Tagli alla sanità e aumento delle pensioni. È la strada giusta

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Tagli alla sanità e aumento delle pensioni. È la strada giusta
Tagli alla sanità e aumento delle pensioni. È la strada giusta?
Siamo nei Paesi Ocse tra quelli che spendono meno per la sanità
pubblica, il 7% del PIL, ma più di tutti per le pensioni, il 14%. Eppure
stiamo tagliando la sanità, i 2,6 miliardi del Def, e aumentando le
pensioni, i 19 miliardi della sentenza per la loro reindicizzazione. E tra i
risultati c'è che aumenterà la spesa sanitaria privata
13 MAG - Avevo analizzato qui su QS lo scorso 1 maggio la sproporzione nei
tagli del Def a scapito di sanità e in particolare di farmaci e dispositivi.
Analoga osservazione va fatta guardando alle pensioni. Siamo nei Paesi
Ocse tra quelli che spendono meno per la sanità pubblica, il 7% del PIL, ma
più di tutti per le pensioni, il 14% (il 15% con le invalidità). La Germania, ad
esempio, spende rispettivamente quasi il 9% e il 10%.
Eppure stiamo tagliando la sanità, i 2,6 miliardi del Def, e aumentando le
pensioni, i 19 miliardi della sentenza per la loro reindicizzazione (di pensioni
già almeno il triplo del minimo e tutte con retributivo ovvero che già ridanno
molto più di quanto versato). Quale razionale per questa sproporzione nelle
scelte del Governo, anche al netto degli obblighi provenienti dalla decisione
della Consulta?
Il malizioso penserà al differente “peso” nel Governo dei rispettivi Ministri,
salute e lavoro. Entrambi validi e competenti, ma l'una è volenterosa e brava
giovane politica di un esiguo partitino, l'altro un “big” dell’establishment
economico e istituzionale con una vita nella più potente capillare realtà
economico produttiva del Paese storica espressione del principale partito
oggi al governo.
Il nodo cruciale, in termini di causa ed effetto, è di politica macro economica:
la scelta di finanziare di più le pensioni a scapito della sanità sposta quelle
risorse pubbliche verso consumi privati. Il nonno mantiene i giovani nipoti
precari o disoccupati (purtroppo anche i figli ultracinquantenni licenziati per
esubero) elargendo loro la paghetta per la benzina e il telefonino, oltre che
sostenere la spesa e le bollette per tutta la famiglia. Una sorta di
ammortizzatore sociale.
Ma, soprattutto nel rapporto con la sanità, una quota importante della sua
pensione gli serve per pagarsi privatamente visite, analisi o interventi erogati
male (o peggio) dalla sanità pubblica sotto finanziata a favore proprio della
sua pensione. Col risultato che le risorse che in altri Paesi sono destinate dal
Governo direttamente alla sanità pubblica, da noi finiscono con l’arrivare in
buona misura indirettamente alla sanità, ma privata, attraverso le pensioni,
per il nonno costretto a pagarsi direttamente la cataratta o il cardiologo per
non aspettare un anno o più le code dell’Asl.
Si realizza un singolare loop riallocativo, ben più a valle della decisione
governativa di destinazione delle voci di bilancio ma da essa stessa
determinata nel momento in cui delibera la sproporzione tra spesa sanitaria
pubblica e spesa pensionistica, ben sapendo che la domanda derivante da
bisogni sanitari, data la sua incomprimibilità, se non soddisfatta
adeguatamente dal servizio pubblico lo sarà dalla tasca privata.
Finendo così quelle pensioni nel loro complesso sovra finanziate, con
l’alimentare buona parte dei circa 30 miliardi di spesa sanitaria privata l’anno,
in una sorta di curioso “kreuslaf”, di flusso circolare del reddito, da risorse
pubbliche (pensioni) a risorse per consumi privati (sanità).
In tal senso, allora, l’economista accorto si chiede, ma ancora di più dovrebbe
farlo il decision maker politico, quale dei due modelli alternativi produca
maggiori benefici collettivi, se cioè i moltiplicatori economici con le loro matrici
di Leontieff, ovvero gli effetti positivi che s’ingenerano a valle, siano superiori
nel finanziare direttamente di più la sanità pubblica, come appunto in
Germania, o se, come avviene da noi, sia più produttivo indirizzare parte
delle risorse verso le pensioni così che si trasformino in consumi privati,
sanitari inclusi.
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia sanitaria
13 maggio 2015
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