Pdf Opera - Penne Matte
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IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Dedicato a chi ha messo radici nella mia anima 1 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. APOCALISSE 13:16-17 2 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO PROLOGO Quel tratto di cielo era terso, sgombro dalle nubi in cui la Regina dei Cieli, che da anni pilotava, era incappata la mattina precedente, alla stessa ora. La gobba frontale del grande aereo di linea non aveva incontrato ostacoli nella traversata del Mediterraneo e anche ora che avrebbe virato verso il Mar Tirreno sembrava poter procedere placidamente alla velocità di crociera. La serenità di quel cielo mattutino si respirava anche nella cabina di pilotaggio. I passeggeri si erano altresì sbarazzati della tensione del decollo e passeggiavano tranquilli lungo il corridoio centrale dell’aereo. Quell’idillio, tuttavia, durò ancora per poco. Il pilota notò un punto nero sopra l’isola di Stromboli, sotto la rotta che il suo aereo stava seguendo. Avanzando, intuì che si trattava di un elicottero che ingannava il tempo aggirandosi sopra il vulcano. “Chiunque ci sia a bordo di quell’elicottero, è un pazzo!”, pensò il pilota, ben conoscendo i ritmi di eruzione del vulcano. Davanti ai suoi occhi si spalancò uno scenario mai visto: non fu solo la lava a fuoriuscire dal cratere, ma una densa nube scura che si alzò in cielo fino a toccare la Luna che, quella mattina, era una spettatrice stanca. Nel cratere rimbombò il tonfo di un’esplosione, mentre il cielo sopra Stromboli sembrava tingersi di nero. Il pilota diede il comando ai passeggeri di allacciarsi le cinture. 3 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Nessuno, tuttavia, voleva perdersi lo spettacolo di quell’eruzione inconsueta, che fece cadere la cenere persino sulla Regina dei Cieli. 4 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO UNO Firenze, giugno 2011 Come tutte le mattine da due settimane a questa parte, prima di fare colazione, si infilava un paio di ciabatte, indossava una vestaglia color crema e scendeva le scale di corsa, senza prendere l’ascensore, poiché il tempo perso nell’attesa della chiamata avrebbe aumentato la sua agitazione. Percorreva il buio atrio d’ingresso, salutando con un cenno della mano l’anziana portinaia dello stabile, la signora Luisa, e si fermava davanti alla lunga serie di cassette postali, una per ogni famiglia. Spiava con un occhio l’interno della sua cassetta e, con la stessa espressione disincantata di ogni giorno, si ritraeva indietro e apriva la serratura con la piccola chiave dorata. Il suo sguardo si spegneva man mano che rovistava nella posta e vi trovava solo volantini pubblicitari. «Hanno scambiato la mia cassetta delle lettere per un bidone dell’immondizia?», domandò con i nervi a fior di pelle, i piedi ruotati verso la portinaia e lo sguardo rivolto alla strada, nella speranza che il postino non fosse ancora passato di lì. La portinaia la guardava con lo stesso sguardo compassionevole di tutti i giorni, da due settimane a questa parte, mentre nervosamente stracciava le carte e i volantini che imbottivano la sua cassetta delle lettere. «Signorina Isabel, non faccia così, vedrà che domani mattina troverà quello che aspetta!», le ripeteva come ogni giorno la portinaia. 5 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO «Domani è domenica!», ribatté sconsolata, attaccandosi al bottone dell’ascensore. Da circa un anno, Isabel viveva in un bilocale al quinto piano di uno stabile ottocentesco di via Vacchereccia, ereditato dalla zia pittrice defunta che, quando era in vita, lo usava come deposito di tele invendute, vernici, tempere, oli e cornici usurate. La camera da letto dava sulla Galleria degli Uffizi. Alle pareti si conservavano appesi ancora molti quadri dipinti dalla zia, mentre l’appartamento era stato ripulito in breve tempo da ogni altro oggetto e dalla polvere. La carnagione del viso di Isabel si intonava al colore della vestaglia, portata con disinvoltura sopra della biancheria intima che lei stessa definiva “da casa”. I capelli biondi, raccolti in uno chignon improvvisato, le incorniciavano il volto con due ciocche che le ricadevano da entrambi i lati, sfiorandole il collo vellutato. Gli occhi grigi ricordavano il colore del mare d’inverno, prima dell’arrivo di una tempesta. Lei stessa era così: placida, mite, ma capace di stizzirsi per poco, di ritrovarsi nella burrasca che creava dal nulla con le sue mani. Quel giorno la bufera che accompagnava i suoi pensieri era ingigantita dall’idea della lunga attesa che si sarebbe protratta fino a lunedì. La portinaia non osò chiedere cosa aspettasse di così importante, temeva che la sua curiosità avrebbe causato un feroce attacco di collera nella ragazza. “È così giovane”, pensava la signora Luisa, “forse attende una lettera dall’innamorato”. 6 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Si limitava a pensare e a fare congetture, la portinaia, poi con la testa china portava avanti il suo lavoro a uncinetto. Lo stesso da un anno, ormai. Arrivata sull’uscio di casa, dopo una lenta risalita in ascensore, Isabel si arrestò. La sua porta era aperta, eppure lei era convinta di averla chiusa. Aveva persino le chiavi di casa in mano. “Sarò uscita più in fretta del solito e non avrò chiuso”, pensò entrando in casa e serrando la porta dietro di lei. Nonostante sforzasse la serratura, la porta non si chiudeva. Qualcuno doveva essersi introdotto nella sua abitazione, ipotizzò terrorizzata. Quale fu la sua rabbia quando davanti a lei si presentò una scena che mai avrebbe immaginato di trovarsi: il suo appartamento messo a soqquadro. «O mio Dio!», gridò. «Chi c’è? C’è qualcuno?», domandò a voce alta, come per informare che lei era lì. Rimase un momento in silenzio, attenta a ogni più piccolo movimento. Quell’assenza di rumori la inquietava. Fece alcuni passi verso la cucina, piano e con circospezione, come aveva visto tante volte fare nei film d’azione. Si accovacciò sotto il muretto che separava l’angolo cottura dal salotto, guardò a destra, a sinistra e ancora una volta a destra. Non c’era nessuno. Si alzò, corse verso l’armadietto della cucina ed estrasse il coltello seghettato che era solita usare per tagliare il pane. Se la portinaia fosse entrata in quel momento, vedendo la ragazza così, in vestaglia e con un coltello in mano, si sarebbe fatta un’idea di quanto Isabel fosse bizzarra. La cucina e il salotto erano stati 7 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO messi in subbuglio. Andò carponi verso la camera da letto e si arrestò quando vide che tutti i suoi vestiti e la sua biancheria erano stati rovesciati sul letto e sul pavimento. “Chi può essere stato a buttare all’aria casa mia in così poco tempo?”, si domandò. Restava il bagno da controllare. Se qualcuno era in casa sua, doveva essere per forza lì, pensò. Si avvicinò alla porta del bagno chiusa, e la spalancò con tutta la forza che aveva in corpo, con il coltello ben serrato tra le sue mani. Nessuno. Anche il bagno era stato messo sottosopra: i cestini con i trucchi, le saponette, l’armadietto con le salviette e i detersivi, tutto sparso sul tappeto sporcato di fondotinta e shampoo che, nella caduta, si erano capovolti e, come nella più sfortunata delle ipotesi, si erano aperti. «Santo Cielo!», esclamò con le mani fra i capelli scompigliati. «Chi si è intrufolato in casa mia?» Lasciò tutti gli oggetti così come li aveva trovati sul pavimento e, rischiando di inciampare, corse fuori da casa con l’intenzione di chiedere aiuto ai vicini. «Ah, i De Santis sono fuori città!», si ricordò appena prima di battere alla loro porta. Decise di scendere di nuovo le scale per informare la portinaia dell’accaduto. “Forse lei può avere notato dei movimenti strani”, si disse, “ma è talmente impegnata a finire quella sua coperta che non avrà visto nessuno!”, pensò mentre scendeva di fretta le scale, per la seconda volta in quella mattina. La portinaia la sentì arrivare 8 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO rumorosamente, poiché rotolò giù dagli ultimi tre gradini, inciampando nella vecchia gatta della signora del primo piano, che, come la padrona, non godeva di ottimi riflessi. «Ahi!», esclamò, massaggiandosi la testa. «Mannaggia a te e alla tua padrona!», brontolò poi rialzandosi a fatica. Isabel si diresse zoppicante verso la portinaia, con la vestaglia che si era aperta nella caduta e lasciava intravedere un corpicino snello, ma atletico, fasciato da un paio di culottes e da un reggiseno color malva. «Per Dio, signorina Isabel! Si è fatta male? Si allacci la vestaglia!», implorò la portinaia scandalizzata da dietro il vetro, senza mai allentare la presa sulla sua coperta. «Il postino è già arrivato. Anche oggi non c’è nulla di nuovo per lei!», concluse con quell’aria saccente che inaspriva ogni volta Isabella. «Non sono qui per la posta!», ribatté piccata e ancora dolorante la giovane. «Qualcuno si è introdotto in casa mia stamattina, certamente nel momento in cui sono scesa a controllare la posta, e ha messo a soqquadro il mio appartamento!» La portinaia strabuzzò gli occhi. «Stamattina? Intende dire poco fa?» Isabel annuì pesantemente. «Ha notato nessuno entrare e poi salire per le scale o più probabilmente con l’ascensore? Nessuno strano movimento?», domandò impaziente la ragazza. La signora Luisa scosse la testa e, guardando da sopra gli occhiali, si fermò un momento a riflettere. «Stamattina no», cominciò 9 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO corrugando la fronte, «ma ieri pomeriggio è passato proprio davanti ai miei occhi un giovanotto con un mazzo di fiori in mano. Ha detto di dover fare una consegna al piano di sopra, è stato molto vago, ma ha voluto portare personalmente i fiori». «Sarà stato qualcuno che voleva fare una sorpresa alla nostra strip teaser, forse nemmeno lei avrà tenuto il conto dei regali che ha ricevuto!», rispose Isabel immaginando che quel giovanotto fosse l’ennesimo amante della nota ballerina, che abitava nello stesso palazzo. La portinaia scosse la testa. «Riesco a tenere il conto di tutti gli uomini di quella “streptaser1”», esordì mentre Isabel inorridiva alla pronuncia della donna, «e posso dirle che nessun uomo si è mai trattenuto più di un’ora da lei», continuò, picchiettando con il dito indice sull’orologio. Isabel la guardò di traverso, spalancando le braccia. «Quel giovanotto, ora che mi ci fa pensare, non è mai uscito da qui», sentenziò la signora Luisa, congiungendo le mani sotto il mento. Isabel indietreggiò. «Vuol dire che…se fosse lui, mi ha spiata da ieri? Ha aspettato che uscissi di casa per mettermi l’appartamento sottosopra?», domandò spaventata Isabel. «Ma poi deve essere pur uscito, in casa mia non c’era nessuno quando sono salita! 1 Scritto così come viene pronunciato dalla portinaia. 10 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Ricorda se qualcuno è uscito da quando ho preso l’ascensore per salire le scale?» La portinaia fece un visibile sforzo per ricordare. «Da qui non è passato nessuno», disse sicura. «Potrebbe…». «Potrebbe?», la incalzò Isabel. «Potrebbe aver usato l’uscita di servizio sul retro. Di solito il sabato mattina la tengo aperta per le signore delle pulizie», azzardò la portinaia. Isabel si morse il labbro superiore. «Ricorda com’era quell’uomo?», domandò mettendo premura all’anziana donna che non poteva di certo ricordare i volti di tutti quelli che entravano e uscivano ogni giorno dallo stabile. «Aveva un bel fisico», rispose. «Ah», esclamò Isabel spazientita, «adesso chiameremo i carabinieri, lei testimonierà e di quell’uomo saprà dire soltanto che aveva un bel fisico?» «Si calmi, non mi faccia fretta, quando mi mettono pressione non ricordo più nulla», disse con calma la signora Luisa, continuando a lavorare alla coperta. Isabel cercò di trattenersi, del resto si trovava di fronte a un’anziana signora. “Vecchia insolente”, pensò solo tra sé. 11 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO «Ricorda il numero dei carabinieri?», domandò in tono sarcastico la ragazza. «Senza fretta, la prego, lo componga, devo denunciare…» «Cosa? Cosa deve denunciare?», chiese la portinaia prima di alzare la cornetta. Isabel vacillò, colta da un calo di pressione. «Denunci che qualcuno è entrato all’interno 24 dello stabile di via Vacchereccia al numero civico…», non riuscì a terminare la frase, poiché un furgone bianco sfrecciò proprio in quel momento davanti ai suoi occhi. Isabel, turbata, uscì in strada, fece alcuni metri di corsa, ma non riuscì a vedere il numero di targa, poiché il furgone si era già allontanato. Rientrò sotto gli sguardi divertiti e bramosi di due uomini che la incrociarono e ne esaminarono il corpo ben visibile sotto la vestaglia, per colpa di quella cintura che proprio non voleva restare allacciata. «Niente da fare, non sono riuscita a vedere la targa e nemmeno che direzione ha preso il furgone», sbuffò Isabel. La portinaia la guardò di traverso, per l’abbigliamento osé che continuava a ostentare. «I carabinieri saranno qui a momenti, li ho appena chiamati. Vada a rendersi presentabile», le ordinò senza più alzare lo sguardo dalla trapunta. 12 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Isabel preferì salire con l’ascensore, per evitare che i vicini la vedessero così conciata. Sapeva di non essere in uno stato decoroso, non si era nemmeno lavata il viso e i denti. “Come farò a prendere i vestiti senza toccare nulla?”, pensò mentre i numeri sul display dell’ascensore salivano progressivamente fino a 5. Entrò in casa, questa volta senza armarsi di coltello. Saltò da una parte all’altra della stanza, cercando di non calpestare gli oggetti sparsi sul pavimento, fino ad arrivare alla camera. Si sedette ai piedi del letto, guardando lo scompiglio che nell’arco di così poco tempo si era creato. “Non può essere stato da solo”, rifletté. “Chiunque sia stato, cosa cercava?”, si domandò. Si alzò e andò a rovistare nel cassetto dove teneva una busta con del denaro, sicura di non trovarla più. Quando, in quel disordine, riuscì a palpare la busta, si spaventò. La sua espressione si fece ancora più sgomenta quando notò che all’interno i soldi erano ancora tutti presenti, fino all’ultimo centesimo. «Se non cercava i soldi, cosa voleva?», pensò a voce alta. D’un tratto si fece cupa in volto, mentre cercava di contare le collane e gli oggetti preziosi disseminati sul tappeto. “Ci sono tutti”, si disse, “non ha preso nemmeno la collana di perle della zia, che doveva esserle costata un patrimonio”. 13 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Non riusciva a comprendere cosa cercasse chi si era intrufolato in casa sua, qualcosa non le tornava in quella faccenda che stava assumendo i contorni di un giallo. “Forse non ha fatto in tempo a prendere niente, mi avrà sentito ritornare e sarà scappato. Sarà andata sicuramente così”, pensò convincendosi di quella teoria che sembrava la più plausibile. Nel frattempo, una volante dei Carabinieri aveva parcheggiato sotto lo stabile di Via Vacchereccia, al numero 15. Isabel non si era accorta che aveva ancora indosso la vestaglia di seta ormai sgualcita. 14 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO DUE Manhattan, maggio 2011 Al quarantaquattresimo piano del Bloomberg Tower, i telefoni continuavano a squillare quel pomeriggio. Inabissato da fogli, cartellette e faldoni, Mark cercava di proseguire diritto lungo il corridoio che doveva condurlo nella temuta Sala dei Congressi, dove i migliori avvocati di tutti gli Stati Uniti d’America si riunivano quel giorno. Aveva avuto l’ordine di sistemare tutti quei faldoni sul lungo tavolo di cristallo che occupava l’intera stanza, di disporre una bottiglia di acqua frizzante e una bottiglia di acqua liscia accompagnate da un bicchiere, rigorosamente in cristallo, di fronte a ognuna delle quindici poltrone in pelle nera che circondavano il tavolo. Infine, non avrebbe dovuto far mancare nulla agli avvocati lì riuniti durante il congresso. Se qualcuno tra loro avesse finito l’acqua frizzante, doveva rimediare andando a recuperare una bottiglia perfettamente sigillata. Aveva dunque il permesso di assistere a quell’assemblea straordinaria degli avvocati più rinomati di tutti i tempi. Da qualche mese, Mark era stato preso in carico dallo studio legale Fitzgerald & Smith di Manhattan come praticante. Nonostante i due avvocati proprietari dello studio legale, Luis Fitzgerald e Hannah Smith, si fossero dimostrati gentili con lui, la scritta Fitzgerald & Smith che campeggiava su ogni porta, su ogni faldone e persino su ogni penna dello studio lo intimoriva ancora come fosse il primo giorno. La borsa di studio che gli era stata conferita dall’università di Firenze, gli permetteva di trascorrere sei mesi nello studio legale di Manhattan, città che lui 15 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO stesso aveva scelto, quasi a caso, puntando il dito sul mappamondo. Come praticante, a lui spettavano i compiti più gravosi e fastidiosi, quelli a cui i più esperti potevano sottrarsi demandando a lui, l’ultimo arrivato, il fardello di portarli a termine. Tra questi compiti rientrava appunto quello che lo avrebbe visto, nel tardo pomeriggio, assistere come inserviente al meeting dell’anno: The Fitzgerald & Smith Lawyer Congress 2011. «Mark controlla che il pavimento sia pulito! Mark fai attenzione che sul tavolo non ci siano aloni! Mark assicurati che le poltrone siano pulite e la pelle non sia rovinata!» erano solo alcune delle frasi che da qualche giorno erano sulla bocca di tutti, tranne che su quella di Mark. Era talmente scocciato di farsi istruire da chi ne sapeva di più, che non vedeva l’ora che quel congresso avesse fine, liberandolo da un peso insostenibile. Finalmente, dopo aver eseguito scrupolosamente il suo dovere, Mark sentì squillare i telefoni degli uffici, segno lampante che gli avvocati di lì a poco sarebbero saliti al quarantaquattresimo piano del Bloomberg Tower. Decise di prendersi una pausa prima di ricominciare, ma quando stava per avvicinarsi alla macchina del caffè, l’avvocato Smith, una seducente donna sulla quarantina, gli mise una mano sulla spalla, irrigidendo ogni suo muscolo. «Stai tranquillo, Mark. Se hai fatto il tuo dovere, filerà tutto liscio. Lascia fare a noi il resto», gli disse con quel suo fare provocante e quello spacco nella gonna che lasciava poco spazio all’immaginazione del ragazzo. «Ah», gli sussurrò poi, facendogli venire la pelle d’oca, «ciò di cui parleremo in quella stanza è 16 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO strettamente confidenziale. Abbiamo dato a te il compito di assisterci perché di te ci fidiamo». Hannah sapeva come lusingare ogni uomo, dal portinaio al giornalista, dal collega avvocato al cliente più facoltoso. E in quel momento, a Mark parve di essere l’uomo più importante dello studio Fitzgerald & Smith, quasi che senza di lui l’evento dell’anno non potesse avere luogo. La guardò andare via su quei tacchi a spillo che slanciavano la sua figura e in quel suo tailleur nero attillato che disegnava tutte le forme del suo corpo e sospirò, senza nemmeno ricordarsi perché aveva quei 50 cent tra le mani. Si vociferava che l’avvocato Smith avesse un interesse particolare per gli uomini più giovani di lei. “Chissà se un giorno riuscirò a portarmela a letto”, era il pensiero che turbava la mente e il corpo di Mark, quando i primi avvocati stavano per essere introdotti nella Sala dei Congressi. Mark si accorse che stava fantasticando, rimise le monete in tasca e affrettò il passo verso la stanza dove si stava radunando il fior fiore degli avvocati degli Stati Uniti. L’avvocato Fitzgerald lo guardò di traverso per essere arrivato qualche minuto in ritardo rispetto agli ospiti. Quando la stanza fu gremita, i convenevoli sbrigati, le persiane abbassate e il proiettore acceso, l’avvocato Smith prese la parola, dando il benvenuto. Illustrò poi brevemente agli ospiti le meraviglie di New York, fece una rapida digressione sulla situazione economica e politica della città, senza tralasciare di menzionare la difficoltà di essere un avvocato in una metropoli in cui quartieri eleganti si mescolano ad aree più povere, dove il tasso di delinquenza è elevatissimo. Sembrava una lezione di geografia urbana, più che un congresso. Gli avvocati, 17 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO seduti nelle loro comode poltrone, ascoltavano con attenzione il discorso della donna. Gli uomini, a dire il vero, sembravano molto più attenti alla scollatura che Hannah aveva accortamente sistemato a quel modo per lasciar intravedere il bordo in pizzo rosso del reggiseno. Quando la parola passò all’avvocato Fitzgerald, il pubblico maschile appoggiò con nonchalance i gomiti sul tavolo o la schiena alla spalliera della poltrona, in un atteggiamento di totale distacco. L’avvocato Luis Fitzgerald era un uomo sulla sessantina, basso e tarchiato. Aveva i capelli grigi, ma non aveva il fascino che assumono gli uomini brizzolati di una certa età. Il fascino, forse, stava nel suo portafoglio. Data l’agiatezza in cui viveva, infatti, era sempre circondato da tre donne belle e giovani, straniere, le quali, si vociferava, nel weekend lo andavano a trovare tutte insieme nella sua villa sul Pacifico e lo stremavano a tal punto che il lunedì mattina si presentava in ufficio con gli occhi segnati da pesanti occhiaie, chiudeva la porta a chiave e dormiva. Fortunatamente, l’evento più importante dell’anno cadeva di martedì. Mark si mise nell’angolo più nascosto della stanza, vicino al frigorifero da cui, se ce ne fosse stata la necessità, avrebbe prelevato le bottiglie d’acqua. Inoltre, data la riservatezza delle informazioni di cui l’avvocato Smith lo aveva messo al corrente, non voleva far credere che lui fosse lì per origliare. La sua doveva essere una presenza discreta. E lo fu per più di un’ora, finché si abbassarono le luci per permettere ai presenti di vedere ciò che l’avvocato Fitzgerald avrebbe proiettato davanti ai loro occhi non più così vigili. 18 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO «Chiedo la vostra attenzione ancora per una mezz’ora, poi faremo una pausa e vi sarà servito il caffè», annunciò Fitzgerald con voce rauca, con lo stesso tono con cui avrebbe parlato in tribunale o avrebbe elargito complimenti a una delle sue donne. Era un personaggio monotono. Monotono, ma terribilmente potente. E con la stessa piattezza dello sguardo, fece un cenno d’intesa a Mark, il quale, essendo un ragazzo sveglio, afferrò al volo il concetto. Uscì dalla stanza cercando di farsi invisibile, conformando la camminata alla situazione in cui si trovava: testa alta, sguardo in avanti, spalle ben aperte e passo lungo e disteso. Prima avrebbe raggiunto la porta, prima avrebbe sciolto tutti i suoi muscoli. Il piccolo angolo in cui avevano ricavato la cucina si trovava proprio dalla parte opposta dell’enorme quarantaquattresimo piano. Fece con calma. L’avvocato Fitzgerald si sarebbe dilungato per mezz’ora o forse più e, per preparare una quindicina di caffè, ci avrebbe impiegato non più di cinque minuti. Dieci, considerando che un caffè l’avrebbe bevuto anche lui, seduto su uno sgabello della cucina, in una beata solitudine. Purtroppo, Fitzgerald aveva scelto il momento peggiore per affidare a Mark quel compito. Erano le 17:30, l’ora della seconda pausa caffè, o del gossip che dir si voglia. Quasi tutto il piano era radunato nei due metri quadri della cucina, chi non era riuscito ad entrarvi aspettava fuori, nell’attesa che il fornello per scaldare l’acqua del caffè o del the si liberasse. Nel frattempo, si chiacchierava, si parlava del weekend passato o di quello, ancora lontano, che doveva arrivare. Qualcuno azzardava persino parlare delle vacanze. E chi non aveva weekend interessanti da narrare o vacanze da organizzare, criticava la gonna corta di quella o i tacchi alti dell’altra, per non parlare dello 19 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO spacco nella minigonna della nuova arrivata. Gli uomini non criticavano, si limitavano ad apprezzare, con sguardi eloquenti e occhiate d’intesa a destra e a manca, le colleghe. Mark si arrestò di colpo quando vide tutto quel trambusto che non si aspettava di trovare. Poi prese coraggio e cercò di farsi largo tra la folla. Era talmente minuto, che qualcuno non si accorse nemmeno di lui. Finalmente, incontrò Julia, una praticante come lui, con la quale scambiava sempre qualche battuta alla fotocopiatrice, mentre entrambi erano in attesa di fotocopiare documenti. Si incontravano più volte durante la giornata. A volte capitava loro di imbattersi persino davanti al fax. «Cosa succede? Perché sono tutti qui?», le chiese Mark in panico. «Ciao Mark! La macchina del caffè non funziona oggi, pare abbiano deciso di preparare una merenda, c’è anche la torta e ci sono dei pasticcini. È il compleanno dell’avvocato Rogers». Mark avrebbe voluto sprofondare. Guardò l’orologio. Mancavano esattamente venti minuti alla pausa degli avvocati riuniti nella Sala dei Congressi. Con tutta quella gente che occupava i fornelli, come sarebbe potuto arrivare in tempo con i caffè? Julia lo accarezzò con uno sguardo compassionevole. «Perché non ti fermi con noi?», gli chiese. Mark scosse la testa. «Julia, ho un problema. Sono stato incaricato da Fitz – come lo chiamavano tra praticanti – di portare il caffè a tutti quegli avvocati nella Sala dei Congressi. La pausa sarà tra venti minuti. Come faccio?!», le disse, implorandola con lo sguardo di aiutarlo. 20 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Julia non esitò nemmeno un istante. «Scusate, ma ho una brutta notizia da darvi: i capi saranno qui tra meno di due minuti, Mark è stato così gentile da venire ad avvisarci», annunciò con tono seducente, che catturò in un baleno l’attenzione di tutti. In meno di due minuti, la cucina si svuotò e fu a completa disposizione di Mark. Julia strizzò un occhio a Mark, che balbettò una specie di “grazie” che gli rimase incastrato tra i denti. «Come fai a essere così ingegnosa?», domandò mentre apriva il rubinetto dell’acqua e riempiva la prima caffettiera. «Non ci sarei mai arrivato, davvero!» «Non puoi competere con una donna, almeno quando si tratta di simulazioni», fece lei con aria maliziosa. «Visto che i capi non arriveranno, se qualcuno mi chiederà dirò che hanno avuto un contrattempo. Ciao ciao!», gli disse scivolando via dietro la porta. Dopo nemmeno cinque minuti, i caffè erano pronti e versati nelle fini tazzine di porcellana bianca che Mark aveva avuto l’ordine di utilizzare. Il vassoio era così grande da riuscire a contenerle tutte in una volta. Uscì dalla cucina senza guardarsi attorno, per il timore di incontrare gli sguardi incattiviti di quelli a cui aveva completamente rovinato il momento di pausa e, ancor peggio, la festa all’avvocato Rogers. Sarebbe stato etichettato come un guastafeste, insomma. Il caffè fumava ancora, quando si ritrovò davanti alla porta della Sala dei Congressi. Aveva entrambe le mani occupate e doveva 21 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO aprire la porta, facendo in modo di non rovesciare le tazzine e di non disturbare la riunione. Era impossibile. Ci pensò un po’ su, poi decise di ricorrere ai piedi. Sollevò la gamba destra all’altezza della vita e, con un agile movimento, abbassò la maniglia della porta che si aprì in maniera brusca. Quando entrò, si sentì tutti gli occhi addosso. Rosso di vergogna, appoggiò il vassoio su un tavolino laterale e si fece da parte, intimidito dallo sguardo severo di Hannah. L’avvocato Fitzgerald non si era accorto del suo ingresso. «Abbiamo ragione di credere che la scatola si trovi in Italia, a Torino», disse Luis, indicando alcune coordinate geografiche apparse in quel momento sulla slide proiettata alla parete, «forse nei suoi sotterranei». Hannah aveva lanciato uno sguardo di rimprovero al collega, il quale tuttavia non si avvide di nulla, talmente il suo discorso lo infervorava. «Potrebbe essere proprio all’interno di una delle tre grotte alchemiche!», sentenziò Luis sicuro di sé, mentre l’avvocato Smith lo guardava indispettita. Così dicendo, fece comparire sullo schermo un lungo testo scritto in un alfabeto incomprensibile: 22 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO 23 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO «Bene», intervenne Hannah, accostandosi al collega. In un baleno, la donna iconizzò il documento e annerì lo schermo. «Accendiamo le luci. Abbiamo bisogno di un momento di pausa», disse nello stupore generale. Luis la guardò stranito: «Hannah, non ho…», iniziò senza poter terminare la frase. «Va bene così, Luis», proferì categorica, allungando lo sguardo verso l’angolo in cui Mark stava immobile, con lo sguardo fisso davanti a sé. Il ragazzo aveva ascoltato solo una piccola parte della relazione dell’avvocato Fitzgerald, ma gli fu sufficiente per comprendere che quella non era un’assemblea di avvocati. O almeno, per quanto ne sapeva lui, gli avvocati non parlavano di grotte alchemiche durante le loro riunioni, ma di normative, fallimenti di società, grossi capitali da muovere da una banca all’altra, bilanci di società, istituti di credito. “Figuriamoci se parlano di una scatola in un meeting di così alto livello!”, pensò con gli occhi sempre persi nel vuoto, oltre il quarantaquattresimo piano del grattacielo. Hannah sembrò intuire il suo pensiero. «Mark, servici il caffè», gli ordinò con una tale severità che la rendeva irriconoscibile. Mark barcollò e per poco non cadde, scosso dalle dure parole della donna. Servì a tutti il caffè, fingendo maniere garbate, anche se in quel momento avrebbe voluto macchiare le candide camicie degli avvocati con il liquido scuro che stava servendo e scappare 24 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO lontano da lì. Avrebbe risparmiato soltanto le donne che facevano mostra di un decolleté da urlo. «Mark, sei libero, vai pure a casa. Penserai domani a sistemare la stanza», gli disse Hannah accigliata. «Mah…», ribatté il ragazzo. «Non ti paghiamo gli straordinari. Vai!» Mark non poté far altro che eseguire l’ordine. In meno di cinque minuti era già al piano terra del Bloomberg Tower, con mille pensieri che gli riempivano la testa. Aveva con sé il cellulare, toccò il tasto per aprire la rubrica e sfiorò appena la lettera “I”. Poi uscì dall’edificio e girò a destra. Erano anni che non entrava in una cabina telefonica, ma quello gli sembrava il modo più sicuro per fare una telefonata. Alzò la cornetta, unta e sporca, mise alcune monete e digitò un numero lunghissimo, consultando la rubrica del suo cellulare. Fece squillare più volte il telefono senza ottenere risposta, tanto che pensò di riattaccare. «Pronto?», rispose una voce di donna dall’altra parte della cornetta. «Per fortuna ti ho trovata! Pensavo non ci fossi!», disse agitato Mark. La donna lo aveva riconosciuto, ma sembrava seccata dal tono che aveva l’amico. 25 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO «Potresti almeno salutarmi, chiedermi come sto, a che punto sono con la mia tesi…», disse lei lentamente. «Appunto, la tua tesi su Torino. Credo di poterti fornire qualcosa di veramente eccezionale, qualcosa che nemmeno il tuo professore può immaginare. Una tesi da 110 e lode, e magari un posto all’università», disse tutto d’un fiato Mark, che vedeva scendere velocemente il credito sul display del telefono. «Mark, che stai dicendo?», ribatté lei incredula. «Controlla la post…», disse Mark veloce, ma non abbastanza per terminare la frase. Avrebbe voluto dirle di controllare la posta elettronica nei giorni successivi, poiché, se ci fosse riuscito, le avrebbe inviato un documento scottante. Purtroppo, aveva esaurito tutta la moneta. «Mark? Mark?», strillò la ragazza, senza che l’amico potesse sentirla. Mark riattaccò, uscì rapido dalla cabina e lanciò un’occhiata al quarantaquattresimo piano del Bloomberg Tower. Gli sembrò di scorgere alla finestra una figura nera che guardava in basso, nella sua direzione. Abbassò lo sguardo e proseguì verso casa, si mise le cuffie nelle orecchie e si abbandonò alle piacevoli note del Chiaro di Luna di Chopin. Quella notte la luna avrebbe rischiarato tutta Manhattan. Soltanto i pensieri di Mark si tinsero di scuro. 26 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO TRE Isabel era ancora seduta ai piedi del letto quando sentì bussare alla porta. Si ripigliò velocemente, sciolse lo chignon scombinato che la faceva sembrare appena svegliata, mise le forcine che ricordavano due marshmallows in tasca e lasciò scendere sulle spalle una folta chioma di capelli arruffati che le conferiva un’aria sexy. Corse alla porta e si fermò di colpo quando vide la coppia di carabinieri accompagnati dalla portinaia. La signora Luisa le lanciò un’occhiataccia. Isabel si guardò attorno, poi guardò i due carabinieri, infine rivolse lo sguardo alle sue maniche. Si portò una mano alla fronte, imprecando tra sé: aveva dimenticato di togliersi la vestaglia e di mettersi qualcosa di più decente addosso. «Dovete scusarmi, ma non ho avuto il tempo di vestirmi», si giustificò Isabel stringendo forte la cintura in vita. «Non si preoccupi. Non è nuda», la scagionò il più vecchio tra i due. «Dobbiamo farle qualche domanda. Possiamo sederci?», domandò. «Certo, accomodatevi. Il disordine, beh…non l’ho provocato io. Ho pensato di non toccare nulla e di lasciare tutto come ho trovato». «Ha pensato bene, signora. O signorina?», chiese ancora il più vecchio dei due. 27 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO «Signorina», scandì la giovane, indicando il divano proprio di fronte a loro. «Sedetevi, prego. Signora Luisa, si accomodi pure lì», disse, mostrandole la poltrona alla sua destra. «Prima di raccontarci quello che è avvenuto, abbiamo bisogno di sbrigare alcune formalità», fu il più giovane a parlare, questa volta. «Abbiamo bisogno della sua carta d’identità». Isabel deglutì vigorosamente, poi balbettò qualcosa per prendere tempo poiché non ricordava dove avesse messo il documento. «Torno subito», disse ostentando tranquillità. Tornò dopo cinque minuti che bastarono a spazientire la signora Luisa, che già temeva di non riuscire a portare a termine la sua coperta infinita. «Ecco», disse con il fiatone. «Un passaporto?», domandò il carabiniere. «Sì, sono americana. Sono qui per motivi di studio», tenne a precisare la ragazza. «Ah, bene», commentò l’uomo. «Dunque lei si chiama Isabel Ricciardi, è nata a New York il 27 ottobre 1986», dettò al collega. «Ricciardi non è un cognome americano…» «Infatti. Mio papà è italiano, ha vissuto a Firenze per parecchi anni, finché ha conosciuto mia madre e si sono trasferiti nella città natale di lei, New York, dove io sono nata venticinque anni 28 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO fa», puntualizzò. «Ho ereditato questo appartamento dalla sorella di mio padre, la pittrice Maddalena Ricciardi», precisò ancora. «Ah», fece il più vecchio, che non aveva tuttavia mai sentito parlare della pittrice. «Ha detto di essere in Italia per motivi di studio. Cosa studia, di preciso?» Isabel si sentiva sotto interrogatorio. «Studio archeologia all’Università di Firenze», rispose cercando di mantenere i nervi sotto controllo. «Interessante», replicò il Carabiniere. «Ora che abbiamo le sue generalità, ci spieghi cos’è successo stamattina. Cerchi di riportare tutti i dettagli, se li ricorda». “Forse sarebbe meglio prendeste le generalità del ladro”, pensò Isabel quasi infastidita da quei due. «È successo tutto così in fretta e in così poco tempo che non credo vi potrò fornire molti dettagli», iniziò la ragazza portando i capelli dietro le orecchie. «Sono scesa a controllare la posta, come tutte le mattine, prendendo le scale, sono risalita con l’ascensore e quando sono arrivata ho trovato la porta di casa aperta. Ero sicurissima di averla chiusa a chiave. Quando ho aperto, ho trovato la baraonda che è sotto i vostri occhi». «Ha notato se manca qualcosa di prezioso?», chiese giustamente il carabiniere più giovane, seduto accanto a Isabel. 29 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO «La cosa che mi ha lasciata più perplessa è che non hanno portato via nulla di ciò che avevo di prezioso!», rispose la giovane sotto lo sguardo attento della portinaia. Il carabiniere più giovane aprì la bocca stupito, il più vecchio aggrottò le sopracciglia. “Sono in una botte di ferro”, pensò Isabel fingendo la solita pacatezza. «I soldi, la collana di perle, i miei gioielli…non hanno preso niente», ribadì la ragazza. «Quindi lei ci ha chiamati per comunicarci che qualcuno è entrato in casa sua, ha messo sottosopra l’appartamento, ma non ha rubato nulla?» Isabel annuì. «Signora…Signorina, noi le crediamo. La denuncia è stata fatta, ma per dare il via alle indagini è necessario che almeno qualcosa le sia stato rubato», disse il più vecchio, alzandosi. Isabel sorrise in maniera beffarda. «Questa è bella! Ahah…Non vi basta la stranezza di quanto è successo per approfondire il caso?» I due si scambiarono uno sguardo sconsolato. Il più vecchio si sedette di nuovo e riprese a parlare: «Sospetta di qualcuno? Ha visto qualcosa?», domandò riprendendo il bloc-notes che aveva già rimesso nella tasca dei pantaloni. 30 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO La portinaia si schiarì la voce, sentendosi chiamata finalmente in causa. «Questa mattina non è entrato nessuno. Ma ieri pomeriggio è entrato un giovane con un mazzo di fiori in mano. Non l’avevo mai visto prima. Doveva consegnare i fiori, quindi l’ho lasciato passare», disse gesticolando a dismisura, quasi stesse ancora lavorando a uncinetto. «Quel giovanotto però non è più uscito dallo stabile», concluse con un gesto esagerato, che avrebbe fatto cadere a terra i ferri del suo lavoro, se solo li avesse avuti ancora in mano. «Interessante», rispose il carabiniere, che almeno qualcosa di curioso trovava in quella vicenda. «L’ha visto in volto?» Isabel alzò gli occhi al cielo e riunì le mani come in preghiera. «Beh… quel giovanotto avrà avuto trent’anni, non di più. Spalle larghe, un bel fisico…», tentò di fornire altri particolari ma non ne fu in grado. «Ricorda com’erano i capelli? Gli occhi? Cosa indossava?» La signora Luisa assunse la stessa espressione di fatica che poteva avere quando era sul gabinetto. «Portava un paio di occhiali scuri e i capelli…non ricordo, indossava un cappellino con la visiera…e un paio di jeans, sì quelli me li ricordo». “Sì, anche il fondoschiena immagino”, la canzonò tra sé e sé Isabel , sicura che la portinaia non sarebbe stata in grado di farne 31 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO una descrizione completa, benché avesse fornito alcuni dettagli sull’abbigliamento dell’uomo. La signora Luisa si sentiva molto importante in quel momento. «Stamattina», intervenne Isabel, troncando l’istante di popolarità della portinaia, «abbiamo visto un furgone bianco sfrecciare davanti all’entrata. Pensiamo possa esser uscito dalla porta di servizio dei sotterranei». I due si guardarono sorridendo. «Bene, avete la stoffa delle investigatrici. Per prima cosa prenderemo le impronte. Qui ce ne saranno ovunque. Purtroppo le maniglie delle porte saranno state toccate da chissà quante persone. Poi andremo a verificare che nessuno abbia ricevuto quei fiori. Infine», disse il più vecchio, che adesso sembrava aver preso a cuore il caso, «ho bisogno di alcune indicazioni temporali che non mi avete fornito». Rimase zitto un istante poi riprese: «A che ora è scesa a controllare la posta?» Isabel fece due conti rapidi. “La sveglia è suonata alle 8, mi sono messa la vestaglia, le ciabatte…” «Alle 8:05 o al massimo alle 8:10 ero già nell’atrio». «Bene. Quanto tempo si è fermata all’ingresso?», continuò, pronto ad annotare altri dati con la sua penna a sfera. «Non più di cinque minuti. Poi ho preso l’ascensore per salire». «Quanto tempo impiega l’ascensore per arrivare al quinto piano?». 32 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO Isabel non sapeva rispondere. Le venne in aiuto la portinaia. «Esattamente cinquanta secondi. È vecchio e un po’ lento, ma funziona bene», si giustificò, poiché aveva la stessa età di quell’ascensore da rottamare. «E quando è scesa ha detto di aver usato le scale, vero? In quanto tempo le ha percorse?» «Non saprei, forse in un paio di minuti», rispose Isabel, sfiancata da tutte quelle domande. «In totale sarebbero sette minuti e cinquanta che lei ha trascorso fuori casa. In questo lasso di tempo un ladro è capace di mettere sottosopra un appartamento come questo e di portare via la refurtiva. Ammesso che trovi quello che cerca», concluse il carabiniere più vecchio. I due poi si alzarono e si guardarono attorno. «Ora daremo un’occhiata e prenderemo le impronte. Lei può andare, grazie», disse alla portinaia. «Se avremo bisogno di lei per un confronto, la manderemo a chiamare. Rimanga a nostra disposizione». La portinaia annuì e in un baleno fu fuori dalla porta. Isabel rimase seduta sul divano mentre i carabinieri ispezionavano la casa e prendevano alcuni oggetti a campione per rilevare le impronte. Non le era mai capitato nulla di simile, aveva paura, ma il fatto che qualcuno si stesse adoperando per lei la faceva sentire più serena. 33 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO “Che debba scapparci il morto prima che intervengano, mi pare proprio assurdo”, pensava, tornando al momento in cui il più vecchio dei due carabinieri voleva lasciare il caso irrisolto. Perché per Isabel si trattava proprio di un caso. Ne andava quasi fiera, avrebbe potuto paragonarsi ai personaggi dei suoi gialli preferiti. «Bene, abbiamo raccolto quello che ci è parso più opportuno», disse il più giovane con un sacchetto tra le mani. «Li porteremo in laboratorio e appena avremo una risposta la contatteremo. Rimanga a nostra disposizione». Isabel avrebbe voluto chiedere ai due carabinieri di fermarsi ad aiutarla a rimettere ordine, ma non poteva pretendere che facessero anche questo per lei. «Lasci tutto così», disse il carabiniere, anticipando il pensiero di Isabel. «Almeno per qualche giorno, finché non avremo alcune risposte. Non ci sembra il caso di transennare l’abitazione, ma se inquinerà troppo l’ambiente renderà le cose più difficili. Sistemerà più avanti, quando avrà tempo». Isabel lo guardò esitante. Non sapeva cosa obiettare al carabiniere e fece bene a stare zitta. «Ora facciamo un giro tra gli inquilini. Chiederemo se qualcuno di loro ieri ha ricevuto un mazzo di fiori». Isabel non capiva perché quel particolare interessasse così tanto ai carabinieri. Il dubbio che aveva le si dipinse in volto. «Se nessuno ha ricevuto i fiori, è probabile che sia stato quel giovanotto a ribaltarle l’appartamento. Se invece qualcuno li ha 34 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO ricevuti, sarà improbabile che sia stato lui», spiegò il carabiniere più giovane, che lasciò per ultimo l’abitazione. «Ora torni dentro, chiami qualcuno a far sistemare la serratura e stia tranquilla, la informeremo noi su tutto. Arrivederla», disse, terminando con un inchino quasi grottesco. Isabel pensò che forse aveva esagerato nel chiamare i carabinieri, forse chi si era intrufolato in casa sua aveva sbagliato appartamento, magari voleva entrare dai vicini benestanti, ma aveva confuso la porta. Le saltavano alla mente tante ipotesi, però poi tornava sempre a farsi suggestionare dai romanzi gialli di cui era un’avida lettrice. “E se volevano uccidermi?”, si chiese sulla scia dell’ultimo noir letto. “Anche Camille era una brava e innocente ragazza, eppure che fine ha fatto?”, pensò, considerando il finale del libro. “Ma che senso avrebbe, no…se avessero voluto uccidermi, sarebbero entrati quando ero in casa o mi avrebbero teso un agguato sul pianerottolo!”, fantasticò. Queste e altre idee passavano nella mente di Isabel, finché ne ebbe una che anche la portinaia avrebbe approvato. «Togliamoci questa vestaglia, mi sono messa in ridicolo abbastanza per oggi», si disse. Raccolse un paio di jeans da terra, se li infilò a fatica talmente erano attillati, indossò una maglietta bianca sotto la quale si intravedevano i capezzoli inturgiditi dei suoi piccoli seni. Si infilò un paio di scarpe da ginnastica e decise che avrebbe prima controllato la sua casella di posta elettronica che non apriva da un 35 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO paio di settimane o forse più, poi avrebbe chiamato il fabbro per far sistemare la serratura. Accese il computer, un vecchio modello ereditato, insieme ai quadri, dalla zia, forse più vecchio persino dell’ascensore – e della portinaia-, si stirò i muscoli del collo mentre attendeva l’accensione e fece alcuni lunghi respiri, come aveva imparato a fare da quando seguiva un corso di yoga alla televisione. Finalmente il computer diede segni di vita. La connessione a internet avrebbe richiesto forse il doppio del tempo necessario ad accendersi. Ripeté l’OM tre volte a occhi chiusi e quando li riaprì la connessione era attiva, anche se debole. Cliccò sull’icona di Internet, le apparve la homepage e digitò TISCALI. Finalmente, dopo un’attesa estenuante, entrò nella sua casella di posta elettronica. «Ma tu pensa quanta pubblicità! Viviamo sommersi dalla propaganda», disse seccata dopo quella tragica scoperta. Selezionò tutte le caselle, cercando di mantenere la calma perché avrebbe voluto buttare nello stesso cestino anche il computer, indirizzò la freccia del mouse sul piccolo bidone semitrasparente, ma a un tratto si fermò. «E questa cos’è? Non sembra pubblicità…», esclamò, vedendo una mail proveniente da un indirizzo a lei noto. «marksantinichiocciolagmailpuntocom», lesse tutto d’un fiato. «Ah, ecco che si fa sentire. Vediamo un po’ cos’ha da dirmi. Si vorrà giustificare per non avermi ancora spedito quella cosa che mi dovrebbe assicurare una cattedra all’Università», disse ridendo 36 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO da sola. Cliccò due volte sopra la mail, poi altre due, stizzita, finché il computer si impallò. «Ma ce l’hanno tutti con me?», sbottò in un attacco d’ira. Fortunatamente il computer tornò a funzionare a dovere. Si aprirono due pagine bianche identiche, alcune icone sembravano lampeggiare, mentre altre si moltiplicavano, nonostante ciò quella carcassa – come la definiva Isabel – ora funzionava a dovere. «Dai, chiuditi!», disse alla pagina di troppo. «No, aspetta un attimo, cosa…Non ci posso credere! Isabel sei un genio!», strillò dandosi un colpo dietro la testa. «Mark ha detto di controllare la posta, intendeva questa posta, non la cassetta delle lettere! Che stupida!» 19 maggio 2011 Cara Isabel, scusa ma l’altro giorno ti ho chiamata da una cabina telefonica e la comunicazione si è interrotta proprio sul più bello (non avevo più monete!). Ero sicuro che avresti capito che si trattava di posta elettronica, così non ti ho richiamata. «Pff…certo, come no!», commentò, mentre leggeva il testo della mail. «Immagino cosa dirai quando saprai cosa facevo tutte le mattine appena alzata…» Il file che ti allego è strettamente confidenziale, nessuno sa che l’ho preso e che te l’ho inviato, Dio solo sa cosa mi succederebbe se l’avvocato Hannah Smith lo scoprisse. Credo ti possa essere molto utile. Devi farti aiutare dal tuo 37 IL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO professore, mi sembra scritto in uno strano alfabeto. Se andrà come prevedo, mi dovrai una cena. A Natale torno in Italia. Prenota alle Murate, sto già assaporando la loro fiorentina! Un bacio, Mark «Un po’ troppo sicuro di sé – e di me – il ragazzo. Mi costerà un capitale quella cena. Vediamo un po’ se ne vale la pena…», borbottò mentre dava il tempo alla carcassa di aprire il pesante allegato. Lesse il titolo del documento, quando finalmente comparve nella sua pienezza: Il quarantacinquesimo parallelo “Perché dovrebbe tornarmi utile?”, pensò. Si mise comoda sulla sedia, spalancò gli occhi davanti alla pagina che si era caricata e sentì un brivido freddo attraversarle la schiena, le labbra seccarsi e un nodo stringerle la gola fino quasi a non farla respirare. Considera la cena già prenotata, mio caro Mark! 38