Il Clima - Castello Banfi
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Il Clima - Castello Banfi
Risorse naturali e genetiche Il Clima Miele S., Marmugi M., Pampana S., Bargiacchi E. Il clima rappresenta una variabile importantissima nella coltivazione della vite, risultando in grado di modificare, anche in maniera sensibile, le produzioni quali-quantitative ottenibili. Esso è una componente essenziale della vocazionalità dell'ambiente e ciò spiega la necessità di comprendere approfonditamente i rapporti tra i vari fattori climatici e le caratteristiche della produzione. Al fine di ottenere i necessari dati climatici, l'Azienda dispone di tre stazioni di rilevamento, situate nelle località di: Santa Costanza, Madonnino e Centro Frutta. I parametri, che vengono misurati giornalmente, sono: temperatura minima e massima dell'aria, precipitazioni ed evapotraspirazione (evaporimetro classe A pan), eliofania e ventosità. Le indicazioni così ottenute possono essere trasferite direttamente nella pratica per il corretto inserimento, nei vari ambienti, dei vitigni di nuovo impianto e per la razionalizzazione delle tecniche colturali (gestione dell'irrigazione di soccorso e dei trattamenti di difesa). Le località di rilevamento identificano i tre principali areali produttivi dell'Azienda: Santa Costanza, la zona collinare della prima espansione (fine anni '70-metà anni '80); Madonnino, che corrisponde ai vigneti di pianura del decennio successivo; Centro Frutta, dove si collocano gli impianti più recenti. In generale, l'intera area si caratterizza per l'alto indice di insolazione e l'elevata ventilazione, fattori che, unitamente all'andamento termo-pluviometrico, contribuiscono a determinare un'evapotraspirazione dal sistema colturasuolo di 5-8 mm al giorno nel periodo maggio-agosto, indipendentemente dalla zona considerata. Ad un'analisi complessiva delle serie storiche, si osserva che la media pluriennale delle rilevazioni meteorologiche evidenzia minime al di sotto dei 5˚C da novembre fino ad aprile, ma che raramente scendono al di sotto dello zero, e valori tra 10˚ e 15˚C da giugno ad agosto. Le massime sono comprese nell'intervallo 10-15˚C nel periodo dicembre-febbraio, mentre – a partire da giugno – superano i 25˚C, con punte di 33˚C in agosto. Nel periodo vegetativo-produttivo (aprile-settembre) la temperatura media è di 19,5˚C, caratterizzando così l'ambiente come temperato-caldo. L'escursione termica media (differenza tra le massime diurne e le minime notturne), così importante ai fini della corretta maturazione dell'uva e del colore dei mosti, è di 16,2˚C in luglio, 16,7˚C in agosto e 14,4˚C in settembre, ma, al riguardo, i valori oscillano a seconda delle annate, con punte fino a 19-20˚C (agosto 2000, 2001 e 2004). L'andamento delle precipitazioni fa rilevare un valore medio complessivo di poco più di 500 mm all’anno di piogge, con ampie variazioni tra le annate. Negli ultimi dodici anni sono risultati particolarmente piovosi il 1992 (705 mm) ed il 1996 (691 mm), mentre si è distinto per la ridotta entità di piogge il 1993 (311 mm), un'annata particolarmente arida anche a memoria d'uomo. Nell'arco dell'anno la piovosità si concentra nei mesi di settembre- novembre, durante i quali è normalmente possibile effettuare la ricarica dei bacini idrici per l'irrigazione di soccorso. Per contro, da gennaio a giugno la piovosità media è dell'ordine di circa 30 mm mese, se si esclude aprile, che talvolta (1998 e 2001) ha palesato precipitazioni abbondanti. Ad un attento esame, le tre aree dell'azienda, pur rientrando tutte quante nella zona Beta (vedi approfondimento), presentano caratteristiche diverse, che consentono di dar luogo ad una gamma molto articolata di condizioni agro-climatiche, da cui deriva la ricca tavolozza di colori, aromi e profumi delle uve della Banfi. Il differente comportamento climatico delle aree è da attribuirsi alla diversa esposizione e giacitura dei comprensori a cui si riferiscono le stazioni di rilevamento. L'esposizione e l'inclinazione delle pendici, influendo sull'angolo di incidenza dei raggi solari, modificano la quantità di radiazione in arrivo sull'unità di superficie di terreno. In considerazione del moto solare, dunque, durante il giorno, la pendice più calda è quella esposta a sud, seguita da quella a ovest e da quella ad est, mentre la più fredda è, ovviamente, quella esposta a nord. Come già accennato, la stazione di Santa Costanza è collocata in una zona più elevata e per questo motivo risente favorevolmente della risalita dell'aria calda verso l'alto; al contrario, le zone di pianura (Madonnino e Centro Frutta) sono interessate dalla discesa delle masse di aria fredda verso la valle. Per questo motivo nei periodi invernali (soprattutto da dicembre a febbraio) a Santa Costanza si rilevano temperature minime leggermente superiori a quelle delle altre due stazioni. Nel periodo primaverile questa condizione di giacitura influenza considerevolmente il rischio di gelate che, infatti, sono meno frequenti nell'area pertinente la stazione di Santa Costanza. In estate, invece, nelle aree di pianura si registrano temperature leggermente superiori a quelle della zona collinare, a causa dell'angolo di incidenza dei raggi solari, rispetto al suolo, che consente di trasferire più calore per unità di superficie e, dunque, di riscaldare più intensamente durante il giorno, ma con un irraggiamento notturno di entità più marcata. Un accenno merita anche la presenza di due corpi idrici, rappresentati dai fiumi Ombrone e Orcia, che influenzano soprattutto le rilevazioni climatiche di Centro Frutta, riducendo le escursioni termiche tra il giorno e la notte. Come è noto l'escursione termica è un dato importante per gli indici bioclimatici di Fregoni e di Gladstones (1992) (vedi approfondimento); infatti questi indici assumono un valore più elevato per la stazione di Madonnino, più lontana da corpi idrici. Proprio la recente valorizzazione dei terreni nell'area Centro Frutta, contraddistinti da temperature medie, in fase di maturazione, maggiori di 2-3˚C, rispetto al resto dell'azienda (a causa di quanto sopra esposto), e da inferiori precipitazioni medie, ha reso necessario rivolgere un crescente interesse allo studio delle tecniche di microirrigazione, nell'intento di ottimizzare le condizioni del processo di maturazione, evitando stress idrici (vedi Capitolo Irrigazione). Infine, non è superfluo sottolineare che permangono aree al di fuori di quelle di competenza delle stazioni di rilevamento esistenti a fine 2004 (Cerralto, Sorrena e Perella) a causa della distanza dalle capannine e della particolare situazione orografica. In una prospettiva già di breve termine (primavera 2005) comunque, anche queste zone sono state interessate da un controllo dei parametri climatici. L'esame dei dati medi per le singole annate ed aree di rilevamento lascia intravedere una certa variabilità, soprattutto nella distribuzione mensile delle piogge. Limitandoci ad analizzare gli ultimi anni si osserva quanto segue. Il caso Banfi Anche per Banfi si è tentato di procedere alla valutazione del terroir determinando i valori assunti dall'indice di Winkler, di Huglin e da quello di Fregoni e Gladstone, in base ai dati climatici rilevati nelle tre stazioni dell'azienda: Santa Costanza (SC), Madonnino (MD) e Centro Frutta (CF), collocate, rispettivamente, nell'area collinare (SC), nella pianura lato fiume Ombrone (MD) e nella pianura lato fiume Orcia (CF). I risultati, riportati nella Tab. 2, evidenziano la variabilità di caratteristiche climatiche che contraddistingue le tre stazioni. Approfondendo l'esame dell'andamento dell'indice di Huglin nell'arco del ciclo della coltura, si nota che fino a circa giugno l'area dominata dalla stazione di Santa Costanza presenta valori più bassi, per poi superare le altre due aree . Indice Stazione CENTRO FRUTTA MADONNINO SANTA COSTANZA Winkler Huglin Fregoni* Gladstone SFI 1923,5 1842,5 1966,5 2745,3 2633,3 2724,8 485,0 506,0 449,0 36,5 69,0 58,5 12,7 13,5 11,2 Precipitazioni atmosferiche e qualità dei vini La maggior parte dei vini di qualità è prodotta in aree dove le precipitazioni annue sono al di sotto dei 700800 mm ed è noto che elevati apporti idrici diminuiscono la qualità. La pioggia abbondante predispone alla rottura degli acini, ad attacchi di Botrytis o di altri agenti fungini, oltre ad indurre, in alcuni casi, ad una vendemmia anticipata. Inoltre, l'eccessiva piovosità può ritardare la maturazione, soprattutto nelle zone alpha, e non consentire il raggiungimento della piena maturità prima della data ultima per la raccolta, diminuendo così la qualità. Sotto il profilo delle precipitazioni naturali, la Banfi risulta contraddistinta da un clima subarido, in quanto storicamente solo in annate eccezionalmente piovose si raggiungono i 700 mm annui. Intensità luminosa La quantità di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) che arriva ai grappoli è di circa 2500 E m-2 s-1 in condizioni di cielo chiaro e di 300-1000 in condizioni nuvolose. Un PAR di 700 è l'optimum per la fotosintesi, mentre da 150 a 300 si colloca il punto di compensazione luminosa sotto il quale le foglie consumano tanti carboidrati quanti ne producono. Maggiore radiazione, sia come intensità che durata, aumenta la produzione ed i solidi solubili, oltre che, ovviamente, determinare temperature più elevate. Venti Possono rompere i germogli e ridurne la crescita, diminuire la dimensione delle foglie e la densità stomatica. Inoltre, possono avere effetto di raffreddamento, riducendo la conduttanza stomatica e i tassi di traspirazione, in sostanza abbassando l'attività fotosintetica ed i livelli di solidi solubili ottenibili. Nel periodo dello sviluppo del grappolo e della maturazione, la concomitanza di elevate intensità luminose e venti caldi rende l'ambiente della Banfi particolarmente incline allo stress idrico, anche se migliora il livello di sanità delle uve. Ad un esame complessivo, offre interessanti spunti alla riflessione la Tab. 3 dove sono raccolti i principali parametri medi del periodo 15 luglio-15 settembre. Suoli e paesaggi del territorio dell’ azienda Lizio Bruno F. Inquadramento ambientale L’evoluzione paleogeografica dell’area di Montalcino, e nello specifico del territorio di Banfi, è direttamente correlata a quella della Toscana; l’evoluzione sedimentaria dei bacini Neoautoctoni è condizionata da un elemento paleogeografico a grande sviluppo longitudinale, rappresentato dalla dorsale Iano-Montagnola Senese-Monticiano- Roccastrada-M.Leoni (Dorsale Medio-Toscana) che, nel Miocene superiore, ha rappresentato un elemento montuoso di separazione fra due aree, una ad occidente ed una ad oriente, nelle quali l’evoluzione sedimentaria miocenica si è sviluppata in maniera indipendente. Con la trasgressione marina pliocenica (innalzamento del livello marino) nei bacini ad occidente della Dorsale Medio-Toscana (ma anche in quelli ad oriente) ha inizio un ulteriore episodio di sedimentazione; in questo periodo, a causa dell’innalzamento del livello marino, la dorsale Medio-Toscana pur costituendo una struttura morfologicamente elevata, viene a perdere il significato di elemento di separazione fra le due aree. Il Pliocene inferiore rappresenta il momento di massima estensione del mare nella Toscana a sud dell’Arno: in questo periodo si trovano zone depresse a forte sedimentazione e zone meno depresse che in parte rimangono emerse. La distribuzione delle litologie (argille, sabbie, conglomerati e calcari detritico organogeni) è legata alla posizione più o meno distale rispetto alle zone rimaste più alte (o più emerse rispetto al livello del mare). A partire dalla fine del Pliocene inferiore tutta l’area comincia a sollevarsi assumendo i massimi valori del sollevamento lungo due fasce: la prima si estende dai monti di Castellina attraverso i monti di Castelnuovo Val di Cecina, le Cornate di Gerfalco, il Poggio di Montieri fino all’area di Boccheggiano; l’altra, più meridionale, è spostata più ad est della zona dell’Amiata, fino alla zona di Bracciano. Questo sollevamento condizionerà la futura configurazione paleogeografica dell’area in esame, determinando un progressivo restringimento delle zone occupate dal mare. Durante questi fenomeni di sollevamento si inserisce l’evoluzione del bacino di Radicofani che, da fossa nel Pliocene inferiore, passa bruscamente ad area in sollevamento nel Pliocene medio, con il ritiro completo del mare dalla zona e di conseguenza dalla Val d’Orcia. Durante il Pliocene superiore – Pleistocene inferiore si verifica in tutta l’area una generale regressione (abbassamento ed arretramento del livello marino) con lo sviluppo di duplici processi sedimentari ed erosivi; l’arretramento del mare verso occidente crea ambienti fluviali e lacustri nei quali la sedimentazione sarà di origine mista, legata cioè alle portate dei torrenti e dei fiumi (si hanno sedimentazioni di origine mista nei quali prevalgono sedimenti fini e grossolani caratterizzati da sabbie fini, limi e da brecce e ciottoli di dimensioni variabili). L’area di Banfi nelle zone di Madonnino e di Pascena è correlata, per il Pleistocene, al sistema fluviale dell’Ombrone e del suo affluente Orcia che ha generato tre ordini di terrazzi: il primo situato fra i 75 e i 100 m s.l.m., il secondo intorno ai 50 m s.l.m., il terzo intorno ai 25 m s.l.m. In particolare i risultati dei processi erosivi e sedimentari che partono dalla confluenza dell’Orcia nell’Ombrone, ed arrivano a lambire il Castello di Banfi costeggiando l’Orcia e l’Ombrone, si rinvengono nel Piano della Ricciardella, Casaccia e Madonnino. Paesaggi di Banfi Il paesaggio che caratterizza il territorio di Banfi presenta una spiccata complessità morfologica- geolitologica: è un susseguirsi di suoli molto vari che dai sedimenti fluviali ed alluvionali posti a quote di 80-100 m s.l.m. passano attraverso una varietà di forme fisiografiche ai paesaggi collinari che raggiungono la quota massima di 330 m s.l.m. in corrispondenza dell'area di Tavernelle, caratterizzata da sedimenti sabbiosi e sabbioso calcarei, con lenti conglomeratiche del Pliocene medio; la geologia dell'area indagata si presenta complessa e contraddistinta in prevalenza da sedimenti del Pliocene marino e del Pleistocene continentale che, con la loro litologia, hanno condizionato la distribuzione dei suoli. Dalla interpretazione della carta geologica emerge che alle quote più elevate troviamo dei sedimenti marini costituiti da sabbie e sabbie calcaree con lenti conglomeratiche Psc con le parti sabbiose da sciolte a diagenizzate soprattutto in profondità; questi sedimenti sono in contatto netto con i sedimenti argillosi ed argilloso sabbiosi del Pliocene Pa, tipici di un ambiente di sedimentazione di mare profondo: si presentano eteropici con le sabbie marine Ps spesso grossolane sciolte o diagenizzate con livelli conglomeratici che caratterizzano la base della formazione. I depositi grossolani passano gradualmente alle sabbie fini con intercalazioni di limi sabbiosi e lenti limose (Pascena-la Pieve-I leccini, ecc.) che possono localmente trovarsi al di sopra delle sabbie grossolane. I depositi pliocenici poggiano stratigraficamente sopra, e si trovano a contatto con, i Conglomerati poligenici a matrice argilloso sabbiosa Mcg che solo sporadicamente sono stati interessati dagli impianti di vigneto: questi depositi sono in contatto spesso tettonico (attraverso faglie) con le marne e le argille grigio azzurre Ma con livelli salini e lenti sabbiose ed elementi sciolti di puddinghe. Queste ultime formazioni sono state tettonizzate in epoche storiche ed interessate da interventi antropici per la realizzazione di versanti rettilinei coltivati a vigneti che hanno portato a riduzioni dello spessore delle formazioni, con affioramenti del substrato spesso ciottoloso e salino; in corrispondenza del Castello di Banfi, affiorano calcari marnosi chiari, marnoscisti UL talvolta prevalenti sulla parte più litoide. Le formazioni descritte sono in contatto netto ed erosivo con i sedimenti pleistocenici situati nelle aree morfologicamente più basse dell'azienda e caratterizzati da conglomerati sciolti o debolmente cementati da una matrice sabbioso-argillosa di colorazione bruno rossastra e da sabbie molto fini, terrazzati; questi sedimenti sono in contatto con i sedimenti alluvionali dei fiumi Orcia ed Ombrone, caratterizzati da limi sabbiosi, ciottoli arrotondati a matrice sabbiosa. Il passaggio ai sedimenti alluvionali avviene attraverso superfici di raccordo con ciottoli abbondanti sciolti e sporadicamente cementati (La Casaccia) e con colluvi a matrice argilloso sabbiosa con scheletro eterogeneo (Centro Frutta) spesso terrazzati. Note geomorfologiche e pedopaesaggistiche L’indagine geomorfologica dell'area è stata finalizzata ad una migliore descrizione delle caratteristiche del paesaggio e dei rapporti esistenti tra morfologia, litologia e tendenza evolutiva dei suoli ed a rappresentare le caratteristiche delle forme del paesaggio, che si modellano a seconda della costituzione litologica e dell’intervento dei fattori climatici, distribuendole all'interno delle unità territoriali di riferimento. Lo studio geomorfologico di un’area costituisce un fondamentale fattore della pedogenesi ed un modello applicativo necessario e preliminare per la comprensione e la rappresentazione cartografica dei tipi di suolo presenti in loco. La morfologia generale dell’area indagata a Banfi è da correlarsi non solo ai processi morfologici di tipo erosivo, ma anche a remoti interventi antropici effettuati per l'esecuzione di coltivazioni arboree specializzate (vigneti). Solo dopo avere approfondito l’indagine morfologica dell’area è stato possibile suddividere il territorio di Banfi in tre ambienti macroscopici: Aree a debole pendenza Caratterizzate da forme di origine prevalentemente fluviale con terrazzi fluviali, conoidi, superfici di raccordo tra terrazzi e fondovalle alluvionali (Madonnino, Casaccia, Cardeta e la parte dei terrazzi e delle alluvioni terrazzate di Pian delle Vigne), con piccole aree caratterizzate da terrazzi alti dell'entroterra (Caciaio, Belcontento, Lavacchio). Questi suoli si presentano ben conservati, pedogeneticamente sviluppati, con forme che li fanno appartenere spesso all'ordine degli Alfisuoli. Aree di ambiente prevalentemente collinare Superfici caratterizzate da versanti rettilinei a debole pendenza ed erosione e versanti debolmente convessi (Tavernelle, S. Costanza, I Leccini, Mirabene, Pascena); zone più regolarizzate con superfici caratterizzate da versanti rettilinei a debole pendenza ed erosione e versanti debolmente convessi (Tavernelle, S. Costanza, I Leccini, Mirabene, Pascena); zone più regolarizzate con affioramento in lenti del substrato argilloso grigioazzurro e sabbioso, caratterizzante versanti rettilinei (Marchigiana, Pod. Nuovo), contraddistinte, altresì, da contatti netti tra litologie sabbiose grossolane ed argillose, con variazioni sia nel drenaggio esterno che interno e forme di erosione variabili, dipendenti anche dalle litologie presenti e dal loro diverso grado di cementazione. I suoli si presentano in maggior percentuale mediamente sviluppati, appartenendo all'ordine degli Inceptisuoli con sporadiche lenti argillose e sabbiose con suoli molto giovani che appartengono all'ordine degli Entisuoli. Aree collinari dove prevalgono anche forme di origine antropica (Collorgiali, Casanuova, Lambertone, Sorrena, Cerretalto) caratterizzate da affioramento di substrati e versanti regolarizzati ed aree antropizzate con eliminazione di dossi, riempimento di valli adiacenti, con formazioni di aree pianeggianti e ripiani. Inquadramento pedoclimatico Il clima del suolo o pedoclima è un fattore da valutare con molta attenzione durante uno studio geopedologico perché molti processi pedogenetici sono direttamente influenzati dal pedoclima. Attraverso l'analisi e l'elaborazione dei dati termo- pluviometrici è stato possibile elaborare un calcolo del regime idrico e termico dei suoli di Banfi anche in base ai dettami della Soil Taxonomy. Si è proceduto alla classificazione del clima adottando uno specifico programma di elaborazione dei dati (Newhall Simulation Model), attraverso il quale sono stati analizzati i valori di precipitazione meteorica di temperatura per una riserva idrica di 150 mm di ausilio per definire il bilancio idrico dei suoli ed il pedoclima dell'area. Caratterizzazione del clima Per quanto concerne i dati termopluviometrici sono stati utilizzati i valori delle precipitazioni e delle temperature (dati storici) relativi alla stazione 051 di Montenero - Grosseto, Lat. 42.55.00 N, Long. 11.30.00 W, quota 300 m s.l.m., forniti da ARSIA-Servizio Agrometeorologico Regionale. Il pedoclima dell'area è risultato essere XERICO. Questo genera un regime idrico Xerico dove la sezione di controllo si presenta asciutta in ogni sua parte per 45 o più giorni consecutivi nei 4 mesi successivi al solstizio estivo. È stato stimato anche il regime termico dei suoli dell’area studiata che è risultato essere TERMICO ossia caratterizzato da valori della temperatura media del suolo con temperature del suolo uguali o maggiori di 15˚C, ma inferiori a 22˚C. I dati raccolti hanno permesso di classificare i suoli dell'area di Banfi e di collocarli a livello di Grande Gruppo secondo la classificazione adottata dalla Soil Taxonomy. Base Cartografica Carta geologica d'Italia, in scala 1:100.000 • Fogli 120-128. Carta geologica in scala 1:50.000 (da "Carta Geologica del bacino Cinigiano-Baccinello" Carobbi-Landi-Sani-Tanini, Università degli Studi di Firenze). L’analisi fotointerpretativa è stata condotta su foto aeree in scala 1:33.000 (volo Regione Toscana 30.03.1998). Redazione carta pedologica: Metodologia Prima di redigere la carta pedologica di Banfi si è proceduto in via preliminare alla ricerca di tutte le informazioni ed alla raccolta dei documenti necessari per la migliore comprensione possibile del territorio: particolarmente importante in questa fase si è rivelata la ricostruzione storica dell’area che ci ha permesso di comprendere la morfologia dei territori aziendali prima delle modifiche che sono state apportate in loco dagli interventi antropici e dalle sistemazioni agrarie. Dopo questa prima fase di ricerca siamo passati all’elaborazione del materiale cartaceo e fotografico attraverso la fotointerpretazione che ha consentito di approfondire l’iter evolutivo dei suoli e del loro uso negli ultimi decenni e di individuare quelle aree omogenee per intensità di processi morfogenetici, che sono dette Unità fisiografiche; è stata redatta anche una prima carta di lavoro e di programma- zione del rilevamento di campagna. A questa prima indagine è seguita quella di conferma delle litologie presenti attraverso un rilevamento puntuale di campagna durante la quale sono state anche acquisite le informazioni sulla variabilità dei principali caratteri pedologici dei suoli guida e sono state confermate l’unità fisiografica e la litologia. Dalla correlazione tra queste informazioni e le indicazioni derivanti dalle descrizioni delle caratteristi- che del paesaggio (morfologia litologica, drenaggio interno, erosione, uso del suolo...) siamo arrivati alla suddivisione del territorio aziendale in aree omogenee per suolo: sono state così individuate le Unità pedologiche. A questo punto si è proceduto con la “campagna dei profili” per la descrizione e classificazione dei suoli presenti nell’area, sono stati scelti in via preliminare dei siti dove aprire i profili pedologici (delle trincee aperte con un mezzo meccanico) più rappresentati- vi dei tipi di suolo presenti in loco anche attraverso la descrizione dei loro caratteri fisici e chimici: per ogni profilo sono stati prelevati anche dei campioni di suolo per strato (o orizzonte rappresentativo) ed inviati al laboratorio per le analisi chimiche. Il fine dell’utilizzo di questa metodologia è quello di ottenere la migliore conoscenza possibile delle qualità dei suoli e del loro comportamento idrico. Sono stati a questo fine analizzati anche i dati relativi alla tessitura dei suoli, al colore, alla presenza di carbonati, al pH, alla sostanza organica, alla composizione in elementi minerali ed alla C.S.C. o capacità di scambio cationico. Il numero dei profili aperti per ogni unità cartografica del territorio di Banfi è stato considerevole in relazione alla notevole variabilità dei suoli presenti all’interno di una stessa unità cartografica. Da ultimo i suoli sono stati descritti indicandone la classificazione, la simbologia cartografica, le caratteristiche fisico- chimiche principali, nonché le principali limitazioni. Alla parte conoscitiva dell'ambiente e dei suoli vitati della Banfi è correlata la stesura della carta geopedologica in scala 1:25.000 a cui è stata allegata una legenda, nella quale vengono riassunte le informazioni relative agli ambienti, al substrato ed al paesaggio, le consociazioni di suoli, con relativa sigla, che permette una lettura immediata delle caratteristiche pedologiche più importanti. La carta pedologica è in scala 1:25.000. La zonazione viticola Scienza A. , Brancadoro L. Premessa Le indagini di zonazione viticola, come oggi le conosciamo, hanno avuto inizio nei primi anni ’80, quando nei paesi di più antica tradizione viti-enologica (Italia e Francia) si è cercato di superare il dualismo che da sempre contrapponeva due modi contrastanti di leggere le produzioni enologiche: uno, tipico dei paesi produttori del vecchio continente, che individuava nell’ambiente di coltivazione il punto cardine della qualità di un prodotto, e l’altro, riferibile ai paesi di viticoltura emergente (California, Cile, Australia, ecc.), che eleggeva il vitigno come principale fautore delle caratteristiche di un vino. Con gli studi di zonazione viticola si è cercata una nuova chiave di lettura che meglio potesse interpretare i risultati enologici, superando gli schemi fino ad allora adottati. Le zonazioni viticole, attraverso lo studio accurato dei rapporti che si instaurano tra vitigni coltivati, caratteristiche ambientali, e l’azione dell’uomo, cercano di valutare le potenzialità produttive e qualitative dei diversi ecosistemi viticoli, attraverso schemi di interpretazione innovativi, riunendo i due punti cardine, prima contrapposti, in un unico concetto: quello dell’interazione Vitigno-Ambiente. L’approccio così introdotto dalla zonazione ha rappresentato una vera e propria “rivoluzione culturale” che porta a concepire il vigneto non più come una serie di elementi disgiunti, da studiare e gestire in maniera distinta, ma come un sistema di fattori armoniosamente integrati tra loro e concorrenti al risultato finale: il vino (Falcetti, 1999). Nel corso di questi decenni, grazie ai progressi scientifici e tecnologici, le procedure attraverso le quali vengono realizzate queste indagini si sono via via perfezionate ed arricchite permettendo così una definizione e valutazione sempre più efficace dei fattori che costituiscono i diversi modelli viticoli caratterizzanti le differenti regioni viticole. Questi modelli, così determinati, rappresentano la base conoscitiva necessaria all’interpretazione, attraverso un approccio ecofisiologico, dell’interazione Vitigno-Ambiente. Questa evoluzione delle metodiche non ha d’altra parte modificato i criteri su cui si basa il protocollo sperimentale di una zonazione: • Approccio all’indagine interdisciplinare e integrato delle competenze agronomiche, pedologiche, climatiche, enologiche e informatiche. • Studio dell’interazione tra Vitigno e Ambiente. • Analisi sensoriale dei vini prodotti in ciascun ambiente. Tanto meno ha spostato l’obiettivo di queste indagini il cui scopo è: individuare, nell’ambito di un’area, unità di territorio, definite Unità Vocazionali (UV), nel cui ambito le prestazioni vegetative, produttive e qualitative di un dato vitigno si possano considerare sufficientemente omogenee, in condizioni confrontabili di sistema colturale (portinnesti, forma di allevamento, sesto d’impianto, intensità di potatura, ecc.) - Failla et al., 1998. D’altra parte l’individuazione di queste unità vocazionali non ha l’intento di stilare una graduatoria qualitativa delle produzioni ottenute nelle diverse aree, ma di valutare le risposte adattative dei vitigni alle diverse condizioni pedoclimatiche che caratterizzano ciascuna zona di produzione. In altre parole il prodotto di un dato vitigno non può essere rigidamente definito, ma è la gamma delle sue espressioni determinate dall’influenza dell’ambiente. Questa gamma di prodotti può essere vista come la capacità di reazione di un vitigno all’ambiente. Si parla infatti di vitigni più o meno reattivi alle diverse condizioni pedoclimatiche e la stessa vocazionalità di una zona, nonché la scelta varietale in essa operata, sono strettamente legate a tale reattività (Scienza et al., 2003). La conoscenza di queste risposte adattive è la base necessaria allo sviluppo e alla scelta di appropriate tecniche agronomiche ed enologiche atte alla valorizzazione delle produzioni, facendone risaltare la tipicità dei diversi terroir (ottimizzazione dell’interazione Vitigno-Ambiente). Schema sinottico del lavoro di Zonazione Viticola (rielaborato da Failla et al., 1998) Indagini e rilievi di campo Indagini Preliminari Indagine pedologica e redazione della carta delle unità di pedo-paesaggio; indagine climatica Scelta delle parcelle Delimitazione di parcelle rappresentative delle condizioni del pedo-paesaggio e delle scelte agronomiche Raccolta dei dati Fenologia, Funzione vegetoproduttiva, Funzione qualitativa, Cinetiche di maturazione, Stato nutrizionale, Profilo sensoriale dei vini Elaborazione dei dati Scelta delle Variabili Guida Sulla base del loro significato fisiologico, agronomico ed enologico si selezionano grandezze delle funzioni vegetoproduttiva e qualitativa con elevato potere discriminatorio Studio di Gruppi Omogenei di Parcelle In base alle variabili guida e sulla base di variabili ambientali e delle variabili viticole, definizione di Unità Vocazionali Prop osta di Modello V iticolo Definizione di Unità Vocazionali sulla base di variabili guida coerenti in termini fisiologico-agronomici con le condizioni ambientali e viticole Validazione del Modello V iticolo Verifica delle differenze nelle prestazioni vegetoproduttive e qualitative tra le Unità Vocazionali secondo modelli statistici Prodotti dell’indagine Carta delle vocazionalità e altre carte tematiche atte ad interpretare il modello viticolo individuato Le qualità del vino Nonostante il mondo scientifico abbia affrontato da tempo il problema della qualità del vino, non è ancora facile determinare con rigore quali siano i contributi effettivi del clima, dell’ambiente fisico e delle pratiche colturali e di cantina sulla qualità dei vini ottenibili (Jackson e Lombard, 1993). Come emerge dalla letteratura scientifica al riguardo, la gerarchia dei fattori, nel determinare la qualità di un prodotto, muta a seconda delle condizioni in cui l’indagine viene condotta. Questo fa capire come l’influenza dell’ambiente sulla qualità delle produzioni enologiche debba essere ricercata nell’insieme delle sue componenti e non nei singoli fattori che lo compongono, terreno e clima. Il “terroir”, concetto caratterizzato dall’associazione clima-suolo-vitigno è quello che meglio descrive questo insieme di fattori ambientali e la loro interazione con il vitigno. Per poter comprendere correttamente il concetto di qualità di un vino è pertanto necessario distinguere tra una qualità innata, attribuibile all’interazione Vitigno-Ambiente (tipicità) ed una qualità acquisita, rappresentata dal risultato delle modificazioni apportate dall’uomo mediante le tecniche agronomiche ed enologiche con l’intento di esaltare nel vino i caratteri peculiari delle uve (Scienza, 1992). L’insieme di queste due qualità, a cui si aggiungono altre qualità più o meno legate effettivamente al prodotto, realizzano la “qualità percepita” dal consumatore per un dato prodotto. Tenuto conto del fatto che negli ultimi decenni i progressi delle tecniche enologiche e viticole hanno migliorato di molto la qualità “acquisita” dei prodotti, bisogna puntare l’attenzione sulla componente “innata”. Per raggiungere l’obiettivo ormai strategico della viticoltura, produrre vini originali e non banali, è necessario pertanto incrementare quella quota della qualità del vino legata al terroir (“qualità innata”). Le vie per ottenere questo risultato sono diverse e coinvolgono la selezione clonale e mescolanze clonali, creazione di nuovi vitigni, un miglior utilizzo delle risorse del sito attraverso opportuni portinnesti, forme di allevamento, tecniche di intervento al suolo, tutte modalità che hanno lo scopo principale di ottimizzare il rapporto tra il vitigno e l’ambiente di coltivazione. La zonazione aziendale L’approccio scientifico su questo tema, come detto, è relativamente recente e non ancora universalmente accettato per la quantità di variabili da studiare e per i complessi rapporti di interdipendenza che legano la risposta globale della vite attraverso il terroir sul vino. Spesso, inoltre, malgrado nella maggioranza dei casi sia possibile dimostrare uno stretto rapporto tra le Unità Vocazionali e le tipologie del vino, molto più complessa si rivela la valorizzazione di queste diversità, e quindi le ricadute sul prodotto finito il più delle volte sono ridotte. Questo avviene, in particolare, quando questo tipo di indagini viene realizzato su comprensori di elevate dimensioni, come possono essere quelli di una denominazione di origine e/o addirittura di intere circoscrizioni provinciali. Più efficaci appaiono, sul piano delle ricadute qualitative sul prodotto, le cosiddette micro zonazioni che consentono di valutare il ruolo delle variabili che compongo il modello viticolo che esercitano un’ azione diretta sulla composizione delle uve (Fig. 2 e 3). Le misure meso e microambientali rappresentano gli strumenti adatti per valutare i risultati dell’interazione “Vitigno X Ambiente” ed intervenire dove tale situazione è sotto espressa per la sua ottimizzazione. Sono gli interventi di tecnica colturale che riescono a controllare gli scambi tra apparato radicale e chioma e, all’interno di questa, tra la fase vegetativa e quella produttiva della pianta, con la scelta del portinnesto, delle tecniche di intervento al suolo, con la scelta della forma di allevamento, ecc. I risultati di queste scelte, per l’ottimizzazione del vitigno con l’ambiente, sono oggettivamente valutabili, prima della trasformazione enologica, nell’andamento delle cinetiche di maturazione delle uve rispetto a tre gruppi di sostanze: • sostanze di accumulo: zuccheri, potassio, tannini dell’epidermide, antociani, terpeni, amminoaci di, norisoprenoidi; • sostanze di degradazione: acidi organici, tannini poco polimerizzati dell’epidermide e dei vinaccioli, metossipirazine, carotenoidi; • sostanze di reazione: da fenomeni di glicolisazione, di polimerizzazione tra tannini ed antociani, tannini e polisaccaridi, tannini e proteine. La zonazione aziendale della Banfi Il metodo di indagine della zonazione aziendale Banfi Questa indagine è il primo esempio italiano di zonazione aziendale condotta su una scala così ampia. L’azienda ha nel territorio del comune di Montalcino una superficie vitata di oltre 850 ha, realizzata in massima parte con varietà a bacca rossa; prevalgono Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot. Il progetto di zonazione ha preso in considerazione proprio queste tre varietà sia per l’importanza qualitativa dei prodotti realizzati con questi tre vitigni, sia per la superficie aziendale investita. Sulla base dello studio pedologico e climatico realizzato, i risultati del quale sono riportati nella presente pubblicazione, si sono individuati sul territorio i vigneti guida (Tab.1) rappresentativi delle diverse condizioni pedologiche e climatiche nonché delle condizioni colturali presenti in azienda. Su questi vigneti nel periodo 1998-2002 sono state condotte le indagini agronomiche ed enologiche volte ad analizzare l’interazione genotipo per ambiente. Queste hanno riguardato: Cinetica di maturazione delle uve, seguita nel periodo tra la piena invaiatura e la vendemmia, con particolare riferimento alla componente fenolica ed antocianica delle uve (Tab. 2). • Caratterizzazione dal punto di vista vegetativo, produttivo e qualitativo delle uve al momento della vendemmia (Tab. 3). • In ogni anno per ciascun vigneto guida, vinificazione attraverso una trafila standard di circa 1,5 t di uva. • Caratterizzazione chimico fisica dei vini, mediante analisi volte a valutare le caratteristiche dei vini prodotti; queste sono state realizzate alla svinatura e dopo circa 8 mesi di stoccaggio, prima dell’imbottigliamento. Caratterizzazione organolettica dei vini. Dopo circa sei mesi dall’imbottigliamento i vini sono stati sottoposti ad analisi sensoriale con l’ausilio di un panel di degustatori allenati . • Nella primavera del 2001 nei vigneti guida più rappresentativi è stata condotta un’indagine sullo sviluppo degli apparati radicali con il metodo della trincea. • Dal 2000, nei vigneti guida più rappresentativi, sono stati rilevati valori tensiometrici per la valutazione dei rapporti acqua-suolo-vite. • Al termine della raccolta dei dati si è proceduto alla loro elaborazione statistica. La degustazione dei vini ottenuti dai diversi vigneti guida rappresenta uno dei punti cardine dell’indagine di zonazione viticola. La metodologia adottata si basa sull’uso di schede parametriche astrutturate e su panel di degustatori allenati. Le schede, preparate per ogni singolo vitigno (qui è riportata a titolo esemplificativo quella utilizzata per il Sangiovese), sono realizzate dallo stesso panel che durante alcune sedute di degustazione selezionano i descrittori olfattivi (fruttato, speziato, fenolico, ecc.) e gustativi (acido, astringenza, ecc.) che meglio riescono a descrivere i prodotti in esame. Questa metodologia permette di creare un vocabolario comune tra i diversi componenti del panel, fatto che permetterà ai degustatori, al momento di realizzare l’analisi sensoriale con la scheda parametrica astrutturata, di avere gli stessi riferimenti descrittivi e quindi di valutare i vini in modo più oggettivo. Tab. 2 - Metodologie seguite per la determinazione dei parametri relativi alle cinetiche di maturazione A partire dalla piena invaiatura, con cadenza settimanale, in ciascun vigneto guida è stato realizzato un campionamento di circa 1.2001.500 g di uva mediante raccolta di racimoli prelevati dalle varie porzioni del grappolo in modo completamente randomizzato. Sul campione così prelevato venivano determinati i seguenti parametri Parametro Metodo Parametro Peso medio della bacca (g) Peso di tre campioni di 100 bacche Zuccheri (˚Babo) Densimetro pH Per via potenziometrica Acidità Titolabile (g/L in acido tartarico) Per titolazione fino a pH 8,2 con NaOH 0,1N Acido Malico (g/L) Per via enzimatica Metodo Antociani estraibili a pH 1 Glories e collaboratori (SaintCricq de Gaulejac et al., 1998). Glories e collaboratori (Saint-Cricq de Gaulejac et al., 1998). Antociani estraibili a pH 3,2 Lettura spettrofotometrica a 280 nm Polifenoli Totali Glories e collaboratori (SaintCricq de Gaulejac et al., 1998). Indice EA Glories e collaboratori (Saint-Cricq de Gaulejac et al., 1998). Indice TV Tab. 3 - Metodologie seguite per la determinazione dei parametri vegetativi, produttivi e qualitativi In ciascun vigneto guida è stata identificata una parcella rappresentativa della condizione del vigneto, costituita da alcune decine di viti. All’interno di queste subparcelle, su un campione rappresentativo di 6 piante, annualmente sono stati determinati i seguenti parametri. Parametro Metodo Parametro Metod Gemme ceppo (n˚) Numero di gemme ordinarie lasciate con la potatura invernale Produzione ceppo Peso complessivo dell’uva prodotta per pianta (kg) Gemme cieche (%) 100 x (gemme cieche/gemme totali) Peso medio del grappolo Produzione a ceppo/N˚ grappoli a ceppo Germogli fertili a ceppo (n˚) Numero dei germogli uviferi per pianta Zuccheri (˚Babo) Densimetro Grappoli a ceppo (n˚) Grappoli a ceppo (n˚) pH Per via potenziometrica Fertilità reale delle gemme Numero medio di grappoli per germoglio Acidità Titolabile (g/l Ac. tartarico) Per titolazione fino a pH 8,2 con NaOH 0,1N Analisi delle cinetiche di maturazione nella stima della vocazionalità ambientale L’inizio della maturazione (invaiatura) e il suo decorso dipendono in primo luogo dalla varietà, ma anche dalle condizioni fisiologiche della pianta e da quelle ambientali. In genere si può affermare che viti con elevati carichi produttivi, e nell’ambito della stessa pianta grappoli grandi, tendono ad invaiare più tardivamente e ad avere un accumulo di zuccheri più lento, e questo in modo particolare se le condizioni ambientali sono favorevoli allo sviluppo delle bacche o più in generale ad un eccessivo rigoglio vegeto- produttivo della vite; al contrario leggeri stress idrici e nutrizionali tendono a favorire un anticipo della maturazione. Oltre a quanto sopra riportato, non è da dimenticare che l’efficienza, l’entità e la durata dell’apparato fogliare sono determinanti sulla persistenza e l’intensità nell’accumulo zuccherino nelle bacche. La degradazione dell’acidità è conseguenza del ritmo di accumulo, ma anche del regime termico e idrico a cui la vite è sottoposta nel periodo della maturazione. L’accumulo di sostanze coloranti è in parte correlato all’accumulo zuccherino e la sua sintesi è stimolata dalla luminosità e da decorsi meteorologici freschi. I dati riportati nel presente paragrafo rappresentano i valori medi registrati nel quinquennio di sperimentazione condotta presso l’Azienda Banfi. I dati raccolti nei cinque anni sono stati riportati su una scala temporale standardizzata, dove si è assunto come 1˚ giorno della piena invaiatura, in ciascuno dei 5 anni, il giorno in cui la media dei vigneti guida ha raggiunto il valore di zuccheri pari a 16˚ Babo (per ulteriori chiarimenti sul metodo si rimanda a Failla et al., 2003). Attraverso lo studio delle cinetiche di maturazione, che permette di comprendere in modo migliore i risultati qualitativi che si riscontrano al momento della raccolta, dando indicazioni di estrema importanza su come la vite è giunta a fornire un dato risultato finale, si vuole esporre come questi fenomeni si sono realizzati nelle diverse Unità Vocazionali (UV) individuate. C a b e r n e t S au v i g n o n Le tre UV hanno mostrato di diversificarsi nel decorso della maturazione, in modo statisticamente significativo, fin dai primi campionamenti, e in particolare per i parametri di peso medio della bacca (Fig. 1a) e contenuto in acido malico (Fig.3a). Per queste due grandezze l’UV CS3 mostra i valori nettamente minori, a cui fanno seguito anche alti tenori zuccherini (Fig. 2a), fatto che fa classificare questa UV come precoce; d’altro canto i dati mostrano anche come le uve di Cabernet S., in questo sito, abbiano valori di antociani estraibili a pH 3,2 inferiori alle altre due UV, differenze che con il progredire della maturazione diventano statisticamente significative. L’insieme di queste informazioni messe in relazione con le caratteristiche dei suoli di questa UV, tessitura grossolana dei terreni, scarsa profondità, ridotta AWC, indicano come in questo ambiente il Cabernet S. soffra di una ridotta disponibilità idrica fin dall’invaiatura, fatto questo che non permette un regolare decorso delle cinetiche di accumulo e di degradazione delle sostanze monitorate durante la maturazione, portandolo al momento della raccolta ad avere una maturazione tecnologica sufficiente e una ridotta maturazione fenolica. Per le altre due unità si hanno differenze significative per i valori di acido malico per i primi due campionamenti, mentre per gli altri parametri non si sono riscontrate differenze con validità statistica. In genere L’UV CS2, caratterizzata per avere terreni franco sabbiosi di media profondità e con buoni valori di AWC, presenta al momento della piena invaiatura valori intermedi di peso della bacca e di antociani, bassi tenori di acido malico e di zuccheri. Questo ritardo di accumulo zuccherino risulta persistere durante la maturazione, senza però causare alla fine differenze di rilievo, mentre i valori di antociani mostrano una cinetica particolarmente intensa, soprattutto nell’ultima fase, che porta le uve di questa UV, al momento della raccolta, ad avere i valori medi più alti. In questa UV il decorso della maturazione delle uve ha avuto mediamente, nel corso del quinquennio, un andamento regolare che ha permesso di raggiungere buone maturazioni fenoliche delle uve e al contempo una loro maturazione tecnologica non dissimile dalle altre UV. Infine l’UV CS1 è quella che ha mostrato, nei cinque anni, gli andamenti di maturazione più regolari. In questa UV decorsi dei vari parametri analizzati mostrano andamenti ottimali in tutti i casi attestandosi ai valori medi maggiori. La composizione dei terreni, a tessitura più fine rispetto a quelli delle precedenti UV, la loro elevata profondità e AWC, fanno sì che la maturazione del Cabernet S. non sia influenzata da carenze idriche almeno nella prima parte della stagione, fatto desumibile dallo sviluppo della bacca che presenta in questo periodo aumenti regolari; al contempo gli alti tenori zuccherini fin dai primi campionamenti fanno rientrare questa UV tra quelle precoci. Questi dati permettono di giudicare ottimale sia la maturazione tecnologica che fenolica delle uve Cabernet S. in questa UV. Merlot La cinetica di maturazione dell’UV ME1 si è differenziata, nel quinquennio, in modo netto da quella dell’UV ME2. In generale si può osservare come il Merlot nella prima UV mostri andamenti di accumulo e di degradazione più regolari rispetto alla seconda UV. Lo sviluppo della bacca, ad esempio, risulta differenziarsi in modo statisticamente significativo, e a valori medi maggiori, durante tutto il decorso della maturazione, eccezion fatta per il primo punto. Il contenuto zuccherino risulta sempre maggiore nell’UV ME1 e questa differenza assume una significatività statistica al momento della raccolta. I valori di acido malico, nell’UV ME1, risultano molto superiori nelle prime fasi; poi, attraverso una degradazione continua e regolare, arrivano a valori uguali a quelli registrati per la UV ME2, per i quali si assiste ad un decorso della degradazione acidica anomalo in quanto le uve presentano valori estremamente ridotti fin dai primi campionamenti, la cui causa è riconducibile a fenomeni di stress all’inizio della maturazione. Anche per il contenuto in antociani estraibili a pH 3,2 si sono registrati valori superiori nell’UV ME1 dove si osserva un accumulo che arriva a plateau in prossimità del 19˚ giorno dalla piena invaiatura, mostrando un decorso perfettamente fisiologico, mentre per la seconda UV i valori tendono a crescere anche successivamente. Le differenze evidenziate tra le due UV sono da ricondurre alle caratteristiche idriche dei loro suoli, in relazione alla particolare sensibilità alla siccità di questo vitigno. I suoli dell’UV ME1 sono caratterizzati da una buona profondità e AWC, mentre non presentano contenuti salini elevati; al contrario l’UV ME2 presenta suoli di ridotta profondità e con insufficienti valori di AWC accompagnati da una conducibilità elettrica elevata, indice, quest’ultimo, di elevata concentrazione salina dei terreni. La combinazione di questi fattori porta il Merlot dell’UV ME2 a risentire di carenze idriche fin dalle prime fasi della maturazione che non permette al vitigno di realizzare una buona maturazione sia tecnologica sia fenolica delle uve, cosa riscontrabile invece nell’UV ME1. Sa n g i o v e S e Come già largamente risaputo dai viticoltori, e riscontrato anche in questo lavoro, il Sangiovese, per le sue peculiarità, è risultato particolarmente reattivo alle condizioni pedoclimatiche di coltivazione. Questo emerge chiaramente dalle cinetiche di maturazione, registrate nel periodo 1998-2002, e qui riportate. Si può osservare come per tutti i parametri qui riportati emergano durante il decorso della maturazione differenze statisticamente significative tra le Unità Vocazionali. Nell’UV SG1, i cui suoli sono freschi, profondi, a tessitura fine e con un AWC stimata elevata, il Sangiovese ha fatto rilevare andamenti della maturazione che portano a classificare questa UV come tardiva. Infatti, in questo caso si rilevano i maggiori valori iniziali di acido malico, in concomitanza a bassi tenori zuccherini. Durante il prosieguo della stagione il tenore di questo acido, nelle uve, tende a diminuire rapidamente portando il Sangiovese di questa UV alla vendemmia ad avere valori intermedi rispetto alle altre Unità. Allo stesso tempo, si registrano incrementi zuccherini tali da permettere alle uve di SG1 di raggiungere, al momento della raccolta, una buona maturazione tecnologica. Per il contenuto di antociani estraibili a pH 3,2 l’UV SG1 mostra, durante tutto il decorso della maturazione, i valori più bassi e statisticamente inferiori all’UV SG4, fatto questo che indica una non ottimale maturazione fenolica delle uve. Anche per l’UV SG2, i cui suoli presentano una percentuale di sabbia maggiore, rispetto all’Unità precedente, ma rimangono profondi, freschi e con buona AWC, il Sangiovese ha mostrato nel quinquennio un leggero ritardo della maturazione tecnologica nella prima fase, imputabile più all’elevato contenuto di malico che non ad un ritardo di accumulo di zuccheri. Con il progredire della stagione questo leggero ritardo, non statisticamente significativo, permane, senza però avere ripercussioni negative sulla maturazione tecnologica finale delle uve, che risulta buona. Al contempo la cinetica di accumulo di antociani mostra andamenti positivi, con rapidi incrementi di materia colorante, che arrivano a plateau precocemente (intorno al 18˚ giorno). Questo permette di giudicare in modo positivo anche la maturazione fenolica delle uve Sangiovese all’interno della presente UV. La terza UV per il Sangiovese, i cui suoli sono mediamente profondi e con tessitura franco sabbiosa, mostra andamenti di accumulo di zuccheri e di degradazione dell’acido malico più intensi, rispetto alle Unità precedentemente descritte. Questo fa classificare questa unità come mediamente precoce, ed anche in questo caso il giudizio è legato in modo particolare al contenuto di acido malico, che risulta, durante tutta la maturazione, leggermente minore rispetto alle Unità più tardive. Al momento della raccolta le uve hanno presentato, mediamente nel quinquennio in esame, un ottimo rapporto zuccheri acidi, mostrando così una maturazione tecnologica ottimale. La maturazione fenolica delle uve nelle prime fasi è risultata, negli anni, mediamente in ritardo rispetto alle altre zone, dato che si evince dall’accumulo di antociani estraibili a pH 3,2. Questo ritardo, grazie a cinetiche intense e continue, al momento della maturazione viene colmato, portando il Sangiovese dell’UV SG3 a valori paragonabili, e non statisticamente diversi, alle altre migliori UV. Infine l’UV SG4, i cui suoli si caratterizzano per l’alto contenuto salino che, aumentando il potenziale osmotico del terreno, provoca accentuati fenomeni di carenza idrica; questo fa sì che i risultati qui ottenuti si scostino in modo sostanziale da quelli delle altre UV. Questo effetto di stress idrico è ben comprensibile osservando i dati del peso della bacca (Fig 1c). Nel caso dell’UV SG4 si può osservare come il valore medio di peso della bacca sia nettamente inferiore e statisticamente diverso da quello delle altre Unità durante tutto il decorso della maturazione, fatta eccezione dell’ultimo campionamento, dove perde di significatività; pertanto questo dato fa comprendere come, in questi suoli, la carenza idrica per le vite sia accentuata fin dai primi momenti. Le conseguenze di questa condizione sull’ andamento della maturazione delle uve sono una forte accelerazione di tutti i processi che avvengono in questa fase che porta a classificare l’UV come precoce. Infatti sia i tenori zuccherini, significativamente superiori a quelli delle altre unità fin dai primi momenti della maturazione, sia i valori di acido malico, significativamente inferiori, dimostrano questo andamento particolarmente veloce della maturazione del Sangiovese in questa Unità. Tale andamento è confortato ulteriormente dall’analisi della cinetica di accumulo degli antociani. Per questo parametro l’UV SG4 mostra di possedere i valori maggiori tra quelli riscontrati mediamente nel quinquennio, ma una lettura più approfondita del dato porta a sottolineare come la curva, pur raggiungendo valori estremamente alti, non tenda a flettere, come vorrebbe un andamento rispondente alla fisiologia della pianta, e come avviene nelle altre UV, ma continui la sua crescita, fatto che porta a concludere che le uve Sangiovese qui coltivate hanno subito, mediamente nel quinquennio, fenomeni di surmaturazione. I dati esposti in questo paragrafo mostrano come l’influenza dell’ambiente di coltivazione sia determinante nei processi maturativi delle uve e come lo studio di questi andamenti possa spiegare al meglio le differenze che si riscontrano tra i risultati finali al momento della vendemmia. È inoltre da sottolineare l’importante relazione che, in questo ambiente di coltivazione e per tutti i vitigni in indagine, emerge tra le caratteristiche chimiche delle uve, lo sviluppo della bacca e le proprietà idriche dei suoli. I rapporti acqua-suolo e loro influenza nella qualità delle uve Nei vigneti guida individuati per i vitigni Sangiovese e Cabernet Sauvignon a partire dalla primavera del 2000 è stato monitorato lo stato idrico dei suoli mediante sensori a resistenza elettrica, posti lungo il profilo alla profondità di 30 e 70 cm; i dati sono stati rilevati con cadenza settimanale. In generale il monitoraggio del potenziale idrico dei suoli, realizzato nel triennio 2000-2002, ha permesso di studiare l’andamento medio della disponibilità idrica nei suoli rappresentativi di tutte le quattro UV del Sangiovese e delle due UV, più rappresentative per estensione, del Cabernet S. Per brevità sono esposti solo i dati relativi al Sangiovese. Questi mostrano come la disponibilità idrica per la vite, indifferentemente nei diversi terreni, sia decrescente dall’allegagione all’invaiatura, momento in cui si registrano i livelli idrici minori, dopodiché lo stato idrico tende ad aumentare con il procedere della maturazione fino ad arrivare al momento della vendemmia, quando ritorna ai medesimi livelli registrati in allegagione. Questo dato è in accordo con l’andamento climatico che si riscontra normalmente nell’area di Montalcino, dove di norma il periodo tra luglio e agosto, momento in cui cade l’invaiatura del Sangiovese, risulta quello più asciutto e caldo (a tal proposito si rimanda allo specifico capitolo sul clima della presente pubblicazione). Una più approfondita analisi dei dati riportati in figura 1 mette in evidenza sostanziali differenze tra le quattro Unità Vocazionali del Sangiovese, differenze che sono risultate particolarmente marcate per i valori raccolti alla profondità di 70 cm. In dettaglio, risulta che l’UV SG1 è quella con la maggiore disponibilità di acqua nel suolo durante tutta la maturazione delle uve, ed in particolare nel periodo che va dall’invaiatura alla raccolta, dove i valori di potenziale idrico scendono sotto il valore di –100kPa, misura soglia per l’acqua facilmente disponibile per la pianta, solo per un breve periodo rispetto a quello registrato per le altre UV. Queste ultime, infatti, hanno fatto registrare, nel triennio, valori medi inferiori ai –100kPa per tutto il tempo che intercorre tra la fase fenologica dell’invaiatura e la raccolta delle uve, con punte inferiori ai –150kPa rilevate, in particolare, per l’UV SG4. Questa ultima informazione porta a stabilire che il Sangiovese, in queste tre unità, di norma svolge la sua maturazione in condizioni di stress idrico che vanno dal lieve, livelli inferiori ai –100kPa, al forte, livelli inferiori ai –150 kPa. Questi differenti livelli di disponibilità idrica sono risultati influenzare in modo determinante le risposte qualitative del Sangiovese. In particolare, si sono individuate relazioni negative e statisticamente significative tra il potenziale idrico dei suoli e il contenuto in zuccheri ed antociani estraibili a pH 3,2. Questo dato conferma, anche per il Sangiovese, quanto altre numerose ricerche hanno dimostrato (Poni, 2000) e cioè che una moderata condizione di stress idrico favorisce in generale la maturazione delle uve. In particolare, nel presente caso, la maturazione fenolica delle uve risulta avere i maggiori benefici da condizioni di carenza idrica. Una ulteriore analisi dei dati riportati in figura 2a e 2b mostra anche come per il Cabernet S. non siano riscontrate queste relazioni, dimostrando ancora una volta non solo come l’interazione tra il genotipo e l’ambiente di coltivazione sia il fattore determinante delle risposte vegeto- produttive e qualitative della vite, ma anche che il Cabernet Sauvignon possiede doti genetiche che lo rendono particolarmente stabile nelle più diverse condizioni di coltivazione. In conclusione, si deve inoltre sottolineare il ruolo fondamentale delle caratteristiche dei terreni nel mediare in generale le condizioni meteorologiche, ed in particolare l’effetto delle precipitazioni sulla nutrizione idrica della vite, e come una corretta nutrizione idrica della vite, soprattutto in relazione alla possibilità di interventi irrigui di soccorso, sia determinante nel raggiungimento di obiettivi enologici di alto livello e non possa prescindere dalle diverse tipologie di suolo e dalle caratteristiche dei vitigni. Rapporti suolo-apparato radicale A causa delle oggettive difficoltà che si hanno nella realizzazione dello studio degli apparati radicali delle viti, questo tipo di indagine risulta non molto diffuso; d’altra parte sono ben note le relazioni che esistono tra la parte epigea ed ipogea delle piante in generale e della vite in particolare, visto che in quest’ultimo caso la pianta coltivata è il frutto della combinazione d’innesto tra vitigno e portinnesto. In relazione all’indagine di zonazione, lo studio degli apparati radicali può fornire importanti dettagli sulla adattabilità della vite alle diverse condizioni di suolo presenti. La bibliografia al riguardo indica come la profondità di penetrazione delle radici sia in funzione delle caratteristiche del suolo (Van Huyssteen, 1988) ed in particolar modo della sua densità, e come un moderato stress idrico aumenti la crescita radicale (Van Zyl, 1988). D’altro canto è noto come un cattivo sviluppo dell’apparato radicale sia causa di risposte vegetative e produttive della vite inadeguate alle attese, ed è solo attraverso un’indagine che permetta d’individuare le cause che è possibile mettere a punto azioni volte a rimuovere i fattori limitanti. Pertanto, nell’ambito di questa ricerca, si è ritenuto opportuno indagare se esistessero differenze tra gli apparati radicali delle viti nei diversi suoli delle quattro UV del Sangiovese. I dati raccolti mediante la metodologia riportata nell’approfondimento sono riportati in modo grafico. Questi sono espressi come valore medio di numero di radici in relazione alla profondità e alla distanza dal ceppo verso l’interfilare. In generale si osserva come, per le radici a maggiore diametro, risultino differenze tra le diverse UV alle profondità maggiori (80-100 cm), nella sezione più vicina al ceppo, mentre, per la sezione a 60 cm dal ceppo, le differenze risultano ad una profondità più ridotta (40-60 cm). Questa differenziazione, sulla base della distanza dal ceppo, non sussiste per le radici fini (Ø< 2 mm), dove le differenze tra le diverse unità si riscontrano in generale lungo tutto il profilo, a partire dalla profondità di 60 cm. In particolare è emerso che nei suoli dell’UV SG3 si sono rilevati apparati radicali più densi, maggior numero di radici, sia per quel che riguarda le radici fini che per quelle strutturali, rispetto a quelli riscontrati nelle UV SG2 e SG4; inoltre, nel caso della UV SG3, è da sottolineare anche la diversa struttura dell’apparato radicale, rispetto a quello delle altre UV. Infatti, in questo caso, la distribuzione delle radici, sia fini che più grandi, presenta la tipica conformazione a due strati, ossia un primo picco alla profondità tra 40 e 60 cm, che si riscontra anche per le altre UV, dove le radici trovano le migliori condizioni per assolvere alla loro funzione di captazione di sostanze minerali, ed un secondo picco in profondità, tra 80 e 100 cm, dove le radici compiono al meglio l’assorbimento di acqua, ed in particolare nei periodi più asciutti quando le parti del suolo più superficiali risultano disidratate per l’assenza di apporti idrici, fatto non rilevato per le altre UV. Il quadro polifenolico dei vini della zonazione Nell’apprezzamento in generale della qualità dei vini, e in particolare di quelli rossi, la valutazione del quadro polifenolico dei prodotti ha un posto di primo piano. Grazie al progresso dei metodi analitici è oggi possibile realizzare dettagliate indagini sui contenuti e sulle caratteristiche dei diversi composti fenolici presenti nei vini, volte a valutarne la qualità e a determinare i risvolti che queste sostanze hanno sugli aspetti organolettici. Nell’ambito dell’indagine di zonazione svolta presso l’Azienda Banfi si è voluto indagare questo aspetto, nei vini sperimentali prodotti con le uve dei diversi vigneti oggetto del presente lavoro, al fine di determinare i legami tra le caratteristiche delle diverse Unità Vocazionali e il quadro polifenolico dei vini lì prodotti. Gli antociani Il colore dei vini rossi è dovuto alla quantità e alla qualità degli antociani in essi presenti. Queste molecole fanno parte della più vasta famiglia dei composti fenolici e la loro determinazione analitica permette di trarre giudizi oggettivi sulle caratteristiche del colore dei prodotti. I vini realizzati nei cinque anni del progetto sono stati analizzati per determinare il contenuto, la qualità e la stabilità nel tempo delle sostanze coloranti presenti. L’analisi dei dati di antociani totali e liberi evidenzia, in primo luogo, come le tre varietà in esame presentino valori medi sostanzialmente diversi. Il Cabernet S. è quello che mostra i valori medi maggiori, sia di antociani totali che liberi, mentre il Sangiovese è risultato avere mediamente i valori più bassi per i due parametri qui considerati; ciò conferma, una volta di più, le sostanziali differenze esistenti tra i patrimoni antocianici dei tre vitigni. Leggendo il contenuto in antociani dei vini in relazione alle UV emerge anche in questo caso, come fattore determinante, l’interazione tra luogo di coltivazione e vitigno. I dati, al riguardo, mostrano ad esempio come, per i valori di antociani totali, i vitigni Cabernet e Sangiovese siano più reattivi nei confronti dell’ambiente rispetto al Merlot. Infatti, si possono rilevare differenze sostanziali tra l’UV CS3, e le altre dello stesso vitigno e tra l’UV SG4 e le restanti UV del Sangiovese, mentre tra le due UV del Merlot non sono emerse differenze sostanziali per questo parametro. Per il Sangiovese, questi dati confermano inoltre i risultati ottenuti sul contenuto antocianico delle uve durante la maturazione ,dove l’UV SG4 era quella con il più alto valore di antociani estraibili. Per il parametro antociani liberi i risultati ricalcano quelli poc’anzi descritti per gli antociani totali, a cui bisogna aggiungere un effetto delle UV anche per il Merlot. Per l’aspetto qualitativo della materia colorante i risultati delle indagini eseguite sono riportati in Figura 2 dove sono espressi i valori medi percentuali, sempre per i cinque anni di indagine, delle tre frazioni di copolimerizzazione tra antociani e tannini e in Figura 3 dove sono riportati i valori di intensità e tonalità dei vini. La formazione di copolimeri tra antociani e tannini risulta fondamentale per la stabilità del colore dei vini nel tempo, in quanto le forme polimerizzate (dTAT) sono più stabili delle molecole singole (dAl) e delle forme di transizione (dAT), che presentano stabilità intermedia. L’analisi di questi dati fa rilevare come tra i vini delle diverse UV, di ciascun vitigno, esistano differenze di copolimerizzazione degli antociani, fatto questo che permetterà, ai vini delle diverse provenienze, di affrontare fasi di affinamento più o meno lunghe senza incorrere in fenomeni di decadimento del colore. Per un giudizio completo sulla “qualità” della materia colorante è necessario valutare anche il parametro tonalità la cui scala assegna i valori più alti ai vini con toni giallo aranciati e i valori minori a quelli con toni rossi.Pertanto, le migliori combinazioni nei riguardi della qualità del colore si hanno con bassi valori di tonalità ed alti valori di copolimerizzazione. L’analisi delle combinazioni di queste diverse grandezze permette di esprimere un giudizio compiuto sulla qualità del colore dei vini; ad esempio per il Sangiovese i migliori risultati sono riscontrabili nelle UV SG3 e SG4 che presentano una percentuale di dTAT superiore a quella ritrovata in SG2 ed una tonalità inferiore rispetto ad SG1, combinazione questa che permetterà, mediamente, ai vini di queste due UV, di affrontare lunghi periodi di affinamento senza incorrere in fenomeni di decadimento del colore. Le conclusioni che è possibile trarre in seguito a questo tipo di indagine sono molteplici, ma nel caso specifico di questo progetto di zonazione preme sottolineare come anche per questi parametri, volti a valutare i diversi aspetti del colore dei vini, l’interazione vitigno-ambiente resta la chiave di volta anche per l’interpretazione di questi risultati. Gli altri composti fenolici Gli altri fenoli presenti nel vino risultano in massima parte coinvolti nel determinare altri aspetti qualitativi di questo prodotto, ed in particolare di quelli relativi al gusto. La loro quantità e qualità può essere messa in relazione alle sensazioni di struttura, astringenza e sensazione amara. Per questi altri aspetti del contributo delle sostanze fenoliche alla qualità dei vini non è ancora possibile, come per il colore, mettere in diretta relazione il valore analitico ad una particolare sensazione organolettica; questo a causa della estrema complessità che lega le diverse molecole, tra loro, nel dare la sensazione percepita dal degustatore. D’altra parte i valori analitici, relativi ai fenoli, consentono di trarre indicazioni fondamentali sulle caratteristiche organolettiche e non solo dei vini. In Figura 4 sono riportati i valori medi quinquennali dei principali parametri per la valutazione della quantità e della qualità dei composti fenolici presenti nei vini. Il valore di polifenoli totali è il dato più grezzo che quantifica il contenuto generale di questi composti, mentre sia il valore di procianidine che di flavonoidi non antocianici permette di quantificare il contenuto dei tannini, senza però avere un giudizio sulla loro qualità, dovuta, anche in questo caso, alla polimerizzazione di questi composti. I tannini oligomeri, definiti comunemente anche come tannini verdi, sono i responsabili della sensazione tannica astringente, a volte amara, che si riscontra nei vini, mentre i tannini polimerici, o tannini dolci, contribuiscono ad aumentare la sensazione di struttura di un vino. Ed è attraverso l’indice di vanillina, con il quale si determina il grado di polimerizzazione dei tannini (ad alti valori dell’indice corrispondono bassi gradi di polimerizzazione), che è possibile esprimere un giudizio sulla loro qualità. L’analisi del dato mostra differenze tra le diverse Unità di ciascun vitigno per quel che riguarda sia i contenuti che la qualità delle sostanze indagate. Queste differenze permettono, come nel caso del Sangiovese, di evidenziare UV come l’SG4 che forniscono vini con quantitativi di tannini nettamente superiori rispetto ad UV come l’SG3; questo, d’altra parte, come precedentemente accennato, fornisce “indicazioni” sui vini, che dovranno essere valutate in relazione alle altre caratteristiche, e in primo luogo a quelle organolettiche, per poter indirizzare i prodotti che hanno origine nelle diverse UV verso una destinazione enologica finale che permetta di evidenziare le peculiarità dei singoli vini.