Realtà e prospettive di sviluppo dell`agricoltura in Capitanata

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Realtà e prospettive di sviluppo dell`agricoltura in Capitanata
Realtà e prospettive di sviluppo
dell’agricoltura in Capitanata
Metodologia e limiti del presente lavoro.
1. - La persistente fondamentale importanza dell'agricoltura per
l'ulteriore progresso economico e sociale della Capitanata è così largamente
diffusa tra le classi dirigenti e tra gli strati della pubblica opíinione che, dopo le
analisi e i dibattiti svoltisi a livello nazionale e locale, in questi ultimi anni, si
potrebbe ritenere superfluo indugiare in ulteriori diagnosi ed indicazioni
terapeutiche, attendendo invece alla pratica realizzazione dei rimedi già indicati.
Ma una simile opinione può aver un certo fondamento ed essere accolta,
se consideriamo statici il pensiero e la vita economica e sociale di una
determinata comunità locale o nazionale e riteniamo largamente convergenti le
opinioni sulle vie dell'ulteriore cammino da percorrere.
Poiché, invece, il pensiero e la vita sono in continuo divenire, mentre
permangono dissensi sulle linee e sugli strumenti dello sviluppo economico e
sociale, il periodico riesame delle esperienze, delle realtà e delle possibili vie di
ulteriore progresso, nonché il frequente confronto delle opinioni, lo scambio
d'informazioni e di idee, l'aggiornamento delle analisi, si rivelano utili e feconde.
Del resto una riconsiderazione dei problemi agricoli nazionali, regionali e
provinciali è resa necessaria da particolari importanti fenomeni nuovi.
Infatti, l'impetuoso sviluppo economico dei nostro Paese, che, nonostante i caratteri di disuguaglianze di ritmo, ha visto in questo ultimo
quindicennio accrescersi il reddito nazionale in misura di gran lunga
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superiore a quella dei primi ottantacinque anni della nostra storia unitaria, ha
determinato nell'agricoltura situazioni, tendenze ed esigenze nuove, nel tempo
stesso in cui ha reso più accentuato e più evidente il dislivello di reddito e di
produttività tra settore agricolo ed altri settori economici.
Con la crescente liberalizzazione degli scambi e con il processo di
unificazione economica europea in atto, sono oramai definitivamente
tramontati i tempi romantici della nostra vita agricola, così come è in corso di
rapido superamento il tempo dell’economia di sussistenza, di autoconsumo,
allorché i coltivatori si preoccupavano prevalentemente di produrre le quantità
ed i tipi di produzione sufficienti a soddisfare i bisogni ed i gusti delle proprie
famiglie. L’agricoltura è diventata un'attività eminentemente economica,
orientata - nel quadro delle sue connaturali caratteristiche strutturali - verso un
continuo sforzo di adeguare metodi e procedimenti a quelli impiegati in altri
settori economici.
L’economia di mercato è una realtà che va sempre più affermandosi e
dilatandosi, costringendo le produzioni ad adeguarsi ai gusti delle masse
crescenti di consumatori ed accentuando l'esigenza di produrre a costi
competitivi.
Questi fatti, altamente positivi, accompagnati da altri fenomeni, quali il
progressivo generale miglioramento del livello di vita delle nostre popolazioni,
la mobilità territoriale e settoriale della mano d'opera, la diversa e migliore
posizione del lavoro rispetto ad altri fattori della produzione, rendono
particolarmente pressante la necessità di organizzare l'agricoltura su basi tali da
assicurare livelli di redditi unitari di lavoro e di capitale, comparabili con quelli
di altre attività economiche.
E' questa una esigenza imprescindibile da tenere costantemente presente,
se si vuole effettivamente inserire l'agricoltura nel contesto dinamico della
nostra economia e se si vuole contenere, nei limiti fisiologici, l'esodo rurale,
assicurando alle campagne la presenza di sufficienti energie attive, valide ed
anche giovani.
Tutto ciò richiede di affrontare una serie di problemi, la cui soluzione
pone nuovi grossi compiti all'azione pubblica ed a quella privata; ma
soprattutto esige il defintivo abbandono dei tradizionale isolamento degli
operatori agricoli e la operante presenza di efficienti organizzazioni.
2. - Ciò premesso, desidero subito indicare i limiti della mia esposizione.
La complessità e molteplicità dei problemi posti allo sviluppo agricolo
dall'accentuato dinamismo economico e sociale dei nostri tempi, l'indubbia
influenza delle tormentate vicende storiche della Capitanata
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sulle realtà presenti ed i profondi mutamenti culturali e psicologici delle
popolazioni rurali, indurrebbero ad una analisi ampia ed approfondita degli
aspetti, delle tendenze e delle reali possibilità di sviluppo dell'economia e della
società della Provincia Dauna nel contesto del possibile sviluppo generale della
Regione e dei Paese. Ciò è reso necessario dal rapporto di crescente, stretta
interdipendenza che lo sviluppo dei sistemi economici e sociali moderni va
stabilendo tra i vari settori d'attività e le diverse aree territoriali. Questa esigenza
sarà tenuta presente ed ispirerà sostanzialmente le mie osservazioni e
considerazioni sulla realtà agricola foggiana, ma non sarà esplicitamente
richiamata che in qualche caso. Ai fini di introdurre il dibattito odierno, mi
sembra sufficiente un esame rapido e sommario degli essenziali fenomeni
economici e sociali, delle principali linee evolutive manifestatesi nella situazione
foggiana dalla fine dell'ultimo grande conflitto mondiale ad oggi. Da tale esame
sarà possibile trarre alcune indicazioni sui nuovi problemi e sulle vie da battere
nei prossimi anni per consentire balzi in avanti all'agricoltura dauna.
La mia esposizione non sarà quindi una radiografia della realtà foggiana,
per la cui esecuzione sono ovviamente necessari ulteriori studi particolari, ma
tenterà di tracciare un quadro di assieme dei fenomeni e dei problemi che oggi
si presentano all'osservazione non disattenta di un economista agrario che ha
avuto ed ha la possibilità di compiere dirette esperienze e di contribuire alla
trasformazione dei mondo agricolo della Capitanata.
Passato e presente.
3. - Ad avviare il tentativo di delineare tale quadro, possono giovare
alcuni cenni ad episodi importanti e significativi nel processo di sviluppo della
Capitanata.
La giacitura delle terre del Foggiano e la loro prevalente natura,
presentando un notevole grado di suscettività, specie nei confronti di quelle
dell'Appennino campano e lucano, sin dall'epoca dei Borboni spinsero a
considerare le potenziali risorse agricole della Provincia e a compiere i primi
esperimenti di colonizzazione, quali ad esempio, quelli di S. Ferdinando, di
Margherita di Savoia, ecc. Con l'abolizione della Dogana delle pecore disposta
con legge del 21 maggio 1806 e la successiva completa affrancazione delle terre
del 1865, il Tavoliere di Foggia cominciò ad essere oggetto di alcuni interventi
pubblici e di studi sulle possibilità di rinnovamento agricolo. Apprezzabili
proposte fu9
rono presentate alla fine dei secolo scorso da Leone Morì, amministratore
della Casa Rochefoucol di Cerignola. Ma, com'è noto, l'avvio alla difficile e
lunga azione di bonifica del Tavoliere risale ad epoca più recente, alle leggi di
bonifica integrale del 1933 e al Piano Curato, cui seguirono il Piano
Medici-Carrante-Perclisa e quello Mazzocchi-Alemanni. Questi piani
rappresentano indubbiamente dei pregevoli documenti che rivelano anche l'alto
livello di progresso conseguito in quel tempo dalla scienza e dalla tecnica
agraria. Tuttavia l'esame attento della realtà dei Tavoliere consente di rilevare come ho fatto in altre occasioni - che lo sviluppo agricolo di larghe zone si è
realizzato secondo linee radicalmente diverse da quelle indicate dalle direttive di
trasformazione dei piani stessi. Le cause di tale diversità sono state indicate da
me altre volte e sono sostanzialmente da ricercarsi nella scarsa valutazione dei
requisiti tecnici produttivi dell'ambiente e nella non prevista linea di politica
economica dello Stato concretatasi nell'ulteflore difesa del grano rispetto ad
altri prodotti agricoli.
Ma il motivo fondamentale sta, a mio avviso, nella scarsa fiducia e
conseguente modesta valutazione della capacità degli uomini che nell'ambiente
già erano dediti all'agricoltura. I predetti piani di bonifica si ispirarono a due
criteri principali : il primo faceva perno essenzialmente sullo sviluppo
zootecnico, in sostituzione di quella che era considerata « misera » cerealicoltura;
il secondo - per me ancora più importante - prevedeva nell'organizzazione
aziendale l'introduzione dei contratto di mezzadria, tentando così di
organizzare la società agricola dauna sul vecchio modello di quella toscana e di
lasciar consolidare una situazione in cui la direzione aziendale, i centri decisionali
restassero nelle mani di pochi individui ritenuti i soli dotati di preparazione e di
intelligenza sufficienti ad assolvere i compiti imprenditivi.
L’azione successiva intrapresa nel dopoguerra, sia pure disordinatamente,
per iniziativa di singoli operatori, di organizzazioni e di Enti, svoltasi in un clima
sociale spesso molto acceso, ma nel quale l'individuo andava acquisendo
progressivamente maggiore dignità e rispetto, ha sortito risultati apprezzabili.
La costituzione di cooperative per la conduzione unita delle terre, i decreti per
l'occupazione delle terre incolte, le leggi sulla formazione della piccola proprietà
contadina in particolare la legge stralcio della Riforma Fondiaria, hanno posto
in evidenza l'influenza che la proprietà della terra da parte di chi la lavora o la
conduce direttamente può esercitare nel processo di rinnovamento agricolo.
Mi sembra perciò opportuno rilevare che i segni di progresso oggi
evidenti in larghe zone della Capitanata traggono origine essenzialmente
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dal fatto che è stata riconosciuta agli uomini addetti all'agricoltura della
Provincia una capacità notevole di operare affidando direttamente la
responsabilità delle iniziative di sviluppo agricolo. Oggi è infatti dato di notare
che all'insuccesso della colonizzazione dell'O.N.C., basata sulla conduzione
mezzadrile e di alcune aziende gestite con sistema mezzadrile proprio ed
improprio, si contrappongono i risultati altamente positivi di tutte le zone a
nuova proprietà contadina e di quella a proprietà imprenditrice capitalistica nelle
quali l'elemento responsabile, il protagonista dei processo produttivo resta
l'imprenditore.
Anche nelle prime esperienze di riforma fondiaria in Capitanata il
pregiudizio di tecnici maturatisi in ambienti diversi dal nostro ha avuto effetti
ritardatori nello sviluppo delle aziende contadine.
Tale pregiudizio si manifestava nell'opinione secondo cui taluni
ordinamenti produttivi affermatisi presentavano caratteri di arretratezza. D'altro
canto i lavoratori chiamati alle nuove responsabilità imprenditive erano ritenuti
incapaci di evoluzione. Furono così preparati piani comunali, aziendali e
poderali rigidi ai quali i contadini erano chiamati ad attenersi rigorosamente.
Citerò alcuni fatti significativi. Alcuni già in possesso di un equino furono indotti
a venderlo, perché ritenuto superato e sostituibile con bestiame di razza
marchigiana. Fu vietato il ringrano anche su terre idonee ed imposta
l'introduzione di foraggere seccagne in determinate e rigide percentuali e di
alcune colture di rinnovo che in asciutto non potevano dare adeguati risultati.
Furono imposti un determinato tipo di casa colonica ed alcune formule di
concimazione e di lavorazione della terra; vennero eseguiti scassi su terreni crostosi mediante esplosivi; furono affidati in appalto gli impianti dei vigneti, la
costruzione delle spalliere e del tendone e persino l'innestatura ed a volte la
potatura dei vigneti stessi. I risultati di tali operazioni non furono incoraggianti.
Essi furono invece migliori allorché ci si accorse della infecondità dei metodi di
imposizione dall'alto di nuove tecniche e di nuove economie aziendali e si
cominciò a fare affidamento sulla libertà e responsabilità dei nuovi proprietari e
sulla loro capacità ad evolversi limitando l'azione dell'Ente ad un'opera di
assistenza, di collaborazione e di incentivazione.
Tali esperienze possono costituire motivi essenziali di ispirazione e di
orientamento per l'azione da svolgere nei prossimi anni, tenendo costantemente
presente il principio secondo cui anche in un programmato ed organico
processo agricolo il ruolo fondamentale di protagonista deve essere lasciato alla
responsabilità del l'imprenditore.
Dopo questi rapidi ricordi delle vicende più significative della storia
recente dello sviluppo agricolo della Capitauata, il nostro inte11
resse si svolge ora a rilevare i fenomeni più importanti manifestatisi
nell'agricoitura dauna in quest'ultimo periodo.
Proprietà agricola: struttura e situazioni.
4. - Alla fine dell'ultima guerra mondiale, la realtà agricola della Provincia
di Foggia risultava caratterizzata da situazioni economico-sociali e da strutture
produttive cristallizzate ed immobilistiche: la proprietà era fortemente
accentrata ed in larga misura assenteista; molto diffuse la cerealicoltura e la
pastorizia.
Erano ancora in atto alcuni allevamenti bufalini a pascolo brado; pochi i
bovini da reddito e da lavoro; limitato lo sviluppo della meccanizzazione.
A ciò si aggiungevano tre grandi centri di particolare sviluppo viticolo,
olivicolo ed arboricolo, quali quello di Cerignola fino ai confini di Terra di Bari,
quello di S. Severo e dei Comuni limitrofi, e quello dei Gargano, dove esisteva
un'oasi particolarmente fiorente ma molto limitata di superficie orticola lungo
la fascia litoranea da Margherita a Zapponeta fino a Manfredonia.
Generalmente i rapporti fra proprietà, impresa e lavoro erano quelli
tipici dell'impresa capitalistica con salariati fissi ed avventizi specie sulle terre
buone di pianura.
Nelle vicinanze dei centri abitati prevalenti erano le piccole imprese
contadine su terre in proprietà o in affitto gestite dai cosidetti « versurieri ». Ma
nel Tavoliere dominante era il latifondo che raggiungeva le porte della città,
come ebbe a scrivere il Ricchioni parlando di Lucera.
Su tali strutture agricole gravavano una forte pressione demografica ed
un foltissimo bracciantato misero, sottoccupato e spesso disoccupato. Ciò
acuiva la tensione tra impresa e lavoro dando luogo a manifestazioni talvolta
violente ed a conflitti sociali. Non vi è chi non ricordi le avvilenti condizioni del
lavoro agricolo: l'ingaggio della mano d'opera avveniva ancora di sera o nelle
prime ore dei mattino sulle piazze dei Comuni, spesso valutando la forza
muscolare dell'operaio. In realtà il lavoro era in posizione di netta soggezione
nei confronti della proprietà della terra. L'imprenditore proprietario ed affittuarici conduceva il processo produttivo della terra secondo la propria
convenienza economica imponendo tipi di rapporto fra imprese e lavoro, patti
agrari e salari. In forza di questo predominio contrattuale della proprietà sul
lavoro e sull'impresa, si configuravano alcune situa12
zioni imprenditoriali e produttive. Ovunque infatti vi erano possibilità di
sviluppo di colture suscettibili di assicurare una rendita fondiaria o un profitto
d'impresa, quali i cereali, gli allevamenti ovini, l'olive ecc., prevaleva l'impresa
capitalistica. Laddove invece la terra era magra, come sul Gargano, lungo i
tornanti di Monte S. Angelo o lungo la striscia di sabbia di Margherita di Savoia
o Zapponeta, o nelle terre magre del subappennino, Deliceto, Faeto, Alberona,
Casalnuovo Monterotaro ecc., l'impresa veniva affidata a piccoli affittuari;
qualche volta si organizzavano alcune colonie parziarie e solo per alcune colture
fortemente attive, richiedenti cioè molta mano d'opera, venivano concesse in
compartecipazione zone di terra ricca.
Nonostante tali condizioni di immobilismo sociale ed economico, nel
primo periodo dell'immediato dopoguerra, gli sforzi di tutti furono diretti a
riparare i considerevoli danni prodotti dalla guerra, ad aumentare la produzione
e la produttività sia per soddisfare i bisogni alimentari, sia per elevare i redditi di
capitale e di lavoro. Nel quadro di tali sforzi l'agricoltura foggiana mantenne un
ruolo non trascurabile cercando di migliorare le tecniche produttive,
diffondendo la meccanizzazione, aumentando i consumi di concimi, utilizzando
semi selezionati.
Gli sforzi dell'iniziativa privata furono agevolati da una serie di
provvidenze legislative e da interventi pubblici, fra i quali assumono rilievo
quelli relativi alle opere di bonifica, finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno,
alle agevolazioni sui miglioramenti fondiari, alla riforma fondiaria, al Piano
Verde.
Incrementi produttivi: 1959-1962.
5. - Per effetto degli investimenti pubblici e di quelli privati, provocati e
spontanei, l'agricoltura foggiana ha segnato considerevoli incrementi produttivi,
realizzatisi con lo sviluppo di ordinamenti più attivi ed intensivi e con una
graduale contrazione di quelli estensivi.
Nel quadriennio 1959-62 ad una contrazione della superficie cerealicola,
rispetto a quella dei periodo 1939-42 (7,3%), ha fatto riscontro un aumento
considerevole della produzione. Il frumento, infatti, ha avuto nel corso
dell'ultimo quadriennio un incremento dei 33,6% rispetto al quadriennio
1939-42 con una maggiore incidenza del grano duro, la cui area di diffusione
nell'ultimo triennio ha superato quella investita a grano tenero.
L'introduzione di trattrici pesanti ed il più largo impiego di fertilizzanti e
di sementi elette hanno determinato un aumento notevole
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delle rese unitarie per il grano duro (da q.li 13,9 in media per ha. nel 1951 a q.Ii
22,5 nel 1962), e per il grano tenero (da q.li 14,4 a q.Ii 21,4). Lo sviluppo delle
colture industriali, ortive e foraggere ha ridotto l'estensione dei pascolo e dei
riposi seminativi. La coltura del tabacco che nel 1929 risultava nel Catasto estesa
su 10 ettari, ha oggi superato i 200 ettari, mentre la barbabietola, che non
veniva neanche menzionata nel precitato Catasto, si estende su circa undicimila
ettari.
Nel settore delle colture ortive mentre la superficie investita a patata si è
ridotta di più del 50%, quella del pomodoro si è più che raddoppiata.
Particolare espansione ha avuto la coltura del carciofo che da meno di 100
ettari nel periodo prebellico raggiunge ora diverse migliaia di ettari, con
evidente tendenza ad un progressivo aumento.
Anche l'area delle foraggere risulta oggi quasi triplicata rispetto al 1939-42.
Per le colture arboree in complesso si è avuto nello stesso periodo un
aumento determinato dalla maggiore diffusione degli olivi ed ancora piú
dall'espansione della vite; per il mandorlo e per gli agrumi è proseguita la nota
tendenza a ridurre l'area. In particolare la produzione di uva da tavola della
provincia di Foggia, seguendo l'andamento ascensionale della Puglia - ove la
produzione si è quintiplicata in confronto al periodo pre-bellico - ha subito un
incremento di 18 volte.
Gli incrementi produttivi si sono tradotti in un aumento del valore della
produzione lorda vendibile ed in sensibili variazioni nella sua composizione.
Infatti, il valore della produzione lorda vendibile dell'agricoltura in Provincia di
Foggia a prezzi correnti si è quasi raddoppiato, passando da oltre 49 miliardi di
lire del 1951 a 109 miliardi e 191 milioni del 1962.
L'incidenza delle colture erbacee dal 47,9% si è ridotta al 36,9%, mentre
quella dell'ortofrutticoltura è salita dal 9% al 18,7% e quella della vite dal 13 al
24,1%. Anche il peso relativo dell'olivicoltura ha avuto un lieve aumento
(dall8,4% all'11%), mentre quello dei prodotti zootecnici è sceso. Vi è tuttavia
da registrare un miglioramento qualitativo dei patrimonio zootecnico che oggi
conta un più elevato numero di bovini di razza pregiata, mentre risulta
contratto quello degli equini. Gli allevamenti ovini, dopo la drastica riduzione
operata dagli interventi di riforma, vanno segnando una ripresa.
I risultati produttivi della Provincia di Foggia sono stati conseguiti in
aziende che, secondo il censimento dei 1961, risultano per l'87,6% a
conduzione diretta, per l'8,4% a conduzione salariale e per il 4% ad altre
conduzioni.
Un indice dei considerevoli progressi tecnici conseguiti è dato dal
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parco trattoristico che è passato da 1547 trattrici nel 1952, per una potenza di
57.437 HP, a 4.988, per una potenza complessiva di 187.814 HP nel 1962.
Elevata è stata la diffusione delle motopompe, il cui numero è salito da 333 a
6.465. Notevole anche la diffusione delle mietitrebbie che con un parco di 612
macchine pone la Provincia di Foggia al primo posto tra le altre provincie
italiane.
Sensibili variazioni si sono pure verificate nel campo dell'esportazione dei
prodotti tipici.
Nel settore della lavorazione e trasformazione dei prodotti, da una recente
indagine sono state rilevate 80 cantine della capacità complessiva di lavorazione
di 810 mila q.li di uva; di esse solo 33 sono ritenute efficienti per una capacità
lavorativa complessiva di circa 600 mila quintali, mentre le produzioni di uve da
vinificare toccano punte di oltre 3 milioni di q.li.
Nel settore olivicolo-oleario, sono stati rilevati 122 oleifici per una capacità
lavorativa complessiva di 380.000 q.li di olive; di essi solo 12 hanno attrezzature
moderne ed efficienti per una capacità lavorativa di circa 80.000 q.li di olive,
contro una produzione che in questi ultimi anni ha superato 1 milione di
quintali.
Nel settore lattiero-caseario, la Centrale dei Latte di Foggia utilizza parte
della produzione provinciale, ma non ha una adeguata rete di centri di
refrigerazione per la raccolta del latte stesso.
Notevole sviluppo ha avuto recentemente l'industria saccarifera che ha
realizzato due nuovi stabilimenti.
I progressi produttivi e tecnici si sono tradotti in un incremento dei
reddito globale e dei redditi individuali.
Proprietà, impresa e lavoro.
6. - Ma nell'ultimo dopoguerra si sono verificati nel mondo contadino
profondi mutamenti di ordine psicologico e culturale che hanno spinto e
spingono tuttora a porre su basi diverse i preesistenti rapporti fra proprietà,
impresa e lavoro. Per effetto delle esperienze belliche, dei contatti con le truppe
alleate, della prigionia trascorsa in paesi diversi, dello sviluppo delle grandi
comunicazioni di massa (stampa, radio, tv e cinema), della libertà politica e
sindacale e della diffusione dell'istruzione, si andava maturando una nuova
presa di coscienza dei propri diritti e della propria dignità da parte di numerose
schiere contadine.
Accentuatasi fortemente l'ansia di miglioramerito economico e so15
ciale, la proprietà della terra era ritenuta conquista di fondamentale importanza,
strumento indispensabile per soddisfare l'inderogabile bisogno di reddito e di
sicurezza per le famiglie.
Per corrispondere a tale diffusa e profonda aspirazione delle categorie
bracciantili, fu adottata una serie di misure volte da una parte, con l'imposta
patrimoniale, i contributi unificati, l'imponibile di mano d'opera, a rendere
piuttosto difficile la vita dei proprietari assenteisti, dall'altra, con le leggi sulle
terre incolte, sulla formazione della proprietà contadina e con la riforma
fondiaria, a favorire largamente l'accesso alla proprietà della terra da parte di
numerosi braccianti.
In provincia di Foggia in questo dopoguerra in forza delle leggi di riforma
sono state costituite n. 7.610 unità produttive per un totale di 52.810 ettari; per
effetto delle leggi a favore della piccola proprietà contadina si sono verificati
acquisti per una superficie complessiva di oltre 47.000 ettari.
Nel frattempo si determinavano nuovi movimenti verso la realizzazione di
più moderni assetti produttivi delle aziende.
Alcuni medi e grandi proprietari di terre, dediti esclusivamente all'impresa
agricola, avviavano infatti una graduale conversione colturale ed una
ristrutturazione produttiva dell'azienda introducendo la meccanizzazione,
eliminando il bestiame da lavoro e riducendo la mano d'opera salariata ed
avventizia. Peraltro nei primi anni « 50 » si organizzavano grandi e grandissime
aziende sia su basi cooperative per la conduzione unita della terra e sia su base
capitalistica con afflusso di capitali da parte di società industriali e di
assicurazioni. Cooperative furono infatti organizzate a Cerignola, a
Manfredonia, Foggia, Lucera, Deliceto, ecc.; sorsero l'azienda di Palazzo
D'Ascoli, della SEBI, l'azienda Zaccagnini, quella di « Terra Apulia », aziende
che, secondo alcuni, erano destinate ad essere le imprese dell'avvenire.
Anche iniziative borghesi a carattere dilettantistico tornavano ad affacciarsi,
sull'esempio lodevole di un compianto tecnico pugliese, il Prof. Carrante :
medici, avvocati, professionisti di ogni genere, artigiani e commercianti della
provincia di Foggia, ma anche estranei alla provincia stessa cominciavano qua e
là ad organizzare imprese con notevoli apporti di capitali ed entusiasmo.
Inoltre vicino ai centri abitati dove ferveva anche l'attività edilizia, sorgeva
qua e là, specialmente a Foggia, S. Severo e Cerignola, un tipo d'impresa gestito
da famiglie di cui alcuni componenti realizzavano redditi in altre attività.
7. - Nel corso degli anni « 50 » si andavano dunque sostanzial16
mente affermando, sul piano dei l'organizzazione aziendale, le seguenti tendenze:
1 ) aziende capitalistiche di grandissime dimensioni appartenenti ad elementi
extragricoli e condotte con salariati fissi e avventizi per la pratica di colture
fortemente attive e spesso su terre magre a compartecipazione (vedi i vigneti di
Palazzo D'Ascoli);
2) aziende cooperative di grandi dimensioni per la conduzione unita delle
terre, nelle quali il socio della cooperativa forniva il lavoro come nella grande
impresa capitalistica, ricevendone un compenso integrato a fine della gestione con
la ripartizione di eventuali utili;
3) imprese capitalistiche di proprietari o affittuari conduttori con salariati
fissi e avventizi o a compartecipazione per le colture attive industriali o orticole che
timidamente andavano comparendo (bietola da zucchero, peperoni, ecc.);
4) imprese contadine in proprietà o affitto e colonia parziaria di vecchia e
nuova formazione con il ricorso a mano d'opera avventizia nei momenti di punta;
5) imprese di proprietari borghesi che spesso facevano ricorso a
compartecipanti per le colture arboricole o orticole;
6) imprese integrative di artigiani o di contadini con figli operai di industrie
locali o braccianti agricoli presso terzi.
Sarebbe certo interessante un esame particolare dell'evoluzione subita da questi
tipi di imprese nell'ultimo decennio; ma ciò che preme ora sottolineare è la pluralità
delle iniziative che davano luogo ad un vivace movimento, impegnando molte
energie umane locali o immigrate, mentre gli interventi della Cassa per il
Mezzogiorno e dei Consorzio di Bonifica andavano eseguendo numerose, anche se
non sufficienti, opere infrastrutturali. Intanto la Riforma Fondiaria, determinando
un risveglio della proprietà privata, induceva anche molti proprietari assenteisti a
vendere o ad impegnarsi nella conduzione delle imprese. Non mancano infatti
esempi lodevoli di proprietari che prima vivevano di rendita fuori dell'ambiente e
che sono poi tornati in provincia di Foggia per gestire direttamente la loro
proprietà. Larghe zone dell'agricoltura di Capitanata si sono quindi mosse con
slancio conseguendo risultati apprezzabili.
Infatti, mentre l'impresa capitalistica introduceva la Simmenthal oppure la
Bruno-Alpina, i fruttiferi a Palazzo d'Ascoli, nelle aziende contadine si andavano
affermando la coltura del carciofo, quella del mellone, del peperone, del vigneto a
tendone. Lo sviluppo di queste ultime colture va indubbiamente attribuito a merito
del lavoro contadino, perché anche quando le imprese capitalistichie o della
borghesia
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cittadina si interessavano a tali piante, quasi sempre lo facevano con sistemi a
compartecipazione.
Naturalmente in questo moto di rinnovamento produttivo vi è stata possibilità
di sperimentare nuove energie imprenditive ed affinare le capacità di vecchi
conduttori o direttori di grandi aziende o di fattorie e di masserie.
8. - Ma, nella seconda metà degli « anni 50 », il nascente equilibrio economico e
sociale delle campagne, caratterizzato da più vaste responsabilità imprenditoriali da
parte degli strati contadini e da un graduale miglioramento dei salari e dei redditi di
lavoro, subiva un grave turbamento per effetto del diseguale sviluppo economico
generale del Paese. Le nuove possibilità di occupazione industriale a livelli salariati
più alti offerte dalle regioni nord-occidentali del Paese, la domanda estera di mano
d'opera, determinavano massicci spostamenti territoriali di popolazioni rurali ed un
intenso esodo dalle campagne particolarmente da parte delle giovani generazioni
contadine.
Tutto ciò ha dato luogo in questi ultimi anni ad un fatto di estrema
importanza e profondamente innovatore dei rapporti preesistenti nelle campagne: il
lavoro agricolo ha assunto in molti territori una posizione di forza, talvolta di
preminenza rispetto all'impresa. In altri termini, il lavoratore può dire al
l'imprenditore: « lo sono disposto a lavorare per te, se mi assicuri un adeguato
compenso ».
Permangono tuttavia situazioni di sottoccupazione, stati di soggezione dei
contadini soprattutto appartenenti alle vecchie generazioni nei confronti della
proprietà e dell'impresa. Le une e gli altri si sono comunque notevolmente ridotti.
E' peraltro scomparso il metodo di ingaggio fatto sulle piazze tastando i muscoli;
sono scomparse le forme tradizionali e romantiche della spigolatura. Chi non
ricorda le fitte schiere di contadini che provvisti di bisacce scendevano a dorso d'asino dai paesi del sub-appennino nel Tavoliere e giungevano da Andria su un
carretto? Appena i covoni venivano ritirati essi invadevano come cavallette la
sterminata piana cerealicola alla ricerca delle briciole, ché così poteva considerarsi la
spiga di grano lasciata sul campo dai lavoratori dell'impresa capitalistica.
Queste nuove condizioni dei lavoro agricolo vanno dunque salutate con
soddisfazione e con l'augurio che esse possano consolidarsi e diffondersi anche
nelle residue zone nelle quali non è stato possibile realizzarle. Tuttavia da più parti si
lamentano l'insufficienza della disponibilità di mano d'opera avventizia o a salario,
la scarsa propensione dei lavoratori a stipulare contratti di mezzadria o di
compartecipazione e si auspicherebbero anacrostiche ed irrazionali misure atte a
frenare
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la fuga dai campi. Non manca anche chi giudica negativo l'esodo rurale
considerandolo una « cacciata dalle campagne ». E' necessario valutare tale
fenomeno caratteristico di ogni processo di sviluppo economico con senso di
equilibrio e di obiettività. Esso ha ricreato in molte zone un più giusto equilibrio tra
terra e uomo; ha posto fine allo stato di soggezione del lavoro; ha dato ai
lavoratori una nuova posizione di dignità e di forza contrattuale; ha indotto ed
induce le imprese di ogni tipo ad accrescere la loro competitività. L'esodo rurale è
sostanzialmente un fatto positivo e fisiologico in un sistema economico come il
nostro che nel complesso ha superato la fase di decollo.
Certo le forme disordinate e spesso patologiche con cui l'esodo si è realizzato
in molti territori meridionali non sono esenti da riserve e rilievi. Ad ogni modo la
positività degli effetti dell'esodo si rivela anche nell'esigenza di una diversa
organizzazione agricola. Oggi, infatti, non si tratta più di assicurarsi il possesso della
terra di qualsiasi dimensione, ma di organizzare aziende che siano in grado di
produrre redditi di lavoro e di capitali in parità con quelli realizzabili in altri settori
di attività. Ciò deve anche realizzarsi nel tempo in cui la costituzione del M.E.C. e la
liberalizzazione degli scambi esigono di produrre a costi decrescenti.
Sembrerebbe contraddittorio pensare a dover aumentare i redditi e
contemporaneamente diminuire i costi; eppure il processo evolutivo in atto ci dice
che ciò è possibile anche se richiede sacrifici, maggiore impegno da parte delle
categorie imprenditoriali e adeguati interventi dello Stato.
Una via facile ci sarebbe per raggiungere lo scopo: basterebbe una politica di
artificiosa difesa dei prezzi dei prodotti agricoli. Ma questa politica che - come è
noto - già è stata praticata per decenni, in particolare con il dazio sul grano, non ha
consentito al Mezzogiorno agricolo di progredire, ha attenuato lo spirito di
iniziativa e non consente la formazione di un'agricoltura moderna e competitiva.
Un'altra via viene indicata dallo stesso mondo agricolo di Capitanata, anche se essa
si va percorrendo con sforzi notevoli e velocità inferiori a quella desiderata. Tale via
consiste nel porre i fattori della produzione in condizione di esprimere al massimo
la loro produttività e le aziende in grado di elevare al massimo la propria
redditività.
E' possibile realizzare ciò nell'agricoltura di Capitanata? Vi sono potenziali
risorse da mobilitare per contribuire a raggiungere tale scopo?
Siamo dunque al punto più interessante e più delicato di questa disamina.
19
Produttività, redditi e costi di produzione.
9. – Le linee di azione per conseguire il massimo di produttività,
l'elevazione dei redditi unitari di lavoro e di capitale e contemporaneamente
l'abbassamento o il contenimento dei costi di produzione sono le seguenti :
1 ) Per elevare la produttività: a) localizzazione delle colture in base alla
vocazione economica delle terre; b) elevazione del rendimento del lavoro sia
attraverso la qualificazione e specializzazione sia attraverso la modifica delle
strutture produttive; c) adozione delle tecniche colturali moderne e
meccanizzazione.
2 ) Per elevare la redditività : organizzazione dei produttori per
aumentare la capacità contrattuale ed intervenire decisamente nella formazione
del prezzo.
10. - Forse sarebbe stato opportuno disporre di una particolare indagine
volta ad individuare le singole situazioni pedo-climatiche al fine di stabilire la
migliore destinazione delle terre in base alla loro vocazione economica. In
mancanza di tale indagine, ai fini dei nostro dibattito può essere sufficiente il
ricorso alle esperienze ormai ventennali che ho dell'agricoltura di Capitanata e
che ho avuto modo di fare sia come tecnico di aziende private che come
tecnico di aziende della Riforma. Dal 1944 in poi mi sono infatti interessato dei
terreni ubicati in agro di Manfredonia, località Pagliete, in agro di Lucera,
Volturara, Ascoli Satriano, Rocchetta S. Antonio, Cerignola, Margherita di
Savoia, e nel Gargano da Torre Mileto agli olivastreti di Cagnano Varano. Alle
indicazioni derivanti da tali esperienze vanno aggiunti i risultati degli studi
condotti per diversi anni per conto dell'Osservatorio di Economia Agraria
dell'Università di Bari su numerose aziende, ambienti e poderi del Tavoliere.
11. - La provincia di Foggia, che si estende per circa 700 mila ettari, può
essere suddivisa in quattro grandi zone aventi una sufficiente omogeneità. Esse
sono:
1 ) quella dei Tavoliere centrale che, partendo da Ripalta e dal lago di
Lesina e scendendo lungo il corso del Candelaro, si estende sino ai confini della
Puglia, comprendendo parte dell'agro di S. Severo, Foggia, Cerignola,
Trinitapoli, Margherita di Savoia. Essa è caratterizzata da terre da grano, terre
pesanti argillose, nelle quali le condizioni favorevoli alla cerealicoltura
meccanizzabile rendono di difficile introduzione altre colture. La natura dei
terreno e il clima non sono favorevoli alle colture arboree ed arbustive. A
prescindere da alcune parti leggermente elevate che potranno pure alimentare
una viticultura o oli20
vicultura e frutticultura ad alto reddito, specialmente con l'irrigazione di
soccorso, nella zona non si tratterà di sostituire il grano, ma di altenarlo con
altre colture, quali il carciofo e la barbabietola da zucchero, specie se per
quest'ultima la meccanizzazione sarà perfezionata. D'altra parte, i continui
progressi delle tecniche colturali e della meccanizzazione con conseguente
aumento delle produzioni unitarie, consentono di affermare che è possibile
conservare una cerealicoltura altamente economica, anche perché non solo la
produzione dei grani duri ma anche quella dei terreni risultano avere
caratteristiche nettamente superiori a quelle dei prodotti di altre regioni
cerealicole italiane. Potrà anche essere avviata una pioppicoltura su vasta scala,
dopo che i primi tentativi in atto consentiranno di trarre più concrete
esperienze.
2) zona che si estende sulle cosiddette « terre di crosta » e « terre rosse »
pedegarganiche ed interessa anche la parte pianeggiante dei comuni garganici,
parte dell'agro di S. Severo, San Paolo Civitate, Serracapriola, Chieuti,
Torremaggiore, Lucera, Troia, Castelluccio dei Sauri, Ordona, Ortanova,
Cerignola, S. Ferdinando, Trinitapoli, Margherita di Savoia.
In questa situazione economica si riproducono gran parte delle caratteristiche della fascia litoranea barese, anche se con un clima leggermente
meno mite. Essa può considerarsi il prolungamento della terra dell'albero,
come fu definita dal Ricchioni parte della Puglia, e può evolversi insistendo
ancora sulle colture arboree, prima fra tutte la vite per uva da vino e per uva da
tavola. A questa indicazione alcuni obietteranno che l'uva, è in crisi. E'
necessario replicare che trattasi di crisi derivante da fattori vari e suscettibili di
modifiche e di correzioni, mentre attraversiamo una fase di transizione
caratterizzata dalla ricerca di nuovi equilibri produttivi nel cui quadro la vite per
uva da vino e da tavola troverà collocazione economica, se coltivata in ambienti
adatti. Del resto oggi più che mai le terre di S. Severo, Lucera, Cerignola, stanno rivelando un'elevata suscettività delle colture arboree, specie se si può
disporre di irrigazioni di soccorso.
D'altra parte, le zone agrumicole del Gargano, quelle viticole già esistenti
e ampliabili, le zone olivicole ampliabili anche con l'introduzione dei nuovi
sistemi di impianti irrigui, e con la coltura delle piante fruttifere, quali il pesco e
probabilmente l'albicocco, il susino, potranno consentire una migliore
destinazione di quelle terre in base proprio alla loro vocazione economica;
3) la zona rappresentata dalla parte alta, montagnosa, asciutta del
Gargano e dalle terre collinari e montane del subappennino dauno. La sua
vocazione economica sta esclusivamente nell’allevamento del be21
stiame per l'utilizzazione dei pascoli naturali. Ancora oggi visitando tali zone si nota
che terre con pendenza eccessiva e quindi non meccanizzabili vengono destinate alla
cerealicoltura o al granoturco o a fava. In realtà esse non hanno possibilità di
realizzare produzioni competitive. Si rende quindi necessario un ulteriore
alleggerimento della pressione demografica, in modo da favorire la formazione di
aziende zootecniche. E' altresì necessario realizzare alcune infrastrutture, specie
quelle riguardanti le strade di fondo valle che possono collegare gli abitati e le terre
migliori con la pianura sottostante. Tale necessità deriva anche dal fatto che molti di
coloro che emigrano lasciano nei comuni di origine le famiglie che con forze di
lavoro esigue (vecchi, donne e bambini) continuano a reggere l'azienda agricola.
Sono infatti sorte aziende integrative in cui il reddito principale è
rappresentato dal salario percepito dagli uomini che lavorano nelle industrie del
Nord o in Paesi dell'Europa Occidentale. Il collegamento attraverso le strade di
fondo valle, per esempio, lungo il Fortore, il Calaggio, il Carapelle e d'altri corsi
d'acqua più o meno importanti, potrebbe spingere a trasformare i comuni collinari
e montani in zone residenziali da cui potrebbero muoversi le maestranze delle
industrie destinate a svilupparsi nel Tavoliere a seguito del probabile reperimento di
notevoli risorse metanifere. Alcune terre di questa terza zona potrebbero quindi dar
luogo ad aziende integrative, o « part-time », mentre la maggior parte della zona
dovrebbe essere indirizzata verso l'allevamento zootecnico, in particolare quello
della pecora, giacché i prodotti ovini, specie carni e formaggi, hanno riacquistato
notevole pregio sul mercato. La zona garganica si presta anche a un più vasto
allevamento dei caprini, che potrebbe essere favorito abolendo una vecchia legge
che impedisce il pascolo delle capre nei boschi. Si può constatare che nei boschi,
negli olivastreti o cespuglietti la capra non arreca danno alcuno, ma vantaggi.
Danno essa arreca in fase di rimboschimento e di sviluppo di boschi tagliati, per
cui in questi casi si potrebbe conservare il divieto.
4) la quarta zona comprende aziende a specializzazione orticola, localizzate
negli arenili di Margherita di Savoia, ed in varie parti dell'agro di Ortanova, Chieuti,
Lucera, Foggia, Trinitapoli, Manfredonia, Lesina, Cagnano Varano,
Macchiarotonda, Fonterosa, Mattinata.
La superficie orticola va assumendo crescenti dimensioni, come si osserva
lungo la strada che da Foggia porta a Lucera, ma, ancor più, lungo la strada che da
Trinitapoli, via Mezzanone, porta a Foggia e nella zona orientale del Lago di Lesina
ed in agro di Ortanova : oramai diverse migliaia di ettari sono investiti a cavoli,
carciofi, finocchi, lattuga, agli, cipolle, indivia, ecc. Trattasi quindi di una situazione
econo22
mica in grande slancio. Essa, a parte eventuali fattori depressivi dovuti a qualche
gelata o a strozzature di mercato, ha un sicuro avvenire, tenuto conto della
riduzione dell'area napoletana destinata all'orticoltura, della tendenza
all'espansione dei consumi interni di ortaggi freschi e del possibile incremento
della domanda da parte dei mercati dell'Europa centro-settentrionale.
Tracciate così molto succintamente, per ognuna delle quattro grandi
situazioni economiche, le linee di sviluppo già manifestatesi, possiamo
tranquillamente affermare che l'azione pubblica e privata deve essere
decisamente ed organicamente indirizzata verso una più diffusa localizzazione
di esse secondo la vocazione economica dei singoli ambienti.
Nelle quattro zone indicate, lo strumento che può determinare un
miglioramento della produttività è indubbiamente costituito dall'acqua di
irrigazione. Però, mentre per la prima, quella delle terre da grano, e per la terza,
quella delle terre da pascolo, l'irrigazione può avere una funzione
complementare, diretta cioè ad integrare le risorse foraggere o a consentire la
coltura della barbabietola o del carciofo, per la seconda o la quarta l'irrigazione
sostituisce uno strumento fondamentale per favorire il processo di
intensificazione.
12. - Di recente si è visto che la produttività di molte terre foggiane può
salire rapidamente, può anche raddoppiarsi con l'introduzione dell'acqua
destinata alle colture già in atto. E' questo il fatto più importante che si sia
spontaneamente manifestato.
Si è visto cioè che, se si irriga l'oliveto già esistente con irrigazioni di
soccorso, è possibile triplicarne le produzioni; se si irriga un vigneto per uva da
tavola con irrigazioni di soccorso in momenti difficili, quel vigneto può
produrre 100 quintali di uva in più, abbassando quindi in misura sensibile il
costo di produzione. Se si irriga il carciofo nel mese di luglio, è possibile
raccogliere i carciofi in ottobre, novembre fino a tutto il periodo invernale
realizzando produzioni e prezzi soddisfacenti; se si irrigano certe colture
orticole verso la fine dell'estate, è possibile realizzare nell'inverno prodotti di
pregio per i mercati dell'Europa centrale e dei Nord d'Italia.
Si può quindi riaffermare che lo strumento capace di elevare la
produttività delle terre nelle aziende agricole è essenzialmente l'acqua di
irrigazione.
Vale perciò la pena di soffermarsi un po' sull'argomento.
Nel passato tutta la programmazione riguardante la bonifica e la
irrigazione dell'italia meridionale fu informata ai criteri seguiti nello sviluppo
dell'irrigazione della Valle Padana.
Si disse che nel Sud bisognava utilizzare l'acqua nella coltura delle
23
foraggere per sviluppare gli allevamenti di bestiame ed ottenere anche la
produzione di letame e la reintegrazione della fertilità dei suoli. Furono così previsti
grandi impianti di irrigazione per le terre seminatorie, per le terre cioè molte volte
compatte delle pianure litoranee, scartando di proposito quelle zone arboricole che
potevano rientrare anche in comprensori irrigui, perché si riteneva inutile e talvolta
dannoso destinare l'acqua alle colture arboree.
Si è verificato però che in molte terre destinate all'irrigazione, la coltura
cerealicola, che sembrava destinata a scomparire, va acquistando una crescente
posizione di favore. Essa infatti consente la meccanizzazione integrale e la riduzione
di oltre il 60% della mano d'opera, anzi fino al 70% attraverso l'uso delle trattrici
per la semina, per la sarchiatura, per la eliminazione delle cattive erbe, della
mietitrebbia. Si sono quindi cambiati i termini del problema e il giudizio di
convenienza economica nella trasformazione irrigua di terre da grano con colture
foraggere. Nello stesso tempo si è visto che la stessa quantità di acqua se anzicché
alle foraggere, viene fornita all'ulivo acquista un prezzo di trasformazione da
giustificare il suo reperimento in condizioni ritenute antieconomiche per la coltura
delle foraggere.
Nuove prospettive di valorizzazione produttiva delle terre sono quindi
aperte dalla tecnica moderna e dall'irrigazione.
Poiché oramai dalle esperienze fin qui fatte risulta evidente che le colture
arboree in Puglia elevano di più il prezzo di trasformazione dell'acqua - come ha
avuto modo di rilevare in altre occasioni - è possibile porci il problema di
estendere notevolmente l'irrigazione in Terra di Capitanata. Dove reperire l'acqua?
Vi sono risorse nel sottosuolo? Per queste però è bene dire subito che non si può
andare oltre certi limiti, avendo già messo in azione un numero notevolissimo di
pozzi i quali attingono acqua dalla falda sotterranea e possono anche col tempo
rischiare di depauperarla fino al punto di doverne sospendere l'utilizzazione.
La Capitanata può considerarsi in posizione privilegiata quanto a risorse
idriche. Entro un anno o poco più saranno invasati 300 milioni di mc. nella Diga di
Occhito; altri invasi possono essere costruiti sull'Ofanto a valle di Occhito, sul
Cervaro e sul Carapelle. Notevoli quantitativi di risorse idriche di non difficile
acquisizione potrebbero quindi essere destinate all'irrigazione, dopo aver
soddisfatto le esigenze dell'industria e degli usi civili. E' tuttavia necessario
prepararsi ad affrontare in termini globali il problema dell'utilizzazione delle acque
in maniera che, man mano che esse sono disponibili, possano essere razionalmente
utilizzate anzicché essere per molti anni costretti a confluirle in
24
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Ieri: distribuzione governativa del chinino in una masseria della zona malarica
( Fotografia inedita di Nicola Scardino, g.c. dell’Archivio Simone)
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Oggi: speranze di un avvenire sereno nel comprensorio della riforma fondiaria
( Fotografia, g.c. dell’Ente di Riforma Fondiaria)
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Macchine nuove per un’agricoltura moderna
( Fotografia di Leone, g.c. dall’E. A. « Fiera di Foggia » )
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Una fattoria modello, presupposto di migliori prodotti
( Fotografia di Leone, g.c. dall’E.A. « Fiera di Foggia » )
gran parte al mare, così come purtroppo si fa per alcuni invasi meridionali.
Lavoro agricolo e istruzione professionale.
13. - Altra fondamentale linea di sviluppo agricolo è costituita dal
miglioramento della produttività del lavoro. Ciò va conseguito anzitutto con un
più equilibrato rapporto tra terra e uomo e fra capitali ed unità lavorative.
L'impresa agricola non può oggi esercitarsi con il semplice possesso della terra
nuda; occorrono adeguati investimenti fondiario-agrari, aziendali ed
extraziendali, nonché capitali di esercizio. Naturalmente, il rapporto fra capitali
e unità lavorative assume dimensioni e termini diversi in relazione al possibile
processo di intensività o di estensività degli ordinamenti produttivi.
Peraltro il lavoratore non deve essere più fornitore di forza bruta, di
forza fisica, soltanto, ma deve essere invece prestatore di un lavoro intelligente e
specializzato che riduce sensibilmente le forze materiali e sviluppa quelle
organizzative. Come in tempi lontani chi, anziché limitarsi a fare lo zappatore,
era capace di potare gli alberi, o di azionare un qualsiasi congegno, o di
selezionare o di innestare le piante, conseguiva un salario ed un reddito di
lavoro notevolmente superiore, così oggi chi, anziché guidare un cavallo, guida
un trattore può venirsi a trovare nella condizione di avere un compenso più
adeguato.
Perciò si pone per coloro che devono restare in agricoltura l'esigenza di
un miglioramento sensibile e diffuso dell'istruzione di base e dell'istruzione
professionale. La guida del trattore, ad esempio, dovrebbe essere una conquista
di larghi strati di lavoratori da realizzarsi con corsi di massa in modo che, come
nel passato i ragazzi imparavano a guidare i carretti tirati dai buoi o dai cavalli o
dal mulo, oggi siano posti in grado di guidare un trattore.
Ma, oltre alla guida della trattrice, è necessario conseguire una maggiore
specializzazione nelle varie operazioni agricole. Sarà così possibile anche il
ricorso a mezzi meccanici per i trattamenti anticrittogamici e fare uso razionale
dei diserbanti.
E' superfluo rilevare il danno che può produrre un trattamento
sbagliato. Bisogna che il lavoratore abbia cognizioni adeguate e competenza.
Ecco quindi la necessità di una più larga diffusione dell'istruzione professionale,
post-elementare, post-scuola media. In provincia di Foggia non mancano
buone iniziative al riguardo.
I problemi della scuola a tutti i livelli meritano dunque di essere
25
affrontati su scala più vasta e con programmi rispondenti alle prospettive che lo
sviluppo economico offre all'occupazione.
14. - Ma la realtà agricola della Capitanata, accanto agli aspetti positivi,
presenta non pochi aspetti negativi, cui in parte si è già accennato in precedenza.
Questi ultimi attengono soprattutto al suo aspetto strutturale e ai persistenti
irregolari rapporti tra impresa e mano d'opera. Gli aspetti negativi derivano da
un insufficiente sviluppo economico generale della provincia, che, globalmente
considerata, nonostante gli innegabili progressi di questo ultimo decennio o
dodicennio, permane un'area sottosviluppata. Grave risulta ancora lo squilibrio
di rapporto fra agricoltura ed industria, come è facile rilevare dagli ultimi dati
pubblicati dal Tagliacarne sull'alta percentuale del reddito agricolo sul reddito
globale della provincia.
Nel settore delle strutture fondiarie, il principale aspetto negativo è
costituito dal grave e crescente fenomeno di polverizzazione e frammentazione
delle aziende e delle proprietà, che contraddistingue tutte le zone agricole, anche
se la sua intensità e gravità si distribuiscono in misura varia.
Ai fini della localizzazione del fenomeno, non disponendo di indagini
recenti, può ritenersi sostanzialmente valida la distribuzione del numero delle
proprietà per classi di superficie risultante dall'indagine INEA 1947, giacché il
fenomeno sembra non abbia subito considerevoli correzioni in questi anni ed
anzi sembra essersi aggravato.
Tale problema che negli anni passati non è stato possibile affrontare ed
avviare a soluzione, a causa della forte pressione demografica e della fame di
terra, oggi deve essere affrontato e può essere gradualmente avviato a
soluzione, data la progressiva rarefazione della mano d'opera agricola.
Le misure legislative e gli strumenti operativi vanno attentamente, ma
rapidamente studiati ed organizzati.
Un fatto deve essere comunque chiaro: che un processo di riordino
fondiario va orientato ed organizzato, poiché il suo svolgimento naturale, oltre
a trascinare il problema per lunghi anni rischia di produrre risultati parziali e
spesso, dal punto di vista tecnico, economico e sociale, di scarsa efficacia.
In provincia di Foggia le zone a più diffusa polverizzazione sembrerebbero quelle arboricole e quelle orticole e si potrebbe essere tentati di
andare a ricomporre gli orti di Margherita di Savoia od i vigneti intorno a S.
Severo. La polverizzazione che deve invece preoccupare è quella della zona
collinare montana. Infatti, mentre le piccole aziende e le piccole proprietà delle
zone orticole e viticole non consen26
tendo la meccanizzazione, non risentono molto dell'ampiezza del fondo, nelle
zone collinari da estensivare ha molto peso sulla produttività l'ampiezza della
terra disponibile perché da essa sono condizionati il numero di capi di bestiame
allevabile e l'impiego delle macchine.
Per una maggiore efficienza delle imprese.
15. - Nel quadro della ristrutturazione agricola, assumono anche rilievo
misure organiche e coordinate atte a determinare lo sviluppo dei tipi di impresa
ritenuti più efficienti.
Può a tal fine essere utile ricordare che sono sparite o tendono a sparire
le conduzioni unite della terra. Anche gli allevamenti collettivi organizzati dalla
Riforma Fondiaria alla « Moschella » in agro di Cerignola o per l'utilizzazione
dei pascoli del Gargano non hanno avuto successo. Ad essi si sono dovuti
sostituire quelli individuali con risultati migliori. Il motivo dell'insuccesso delle
conduzioni unite (che pure furono numerose in Terra di Capitanata) va
indubbiamente ricercato nella mancanza di senso di responsabilità e di stimolo
da parte del lavoratore il quale non proprietario della terra, ma semplice
prestatore d'opera, non si sentiva vivamente impegnato nel processo
produttivo.
A sottolineare l'importanza della responsabilità individuale nell'esercizio
dell'impresa agricola, concorrono le ultime vicende di grandissime aziende
finanziate dal capitale e organizzate da uomini provenienti dalle regioni
settentrionali del nostro Paese. La SEBI, ad esempio, è in vendita; l'unica
soluzione è di cederla in proprietà ai mezzadri che in gran parte la coltivano e
l'hanno resa, con l'assistenza del capitale, altamente produttiva. « Terra Apulia »
non dice più nulla all'agricoltura di Capitanata; Palazzo d'Ascoli è tramontata e
vorrei che ciò si fosse verificato solo per il fatto che al tramonto si avvia anche
chi con tanto entusiasmo la organizzò nei primi anni del dopo-guerra. Sono invece convinto che il tramonto è da attribuirsi al fatto che in questa azienda,
come in quelle a conduzione unita, coloro che prestavano il loro lavoro tecnico
ed esecutivo si sentivano estranei alla proprietà della terra ed ai risultati
dell'impresa.
Va quindi sottolineato che una tendenza fondamentale, non solo della
nostra agricoltura, è quella di unificare nella persona del lavoratore la proprietà
e l'impresa. Ecco perché sono destinate a progressivo tramonto molte forme
di conduzione che in altri tempi ebbero modo di affermarsi, così come non
rispondono alle attuali esigenze delle campagne e alle profonde aspirazioni dei
lavoratori agricoli, vecchie forme
27
contrattuali e sistemi di organizzazione aziendale sperimentati in alcuni Paesi.
Significativi sono infatti i recenti discorsi di Kruscev sulia situazione agricola
del suo Paese dopo aver constatato per decenni che la conduzione unita della terra
non consente di raggiungere gli obiettivi dei piani quinquennali o decennali.
Perciò i tipi fondamentali di impresa destinati ad affermarsi anche
nell'agricoltura di Capitanata sono rappresentati dall'impresa contadina a carattere
familiare, vitale e di dimensioni economiche, e dalla media impresa capitalistica,
gestita da operatori quotidianamente impegnati nell'esercizio agricolo e rispettosi
delle esigenze nuove del lavoro.
16. - E' comune e diffusa opinione che oggi in Capitanata come in Italia, per
poter produrre a prezzi concorrenziali sul mercato nazionale ed estero, bisogna
favorire la formazione di grandi e medie aziende, perché ritenute le sole capaci di
produrre a costi più bassi rispetto alle aziende familiari, giacché per le prime è
agevole il pieno impiego delle macchine.
Da uno sguardo retrospettivo al processo di sviluppo dei tipi di impresa
nell'agricoltura italiana, si rileva che fino a qualche anno addietro, tranne nelle zone
di riforma, l'impresa contadina si affermava là dove si dovevano praticare colture
richiedenti forte impiego di mano d'opera. Laddove invece più ridotta era la mano
d'opera cointeressata, si riteneva più idonea l'impresa capitalistica. Aggiungo che,
ovunque la terra era povera e non presentava prospettive di miglioramento della
produttività, si è maggiormente concentrata ed affermata l'impresa contadina; dove
la terra era ricca ha resistito l'impresa capitalistica.
L'affermazione dell'impresa contadina è stata quindi favorita dal bisogno di
mano d'opera. Tutta la regione pugliese, nelle zone povere, era ad impresa
contadina, od in affitto o a mezzadria o piccole proprietà, ma sempre impresa
contadina. L’impianto di gran parte degli oliveti ha avuto origine da vecchi contratti
di colonia miglioritaria, in virtù dei quali il contadino profondeva risparmi e sudori
per tutta la sua vita per lasciare poi l'oliveto al proprietario. Sono sorti in questo
modo migliaia e migliaia di ettari di oliveto. Anche in zone dove si coltivava, per
esempio, la fava da seme come miglioratrice del grano, si concedeva la fava a
compartecipazione, mentre il grano era di pertinenza dell'impresa capitalistica. Né si
può affermare che queste situazioni siano del tutto scomparse, riscontrandosi zone
in cui il contadino coltiva i piselli in compartecipazione sotto l'oliveto ed il
proprietario si riserva la raccolta delle olive.
Una manifestazione della tendenza ad affidare all'impresa conta28
dina le colture che richiedevano molta mano d'opera, o la terra più povera, è
data dal regime fondiario a tutti noto. Nei Paesi poveri di montagna, la
proprietà presenta un elevato grado di frazionamento, mentre a valle è più
accentrata. Quivi la grande proprietà si è sostenuta perché, attraverso la
capitalizzazione del lavoro, l'introduzione di colture pregiate e di colture nuove,
poteva dar luogo a fenomeni di suscettività, era capace cioè di assicurare al
capitale investito un reddito certamente crescente.
L'aspirazione al possesso della terra non era un fatto psicologico, come
alcuni credono, ma un elemento di sicurezza o di previdenza, in un tempo in
cui non erano stati istituiti assegni familiari, carente o inesistente era in Italia
qualsiasi forma di previdenza ed assistenza sociale, per cui un evento dannoso,
come un sinistro o una malattia, poteva essere causa della miseria più nera in
una famiglia, spesso costretta a privarsi di ogni bene per fronteggiarlo.
Guardando al tipo di proprietà e di impresa contadina sviluppatesi in
condizioni difficili, molti concludono a favore dell'organizzazione dell'impresa
capitalistica, delle grandi aziende cioè nelle quali, attraverso il razionale impiego
dei fattori della produzione, con un direttore tecnico ad alto livello, con parco
macchine adeguato, seguendo le norme tecniche più moderne, remunerando
bene la mano d'opera specializzata, si possa produrre a costi competitivi. E'
questo l'orientamento di buona parte della nostra letteratura di questi ultimi
tempi, di molta stampa agricola ufficiosa ed ufficiale.
Forse tale orientamento non è estraneo ad una certa influenza sull'atteggiamento della Cassa per il Mezzogiorno, la quale ha finanziato la
trasformazione fondiaria di una grande azienda agraria di un proprietario che
vive a Milano, e quella di una grande azienda del Tavoliere di proprietà di un
industriale, con la convinzione che l'impresa capitalistica sia l'azienda
dell'avvenire.
Ma, da un esame della realtà concreta, in particolare di quella delle zone
irrigue, su terre che possono dar vita ad ordinamenti produttivi che richiedono
molta mano d'opera anche specializzata, non è difficile pervenire a conclusioni
diverse. Non sono poche le grandi proprietà che in siffatti ambienti non si
muovono neanche sotto la spinta dell'irrigazione, universalmente riconosciuta
come elemento propulsore del rinnovamento agricolo. Lungo le strade dei
Tara e dei Rendina, si notano da una parte proprietà contadine che utilizzano
l'acqua, dall'altra invece, dove esistono alcune grandi proprietà, finora non è
stata richiesta l'acqua. Tuttavia alcuni affermano che in qualche grande azienda
irrigua il livello di produttività sia più elevato di quello raggiunto da
29
aziende contadine di limitata estensione. Ma un esame più ponderato porta a
convincersi che l'azienda contadina produce a costi più bassi dell'azienda
capitalistica.
Anche nelle zone del Fortore, dove esiste la proprietà contadina, si nota
una maggiore utilizzazione dell'acqua da pozzi, riscontrandosi ovunque poderi
con delle macchie verdi, mentre nella grande proprietà persiste la coltura
granaria unitamente a qualche ettaro di vigneto a tendone. Analoghi fenomeni si
riscontrano in ambienti ad irrigazione casistica, da pozzi. A convincersi di ciò,
più di ogni discussione, varrà la constatazione delle realtà irrigue del Sud.
Macchine e uomini.
17. - Preme ora osservare che non è neppure esatta l'opinione secondo
cui nell'impresa contadina non è possibile l'impiego della macchina. Vediamo il
caso della cerealicoltura specializzata.
Anch'io, fino all'anno scorso, ho sostenuto che essa fosse dominio
esclusivo dell'azienda capitalistica. Tre anni fa, in un Convegno qui a Foggia,
suscitando non poche perplessità fra i presenti, affermai che gli agricoltori deil
foggiano non avrebbero mai irrigato le terre se avessero dovuto destinare
l'acqua alle foraggiere. A distanza di tempo essi non possono non darmi
ragione. In quella occasione sostenni anche che un'azienda cerealicola di
100-200 ettari in Sicilia, come in Calabria o in Puglia e anche in Valle Padana,
avrebbe potuto realizzare redditi più elevati impiegando la macchina. Ciò resta
valido. Ma anche nel settore della cerealicoltura si stanno manifestando fatti
nuovi ed importanti. E' infatti possibile noleggiare macchine operatrici ad un
prezzo non superiore al costo di esercizio delle stesse macchine che si realizza
nell'impresa capitalistica.
Inoltre si sta avviando un movimento cooperativistico che proprio
attraverso la mietitrebbia e la trattrice pesante sta avendo una affermazione
superiore ad ogni previsione, rendendo conveniente la gestione delle macchine.
Così nel settore della cerealicoltura, l'impresa contadina è messa in condizione,
se non di vantaggio, almeno di parità nei confronti dell'impresa capitalistica.
Nel settore poi degli allevamenti di pecore, l'organizzazione di una
grande azienda incontra difficoltà nel reperimento dei pastori. I lavoratori si
dichiarano disposti anche ad una maggiore fatica, come la zappa, piuttosto che
alla custodia del bestiame. L'avversione è spiegabile ove si pensi ai sacrifici che
comporta la vita del pastore. Ancora
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oggi si incontrano pastori che restano sui pascoli 14-15 giorni, per recarsi il 16°
giorno in famiglia.
Non è raro vedere ovili dotati di un unico vano nel quale si preparano
latticini e nello stesso vano in un angolo vi è il letto per il pastore. Ma per
quanto ancora si potrà protrarre questa condizione di inferiorità in una società
in continuo sviluppo con la crescente diffusione della radio, dei cinema della
televisione ed in genere di tutti i conforti? Se oggi a stento si adattano gli anziani
e gli analfabeti, con la fuga dei giovani verranno a ridursi sempre di più le forze
di lavoro in questo settore. Come si può quindi pensare ad organizzare una
impresa capitalistica con grande allevamenti ovini? Se i pastori avranno la
proprietà della terra e del gregge ed una abitazione munita di un minimo di comodità, è possibile che ancora per una o due generazioni resteranno pastori
conduttori diretti, capaci di mantenere dei greggi numerosi ed utilizzare i
pascoli delle zone povere. E' quindi, quello della pastorizia, un altro settore
dove l'azienda famigliare trova la sua migliore affermazione. Ciò è confermato
anche dai risultati dei bilanci dei poderi di riforma dell'estensione di 70-80 ettari
con greggi di 100 capi affidati a contadini di Altamura che vantano un'antica
tradizione di allevamento di pecore.
Rimane peraltro da considerare il lavoro che, nell'impiego a costi ottimali
di tutti i fattori della produzione, costituiva un elemento elastico del costo. Se
per l'uva, per il tabacco o per il grano si ricavano un prezzo inferiore al costo o
un utile poco remunerativo, si riversava sul lavoro l'alea della produzione, come
in genere tutto il peso della cattiva annata. Non essendo ciò oggi possibile,
poiché il lavoro è divenuto un elemento rigido del costo di produzione, se si
vuole conseguire un'adeguata produttività bisogna cointeressare il lavoro. E'
fuori dubbio che nel vigneto un potatore cointeressato presta la sua opera con
diligenza maggiore di quella del potatore a salario. Altrettanto può dirsi per
altre operazioni, come la lotta contro i parassiti, l'assistenza al bestiame, ecc.
Tutte queste considerazioni si confermano nell'opinione che l'azienda
contadina a carattere famigliare abbia un avvenire sicuro, giacché si manifesta la
più idonea a produrre a costi competitivi.
Trattasi naturalmente di organizzarla su basi sviluppando anche in
agricoltura un processo di industrializzazione inteso come aumento della
quantità di capitali intorno alle singole unità di lavoro.
Oltre all'impresa contadina, ha ed avrà vitalità l'impresa media
capitalistica la quale ha possibilità di raggiungere il duplice scopo di
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assicurare ai lavoratori soddisfacenti condizioni civili e di reddito e buoni redditi ai
proprietari di terre e di capitali.
Anche gli altri due tipi di impresa, cioè quella dilettantistica e quella
integrativa, hanno possibilità di conservare la loro vitalità e di realizzare un certo
sviluppo. Può destare qualche riserva e qualche commento il fatto che molti poderi
dell'O.N.C. non siano diventati proprietà di mezzadri ma di elementi borghesi.
Però, l'apporto di risparmi e di entusiasmo da parte di tali gruppi extragicoli può
comunque essere considerato un fatto positivo nella fase di sviluppo dell'agricoltura. Ciò tuttavia non deve essere sopravvalutato fino al punto di indurre gli organi
dello Stato a concedere contributi di qualsiasi genere. Questa mia affermazione può
non incontrare il consenso di molti che sostengono la necessità di premiare coloro
che intervengono con nuovi mezzi e nuove iniziative nel l'agricoltura, da qualsiasi
ambiente essi provengano. Questa opinione poteva avere una certa validità in altri
tempi quando diversa era la posizione del lavoro. Ma, oggi, con le nuove esigenze
di redditività del lavoro e del capitale agricolo l'attività imprenditiva di figure
extragricole può costituire motivo di turbamento dell'andamento economico
generale dell'agricoltura. Queste figure economiche non sono infatti costrette ad
organizzare l'impresa agricola sulla base dell'equilibrio fra costi e ricavi, come deve
fare chi vive esclusivamente di agricoltura. Manca in esse l'interesse e lo stimolo alla
competitività. Perciò, ben vengano in agricoltura uomini di ogni ceto, ma operino
con i propri mezzi. I mezzi finanziari della collettività siano invece destinati esclusivamente alle imprese contadine che devono costituire il tessuto connettivo, le
strutture portanti dell'agricoltura italiana.
Particolare considerazione meritano anche le aziende integrative o part-time,
la cui importanza è destinata a crescere, specie se il processo di industrializzazione
del Mezzogiorno investirà adeguatamente anche la provincia di Foggia. Poter
evitare il sorgere di agglomerati umani intorno ai nuovi centri industriali
consentendo condizioni civili di vita in campagna a popolazioni di cui parte dei
componenti attivi possano essere impiegati nelle industrie, sarebbe un fatto
altamente positivo dal punto di vista sociale ed economico. Si eviterebbero così il
completo spopolamento di certe contrade e gli inconvenienti gravi degli accentramenti di popolazione; si avrebbe peraltro il vantaggio di vedere destinate
all'agricoltura forze altrimenti inutilizzate nei centri urbani.
Tra i problemi principali di tali tipi di imprese, oltre alle abitazioni ed alle
infrastrutture, vanno considerati quelli relativi alla raccolta, al collocamento, e
all'utilizzazione delle produzioni.
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Un più largo e razionale impiego dei mezzi tecnici.
18. - Ma la produttività dell'azienda può essere elevata anche con un più
largo e razionale impiego di mezzi tecnici.
Non ripeterà qui quanto è già noto sull'importanza delle concimazioni, della
lotta antiparassitaria, dell'impiego delle sementi elette, ecc.. Ribadisco solo la
necessità di una sempre più capillare assistenza tecnica.
E' opportuna invece qualche considerazione sulla meccanizzazione.
Le operazioni meccaniche che sembravano limitate a determinate colture
oggi hanno possibilità di più ampie applicazioni. Gli stessi vigneti a tendone - come
è stato rilevato in precedenza - possono abbassare del 50% le spese di lavorazione
ed eliminare il 50% della mano d'opera con l'introduzione dei mezzi motorizzati.
Anche per l'ulivo, oltre all'aratura, non si tarderà a disporre di mezzi meccanici per
la raccolta.
Ma la meccanizzazione non va intesa semplicemente come acquisto di
trattrici e di macchine operatrici, ma anche nel settore dell'irrigazione (come
l'acquisto di motopompe) nonché come realizzazione di impianti per aspersione
che possono addirittura ridurre al minimo la mano d'opera per ettaro di coltura.
Come è stato rilevato in precedenza, nel periodo 1952-62 si è realizzato un
considerevole incremento di macchine.
Tenuto conto dell'incremento dei cavalli vapore derivante dall'aumentato
numero dei trattori e dall'incremento dei cavalli vapore riferiti ad altre macchine
che sono mietitrebbie, motozappe, motocoltivatori, ecc. si rileva che l'aumento
complessivo di cavalli vapore nel periodo 1952-62, che è andato a sostituire
l'energia animale ed umana, è di CV. 767.821.
Supponendo che ogni macchina lavori circa 500 ore effettive all'anno in
agricoltura, si rileva che nell'anno si hanno CVh. 83.910.000 circa. Ritenendo ancora
che di questi CVh due terzi hanno sostituito lavoro animale ed un terzo lavoro
umano, poiché il prof. Candura ritiene che un'ora di lavoro umano equivalga a
5/72 di CVh di macchina, si deduce che le macchine hanno sostituito 194 milioni
di ore di operaio e 24.250.000 di giornate lavorative. Nell'ipotesi che un operaio
agricolo lavori 250 giornate all'anno, si può calcolare che l'incremento delle
macchine ha sostituito il lavoro di 970.000 unità emigrate.
Ma è possibile un'altra considerazione: il prof. Candura ha valutato anche il
costo dell'unità del CVh fornito dall'uomo in L. 4320, dagli animali in L. 500 e
dalle macchine in L. 120. Moltiplicando i cavalli vapore ora forniti dall'uomo ed i
cavalli vapore ora forniti dalle macchine
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che hanno sostituito il lavoro umano, per i prezzi unitari fissati dal prof.
Candura, è possibile affermare che con l'introduzione delle macchine si è
realizzata una riduzione notevole dei costi di diverse decine di miliardi.
Elevare la redditività.
19. - Ma oramai si riconosce da tutti che non basta produrre bene,
occorre anche saper acquistare e vendere bene. Con la produttività occorre
elevare anche la redditività.
L'agricoltura subisce da una parte i costi dei servizi e dei beni strumentali
e dall'altra i prezzi dei suoi prodotti nella misura imposta dalle categorie
industriali e commerciali. Analoga imposizione subiscono i consumatori dei
prodotti agricoli alimentari, i quali pagano tutto l'anno o per tutto il periodo
stagionale le uve o i mandarini o le arance allo stesso prezzo, mentre il prezzo
dell'uva scende più o meno settimana per settimana o mese per mese, il prezzo
degli agrumi subisce oscillazioni continue a seconda di determinati elementi che
subentrano nei rapporti tra produttore e commerciante, tra produttore ed
industriale trasformatore del prodotto. Questo ci conferma che non sempre il
costo di produzione può essere l'elemento su cui agire per rendere conveniente
una certa attività agricola. Alle volte il gioco del mercato e specialmente delle
figure economiche intermediarie tra produttori e consumatori è tale da
attribuire alla produzione un prezzo inferiore al costo minimo. I consumatori
invece pagano un prezzo di gran lunga superiore.
Recente è il caso delle patate che a Roma costavano ancora 70-80-100
lire, mentre nella zona di Margherita, ad esempio, alla produzione si volevano
pagare 5-6-7 lire al chilo, al di sotto cioè della sola spesa per la raccolta. Quelle
patate, raccolte e messe invece in frigorifero locale ed immesse gradualmente
sul mercato, avrebbero potuto essere forse tranquillamente assorbite ad un
prezzo leggermente superiore al costo di produzione. E' quindi evidente che, in
presenza di queste strozzature di mercato, un modo efficace per poter
mantenere il costo leggermente al di sotto del prezzo è quello di una attiva
influenza dei produttori nel processo di formazione del prezzo.
Non si può prescindere assolutamente dalla necessità di organizzare da
parte dei produttori una difesa dei prezzi. La evoluzione della nostra economia
ha determinato una progressiva riduzione dell'area di influenza dei produttori
agricoli nella determinazione dei prezzi. Gli agricoltori sono diventati i
produttori di materia grezza e l'economia
34
delle regioni agricole è sempre più diventata economia a carattere colonialistico,
cioè un'economia di produttori ai quali si chiede la materia prima che altri operatori
economici trasformano e distribuiscono ai consumatori attraverso organizzazioni
imprenditoriali completamente staccate dall'agricoltura.
Per poter assicurare ai redditi agricoli un più elevato incremento, occorre che
gli agricoltori partecipino alla fase di formazione dei prezzi dei propri prodotti e
non subiscano i prezzi dell'esterno.
Tutti abbiamo quotidiana esperienza del forte divario esistente tra prezzi alla
produzione e prezzi al consumo. Nel suo passaggio dalla azienda al mercato di
consumo, il prezzo del prodotto agricolo, allo stato naturale o trasformato, subisce
un incremento del 50-100-200 e più per cento rispetto al prezzo pagato al
produttore. Ma tale incremento concorre a remunerare adeguatamente tutte le
figure economiche che hanno partecipato al processo trasformativo e distributivo,
ad eccezione del produttore agricolo che fornisce la materia prima.
Con ciò non si vuole sostenere la necessità di riportare all'imprenditore
agricolo il valore finale del prodotto, ma di consentirgli almeno i redditi che si sono
assicurati le altre categorie, cioè fare in modo che la categoria agricola che ha
prodotta la materia prima ricavi la stessa remunerazione ottenuta da tutte le altre
figure economiche ed equilibrare così i redditi di distribuzione.
Mi sia consentito dire, anche se la parola può suonare male alle orecchie di
qualcuno o dispiacere, che dobbiamo arrivare anche noi a un monopolio dei
produttori agricoli. Larga parte della economia italiana è organizzata in imprese che
sono in grado di fissare a priori il prezzo di vendita dei loro prodotti. Perché
soltanto gli agricoltori devono rimanere in una posizione di inferiorità?
E' invece possibile organizzarsi per assicurare ai prodotti agricoli prezzi più
remunerativi, considerando anche il fatto che la percentuale delle spese per
l'alimentazione, rispetto al reddito delle famiglie, va diminuendo.
Qualcuno obietterà che l'organizzazione dei produttori è difficile ad attuarsi,
perché essi non sono ancora maturi. E' ovvio che ciò non può realizzarsi da un
giorno all'altro; ma questa è la via da battere. Nel frattempo lo Stato dovrebbe
svolgere una certa azione di sostegno e difesa dei prezzi in modo tale da non fare
subire tracolli eccessivi e danni notevoli a coloro che si dedicano all'attività agricola
così come sta facendo, sostenendo in sede di M.E.C. alcuni prezzi per i prodotti
italiani tipici.
Resta comunque imperiosa la necessità di organizzare i produttori
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di uva in cantine cooperative, i produttori di olio in oleifici cooperativi, i
produttori di latte in caseifici cooperativi. Occorre anche costruire centrali
ortofrutticole ed una adeguata catena del freddo. Va quindi studiato e realizzato
un programma di sviluppo cooperativo nei suoi diversi e necessari gradi e di
dimensioni capaci di consentire ai produttori una disponibilità di prodotti tale
da regolare opportunamente l'offerta e concorrere efficacemente alla
formazione dei prezzi.
Ciò implica naturalmente anche un programma di capitali di investimento e di credito che il settore agricolo non può affrontare e risolvere senza
la concreta, larga solidarietà dello Stato. Anzi nelle zone particolarmente
depresse, gli impianti di lavorazione e trasformazione dei prodotti vanno
realizzati ad iniziativa ed a spesa dello Stato, provvedendo successivamente al
loro trasferimento in proprietà delle cooperative.
Nel settore della cooperazione l’Ente Riforma ha promosso ed assistito
n. 49 cooperative a scopo plurimo e dei servizi collettivi, alle quali hanno
aderito n. 6.812 coltivatori diretti di cui 380 non assegnatari. Di esse 22 sono
meccanizzate con un parco macchine che comprende anche 71 trattori e 12
mietitrebbie.
Nella scorsa annata le suddette cooperative hanno fornito ai soci
sementi, concimi ed anticrittogamici per un valore complessivo di circa 210
milioni ed hanno collocato prodotti dei soci per un valore di 430 milioni circa.
Inoltre lo stesso Ente ha promosso ed assistito n. 6 cantine cooperative
con 2.777 soci, n. 5 oleifici cooperativi con 525 soci. Nel 1963 sono stati
lavorati 133 mila q.li di uva e circa 13 mila q.li di olive. Presso l'oleificio di
Cerignola sono stati lavorati 5.500 quintali di olive da mensa. Inoltre le
cooperative dei servizi collettivi hanno svolto operazioni di credito di esercizio
per un totale di 4 miliardi e 58 milioni.
Programmazione.
20. - Le linee di sviluppo agricolo in precedenza indicate ed in
particolare i problemi di ordine strutturale, le cui soluzioni si rendono
indispensabili per la creazione di un nuovo equilibrio economico e sociale nelle
campagne, non possono realizzarsi per moto spontaneo o con un processo
automatico, ma hanno bisogno di essere inquadrati in un programma organico
capace di adeguare gli obiettivi di una politica di sviluppo stabiliti a livello
nazionale alle diverse realtà locali. Ciò non significa introduzione nelle
campagne dei sistemi collettivistici e dirigistici, mortificatori della libertà e
responsabilità delle imprese agricole.
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Trattasi invece di una serie di misure coordinate dirette a rimuovere ostacoli e a
creare condizioni di piena affermazione dello spirito imprenditoriale di tutti i
ceti agricoli ed in particolare di quelli che attualmente rivelano maggiore
debolezza.
Una volta create strutture aziendali idonee a tutte le economie esterne, la
programmazione può arrestarsi ai limiti dell'azienda, mentre forme associative
di imprenditori agricoli potrebbero costituire strumenti per un coordinamento
delle scelte produttive onde impedire un disordinato sviluppo di produzioni e
soprattutto di varietà che non rispondono alle esigenze dei mercato.
Il discorso sulla necessità o sulle modalità della programmazione
meriterebbe un ampio sviluppo, in riferimento anche ai livelli e agli organi che
si ritengono qualificati per una formulazione e la sua attuazione. Basti qui
accennare all'opportunità che gli organi locali, e in particolare la Provincia,
partecipino alla fase preparatoria del programma, predisponendo tutti gli
elementi conoscitivi necessari a meglio individuare le risorse e a fornire un
quadro aggiornato delle realtà economiche e sociali. Questi elementi potranno
indubbiamente giovare alla fissazione degli obiettivi e delle linee della politica di
sviluppo.
Nel quadro della programmazione globale nazionale può inserirsi un
piano di sviluppo agricolo per la Provincia di Foggia, alla elaborazione ed
esecuzione del quale, con il competente controllo del Ministero dell'Agricoltura
e Foreste e quindi dell'ispettorato Compartimentale e Provinciale, possano dare
il loro contributo il Consorzio di Bonifica e l'Ente di Sviluppo.
In particolare i compiti del Consorzio di Bonifica dovrebbero essere
quelli di : 1 ) rivedere il piano generale alla luce delle nuove esigenze
economiche sociali ; 2) impostare su nuove basi l'approvvigionamento idrico
prevedendo l'invaso di tutte le acque che vanno attualmente perdute; 3)
approntare un primo piano di viabilità tenendo conto della necessità di aprire le
strade di fondo valle; 4) programmare una capillare rete di distribuzione di
acqua potabile nelle campagne; 5) completare la rete dell'energia elettrica
completare i borghi di servizio.
L'Ente di Sviluppo dovrebbe: 1) curare il passaggio agevolato della
proprietà di quelli che emigrano, e di chi, dedito ad altre attività, considera la
terra solo come una fonte di rendita fondiaria, trasferendola nelle mani di quelli
che effettivamente la lavorano. Verrà così effettuata una necessaria opera di
ricomposizione fondiaria; 2) favorire la formazione di cooperative necessarie
per ridurre i costi di produzione (cooperative di servizio per mietitrebbie, per
macchine di ogni genere, anti parassitarie, consorzi antigrandine e cooperative
creditizie,
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ecc.), per migliorare la qualità dei prodotti e la loro tipizzazione (cantine sociali,
oleifici sociali, conservifici sociali, caseifici sociali, zuccherifici sociali) e per
aumentare la competitività commerciale dell'agricoltura (centrali frigorifere e di
mercato, ecc.); 3 ) attuare una assistenza tecnica capillare a tutte le aziende nella
fase di rinnovamento delle strutture aziendali ed in quella dell'esercizio; 4)
organizzare un moderno sistema di esercizio dei credito agrario alle singole
aziende ed assistere finanziariamente le organizzazioni cooperative, per
consentire ai produttori capacità di resistenza ad eventuali azioni di speculazione
e superare i momenti di depressione dei prezzi dei prodotti agricoli; 5)
collaborare con istituti già esistenti per favorire le ricerche di mercato e la sperimentazione necessarie per localizzare sempre meglio le colture ed individuare le
varietà più idonee a soddisfare le richieste dei mercato stesso, provvedendo ad
una vasta azione di informazione fra gli imprenditori agricoli; 6) individuare
con la massima aderenza alla realtà le linee naturali secondo le quali si svolge
l'esodo rurale ed intervenire per favorire il trasferimento di aliquote di addetti
all'agricoltura dalle zone da estensivare verso le zone da intensivare o verso i
poli di sviluppo industriale, cercando di creare i presupposti atti a rendere il più
agevole possibile il trasferimento delle famiglie ed il loro adattamento nei nuovi
ambienti di lavoro.
Conclusioni.
21. - Il quadro sommario della realtà e delle prospettive di sviluppo
dell'agricoltura di Capitanata che ho tentato di abbozzare con riferimento agli
aspetti positivi e negativi, alle innegabili luci ed alle persistenti ombre, va ora
completato con un duplice ordine di particolari rilievi che scaturiscono dal
l'osservazione attenta dei fenomeni economici e sociali in atto non solo nella
provincia dauna.
Il primo attiene al fatto che una soluzione integrale ed organica dei
problemi economici e sociali dell'agricoltura non è realizzabile nell'ambito dei
solo settore agricolo. Sorge quindi la necessità inderogabile di creare nuovi e
più razionali equilibri tra agricoltura e altri settori economici, in particolare tra
agricoltura ed industria.
Il secondo ordine di considerazioni si riferisce alla modalità della mano
d'opera. Nel momento in cui si dà luogo ad un dinamico processo di sviluppo
economico che non può, ovviamente, investire in eguale misura i sessanta
campanili della Capitanata, movimenti settoriali e territoriali delle forze di
lavoro sono inevitabili. Essi sono altresì sostanzial38
mente positivi se determinano più giusti equilibri e sociali ed economici e
soprattutto se si svolgono lungo le direzioni stabilite non dalla concentrazione
capitalistica ma lungo le vie segnate dal potenziamento delle risorse naturali e da
forme umane e razionali di attività economiche.
Trattasi quindi di studiare ed attuare organici programmi che consentano
alle popolazioni di compiere liberamente le proprie scelte professionali, senza
condizionare queste al cambio della resistenza.
Nel caso della Capitanata ritengo che sussistano notevoli possibilità per
recuperare l'attuale stato di sottosviluppo di vaste zone, a condizione che si
ponga mano ad una solidale e programmata azione di equilibrato sviluppo
economico che consenta anche alle popolazioni daune ulteriori progressi sociali.
DECIO SCARDACCIONE
Prof. DECIO SCARDACCIONE, presidente dell'Ente Irrigazione di Puglia e
Lucania
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