzione dell’Apologia: nel Fedone, infatti, Platone (nei panni di Socrate) non fa che dimostrare quanto sostenuto nell'Apologia, che cioè la morte - per chi si è comportato in modo onesto - è un bene. Entriamo ora nel merito. Per Platone l'anima può contemplare la verità nella sua purezza solo quando non è offuscata dal corpo e dalle passioni. Chi ama il sapere, quindi, non ha alcuna paura della morte. Veniamo alle prove dell'immortalità. In che consiste l'argomentazione dei contrari? Ho capito il concetto secondo cui la morte nasce dalla vita (come farebbe a morire qualcosa che non fosse vivente?), ma non ho affatto compreso come si possa nascere dalla morte. Hai capito che non vi sarebbe morte se non ci fosse qualcosa che prima era vivente. Non ti sembra che tale principio valga anche per il passaggio inverso? La vita non nasce dalla nonvita? Se fosse già vita prima della nascita, che senso avrebbe la nascita? Per Platone il ciclo della generazione continua: se dalla vita nasce la morte, anche dalla morte nasce la vita. Si ha dunque una rigenerazione perenne. Se il principio generale della generazione dai contrari facesse eccezione per quanto riguarda la vita, tutto morirebbe. L'anima, quindi, continua a sopravvivere. Ma... tale anima conserva, anche dopo la morte del corpo, "forza e intelligenza"? Per Platone, sì. Quale l'argomentazione? Socrate (cioè Platone) tira fuori la dottrina della reminiscenza: il nostro apprendere non è altro che ricordare quello che abbiamo appreso nel mondo delle idee. E' vero: l'apprendere non è altro che un ricordare quanto abbiamo appreso nel mondo delle Idee. Per Platone noi, nel percepire una cosa, ne ricordiamo un'altra o perché la prima è simile alla seconda o perché è dissimile. Cos’è che noi ricordiamo quando confrontiamo due pezzi di legno uguali? All'idea di uguaglianza: come farei a confrontare due oggetti uguali se non avessi l'idea di uguaglianza? Sì: se non avessi l'idea di uguaglianza, non potrei dire che A è uguale a B. Simmia e Cebete non sono ancora del tutto convinti. Socrate, allora, fa un passo ulteriore sostenendo l'affinità tra anima e le idee: in che senso? L'anima ha una natura affine alle idee perché come queste ultime non è composta e quindi non si decompone. E' vero che l'anima è presentata come qualcosa di non composto. Ma... perché? Riprendiamo subito l'argomento. Come Socrate sostiene che l'anima è semplice, cioè non composta e quindi non decomponibile e quindi immortale come immortali sono le idee? Affermando che l'anima è spirituale (cioè immateriale) come le idee. Siamo al problema precedente: prima occorrerebbe dimostrare che è spirituale e poi affermare l'affinità con le idee. L'anima è semplice, spirituale e quindi la sua natura è affine a quella delle idee. Ma... perché si può dire che l'anima è semplice, spirituale? Perché l'anima, cogliendo le idee, non può che essere simile alle idee: il simile si conosce col simile! E' vero. Platone riprende il principio di Empedocle: il simile si conosce col simile, un principio che è agli antipodi della concezione di Anassagora. Per Platone esistono realtà composte che si decompongono, che sono sottoposte al mutamento e ci sono realtà che, proprio perché semplici, immateriali (vedi le idee) sono immutabili: l'uguale in sé, il giusto in sé… rimangono eternamente tali. L'anima, secondo Platone, assomiglia di più alle idee che al corpo; in più l'anima ha il compito di comandare che è caratteristico del divino - sono gli dei che comandano sui mortali -. Quale l'obiezione di Simmia? Simmia tira fuori la concezione (pitagorica) secondo cui l'anima è simile all'armonia: l'armonia è qualcosa di distinto da uno strumento musicale che la produce, così l'anima - che è l'armonia degli elementi che costituiscono il corpo - non può che essere distinta dal corpo e quindi permanere anche dopo la morte del corpo. Simmia, è vero, tira fuori la concezione dell'anima come armonia, ma per arrivare a conclusioni opposte: l'armonia cessa quando si rompe lo strumento. Socrate confuta l'obiezione di Simmia in due modi. In primo luogo afferma che tale concezione è in contrasto con la dottrina della reminiscenza, dottrina che Simmia dice di accettare. Dove starebbe il contrasto? La dottrina della reminiscenza conduce alla preesistenza dell'anima, mentre sulla base della concezione dell'anima come armonia non si potrebbe dire che l'armonia continui ad esistere anche quando lo strumento è rotto. Se si vuole essere precisi, si dovrebbe dire che l'armonia non può preesistere prima dello strumento: la dottrina della reminiscenza, infatti, porta direttamente ad affermare che l'anima preesiste al corpo. Socrate aggiunge un'argomentazione in risposta all'obiezione di Simmia: quale? Mi pare di ricordare che se l'anima fosse concepita come armonia, non si potrebbero spiegare le differenze tra le anime (ma non ricordo altro). Platone, infatti, sostiene che se l’anima fosse concepita come armonia (accordo), non si potrebbero distinguere le anime virtuose (virtù=armonia) da quelle viziose (vizio=disarmonia). Cebete a sua volta obietta che l'anima, se è vero che preesiste al corpo, non è affatto certo che sopravviva per l'eternità: potrebbe, infatti, spegnersi insieme all'ultimo corpo così come il tessitore non sopravvive all'ultimo dei vestiti da lui fatti. Come risponde Socrate? Mi ricordo che Socrate tira fuori l'argomento dei contrari che però non ho compreso bene: prima aveva detto che la generazione nasce dai contrari, ora usa tale argomento per sostenere che l'idea in sé è invariabile. Può sembrare contraddittorio, ma non lo è: prima aveva affermato che i contrari nascono dai contrari, ora afferma ad esempio che la grandezza in sé (cioè l'idea di grandezza) non può mai diventare piccolezza. Ma... cosa c'entra con l'immortalità dell'anima l'argomento secondo cui l'idea in sé non può mai diventare il contrario di sé? C'entra: se le idee rimangono immutabili, anche l'anima non può morire perché ha una natura affine a quella delle idee. Effettivamente Socrate introduce un passaggio ulteriore, altrimenti non si può dire che produca un'ulteriore argomentazione. Qual è allora il passo successivo di Socrate (Platone)? Come spiega, cioè, ulteriormente che l'anima è destinata a non morire? Lo spiega sostenendo che l'anima è immortale perché per definizione (vedi il termine greco "psyché") è vita e in quanto tale non può mai ricevere la morte. E' vero: per Platone l'anima è per essenza vita e, in quanto tale, non può mai assumere il suo contrario come il tre non potrà mai diventare pari. L'anima, in altre parole, partecipa dell'Idea di vita, e in quanto tale non potrà mai morire. Qual è, secondo te, il riferimento culturale di Platone quando dice che l'idea (l'uguale in sé, ad esempio) non può mai diventare il suo contrario? Mi pare siano i pensatori della scuola di Mileto, quei pensatori che hanno pensato l'arché come eterno. Il riferimento è senza dubbio Parmenide, non la scuola ionica: il primo pensatore che ha affermato che la vera realtà (l'Essere) è qualcosa di immutabile. Socrate cita espressamente Anassagora. Nell’"Apologia” si è difeso dall'accusa di essere di fatto un discepolo di Anassagora sostenendo che non si occupava affatto di indagare le cose celesti. Nel Fedone dice qualcosa di più: è stato, sì, attirato da giovane da Anassagora, ma questo l'ha deluso: perché? Perché ha osato affermare che il sole non è altro che una pietra infuocata. Non si tratta di questo: Anassagora delude Socrate perché, dopo aver introdotto il concetto di una Mente ordinatrice, di fatto poi spiega le cose sulla base di fattori meccanici, senza più utilizzare la Mente. Per Socrate-Platone le cause prime delle cose non sono materiali, ma spirituali: ciò che fa sì, ad esempio, che una cosa sia bella è l'idea di bellezza. Tra le accuse antiche da cui si difende Socrate nell'Apologia c'era quella secondo cui egli indagava le cose sotterranee. Nel Fedone Socrate descrive il mondo sotterraneo dell'aldilà. Ti sembra ci sia una contraddizione? Credo di no: nel Fedone presenta un aldilà che è sostanzialmente conforme a come era descritto dalla tradizione religiosa. E' vero. Si tratta, poi, di un mito che viene attribuito ad "un tale”. Lo scopo appare abbastanza chiaro: dire ai malvagi che nell'aldilà c'è una giustizia superiore. I sapienti - per Platone - non sono virtuosi perché temono la punizione nell'aldilà (tale punizione viene prospettata per chi sapiente non è). La morale, cioè, ha una sua autonomia: l'essere virtuoso implica già felicità. E il saggio è sereno di fronte alla morte perché sa di avere davanti una vita beata. E' giustificabile in questa ottica (secondo Platone) il suicidio? Non ricordo di aver trovato la risposta: mi pare, però, di poter dire che se il saggio non desidera altro che liberarsi dal corpo per vedere la verità nella sua purezza e vivere una vita sommamente beata, il suicidio (solo per il saggio) sarebbe coerente. Ti sarà sfuggito, ma nel Fedone è affermato chiaramente che il corpo è una prigione da cui l'uomo non può evadere: la preparazione alla morte per il saggio consiste nel liberare l'anima dal corpo durante questa vita. IL “DIVINO”? UN “MODELLO”! Il discepolo Platone attribuisce alle idee (contenuti dei concetti) le caratteristiche “divine” che Parmenide attribuiva all’essere, cioè l’eternità, l’immutabilità, l’essere atemporali. Perché mai? Prova ad intuire. Ci provo. L'idea di bellezza - ciò che fa sì che il bello sia bello - non può mutare, non può diventare... bruttezza. E' quanto pensa Platone: come fa a diventare bruttezza l'idea di bellezza? Il Bello oggetto dell'idea è perennemente Bello. L'idea di Platone ha quindi le stesse caratteristiche dell’essere parmenideo. Esiste, tuttavia, una differenza fondamentale: Platone ritiene esista una molteplicità di idee (per lui – te l’ho già anticipato – Parmenide ha commesso l’errore di non distinguere il non essere come “nulla” dal non essere come “essere diverso”). Dove esisteranno mai queste idee? Ovviamente nella mente umana: dove potrebbero esistere altrimenti? Si tratta di un'interpretazione che è stata formulata, ma che oggi è ritenuta infondata: le idee, proprio per le loro caratteristiche, appartengono ad un mondo sovrasensibile. E’ questo mondo “sovrasensibile “(chiamato poeticamente “iperuranio”) che Platone chiama “divino”. E’ il caso di precisare che questo divino non è una “persona”. E' vero che per Platone le idee hanno una gerarchia che ha come vertice l’idea di “bene”, idea di cui tutte le altre partecipano, ma è anche vero (e la critica su questo è unanime) che non siamo per nulla di fronte ad una Persona. Vi è, comunque, un elemento originale, un elemento cioè che non si è mai riscontrato in modo chiaro prima. Quale? Il divino platonico è concepito in modo chiaro come "trascendente" e come "spirito". E' quanto pensa Platone: per lui il mondo delle idee è un mondo immateriale (cioè "spirituale") e trascendente, termine antitetico a "immanente". Chiariamo. Perché Platone considera il mondo delle idee come un mondo “spirituale”? Prova ad intuirlo. Perché le idee, proprio perché immutabili, non sono materiali. E' vero che le cose mutano (da qui - mi pare di capire - la tua tesi: ciò che è materiale muta, quindi ciò che è immutabile non è materiale), ma è anche vero che ciò che fa sì che le idee siano spirituali è il loro essere astratte ed universali. All’interno di questo scenario che rapporto avrebbero le cose con queste idee? Nessun rapporto. Le idee, infatti, hanno caratteristiche del tutto opposte alle cose: eterne, immutabili, spirituali contro le cose che nascono e muoiono, mutano e sono materiali. Quanto dici è coerente. Platone, però, è convinto che il mondo "partecipa" del mondo delle idee: se non ci fosse alcun rapporto, come potremmo dire che una cosa è "bella"? Ma come è possibile che le cose che presentano caratteristiche diametralmente opposte a quelle delle idee abbiano un rapporto con queste ultime? Una spiegazione è possibile solo introducendo un terzo elemento: un Dio personale che ha operato detta sintesi. Platone introduce un terzo attore che chiama Demiurgo (Artigiano). Tale Demiurgo, però, solo con una forzatura si potrebbe definire "Dio”, in quanto è considerato inferiore al mondo divino delle idee. Si tratta di un Artigiano che avrebbe plasmato la materia informe – una materia eterna come è eterno il divino – sulla base dei modelli divini, sulla base cioè delle “idee” che rappresentano dei “modelli” (i modelli di “uomo”, di “albero”, “bellezza”, “uguaglianza”, “cerchio”…) Il Demiurgo, quindi, non è il creatore dal nulla (ciò che invece viene attribuito al Dio cristiano), ma un Artigiano semi-divino che ha fatto del “caos” originario” un “ordine” (kosmos, in greco un kosmos che nel Timeo ha - seguendo la lezione dei pitagorici - una struttura matematica) modellato sul mondo divino delle idee. Cosa sono, dunque, le idee per le cose stesse? Per Platone sono la ragione per cui le cose belle, buone, giuste... sono belle, buone, giuste... : come potrebbe essere buona una cosa se non perché partecipa del bello in sé, cioè dell'idea di bello? Le idee, quindi, sono la ragione ultima per cui le cose belle, buone sono belle e buone. E cosa sono tali idee rispetto all'uomo che percepisce il mondo? Pensaci! Sono degli schemi mentali senza dei quali non potremmo esprimere alcun giudizio: come faremmo a dire che A=B se non avessimo l'idea di "uguaglianza"? E' quanto pensa Platone: come si farebbe, ad esempio, a dire che Socrate è "uomo” se non si avesse l'idea di uomo? come si farebbe a dire che questo è un quadrato, se non avessimo l’"idea di quadrato”? Le idee (idee-valori - come il Bello in sé - le idee matematiche... ), quindi, sono per Platone le condizioni senza le quali non si potrebbe pensare, esprimere cioè giudizi, definire… Ma com’è che l’uomo possiede tali idee? Le possiede perché, ovviamente, le ha colte dall'esperienza: da dove se non dall'esperienza abbiamo colto l'idea di bellezza? Sulla base di quanto hai appreso non avresti potuto dire che le idee vengono ricavate dall'esperienza. Stiamo, naturalmente, parlando dell'orizzonte culturale di Platone. I concetti – sia perché sono astratti ed universali (e le cose dell’esperienza sono concrete e particolari) e sia perché si tratta di concetti senza i quali non potremmo definire, ad esempio, “uomo” un uomo – non possono derivare dall’esperienza. Ma come fanno questi concetti ad essere presenti nella mente umana? Per Platone l'anima sarebbe vissuta (prima di incarnarsi in un corpo) nel mondo delle idee e quindi le avrebbe contemplate: è per questo che, a contatto con le cose, l'anima ricorda tali idee. Come fa a dire ciò? Platone - pur essendo un “filosofo” - fa riferimento a quanto dicono sacerdoti e sacerdotesse. Senti: cosa dici del "divino" di Platone? Non so cosa farne di un divino impersonale. Che sia impersonale, è vero. Ma perché il Divino non potrebbe essere una Realtà impersonale (i Modelli di cui parla Platone)? Platone introduce, come abbiamo visto, il Demiurgo. Cosa ne dici? Mi pare un'idea più accettabile del Dio creatore dei cristiani: come potrebbe il Dio cristiano creare se non ha nulla (del materiale, della materia prima) da organizzare, da ordinare, da assemblare secondo dei Modelli? E' questa un'idea antichissima, presente addirittura nei primi testi biblici: il termine "creare" in ebraico ha lo stesso significato del "fare” dell'artigiano. Cosa dici dell'idea di Platone secondo cui il mondo "partecipa" del divino? Mi sembra qualcosa di esaltante, qualcosa che, in una certa misura, presenta un'analogia con la concezione cristiana: non dice il Cristianesimo che Dio ha fatto partecipi le creature del suo Essere? Non hai torto. Tieni, tuttavia, presente una possibile obiezione: se le creature "partecipassero" dell'essere divino, non sarebbero "parti" di Dio? Cos’è che ritieni più originale della concezione platonica del divino? L'idea della "trascendenza", un'idea che, tramite soprattutto il Cristianesimo, diventerà un patrimonio culturale dell'occidente. Mi sembra corretta la tua osservazione: il Cristianesimo - o meglio la filosofia cristiana ufficiale - teorizzerà la trascendenza divina. Di quel poco che hai affrontato in questo percorso cosa c'è - del pensiero platonico - che ti sembra ancora attuale? La concezione secondo cui il mondo matematico (con le sue relazioni) è qualcosa che non muta col tempo e, quindi, è eterno. Se vuoi dire, ad esempio, che la somma degli angoli interni di un triangolo sarà sempre equivalente ad un angolo piatto, mi pare che tu dica una tesi sensata. Ma la definizione di triangolo (da cui deduci la relazione di prima) è qualcosa di immutabile o una semplice convenzione creata dall'uomo? SI PUO' SCOPRIRE LA VERITA' SE NON LA SI CONOSCE IN ALCUN MODO? Socrate non scrive nulla: la verità, per lui, non è qualcosa di confezionato che si può regalare con dei libri, ma una conquista interiore cui si può approdare grazie al "dialogo”. Il discepolo Platone scrive molto, ma rimane a lungo fedele all'insegnamento di Socrate facendo ampio uso del "dialogo" (numerose sono le opere a forma di "dialoghi"). Platone, però, va anche oltre Socrate. In che cosa? Utilizza quanto già sai. Mi ricordo benissimo: Socrate - così credo - si potrebbe chiamare "umanista" nel senso che per lui la verità è una conquista umana ed è qualcosa che si fonda in se stesso, mentre per Platone la verità ha un fondamento divino. E' vero: Platone appoggia la verità su qualcosa di esterno all'uomo, su qualcosa che si potrebbe chiamare anche "divino" (come tu dici) in quanto le idee - come sai - hanno i classici attributi divini dell'essere di Parmenide (a parte, naturalmente, l'unicità). Socrate (come del resto Protagora) si trova a metà tra l'assolutismo della Verità (la concezione secondo cui esistono Verità assolute - Verità religiose e Verità razionali - ) e lo scetticismo radicale di Gorgia. Platone, invece, approda di nuovo all'assolutismo. Perché? Utilizza anche qui quanto già sai. Perché avverte l'esigenza di punti fermi senza i quali la società vivrebbe nell'anarchia dei valori, nella contrapposizione delle opinioni. L'esigenza politica è indubbiamente forte in Platone: per lui solo dei "sapienti” al Potere (sapienti che hanno un sapere fondato su verità assolute) possono garantire una vita politica giusta. Platone - animato da una forte esigenza di costruire una società fondata non sull'anarchismo di valori o sulla lotta tra "bandiere” di parte, ma su valori assoluti - avverte la necessità di andare oltre anche Socrate. Non lo convince come si possa aiutare gli altri a partorire la verità se tale verità non la si possiede. Perché? Prova ad intuirlo. Perché se si partisse come Socrate dalla sola consapevolezza di non sapere, come si potrebbe riconoscere la verità una volta fosse partorita? E' proprio l'osservazione di Platone formulata nel "Menone”. Come è possibile superare l'obiezione (contenuta nel "Menone”) secondo cui la ricerca è impossibile perché o già si sa e allora non ha senso ricercare o non si sa e allora non si può approdare a nessuna verità? Per Platone esistono Verità assolute. Ma allora che senso ha la ricerca? Ah! Ricordo benissimo: le Idee (i Modelli, i Paradigmi) noi le cogliamo non direttamente, ma mediante una faticosa interrogazione della natura. L'esperienza (dovresti ricordarlo) ha un suo ruolo in Platone, ma dovresti anche ricordarti che per lui le idee non derivano dall’esperienza sensibile. Come si fa a conciliare tale tesi con la ricerca faticosa della verità? Posta tale tesi, riesce Platone a dare un senso alla ricerca? Prova ad intuire. Ci provo: credo che per cercare non si può partire né da un'ignoranza totale né dal possesso intero della verità. Credo, quindi, che le idee colte dall’intelletto (dall’occhio della mente) non siano la verità piena in possesso dell'uomo. E' proprio la... via di uscita di Platone. Si tratta, però, di spiegare come le idee non siano delle verità piene. Vediamola questa... via di uscita di Platone. Cioè... Ah! Adesso ricordo: Platone introduce il concetto di sapere come un ricordo che viene risvegliato dagli oggetti sensibili. E' vero. Per Platone sapere è ricordare, un ricordare che viene sollecitato dall'esperienza sensibile: come faremmo a ricordarci di un'idea, se non avessimo lo stimolo dell'esperienza? Per Platone, quindi, la ricerca ha senso perché l'uomo non possiede - a livello di idee presenti nella mente - la verità dispiegata nella sua pienezza, in quanto ha solo un ricordo che ha bisogno di essere stimolato dall'esperienza sensibile (si tratta della celebre "teoria della reminiscenza"). Proseguiamo: in che senso le idee platoniche sono delle verità assolute? Utilizza quanto già sai. Nel senso che le idee sono dei Modelli immutabili che pur esistendo nell'uomo, non hanno nulla a che fare con la mutevolezza e l'imperfezione dell'opinione che è frutto dei sensi. E' vero che per Platone le idee sono verità perché sono Perfezioni - appunto Modelli - e immutabili (che verità sarebbe una verità imperfetta e mutevole?). E' vero anche che i concetti sono innati. Ma è anche vero che i contenuti dei concetti (cioè le "idee” platoniche) sono trascendenti l'uomo, nel senso che esistono al di fuori delle menti umane e al di fuori dello spazio e del tempo. La "scienza" (il sapere, cioè, vero) ha, quindi, come oggetto i Modelli, vale a dire ciò che è Perfetto e Immutabile. L’"opinione”, invece, avendo come oggetto il mondo sensibile, ha come oggetto l'imperfetto e il mutevole. Dove si colloca - in questo quadro - la matematica? Ovviamente nella conoscenza razionale: tra le "idee" di Platone non vi sono anche le "idee matematiche"? E' vero. Le idee "matematiche” e le idee "valori" - il Bello, il Giusto... sono le idee a cui Platone ha prestato maggiormente attenzione. E' anche vero, però, che per Platone, pur appartenendo alla conoscenza razionale, la matematica è ad un gradino inferiore rispetto alla filosofia perché, tra l'altro, ricorre ad immagini sensibili. Anche se dovesse non fare ricorso ad immagini sensibili, la matematica parte da definizioni e postulati non dimostrati, cioè ipotetici ed inoltre non ha nulla da dire intorno alla riforma della vita politica. La filosofia (o "dialettica”) è, dunque il... top del sapere. Scaviamo: cosa intende Platone per "dialettica”? Da quanto si è detto è sinonimo di filosofia, cioè un sapere fondato su Modelli eterni ed immutabili. E' vero, ma è anche vero (lo vedremo tra poco) che il termine assume significati diversi in opere diverse. Platone usa il termine "dialettica" con significati diversi: nella "Repubblica" col significato di scienza delle "idee-valori”, nel "Fedro" e nel "Sofista" come tecnica del discorso filosofico tesa a cogliere le "relazioni” tra le idee. Una premessa (già anticipata): Platone prende le distanze della negazione parmenidea del molteplice, cioè... Mi sembra scontata la risposta: Platone in sintonia con Parmenide sostiene che l'essere è eterno ed immutabile, ma è convinto che tale essere è molteplice: appunto le idee. E' vero. Si tratta, però, di fare il passo successivo: come riesce Platone ad evitare la contraddizione evidenziata da Parmenide? Come Platone riesce, affermando la molteplicità dell'essere, ad evitare la contraddizione sottolineata da Parmenide? Ah! Adesso ricordo: per Platone il dire che A non è B non significa affatto che A "non è" non significa affatto cioè il non essere dell'essere. E' vero. Il tuo argomento è stringente. Ma... che significato avrebbe allora "non è”? Dovresti esplicitarlo, chiarirlo. Platone - come dovresti ricordare - sostiene (contro Parmenide: questo è il cosiddetto "parmenicidio”) che il "non è” in questione non significa "non essere assoluto”, ma "essere diverso”. Proseguiamo. Per certi sofisti tutte le idee sono in relazione tra loro per cui per loro ogni proposizione è vera. Per i megarici ed cinici (due scuole socratiche) nessuna idea comunica con le altre per cui l'unica proposizione possibile è quella tautologica. Platone non è d'accordo né con gli uni né con gli altri, perché per lui non esistono solo proposizioni vere o proposizioni tautologiche. Per Platone la dialettica è una tecnica che serve ad unificare ma anche a distinguere le idee. E' una tecnica che consiste nel dividere un’idea per due (si chiama tecnica "dicotomica”) fino a raggiungere un'idea indivisibile. Un esempio? Proviamo a definire l'idea di "uomo". Partiamo dall'identificazione di uomo con l'animale. Dividiamo, poi, l'animale in animale senza piedi e animale con piedi. Dividiamo, poi, l'animale con piedi (in cui si trova l'uomo) in animale quadrupede e bipede. Dividiamo, poi, l'animale bipede in privo di parola e con parola. L'uomo, quindi, è definito come animale bipede con parola. L'esempio è corretto. Per Platone non tutte le proposizioni sono vere e sono tutt'altro che possibili solo le proposizioni tautologiche. Siamo, poi, su una lunghezza d'onda completamente diversa da quella parmenidea. Per lui le idee sono incluse in altre: ogni idea "è” e quindi è inclusa nel genere di essere, ogni idea è "identica” a se stessa, ogni idea è "diversa” dalle altre. Ti propongo qui - prima di chiudere con Platone - il celeberrimo "mito della caverna”: è troppo bello perché tu non lo legga direttamente e non lo... goda. Il senso complessivo del mito della caverna? La caverna, naturalmente, è il nostro mondo, gli schiavi incatenati sono gli uomini (le catene rappresentano la nostra ignoranza e le nostre passioni), le ombre delle statuette e le statuette rappresentano i due gradi della conoscenza sensibile (cioè le impressioni superficiali delle cose - impressioni tra loro slegate - e gli oggetti dei sensi nelle loro relazioni reciproche). E ancora: il mondo fuori dalla caverna è il mondo delle idee, le immagini delle cose riflesse nell'acqua rappresentano le idee matematiche che - come sai - sono il primo grado della conoscenza razionale, il sole è l'idea del Bene. Per Platone il filosofo - chi esce dalla caverna ha il compito di tornare nella caverna per illuminare gli altri. GLI INTELLETTUALI AL POTERE! Discepolo di Socrate è fortemente colpito dalla morte ingiusta del maestro (dal divorzio tra un Potere senza sapere - lo Stato - e da un Sapere senza potere - Socrate). Da qui il suo progetto di costruire uno Stato di sapienti. Perché non considera adeguata nessuna forma concreta di Stato? Prova ad intuire. Provo a congetturare: perché si tratta di forme (vedi il regime democratico assembleare, vedi il governo oligarchico dei trenta tiranni che ha rovesciato la democrazia precedente, vedi il nuovo regime democratico - quello che ha mandato a morte lo stesso Socrate - ) che esprimono interessi di... parte. Dici bene. In base a quanto hai già acquisito avresti potuto già capire come lo stesso regime democratico veniva considerato all'interno della stessa sofistica come un governo di parte. Senti: quali sono per Platone le "degenerazioni” di uno Stato? Le puoi intuire con facilità. L'oligarchia, una degenerazione dell'aristocrazia. Si tratta proprio dell'oligarchia che è una degenerazione dell'aristocrazia: come sai l'aristocrazia è il governo dei migliori. Un'altra forma di degenerazione? La democrazia, un governo cioè in cui sono i poveri a governare. Effettivamente Platone tende a vedere la democrazia come governo dei più (che non sono ricchi), ma anche come una forma di governo che è praticamente l'equivalente di anarchia (in tale regime, cioè, ognuno può fare quello che vuole). Perché l'oligarchia e la democrazia (ci limitiamo qui a queste due forme di governo) sono per Platone delle degenerazioni dello Stato? Prova ad intuire. Ci provo. A questo punto del discorso, mi sembra scontata la risposta: sono degenerazioni perché lo Stato deve essere retto non da pochi né da tanti, ma da tutti. Platone è favorevole, invece, ad un’élite al potere: l’élite dei competenti. E' solo così che può superare il divorzio del tempo tra il sapere e il potere. Platone, quindi, vede sia il governo dei ricchi contro i poveri sia il governo dei poveri contro i ricchi un'espressione degli interessi di parte, mentre per lui lo Stato deve esprimere gli interessi generali, anzi il bene. Per questo è convinto che debba essere retto dai migliori. Ma... quali sono i cittadini migliori? Naturalmente i competenti cioè i tecnici, gli economisti, i politici. Per Platone devono governare, indubbiamente, i COMPETENTI. Ma... quali sono i competenti? Per Platone sono i sapienti, in altre parole i filosofi, cioè quelli che conoscono il bene (non i tecnici...). Platone, quindi, è convinto che a governare debbano essere i SAPIENTI: sono loro i "migliori" perché sono loro che conoscono il bene. Se non andassero al potere i sapienti, come si farebbe ad eliminare le condizioni da cui è derivata la morte di Socrate, cioè da una parte un potere senza sapere e dall'altra un potere senza sapere? Uno Stato retto da sapienti: questo per Platone deve essere lo Stato. Ma... che cosa può garantire che i sapienti operino per il bene pubblico e non per i propri interessi? Provo a fare una congettura ardita: penso ad una sorta di... blind trust non molto dissimile da quello che è stato proposto Italia. Hai tutt'altro che sballato. Il blind trust - come sai dalla stampa scritta o parlata - è indubbiamente una formula complessa tesa a separare la gestione delle imprese di un imprenditore-governante in modo che tale imprenditore non possa agire a favore dei propri interessi. Platone non arriva ovviamente a tale formula. Indica, però, uno strumento che ha molta consonanza col blind trust. Anzi è addirittura più radicale. Cosa propone? Non dovresti avere alcuna difficoltà ad intuirlo. Non può che proporre - se è più radicale - la cessione delle proprietà stesse (e non solo la cessione della gestione prevista dal blind trust). Hai usato l'intuizione. E l'hai usata bene. La sola cessione della gestione è già prevista dalla formula del blind trust! Platone, quindi, arriva a teorizzare L'ABOLIZIONE DELLA PROPRIETA' PRIVATA per la classe dirigente (non solo per i governanti, ma anche per la classe dei difensori - dei militari, cioè - ). E va ancora oltre. Vale a dire... teorizza il comunismo (anticipando in qualche modo Marx). E' vero che Platone teorizza quello che si chiama il "COMUNISMO PLATONICO", ma... senti: cosa intende Marx per comunismo? Una società in cui la proprietà privata delle aziende viene socializzata, passa cioè all'intera comunità (così almeno ricordo di avere letto da qualche parte o di aver sentito in casa). Hai le idee chiare (naturalmente non esamino con lenti di ingrandimento la tua formula perché so che non hai ancora affrontato Marx a scuola). Platone, quindi, va oltre il comunismo nella sua accezione comune (naturalmente, in un ambito più ristretto: come abbiamo già visto Platone teorizza l'abolizione della proprietà solo per le classi dei governanti e dei militari), e propone addirittura l'abolizione della "proprietà" privata delle donne, l'abolizione cioè della famiglia - sempre per le due classi più elevate -. Perché arriva a tanto? Prova ad intuire. Ci provo: per evitare quello che verrà chiamato il... nepotismo (è l'unico motivo che mi viene in mente). Hai fatto indubbiamente uno sforzo di fantasia. C'è, però, un particolare che avresti dovuto tener presente: come avrebbero potuto dei governanti, che non potevano avere interessi privati, favorire i loro figli? L'esigenza, comunque, è la stessa: evitare qualsiasi privilegio per i figli. Platone ARRIVA dunque, AD ABOLIRE LA FAMIGLIA per evitare che ci fossero in qualche modo dei privilegi di nascita per i figli della classe dirigente. Ma... cosa implica l'abolizione della famiglia? La comunione delle donne? E' così? Sì: non vedo un'alternativa. Alternative possibili non mancano. Comunque Platone sostiene la comunione delle donne, una tesi che forse ti può sembrare paradossale. Platone, quindi, arriva a sostenere la... COMUNIONE DELLE DONNE (naturalmente per le classi con responsabilità pubbliche). Ma... e i figli? A chi appartenevano? Prova ad intuire. Ci provo: alle madri, naturalmente: la madre è sempre certa (vero?), mentre il padre è... incerto anche in presenza della famiglia. Platone sostiene che i figli di chi è al potere debbano essere strappati appena nati ai genitori e allevati in asili di Stato. Non ti convince, vero? Platone va ancora oltre. Prevede infatti unioni matrimoniali temporanee (è tutt'altro che favorevole al libero amore), unioni stabilite dallo Stato. Quale il fine di queste unioni? Prova ad intuire. Ci provo: la procreazione di figli sani (mi ricordo bene, dal viaggio linguistico, il termine "eugenetico”). Ti ricordi bene: si tratta della procreazione di bambini sani. NIENTE LIBERO AMORE. Platone parla di unioni matrimoniali temporanee stabilite dallo Stato per evitare la nascita di bambini non sani. Abbiamo parlato di comunione delle donne (non nel senso del libero amore, ma nel senso che nessun uomo ha la moglie propria). Questo, tuttavia, non significa che Platone svaluta la donna, anzi... Sostiene, infatti... la piena parità dei sessi. Da un filosofo così radicale tutto ci si può aspettare: anche essere un femminista ante litteram. Sì, Platone può ben considerarsi un... femminista ante litteram. Per lui le donne possono entrare a pieno titolo nella classe dirigente. Proseguiamo. Perché uno Stato possa vivere occorre - oltre ai governanti ed ai difensori - una classe di... lavoratori: se non ci fossero questi, come potrebbero gli stessi governanti e difensori vivere? Si può parlare della classe dei lavoratori, intendendo però con questo termine tutte le categorie professionali, tutte le categorie di lavoro. Oltre ai governanti ed ai difensori vi deve essere, quindi, secondo Platone, una classe di lavoratori (contadini, artigiani...). Tre classi, dunque, che svolgono funzioni diverse (alla stregua - dice Platone - delle tre anime che ogni uomo possiede: una che guida perché è razionale e le altre che sono coordinate dalla prima). Come si chiama questa concezione - una concezione secondo cui che conta in uno Stato non e' l'individuo con i suoi diritti, ma la funzionalità dello Stato? Concezione totalitaria dello Stato. La tua espressione è effettivamente usata da alcuni critici, ma potrebbe essere un po’ forte. La concezione platonica, forse, potrebbe essere meglio chiamata "organicistica”, nel senso che per lui uno Stato è come un organismo in cui ogni parte è funzionale all'intero organismo. Ma... sulla base di che cosa qualcuno governa per tutti, qualcuno difende lo Stato e i più lavorano per sé e per chi non lavora? Mi sembra scontata la risposta: i figli di ogni casta svolgeranno le funzioni della casta stessa (chi quindi governerà, chi lavorerà...). Come farebbero i figli dei governanti a diventare governanti se nessuno può riconoscerli come tali? Non ti ricordi che vengono strappati ai genitori appena nati in modo che nessuno li possa riconoscere? NESSUN PRIVILEGIO, abbiamo detto, MA ANCHE ASSENZA DI SVANTAGGI. Le funzioni vengono distribuite non in base a privilegi o svantaggi di partenza, ma sulla base di attitudini. E' vero che Platone parla di tre razze (una aurea - i filosofi-governanti, una "argentea” - i difensori -, ed una "bronzea" - i tecnici - ), ma è anche vero che uno può nascere da lavoratori ed avere le capacità della razza aurea. Quando in uno Stato vi è la "giustizia"? Prova a fare una congettura. Ci provo: quando tutti sono uguali di fronte alle leggi (mi pare scontato da quanto detto finora). Fino ad ora non abbiamo parlato - a proposito di Platone - di leggi (o mi sbaglio?). Per Platone vi è giustizia in uno Stato quando ogni classe svolge la sua funzione senza pretendere di prevaricare sulle altre. La concezione di Stato di Platone è chiamata "utopica”. In che senso? Nel senso che si tratta di uno Stato che non è in alcun luogo. Lo stato delineato da Platone non è in nessun luogo in quanto è un Modello di Stato, è l'Idea di Stato. Un modello con forti tratti egualitari, ma anche con tratti inquietanti. Tant'è che c'è chi vede il suo Stato come "totalitario”. Quali le tesi di Platone che potrebbero essere lette in questo senso? La concezione organicistica dello Stato (sulla falsariga della concezione dell'anima), una concezione secondo la quale lo Stato non è altro che un'aggregazione di individui. La concezione organicistica dello Stato, è vero, può essere letta come espressione del totalitarismo. Tale concezione organicistica, però, non prevede affatto che lo Stato non sia altro che un'aggregazione di individui: l'organismo è qualcosa di più di una semplice aggregazione. La CONCEZIONE ORGANICISTICA DELLO STATO E LA MANCANZA ASSOLUTA DI CONTROLLO DAL BASSO si prestano indubbiamente ad essere lette come manifestazioni di totalitarismo. Platone arriva addirittura a teorizzare la bugia di Stato e lo stesso omicidio di Stato (un... Machiavelli ante litteram?). Le stesse unioni matrimoniali stabilite dallo Stato e la stessa gerarchizzazione delle classi (pensata probabilmente al fine di evitare rivoluzioni dal basso) sono leggibili in questo senso. Se vuoi leggere alcune pagine che presentano questa interpretazione, ti suggerisco K. Popper, LA SOCIETA' APERTA E I SUOI NEMICI, vol.1 (Ed. Armando). E' un classico. Ti consiglio il capitolo sesto "La giustizia totalitaria" (bastano le prime pagine perché tu abbia un'idea del taglio di Popper). E' estremamente stimolante. Se vuoi leggere anche un’interpretazione opposta, ti suggerisco F. Adorno, Introduzione a Platone (Ed. Laterza). Puoi leggere le pagine da 80 a 93. Sono di facile lettura e decisamente stimolanti. Abbiamo parlato, finora, della "Repubblica" di Platone (e la Repubblica è anche l'opera che ne tratta), un Modello di Stato razionale, non dominato da egoismi, interessi di parte, ma dalla razionalità, dal "Bene" di tutti che è anche la "felicità" di tutti. Nelle "Leggi" (l'ultima opera), in seguito a frustrazioni subite dopo esperimenti falliti a Siracusa, fa in un certo senso retromarcia su alcuni punti. Cioè... Non prevede più - immagino - l'abolizione della famiglia (contemplata nella "Repubblica" per i filosofi). E' vero. Platone fa retromarcia sull'abolizione della famiglia. Tale abolizione, però, nella "Repubblica”, era prevista non solo per i sapienti al governo, ma anche per i difensori dello Stato. L'ottuagenario Platone, quindi, reduce da esperienze fallimentari a Siracusa, si fa più... realista e non prevede più l'abolizione della famiglia per governanti e difensori. Non prevede più, inoltre, l'abolizione della proprietà privata per dette classi. Non prevede più, inoltre, i filosofire, ma al loro posto "leggi” e sanzioni penali. Tra uno Stato governato da sapienti ed uno Stato governato da leggi, vi è comunque una certa continuità. Di che si tratta? La risposta mi pare possa essere questa: sia i filosofi al potere che le leggi... comandano dei comportamenti (che Stato sarebbe uno Stato che non comandasse?). La tua risposta ha una sua coerenza. Platone, tuttavia (e questo forse avresti potuto già intuirlo), ritiene che i filosofi prima (nella "Repubblica") e le leggi dopo (nelle "Leggi") debbano prioritariamente persuadere, educare. Per Platone, quindi, sia i filosofi che le leggi hanno fondamentalmente un compito educativo. Lo Stato oggetto delle "Leggi” presenta inoltre un tratto che potremmo chiamare "teocratico" (letteralmente "governo della divinità”). Di che potrebbe trattarsi? Platone sostiene l'esigenza di un vero e proprio ritorno ad un governo in mano ad una casta sacerdotale: come si potrebbe chiamare "governo di Dio" un governo che non fosse espressione di una casta sacerdotale che comunica direttamente con la divinità? Non arriva a tanto. Arriva comunque ad affermare una... religione di Stato (una religione astrale che vede negli astri la divinità) e addirittura una sorta di... Santa Inquisizione (un "consiglio notturno" - lo chiama lui - che ha il compito di controllare severamente l'osservanza di tale religione, delle leggi e della morale. Platone, quindi, arriva ad affermare una religione di Stato (la religione astrale), una religione da cui ricevono forza le stesse leggi e la stessa morale, religione la cui osservanza viene controllata da una... Santa Inquisizione ante litteram. Come definiresti questa concezione dello Stato, uno Stato interamente controllato dall'alto? Mi sembra fin troppo semplice la risposta: siamo di fronte ad un vero e proprio totalitarismo. La definizione, se per la "Repubblica” poteva sembrare un po’ forzata, è indubbiamente corretta per le "Leggi”. Platone, quindi, arriva con le "leggi" ad accentuare gli aspetti che abbiamo chiamato inquietanti approdando ad un vero e proprio totalitarismo (o anche statalismo): gli individui sono sorvegliati, sotto tutti profili - religioso, morale, legale - dallo Stato