Tre temi “Caos calmo” è un romanzo orizzontale, vale a dire che

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Tre temi “Caos calmo” è un romanzo orizzontale, vale a dire che
Tre temi
“Caos calmo” è un romanzo orizzontale, vale a dire che esso non è sostenuto da una trama in cui si
concatenino più cose e più circostanze, in un crescendo incalzante che proceda verso uno
scioglimento spettacolare e catartico. Al posto di un plot vario e serrato c’è una scrittura che si
carica progressivamente di una intensa tensione gravitazionale, come se gli elementi e le figure che
essa evoca possedessero una singolare e reciproca forza attrattiva. Una scrittura che si ampia per
circoli concentrici disponendosi su un piano ideale, crescendo attorno all’accumulo di una
moltitudine di micro-eventi esposti, nel loro quasi automatico succedersi, con sorpresa trasparente.
Adottando una tecnica narrativa che fa pensare all’école du regard, di Alain Robbe-Grillet, Sandro
Veronesi costruisce una modalità di vedere - una vera e propria arte di vedere da Wim Wenders a
David Hockney – fatta di una capacità di osservare il mondo che va fino ai dettagli più minuti,
particolari investiti di magia restituiti con una precisione che si potrebbe definire iperrealista.
Tuttavia, come spesso accade all’arte che assume la realtà e la sua rappresentazione come
paradigmi, quando la realtà stessa è riproposta con un’esattezza per così dire fiamminga, essa rivela
una sua dimensione parallela e straniata che rovescia la concretezza cose in una assorta fissità.
Scorrendo le pagine di “Caos calmo” si penetra in effetti in un universo instabile e sostanzialmente
ricorsivo che man mano si sfalsa rispetto a se stesso slittando in una sua allarmante lateralità, come
se il mondo fisico e coloro che lo abitano si duplicassero in un simulacro instabile e ingannevole. Si
diceva romanzo orizzontale perché la trama, pur presentando i suoi picchi, le sue due
verticalizzazioni iniziali e il compimento erotico-distruttivo del salvataggio di Eleonora Simoncini,
si dispone subito dopo in un flusso continuo di accadimenti di intensità media che scorrono come
fotogrammi di un film dall’intensità costante.
“Caos calmo” è un romanzo che fa pensare a un vortice. Come in un buco nero lo spazio della città
si avvolge su se stesso contraendosi in un grumo compatto per precipitare poi in un punto in cui
silenziosamente si annulla. Promettendosi e subito dopo negandosi lo spazio decostruisce con il suo
vanificarsi ogni legittimità di ciò che viene narrato, un semplice evento di incontri e di pensiero
spinto verso la condizione del paradosso dell’estremo. In effetti se lo spazio, già di per sé
compresso, cessa di esistere, si estingue con esso anche la possibilità che ci sia qualcosa da narrare.
La postazione che il protagonista si sceglie costituisce l’ambito terminale della città, proponendosi
al contempo come un suo antipolo che la soverchia e la trascende. Annidato nella sua automobile,
un’eterotopica entità a metà tra una casa e un ufficio, Pietro Paladini diventa il punto di fuga di una
moltitudine di fatti, di personaggi, di vettori energetici, di attraversamenti casuali di interventi
depistanti, di immagini narrativi, tutti ridotti in qualche modo a un minimo comun denominatore.
Ma questo vortice riguarda anche il tempo. Leggendo il libro si può constatare che anche la
scansione misurabile dei giorni e delle ore viene progressivamente azzerata in una sorta di inquieta
sospensione, di un fermo immagine parallelo alla vigile attesa di un dolore che tarda a rivelarsi.
Come tutti gli elementi della città convergono in un punto nel quale essi scompaiono in una attiva
implosione, così la sequenza degli avvenimenti si schiaccia su un continuo presente scomparendo in
una grigia zona neutrale che esautora ogni consequenzialità e, per una naturale deduzione, ogni vera
responsabilità degli attori del dramma. Privo dello spazio e del tempo il protagonista sembra in
balìa del caso ma in realtà la sua volontà di raccontare ciò che gli succede – o meglio non gli
succede – lo rende di nuovo cosciente di un disegno misterioso e indecifrabile nel quale la sua vita
si è impigliata.
In “Caos calmo” ci sono tre temi. Il primo è quello dell’entropia. Il romanzo è pervaso in ogni sua
pagina dal motivo del decadere, da un canto sommesso sulla perdita, da una domanda
sull’estinzione graduale di tutto. Si tratta di un sentimento implicito di cui il protagonista aspetta la
manifestazione improvvisa, un irrompere alla coscienza che si dà solo quando la figlia Claudia,
elaborato autonomamente il suo dolore, lo solleva per così dire dalla cura costante che egli ha di lei.
Ma questa entropia ha un valore più alto: essa riguarda il mondo intero, la città, il lavoro, gli
oggetti, i volti, gli abiti, i discorsi, le parole. “Caos calmo” è l’ambito di un vero e proprio
disfacimento delle cose che lascia come un sedimento acido e doloroso. Questo tema trova nella
figura del fratello del protagonista il suo culmine. Il fratello è infatti la materializzazione del lento
ma inesorabile consumarsi di Pietro, è il suo doppio, uno specchio illusorio che rimanda
un’immagine distorta e differita dell’originale, come in un autoritratto volutamente mal dipinto.
Come un alter ego un po’ narciso, ma anche piuttosto antagonista, Carlo cerca di espropriare della
sua ambigua centralità per sostituirsi ad esso nell’ordinato disordine che egli attiva con il suo solo
esistere. Il secondo tema è quello della finalità. Se è vero che il libro racconta di una inevitabile
entropia è anche vero che tale processo di dispersione è contraddetto e ostacolato da un superiore
senso di corrispondenza tra le persone, le cose e i fatti, presenze che sembrano esprimere, come in
un libro di Paul Auster, un autore al quale “Caos calmo” fa pensare, ma senza gli abbandoni al
patetico-mitologico dello scrittore newyorkese, un progetto complessivo al quale subordinano le
loro essenze e le loro relazioni. Il terzo tema è quello del custode. Pietro Paladini si trasforma nel
romanzo nel genius loci delle piazza milanese che decide di presidiare. Una piazza la quale, come la
casa in cui Tommaso Landolfi ambienta “Racconto d’autunno”, può esistere solo sulla pagina,
configurandosi infatti come un paesaggio mentale indeterminato e metamorfico, uno spazio
illusorio nel quale gli edifici e gli oggetti cambiano continuamente posto e forma. Egli si lascia
invadere e possedere dal luogo che ha scelto nel momento stesso in cui è il luogo stesso che lo ha
voluto come guardiano. Come un sacerdote, il protagonista diventa il celebrante dei riti che si
svolgono nella piazza alberata, un ambiente fuori dallo spazio e dal tempo governato da forze
sconosciute. In fondo Pietro è un Kurz di “Cuore di tenebra” rovesciato come un guanto, un Kurz
deposto dalla sua tragicità eroica e immerso in una coinvolgente e convinta resistenza quotidiana,
ma allo stesso modo ossessionato e ossessivo. Questi tre temi disegnano un triangolo a geometria
variabile, un territorio vasto e preoccupante percorso da uno sguardo che è allo stesso tempo uno
strumento e un fine. “Caos calmo” è un romanzo tessuto di crudeltà e insieme di pietà. È crudele
perché fa non solo subito uscire violentemente di scena Lara per sottoporre Claudia a un tormento –
di cui nulla si saprà mai se non che dovrà essere grande, ma soprattutto decreta la fine di una
virtuale e vicaria permanenza della moglie nei file del suo computer, seppure come entità sfuggente
ed ectoplasmatica; è colmo di pietà perché la storia stessa che scorre nel libro si ritrae davanti al
dolore, contraendosi nell’unica cosa che lo scrittore possieda veramente, la parola.
Franco Purini
Casa dell’Architettura
Roma/22/03/2006