il presidente padrone,your portfolio risk,tassista
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il presidente padrone,your portfolio risk,tassista
IL PRESIDENTE PADRONE In Veneto quest’anno quasi tutta l’industria bancaria non convenzionale è stata colpita da un prevedibile terremoto finanziario su cui molti analisti ed opinion leader indipendenti avevano ammonito con largo anticipo tanto il settore retail quanto la relativa stampa di settore. Con il termine di industria bancaria non convenzionale si vuole definire il circuito delle casse rurali e dei crediti cooperativi assieme a quello delle banche popolari non quotate ossia istituti di credito che sono caratterizzati da due elementi distintivi: la presenza e diffusione capillare all’interno di un’area territoriale specifica ed il sistema di governance assembleare incentrato sul voto capitario. In buona sostanza tutti gli azionisti di una banca che si presenta tale hanno il medesimo peso durante una decisione assembleare, quindi un voto per ciascuno a prescindere dal numero di azioni che ognuno di loro detiene. Tutti gli altri operatori bancari riconducibili alla finanza ordinaria fondano la loro governance sull’assetto plutocratico ovvero il voto di ogni azionista è espressione diretta della ricchezza a lui riconducibile in termini di numero di azioni possedute, quindi in sintesi chi detiene in maggioranza assoluta più azioni di tutti gli altri azionisti messi assieme di fatto controlla le scelte gestionali o le può condizionare sensibilmente. Difficile che invece questo possa accadere in una cassa rurale o in una banca di credito cooperativo e questo potenzialmente può essere un distorsioni. bene, ma anche generare pericolosissime Situazioni similari si possono individuare nei paesi anglosassoni con le community bank che assomigliano da lontano alle nostre piccole banche di territorio. Come ormai sapete durante la scorsa primavera il Veneto è stato scosso nel giro di poche ore dal ridimensionamento di valore che hanno subito le azioni di due grandi banche popolari storiche non quotate, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Ne abbiamo parlato diffusamente in molte altre occasioni e negli anni prima abbiamo significativamente avvisato di come questa eventualità fosse sempre più prossima. Queste vicende hanno messo in moto nel frattempo numerose inchieste giudiziarie con lo scopo di radiografare l’operato passato del management per individuare responsabilità o possibili comportamenti di gestione fraudolenta a danno degli stessi azionisti. In Veneto negli ultimi due anni sono diventati sempre più frequenti sia gli episodi di commissariamento di banche non convenzionali al pari delle situazioni di sofferenza patrimoniale a fronte del deterioramento sia del tessuto imprenditoriale che della qualità del credito concesso in precedenza. Ora le due grandi banche sopracitate si dovranno quotare nei primi mesi del nuovo anno allo scopo di smantellare proprio il sistema di voto capitario ed il castello di potere che con il tempo proprio la presenza del voto capitario è stato possibile costruire. Si parla infatti ad oggi sempre più spesso proprio per le casistiche di mala gestione bancaria del cliche di governance riconducibile alla figura del Presidente Padrone ovvero un unico key man che durante il suo mandato di governo ha trasformato l’istituto di credito in un vero e proprio feudo medioevale basato su clientelarismi personali, consigli di amministrazione e organi di controllo composti da Yes Men, con il solo scopo di assecondare le operazioni di gestione ordinaria e straordinaria di volta in volta osannate dal Presidente Padrone. In Veneto ormai se ne contano in numero rilevante di episodi di mala gestione bancaria riconducibili alla governance di un solo Presidente Padrone, governance resa possibile e suggellata dal voto capitario che ha prodotto concentrazioni di affidamenti a pochi eletti o nei confronti di un solo settore economico (tipo l’immobiliare) minando pertanto la stessa solidità patrimoniale e serenità finanziaria. In Europa ci hanno sempre richiamato su questo punto incitandoci a prendere provvedimenti affinchè si potessero realizzare i doverosi e salutari cambi di gestione alternando diversi timonieri alla guida del singolo istituto, ma la politica italiana è sempre rimasta inerte proprio per le stesse pressioni volte al mantenimento dello status quo che gli stessi Presidenti Padrone riuscivano a perpetrare. Queste banche inoltre avevano una peculiarità unica se non una vera e propria anomalia ovvero autodeterminavano il valore delle proprie azioni: dallo scoppio della crisi bancaria del 2008 non si è fatto altro che alimentare ulteriormente un’altra bolla finanziaria ossia quella delle quotazioni gonfiate, quotazioni irrealistiche con l’effettiva dinamica e consistenza del patrimonio bancario. Tuttavia i Presidenti Padrone hanno potuto farsi belli innanzi all’azionariato cementando il loro consenso davanti a numeri e risultati che si sono dimostrati presto non veritieri ed in alcuni casi addirittura farlocchi. Le bolle non durano ed il mercato ha sempre ragione: durante il 2015 si è aperto il vaso di Pandora e ora tutte le criticità e distorsioni create irragionevolmente dai Presidenti Padrone si pagano. Anzi pagano questo nuovo conto salato proprio gli azionisti per adesso e forse dal prossimo anno anche gli obbligazionisti e parte dei correntisti grazie alla messa a regime del bail-in. Anche questi azionisti comunque hanno le loro colpe, pochissime volte ho percepito buon senso e lungimiranza da parte loro, quasi fossero stati ipnotizzati dal pifferaio magico di turno. Non è finita comunque perchè proprio il credito cooperativo in Veneto ha davanti tre anni di profonde trasformazioni: non stupitevi se delle tre dozzine di banche di credito cooperativo che abbiamo in regione a forza di accorpamenti, fusioni ostili ed obbligate dalle authority monetarie ne resteranno in vita molto poche, forse appena dieci. YOUR PORTFOLIO RISK Il 2015 si appresta a vivere il suo ultimo trimestre, ben sapendo di come ci ha fatto palpitare durante i primi tre caratterizzati da numerosi epocali eventi di portata sistemica che hanno impattato sui mercati finanziari con accentuata volatilità: dalla crisi greca, tuttora ancora irrisolta e semplicemente spostata in avanti, arrivando al recente Diesel Gate di Volkswagen che tuttavia sembra ormai entrato nel dimenticatoio. Come abbiamo avuto modo di farne menzione anche in altri redazionali, i periodi prolungati di serenità sui mercati finanziari tanto per chi opera in borsa quanto per chi vi deve investire personalmente rappresenteranno sempre più brevi parentesi occasionali se rapportate ai periodi di buriana che invece caratterizzeranno i prossimi anni a fronte del continuo mutamento dello scenario macroeconomico mondiale che deve fronteggiare un modello di sviluppo economico non più bipolare (USA contro URSS) ma multipolare con l’emersione e lo scontro di grandi macro aree geografiche, ognuna delle quali pretende una posizione dominante sul panorama mondiale. Pertanto il piccolo investitore dovrà sempre più abituarsi e prepararsi a gestire i vari focolai di infezione finanziaria o le scosse di assestamento finanziario che via via vedremo anno dopo anno. Sempre più spesso infatti molti lettori mi scrivono chiedendo quando terminerà la cosidetta crisi o quando si potrà ritornare a fare i cassettisti come un tempo: rimangono molto male quando leggono le mie risposte telegrafiche ovvero mai più. Deltronde non è per tutti sopportare volatilità o rischi sistemici sul proprio portafoglio se fino a qualche anno fa lo sforzo massimo che si faceva era ricercare l’obbligazione più sicura, la banca più conveniente per gli oneri di mantenimento del rapporto di conto corrente o il prodotto finanziario potenzialmente sulla carta più remunerativo. Questo modus operandi tanto per il cliente retail quanto per il consulente finanziario è terminato da almeno cinque anni, ma nonostante questo vi è ancora rimasto qualche sognatore che pensa di cavarsela leggendo un articolo qua e là o un post di qualche blogger di tanto in tanto. Magari si potesse fare così. I mercati finanziari diventano ogni giorno sempre più complessi rispetto al recente passato, non basta più la sola preparazione tecnica o l’approfondimento mediante un intenso flusso di informazioni di base, occorre ormai andare oltre e ricercare strumenti, gestori e strategie alternative in grado di offrire una gestione del rischio di portafoglio in termini non convenzionale. Ci rendiamo conto di questo analizzando le performance dei fondi comuni di investimento, anche di quelli molto noti, che magari per tre anni hanno prodotto risultati notevoli, ma ora all’improvviso hanno subito una battuta d’arresto o incamerato una spiacevole perdita di gestione nonostante i risultati positivi di altri competitors. Questo vi deve indurre a ricercare continuamente i migliori gestori e soprattutto le migliori strategie di gestione anno per anno, non fossilizzandosi, tranne casi isolati, sempre sul medesimo prodotto, che magari vi ha dato gratificazione negli anni precedenti o la stessa investment house o banca di gestione di investimento. Il 2015 infatti nonostante abbia già lasciato un marchio indelebile negli annali delle cronache finanziarie (Grecia, China, Commodity, FED, Volkswagen) potrebbe riservarci ulteriori sorprese, magari non tanto piacevoli, verso la fine dell’anno. Il leit motiv per i prossimi due mesi saranno linkati ancora alle decisioni di due grandi banche centrali, quella cinese e quella statunitense. La prima potrebbe nuovamente intervenire per prestare ancora supporto tanto alla divisa cinese quanto ai corsi dei mercati azionari di Shanghai & Company. La seconda invece dovrà decidersi su questo tanto annunciato ed atteso rialzo dei tassi dando avvio ad un ciclo bearish per gran parte del mondo obbligazionario. In Europa anche la BCE potrebbe ulteriormente amplificare il proprio operato sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo per imprimere maggiore propulsione alla crescita economica europea, tutto sommato abbastanza asfittica se rapportata alla convergenza favorevole di molti parametri macroeconomici. A mio avviso per la fine dell’anno due potrebbero essere i drivers che muteranno le aspettative degli operatori istituzionali e pertanto il comportamento dei mercati tanto azionari quanto obbligazionari. In primis l’esito delle elezioni in Spagna: la riconferma di Rajoy rappresenterebbe la fine dei movimenti europopulisti proprio come ha recentemente dimostrato il Portagallo. Per dirla con una terminologia colorita, tanto rumore per nulla: alla fine quando si è in cabina con la scheda e la matita tra il baratro e l’indefinito si preferisce una amara certezza (anche noi italiani abbiamo fatto lo stesso nel Maggio 2014), Il secondo driver invece è rappresentato dallo scenario di landing cinese ovvero come verrà gestito dalle autorità cinesi (in sintesi dal Presidente Xi Jinping) l’attuale fase di rallentamento economico a seguito della transizione al nuovo modello di sviluppo economico unitamente alla mitigazione e sgonfio delle due bolle interne (mercato azionario ed immobiliare). Inutile ricordare che un ulteriore peggioramento del quadro macro in Cina avrebbe pesanti conseguenze e ricadute per tutti i mercati e per tutte le macro aree geografiche. TASSISTA APRIPISTA Sono sicuro che molti di voi si ricorderanno la evergreen dal titolo Joe Le Taxi interpretata nel 1987 da Vanessa Paradis (la ex-moglie di Johnny Depp per darvi qualche coordinata di riferimento). Il 45 giri in vinile rappresentò uno dei più grandi apripista durante la fine degli Anni Ottanta quando iniziavano a nascere i primi grandi locali da ballo che avrebbero raggiunto l’acme nel successivo decennio. La canzone quando venne lanciata per la prima volta veniva trasmessa anche 500 volte la settimana da ogni emittente radiofonica francese: il sound dallo stile pop che caratterizza quel brano è ancora oggi un apripista nelle serate di revival musicali. Il testo della canzone racconta di un simpatico ed utile tassista francese (Joe appunto) che intrattiene i suoi clienti durante i vari tragitti che effettua lunga la città con musica in stile rumba, raccontando a loro il lifestyle notturno di Parigi. Per quanto il tassista Joe possa essere stato utile all’epoca questo non significa che oggi possiamo considerare ancora tale questa professione. In rete e nei social è pieno di petizioni e catene virtuali di email che chiedono a gran voce la riduzione del numero dei senatori, la revoca dei vitalizi oppure la diminuzione dei loro emolumenti mensili, come se l’unica casta fosse quella dei parlamentari. Nessuno invece parla mai dei tassisti, il mestiere più obsoleto ed ormai inutile del mondo che non ha alcun futuro già nei prossimi cinque anni a fronte del progresso tecnologico che stiamo vivendo. Non vedete manifestazioni contro i tassisti, caso mai il contrario: manifestazione dei tassisti contro Uber o contro il car sharing. I tassisti di oggi sono dinosauri che camminano, la loro estinzione è già annunciata, si tratta solo di capire se avverrà con il sangue oppure con il silenzio. Fermatevi a riflettere un momento, questa categoria professionale ha avuto un senso di esistenza fino a quando non sono arrivati prima i navigatori GPS a buon mercato e successivamente l’era degli smart phone e delle loro applicazioni. I tassisti rappresentano una casta a tutti gli effetti, quando qualcuno o qualcosa rischia di compromettere il loro strapotere o minaccia la loro esistenza, eccoli pronti a mobilitarsi con accanimento contro il naturale progresso tecnologico e contro la vostra convenienza. Pensate che tra cinque anni ve ne sarà ancora bisogno ? Già oggi se ne potrebbe far a meno, con indiscutibili vantaggi per gli utenti, la qualità dell’aria che respiriamo, la viabilità delle strade e i costi delle assicurazioni. Andiamo per gradi. In pochi sanno che proprio noi italiani (o almeno un centro di ricerca universitario di Parma denominato Vislab) ha ideato e venduto ad un developer californiano il primo brevetto di un auto intelligente ovvero che si guida e si pilota da sola senza interazione umana. Si tratta proprio di un auto di serie che ti porta a destinazione senza che nessuno sia alla guida. Non sono gli unici al mondo. In Olanda esista già il bus navetta che si guida da solo, si chiama Wepod, mentre a Tokyo sono già in funzione cinquanta taxi completamente autonomi. Il colpo di grazia o la killer application per l’intera professione sarà comunque la G-Car ovvero la Google Car. Sostanzialmente si tratta di un miniveicolo in stile Smart a trazione elettrico che metterà a dormire per sempre Joe Le Taxi & Company. Non stiamo parlando di qualcosa che sarà disponibile tra 50 anni, ma al massimo cinque anni sarà massivamente diffuso nelle grandi metropoli. Sapete come funzioneranno tutti questi nuovi smart taxi ? Mediante il vostro smartphone ed una app dedicata invierete la vostra richiesta di chiamata di un driverless taxi (senza conducente). La app comunica alla centrale degli smart taxi dove siete ubicati e quello più vicino, se non occupato o già prenotato, si mette in strada per venire a prendervi. Quando arriva, entrerete nell’abitacolo, digiterete su una tastiera la vostra destinazione e a quel punto vi verrà visualizzato il percorso che si effettuerà, il costo del servizio di trasporto e la durata stimata del viaggio. Avvicinerete il vostro smart phone o la vostra contact less card al sensore di ricezione del pagamento ed una volta andata a buon fine la transazione, lo smart taxi si metterà in strada. Il costo del servizio sarà notevolmente conveniente in quanto mancherà la componente umana da retribuire e la componente di esercizio usuale come il carburante. A quel punto tutta la mobilità delle grandi città ed aree metropolitane muterà sensibilmente, nessuno avrà più in mente di acquistare una propria auto per guidarsela da sé, si preferiranno questi smart vehicle tanto per andare a lavorare che per gli spostamenti personali quasi quotidianamente, sia per la convenienza economica e sia per la comodità (pensate all’incubo del parcheggio quando si arriva a destinazione). Non vedremo mai più code kilometriche di auto – occupate da un singolo guidatore – ai vari svincoli delle tangenziali perchè il numero di veicoli tradizionali subirà una decimazione già entro i prossimi venticinque anni. Ne beneficerà anche la sicurezza stradale in quanto il numero di incidenti (causati dalla distrazione o irrazionalità umana) sarà prossimo allo zero visto che i sensori degli smart vehicle rispetteranno alla lettera i limiti di velocità e la segnaletica stradale. Avremo pertanto anche una qualità dell’aria molto più confortante, essendo la maggior parte dei nuovi veicoli a trazione elettrica o ibrida, almeno per quanto riguarda le aree ad alta densità di popolazione. Le auto come le conosciamo oggi non scompariranno tuttavia diventeranno una sorta di hobby molto costoso, solo per il gusto retrò di acquistarne una e continuare a guidarla in senso tradizionale. Venendo a mancare la componente umana sulla mobilità di superficie probabilmente non incontrerete mai più un tassista come Joe che vi faceva sorridere con i suoi anedotti, tuttavia a sorridere sarà il vostro stile di vita e soprattutto il vostro portafoglio. IL MONDO DI TARA Sono pronto a fare una scommessa con chiunque sull’argomento che riguarda questo post ovvero l’evoluzione sociale dei rapporti umani e delle relazioni affettive nei prossimi decenni. Partiamo per gradi, ho avuto modo di darne un anticipo ad inizio anno con un altro redazionale in cui si raccontavano le gesta di TARA che non rappresenta un nome di persona quanto piuttosto una sigla ovvero Titanium Assertive Rearless Android. Naturalmente il termine TARA è frutto della mia fantasia, pur tuttavia questo non significa che non esista o meglio che effettivamente esista sotto un altro nome o acronimo. In Giappone sono ormai da anni già stati varati e collaudati numerosi prototipi di ultima generazione di androidi capaci di interagire perfettamente con gli essere umani. Anche il loro aspetto fisico e la loro mimica facciale è migliorata notevolmente tanto che in alcune circostanze dovete veramente toccare TARA per accorgervi che non è un essere umano. Il Giappone è il paese leader al mondo per la robotica umanoide, vanta un primato che nemmeno gli USA sono in grado di surclassare. Il Paese del Sol Levante ha scelto di gestire il supporto all’invecchiamento della propria popolazione mediante il ricorso a questi androidi in grado di interagire con gli esseri umani e poterli assistere quotidianamente. Può sembrare fantascienza ma è ormai realtà di tutti i giorni almeno per quanto riguarda il mondo giapponese: li hanno battezzati ECR ossia Elder Care Robot, in buona sostanza androidi in grado di prestare assistenza e cure alle persone anziane o disabili. Naturalmente il costo di questi surrogati dell’uomo è ancora molto elevato, un singolo esemplare può costare anche oltre un quarto di milione di dollari, ma è solo questione di tempo e poi vedremo il prezzo scendere velocemente verso il basso per consentire una rapida diffusione di questi dispositivi umanoidi in grado di interagire senza difficoltà con i veri esseri umani. Deltronde se ci pensate vent’anni fa un telefono cellulare basico costava oltre mille euro (Motorola 8700), mentre oggi apparecchi molto più potenti con decine di funzioni aggiuntive costano appena qualche decina di euro e si trovano praticamente ovunque a cominciare dai supermercati. Quindi anche per il mondo di TARA si tratta solo di aspettare, forse tra dieci anni saranno disponibili i primi modelli per il mondo occidentale con le varie interfacce linguistiche ad un costo inferiore ai 50.000 dollari. A quel punto allora vedremo in poco tempo la trasformazione della società umana almeno per quello che riguarda le relazioni sociali. Mettete in conto che molti di noi quarantenni invecchieranno al fianco di un modello di TARA che sarà stato programmato per svolgere le varie funzioni interattive nei confronti del suo imprinter (l’acquirente che ne sarà anche l’unico fruitore), come ad esempio l’assistenza alla deambulazione oppure l’effettuazione quotidiana del check-up medico con dialogo in remoto nei confronti del medico curante. Quello che stanno facendo le badanti in Italia ed in altri paesi occidentali in questi anni lo troveremo scritto nei libri di storia come fenomeno sociale esauritosi progressivamente in qualche decennio. Chi non potrà permettersi l’acquisto di un proprio modello dedicato da tenere in casa sarà costretto a convivere in nuove strutture ricettive per la terza e quarta età in cui alcuni modelli di TARA saranno in condivisione tra i vari pazienti o degenti. Un altro settore in cui troveranno vasto utilizzo i futuri modelli di TARA saranno quelli legati alla sfera affettiva in tutte le sue possibili sfumature. Molti di voi adesso sorrideranno, tuttavia è solo una questione di tempo, come ho già detto e successivamente si avrà la possibilità di avere una compagna/o di vita con cui interagire privatamente per la propria sfera personale. Vi saranno persone (più di quante immaginate, tanto maschi quanto femmine) che sceglieranno un partner cibernetico, il quale sarà stato programmato in base alle proprie esigenze e stile di vita. Si potrà pertanto avere il modello TARA in grado di accudire la propria abitazione, di preparare pasti caldi o anche di erogare svariate forme di prestazione sessuale. Il matrimonio come oggi lo conosciamo diventerà un comportamento sociale arcaico tanto quanto era vivere all’interno di una tribù alcuni migliaia di anni fa. Lo scorso anno è uscito sul grande schermo il film Her con Joaquine Phoenix che consiglio di vedere in quanto rappresenta uno spaccato di vita tra qualche decennio a cui ci dovremo abituare. Il 50% dei rapporti coniugali (suggellati dal matrimonio) vanno in default entro il terzo anno: questo in Italia, mentre in altri paesi questa percentuale di unsuccess rate è addirittura molto più elevata. Purtroppo è triste dirlo ma ormai il matrimonio rappresenta un rapporto giuridico ormai obsoleto per il mondo che stiamo vivendo e sicuramente non sarà idoneo per il futuro che ci attende. Pertanto il quadro che si delinea davanti agli occhi nei prossimi decenni è piuttosto chiaro: solo un evento funesto esogeno potrebbe modificarne il risultato atteso. Molti di noi quarantenni magari non ci sposeremo ma è molto probabile che durante la nostra vecchiaia dopo i settant’anni saremo assistiti (chi potrà permetterselo) da un modello cibernetico di TARA. Non stupitevi se invece chi nasce oggi nei prossimi tre decenni potrebbe concepire l’idea di avere come compagna/o di vita un modello avvenente, premuroso, gentile, educato, rispettoso o semplicemente passionale di TARA o TARO (giustamente battezzato per la clientela femminile). La vita di coppia matrimoniale riconducibile ai valori ed ideali cristiani, il desiderio (naturale) di avere figli o la conduzione di una famiglia in stile Mulino Bianco rappresenteranno modelli di comportamento sociale del passato a cui si guarderà con repulsione e diffidenza. Per quanto la società del nuovo millennio si potrà evolvere, già oggi abbiamo la certezza che si passerà da uno stadio di infelicità ad un altro. DISCO SBOOM Se c’è qualcosa di cui ho nostalgia sono gli anni Novanta: avevo da poco terminato le scuole superiori, iniziavo ad avere qualche banconota da centomila lire in tasca ogni settimana, mi apprestavo a studiare economia all’università ed avevo la patente di guida da qualche anno assieme ed una modesta utilitaria usata per dare sfogo alle prime scorribande giovanili. All’epoca i miei genitori misero al bando il motorino o suoi fac-simile e pertanto passare dalla bicicletta ad un proprio mezzo di locomozione a 60 cavalli fu come andare sulla Luna. All’epoca Facebook non esisteva, al pari di internet e della Play Station, i ragazzi e le ragazze di quel periodo avevano un solo unico mantra: la discoteca. Tra il 1990 ed il 1999 si sono vissuti i dieci anni più entusiasmanti e carismatici di ogni epoca giovanile del passato. La discoteca per chi allora era appena ventenne rappresentava una sorta di Second Life, un mondo parallelo che iniziava alle 22.00 e terminava di solito alle 04.00 del giorno successivo. Vi erano riviste settimanali dedicate al mondo della notte, negozi specializzati esclusivamente all’abbigliamento per i locali da ballo (qualcuno forse si ricorda ancora la catena di shop denominata Inferno & Suicidio), trasmissioni radiofoniche e televisive che intervistavano i dee jay ed i vari producer musicali che lanciavano periodicamente il sound riempipista per ogni stagione, due su tutti Please Dont’Go o Rhythm is a Dancer. E poi c’erano loro, le discoteche, queste arene di ballo e sballo, icona simbolo del popolo della notte. Tutto questo ora fa parte, purtroppo, del passato, scomparso quasi fosse solo stato una meteora, proprio come è scomparso quella tipologia di divertimento tutto sommato molto più genuina e spontanea rispetto al comportamento amorfo dei giovani di oggi tutto incentrato sulle interazioni virtuali dei social network e sulla assuefazione da slideshot di smartphone & company. Chi oggi ha vent’anni e pertanto era appena nato durante quel decennio, non ha nemmeno idea di che cosa si è perso e di che cosa non ha potuto toccare con mano. Ricordo che allora tra i tanti disco club che frequentavo (venerdi, sabato e domenica) ve ne erano alcuni che facevano anche duemila ingressi a sera con le relative code in auto per avvicinarsi ai vari parcheggi. Tra noi ventenni si fantasticava spesso quanto avesse incassato la tal discoteca a fronte della serata che si era trascorso la sera prima, di quanto tempo avevi dovuto aspettare ai bar interni prima di essere servito o a quanto tempo ci si impiegava per farsi accreditare alle liste dei PR come guest in modo da entrare con una tariffa scontata di cortesia (diecimila lire quando ti andava bene, altrimenti erano venti o anche venticinquemila). Molti di noi sognavano di diventare un giorno gestori di un locale da ballo perchè sembrava un mestiere gratificante, socialmente molto invidiato ed anche molto ben retribuito. Sembrava appunto. Meno male che nessuno di quelli che apparteneva al mio cerchio magico ha intrapreso quella strada. Già nei primi anni del 2000 la musica era cambiata, ma non quella delle piste, quanto quella dei gestori e proprietari stessi, ingressi costantemente in calo (quasi fosse stata una maledizione l’entrata nell’euro o lo spauracchio del millennium bug), clienti potenziali con sempre meno il desiderio di cavalcare musicalmente la notte, quasi come se il tutto si fosse ormai trasformato in una spocchiosa moda passeggera. Sono passato di sera alcuni mesi fa innanzi ad alcune discoteche storiche del vicentino e mi si è fermato il cuore. Boom, Expo, Macrillo, Decò, Dimodà sembrano diventate macerie post bombardamento o edifici abbandonati a causa di un sisma. La sensazione che si prova fermandosi a ricordare come pulsavano di vita appena due decenni prima quelle discoteche è devastante, soprattutto per chi da giovane in quei locali ha vissuto la gran parte dei primi approcci con l’universo femminile. Questo non vale solo per Vicenza, ma quasi ovunque, da Jesolo a Rimini, da Milano a Palermo, la discoteca non esiste più o se non altro non esiste più quel tipo di discoteca ed il night life ad esso collegato. All’epoca non esistevano i selfie o le macchine fotografiche digitali: rimpiango di non aver mai portato in discoteca anche una vecchia Polaroid per immortalare uno di quei momenti, in mezzo alla pista o sul priveè con qualche cubista in pedana. Pensare invece che oggi si va in questi pseudo-locali che si fanno chiamare disco-club con il fine unico di farsi fotografare con l’amico/a di turno per postare la foto su qualche social aspettando il commento degli altri: più che dance club si dovrebbe chiamare mind hospital. La droga esisteva anche allora, ma in quantità molto più modesta rispetto ad oggi ed era soprattutto sintetica (Spectrum e Starlight erano le pastiglie di ecstasy più diffuse). L’ultimo flashback che ricordo di quel periodo risale al 1999, quando all’interno di una toilette maschile vidi adagiato sul pavimento un giovane ragazzo in overdose con una siringa in mano. Chi oggi è adolescente forse non ha conoscenza di quel tragico fenomeno giovanile che ha caratterizzato sempre quel decennio: le stragi del sabato sera, di cui adesso non sentite più parlare grazie ad auto moderne molto più sicure e grazie all’aumento sistematico dei controlli sulle strade. Personalmente sono stato vittima di due incidenti quasi mortali a distanza di due anni l’uno dall’altro con l’auto semidistrutta o scaraventata giù da una scarpata. Miracolasamente ne sono uscito illeso. Molti amici e conoscenti invece li ho persi in quanto la sorte ha riservato loro un trattamento diverso. Il mondo delle discoteche degli anni Novanta ci ha prima sorpreso ed entusiasmato con il suo boom e successivamente shoccato e rattristato con il suo sboom: quello che ad inizio 1990 sembrava una miniera d’ora appena dieci anni dopo si era trasformato in una catapecchia abbandonata. Probabilmente quel decennio ha rappresentato per il nostro paese il culmine di una fase di crescita e benessere economico che ha prodotto un desiderio di spensieratezza e divertimento il quale ha trovato sfogo e materializzazione proprio nel mondo della notte legato alle discoteche. Non rivedremo mai più niente del genere, semmai qualcosa diametralmente opposta. LOTTERIA SODOMIA Dal punto di vista mediatico i prossimi mesi ci permetteranno di assistere all’apoteosi del qualunquismo cattocomunista e della propaganda radical chic. A mio modo di vedere dobbiamo imparare a metabolizzare il tutto come se fosse una sorta di nuovo reality dal taglio molto comico: penso sia l’unico modo per passare l’inverno senza avere la nausea ogni volta che ci si sintonizza su un emittente nazionale per ascoltare un approfondimento sui principali fatti di cronaca. Adesso infatti tutta l’attenzione mediatica è focalizzata sul muro in costruzione in Ungheria e sulla sua principale funzione ovvero fermare l’avanzata e l’ingresso di clandestini provenienti dalle aree balcaniche attraverso il confine serbo. In realtà usare il termine muro è improprio e fuorviante, trattasi nello specifico di una semplice rete metallica di filo spinato presidiata da forze militari come dovrebbe essere ogni confine nazionale. Un paese sovrano come l’Ungheria ha decretato che attraversare questo muro o rete di contenimento senza i relativi permessi rappresenta da qualche giorno un crimine punito fino a tre anni di reclusione. La propaganda buonista in Italia ovviamente condanna ferocemente il governo ungherese, al pari di come stanno facendo alcune istituzioni internazionali tipo l’ONU e parte dell’Unione Europea, quest’ultima entità astratta che può essere considerata come la causa primaria di quanto sta accadendo attorno ai suoi confini, volutamente non presidiati per ragioni di cui abbiamo parlato in altri post. Si è arrivati a paragonare l’Ungheria alla Germania Nazista per innalzare il tono della conversazione e porre in cattiva luce questa nazione europea che si comporta da sovrana sul proprio territorio, proprio come dovrebbe essere. Stando ai vari giornalisti buonisti e commentatori di sinistra, questo muro è una vergogna per l’intera umanità e per le vicende che caratterizzano quest’epoca infelice. Peccato che sia solo questo muro che scandalizza così tanto, nessuno infatti si sogna di contestare o mettere in discussione il muro che ha alzato Israele nei confronti della Cisgiordania (un tempo provincia siriana), un muro di cemento cinque volte più lungo di quello ungherese, con la differenza che quello israeliano non è una rete metallica ma una invalicabile barriera di cemento. Stranamente tale muro trova il consenso di tutta la propaganda buonista, anzi si è arrivati a ribattezzarlo con il termine di barriera di sicurezza, mentre quello ungherese è stato definito il muro della vergogna anche se di fatto stiamo parlando di una reticolo metallico. Costruire muri, protezioni e cercare di difendersi fa parte della natura di ogni essere animale, essere umani compresi, pensiamo solo a quanti animali lo fanno quotidianamente con vari espedienti al fine di sentirsi protetti da chi è da loro diverso: è naturale cercare difesa quando si viene aggrediti o si teme per una potenziale aggressione o pericolo. In rete è pieno di filmati che mostrano come la censura mediatica occidentale abbia operato in questi mesi per evitare di far vedere chi sono veramente i clandestini che adesso sono stati battezzati migranti economici. Su uno degli ultimi servizi giornalisti che ho visto, la reporter parlava di profughi in fuga dal loro paese, citando il Pakistan, la Nigeria, il Bangladesh: peccato che in nessuno di questi paesi via sia in corso una guerra civile. Se fossimo in un altra epoca staremmo già in pieno conflitto civile, tuttavia grazie ad un instupidimento globale reso possibile dai social network e da una educazione e formazione scolastica ormai aberrante, il livello di autocoscienza medio delle persone si è notevolmente abbassato. Abbiamo compreso che questi flussi di immigrazione clandestina servono all’Unione Europea per rafforzarsi demograficamente consentendo in questo modo la sostenibilità finanziaria di tutti i propri sistemi di welfare e retirement. Gli USA per chi non lo sapesse gestiscono il tutto con la Green Card Lottery conosciuta ufficialmente con il termine di Diversity Immigrant Visa Program istituita nel 1990 con l’Immigration e Nationality Act. Sostanzialmente si tratta di una vera e propria lotteria che assegna a caso un numero massimo di 55.000 permessi di residenza permanente a immigrati provenienti da paesi con un basso tasso di immigrazione nei confronti degli USA stessi. Gli USA non possono essere considerati come l’Europa, in quanto trattasi di una nazione giovane (se rapportata ad altre) che è nata ed ha preso forma proprio con l’immigrazione di risorse umane da altre parti del mondo essendo stata una terra vergine poco abitata (tralasciando il vergognoso sterminio indiano). Nonostante questo ancora ad oggi è il paese in cui le tensioni e le differenze razziali e sociali sono tre le più acute e problematiche di tutto il mondo. Nemmeno gli USA tuttavia sono sono stati cosi folli da rilasciare mediante lotteria il visto a chiunque, vi sono immigrati di alcuni paesi che sono considerati non eligibili ovvero non possono in ogni caso partecipare all’estrazione a sorte della Green Card. Tra queste nazioni troviamo ad esempio l’Etiopia, l’Egitto, la Nigeria, il Pakistan, il Bangladesh, la Colombia e cosi via: la lista di questi paesi varia nel tempo a seconda delle guide linea del Dipartimento di Stato. Quindi anche nei confronti di coloro che grazie alla sorte potranno entrare negli USA con un regolare permesso di residenza, l’America attua una selezione sulla base di criteri sia statistici che demografici. Da circa un anno invece l’Unione Europea ha voluto varare un programma molto più audace e conveniente (tuttavia senza alcuna legittimazione) incentrato sulla condotta del Just Come, Then Enter ossia il primo che si presenta sui nostri confini da clandestino entra senza difficoltà e ottiene una serie di benefici economici a discapito di chi invece decide di entrare per vie legali e spesso molto costose: alcuni l’hanno battezzata Lotteria Sodomia. DIVENTEREMO CATTIVI Durante il Terzo Reich, con l’intento di promuovere il plagio dell’ideologia nazionalsocialista in Germania, venne istituito il Reichsministerium fur Volksaufklarung und Propaganda, più conosciuto come il Ministero della Propaganda affidato a Joseph Goebbels incaricato di controllare la cultura nazionale e tutte le sue possibili manifestazioni ed espressioni. Per quanto ancora oggi guardiamo a questa istituzione del Governo di Hitler prendendone le dovute distanze, è doveroso ricordare che quel ministero venne istituito a fronte di un governo democraticamente eletto dalla Germania di allora in cui il programma di governo era stato ben delineato, spiegato e illustrato (a parte ovviamente la Soluzione Finale). Chi avesse all’epoca votato per il Partito Nazionalsocialista aveva ben presente che cosa avrebbe fatto il nuovo governo per la Germania almeno nei primi anni di vita. Sappiamo poi come il tutto è degenerato negli anni successivi e a che conseguenze ci ha condotti. Ora spostiamoci ai tempi nostri, in particolar modo in Italia e facciamo una riflessione: chi sta guidando il Paese non è stato eletto da nessuno, non fa nemmeno parte del Parlamento come deputato o senatore. Soprattutto quanto sta realizzando a fronte di una propaganda buonista di cui in precedenza nessuno è mai stato notiziato. Prima di lui, ci aveva già provato anche il suo predecessore, ma almeno aveva avuto il tatto diplomatico di iniziare con un piccolo passo di rottura con il passato, seppure molto contestato (leggasi Kyenge con Letta). In buona sostanza oggi l’intero Paese deve accettare sommessamente la propaganda buonista di una parte politica che si erige a detentrice della verità assoluta quasi il suo leader fosse un nuovo fuhrer il cui credo non viene più prima conosciuto e successivamente abbracciato o respinto, quanto tuttavia solamente imposto al pari di un dogma. Così è perchè qualcuno ha deciso che si deve fare in tal senso. La propaganda propone in prima serata sulla prima rete nazionale una penosa fiction dal nome che è tutto un programma Anna e Yussef per spingerci ad abbracciare ancora più fermamente il loro punto di vista imposto dall’alto. Vi dovete integrare, siete obbligati a farlo, questo è stato deciso da qualcuno nel vostro interesse, pertanto tutti coloro che la pensano diversamente rappresentano il male della nazione o una minaccia per l’umanità essendo in contrasto con gli ideali cristiani su cui questo Paese si fonda. Pensateci un momento: vi è mai stato un partito politico il cui programma di governo prevedeva le frontiere aperte a tempo indeterminato, l’assenza di controlli e limitazioni sui flussi di immigrazione o le sovvenzioni economiche quotidiane per i diversamente italiani. Nessuno si è mai sognato di mettere sulla propria agenda niente di tutto questo. Casomai l’esatto contrario. Una scelta di governance di questa portata epocale è stata implementata a fronte di nessuna espressione di consenso popolare e né tanto meno legittimazione. Semplicemente chi governa il Paese ha decretato o meglio dire imposto a tutti che così si deve fare e così si farà. Siete mai stati chiamati a votare per esprimere il vostro parere sulla questione ? Vi è mai stata una consultazione popolare del tipo: vuoi integrarti con culture diverse da quella tua oppure vuoi che lasciamo aperte le frontiere senza alcun tipo di controllo in modo che possa entrare chiunque lo desideri ? Niente di tutto questo vi è mai stato chiesto. Se ci fossero le elezioni politiche nei prossimi due mesi il primo partito diventa la Lega Nord, ne ho la assoluta convinzione. Mi bastano le impressioni e la frustrazione che hanno centinaia e centinaia di persone (operai, pensionati, imprenditori, autonomi) che sino a qualche anno fa erano tutto sommato moderati e ben disposti a supportare l’immigrazione, ma ora stanno montando un desiderio di vendetta, la rabbia hanno visto che non porta da nessuna parte. Non è casuale che chi governa adesso proponga l’azzeramento delle imposte sulla prima casa, deve infatti cercare di preservare quel consenso vitale per il suo piano di azione. Mi auguro che questa volta si riduca sensibilmente la parte di italiani che si faranno comprare con il denaro, ricordando le conseguenze che scaturirono dai famosi 80 euro in busta paga. All’estero conoscono più Salvini che Renzi, e proprio sul primo ripongono maggiori speranze ed aspettative. Quando sento un ex-attivista del PD che mi dice che preferiva il tempo in cui c’era Berlusconi, forse significa che vi è speranza in un cambio di rotta. Si continua ad invocare Shengen a giustificazione di quanto sta accadendo, tuttavia si dimentica che Shengen ha lo scopo di consentire la libertà di circolazione di capitali e persone a fini lavorativi da un paese all’altro (mi sposto perchè in Francia ho ricevuto una migliore offerta di lavoro) e non per sfruttare o beneficiare del welfare di un altro stato (mi sposto per sfruttare l’altrui assistenza sanitaria). Proprio come è stato subdolamente acquisito il consenso, mediante una retorica perniciosa ed una propaganda fuorviante facendo leva sul vil denaro (pensiamo agli 80 euro ed al voto durante le elezioni europee di Maggio 2014) sarà tuttavia proprio quest’ultimo che consentirà di pareggiare i conti. Denaro ed ancora denaro. Quando la gran parte degli italiani si renderà conto di quanto diminuiranno il valore delle proprietà immobiliari in cui hanno investito o in cui vivono a causa degli effetti deleteri di una immigrazione clandestina e selvaggia, che impatterà sul patrimonio di immobili residenziali soprattutto delle aree urbane popolari, allora vedrete quanto diventeremo cattivi. Ne avete avuto un primo assaggio qualche mese fa con episodi di tensione e scontro sociale (mai visti prima) proprio dalle mie parti. Non si tratta più di andarsene via dall’Italia per l’oppressione fiscale o per la geronto-burocrazia omnipresente, quanto piuttosto per allontanarsi e lasciarsi alle spalle il disagio ed il contrasto sociale che si percepirà in misura insopportabile nei prossimi anni. Alcuni colleghi statunitensi mi hanno chiesto se abbiamo perso come italiani completamente il buon senso o la ragione: negli USA non sono riusciti ad integrarsi in cinque secoli mentre noi dovremmo avere la presunzione secondo chi ci governa di farcela in cinque anni. Quello che aspetta gli italiani che rimarranno nella loro terra nativa rappresenterà un incubo o il peggio dei due mondi (stagnazione economica e intolleranza sociale in progressiva ascesa). Sono pronto a scommettere che tra 25 anni in Italia chi oggi ha figli, invidierà chi non li ha avuti o ha scelto di non averli. QUELLI DELLA CRESCITA Chi ha studiato economia ha ben presente come via siano due opere scritte da due economisti britannici che con il pensiero in esse rappresentato tutt’oggi rimangono le colonne portanti della dottrina economica classica e neoclassica. La prima opera in ordine cronologico è il Saggio sulla Ricchezza della Nazioni di Adam Smith (1723-1790) essenzialmente incentrato sulle cause e ragioni che producono la ricchezza di un Paese ed il modo in cui tale ricchezza viene ridistribuita fra le varie classi sociali. Secondo Smith, la ricchezza di una nazione viene percepita come l’insieme dei beni prodotti suddivisi per l’intera popolazione. Motore e generatore di questa ricchezza è il lavoro ed il modo in cui esso può essere incrementato grazie ad una suddivisione specialistica delle mansioni e dei vari cicli di produzione. Tale divisione nel mondo del lavoro produce di conseguenza un continuo miglioramento dell’abilità di ogni lavoratore, la riduzione del tempo necessario a implementare determinati passaggi produttivi ed infine l’emergere di processi di innovazione continua che producono a cascata innovazione tecnologica la quale a sua volta migliora la produttività individuale di ogni lavoratore e pertanto la ricchezza complessiva di una nazione. Circa 250 anni fa l’innovazione era pertanto già percepita come volano della crescita economica. La seconda opera di riferimento è la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, edita nel 1936 da Sir John Maynard Keynes (1883-1946), economista inglese di Cambridge, considerato il padre dell’odierna economia neoclassica. Le sue opere hanno nel tempo dato vita al pensiero keynesiano, quest’ultimo incentrato sull’importanza e necessità dell’intervento pubblico nell’economia mediante misure di espansione monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregata non riesca a garantire la piena occupazione, in particolare nella fase di crisi economica esogena. In buona sostanza la cosidetta mano invisibile, secondo Keynes, poteva in alcune circostanze non funzionare e pertanto non essere in grado di produrre nuova ricchezza. Con il termine mano invisibile, l’economista Smith circa due secoli prima, intendeva identificare quell’insieme di meccanismi economici che regolano il mercato in modo tale da garantire che il comportamento dei singoli, teso alla ricerca della massima soddisfazione individuale, conduca al benessere della società. Secondo Keynes pertanto l’intervento dello Stato era di vitale importanza al fine di stabilizzare e rilanciare la propulsione economica di una nazione: questa sua visione venne abbracciata in toto dal New Deal del Presidente Roosevelt durante gli anni della Grande Depressione. Secondo Keynes quindi la crescita e di conseguenza la ricchezza di una nazione sono strettamente correlate alla capacità delle autorità monetarie di poter agire dinamicamente e proattivamente sulla quantità di moneta in circolazione con il fine di creare impulso ai consumi e quindi alla domanda aggregata. Queste teorie sono affascinanti ed eleganti al tempo stesso, specie se ricondotte alle epoche storiche in cui sono state entrambe concepite. Tuttavia pensare di risolvere i problemi odierni (crescita, occupazione, sostenibilità finanziaria del debito) mediante il ricorso alle linee guida di questi due grandi economisti del passato è profondamente fuorviante. Sarebbe infatti come pensare di risolvere i problemi di produttività di una moderna linea di montaggio continuando a ipotizzare che l’energia prodotta per muovere il nastro trasportatore derivi ancora da una macchina a vapore piuttosto che da un moderno ed efficiente motore elettrico. Quando Smith e Keynes usarono le loro abilità intellettive per concepire le due teorie economiche a loro riconducibili, le popolazioni delle nazioni più ricche sulla Terra non stavano attraversando una fase di stallo e declino demografico, caso mai esattamente l’opposto. In sintesi estrema studiare l’economia di un paese, di una nazione o di una macro area geografica significa analizzare e proiettare in avanti i dati demografici e le dinamiche di attesa della componente demografica. Se vi fermate a riflettere un momento, né un copioso apporto di innovazione tecnologica (il web 3.0 e tutto quello che questo ha introdotto) e né il più ambizioso ed audace piano di espansione monetaria attuato dalle autorità centrali europee sta producendo una significativa crescita economica in Europa. Solo una convergenza fortuita di alcune variabili economiche (petrolio, cambio euro/dollaro e costo del denaro) al momento sta alimentando le timide speranze di poter avere una crescita economica in Europa di rilievo e ben augurante per il futuro. Senza ripresa demografica o meglio ancora boom delle nascite non vi possono essere le condizioni per una crescita economica vigorosa e frizzante in grado di dare conforto ad altre variabili economiche quali il debito pubblico, il peso del welfare sul PIL e soprattutto la sostenibilità finanziaria infragenerazionale delle rendite pensionistiche. Tutti i paesi leader ad economia di mercato sono caratterizzati da questo elemento in comune ovvero il crollo del fertility rate al quale si affiancano i processi di invecchiamento della popolazione: tale fenomeno è particolarmente vistoso e preoccupante proprio nel Vecchio Continente, considerato la culla di tutti i sistemi di welfare e retirement avanzato. Rappresenta una priorità nazionale per ognuno di loro trovare la soluzione pratica per risolvere il deficit demografico. Da come ormai è piuttosto evidente, la strategia messa in atto è quella di attuare fenomeni di importazione di risorse umane da paesi prossimi o contigui, in cui i costi di trasferimento ed insediamento non vengono fatti più di tanto pesare alle singole fiscalità di ogni paese (tranne qualcuno che stupidamente per una bieca governance è disposto a pagare il conto per tutti). Non potendo aspirare ad un boom demografico, si è deciso di dar vita ad un trasferimento di risorse a valenza demografica da altre nazioni. Tra un quarto di secolo potremo dire se ne sarà veramente valsa la pena oppure se non fosse stato il caso di concepire nuovi modelli di sviluppo economico per nazioni con risorse limitate e crescita demografica sterilizzata. NEW BLACK MONDAY Sono passati ormai sette anni dall’ultimo lunedi nero (black monday) che meriti questo appellativo: stiamo parlando del 15 Settembre 2008, il fallimento istituzionale di Lehman Brothers, il giorno in cui ufficialmente come data cronologica inizia la Grande Recessione della nostra epoca, il giorno in cui tutto il mondo scopre che le grandi banche internazionali hanno i piedi d’argilla e la maggior parte degli asset finanziari in circolazione sono tossici. Inizia l’era mediatica della crisi moderna con una sovraproduzione di trasmissioni televisive di approfondimento sul perchè è accaduto quello che è successo, sui possibili futuri scenari e sulle conseguenze dirette ed indirette per risparmiatori e contribuenti. In questi ultimi sette anni siamo abbiamo visto numerosi episodi di isteria e panico finanziario entrambi hanno prodotto con modalità diverse nuovi episodi di instabilità e turbolenza finanziaria che hanno portato a nuove bolle: pensiamo solo alla crisi del debito sovrano in Europa o alla crisi politica che ha colpito l’Italia nel 2011. Il 24 Agosto di quest’anno si è ripresentato sulla scena dei mercati finanziari un nuovo episodio di panico mondiale scaturito dalle problematiche che stanno caratterizzando la Cina e di riflesso altri paesi dell’Est asiatico. In buona sostanza stanno prendendo forma le paure di molti analisti che nei mesi precedenti avevano allertato come in Asia si stessero ripresentando le medesime condizioni di mercato che portarono all’esplosione della bolla statunitense riguardante i mutui subprime. In aggiunta a questo abbiamo anche la follia finanziaria che ha contagiato circa 100 milioni di piccoli risparmiatori cinesi i quali hanno investito in misura consistente sulla borsa cinese andando anche a contrarre prestiti personali pur di poter partecipare al rialzo (sperato ed atteso) delle quotazioni cinesi. Lo stesso avvenne negli USA durante il 1929, il cluster del comportamento umano è esattamente medesimo ovvero compero azioni perchè ho sentito dire che saliranno, se non ne ho la possibilità, non importa perchè faccio un prestito e investo interamente tutto l’importo nell’attesa di diventare ricco. Sembrerà una follia, tuttavia è proprio quello che è accaduto. La prima regola da rispettare quando si decide di effettuare un investimento rischioso (azionario di investire esclusivamente solo il permettere di perdere interamente modifichi il proprio stile di vita: the money you can afford to lose. o speculativo) è quella denaro di cui ci si può tutto senza che questo you have to invest only Ora abbiamo visto che la pesante contrazione di questo lunedì (oltre il 6% in Europa) è stata riassorbita nelle giornate successive di negoziazione quasi completamente, tuttavia questo non significa che il panico che ha colpito i mercati sia stato irrazionale o che la questione sia archiviata come un momento di ordinaria follia. Anzi. Questa seconda parte dell’anno sarà caratterizzata da notevole volatilità e amare sorprese dietro l’angolo (alcune anche molto negative): abbiamo la vicenda greca che ritorna in auge dopo trenta giorni di rarefazione e calma politica con una nuova consultazione elettorale in settembre, in ottobre avremo le elezioni in Portogallo e Spagna (con l’incognita Podemos), sempre nello stesso periodo la FED potrebbe annunciare il tanto atteso e fatidico rialzo dei tassi con ripercussioni dirette su tutto il mercato obbligazionario. La caduta del greggio ha compromesso la stabilità di Medio Oriente, Russia, Brasile e Venezuela, in Asia abbiamo una pentola a pressione che sta fischiando da tempo il cui coperchio è stato sigillato con due morsetti del Meccano nella speranza che non esploda. In passato ho parlato della shampoo economy ovvero un modello di sviluppo economico su cui hanno fondamento tutte le economie avanzate il quale genera periodicamente bolle speculative che saltuariamente esplodono obbligando l’intervento delle autorità monetarie per garantire la stabilità e la fiducia. In Cina al momento abbiamo due bolle in corso, quella immobiliare e quella finanziaria sui mercati. Non ci scommetterei che le autorità cinesi saranno in grado di gestire razionalmente il tutto, il deterioramento economico cinese produrrà conseguenze devastanti su scala planetaria. Aspettatevi pertanto che questa fase di mercato possa peggiorare in misura anche significativa nei prossimi mesi imponendo ovunque misure eccezionali per contenere la volatilità e la tensione dei mercati come ad esempio limiti alle transazioni dei capitali o peggio anche il congelamento delle quotazioni per diverse sedute (in Grecia sono stati quasi un mese a Borsa chiusa). I gestori multiasset hanno implementato in queste ultime settimane un flight to quality – spostamento e posizionamento su asset considerati sicuri – verso i titoli di stato europei e statunitensi sino a qualche tempo fa snobbati. La spia ora è in modalità risk-off, un termine che si usa in gergo tecnico per evidenziare una fase di mercato in cui vi è bassa propensione al rischio a causa della percezione di un clima macroeconomico nel complesso incerto e turbolento e per questo motivo gli investitori istituzionali procedono a smobilizzare le classi di attivo più pericolose sostituendole con asset ritenuti più sicuri. La probabilità che molte asset class sotto-performino nei prossimi mesi è rilevante, pertanto un piccolo risparmiatore dovrebbe valutare se rimanere fermo in liquidità e stare alla finestra (non che questo comunque sia esente da rischi, vedi i rischi del bail-in) oppure assemblare diverse strategie di gestione market-neutral all’interno del proprio portafoglio confidando nella capacità e storicità di performance dei vari gestori di riuscire a contenere il più possibile la volatilità avversa. FORA DILMA Si potrebbe dire dalle stelle alla stalle per provare a rappresentare lo scenario socioeconomico del Brasile, una nazione che tre anni fa primeggiava nella copertina dell’Economist con il titolo a caratteri cubitali “Brazil takes off” ossia il Brasile decolla, riportando la statua di Cristo Redentore erigersi nell’aria come un nuovo Super Man. Il Brasile prima decollava, ora sprofonda letteralmente. Dopo la crescita avvenuta durante i due mandati di Lula, in cui si è foraggiato molto la spesa infrastrutturale e l’attrazione di investimenti esteri, soprattutto sul fronte immobiliare, il Brasile ora sta vivendo un periodo di recessione economica con il rischio che possa trasformarsi velocemente anche in una pesante stagnazione. L’inflazione ha ripreso a diventare un tema economico di rilievo per la più grande economia dell’America Latina, tanto che il real brasiliano ha ripreso a svalutarsi nei confronti delle principali divise estere, passando dai tre reais per ogni unità della moneta unica europea ai quasi quattro di oggi. In questi giorni di piena pausa estiva di metà agosto stanno andando in scena manifestazioni di protesta ed accanimento nei confronti dell’attuale presidente, Dilma Roussef, al grido di “fora dilma”. La stampa nazionale italiana ne riporta telegraficamente le vicende quasi facesse spallucce alle vicende economiche del Brasile. Sono milioni i brasiliani scesi nelle piazze di San Paolo, Rio de Janeiro e Brasilia chiedendo a gran voce le dimissioni dell’attuale presidente ed al contempo l’avvio di una procedura di impeachment ovvero il suo rinvio a giudizio in qualità di funzionario pubblico a fronte di illeciti commessi nell’esercizio delle sue funzioni. Quali sarebbero pertanto questi illeciti o reati cui la popolazione attribuisce all’attuale presidente: prima di tutto lo scandalo legato alla corruzione che ha colpito la più grande azienda brasiliana, Petrobras, di cui Dilma Roussef ha ricoperto il ruolo di consigliere di amministrazione tra il 2003 ed il 2010. Petrobras, quotata al NYSE (New York Stock Exchange), è l’azienda petrolifera di stato che da inizio anno è sotto accusa per aver strutturato un meccanismo di occultamento di fondi neri mediante sovra fatturazioni; parte di questi fondi neri sono stati canalizzati a favore del PT il Partito dei Trabadores (Partito dei Lavoratori) di cui Dilma è presidente. La SEC (l’organismo di vigilanza dei mercati statunitensi) sta valutando una sanzione di oltre 1.5 miliardi per corruzione nei confronti proprio della compagnia petrolifera brasiliana. Dilma è stata sempre considerata il delfino di Luiz Inacio Lula da Silva, il presidente del Brasile dal 2003 al 2010, l’uomo che ha avviato un’intenso piano di riforme strutturali volte ad accrescere lo stile di vita delle classi medie in Brasile. Ora anche lo stesso Lula si trova in stato d’accusa per le vicende Petrobras che rientrano in seno all’indagine denominata Lava Jato (una sorta di nostre Mani Pulite) dalla quale si evince come il Partito dei Lavoratori (fondato proprio da Lula) sia il principale indagato in qualità di apportatore di interessi personali e privati di alcuni dirigenti e funzionari che avrebbero intascato fior di tangenti per favorire ed assecondare l’esito di determinati contratti con controparti petrolifere qualificate in Portogallo, Panama, Perù ed Ecuador. In Italia sappiamo tutti come l’inchiesta Mani Pulite decretò la fine di una parte politica e l’emersione di un’altra nuova che ha cavalcato le scene italiane per quasi due decenni. Proprio come in Italia una parte della popolazione sogna che il leader di quella fazione politica venga arrestato, allo stesso modo in Brasile una parte della popolazione sogna che avvenga lo stesso per Dilma e Lula. Immaginate pertanto quanto quello che sta accadendo in Brasile in forza del suo nuovo ruolo economico attuale nel mondo possa produrre forte turbolenza in conseguenza di un cambio improvviso e tragico della sua governance nazionale. Dilma in pochi mesi ha subito una vera e propria debacle politica, passando da una percentuale di gradimento del 65% ad inizio anno (conferma del secondo mandato) ad uno sterile 10%. Per quanto la Bulgaria, suo stato d’origine dal lato paterno, l’abbia denominata la nuova Lady di Ferro, il suo futuro politico appare ormai piuttosto compromesso Le vicende brasiliane legate allo scandalo Petrobras diventano un ulteriore focolaio di tensione socioeconomica nel mondo, ora in Sud America, oltre alla situazione critica del Venezuela abbiamo anche quella brasiliana. Questo paese purtroppo per quanto negli anni prima sia stato osannato e sbandierato come una nuova terra promessa per gli investimenti esteri e le possibili delocalizzazioni si appresta a vivere la seconda metà di questo decennio in un contesto economico tutt’altro che confortante. La crisi petrolifera mondiale (eccesso di offerta e contrazione consistente della domanda) ha impattato pesantemente su tutta l’economia brasiliana, in aggiunta al contributo (negativo) che hanno colpito anche le esportazioni di commodity (tutte ai minimi di prezzo degli ultimi otto anni). Una nazione il cui modello economico rimane fortemente concentrato sull’esportazione di risorse tangibili dimostra tutta la sua debolezza nel momento in cui gli altri paesi partners commerciali arrancano o si arrestano. Al momento abbiamo la Cina in costante affanno per la crisi interna del credito facile e della bolla immobiliare, crisi che per adesso sembrano essere sotto controllo (almeno stando alla nomenclatura cinese). Qualora in Cina si verificassero crash finanziari simili a quelli americani che abbiamo visto nel biennio 2007-2008 allora paesi come il Brasile tornerebbero indietro di vent’anni nel giro di pochi mesi.