Contesto storico

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Dopo il crollo dell’impero ottomano in seguito alla sconfitta della Turchia nella prima guerra
mondiale, l’Iraq viene sottoposto al mandato britannico fino al 1932, per poi diventare una
monarchia (solo formalmente indipendente) sotto il regno hashemita di Re Faysal ibn Hussain.
In seguito alla seconda guerra mondiale tra le fila dei militari iracheni crebbe il sentimento
nazionalista e anticolonialista (fenomeno politico comune a tutti i Paesi arabi), che nel 1958
sfociò nel colpo di Stato del generale Abdul Karim Kassim, che proclamò la Repubblica, dando
vita a un regime autoritario che, dopo iniziali tentativi di appoggiarsi al blocco socialista, tornò
ad allinearsi su posizioni filo-occidentali.
Nel 1968 un nuovo colpo di Stato portò al potere i militari del partito nazionalista e socialista
panarabo BA’ATH (Risorgimento), che puntava sulla nazionalizzazione del petrolio iracheno per
assicurare l’indipendenza economica e politica del paese. Vari generali si succedettero ai vertici
della Repubblica fin quando, nel 1979, diventò Presidente Saddam Hussein, intenzionato a
trasformare l’Iraq in potenza regionale e Stato-guida del mondo arabo.
Nel 1980 una disputa di confine con l’Iran in merito alla riva orientale dello Shatt el-Arab (la
congiunzione di Tigri ed Eufrate prima del loro sbocco nel Golfo Persico) spinse il governo
iracheno ad attaccare il vicino persiano, confidando in una rapida vittoria. Ne seguì una guerra
di otto anni (combattuta col sostegno del governo statunitense, ostile al regime khomeinista al
potere in Iran) che causò centinaia di migliaia di morti e mise in ginocchio il paese. Per
risollevare la situazione economica dell’Iraq, Saddam Hussein tentò una nuova avventura
invadendo l’emirato arabo del Kuwait nell’agosto del 1990 e motivando la sua azione con il
rifiuto kuwaitiano di porre fine al pompaggio del petrolio iracheno tramite pozzi “obliqui” costruiti
sotto il confine comune.
Nel gennaio del 1991 gli Stati Uniti, dopo un'iniziale inerzia rispetto all'azione intrapresa dal
governo iracheno, si posero a capo di una coalizione internazionale che intervenne militarmente
e costrinse l’esercito iracheno alla resa, dopo un mese di guerra e circa 100 mila morti (La
Repubblica.it - Chi recita il mea culpa sul conflitto iracheno ). Negli anni successivi, il
presidente Saddam Hussein rimase al potere reprimendo le rivolte dei curdi del nord e degli
sciiti del sud. Il suo governo non venne messo in difficoltà nemmeno dal rigidissimo blocco
economico imposto dalle Nazioni Unite, benchè nel 1997 un rapporto delle stesse Nazioni Unite
abbia rivelato che la fame e la mancanza di medicine dovute all’embargo avevano provocato
fino a quella data la morte di oltre un milione di iracheni, per la metà bambini. La situazione
migliorò gradualmente con l’avvio, nel 1996, del programma di alleviamento delle sanzioni “cibo
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in cambio di petrolio”.
Dopo l’11 settembre l’Iraq entra a far parte degli obiettivi della guerra mondiale al terrorismo per
le supposte connivenze con Al-Qaeda. Nel 2002 gli ispettori ONU tornano in Iraq, ma non
trovano armi proibite, né vennero trovati riscontri alle accuse di legami tra Saddam Hussein e
Bin Laden. L’amministrazione Bush comunque decise di attaccare l’Iraq nel nome della lotta alle
dittature e in nome della democrazia (Aime M., Gli specchi di Gulliver). Il 20 marzo 2003 gli
USA - affiancati questa volta dalla sola Gran Bretagna - iniziarono a bombardare l’Iraq e lo
invasero. Dopo quattro settimane di guerra e migliaia di morti il regime di Saddam Hussein
crollò e gli americani entrarono a Baghdad, occupandola e instaurandovi un’amministrazione
civile sotto la guida di Jay Gardner, sostituito poi da Paul Bremer. Venne poi formato un
Consiglio provvisorio di Governo che rappresentava su base demografica la popolazione. E'
stato evidenziato come tale Consiglio abbia però poca rappresentatività, anche perché è
formato in massima parte da ex esuli che mancano da anni dall’Iraq. Come evidenzia A.
Carcano, benchè i dati siano ancora controversi, è stato stimato che la guerra in Iraq ha
causato la morte di oltre quattrocento soldati della coalizione e di almeno tredicimila iracheni, di
cui almeno quattromila civili. Benchè sia ufficialmente concluso, il conflitto ha assunto carattere
di guerriglia e gli scontri proseguono oggi in tutto il paese anche a causa dei crescenti segni
d’insofferenza da parte della popolazione civile nei confronti della presenza militare occidentale,
soprattutto statunitense. La resistenza irachena è variegata e di difficile interpretazione.
Fedelissimi di Saddam, gli sciiti estremisti filoiraniani al sud producono attacchi continui e
sempre più violenti. I curdi controllano sostanzialmente il nord del paese, ma anche nella zona
settentrionale ci sono attacchi alla coalizione e agli iracheni che lavorano con le truppe della
coalizione. Il Consiglio provvisorio di Governo non gode di molta autorità tra la popolazione e
sta cercando di accreditarsi all’estero, mentre la transizione all’auto-governo dovrebbe
concludersi entro il 2004, ma ad oggi questa sembra una previsione ottimistica al terrorismo
condotta dagli USA (Carcano A.,
L’occupazione dell’Iraq nel diritto internazionale
).
Il 14 dicembre 2003, le forze della coalizione con l’aiuto dei miliziani curdi, hanno arrestato
Saddam Hussein a Tikrit, nella regione di origine del rais.
Mentre non si placa lo stillicidio quotidiano di attentati e reazioni delle forze armate della
coalizione, l’8 marzo 2004, i 25 membri del Consiglio di Governo Provvisorio hanno firmato il
testo della Costituzione che sarebbe stata la Legge fondamentale del paese fino alle elezioni .
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Il 30 gennaio 2005, con un’affluenza ufficiale alle urne del 58 per cento degli aventi diritto, in
tutto 8.456.266 elettori, gli iracheni hanno eletto il Parlamento che avrebbe dato al paese la
nuova Costituzione.
Come previsto, l’alleanza sciita ha vinto le elezioni, ma si tratta di un successo inferiore alle
aspettative. Il cartello appoggiato dal grande ayatollah Ali al- Sistani ha ottenuto 4 milioni 75mila
voti, cioè il 47,6 per cento. Dietro la coalizione curda, con il 25,7 per cento, e poi quella
dell’attuale premier ad interim Iyad Allawi, con il 18,3 per cento. Dal risultato delle urne il
Parlamento vede, dei 275 seggi totali, 132 seggi per gli sciiti, 71 seggi per i curdi e 38 seggi per
Allawi. Solo 15 seggi sono stati assegnati alle formazioni sunnite. Il governo di transizione è
stato ripartito in modo omogeneo tra curdi, sciiti e sunniti, per non tagliare fuori questi ultimi che
pure hanno boicottato in massa la tornata elettorale. Presidente della Repubblica è stato
nominato il curdo Jalal Talabani, primo ministro lo sciita Ibrahim al-Jaafari e come Presidente
del Parlamento il sunnita Hajem al-Hassani. Il 15 ottobre 2005, con un referendum popolare, è
stata approvata la nuova Costituzione irachena.
Il 15 dicembre 2005, per la prima volta dall’avvento al potere del partito BA'ATH, gli iracheni
hanno potuto votare per eleggere i 275 deputati del Parlamento iracheno. L’affluenza alle urne
è stata buona e gli osservatori internazionali non hanno riscontrato brogli particolarmente gravi.
Le lezioni sono state vinte dal blocco sciita conservatore che però non è riuscito a raggiungere
la maggioranza assoluta: l’Alleanza Irachena Unita, guidata da Abdul Haziz al-Hakim ha
ottenuto 128 seggi sui 275 del Parlamento, i curdi ne hanno ottenuti 53, sommando quelli del
Partito Democratico del Kurdistan di Massud Barzani e dell’Unione Patriottica Kurda del
presidente iracheno Jalal Talabani. Terza forza del Paese, in una sorta di rappresentazione
proporzionale della composizione della popolazione irachena, è il Fronte Iracheno della
Concordia con 44 seggi, la principale formazione sunnita guidata da Adnan al-Dulaimy, i cui
seggi possono essere sommati agli 11 seggi ottenuti dal Fronte di Dialogo Nazionale di Salah
al-Motlak, il secondo partito sunnita tra quelli che hanno partecipato al voto. Altri 25 seggi sono
andati al partito laico dell’ex premier Iyad Allawi (che raccoglieva sciiti, sunniti, indipendenti e
partiti che s’identificano su base tribale). Il dato politico più rilevante quindi è che la divisione
etnico-confessionale dell’Iraq è ormai una realtà incontrovertibile.
Dopo uno stallo politico dovuto al processo di assegnazione dei diversi ministeri, è stato trovato
l’accordo per la nomina dello sciita Nuri al-Maliki come Premier, ma la lotta fratricida tra sunniti
e sciiti sembra essere, secondo quanto riporta Peace Reporter, fuori controllo: elementi delle
cosidette “squadre della morte”, milizie armate sunnite e sciite, spesso coinvolte con i partiti
politici, continuano a macchiarsi di stragi. La lotta intestina, un anno dopo l’elezione del governo
e la nomina di Maliki, sembra aver raggiunto un picco di violenza senza precedenti nei 3 anni di
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conflitto. E' in questo clima che, il 30 dicembre 2006, senza aspettare che venga processato per
tutti i crimini commessi, viene giustiziato Saddam Hussein. (Peace Reporter - Assassini in
uniforme
).
L’UNHCR calcola in 4 milioni i profughi iracheni, 2 milioni all’estero e 2 milioni interni. 4/4