Gli scioperi del 21 dicembre 1943 e la rappresaglia nazifascista

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Gli scioperi del 21 dicembre 1943 e la rappresaglia nazifascista
Gli scioperi del 21 dicembre 1943 e la rappresaglia nazifascista1
A Sordevolo, a Netro, a Mongrando, scese il distaccamento “Nino Bixio”, suscitando dovunque
un moto di larga simpatia. Nei tre paesi, dal mattino alla sera, furono disarmati i carabinieri più o
meno consenzienti e con le loro armi poterono essere equipaggiati tutti gli uomini, il che, in quei
momenti, rappresentava un risultato notevole e addirittura eccezionale. All’esattoria di
Mongrando furono bruciati i ruoli delle imposte, nei municipi furono distrutte le liste dei giovani
di leva; operazioni utili ed opportune, che compensarono una certa mancanza di dinamismo
politico e sindacale caratteristica di questa zona2.
Nella valle d’Andorno scesero il distaccamento “Mameli” e il “Bandiera”, occupando ciascuno le
zone di propria competenza: dappertutto le stesse scene si ripetevano, gli operai solidarizzavano
con i partigiani, facevano loro festa, i non pochi che non erano stati raggiunti dalla propaganda
sindacale clandestina accoglievano senz’altro l’invito a scioperare, i paesi erano dominati da
un’atmosfera di festa e insieme di ansia e di incertezza. Ad Andorno furono disarmati i
carabinieri della caserma mandamentale, il materiale documentario che concerneva i
perseguitati politici fu distrutto. Ma il centro della tensione era Tollegno; da Biella i tedeschi e i
fascisti cercavano di verificare le condizioni dell’attività alla Filatura, dove c’erano stati i primi
scioperi e si era stretto il primo legame tra la fabbrica e i partigiani. Questi, che controllavano il
centralino dello stabilimento, alle pressanti richieste di informazioni rispondevano temporeggiando, dando assicurazioni per evitare visite sgradite. Alla fine l’inganno fu segnalato a
Biella: Quinto Antonietti e Silvio Ortona andarono a rafforzare il posto di guardia stabilito in una
strettoia sul torrente Oropa dove passavano, in uno spazio di pochi metri, le strade provenienti
da Biella per Pralungo e Tollegno, e la ferrovia a scartamento ridotto Biella-Balma. Fortunatamente per i difensori del passaggio, a Biella i comandi militari credettero di cavarsela con
un’ispezione intimidatoria; lungo il torrente Oropa avanzò una macchina che aveva a bordo un
ufficiale e due graduati tedeschi, insieme con il capitano Crimi, comandante dei Carabinieri di
Biella. I partigiani arrestarono il veicolo con il lancio di bombe a mano, poi dai loro appostamenti
soffocarono facilmente il tentativo di reazione dei nazisti. Solo il capitano italiano e uno dei due
sottufficiali si salvarono con la resa: furono accompagnati da un medico e rilasciati, mentre le
loro armi entrarono nel modesto arsenale partigiano. Si tentò allora una puntata dimostrativa a
Biella: una pattuglia catturò l’ex podestà fascista Serralunga, un’altra disarmò due carabinieri
alle porte della città. Accadde intanto che, in uno scontro a fuoco, un soldato tedesco fu ucciso e
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Le fonti di prima e di seconda mano sui fatti del 21 dicembre 1943 sono numerose. CLAUDIO DELLAVALLE,
Lotta sociale e lotta armata nel Biellese orientale dal 1943 al 1945, tesi di laurea sostenuta alla facoltà di
Magistero dell’Università di Torino nell’anno accademico 1966-67, pp. 87-89, lo GIANNI ZANDANO, La Lotta
di Liberazione nella Provincia di Vercelli 1943-1945, Vercelli, S.E.T.E., 1957, pp. 51-57, PIETRO SECCHIA - CINO
MOSCATELLI, Il Monte Rosa è sceso a Milano, Torino, Einaudi, 1958, pp. 114-117, hanno condotto quasi
tutte le loro ricostruzioni sulle stesse che noi utilizziamo. L’analisi delle discordanze e delle coincidenze sui
particolari appesantirebbe inutilmente le note; ci limitiamo perciò a citare le fonti dei fatti da noi riferiti.
Ci interessa precisare solo che la notizia di un comitato segreto di agitazione, composto da membri di
parecchi partiti che avrebbero diretto dalla valle d’Andorno il movimento operaio biellese, è infondata.
Durante lo sciopero questa valle si trovò anzi piuttosto isolata rispetto ai centri di riunione del comitato
federale comunista che curava gli sviluppi politici delle operazioni militari.
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a
Archivio privato di Pietro Secchia (d’ora in poi AS), “Diario storico della 75 Brigata Garibaldi”, p. 1.
Testimonianza di Bruno Salza.
disarmato da uno sconosciuto. A sera le poche forze di presidio a Biella richiedevano rinforzi nel
timore di un attacco, la valle di Andorno restava interamente controllata dai partigiani3.
Più vasto e cosciente movimento di masse operaie era sorto nella Valsessera e nella valle di
Mosso. I due distaccamenti “Pisacane” e “Matteotti” operarono insieme scendendo a Trivero e a
Pratrivero; a Ponzone arrivarono verso mezzogiorno e “Gemisto” vi tenne un comizio agli operai
e alla popolazione. A Valle Mosso e a Cossato due discorsi molto ascoltati furono pronunciati da
Ermanno Angiono. Intanto, per quanto lo permettevano le condizioni incerte, organizzatori
politici e sindacali cercavano di approfittare del momento per dare agli operai un’organizzazione
il più possibile autonoma, facendo nominare commissioni di fabbrica che trattassero con gli
industriali sulle rivendicazioni presentate. Parecchie commissioni furono costituite nella valle di
Mosso e a Trivero; a Valle Mosso nel giorno stesso si riuscì a organizzare un incontro con un
industriale che promise di farsi mediatore fra la propria categoria e gli operai. La giornata del 21
dicembre si chiudeva così con un successo notevole.
Ma a Biella, dopo lo sconcerto dei primi momenti e l’inattesa azione di forza dei partigiani alle
porte della città, si stava preparando la reazione, che fu violenta e coordinata con quella
condotta nella vicina Valsesia, dove pure c’era stato un vivace inizio di attività partigiana. Una
delle prime unità repubblichine, il 63o, battaglione della divisione M “Tagliamento”, percorse il
Biellese orientale; il 23 dicembre partì da Borgosesia dopo aver seviziato in pubblico e poi
fucilato dieci ostaggi presi tra i sospetti di antifascismo o semplicemente a caso, percorse la
Valsessera, entrò in Crevacuore dove diede alle fiamme le case di parecchi antifascisti e fucilò un
abitante, due ne uccise a Pray sparando su un gruppo di persone, proseguì infine verso Cossato,
dove ferì tre uomini trovati per strada e ne fucilò altri due4. Non minore durezza avevano
dispiegato le truppe tedesche partite da Biella il 22: esse risalirono la valle d’Andorno seguendo
il versante occidentale, senza trovare resistenza nei partigiani, che non avevano le armi
automatiche necessarie a qualsiasi azione contro una colonna motorizzata. Gli uomini di una
pattuglia che ritennero di poter disturbare I’azione nemica da una posizione favorevole furono
catturati e portati a Biella, quattro civili di Tollegno vennero fucilati, mentre la voce dei fatti
correva la valle e la popolazione si ritraeva nelle case terrorizzata. La colonna passò così per i
paesi senza trovare nessuno, sparando a caso e uccidendo i due soli uomini ignari che, a Sagliano
e a Rialmosso, si trovarono sul suo cammino5. Quanto ai partigiani catturati, essi furono uniti a
cinque ostaggi presi a caso fra gli abitanti di BIella e passati per le armi; solo uno si salvò
sfuggendo ai colpi e venne fatto scappare dalle donne che testimoniavano, contro gli ordini del
Comando tedesco, la pietà dei biellesi per le vittime. Un altro cittadino, Angelo Cena, era stato
ucciso senza motivo in un bar della città.
Questo terrorismo gratuito che doveva creare, secondo i piani dei fascisti e dei tedeschi, timore
e rancore contro i partigiani in tutti i centri nei quali essi godevano delle maggiori simpatie, non
parve sufficiente agli organizzatori della repressione. La valle di Mosso, dove più vivaci erano
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a
AS, Diario storico della 2 Brigata Garibaldi Ermanno Angiono “Pensiero”, p. 3; testimonianza di Quinto
Antonietti; ricordi dell’autore (Anello Poma).
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Su tutta la repressione nel Biellese orientale cfr., assai più ampiamente, C. DELLAVALLE, op. cit., pp. 91-93.
Questi dissente da noi sui fatti di Pray, che egli attribuisce al gennaio. Noi ci fondiamo su di una memoria
anonima di un partigiano del distaccamento “Pisacane” in nostro possesso e sulla testimonianza di
Benvenuto Santus.
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Le notizie, con varie imprecisioni, si leggono sull’“Informatore alpino” del 30 dicembre 1943, n. 11, in
Archivio Resistenza, Biblioteca civica Biella, Giornali. Le correggiamo con l’aiuto di varie testimonianze.
Sull’azione dei due partigiani catturati informa il numero speciale di dicembre del giornale delle Brigate
Garibaldi, “Il Combattente”.
state le iniziative per l’organizzazione del movimento operaio, e dove era concentrato circa un
terzo degli impianti lanieri del Biellese, parve ai loro occhi un pericoloso focolaio di agitazione
sovversiva e contro di essa fu specialmente rivolta una sorta di spedizione punitiva. Tedeschi e
fascisti si recarono il 24 dicembre nel paese di Valle Mosso, dove lo sciopero continuava, pur con
ineguale intensità, fecero pressioni sugli industriali perché richiamassero gli operai alle fabbriche, andarono sparando alla cieca per il paese, dove ferirono diciassette persone, poi presero
degli ostaggi che minacciarono di fucilare e più tardi ne uccisero in effetti tre, tutti operai.
Il terrore diffuso dalle uccisioni, spesso deliberatamente atroci, che ciascuno aveva visto con i
propri occhi, e di cui si diffondevano notizie spaventevoli, andò piegando gli operai, rimasti
senza appoggio militare, a ritornare al lavoro. Inoltre, sebbene la censura impedisse ogni
comunicazione sulla tragica repressione6, il clima era appesantito dalle severissime misure di
polizia prese il giorno 22 dal Comando tedesco in seguito - come diceva il suo comunicato «luttuoso incidente nelle vicinanze di Biella ed a proditorio atto delittuoso in città»7. I nazisti,
fino allora indifferenti alle azioni che riguardavano i fascisti italiani, portarono il coprifuoco alle
ore 17 e alle 6 del mattino, includendovi tutto il periodo di oscurità, chiusero i locali pubblici,
bloccarono il transito di qualsiasi veicolo nel Biellese, limitarono l’accesso al capoluogo ad una
persona per volta, minacciarono di incendiare i paesi dove i “banditi” avessero trovato rifugio, di
fucilare chiunque portasse armi, infine di prendere ostaggi fra la popolazione e di fucilarli alla
prima azione antitedesca; misure tutte che non furono attenuate se non il 24 dicembre, su
richiesta delle stesse autorità fasciste, spaventate dalla tensione che creava in città
specialmente la minaccia di prelevare ostaggi.
In realtà le misure di polizia furono attenuate solo perché, ad evitare di trovarsi isolato e di
spingere avanguardie operaie ad un’inutile sfida, il Comitato federale comunista aveva deciso di
dare la direttiva del ritorno al lavoro (che sarebbe dovuto incominciare dovunque il giorno 27)
dopo aver fatto il possibile per impegnare gl’industriali a continuare le trattative con gli operai,
almeno nella valle di Mosso, dove questi avevano dirette rappresentanze. I nazifascisti poterono
pensare di aver raggiunto i loro scopi e allentarono un poco la stretta terroristica.
6
“Il Biellese” e " Il Lavoro biellese » non pubblicarono che cenni indiretti ai fatti avvenuti. Fra gli annunzi
funebri del “Biellese” comparve anche quello per la morte dell’industriale Osella, barbaramente
suppliziato a Borgosesia, senza alcun riferimento alle circostanze del decesso.
7
Il testo completo dei decreti del Comando tedesco di Vercelli e i temperamenti chiesti dal commissario
prefettizio di Biella furono pubblicati sul “Biellese”, a. LVII (1943), n. 100, venerdì 24 dicembre, p. 4.