di Medicina Interna - Benvenuto sul sito del Dr. Marco Delle Monache

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di Medicina Interna - Benvenuto sul sito del Dr. Marco Delle Monache
Giornale Italiano
di Medicina Interna
Vol. 3 - N. 4
Dicembre 2004
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Italian Journal
of Internal Medicine Federazione delle
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Giornale Italiano
PAG I N A
di Medicina Interna
Vol. 3 - N. 4
Dicembre 2004
Italian Journal
of Internal Medicine
161 EDITORIALE
161 Riflessioni di biostatistica ed epidemiologia clinica
S. Fontana, S. Corrao
162 METODOLOGIA CLINICA
sommario
162 Dai dati alle variabili
S. Corrao
165 RASSEGNE
165 L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare:
un esame… spesso impropriamente “richiesto”
G.M. Salvaggio
170 Approccio all’addome acuto in ambiente internistico
G. Chesi, F. Boni, P. Zoboli, A. Catania,
M. Ferretti, F. Dall’Orto
186 ARTICOLI ORIGINALI
186 Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore
G. Vescovo
193 Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3.
Il paziente a rischio cardiovascolare
I. Iori, S. Di Rosa, S. Fontana, G. Vescovo, M. Lanti, A. Menotti
204 CASI CLINICI
204 La sindrome di Weil: descrizione di un caso clinico
P. Bertucci, R. Toscano, F. Serione, P. Bertello
209 Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione
della letteratura
R. Risicato, B. Zazzaro, G. Passanisi, G. Cascone, S. Romano, M. Stornello
217 Bullosis diabeticorum: una problematica diagnosi clinica di esclusione
C. Trenti, E.A. Negri, A. Casali, U. Petrelli, S. Asioli, I. Iori
Giornale Italiano
di Medicina Interna
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Il Giornale Italiano di Medicina Interna, Organo Ufficiale della Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, pubblica in lingua italiana articoli riguardanti la
Medicina Interna e il management clinico,
rassegne e articoli speciali su argomenti attinenti alla materia.
Friedberg DH, Schamroth L. Atrial Parasystole.
Br Heart J 1970;32:172-180.
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4. Testo.
5. Bibliografia.
6. Didascalie delle figure.
7. Tabelle.
BIBLIOGRAFIA
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progressivamente secondo l’ordine di citazione, non alfabetico. I numeri di riferimento vanno inseriti nel testo in parentesi. Ciascuna voce bibliografica deve comprendere i
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citandoli tutti se il loro numero non è superiore a 6, mentre in caso contrario vanno elencati i primi 5 seguiti dalla dizione “et al.”. In
caso di riviste va citato, con le abbreviazioni
utilizzate in Index Medicus, il nome del giornale, I’anno, il numero del volume e le pagine iniziale e finale. Per gli Abstract, il termine "abstract" racchiuso fra parentesi va
anteposto al nome della rivista.
Esempi:
Wellens HJJ, Atiè J, Smeets JLRM, et al. The electrocardiogram in patients with multiple accessory
pathways. J Am Coll Cardiol 1990;16:745-751.
Lesh M, Van Hare GF, Kwasman MA, et al. Curative radiofrequency (RF) catheter ablation of atrial
tachycardia and flutter. (Abstract) J Am Coll
Cardiol 1993;21:374A.
Esempio:
Schamroth L. I disordini del ritmo cardiaco.
Roma: Marrapese, 1981:59-67.
Per i capitoli di libri vanno riportati: titolo, Autori, Editor(s) seguiti dalla dizione “ed” o “eds”
(in parentesi), città della Casa Editrice, Casa Editrice, anno di pubblicazione del libro, pagine
iniziale e finale.
Esempio:
Waldo AL, Carlson MD, Henthorn RW. Atrial flutter: transient entrainment and related phenomena. In: Zipes DP, Jalife J (eds). Cardiac electrophysiology from cell to bedside. Philadelphia:
WB Saunders, 1990:530-537.
FIGURE
• Le illustrazioni (fotografie in bianco e nero o
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laser) devono essere numerate con numeri arabi
e identificate scrivendo sul retro a matita il nome
del primo Autore e il numero della figura.
TABELLE
• Vanno numerate con numeri arabi e devono
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articoli originali è necessaria la dichiarazione,
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stato pubblicato né è oggetto di esame per la
pubblicazione su altra rivista.
Editoriale
Riflessioni di biostatistica
ed epidemiologia clinica
Il primo passo verso la condivisione di un linguaggio è quello di dare un significato ben preciso
alle parole. Il linguaggio tecnico, pertanto, non
rappresenta mai e in nessun caso un mero sfoggio culturale, ma una precisa modalità espressiva in ambito tecnico, che permette di esprimere cose e concetti in maniera compatta ed
efficiente. Con questa serie di “riflessioni di biostatistica ed epidemiologia clinica” vogliamo favorire lo sviluppo di una cultura statistica adeguata al clinico che è ormai conditio sine qua non
anche quando si voglia semplicemente leggere
i lavori scientifici senza doverne subire, per così
dire, “l’influsso magico”.
Modalità di analisi della letteratura scientifica che non siano basate sulla lettura critica degli
obiettivi, metodi, risultati e conclusioni rischiano di influenzare la pratica clinica anche quando ci si trova (inconsciamente) ad attingere
pseudoconoscenza da lavori scientifici che forniscono al lettore dati e deduzioni di scarsa qualità
o che non sono adeguati né nel disegno né nella
scelta del campione di soggetti oggetto di studio.
In definitiva, si rischia di dare significato a informazione scientifica di scarso valore per giustifi-
care cambiamenti della pratica clinica. Inoltre,
l’internista ospedaliero ha anche degli obblighi
nel campo della ricerca clinica ed è auspicabile,
pertanto, una sua crescita in modo da diventare parte attiva nel processo di produzione scientifica. Per arrivare a ciò è necessario conoscere
le basi di quella scienza che nasce proprio per
raccogliere, descrivere, analizzare i dati e poterne trarre deduzioni, dal nostro punto di vista,
utili per la pratica clinica. Questa serie cercherà
di soddisfare la voglia di comprendere intimamente le cose più semplici per potere pensare
di approfondire le tematiche più complesse al
di fuori di approssimazioni pericolose, non solo
deprecabili culturalmente ma soprattutto per i
pessimi risultati che possono produrre. Siamo sicuri che un linguaggio tecnico condiviso e la
comprensione di altri aspetti della complessità,
tanto cara al mondo degli internisti nel campo
clinico, possa contribuire a rafforzare la figura
di un internista moderno che sa dove vuole andare, utilizzando i migliori strumenti a disposizione.
Sandro Fontana
Salvatore Corrao
161
Metodologia clinica
Dai dati alle variabili
S. Corrao
Responsabile Scientifico Centro Studi FADOI
U.O. Metodologia ad indirizzo
Epidemiologico-Statistico
ARNAS Civico e Benfratelli, Palermo
GIMI 2004;3(4):162-164
I metodi statistici essenzialmente sono degli strumenti per processare informazione. Informazione
che è di tipo numerico e che può derivare da
diverse modalità di misurazione. Infatti, le procedure statistiche a nostra disposizione partono
da differenti assunzioni che dipendono proprio
dal tipo di dati raccolti sia quando si voglia descrivere il mondo che ci circonda sia quando si vogliano trarre delle vere e proprie deduzioni. Ma attenzione, proprio per questi motivi, per potere
ottenere elaborazioni piene di significato il tipo
di procedura statistica deve essere adeguata al
tipo di dati. Ricordiamo, inoltre, che se la qualità
dell’informazione di base è scadente (per esempio per una errata metodologia di raccolta dati
o di semplice errore di misurazione) avremo informazione scadente anche dopo un’elaborazione
statistica congrua per scelta di procedura.
Ad ogni modo, è comunque indispensabile
tenere ben presente che ci sono diversi tipi di
misure, ognuna con specifici proprietà, vantaggi e limitazioni. Solo dopo si potrà applicare correttamente la metodologia statistica per la rappresentazione dei dati e per le deduzioni conseguenti.
proprietà generale di ciò che può essere misurato con le differenti modalità a disposizione.
Ogni singolo dato misurato prende il nome di
variata. Nel caso della Pressione Arteriosa Sistolica (PAS) essa rappresenta una variabile se ci si
riferisce per esempio all’insieme dei valori di PAS
di un gruppo di soggetti. Il termine variabile indica di per sé che i risultati del processo di misurazione variano rispetto al tempo o all’oggetto
della misurazione. Pertanto, il termine si applica anche a tipi di dati differenti dalla pressione
arteriosa e che discuteremo più avanti. Il concetto di variabile è ovviamente opposto a quello di
costante (il pi greco per esempio) e di parametro (Altman e Bland, 1999) che, quest’ultimo,
risulta da un calcolo che utilizza tutto il contenuto informativo di una o più variabili. La media
aritmetica della pressione arteriosa di un gruppo di soggetti è quindi un parametro e risulta
dalla sommatoria di tutti i dati contenuti nella
variabile diviso il numero complessivo dei dati
a nostra disposizione.
TIPI DI DATI
VARIABILI E PARAMETRI
Il concetto di variabile è molto simile a quello
di contenitore ed esattamente rappresenta la
Per la corrispondenza:
Salvatore Corrao
U.O. Metodologia Clinica
Azienda Ospedaliera Civico e Benfratelli
Piazza Nicola Leotta
90127 Palermo
tel. 091-6662608
fax 091-6662310
e-mail [email protected]
162
Il punto di partenza per iniziare un discorso sul
tipo di dati è quello di considerare i tre tipi
fondamentali di atti che permettono di misurare: contare, ordinare e categorizzare. Contiamo quando misuriamo il battito cardiaco, la pressione arteriosa, l’altezza, il peso corporeo ecc.
Ordiniamo quando non siamo in grado di misurare l’esatta distanza tra un valore e un altro
ma sappiamo che un valore è inferiore o superiore a un altro (ad es., il grado istologico di
una neoplasia). Categorizziamo quando i nostri
dati ricadono in categorie che non possono essere messe in ordine in maniera oggettiva (il sesso,
Dai dati alle variabili
il gruppo sanguigno, il colore di capelli, l’etnia
ecc.). Il tipo di variabile dipende dalle modalità con cui possiamo misurare e pertanto possiamo fare subito una divisione grossolana tra variabili di tipo quantitativo e qualitativo.
MISURE E VARIABILI
DI TIPO QUANTITATIVO
Tali variabili dipendono dal fatto che misuriamo
sempre quantità, dall’intervallo tra un dato e quello immediatamente successivo e dalla presenza
di uno zero assoluto. La variabile scalare è quella variabile che può assumere qualunque valore
anche se il metodo di misurazione che è possibile utilizzare non è preciso. Per esempio, quando
misuriamo la maggior parte delle variabili biologiche o antropometriche sappiamo che tra due
valori successivi non vi è uno scarto (tutti gli infiniti valori sono possibili), ma in realtà lo scarto
c’è a causa dello strumento di misurazione e delle
modalità di rappresentazione dei dati. Pensiamo
al peso: tra 80,0 e 81,0 kg tutti i valori intermedi sono possibili (con infiniti valori dopo la virgola), anche se la bilancia ha una precisione di mezzo
kg o nel migliore dei casi di 100 grammi. In quest’ultimo esempio esiste uno zero assoluto, ma nel
caso della temperatura lo zero non esiste come
limite inferiore (infatti la temperatura può assumere valori sotto lo zero). Nel secondo caso la
scala di misura viene detta a rapporti e la variabile rimane ovviamente di tipo quantitativo scalare (scalare o continua). Una variabile quantitativa è detta invece discreta quando la misurazione
consiste nella mera conta di eventi tramite i numeri cardinali (1, 2, 3 ecc.).
Con questo tipo di variabili (di tipo quantitativo) è possibile applicare tre tipi di misure
composte: la somma, la media e le differenze
tra misure. Date per ovvie le prime due misure
composte, è bene precisare che quando si ha a
che fare con differenze tra misure (ad es., una
variabile che contiene la differenza tra PAS di
base e dopo terapia) la scala di misura diventa
“a rapporti” (i dati possono diventare negativi
– si veda sopra), anche se la scala della variabile di partenza non lo era. Inoltre, e questo vale
per tutte le variabili quantitative, queste misure composte hanno senso se le scale hanno distanze uguali (la distanza tra una PAS di 100 e 110
è uguale a quella tra 110 e 120). Pertanto, non
avrebbe senso utilizzare queste misure composte con una variabile continua trasformata, ad
esempio, in logaritmi.
MISURE E VARIABILI DI TIPO
SEMIQUANTITATIVO E QUALITATIVO
La relazione di tipo ordinale è quella che permette la comparazione di due o più misure esprimendo un giudizio del tipo “più grande di” o
“inferiore a”. Ogni elemento che è il risultato
di una misurazione, pertanto, può essere messo
in relazione con gli altri elementi secondo un
ordine di grandezza. Ovviamente ogni scala di
misurazione ha implicita la possibilità di ordinamento delle varie misurazioni che utilizzano
quella determinata scala. Tuttavia, per scala
ordinale non ci si riferisce alle scale intervallari
sopraesposte ma a quelle scale che misurano solo
i rapporti di tipo ordinale. Ad esempio, nella
graduazione (grading) di una neoplasia non si
utilizza mai una scala intervallare ma si danno
valutazioni di merito che permettono di far rientrare in una delle possibili categorie il campione bioptico della neoplasia di un paziente. Per
esempio, il grado istologico del carcinoma della
prostata viene graduato su di una scala a cinque
livelli detta di Gleason (dal medico che l’ha messa
a punto). La valutazione del campione istologico utilizza valutazioni dell’anatomopatologo
che sulla base di caratteristiche strutturali relative alla cellularità del campione tumorale attribuisce uno dei 5 gradi. Pertanto, non viene utilizzata una scala intervallare ma una valutazione
qualitativa che permette tuttavia comunque e
sempre (condizionata comunque dall’esperienza di chi valuta) di potere ordinare i vari referti sulla base di una migliore o peggiore prognosi. Naturalmente, anche i dati misurati con una
scala intervallare possono essere ridotti in categorie che a loro volta è possibile ordinare. In
quest’ultimo caso, però, trasformiamo una scala
intervallare in una ordinale con perdita comunque di informazione. Questa operazione, tuttavia, può risultare utile in casi specifici.
Un’altra questione di non poca importanza è
la confusione che a volte può insorgere tra scala
intervallare e scala a punteggi (rating scale). Lo
sfigmomanometro è un classico esempio di strumento che usa una scala intervallare, così come
un termometro. D’altro canto una scala VAS
(visuo-analogica) o un altro tipo di score offrono una modalità di misura che in qualche modo
è maggiore di una semplice valutazione ordinale (primo, secondo, terzo ecc.). Infatti, tali scale
o il riferimento a un punteggio offrono la sensazione che ciò che si misura sia simile a una misura intervallare. In realtà, bisogna considerare che,
per quanto superiori a una mera graduazione,
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Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
i punteggi non garantiscono in alcun modo un
uguale intervallo tra un numero e quello immediatamente successivo, lungo tutti i possibili valori, e pertanto le variabili che fanno riferimento
a tali misurazioni vanno ritenute a tutti gli effetti di tipo ordinale. Questo tipo di variabili non
hanno le proprietà tipiche delle variabili quantitative che originano da misurazioni con scala
intervallare e non permettono, quindi, tutti i vari
tipi di operazioni matematiche che si applicano
a queste ultime.
Quando i valori di una variabile sono riferibili a due o più categorie che non sono ordinabili logicamente la variabile si definisce nominale. Il genere maschile/femminile è un esempio,
così come il gruppo sanguigno, l’etnia ecc.
Questo tipo di variabili riducono ulteriormente
lo spazio per le operazioni matematiche, ma in
medicina hanno un grande valore per lo studio
delle associazioni così importanti in particolare
per le valutazioni prognostiche (ad es., fattori
di rischio cardiovascolare).
PROPRIETÀ DELLA MISURAZIONE
Misurare non vuol dire necessariamente che abbiamo dati che possano permettere un’analisi corretta. Infatti, alla misura dobbiamo legare due
concetti fondamentali in grado di rendere vana
o robusta un’analisi statistica: l’affidabilità (reliability) e la validità (validity). La pratica di laboratorio permette di avere chiaro rapidamente il
significato e la conseguente importanza del
concetto di affidabilità. Un test di laboratorio
164
come la glicemia se ripetuto nello stesso campione di sangue nelle medesime condizioni può
portare a risultati differenti: tre valori identici,
tre valori molto simili, tre valori molto differenti.
Nel primo caso si parla di elevata affidabilità
della misurazione (nel linguaggio laboratoristico si parla più correttamente di precisione), nel
secondo di una buona affidabilità, nel terzo di
nessuna affidabilità. Il concetto di validità è relativo invece a ciò che la misura vuole rappresentare. Ad esempio, per dimostrare o meno l’efficacia di un farmaco, nei trial clinici, si può
scegliere una misura cosiddetta “surrogata”. Nel
caso di un trial sull’ipertensione scegliamo banalmente i valori pressori per stabilire l’efficacia terapeutica. Tuttavia, oggi sappiamo che utilizzare
la pressione arteriosa come misura di efficacia
è poco valido visto che la comunità scientifica
internazionale e il clinico, in particolare, si aspettano dal trattamento ipertensivo una riduzione
degli eventi cardio- e cerebrovascolari e/o di
mortalità e non il mero calo dei valori pressori.
La validità è quindi una condizione che dipende fortemente dal ricercatore e dagli obiettivi
dichiarati dallo studio.
LETTURE CONSIGLIATE
Altman DG. Practical statistics for medical reseach.
London: Chapman & Hall, 1991.
Altman DG, Bland JM. Statistics notes: variables and
parameters. British Medical Journal 1999;318(7199):
1667.
Armitage P, Berry G. Statistical methods in medical
research. Oxford: Blackwell Scientific Publications, 1987.
Rassegna
L’eco(color)doppler nell’insufficienza
vertebro-basilare: un esame… spesso
impropriamente “richiesto”
G.M. Salvaggio
Ambulatorio di Neurosonologia e diagnostica
vascolare non invasiva, U.O. Medicina Interna,
Azienda Ospedaliera S. Antonio Abate, Trapani
GIMI 2004;3(4):165-169
PREMESSA
È a tutti noto l’indiscutibile vantaggio che, nel
corso degli ultimi 20 anni, hanno portato le metodiche ultrasonografiche a effetto doppler nel definire gli aspetti anatomo-funzionali, fisiopatologici e clinici del distretto carotideo. Termini
come paziente carotideo, TIA carotideo, placca
emboligena, ecc., entrati nel gergo clinico per
definire situazioni specifiche e tipologie di
pazienti, devono la loro comparsa proprio all’utilizzo del doppler CW prima e dell’ecodoppler
poi. È peraltro innegabile come, grazie a queste
tecniche, si siano potuti modificare comportamenti terapeutici e definire protocolli più appropriati per il trattamento della malattia aterosclerotica delle carotidi e la prevenzione dell’ictus
cerebrale. L’alta affidabilità della metodica nella
diagnostica del distretto carotideo ne ha decretato il successo e il successo ha sempre di più
accresciuto l’interesse alla metodica: protocolli
tecnici di esecuzione, standard di misurazione,
linee guida, indicazioni specifiche, definizione
di limiti, ecc. rappresentano il frutto di una ricerca continua e costante che arricchisce sempre
più operatori e tecnica.
Altrettanto successo e interesse non si è rilevato nella diagnostica ecodoppler del distretto
succlavio-vertebrale. I motivi di ciò vanno indubbiamente ricercati in primo luogo nella minore
affidabilità che una tecnica ecografica ha nello
studio di un distretto per buona parte “coper-
Per la corrispondenza:
Giovanni Maurizio Salvaggio
Via dell’Ostello, 20
91016 Erice C.S. (TP)
tel. 0923/568354
e-mail [email protected]
to” da strutture ossee. D’altro canto, le relazioni tra danno vasale in questo distretto e manifestazioni cliniche rimangono a oggi chiare solo
in situazioni “selezionate” e in genere di non
frequente riscontro, come avviene in caso di occlusione delle arterie cerebrale posteriore, vertebrale (o suoi rami) e tronco basilare (Tab. 1).1
Più spesso, invece, tali relazioni fisiopatologiche
appaiono alquanto nebulose, supportate più da
teorie che si sono consolidate a livello aneddotico che da vere e proprie evidence.
L’insufficienza vertebro-basilare (IVB) manifesta, nella genericità del termine stesso, questa
scarsa conoscenza dei precisi meccanismi fisiopatogenetici che stanno alla base di una serie
di situazioni cliniche che si tende a tutti i costi
ad accomunare in un unico probabile quadro,
basato sul “deficit del circolo vertebrale”. La dimostrazione chiara di tale deficit, tuttavia, non è
sempre possibile e ancor meno possibile appare dimostrarne il reale legame con le manifestazioni cliniche.
Tali problematiche, ben note agli “ecodoppleristi” che si occupano contemporaneamente
di “clinica”, hanno, come già detto, attenuato
l’interesse degli stessi nell’approfondire tecniche e protocolli più affidabili e standardizzati.
Di contro, si è assistito sempre di più alla crescita della “domanda” di ecodoppler dei tronchi
sopra-aortici (TSA) promossa sia dai medici sia
dagli stessi pazienti, nell’affannosa ricerca di una
“giustificazione strumentale” al sintomo presentato, prescindendo, purtroppo spesso, da un attento esame clinico.
Il sintomo che di gran lunga più di ogni altro
promuove la domanda dell’esame, specie come
prestazione ambulatoriale, è la vertigine.
165
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2004;3(4)
di Medicina Interna
TABELLA 1
Quadri clinici associati a occlusione
di arterie del distretto vertebro-basilare
ARTERIA CEREBRALE POSTERIORE
(a) Occlusione dei rami perforanti:
– Sindromi talamiche
– Sindrome di Weber
– Emiballismo
– Emicorea
– Sindrome di Korsakoff
– Amnesia globale transitoria
(b) Occlusione dei rami corticali
monolaterali:
– Emianopsia laterale omonima
– Quadrantopsia laterale omonima
superiore
– Metamorfopsie
– Alessia, agnosia amnestica,
anomie, prosopoagnosia
(c) Occlusione bilaterale dei rami corticali:
– Cecità corticale pura
– Sindrome di Balint
– Sindrome di Korsakoff
– Scotomi centrali
ARTERIA VERTEBRALE E SUOI RAMI
– Sindrome di Wallemberg
– Sindrome bulbare mediana
ARTERIA BASILARE
– Coma
– “Locked-in” sindrome
– Sindromi alterne (Weber,
Millard-Gubler, Foville, ecc.)
CASISTICA PERSONALE
E METODICA DI INDAGINE
Sono state prese in esame le richieste di ecodoppler dei TSA pervenute all’ambulatorio di Neurosonologia e diagnostica vascolare non invasiva
dell’U.O. di Medicina Interna dell’Azienda Ospedaliera S. Antonio Abate di Trapani.
Sul totale di 1200 esami ne sono stati selezionati 490, cioè quelli la cui richiesta formale
indicava le seguenti motivazioni: sindrome vertiginosa, vertigini, acufeni, IVB, sospetta IVB,
vertigini + cervicoartrosi, IVB + cervicoartrosi,
intendendo esortare l’esaminatore a un più
accurato esame del distretto succlavio-vertebrale (Tab. 2).
I pazienti esaminati erano stati inviati sia dalle
strutture extraospedaliere (medici di base,
poliambulatori specialistici) sia dalle UU.OO.
nell’ambito del Dipartimento di Medicina dell’ospedale (Medicina Interna, Cardiologia, Neurologia, Pneumologia, Psichiatria).
TECNICA D’ESAME
In quasi tutti i pazienti è stato possibile esaminare le vertebrali all’origine, lungo il tratto V1
(prima dell’impegno del vaso nel forame trasversario di C6) e al Tillaux, ponendo la sonda 2-3
cm in basso dietro le mastoidi (Fig. 1). In alcuni
casi, si è potuto esaminare bene solo l’ultimo
tratto del vaso a causa della presenza di un collo
troppo corto e tozzo. L’esame del tratto intertrasversario delle arterie vertebrali è notoriamente
limitato dallo sbarramento acustico delle strutture ossee e in verità poco agevole; pertanto, è
stato possibile individuarlo solo in alcuni casi, in
genere soggetti giovani e snelli.
TABELLA 2
Richieste di ecodoppler TSA
%
n. eco(color)doppler TSA
Motivazioni della richiesta
40,8%
490
Sindrome vertiginosa, vertigini posizionali,
vertigini + cervicoartrosi, IVB, IVB
+ cervicoartrosi, sospetta IVB, acufeni
59,2%
710
TIA, ictus cerebrale, deficit neurologici focali,
ipertensione, dislipidemia, diabete,
soffio carotideo, amaurosi, disartria,
lipotimia, pregressa TEA carotidea
TOTALE
166
1200
L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare
A
B
Figura 1. Buona visualizzazione della vertebrale all’ansa atlantoidea.
In accordo con la letteratura specializzata e
i protocolli di base da tempo adottati da tutti
i doppleristi1 (si vedano anche le Linee guida
della Società Italiana di Diagnostica Vascolare
G.I.U.V. anno 2000), si è proceduto alle misurazioni del diametro dei vasi nei vari tratti esplorabili e alle valutazioni velocimetriche del flusso ematico mediante l’utilizzo contemporaneo
del modulo colore e del doppler pulsato sui volumi campione.
RISULTATI
Gli esami giudicabili “positivi” sono stati 158 sui
490 (32%) selezionati per lo studio specifico del
distretto vertebrale (Fig. 2). Come sintetizzato
in Fig. 3, nella maggior parte di essi è stato possibile ricavare valutazioni velocimetriche tendenti a rilevare le modificazioni emodinamiche
globali dell’arteria, evocanti in maniera indiretta
un probabile effetto stenosante (rallentamento della velocità di flusso, aumento delle resistenze, ecc.). In altri casi, è stato possibile rilevare la presenza di segni diretti di verosimile
stenosi (accelerazione e turbolenza del flusso al
color-doppler) al Tillaux (Fig. 4 e 5), laddove peraltro sono possibili innumerevoli condizioni capaci di indurre in errore l’operatore. I dati di un
più significativo effetto stenosante sono stati rilevati solo in 8 casi (5%), ove si è potuto documentare un marcato decremento del segnale
doppler in un asse rispetto al controlaterale, non
influenzato dai movimenti del capo e con buona
visualizzazione ecografica del vaso stesso. In 2
casi si è posto il sospetto di occlusione della vertebrale sulla scorta dell’assenza del segnale doppler
a fronte di una buona immagine ecografica
esami negativi 332
esami positivi 158
400
300
200
100
0
Figura 2. Esami richiesti per sospetta patologia
vertebro-biliare.
100
rid. vel. flusso
acc. + turb
stenosi franca
aum. resist.
occlusione
96
49
8
2
2
80
60
40
20
0
Figura 3. Quadri ecodoppler rilevati sui 158
esami positivi.
dell’asse e di un incremento globale (compensatorio) del flusso sul vaso controlaterale. In un
caso si è documentata una riduzione di calibro
di una vertebrale (Fig. 6), ma con modeste ripercussioni emodinamiche caratterizzate da un flusso a velocità bassa e senza alterazioni al colordoppler.
167
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
Figura 4. Vistosi segni di turbolenza di flusso
all’ansa.
Figura 5. Spettrogramma che mostra netta
accelerazione di flusso con dispersione delle
frequenze da verosimile stenosi al Tillaux.
COMMENTO
I dati fin qui esposti, lungi dal meritare valenza
statistica, rappresentano il frammento di una
realtà sulla quale è bene spendere qualche parola. Un dato che va subito messo in risalto è certamente l’alta percentuale di richieste di eco(color)doppler dei TSA per “sospetta patologia del
distretto vertebrale” (490/1200 = 40,8%), specie
se rapportata alla ricchezza di informazioni che
invece tale esame fornisce nello studio dei vasi
carotidei.
Altro dato incontrovertibile è il numero ridotto di test giudicabili positivi (158/490 = 32%).
Tale riscontro, tuttavia, non può essere addebitato a una scarsa affidabilità del test, la quale,
anche se ridotta rispetto allo studio dei vasi carotidei, si mantiene su livelli abbastanza alti, con
sensibilità del 70-90% e specificità del 95%.2,3,4
Peraltro, esperienza insegna che anche un approc168
Figura 6. Asse vertebrale lievemente
ipoplastico (2,6 mm circa) all’origine.
cio “frettoloso” nella conduzione dell’esame
produce piuttosto falsi positivi: è infatti possibile più spesso che l’assenza di una corretta visualizzazione del vaso o del segnale doppler possa
indurre l’operatore a refertare come patologico un asse vertebrale sano!
Una risposta circa questa grossa discrepanza
fra esami effettuati e riscontro di patologia va
ricercata a monte, risalendo alle reali motivazioni che hanno indotto alla richiesta dell’esame stesso.
In un recente workshop promosso dal Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze (GIMBE) (Como, 9-11 maggio 2003) è stato
sottolineato come l’eco(color)doppler sia un’indagine a elevato grado di inappropriatezza.
Due i motivi principali: in primo luogo, la sovrastima delle possibilità diagnostiche della metodica (specie per quanto concerne il distretto vertebrale), altro motivo è la prescrizione dell’esame
senza l’osservanza delle corrette indicazioni.
Questi aspetti si fanno oltremodo evidenti e trovano l’esempio paradigmatico allorquando viene
proposto l’ecodoppler a un paziente con vertigini (posizionali) isolate, notoriamente dovute per la stragrande maggioranza dei casi a patologia funzionale a localizzazione labirintica, ma
che a oggi evocano ancora in molti medici e
“nell’immaginario collettivo” ipotetiche condizioni che “turbano” il circolo dei vasi cerebroafferenti.
Sembra opportuno a questo punto fare un
cenno circa le raccomandazioni e le linee guida
per la diagnostica vascolare con eco(color)doppler (CeVEAS – Centro per la Valutazione
dell’Efficacia dell’Assistenza Sanitaria – seconda revisione febbraio 2003), laddove si ribadiscono le condizioni cliniche sospette per TIA
L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare
vertebro-basilare e pertanto meritevoli dell’indagine in oggetto:
• cecità bilaterale improvvisa
• deficit sensitivo e/o motorio bilaterale o
crociato
• vertigini centrali e diplopia, disfagia e
cadute (combinate).
L’ esame è inoltre raccomandato nelle vertigini solo se persistenti, con esclusione delle
vertigini intese come disturbi dell’equilibrio a
carattere francamente rotatorio e/o posizionale, insorti acutamente e/o in remissione spontanea in 24-48 ore.
CONCLUSIONI
L’affidabilità dell’eco(color)doppler nello studio
del circolo succlavio-vertebro-basilare, per quanto minore rispetto al distretto carotideo, rimane
decisamente alta. L’uso improprio dell’esame,
bypassando gli aspetti clinici, è spesso fonte di
enormi “delusioni” per paziente e operatore.
Va pertanto lanciato un appello che esorti alla
corretta utilizzazione dell’eco(color)doppler che,
come per ogni forma di indagine strumentale,
non può prescindere da un’attenta valutazione
anamnestica e un accurato esame clinico del
paziente. Questi due momenti, affiancati alla conoscenza delle corrette indicazioni (con l’ausilio delle
linee guida), non possono che dar luogo a risultati sempre più affidabili nella ricerca del “ruolo
patogeno” del reperto clinico-strumentale.
BIBLIOGRAFIA
1. Rabbia C, Gillio S. Aspetti generali. In: Eco-colordoppler vascolare. Torino: Edizioni Minerva Medica, 1997:99-112.
2. Keller HM, Meier WE, Kumpe DA. Non-invasive
angiography for the diagnosis of vertebral artery
disease using doppler ultrasound (vertebral artery
doppler). Stroke 7 1976b:364-369.
3. von Reutern GM, Poucelot L. Cardiac cycle dependent alternating flow in vertebral arteries with
subclavian artery stenoses. Stroke 9 1978:229-236.
4. Hennerici M, Aulich A. Ultraschall-Doppler-Sonographie. Mediuz 3 1979:168-179.
169
Rassegna
Approccio all’addome acuto in ambiente
internistico
G. Chesi, F. Boni, P. Zoboli, A. Catania,
M. Ferretti, F. Dall’Orto
Dipartimento di Area Internistica U.O.C. di Medicina
Interna Ospedale “C. Magati”, Scandiano (RE), AUSL
Reggio Emilia
GIMI 2004;3(4):170-185
INTRODUZIONE
Scrive William Silen nel Capitolo 14 della 14a
edizione dell’Harrison (Principi di Medicina Interna):1 “La diagnosi di ‘addome acuto o chirurgico’, assai comune nei centri di Pronto Soccorso,
è inaccettabile perché fallace ed erronea. Può
accadere infatti che l’addome acuto più evidente non richieda intervento chirurgico e che un
dolore addominale di lieve entità, invece, sia sintomo iniziale di condizioni morbose che necessitano di un urgente trattamento chirurgico. In
poche altre situazioni cliniche sono richieste
maggiore esperienza e capacità di giudizio,
poiché è possibile prevedere il più drammatico
degli eventi attraverso il riconoscimento di segni
e sintomi apparentemente trascurabili e mai, come
in questo caso, la raccolta di un’anamnesi dettagliata e l’esecuzione meticolosa dell’esame obiettivo sono della massima importanza”.
In effetti, anche presso i nostri ospedali e i nostri
Pronto Soccorso non raramente tutto ciò che esordisce come sottodiaframmatico o addominale viene
ritenuto di pertinenza chirurgica e sottoposto
pertanto direttamente all’attenzione e alla gestione del chirurgo. Tuttavia, le cause di dolore addominale acuto, che da ora in poi definiremo per
brevità e per convenzione con l’espressione “addome acuto”, secondo quanto indicato anche in letteratura,2 sono veramente molteplici e tra esse si
Per la corrispondenza:
Giuseppe Chesi
Dipartimento di Area Internistica
Ospedale “C. Magati”
Viale Martiri della Libertà, 8
42019 Scandiano (RE)
tel. 0522/850447
e-mail [email protected]
170
mescolano situazioni tipicamente e nettamente
di pertinenza chirurgica a situazioni nelle quali
le cause possono essere esclusivamente di tipo
internistico o nelle quali, almeno inizialmente,
un approccio conservativo non chirurgico può essere consigliabile (1° episodio di diverticolite acuta,
colecistite acuta ecc.). Va precisato a questo
proposito che in letteratura2 l’addome acuto
viene considerato tale quando giunge all’osservazione entro le 24 ore dal suo esordio.
Va inoltre ricordato come l’aumentare dell’età
della popolazione generale faccia sì che siano
sempre più numerosi i soggetti anziani che giungono all’osservazione con patologie addominali acute che coesistono con altre significative
comorbilità, in particolare a carico dell’apparato
cardiocircolatorio e respiratorio.3 In tali soggetti dovrebbe essere particolarmente indicata una
valutazione collegiale e multidisciplinare volta
a stimare e a definire correttamente il rapporto rischio-beneficio di ogni eventuale atto terapeutico, evitando inutili aggressioni a vantaggio, quando possibile, di atteggiamento più
conservativo e più attento alle problematiche
complessive della persona stessa.
La nostra trattazione tuttavia esula dal considerare in maniera analitica tutte le possibili cause
di addome acuto, ma si concentrerà sulle possibili cause di addome acuto di tipo internistico,
sulla loro diagnostica differenziale e su quella
che potrebbe diventarne una definizione possibile, trattando poi in maniera privilegiata alcune sindromi che potremmo definire come cause
più autentiche di dolore addominale non chirurgico. Non ci soffermeremo neppure, infine, per
brevità sulle caratteristiche e sulla patogenesi
del dolore addominale, per il cui approfondimento ci limitiamo a indicare alcune sintetiche
e dettagliate fonti bibliografiche.1,2,4
Approccio all’addome acuto in ambiente internistico
DEFINIZIONE
L’addome acuto internistico potrebbe essere
definito come un dolore addominale acuto o subacuto di tipo accessionale e con caratteristiche di
evolutività che, tuttavia, è in grado di regredire spontaneamente o con terapia medica e si
complica ed evolve verso la necessità di una terapia chirurgica in una minoranza di casi.
In questa tipologia di pazienti, i criteri diagnostici enfatizzano l’importanza di un’anamnesi
accurata e di un esame obiettivo attento e meticoloso, mentre le metodiche di imaging sono
per lo più utilizzate in maniera mirata e volte
all’esclusione di cause effettivamente di pertinenza chirurgica.
CLASSIFICAZIONE
Non è per nulla facile classificare ed elencare in
sottogruppi affini l’addome acuto, specie con
un taglio internistico. In particolare, poi, la difficoltà consiste nel fatto che una separazione tra
addome acuto internistico e chirurgico presenta confini alquanto sfumati, poiché poche sono
le forme effettivamente appannaggio esclusivamente dell’internista o del chirurgo. Nella
maggior parte dei casi è possibile che, a seconda del momento in cui è posta la diagnosi, dell’evoluzione della patologia e della presenza di
comorbilità importanti, il paziente debba essere gestito prevalentemente dal chirurgo o prevalentemente dall’internista. Fondamentale rimane comunque la collaborazione tra queste figure
professionali anche quando il paziente debba
essere sottoposto a intervento chirurgico, in quanto all’internista competono in ogni caso l’ottimizzazione delle condizioni cliniche prechirurgiche e il concorso alla precisa definizione del
rapporto rischio/beneficio e alla scelta più opportuna del timing chirurgico stesso.
Nella Tabella 1 viene riportato un tentativo
complessivo di classificazione per l’addome acuto
osservato con un’ottica di tipo internistico che
cercheremo poi di analizzare più in dettaglio.
“peritonite” diffusa o distrettuale. Non raramente
coesiste l’interessamento di sierose anche di altri
distretti, quali articolazioni, pleura e pericardio.
Sierositi primitive
Il prototipo delle forme aspecifiche primitive è
costituito dalla febbre familiare mediterranea,
capofila del gruppo delle cosiddette febbri periodiche.5 La febbre familiare mediterranea è una
patologia su base genetica caratterizzata da un
difetto autosomico-recessivo costituito da una
mutazione puntiforme identificata a livello
dell’esone 10, cosiddetto gene MEFV, sito sul braccio corto del cromosoma 16.6 La malattia si esprime con ricorrenti brevi episodi di durata variabile tra meno di 24 ore e 1 settimana, caratterizzati
da febbre, artralgie, dolore addominale simulante una peritonite, dolore toracico di tipo pleuritico o, più raramente, di tipo pericarditico, talora accompagnato da rash cutaneo erisipeliforme.
L’età di insorgenza è quella adolescenziale giovanile e non raramente questi giovani pazienti giungono alla diagnosi dopo che in occasione di attacchi precedenti sono stati sottoposti a inutili
interventi chirurgici per lo più di appendicectomia o di colecistectomia.
Sierositi secondarie
Nel contesto delle sierositi va ricordata la possibilità di forme secondarie a vasculiti e collagenopatie,7 non dimenticando che talora possono
essere anche la prima manifestazione della patologia in questione. Frequentemente si associano a mucositi e quindi a quadri clinici caratterizzati da diarrea cronica. Alterazioni vascolari
in prevalenza rappresentate da aneurismi o
manifestazioni ostruttive, specie nell’ambito
delle vasculiti, ma anche nell’ambito delle collagenopatie (questa volta particolarmente in
presenza di forme già conclamate e sistemiche),
possono coesistere e dare problemi nella diagnostica differenziale.
MANIFESTAZIONI VASCOLARI
SIEROSITI
Vengono comprese in questo gruppo quelle patologie addominali in cui il momento etiopatogenetico è rappresentato dalla flogosi della
membrana sierosa peritoneale in grado di venire a configurare un vero e proprio quadro di
Come ricordato poc’anzi a proposito di sintomatologia addominale nell’ambito delle vasculiti e delle collagenopatie, una causa importante di addome acuto è costituita da patologie di
tipo vascolare. In questo ambito, oltre che riconoscere la patologia acuta causa del dolore addominale, è anche importante definire il profilo di
171
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
TABELLA 1 (Continua)
Classificazione addome acuto in ambiente internistico
SIEROSITI
– Aspecifiche (febbre familiare mediterranea, altre febbri periodiche [iperIg D, febbre
periodica associata al recettore del TNF])
– Specifiche (vasculiti, collagenopatie)
PROBLEMI VASCOLARI (TROMBOSI, ISCHEMIE)
– Ischemia intestinale (aterosclerosi, ateroembolismo, LES e vasculiti (PAN), Takayasu,
Kawasaki, ecc.)
– Infarto splenico
– Trombosi dei grossi vasi Intestinali (LES, sindrome da antifosfolipidi, trombofilie)
CAUSE EMATOLOGICHE
–
–
–
–
Microinfarti intestinali e dei visceri addominali nell’anemia a cellule falciformi
Pseudocolica renale nella crisi emolitica acuta
Infarti splenici nelle sindromi mieloproliferative
Trombosi di grossi vasi intestinali nelle sindromi mieloproliferative croniche
STATI D’ANSIA, PSICOSI E SINDROMI ANSIOSO-DEPRESSIVE
(?)
CON SOMATIZZAZIONI
DISFUNZIONI NEUROVEGETATIVE ACQUISITE O CONGENITE
– Gastroparesi nella chetoacidosi
– Disturbi congeniti della motilità intestinale
• Malattia di Hirschsprung e altre agangliosi
– Distensione addominale pseudo-ostruttiva (pseudo-ostruzione intestinale)
• Diselettrolitemie
• Farmaci
• Idiopatiche
– Su base infiammatoria
• Megacolon tossico (RCU, colite pseudomembranosa, ecc.)
SPASMI VISCERALI
– Colica biliare
– Colica renale
Si possono associare quadri come da “Ileo dinamico” con distensione addominale più o meno
marcata
FORME ACUTE PRIMITIVAMENTE INFIAMMATORIE
– Pancreatite acuta edematosa non biliare
– Distensione della glissoniana in corso di epatopatie acute
rischio e la probabilità a priori di un determinato paziente di sviluppare una quadro clinico
acuto di natura vascolare, per mettere in atto,
quando possibile, misure di tipo preventivo.
Le manifestazioni vascolari possono interessare sia il versante arterioso sia il versante venoso dell’apparato circolatorio addominale e spesso si inseriscono nel contesto di forme morbose
sistemiche (ad es., aterosclerosi) o di diatesi trombofiliche ereditarie o acquisite.
172
Patologia vascolare arteriosa
Per quanto riguarda il versante arterioso, la patologia ischemica solitamente è da considerare di
pertinenza chirurgica nella sua fase più acuta,
ma sottese vi sono importanti cause di tipo internistico che possono essere non raramente passibili di interventi di tipo correttivo o preventivo,
quali ad esempio una ben condotta terapia anticoagulante.8 L’aterosclerosi può a buon diritto
Approccio all’addome acuto in ambiente internistico
TABELLA 1 (Continuazione)
Classificazione addome acuto in ambiente internistico
– Gastroenterite o postgastroenterite acuta
• Spasmi di tipo colico
• Ileo dinamico postinfiammatorio
– Malattie infiammatorie intestinali croniche con la possibilità anche di megacolon tossicoTI
CAUSE METABOLICHE ED ENDOCRINOLOGICHE
–
–
–
–
–
Uremia
Ileo e gastroparesi nello scompenso diabetico
Porfiria acuta intermittente
Crisi addisoniane
Tempesta tiroidea
REAZIONI DI IPERSENSIBILITÀ E TOSSICITÀ DA METALLI E FARMACI
–
–
–
–
Intossicazione da piombo
Intossicazione da digitale o teofillina
Diverse categorie farmacologiche
Veleno di rettili o insetti
CAUSE ALLERGICHE O DA IPERSENSIBILITÀ
– Angioedema ereditario
CAUSE NEUROGENICHE
–
–
–
–
–
Radicoliti
Neoplasie spinali, perispinali e dei nervi periferici
Herpes zooster (nella fasi iniziali)
Tabe dorsale
Epilessia addominale
CAUSE
“DI
PARETE”
– Ematomi dei muscoli retti (specie nelle fasi iniziali)
– Tumori
– Affezioni acute muscolotendinee
CAUSE
“SOVRADIAFRAMMATICHE”
– Addome acuto metapneumonico
• Polmoniti, pleuriti, infarto polmonare, specie se a carico dei lobi inferiori
– Cause cardiache
• Infarto miocardico acuto (inf.)
• Scompenso cardiaco (fegato da stasi per distensione della glissoniana)
essere considerata, specie nei soggetti di età più
avanzata e nei soggetti di sesso maschile, come
la causa più frequente di fenomeni ischemici a
livello addominale e talora, specie nell’anziano,
la prima manifestazione può esserne costituita
da un infarto intestinale da occlusione dell’arteria mesenterica superiore.9 Di fronte a questa
diagnosi e anche, come vedremo dopo, di fronte a una diagnosi di infarto splenico nella diagnostica differenziale etiopatogenetica va sempre
considerata la possibilità di una genesi ateroembolica o cardioembolica,10 specie se il paziente
presenta un ritmo cardiaco come da fibrillazione atriale.
Cause meno frequenti, ma sempre da considerare di fronte a un paziente di età più giovane o con scarsi fattori di rischio cardiovascolare
sono le collagenopatie (LES11 e sclerodermia fra
tutte) e le vasculiti, siano esse da piccoli vasi secondo la classificazione di Fauci come la panarteri173
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
te nodosa,12 siano esse da medi o grossi vasi come
la malattia di Takayasu,13 frequente specie nei
soggetti asiatici e di sesso femminile, e l’arterite temporale, che invece si pone in diagnostica
differenziale nei soggetti più anziani e di sesso
maschile con l’aterosclerosi. Nell’ambito delle
manifestazioni vascolari del versante arterioso,
oltre a fenomeni occlusivi o subocclusivi vanno
considerati gli aneurismi. Se l’aneurisma dell’aorta addominale riconosce un’etiologia prevalente nell’ambito della malattia aterosclerotica,
aneurismi dei vasi di minor calibro del territorio splancnico, specie se multipli e associati ad
aspetti stenotici e in soggetti di età più giovanile, possono fare pensare a vasculiti14 o collagenopatie. Spesso questi aneurismi sono del tutto
silenti e la loro prima manifestazione, talora catastrofica, può essere la rottura spontanea, che
ovviamente trasforma il quadro in un’urgenza
chirurgica.15
Infarto splenico
Particolare attenzione merita, nell’ambito della
diagnostica differenziale dell’addome acuto
internistico per quanto concerne le cause vascolari arteriose, l’infarto splenico.16 Questa patologia si può presentare come un dolore acuto,
talora trafittivo, talora gravativo, accompagnata non di rado da resistenza di parete e peritonismo ai quadranti superiori di sinistra e spesso
da blocco antalgico della respirazione con diagnostica differenziale non facile nei confronti di una
pleurite acuta. La cause, riportate schematicamente nella Tabella 2, possono essere diverse e
riconoscere una genesi cardioembolica,17 come
nei pazienti con fibrillazione atriale, da discrepanza,18 come nei pazienti affetti da patologie
sistemiche con importante splenomegalia, o, infine, da torsione del peduncolo vascolare come
in caso di milza “wandering”.19 In presenza di
tali situazioni, una sintomatologia quale quella
sopra descritta dovrebbe sempre fare porre il
sospetto clinico e dare inizio a un iter diagnostico strumentale in grado di confermarlo o escluderlo.
Patologia vascolare venosa
Per quanto riguarda la patologia addominale
acuta del versante venoso, si tratta per lo più di
trombosi venose dei grossi vasi addominali (vena
mesenterica superiore, trombosi portale, vena
renale, ecc.).20 Esse solitamente si presentano in
174
TABELLA 2
Possibili cause di infarto splenico
• Splenomegalie di qualsiasi tipo (il rischio
è proporzionale alla dimensione)
• Diatesi trombofilica: malattie
mieloproliferative in particolare
• Fibrillazione atriale*
• Pazienti con aterosclerosi polidistrettuale
di rilevante entità
• Milza migrante, per torsione
del peduncolo. Possibile soprattutto
in presenza di documentata milza
accessoria
*Causa da considerare specialmente nel paziente
anziano.
maniera subdola e lenta e nel momento del dolore acuto peritonitico o da ileo paralitico riflesso possono divenire già di pertinenza chirurgica (infarto intestinale, ad esempio, nella trombosi
della vena mesenterica superiore). Queste forme
non di rado appannaggio di persone di una fascia
di età più giovanile possono essere favorite dalla
presenza di una diatesi trombofilica,21 congenita o acquisita, oppure essere secondarie alla
presenza di neoplasia. A differenza delle altre
forme, invece, la trombosi portale22 si può più
facilmente manifestare nell’ambito di una cirrosi conclamata con ipertensione portale ed essere caratterizzata, così come la sindrome di BuddChiari, 23 da un quadro clinico di ascite
ingravescente refrattaria, più che da dolore
addominale isolato.
CAUSE EMATOLOGICHE
Tra le possibili cause ematologiche di dolore addominale acuto, come riportato nella Tabella 3,
possiamo trovare le sindromi mieloproliferative
croniche in grado di determinare sia infarti splenici,24 spesso mediati anche dalla presenza di imponenti splenomegalie, sia fenomeni trombotici del
letto vascolare splancnico in grado di interessare il versante arterioso e, più frequentemente,
il versante venoso.25 Possiamo ricordare inoltre
come la crisi emolitica acuta possa esordire talora con un quadro di addome acuto accompagnato dall’emissione di urine “scure” caratterizzate dalla presenza di intensa emoglobinuria.26
Approccio all’addome acuto in ambiente internistico
TABELLA 3
Possibili cause ematologiche
di dolore addominale acuto
• Sindromi mieloproliferative croniche
– infarti splenici
– trombosi del letto vascolare splancnico
specie venoso
• Crisi emolitica acuta
• Anemia a cellule falciformi
– infarti intestinali
• Porpora trombotica trombocitopenica
– infarti intestinali
• Coagulazione intravascolare disseminata
– fenomeni trombotico-ischemici
– fenomeni emorragici
Altri quadri possono comprendere infarti intestinali multipli quali possono verificarsi nell’anemia a cellule falciformi27 o nella porpora trombotica trombocitopenica, ove tuttavia il quadro
clinico prevalente interessa per lo più altri distretti (cervello, rene). Infine, un addome acuto accompagnato da importante fenomenologia
emorragica può verificarsi in corso di coagulazione intravascolare disseminata,28 per lo più secondaria ad altre patologie, che vanno in questo
caso opportunamente ricercate per attuare il più
precocemente possibile, oltre che una terapia
sintomatica, anche una terapia.
DISTURBI PSICHICI E MENTALI
Stati d’ansia, psicosi e sindromi ansioso-depressive possono determinare, nell’ambito di somatizzazioni d’organo, quadri clinici di dolore
addominale acuto o subacuto talora accompagnato a turbe dell’alvo che, in particolari situazioni, possono mimare quadri clinici di addome
acuto internistico.29 Questi quadri possono talvolta porre problemi di diagnostica differenziale
nei confronti di sindromi cliniche come la porfiria acuta intermittente (PAI),30 ove nelle crisi acute
una sintomatologia addominale acuta può intrecciarsi con una vera e propria sintomatologia di
tipo psichiatrico. La stipsi alternata a diarrea,
specie diurna e mattutina e con il corteo di dolore addominale accessionale a tipo colico, costituisce il tipico quadro clinico del colon irritabile, non raro da osservare in soggetti con problemi
psichici.31 Questa sindrome clinica potrebbe crea-
re, almeno all’esordio, se più di tipo doloroso
piuttosto che diarroico, qualche problema di
diagnostica differenziale nei confronti di altre
patologie addominali acute organiche, come ad
esempio l’ileo meccanico nelle sue prime fasi.
Altre volte, i quadri clinici addominali di questi
pazienti possono essere modulati e precipitati
dall’impiego di farmaci come i neurolettici o gli
antidepressivi, che possono concorrere a realizzare quadri noti come pseudo-ostruzione intestinale.32 Altre volte ancora, a causare i sintomi
possono essere abitudini erronee a cui questi
soggetti sono avvezzi, come aerofagia spinta o
l’ingestione incongrua di corpi estranei o altro
(capelli, tegumenti, ecc.). Infine, va ricordato che
nel paziente psichiatrico, specie nel soggetto trattato con farmaci più pesanti e con dosaggi più
elevati, la percezione dei sintomi può essere resa
meno efficiente dalle terapie psichiatriche e
pertanto il vero addome acuto può presentarsi
con caratteristiche più torpide ed ingannevoli.
Nel malato “mentale”, pertanto, il dolore addominale e la sintomatologia addominale richiedono un approccio particolarmente attento e
l’esperienza dell’internista può svolgere un ruolo
cruciale nell’orientarsi tra problemi di tipo psicosomatico, quadri addominali precipitati o indotti da farmaci e quadri al contrario mascherati
dallo stato del paziente e dai farmaci stessi.
DISFUNZIONI NEUROVEGETATIVE
ACQUISITE O CONGENITE CON
DISTENSIONE INTESTINALE
Il sistema neurovegetativo è in grado di regolare, attraverso complessi e ben articolati processi, tutta la dinamica della motilità del tubo
gastroenterico. È evidente come alterazioni a
livello dei centri di regolazione o a livello delle
fibre nervose preposte alla trasmissione dello
stimolo o della placca di giunzione neuromuscolare possano indurre situazioni critiche a
livello intestinale, con quadri clinici di blocco del
transito e/o di abnorme distensione delle anse.
La Tabella 4 riporta un elenco delle possibili cause
etiopatogenetiche. Disregolazioni neurovegetative possono essere presenti in diverse condizioni morbose, a partire dall’anziano con quadri
di parkinsonismo, che talora possono coesistere con una grave compromissione del sistema
nervoso autonomo, la quale trova la sua espressione culminante, caratterizzata prevalentemente
da una gravissima ipotensione ortostatica, nella
cosiddetta sindrome di Shy-Drager. Nel pazien175
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
TABELLA 4
Diagnostica differenziale
delle pseudo-ostruzioni e delle distensioni
intestinali addominali
Distensione addominale
pseudo-ostruttiva (pseudo-ostruzione
intestinale)
• Diselettrolitemie
• Farmaci
• Idiopatiche
– Su base infiammatoria
• Megacolon tossico (RCU, colite
pseudomembranosa, ecc.)
– Disturbi congeniti della motilità
intestinale
• Malattia di Hirschsprung
e altre agangliosi
Ostruzione intestinale
–
–
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Volvolo ciecale
Intussuscezione o invaginazione
Briglie aderenziali
Neoplasia
Altro
te con abuso etilico cronico e ancora di più nel
paziente diabetico, la disfunzione del sistema
nervoso autonomo, specie durante fasi di scompenso acuto, può determinare a livello addominale vere e proprie “paresi” intestinali, con
significativa distensione dei visceri cavi e in
particolare dello stomaco e con quadri clinici come
da addome acuto, ascrivibili tuttavia ad abnorme gastrectasia.
pio traumatismi, chirurgia recente o infezioni.
Il criterio diagnostico maggiormente enfatizzato dai diversi autori è quello di un diametro traverso del colon misurato alla Rx addome diretto
uguale o maggiore di 9 cm. La pericolosità della
sindrome è legata al rischio di rottura del viscere, con complicanza peritonitica che diventa particolarmente incombente qualora il diametro
trasverso superi i 12 cm.
Un ruolo particolare nel determinismo di un
quadro di pseudo-ostruzione intestinale, quale
concausa o quale fattore scatenante, è svolto dai
farmaci e dagli squilibri idroelettrolitici.33 In
questo ambito, particolarmente importante è il
ruolo delle ipokaliemie, frequenti in particolare
nei soggetti anziani che si ipoalimentano o che
vengono trattati per lungo tempo con farmaci
diuretici non risparmiatori di potassio. Tra i
farmaci, invece, possono essere in causa gli oppiacei,34 diversi farmaci attivi sul SNC, in particolare i neurolettici e gli antidepressivi triciclici,35 ma
anche i calcio antagonisti e i farmaci dopaminergici. Spesso la terapia consiste esclusivamente nella
correzione degli squilibri idroelettrolitici presenti, nella sospensione o, qualora non possibile, nella
riduzione dei farmaci potenzialmente in causa e
nell’utilizzo a scopo detensivo, specie nelle fasi
iniziali, di un SNG e di una sonda rettale. In qualche caso, e soprattutto se il diametro del colon
si avvicina ai livelli di rischio, è possibile tentare
con la dovuta cautela una decompressione per
endoscopia o, in casi di estremo rischio o gravità,
una ciecostomia decompressiva di emergenza. Sul
piano prettamente farmacologico vi sono pochi
dati ed esclusivamente sull’impiego dei vagomimetici, quali la neostigmina per iniezioni refratte sottocutanee da considerare in assenza di
controindicazioni, quali, fra tutte, specie nell’anziano, la bradicardia.
Pseudo-ostruzione intestinale
Il quadro clinico di più frequente riscontro in
ambito internistico, considerata l’attuale età
media assai avanzata dei pazienti ricoverati, è
quello cosiddetto di pseudo-ostruzione intestinale.33 Tale forma, definita come sindrome di
Ogilvie quando interessa prevalentemente il
colon destro e il cieco, si contraddistingue per
una progressiva marcata distensione dei diversi segmenti del colon, con un quadro clinico in
grado di simulare un ileo ostruttivo. Si sviluppa
prevalentemente in pazienti ospedalizzati e nel
95% dei casi costituisce una sequela o complicanza di precedenti patologie di tipo internistico, chirurgico o traumatologico, quali ad esem176
Distensione intestinale
infiammatoria o megacolon
tossico
Un’altra causa, meno frequente, di importante
distensione intestinale, specie colica in ambito
internistico è il cosiddetto megacolon tossico.36
Per correttezza e precisione dobbiamo rimarcare come alcuni autori non separino questa forma
dalla cosiddetta pseudo-ostruzione intestinale
o sindrome di Ogilvie che abbiamo poc’anzi trattato. Una distensione delle anse intestinali, talora non solamente localizzata al colon, ma anche
all’intestino tenue, si può verificare in via riflessa secondariamente a diverse forme infettive
L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare
acute intestinali e seguire fasi di diarrea di breve
durata. Solitamente queste forme, così come il
sintomo diarrea, si autolimitano e non di rado
la distensione intestinale successiva può anche
venire favorita dall’incongruo impiego di farmaci antidiarroici, quali ad esempio la loperamide.
Il vero e proprio megacolon tossico acuto consiste però in una distensione improvvisa e ingravescente del colon, di solito in tutta la sua segmentazione, che avviene durante la fase di acuzie di
una malattia infiammatoria intestinale cronica
e in particolare nella rettocolite ulcerosa. Il megacolon tossico viene definito tale quando il
paziente presenta una dilatazione del colon
trasverso di diametro superiore a 5-6 cm accompagnata da perdita delle haustrature. Anche in
questo caso, come per la pseudo-ostruzione
intestinale, vi possono essere fattori concausali
costituiti dall’incongruo impiego di farmaci
(oppiacei fra tutti) e/o diselettrolitemie. Un
precoce riscontro di megacolon tossico in corso
di fase attiva di rettocolite ulcerosa consente di
intervenire con successo utilizzando la terapia
medica come per l’attacco acuto della rettocolite ulcerosa con boli di corticosteroidi.37
Megacolon congenito
(malattia di Hirschsprung)
Anche se rare, nell’ambito della diagnostica
differenziale delle distensioni addominali vanno
comunque ricordate le forme congenite, cui prototipo è la cosiddetta malattia di Hirschsprung.38
Essa determina una dilatazione del colon quale
risultato di un’ostruzione funzionale (usualmente a livello del retto) mediata da una congenita assenza del plesso neurale intramurale a
quel livello (anche definita aganglionosi). Talora, anche se non frequentemente, la diagnosi
può essere posta in età giovane-adulta39 e può
porre problemi di diagnostica differenziale
soprattutto nei soggetti che giungono all’attenzione per dolore addominale, nausea e vomito, che spesso, nel caso del megacolon congenito, è accompagnato da una lunga storia di stipsi
ostinata.
Diagnostica differenziale delle
pseudo-ostruzioni e distensioni
addominali (Tab. 4)
Ovviamente, in presenza di un quadro di dolore addominale acuto e importante distensione
addominale, prima di formulare la diagnosi di
pseudo-ostruzione o megacolon tossico va esclu-
sa la presenza di vera e propria ostruzione
meccanica, ovvero di un ileo ostruttivo.40,41 In
questo ambito, è fondamentale una stretta
collaborazione fra internista e chirurgo mirata
a una precisa e puntigliosa raccolta anamnestica e a un meticoloso esame obiettivo. A essi andrà
associata una diagnostica strumentale che si
avvarrà della Rx addome diretta in tutte le sue
diverse proiezioni, cui potrà essere associata, a
seconda delle circostanze un Rx tubo digerente
con contrasto (eventualmente iodato) e/o un Rx
clisma opaco, onde verificare la presenza o meno
di canalizzazione intestinale. Specie nelle fasi
precoci, l’utilizzo di bario è da evitare a vantaggio di mezzi di contrasto iodati, anche perché
la sua presenza a livello intestinale nei giorni
successivi può inficiare l’utilizzo di altre metodiche diagnostiche come ad esempio la tomografia assiale computerizzata. Va ricordato che
nell’ileo meccanico, soprattutto nelle prime fasi
di insorgenza, il dolore si presenta di tipo “colico”, caratterizzato da spasmi intestinali associati
a vivaci borborigmi, a differenza delle forme pseudo-ostruttive dove la peristalsi e i rumori intestinali sono drasticamente ridotti fino al silenzio totale. La nausea e il vomito nelle ostruzioni
più distali, analogamente a quanto accade nei
quadri pseudo-ostruttivi, possono essere sintomi sfumati e comparire solo tardivamente, a differenza invece di quanto accade nelle ostruzioni
“alte”.
SPASMI VISCERALI
In questo gruppo di affezioni possiamo inserire
a buon diritto le coliche epatiche42 e renali.43 Per
i pazienti che hanno già presentato analoghi
episodi e che vantano in anamnesi la presenza
di nota calcolosi biliare o renale, un episodio
doloroso con caratteri accessionali di spasmo,
accompagnato, specie per la colica renale, a intensa fenomenologia neurovegetativa e localizzato all’emiaddome ove è nota la presenza delle
formazioni litiasiche (ovviamente a destra per
la colica biliare), configura un quadro di diagnosi non difficile. Un po’ più complessa è la diagnosi di primo episodio, soprattutto in soggetti più
anziani e con sintomatologia non del tutto tipica. In questi casi, può effettivamente essere di
aiuto il laboratorio in grado di svelare sia le eventuali conseguenze della “colica”, quali ipertransaminasemia, iperbilirubinemia e movimento
dei principali indici di stasi, sia gli eventuali fattori predisponenti, quali, ad esempio, nelle coli177
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
che renali, iperuricemie e ipercalcemie. Ovviamente, l’analisi del sedimento urinario sarà in
quest’ultimo caso un altro valido ausilio diagnostico. Dirimente infine può risultare un esame
ecografico, ormai alla portata di quasi tutti i Pronto Soccorso e dei reparti di Medicina Interna, il
quale direttamente evidenzia le formazioni litiasiche e le loro eventuali conseguenze (idronefrosi, idrope o distensione della colecisti, ecc.),
divenendo così un mezzo diagnostico insostituibile proprio per le forme cliniche più gravi o
protratte e più resistenti alle iniziali terapie.
FORME PRIMITIVAMENTE
INFIAMMATORIE
In corso di infiammazioni d’organo o malattie
infiammatorie sistemiche, ma con tropismo a livello dei visceri addominali si possono avere quadri
di addome acuto che solitamente si risolvono
con la risoluzione della forma infiammatoria
primitiva alla base dell’etiologia del quadro. Possono associarsi a gastroenteriti acute44 o seguirne
il decorso caratterizzandolo con la prevalenza
di dolore a tipo “colico” accessionale. Possono
a volte, seppur raramente, esitare in un quadro
come da megacolon tossico, di cui abbiamo già
parlato in precedenza. Nella stragrande maggioranza dei casi, tuttavia, la risoluzione è tanto
rapida quanto lo è stata la fase acuta.
Altre volte il dolore acuto addominale è collegato alla distensione capsulare di un viscere quale
il fegato, come può accadere all’esordio di un’epatite acuta.45 Il quadro clinico è talora reso di
più difficile interpretazione dalla presenza associata di una colecisti che può presentare aspetti riflessi sia di distensione sia di contrazione e
ispessimento parietale tali da far sospettare
anche un’eventuale colecistite. Tuttavia, nel
dolore addominale da distensione della glissoniana epatica da epatopatia acuta la durata della
fase algica è alquanto limitata nel tempo e con
caratteristiche di tipo gravativo continuo subcontinuo e non spastico accessionale. Inoltre, nelle
epatopatie acute solitamente l’enzimogramma
epatico mostra incrementi di transaminasi rapidi e di livelli tali (x 10-20) quali molto difficilmente una colica biliare può far raggiungere.
Nell’ambito della patologia infiammatoria
acuta causa di “addome acuto” possiamo anche
inserire la pancreatite acuta,46 da sospettare
sempre in soggetti con dolore violento non accompagnato da evidenti segni di peritonismo, specie
in presenza di una storia clinica di litiasi della
178
colecisti o di abitudini etiliche. Infine, da tenere presenti in diagnostica differenziale, soprattutto nelle fasi di esordio, sono sia le malattie
infiammatorie intestinali croniche47 come la
rettocolite ulcerosa e il morbo di Chrohn, a volte
caratterizzate da presentazione con dolore diffuso addominale, segni di peritonismo e diarrea
profusa, sia infezioni acute, a livello intestinale, anche se di più raro riscontro, almeno nei
nostri Paesi. In questo ambito, specie nei soggetti più anziani, la presenza di dolore addominale quando eventualmente associato a segni di
peritonismo e localizzato in prevalenza ai
quadranti inferiori a sinistra dovrebbe sempre
fare sospettare una possibile diverticolite acuta,48
che, almeno per quanto riguarda il primo episodio, viene considerata come patologia “medica” e come tale da sottoporre a trattamento
conservativo e non chirurgico. Analogamente,
anche se localizzato ai quadranti superiori di
destra, il dolore addominale acuto riferibile a
empiema della colecisti49 potrebbe ormai essere considerato, almeno nella fase acuta, date
l’età avanzata e la comorbilità della maggior parte
di questi pazienti, una patologia di interesse internistico, da gestire comunque in collaborazione
con il chirurgo, soprattutto nei casi ove per motivi di recidiva o di non ottimale risposta alla terapia medica può prospettarsi come opportuno l’atto chirurgico.
CAUSE METABOLICHE
ED ENDOCRINOLOGICHE
Si tratta di etiologie non particolarmente frequenti, ma che in ambito internistico e di Pronto Soccorso dovrebbero essere sempre tenute presenti in
quanto potenzialmente letali se non tempestivamente riconosciute e trattate.
Oltre all’uremia,50 quadro tuttavia sempre di
accompagnamento a un’ingravescente insufficienza renale per lo più progressiva nel tempo,
che si caratterizza anche per la presenza di addominalgie, inappetenza marcata, nausea e vomito e alla possibilità di ileo paralitico e gastrectasia da gastroparesi nell’ambito di una chetoacidosi
diabetica51 più spesso appannaggio di pazienti
di età relativamente giovane e di non difficile
riconoscimento, sono essenzialmente tre le sindromi endocrinometaboliche in grado di mimare un addome acuto.
Si tratta della porfiria acuta intermittente
(PAI),52 della crisi addisoniana nell’insufficienza
corticosurrenalica acuta53 e della cosiddetta
Approccio all’addome acuto in ambiente internistico
“tempesta tiroidea” dell’ipertiroidismo iperacuto.54
Porfiria acuta intermittente (PAI)
Appartiene al gruppo delle porfirie, patologie
relativamente rare caratterizzate patogeneticamente da difetti di una o più tappe enzimatiche della catena dell’eme. Spesso ne sono
colpite giovani donne con problemi psichiatrici
o psicologici, che, pur legati alla malattia, a volte
per anni, prima di arrivare alla diagnosi vera e
propria portano questi soggetti a essere considerati e trattati esclusivamente come tali e a interpretare gli altri sintomi come possibili somatizzazioni. La PAI si presenta solitamente con
attacchi ricorrenti che possono presentare aspetti di tipo proteiforme. Sintomo cardinale degli
attacchi è il dolore addominale, che può essere
intenso, talora con aspetti crampiformi o accompagnato a distensione addominale. A differenza dell’addome acuto chirurgico, non coesistono rialzi febbrili, neppure con la rilevazione
rettale, e non è solitamente presente leucocitosi neutrofilica. Possono far parte del corteo
sintomatologico dell’attacco acuto, inoltre,
nausea e vomito o, al contrario, stipsi ostinata.
Problemi a carico del sensorio che possono coesistere con sintomi neurologici centrali, con quadri
anche di estrema gravità di tipo sia eccitatorio
(stati convulsivi) sia depressorio (respiro periodico e arresto respiratorio) possono creare situazioni di pericolo per la vita del paziente. In taluni casi non viene risparmiato neppure il sistema
nervoso periferico, con quadri di neuropatia isolata o multipla che, unitamente alla giovane età
dei soggetti colpiti, possono evocare nell’ambito della diagnostica differenziale una sindrome
vasculitica acuta. A livello addominale55 può essere dominante un sintomo disurico fino a una
vera e propria ritenzione acuta di urina con globo
vescicale. Nell’ambito del quadro di una sofferenza globale del paziente in grado di mimare
un addome acuto si possono inoltre osservare
tachicardia, sudorazione e tremori. Ovviamente, gli esami strumentali non sono di ausilio, risultando in questi casi negativi, mentre il laboratorio può a volte aiutare svelando un’iponatriemia
che, non di rado particolarmente grave, è espressione di una SIADH (sindrome da inappropriata
secrezione di ormone antidiuretico).56 Durante
l’attacco acuto, ispettivamente le urine possono assumere il caratteristico colorito rosato scuro
cosiddetto color “porto”, dal nome dell’omonimo famoso vino. Tale colorazione è mediata dalla
presenza di pigmenti di degradazione dell’eme,
quali il porfobilinogeno e l’acido delta aminolevulinico, la cui determinazione nelle urine
della fase acuta consente di confermare il sospetto diagnostico.
Crisi addisoniana acuta
(insufficienza corticosurrenalica
acuta)
Un ipocorticosurrenalismo acuto tale da determinare il quadro clinico della cosiddetta crisi addisoniana può essere scatenato da situazioni di
stress conseguenti a patologie acute di diversa
natura, quali ad esempio infezioni o aggressioni chirurgiche. Tant’è che in soggetti con noto
ipocorticosurrenalismo la posologia steroidea
sostitutiva andrebbe sempre adeguata in aumento qualora si verifichino tali situazioni di rischio.
Il quadro clinico è caratterizzato da ipotensione,
inizialmente di tipo ortostatico e successivamente anche in condizioni basali, astenia, dolori addominali accompagnati da marcata inappetenza,
nausea e vomito. L’addome, tuttavia, è di solito trattabile e non presenta segni di peritonismo, né significativa distensione delle anse. Il
caratteristico profilo bioumorale è costituito da
iposodiemia e tendenziale iperkaliemia, talora
accompagnata da alcalosi metabolica, lieve insufficienza renale (prerenale) e leucocitosi con
neutrofilia e, a volte, eosinofilia. Dati recenti57
sottolineano come, specie nel paziente anziano, in disparate situazioni patologiche, possa
slatentizzarsi un’insufficienza corticosurrenalica relativa e per questo in precedenza misconosciuta e come tale dato debba essere preso in
considerazione e, se necessario, considerato per
un opportuno trattamento sostitutivo di supporto. La determinazione dell’ACTH (che risulterà
elevato) ed eventualmente una curva da carico
con ACTH (che risulterà piatta o quasi) potrebbero consentire la conferma diagnostica, che potrà
essere avvalorata, come criterio ex juvantibus,
anche dalla rapida risposta alla terapia sostitutiva steroidea.
Tempesta tiroidea (thyroid storm)
A differenza dello pseudoaddome acuto della
crisi addisoniana, la fase iperacuta dell’ipertiroidismo si caratterizza più per focalizzazioni
d’organo diverse dei visceri addominali58 (apparato cardiocircolatorio in primis) che per la sintomatologia addominale. Tuttavia, nell’ambito di
tale quadro clinico, anche se non frequente179
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di Medicina Interna
mente, si può avere dolore addominale più spesso di tipo accessionale colico o distensione addominale54 che, accompagnato a diarrea talora
profusa e febbre, può mimare il quadro di malattie infiammatorie croniche intestinali in fase di
recrudescenza o di altra patologia addominale acuta. Orienterà in questo caso verso una
diagnosi corretta la coesistenza di calo ponderale, tachicardia o fibrillazione atriale, diaforesi, agitazione e tremori, sintomi tutti più o
meno invariabilmente presenti e da interpretare correttamente e in maniera unitaria. Ovviamente, la conferma diagnostica verrà poi della
determinazione di TSH e frazioni tiroidee ormonali libere.
REAZIONI DA IPERSENSIBILITÀ O
TOSSICITÀ DA METALLI O FARMACI
Appartiene ormai alla storia della medicina il
quadro di pseudoaddome acuto descritto nel
saturnismo acuto o intossicazione da piombo
descritto nei lavoratori addetti alla lavorazione di manufatti contenenti piombo.59 Oggigiorno, i controlli preventivi eseguiti dalla
medicina del lavoro rendono altamente improbabile una tale evenienza. Così come molto rare,
per lo meno nei Paesi occidentali, sono le
reazioni all’inoculazione di veleno o sostanze
irritanti da parte di animali velenosi capaci di
realizzare anche sintomatologia acuta di tipo
addominale.60 Diverso, invece, e in continua
espansione è l’ambito iatrogeno a livello addominale, dove farmaci vecchi e nuovi costituiscono un’ampia miscellanea che ogni internista tuttavia dovrebbe sempre tenere bene a
TABELLA 6
Farmaci e addome acuto: interazioni
e interferenze al di là dell’effetto diretto
1. Possono precipitare patologie in grado
di dare quadri addominali acuti
a) Pseudo-ostruzione intestinale
(oppiacei, anticolinergici)
b) Porfiria acuta intermittente
(antiepilettici, neurolettici, ecc.)
2. Possono trattare quadri addominali
acuti dovuti a cause extraddominali
a) Antiepilettici nella abdominal epylepsia
3. Possono mascherare i sintomi di patologie
addominali acute anche di possibile
pertinenza chirurgica
a) Oppiacei, antidolorifici, neurolettici,
cortisonici
4. Possono orientare la diagnosi verso
problematiche non organiche
a) Farmaci psichiatrici in pazienti giovani
con pochi fattori di rischio per addome
acuto
mente e ipotizzare già all’atto di un’accurata
indagine anamnestica che, ovviamente , non
può non considerare i farmaci assunti, la durata della loro assunzione e la loro posologia.61
La Tabella 5 riporta un elenco indicativo di farmaci e classi di farmaci potenzialmente in grado
di mimare o determinare un vero e proprio addome acuto.32,34,64-74 Nella Tabella 6 vengono invece elencate le interazioni che alcuni farmaci
possono avere nei confronti della patologia acuta
addominale. In questo settore, come già ricor-
TABELLA 5
Farmaci in grado di determinare situazioni simil-“addome acuto”
• Digitalici62 e teofillina63
Situazione spesso preceduta da inappetenza,
nausea e vomito e da sintomi significativi
extraddominali
• Anticolinergici,64 oppiacei,34
calcio antagonisti,32 tocolitici65
Pseudo-ostruzione intestinale,
globo vescicale (maschio)
• FANS,66 chemioterapici antineoplastici
(irinotecan, 5FU, taxani),66,67,68 antibiotici69
Quadri di ileite o colite ulcerativa acuta o
subacuta oppure enterocolite necrotizzante
• Simpaticomimetici,70 ergotaminici,71 cocaina72
Infarti anche a livello intestinale
• Estroprogestinici73
Trombosi del tratto splancnico
• Anticoagulanti ed eparine
74
180
Ematomi (di parete) con quadri acuti
o pseudoacuti
Approccio all’addome acuto in ambiente internistico
dato, il ruolo dell’anamnesi diventa fondamentale per riuscire a stabilire la possibile relazione causale tra farmaco e dolore addominale acuto, considerando anche attentamente i
fattori concausali in gioco, quali ad esempio il
ruolo di un peggioramento della funzionalità
renale nel determinismo di un’intossicazione
digitalica.
CAUSE ALLERGICHE
O DA IPERSENSIBILITÀ
Angioedema ereditario
Causa non frequente, ma prettamente internistica di quadri clinici in grado di mimare in tutto
e per tutto un vero e proprio addome acuto chirurgico è l’angioedema ereditario.75 Si tratta di una
malattia rara, trasmessa per via autosomico-dominante e caratterizzata da ridotte concentrazioni plasmatiche di C1 esterasi inibitore (tipo 1) o
dalla presenza di C1 esterasi inibitore funzionalmente non attivo (tipo 2). Solitamente, la
presentazione clinica è caratterizzata da attacchi comprendenti la comparsa di angioedema,
che può essere localizzato al volto, alla lingua
o ad altre regioni dell’apparato tegumentario,
nella maggior parte dei casi ad autorisoluzione
nell’arco di 24-72 ore. Sono descritti tuttavia casi
particolari in cui l’espressione clinica degli attacchi è quella di dolore addominale colico ricorrente, che può accompagnarsi a versamento ascitico e mimare gli aspetti dell’addome acuto,
ponendo non poche difficoltà nella diagnostica
differenziale. Una volta posto il sospetto diagnostico, lo stesso va confermato con il dosaggio
del C1 esterasi inibitore e della sua attività. Nel
caso di attacchi di particolare gravità, la terapia
sintomatica può essere affiancata da una terapia causale a base di concentrati di C1 esterasi
inibitore.
CAUSE NEUROGENICHE
Nella diagnostica differenziale del dolore addominale acuto vanno anche prese in considerazione potenziali cause neurogeniche.76 Sono
cause rare e di cui ancor più raro è un esordio
acuto d’emblée. Possiamo ricordare in questo
ambito la possibilità che radicoliti o neoplasie
spinali, perispinali o dei nervi periferici possano
dare quadri dolorosi addominali, solitamente
settoriali e segmentali (lungo il decorso o nell’irradiazione dei tratti nervosi coinvolti). Meno raro
l’herpes zoster a carico dei metameri lombosacrali nel quale, talora, la fase dolorosa può precedere anche di giorni la comparsa dell’esantema
vescicolare localizzato tipico dell’affezione. Del
tutto eccezionali possono ormai essere considerati
la tabe dorsale e quella particolare forma di epilessia definita “addominale”. In tutte queste situazioni, l’assenza di segni peritoneali, la negatività della Rx addome diretto e, quando eseguiti,
di ecografia addominale e TC deve indurre l’internista a ricercare sindromi cliniche alternative all’addome acuto e l’ambito neurogenico deve
comunque essere tenuto presente nella diagnostica differenziale.
CAUSE “DI PARETE”
Se si presta attenzione all’anamnesi e, in questo
particolare caso, anche a un meticoloso esame
obiettivo, le cosiddette cause “di parete” sono
assai facilmente riconoscibili. In primis, tra esse
va ricordata la possibilità di un ematoma sottofasciale dei muscoli retti dell’addome,74 causa
sempre da considerare quando compaia dolore
addominale abbastanza localizzato in detta sede
e in soggetti posti in trattamento con preparazioni di eparina calcica o a basso peso somministrata sc. Anche stiramenti o contratture dovute a movimenti incongrui possono esordire con
dolore addominale acuto che, come nel caso
dell’ematoma sottofasciale, si presenta ben localizzato e decisamente peggiorato dalla palpazione superficiale, associandosi nelle fasi successive a possibili segni locali quali tumefazione e/o
arrossamento.
CAUSE SOVRADIAFRAMMATICHE
Come alcune irradiazioni dolorose di organi sottodiaframmatici possono localizzarsi in aree sovradiaframmatiche (caratteristico è l’esempio del
dolore alla spalla espressione di patologia acuta
di colecisti e fegato), così può accadere anche il
contrario.
Cause cardiache
In ambito cardiovascolare è ben noto come un
dolore epigastrico acuto, specie se di tipo gravativo costrittivo e accompagnato da spiccati fenomeni neurovegetativi, può ben essere espressione
181
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di Medicina Interna
di infarto miocardico acuto della parete inferiore o posteriore del cuore ed essere a volte
scambiato per una patologia acuta addominale
di tipo peptico o di tipo epatopancreatico.77 Inoltre, sempre in questo settore di patologia possono esservi pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico, in cui la prevalenza di scompenso
destro può determinare un fegato da stasi particolarmente importante ed esordire con intenso
dolore all’ipocondrio destro, espressione di
distensione acuta della glissoniana.
Cause pleuropolmonari (o addome
acuto metapneumonico)
Analogamente, processi patologici pleuropolmonari, come una polmonite o una pleurite basale, possono esordire con dolore intenso in regione ipocondriaca, cui si può anche accompagnare
una resistenza antalgica parietale addominale
in grado di far mimare in tutto e per tutto una
situazione di addome acuto.78 Anche se percentualmente inferiori, altri processi patologici in
grado di interessare i foglietti pleurici, come un
infarto embolico polmonare o un processo
neoplastico, possono dare quadri similari, ma
caratterizzati da un minor grado di acuzie.
collaborazione interdisciplinare sempre più stretti tra internisti, chirurghi, gastroenterologi, endoscopisti e radiologi. In questa maniera e con
un utilizzo sempre più estensivo “on line”, sul
campo, delle tecniche ecografiche all’interno dei
nostri reparti di Medicina Interna si potrà migliorare e velocizzare la diagnostica, evitare interventi chirurgici incongrui o inappropriati, migliorare il timing di quelli necessari e rendere più
efficace il trattamento medico preoperatorio e
postoperatorio. Certamente tutto ciò comporta
la necessità che gli internisti degli anni Duemila mantengano una vocazione olistica all’approccio delle malattie, evitando fughe troppo
precoci od esclusive in direzione delle branche
specialistiche, come non di rado accade. Al
contrario, va accettata la sfida di una Medicina
Interna che sempre di più si pone e si propone
come la Medicina della complessità. Una medicina pertanto unica che, mettendo al centro la
persona, vuole curare il paziente nella sua globalità e non nel singolo sintomo. Essa sa soppesare nella giusta maniera qualità e quantità della
vita, nella consapevolezza che curare è comunque sempre possibile, anche quando non si può
guarire, e che solo nel dubbio, nell’applicazione costante allo studio e nel confronto sistematico
tra colleghi è possibile realizzare la cura migliore per ogni malato.
CONCLUSIONI
Non è certamente facile il tentativo di delineare un approccio “internistico” all’addome acuto.
Abbiamo cercato in maniera sintetica di classificare e definire con criteri prevalentemente di
tipo etiopatogenetico i numerosissimi quadri clinico-patologici in grado di determinare una sindrome come da addome acuto, termine considerato da noi e dalla maggior parte degli autori in
letteratura come sinonimo di dolore addominale
acuto. Ne scaturisce un’elencazione nell’ambito
della quale e al termine della quale a nostro giudizio lo spazio per l’internista appare molto ampio
nell’ambito sia della diagnostica sia della terapia. Crediamo sia venuto il momento in cui i reparti di Medicina Interna possano riappropriarsi della
patologia addominale, per troppo tempo ed erroneamente ritenuta solamente di pertinenza
chirurgica. Deve essere altrettanto chiaro, comunque, che non si tratta di un’esclusività, ma che
è necessaria un’ampia collaborazione tra diverse figure professionali e che, all’interno dei nostri
ospedali, seguendo le linee dei nuovi modelli
dipartimentali, devono crescere, proprio intorno a questi malati molto complessi, modelli di
182
RIASSUNTO
Gli autori definiscono l’addome acuto o dolore
addominale acuto “internistico” come un dolore addominale acuto o subacuto di tipo accessionale e con caratteristiche di evolutività che
lo rendono capace di regredire spontaneamente o con terapia medica e complicarsi ed evolvere verso la necessità di una terapia chirurgica
in una minoranza di pazienti.
Passano poi in rassegna sinteticamente i diversi quadri clinici e le diverse patologie in grado
di presentarsi con le caratteristiche dell’addome acuto. Il tentativo di classificazione da essi
proposto elenca questi diversi capitoli: (a) sierositi aspecifiche (febbre familiare mediterranea
in particolare) o specifiche; (b) problemi vascolari con ischemia intestinale, infarto splenico e
trombosi dei grossi vasi intestinali; (c) cause ematologiche; (d) disturbi psichici e mentali con somatizzazione d’organo; (e) disfunzioni neurovegetative acquisite o congenite con distensione
intestinale con i quadri di pseudo-ostruzione intestinale acquisita o congenita e con il megaco-
Approccio all’addome acuto in ambiente internistico
lon tossico; (f) spasmi viscerali comprendenti fra
tutti la colica biliare e quella renale; (g) forme
primitivamente infiammatorie con la pancreatite acuta non biliare quale sindrome più significativa; (h) cause metaboliche ed endocrinologiche, da considerare eminentemente di tipo
“medico” con sindromi quali la porfiria acuta
intermittente, e quadri clinici di ambito endocrinologico, quali quelli della crisi addisoniana
e della tempesta tiroidea; (i) reazioni da ipersensibilità o tossicità da metalli e farmaci, molto
meno rari di quanto si possa pensare; (l) cause
neurogeniche, rare ma possibili, quali ad esempio un esordio di herpes zoster dei metameri
lombari; (m) cause “di parete”, come ad esempio l’automa acuto subacuto sottofasciale dei
muscoli retti; (n) cause sovradiaframmatiche, quali
ad esempio l’infarto miocardico della parete inferiore e processi pleuropolmonari a carico dei
segmenti inferiori e diaframmatici.
Infine, viene sottolineata l’importanza del
ruolo dell’internista nel concorrere alla definizione diagnostica e al trattamento, frequentemente di tipo conservativo, di queste forme, definendo anche un team collaborativo insieme al
chirurgo, al radiologo e, di volta in volta, ad altri
specialisti di settore.
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Articolo originale
Beta-bloccanti e scompenso cronico
di cuore
G. Vescovo
Medicina 1 Ospedale S. Bortolo, USL 6, Vicenza
GIMI 2004;3(4):186-192
RIASSUNTO
Dagli studi clinici in nostro possesso e pubblicati negli ultimi anni, l’uso dei beta-bloccanti è entrato
nella pratica clinica nel trattamento dello scompenso cronico di cuore. I beta-bloccanti, infatti, hanno
dimostrato di essere in grado di migliorare la capacità di esercizio e i sintomi nei pazienti con scompenso di cuore, ma soprattutto hanno fatto diminuire la mortalità cardiovascolare e la riospedalizzazione. Questi vantaggi si hanno in tutti i gradi di severità della sindrome e vi sono dimostrazioni che i
dati sono applicabili alle popolazioni giovani, ma anche agli anziani. I farmaci che si sono finora dimostrati utili sono il metoprololo succinato, il bisoprololo, il nebivololo e il carvedilolo. Per il bucindololo sostanzialmente è stata provata una neutralità.
Nella scelta del farmaco vanno tenuti presenti non solo le evidenze che vengono dai trial di confronto
(COMET), ma anche i presupposti fisiopatologici che possono far sì che la molecola presenti vantaggi
maggiori per il paziente. Queste proprietà ancillari sono la capacità di bloccare i recettori sia beta1 sia
beta2 e anche alfa1, la capacità vasodilatatrice, quella antiossidante, antiapoptotica, che possono avere
effetti sulla contrattilità ventricolare, sul rimodellamento e anche sui tessuti periferici, quali il muscolo
scheletrico, che ha una funzione importante nel determinare la capacità di esercizio dei pazienti.
Parole chiave: beta-bloccanti, scompenso cronico di cuore, carvedilolo, bisoprololo, metoprololo, nebivololo.
SUMMARY
The use of beta-blockers in patients with chronic heart failure has been proposed only in the recent
years but it is now a milestone for the treatment of this syndrome. Beta blockers have been shown able
to ameliorate exercise capacity and symptoms, butmore importantly survival and rehospitalisation
rate. These advantages have been proven for all the NYHA classes and degree of severity of the disease, as well as for elderly. The drugs for which we have clinical eveiidences available are metoprolol
succinate, carvedilol, bisoprolol and mebivolol. A large clinical trail testing the efficacy of bucindolol
has non provided a clear advantage of this drug. When a clinicial has to face the choice of which drug
to use for a given patient, it is cricial to keep in mind not only the evidence derived from clinical trials
comparing different agents (for instance COMET where carvedilol was tested against metoprolol tartrate, but also the physiopathological background that makes a molecule better tailored for the patient
we have to treat. Another important issue is the advantage that a molecule can offer thanks to its ancillary properties. For instance the ability to block both beta1, beta2 and alpha 1 receptors, the vasodi-
Per la corrispondenza:
Giorgio Vescovo
Medicina Interna 1
Ospedale S. Bortolo
Vicenza
tel. 0444-992462
e-mail [email protected]
186
Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore
lating, antiapoptotic and antioxidative properties which are offered by carvedilol. These properties are
important not only at myocardial but also at skeletal muscle level where the block of apoptosis and
the prevention of myofibrillar protein peroxidation can prevent muscle atrophy and dysfunction with
a favourable effect on exercise capacity.
Key words: beta-blockers, chronic heart failure, carvedilol, bisoprolol, metoprolol, nebivolol.
INTRODUZIONE
Il trattamento dello scompenso cronico di cuore
resta una sfida clinica per il cardiologo e per l’internista. Negli ultimi anni abbiamo assistito
all’introduzione di nuove terapie che hanno modificato in maniera significativa la prognosi dei
pazienti con scompenso; ciononostante, la mortalità, la morbilità e l’ospedalizzazione restano
elevate. L’aumento della vita media, l’elevata incidenza di questa patologia nelle classi di età più
avanzata e l’aumento della prevalenza dei fattori di rischio fanno sì che le figure legate a questa
patologia e il carico economico legato alla sua
cura siano destinati ad aumentare.
Inoltre, nonostante l’attuale armamentario
terapeutico a nostra disposizione, la mortalità
a 5 anni per scompenso nei maschi è diminuita dal 70% (negli anni ’50-69) al 59% (nel decennio ’90-99). Il trattamento di questa sindrome
è comunque ispirato a ben precise linee guida
che trovano supporto in trial clinici randomizzati controllati disegnati per studiare mortalità e morbilità. Questi studi clinici hanno avuto
il vantaggio di dare informazioni scientifiche
precise, di definire i benefici e i rischi legati
agli interventi, di individuare la tipologia dei
pazienti che maggiormente beneficiano del trattamento e di determinare il numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire un
evento.1
Purtroppo, questi trial clinici non sono in
grado di darci informazioni sullo “stato dell’arte” della medicina, non sono in grado di rispondere a tutte le domande, hanno un disegno
poco flessibile, non sono applicabili a tutti i
pazienti del mondo reale, sono costosi e si focalizzano su end-point misurabili (quali ad esempio la morte o l’ospedalizzazione) più che sulla
qualità della vita. Negli ultimi due decenni sono
stati pubblicati almeno 100 trial che hanno
affrontato il problema del trattamento dello
scompenso di cuore.
Sono stati studiati ACE-inibitori, beta-bloccanti, antagonisti dell’angiotensina II, calcio
antagonisti, isotropi, vasodilatatori e dispositivi quali ICD e PM con resincronizzazione. Molti
trial recenti hanno avuto un impatto terapeu-
tico notevole sul trattamento dei pazienti con
scompenso cronico di cuore. Tra gli ultimi farmaci di cui è stata dimostrata un’efficacia nel trattamento dello scompenso sono i beta-bloccanti. Gli studi sono stati mirati a diverse classi di
gravità, a diverse popolazioni etniche, a pazienti anziani e sono stati perfino confrontati farmaci con caratteristiche diverse. Le evidenze
supportano in maniera inequivocabile l’uso di
questi farmaci nei pazienti con scompenso
cronico di cuore. Questi studi hanno inoltre fornito il razionale per il loro impiego e le motivazioni per l’uso preferenziale di un farmaco piuttosto che di un altro.1
RAZIONALE FISIOPATOLOGICO
PER L’USO DEI BETA-BLOCCANTI
NELLO SCOMPENSO
Scompenso cardiaco e attivazione
neuro-ormonale
Il trattamento dello scompenso cardiaco è principalmente mirato a combattere l’attivazione
neuro-ormonale che caratterizza questa sindrome. ACE-inibitori, antagonisti dei recettori
dell’angiotensina II e antialdosteronici vengono
usati per antagonizzare il sistema renina-angiotensina-aldosterone che, insieme al sistema adrenergico, è il maggior responsabile degli effetti
negativi a lungo termine sul miocardio, sulle strutture vascolari e sugli organi bersaglio. Se il blocco del RAAS è stato ormai accettato da molto
tempo, per quanto riguarda il blocco del sistema adrenergico, questo è stato solo recentemente
preso in considerazione con l’uso dei beta-bloccanti. Va ricordato, inoltre, che i beta-bloccanti non solo antagonizzano l’effetto delle catecolamine, ma anch’essi, come bloccanti del
rilascio di renina, sono farmaci che interferiscono con il RAAS. Le evidenze che mostrano la riduzione di mortalità del 35% in pazienti con scompenso cardiaco a cui venivano somministrati
beta-bloccanti contro placebo una volta che la
terapia con diuretici e ACEI era stata ottimizzata sono state pubblicate solo negli ultimi anni.
Nonostante ciò, alcuni quesiti rimanevano aper187
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
ti, quali l’applicazione di queste evidenze a tutte
le classi di severità della sindrome e a tutte le
classi di età. Razionale dell’uso dei beta-bloccanti nello scompenso è antagonizzare l’attività
del sistema nervoso adrenergico che nello scompenso, come detto, è esagerata. I livelli di catecolamine circolanti, quali la noradrenalina (NA),
sono aumentati e i livelli sono tanto maggiori
quanto più grave è la sindrome. Aumentato è
anche il rilascio delle catecolamine a livello
presinaptico. Tutto ciò fa sì che si verifichi una
desensitizzazione dei recettori beta-adrenergici che poi evolve verso una vera e propria down
regulation. La desensitizzazione e la down regulation sono prevalentemente a carico dei recettori beta1 cui consegue una prevalenza di numero e funzione dei recettori beta2. L’aumentata
attività del sistema nervoso simpatico esita in
un progressivo deterioramento della funzione
ventricolare sinistra, che può essere secondaria
alla tossicità diretta delle catecolamine stesse sui
cardiomiociti, all’aumento del postcarico da
vasocostrizione e dello stress parietale con conseguente ischemia miocardica e stress ossidativo.
Le più importanti cause comunque di depressione della funzione ventricolare sono la desensitizzazione recettoriale e la down regulation.2
La desensitizzazione/down regulation del recettore beta1 adrenergico è un processo complesso che vede la fosforilazione del recettore a opera
di una chinasi specifica (bARK), un’internalizzazione del recettore e una sua successiva endocitosi con distruzione del recettore stesso. Mentre
il processo di fosforilazione avviene rapidamente e altrettanto rapidamente è reversibile,
l’endocitosi del recettore necessita la risintesi dello
stesso perché avvenga una risensitizzazione. La
conseguenza della desensitizzazione è la diminuzione della produzione e quindi della concentrazione citosolica del cAMP, con diminuzione
dell’efficienza contrattile e di rilasciamento del
miocita.3 La terapia con beta-bloccanti si prefigge quindi di bloccare l’effetto dell’eccesso di catecolamine e di prevenire la desensitizzazione e
la down regulation recettoriale. I beta-bloccanti sono inoltre in grado di prevenire la tossicità
miocardica beta-recettore mediata.
Uno dei quesiti recentemente avanzati è se i
beta-bloccanti non selettivi, ovvero con capacità
di bloccare i recettori sia beta1 sia beta2 e anche
alfa1, siano superiori ai beta1-selettivi nel trattamento dello scompenso cronico di cuore. Vi sono
motivi di ritenere che il blocco beta1, beta2 e alfa1
sia superiore in quanto la tossicità diretta della
noradrenalina si esplicherebbe attraverso tutti e
188
tre i recettori e quindi il loro blocco avrebbe una
funzione maggiormente protettiva. Il rilascio di
noradrenalina presinaptico è mediato dal recettore beta2 e quindi anche questo fattore giocherebbe in favore dei beta-bloccanti non selettivi.
Il terzo dato in favore dei non selettivi è che nello
scompenso di cuore i recettori beta1 sono diminuiti, mentre i beta2 sono aumentati. Il blocco
dei beta2 potrebbe fornire un vantaggio ulteriore. Alcuni beta-bloccanti con azione vasodilatatrice periferica, quali il carvedilolo e il nebivololo, possono diminuire le resistenze periferiche
e il postcarico che sono sempre aumentati nello
scompenso cronico di cuore, con effetto quindi
benefico sulla funzione cardiaca. Non dobbiamo
inoltre dimenticare le proprietà ancillari di alcuni beta-bloccanti che avrebbero effetto addizionale del blocco del recettore adrenergico. Tra
queste ricordiamo l’azione antiossidante, antiaritmica, antiapoptotica, antiproliferativa, antiendotelina, ecc. In alcuni casi, i beta-bloccanti in
genere sono stati accusati di avere effetti negativi sul metabolismo glucidico e lipidico, ma recentemente alcuni autori hanno suggerito che il carvedilolo non abbia questi effetti sfavorevoli.
Scompenso cardiaco
e stress ossidativo
Nello scompenso cronico di cuore vi è un aumento dello stress ossidativo a livello sia miocardico
sia di altri tessuti. Lo stress ossidativo è mediato dall’esagerata attivazione del RAAS e del sistema nervoso simpatico. Analogamente, anche la
vasocostrizione periferica e la conseguente ischemia relativa sono in grado di attivare l’NFkB e
le citochine proinfiammatorie quali il TNF-alfa.
La produzione di ROS è aumentata anche per
l’incrementata attività della iNOS. I ROS sono
prodotti dai mitocondri, dalla xantina ossidasi,
dal NADPH e inducono perossidazione delle
membrane, delle proteine contrattili sia cardiache sia del muscolo scheletrico e la sintesi endoteliale di cNOS. Conseguenze di questi processi
sono una diminuita vasodilatazione endoteliodipendente e una minore efficienza contrattile
sia cardiaca sia muscolare scheletrica.
Alcuni beta-bloccanti, il carvedilolo in particolare, posseggono capacità antiossidanti, ovvero sono in grado di bloccare la perossidazione.
L’azione antiossidante è dovuta alla struttura carbazolica della molecola che inibisce lo stress
ossidativo grazie alla capacità scavenger di radicali liberi e blocca inoltre la sintesi dei radicali
liberi stessi sequestrando gli ioni ferrici neces-
Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore
Red Ponceau
Oxyblot
MW (kDa)
150 ––
100 ––
75 ––
50 ––
37 ––
25 ––
20 ––
A
B
C
A
B
C
Figura 1. Effetto del carvedilolo sul muscolo scheletrico (soleo) di ratto con scompenso cardiaco
cronico. Red Ponceau staining indica l’identica quantità di proteine caricate sul gel; Oxyblot mostra
il diverso livello di ossidazione delle proteine contrattili (actina, miosina e tropomiosina).
A, ratto di controllo; B, ratto con scompenso cardiaco; C, ratto con scompenso cardiaco trattato con
carvedilolo.
Si evidenzia che la perossidazione delle proteine miofibrillari è notevolmente aumentata nello
scompenso di cuore e che questa diminuisce notevolmente con il trattamento con carvedilolo.
sari per la produzione dei radicali idrossilici.
Inoltre, il carvedilolo è in grado di aumentare i livelli cardiaci di enzimi antiossidanti, quali
la SOD e la glutatione perossidasi. Il carvedilolo blocca inoltre nFAT e la produzione di citochine proinfiammatorie NFkB-dipendenti. In una
recente serie di esperimenti condotti su un
animale sperimentale di scompenso cardiaco, cioè
il ratto con scompenso destro secondario a ipertensione polmonare indotta con la somministrazione di monocrotalina, abbiamo dimostrato che lo scompenso induce per ossidazione
proteine contrattili (actina, miosina e tropomiosina) del muscolo scheletrico. Il trattamento con carvedilolo era in grado di prevenire la
perossidazione delle proteine contrattili miofibrillari nei muscoli sia lenti (soleo) sia rapidi (EDL)
(Fig. 1). Tale effetto può tradursi in una maggiore efficienza contrattile del muscolo scheletrico. Poiché è noto che il muscolo scheletrico è
uno dei fattori in grado di influenzare la capacità di esercizio nello scompenso a causa dell’a-
trofia, dello shift delle fibre verso le isoforme
rapide e della perossidazione delle proteine
contrattili,4 è chiaro che il carvedilolo può quindi aiutare a migliorare la performance muscolare e quindi la capacità di esercizio.
Anche l’effetto antiapoptotico di alcune
molecole non deve essere trascurato. L’apoptosi a livello cardiaco è causa di perdita di miociti e quindi di massa contrattile, a livello muscolare scheletrico è causa di atrofia, che è come
detto precedentemente una delle determinanti della capacità di esercizio.4 Il blocco di molecole proapoptotiche come il FAS e la caspasi 3
è in grado di prevenire l’apoptosi. Questa
proprietà è stata dimostrata per il carvedilolo.
I GRANDI TRIAL
CON BETA-BLOCCANTI
L’efficacia dei beta-bloccanti nel migliorare la
capacità di esercizio nei pazienti con scompen189
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
so di cuore è stata dimostrata in alcuni studi anche
di confronto.5 Tuttavia, l’end-point principale,
ovvero la diminuzione della mortalità, è stato
dimostrato in una serie di studi che sono partiti negli anni ’90 e alcuni di quali sono terminati solo molto recentemente. Lo studio MERITHF6,7 (Metoprolol CR/XL Randomized Intervention
Trial in Heart Failure) ha dimostrato che il metoprololo succinato ha un effetto favorevole sulla
sopravvivenza di pazienti con scompenso cardiaco. Sono stati arruolati 3991 pazienti in classe
NYHA II-IV con FE <40% e in terapia ottimizzata. I pazienti in classe II erano randomizzati a 25
mg di metoprololo e quelli in classe III-IV a 12,5
mg. Quindi sono stati titolati fino alla massima
dose tollerata (anche 200 mg). La mortalità totale e l’ospedalizzazione erano ridotte del 19%
(p <0,001).
Lo studio CIBIS II (Cardiac Insufficiency Bisoprolol Study),8 condotto su 2647 pazienti con
scompenso di cuore prevalentemente di classe
NYHA III-IV con FE <35% con bisoprololo (da 1,25
a 10 mg), ha mostrato una diminuzione della
mortalità cardiovascolare e totale (RR 0,66;
p <0,0001) e delle morti improvvise (RR 0,56;
p <0,0011). In questo studio, nonostante fossero compresi anche alcuni pazienti in IV classe
NYHA, i risultati dello studio non potevano essere estrapolati a tutti i pazienti con scompenso
di cuore di grado severo.
Analogamente, lo studio americano con carvedilolo (US Carvedilol Heart Failure Trial)9 ha dimostrato l’efficacia del carvedilolo nel migliorare
la qualità di vita, la morbilità e la mortalità in
pazienti prevalentemente con scompenso cronico di cuore in classe II-III. In 1094 pazienti con
FE <35%, la mortalità è stata del 7,8% nel placebo e 3,2% nel gruppo trattato con carvedilolo
(riduzione del RR del 65%; p <0,001). In 366
pazienti con FE <35% vi è stata una riduzione
del 48% della progressione dello scompenso (p
<0,008).
Trial più recenti hanno permesso di estendere le nostre conoscenze. Lo studio COPERNICUS10,11
(Carvedilol Prospective Randomized Cumulative Survival) ha testato l’efficacia del carvedilolo rispetto al placebo in 2289 pazienti classe NYHA
3b-IV. La FE dei pazienti arruolati era <25%.
Questo studio ha mostrato per la prima volta in
pazienti con scompenso di cuore di grado più
severo, anche se in condizioni non gravissime in
quanto non avevano segni di congestione grave
(dovevano essere euvolemici e in dosi stabili di
ACE-inibitori al momento della randomizzazione), una diminuzione di mortalità rispetto al place190
bo del 35% in un follow-up medio di 10,4 mesi.
Lo studio è stato fermato dal Safety Monitoring
Board perché il braccio trattato con carvedilolo
aveva mostrato vantaggi significativi in termini
di sopravvivenza. Nello studio c’era stata anche
una riduzione del 24% dell’end-point combinato mortalità da tutte le cause e ospedalizzazione e un 27% di riduzione della mortalità cardiovascolare e ospedalizzazione. Inoltre, questo
studio ha dimostrato che nelle 8 settimane
successive alla randomizzazione si aveva lo stesso beneficio di quello ottenuto nel successivo
follow-up, ad indicare che il trattamento con
beta-bloccante non è rischioso nell’immediato
inizio della terapia, ma che addirittura i suoi benefici erano rapidi.
Lo studio CAPRICORN12 (Carvedilol Post Infarction Survival Control in Left Ventricular Dysfunction) ha mostrato in pazienti post-MI con FE <40%
e PA sistolica >90 mmHg una riduzione della
mortalità con RR 0,77 (p = 0,031). Era noto già
dagli anni ’80 che i beta-bloccanti erano in grado
di diminuire la mortalità nel post-infarto, ma in
questi studi erano stati rigorosamente esclusi tutti
i pazienti con scompenso cardiaco per la paura
di precipitare un edema polmonare, ipotensione grave o addirittura shock cardiogeno. Il trial
CAPRICORN ha randomizzato circa 2000 pazienti con IMA acuto e disfunzione ventricolare
sistolica, con o senza scompenso. Questo è stato
il più grande trial con beta-bloccanti postinfarto condotto in era post-trombolitica. I pazienti
arruolati avevano una FE <40% e avevano ricevuto un ACEi per almeno 48 ore. I pazienti in
carvedilolo hanno mostrato una diminuzione di
mortalità totale del 23%, simile a quella di altri
trial con beta-bloccanti post-infarto, ma in cui
non erano stati arruolati pazienti scompensati.
La mortalità CV era ridotta del 25% e il reinfarto non mortale del 41%. Tra i pazienti randomizzati al carvedilolo vi era una significativa riduzione delle aritmie sia sopraventricolari sia
ventricolari (52% e 63% vs placebo). Non sono
state comunque dimostrate riduzioni della mortalità per morte improvvisa, morte da scompenso
o end-point combinati per mortalità totale e ospedalizzazione. Lo studio BEST13,14 (Beta Blockers
Evaluation Trial) condotto con il beta-bloccante bucindololo, che ha attività vasodilatatrice
diretta, non ha mostrato efficacia sui parametri
di mortalità rispetto al placebo. Lo studio è stato
condotto su 2708 pazienti classe NYHA III (92%)
e IV e la mortalità è stata del 33% nel placebo
e 30% nel bucindololo. La mancata efficacia è
stata attribuita a cause diverse tra cui le carat-
Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore
teristiche della popolazione arruolata (afroamericani e donne che sono notoriamente meno
sensibili ai beta-bloccanti). Questi dati hanno fatto
riflettere sull’effetto di classe di questi farmaci
nello scompenso di cuore, per cui i vantaggi ottenuti con alcuni non sono verosimilmente estendibili a tutti gli altri.
Lo studio COMET15 (Carvedilol or Metoprolol
European Trial) ha confrontato il metoprololo
tartrato (short acting) con il carvedilolo su 3000
pazienti, dimostrando la superiorità per quest’ultimo beta-bloccante non selettivo e con determinate proprietà vasodilatatrici e alcune ancillari che abbiamo descritto anche in precedenza
sulla mortalità sia cardiovascolare sia totale. Lo
studio era stato condotto su pazienti con scompenso lieve-moderato.
Questo trial ha dato origine a una lunga serie
di polemiche prevalentemente legate alla scelta del metoprololo tartrato (short acting), che
avrebbe dato una copertura meno durevole
nelle 24 ore del carvedilolo e che avrebbe ridotto la frequenza cardiaca in maniera lievemente
inferiore. Infatti, il metoprololo succinato, longacting, che è stato usato nello studio MERIT-HF
non era disponibile. In questo trial testa a testa,
il carvedilolo ha mostrato quasi una riduzione
del 20% della sopravvivenza comparato con il
metoprololo in un periodo di 5 anni. La frequenza cardiaca media raggiunta dopo 16 mesi di
trattamento con i due farmaci dimostrava, a seconda degli Autori, un’equivalenza nell’effetto beta-bloccante.
Un altro aspetto che non era stato chiarito
dai trial precedenti era l’eventuale vantaggio
nel trattare con beta-bloccanti i pazienti anziani. Nel CIBIS, l’età media dei pazienti era 61 anni,
nel MERIT 64, nel BEST 60, nello US Carvedilol
58 e nel Copernicus 63. Per questo motivo, è stato
disegnato lo studio SENIORS16 (Study of Effect
of Nebivolol Intervention on Outcomes and
Rehospitalisation In Seniors with Heart Failure).
I pazienti avevano più di 70 anni e FE <35%.
Sono stati randomizzati 2135 pazienti prevalentemente in classe NYHA II-III. La dose media
di farmaco è stata 7,7 ± 3,6 mg/die di nebivololo. Il nebivololo ha mostrato una riduzione di
mortalità totale e di riospedalizzazione con RR
0,88 (p = 0,039). La mortalità totale era da sola
lievemente, ma non significativamente diminuita.
Analogamente, era significativamente diminuito l’end-point combinato mortalità-ospedalizzazioni. Nelle analisi dei sottogruppi, traevano
maggior vantaggio dal trattamento i pazienti
con meno di 75 anni. Questo trial per la prima
volta ha confermato i vantaggi del trattamento con beta-bloccante nello scompenso dell’anziano, anche se le significatività sono verosimilmente inferiori a quelle ottenute nei trial in cui
erano stati arruolati pazienti più giovani.
Vi sono dati che vanno ulteriormente valorizzati per quanto riguarda il trattamento dello
scompenso di cuore con beta-bloccanti. Questi
sono la presenza di fibrillazione atriale, diabete mellito, aritmie ventricolari e potenziale di
morte improvvisa. Lo studio CAFE17 (Carvedilol
and Atrial Fibrillation) ha studiato gli effetti del
carvedilolo e della diossina separatamente su 47
pazienti con FA persistente e FE <24%. Digossina e carvedilolo si sono dimostrati più efficaci
della digossina da sola sia nel mantenere la FC
ridotta sia nel migliorare la FE, suggerendo che
l’aggiunta del carvedilolo alla diossina nella pratica clinica può portare a un miglioramento della
funzione ventricolare e delle condizioni cliniche.
Uno dei motivi per cui i medici hanno evitato l’uso dei beta-bloccanti nei pazienti con
cardiopatia ischemica e fattori di rischio molteplici è stato il timore di peggiorare non solo l’assetto lipidico, ma soprattutto il profilo glicemico.
Altro punto fondamentale è la controindicazione
all’uso di beta-bloccanti nei pazienti diabetici in
terapia insulinica, in quanto il beta-blocco può
mascherare le crisi ipoglicemiche. Una metanalisi di 6 trial con beta-bloccanti, 3 dei quali con
carvedilolo (New Zealand, US, Copernicus), ha
mostrato che anche i pazienti diabetici si giovano di questo trattamento. Nel confronto con il
metoprololo, il carvedilolo ha mostrato nello
studio COMET15 un rischio inferiore al 22% nello
sviluppare un nuovo diabete o conseguenze del
diabete come la gangrena, il coma diabetico e
lo scompenso glico-metabolico. Questo è stato
attribuito verosimilmente al fatto che la vasocostrizione periferica è la causa anche delle complicanze metaboliche vascolari dei beta-bloccanti.
I beta-bloccanti di ultima generazione, che
mostrano proprietà vasodilatatrici, non avrebbero un impatto così negativo come le vecchie
generazioni di beta-bloccanti.
Per quanto riguarda le caratteristiche antiaritmiche, queste sono legate al blocco del recettore beta-adrenergico, alle proprietà lipofiliche
della molecola, all’attività stabilizzatrice di
membrana, nonché alla capacità di bloccare i
canali del sodio, del calcio e del potassio.
Nello studio CAPRICORN,12 il carvedilolo ha
mostrato una riduzione delle aritmie ventricolari del 63% e in particolare del 73% delle aritmie maligne. Nello studio, i pazienti trattati con
191
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
carvedilolo hanno mostrato una riduzione del
rischio di morte improvvisa del 26%.
CONCLUSIONI
È ormai evidente dagli studi clinici in nostro possesso che l’uso dei beta-bloccanti ha fatto diminuire
la mortalità cardiovascolare e la riospedalizzazione nei pazienti con scompenso cronico di cuore.
Questi vantaggi si hanno in tutti i gradi di severità della sindrome e vi sono dimostrazioni che
i dati sono applicabili alle popolazioni giovani,
ma anche agli anziani. I farmaci finora dimostratisi utili sono il metoprololo succinato, il bisoprololo, il nebivololo e il carvedilolo. Per il bucindololo sostanzialmente è stata provata una
neutralità.
Nella scelta del farmaco vanno tenute presenti non solo le evidenze che vengono dai trial di
confronto (COMET), ma anche i presupposti
fisiopatologici che possono far sì che la molecola presenti vantaggi maggiori per il paziente.
Queste proprietà ancillari sono la capacità di bloccare i recettori sia beta1 sia beta2 e anche alfa1,
la capacità vasodilatatrice, quella antiossidante, antiapoptotica, che possono avere effetti sulla
contrattilità ventricolare, sul rimodellamento e
anche sui tessuti periferici, quali il muscolo scheletrico, che ha una funzione importante nel determinare la capacità di esercizio dei pazienti.
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Articolo originale
Follow-up a 1 anno dello studio
osservazionale FADOI-3. Il paziente a rischio
cardiovascolare
I. Iori,1 S. Di Rosa,2 S. Fontana,3 G. Vescovo,4 M. Lanti,5 A. Menotti,5
per i Ricercatori degli studi FAPOI-1, FADOI-2 e FADOI-36
1
Medicina Interna 1, Centro Emostasi e Trombosi, AO Arcispedale
Santa Maria Nuova, Viale Umberto I, 50 Reggio Emilia; 2Medicina
Interna, PO Villa Sofia, Piazza Salerno 1, Palermo; 3Medicina Interna,
Ospedale di Biella, Biella; 4Medicina Interna, Ospedale di Adria
(Rovigo); 5Medrisk, Via Tolmino 5, Roma
GIMI 2004:3(4):193-203
RIASSUNTO
Un follow-up di 1 anno è stato condotto su un sottogruppo di Unità Operative e di pazienti arruolati
nello studio osservazionale FADOI-3, “Il paziente a rischio cardiovascolare”, su un totale di 4285 pazienti dei due sessi e di età iniziale pari o superiore a 35 anni. Durante tale periodo si è verificata una mortalità del 211 per 1000, che per il 42% è stata attribuita a malattie cardiovascolari. L’incidenza di nuovi
eventi cardiovascolari maggiori fatali e non fatali è stata del 180 per 1000. Sia la mortalità sia l’incidenza cardiovascolare erano più elevate tra le donne che tra gli uomini, a causa della più elevata età
media delle pazienti. Nei sopravvissuti si è verificata una riduzione nell’impiego di farmaci antipertensivi tra gli ipertesi (dall’84,9% al 68,7%), un incremento nell’uso di farmaci ipolipemizzanti tra i dislipidemici, con particolare riguardo per le statine (complessivamente dal 25,3% al 33,9%). Anche tra i
pazienti con cardiopatia coronarica, quelli con accidenti cerebrovascolari, tutti quelli con malattie
cardiovascolari, tra i diabetici e in tutti i pazienti complessivamente si sono verificati sostanziali incrementi nell’uso di statine. Questi risultati sembrano indicare una diversificazione nella strategia di prevenzione nei riguardi del rischio cardiovascolare globale.
Parole chiave: malattie cardiovascolari, rischio, prevenzione secondaria.
SUMMARY
A follow-up of 1 year has been carried out in a sub-group of centres and patients enrolled in the observational study FADOI-3, “The patient at cardiovascular risk”, for a total of 4285 patients of both sexes,
aged 35 years or more at entry. During the follow-up total mortality was of 211 per 1000, attributed for
42% to cardiovascular diseases. Incidence of new major cardiovascular events has been of 180 per 1000.
Both mortality and incidence from cardiovascular diseases were higher among women than among
men, owing to the higher age of women. In the survivors there has been a decrease in the use of antihypertensive drugs among the hypertensives (from 84.9 % to 68.7%), an increase in the use of hypolipidemic drugs, particularly statins, among dyslipidemic patients (overall from 25.3% to 33.9%). A similar increase in the use of statins was found among patients with coronary heart disease, cerebrovascular
disease, cardiovascular diseases in general, diabetes and overall in all patients. These findings suggest a different preventive strategy, compared to the past, in patients with high cardiovascular risk.
Key words: cardiovascular disease, risk, secondary prevention.
Per la corrispondenza:
Alessandro Menotti
Medrisk srl
Via Tolmino, 5
00198 Roma*
tel. 06-85358952
fax 06-85358952
e-mail [email protected]
* elenco in Appendice
INTRODUZIONE
Nell’ambito di tre studi osservazionali condotti
dalla FAPOI, successivamente FADOI, in pazienti dimessi da Divisioni di Medicina Interna, è stata
messa in rilievo l’elevata frequenza di pazienti
con patologia cardiovascolare che rappresentano l’assoluta maggioranza.1-3 Nel corso di tali studi,
193
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
denominati FAPOI-1, FADOI-2 e FADOI-3, “Il
paziente a rischio cardiovascolare”, è stata anche
documentata la presenza di un elevato rischio
cardiovascolare legato in gran parte all’età
molto avanzata dei pazienti in questione, ma
anche alla presenza di elevate proporzioni di
ipertensione arteriosa, diabete e altri fattori di
rischio cardiovascolare. Contemporaneamente,
è stato osservato come la proporzione di soggetti ad alto rischio cardiovascolare sotto adeguato trattamento preventivo non sia molto elevata, eccetto che per il trattamento antipertensivo
tra gli ipertesi che si è rivelato abbastanza soddisfacente.
Tutto ciò indica che, anche nel settore della
Medicina Interna, uno dei problemi focali per
frequenza e gravità è rappresentato dalla patologia cardiovascolare e che molta più attenzione va posta nelle procedure di identificazione
del rischio e in quelle di intervento ai fini di prevenzione primaria e secondaria.
Successivamente alla conduzione del secondo studio (FADOI-2, “Il paziente a rischio cardiovascolare”) è stato possibile eseguire un followup di un anno4 che ebbe discreto successo. Venne
dimostrato che, nel corso di quel periodo di
osservazione, si verificò un incremento nella
proporzione di soggetti a rischio trattati adeguatamente con farmaci antipertensivi e ipolipemizzanti, suggerendo un trend favorevole
nell’attenzione per questo problema da parte
dei medici ospedalieri, dei medici di famiglia e
dei pazienti stessi.
Si è ritenuto pertanto di grande interesse replicare la sezione follow-up anche per lo studio
FADOI-3, sempre per un periodo di osservazione di un anno.
Gli scopi dell’inchiesta erano multipli e cioè:
documentare la mortalità e le cause di morte;
stimare l’incidenza di nuovi eventi cardiovascolari; valutare la validità della stima del rischio
cardiovascolare eseguita alla linea base; documentare le eventuali variazioni nell’impiego di
farmaci diretti alla prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari.
MATERIALE E METODI
Nell’ambito dello studio osservazionale FADOI3, “Il paziente a rischio cardiovascolare”, è stato
eseguito un follow-up a un anno su un sottoinsieme di pazienti osservati alla linea base.
Vi hanno partecipato 223 Divisioni Ospedaliere di Medicina Interna (sulle 517 originarie,
194
con una partecipazione del 43,1%), con 4563
pazienti arruolati di cui 4518 seguiti per 1 anno,
quota corrispondente a una partecipazione del
97,1% .
L’analisi ha riguardato, come per lo studio di
base, i soggetti di età pari o superiore a 35 anni
e con dati validi, per un totale di 4285 pazienti
(2077 uomini; 2208 donne).
Il follow-up è stato eseguito tramite un’inchiesta telefonica con il paziente oppure con i
famigliari o il medico curante dello stesso, a distanza di 12 mesi dalla dimissione. L’inchiesta, basata su un questionario standard, prevedeva la verifica dello stato in vita e l’eventuale data e causa
di morte; la registrazione di informazioni su eventuali riospedalizzazioni; la registrazione di eventuali nuovi eventi cardiovascolari; e la registrazione dell’impiego di un selezionato numero di
farmaci utili nel settore della prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari.
La stima del rischio cardiovascolare è stata
eseguita con una funzione di rischio per malattie cardiovascolari derivata dal software Riscard
2002,5 modificata con l’aggiunta di un coefficiente che tiene conto della presenza di una malattia cardiovascolare pregressa.
L’analisi ha riguardato la stima della mortalità, dell’incidenza di nuovi eventi cardiovascolari e delle riospedalizzazioni; la stima del rischio
cardiovascolare in relazione agli eventi effettivamente verificatisi e la descrizione delle variazioni di impiego di alcuni farmaci utili alla
prevenzione cardiovascolare.
RISULTATI
La distribuzione per sesso ed età dei pazienti
seguiti al follow-up è riportata nella Tabella 1.
Esistono ampie differenze tra i due sessi, nel senso
che le donne presentano un’età molto più avanzata. Peraltro, la distribuzione per sesso ed età
di questo sottogruppo seguito al follow-up non
si discosta in modo significativo da quella di tutti
i pazienti osservati alla linea base.
A distanza di un anno si è verificata una mortalità del 211 per 1000 (221 per gli uomini e 201
per le donne) con una ripartizione tra le cause
più comuni come indicato nella Tabella 2. Come
atteso, le malattie cardiovascolari dominano la
situazione, con un contributo del 41,2%, seguite dai tumori e dalle altre cause. La mortalità
cardiovascolare è risultata più elevata tra le donne
che tra gli uomini, mentre il contrario è avvenuto per i tumori.
Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3
TABELLA 1
Distribuzione per sesso ed età della popolazione in studio
Età
Uomini
Donne
Totale
35-44
45-54
55-64
65-74
75-84
85+
116
197
376
625
590
173
97
162
293
560
706
390
213
359
669
1185
1296
563
Totale
2077
2208
4285
Chi-quadro per differenza di distribuzione tra maschi e femmine: 109,01 con 5 g.d.l. (p <0,001).
TABELLA 2
Mortalità a 1 anno tra i pazienti seguiti al follow-up
Quozienti per mille
Cause di morte
Malattie cardiovascolari
aterosclerotiche di cui
Cardiopatia coronarica*
Accidenti cerebrovascolari
Arteriopatie periferiche
Tumori
Altre cause
Totale
Uomini
Donne
Proporzione
Tutti
% sul totale
75
54
19
2
80
66
98
66
32
0
41
62
87
60
25
1
60
64
42,1
28,4
11,8
0,5
28,4
30,4
221
201
211
100,0
*Compreso lo scompenso cardiaco quando non attributo ad altra causa specifica.
L’incidenza di nuovi eventi cardiovascolari classificati in 3 grandi categorie è riportata nella
Tabella 3, dove risulta che complessivamente essa
è stata più elevata tra le donne che tra gli uomini, specie per il maggior contributo degli eventi cerebrovascolari. Disaggregando i dati per singole patologie, tra le manifestazioni che hanno
caratterizzato tale incidenza, le più comuni sono
risultate quelle cerebrovascolari (70 per 1000),
quelle coronariche acute (63 per 1000) e lo scompenso cardiaco (55 per 1000). Tali proporzioni,
peraltro, non sono mutuamente esclusive in quanto più manifestazioni possono essere comparse
ed essere state registrate nello stesso paziente.
Il 41,6% di tutti i pazienti è stato ricoverato
almeno un’altra volta nel corso dei 12 mesi di
osservazione e tra le cause del ricovero le malattie cardiovascolari contribuiscono per quasi il 30%.
D’altra parte, tenendo conto della diagnosi di
dimissione iniziale, i pazienti che hanno subito
la maggiore frequenza di nuovi ricoveri sono stati
quelli affetti da un tumore (53,3%) e scompenso cardiaco (52,0%).
Sui pazienti che hanno partecipato al followup è stato stimato il rischio cardiovascolare in
funzione di alcuni fattori di rischio rilevati al
tempo del ricovero (sesso, età, indice di massa
corporea, pressione arteriosa media fisiologica,
colesterolemia HDL e non HDL, diabete, consumo di sigarette, frequenza cardiaca e presenza
o meno di una malattia cardiovascolare). La
funzione di rischio impiegata deriva da quelle
prodotte per il software Riscard 2002, con l’aggiunta di un coefficiente per la presenza o meno
di una malattia cardiovascolare. L’end-point era
costituito dal primo evento cardiovascolare
maggiore. La stima è stata possibile in soli 1988
pazienti (meno della metà) poiché per eseguirla era necessario disporre di tutte le misure dei
fattori di rischio sopra citati, mentre in effetti
in circa la metà mancava la misura della colesterolemia HDL e anche altri fattori più comuni
195
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
TABELLA 3
Incidenza di nuovi eventi cardiovascolari, fatali e non fatali, in 1 anno tra i pazienti seguiti
al follow-up
Quozienti per 1000 in un anno
Eventi
Uomini
Donne
Tutti
133
43
15
176
135
55
8
184
134
49
11
180
Coronarici maggiori
Cerebrovascolari maggiori
Arteriosi periferici maggiori
Tutti
erano spesso non disponibili. Poiché il modello
predittivo era tarato a 10 anni, mentre il followup eseguito è stato di un solo anno, la validità
della predizione è stata testata solo in termini
di rischio relativo, correlando la frequenza di
casi attesi e osservati in decili di rischio stimato.
Tale correlazione è risultata soddisfacente, con
un coefficiente di correlazione di 0,97 (Fig. 1).
Tra i sopravvissuti è stato possibile valutare
le variazioni nel consumo di alcuni farmaci comunemente impiegati nella prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari.
Tra gli ipertesi si è registrata una sostanziale
e significativa riduzione nel consumo di farmaci antipertensivi (dall’84,9% al 68,7%). Tale fenomeno ha riguardato tutte le principali famiglie
di farmaci di questo tipo, come evidente dalla
Tabella 4. In un’analisi non riportata in dettaglio, è stato dimostrato che all’atto della dimissione l’impiego di farmaci antipertensivi non era
più comune tra gli ipertesi che successivamente
sono deceduti. Tra i pazienti dislipidemici, invece, si è verificato un sostanziale incremento
nell’impiego di farmaci ipocolesterolemizzanti
determinato quasi esclusivamente da un aumento importante nell’uso delle statine (Tab. 5).
Complessivamente, si è passati dal 25,3% al 33,9%
nell’impiego di tali farmaci. Tale tendenza a un
maggior impiego di statine è confermata anche
dall’incremento verificatosi tra tutti i pazienti,
complessivamente, tra i pazienti portatori di una
cardiopatia coronarica, tra quelli con patologia
cerebrovascolare, tra quelli con patologia cardiovascolare in senso lato e tra i diabetici. I dati corrispondenti sono sintetizzati nella Tabella 6. La
diminuita prescrizione di antipertensivi, accompagnata da un aumento del consumo di statine, potrebbe rappresentare un nuovo approccio che mira alla riduzione del rischio
cardiovascolare globale agendo sulla modifica-
Proporzione di casi osservati
25
FIGURA 1. Proporzione
di casi osservati e di casi
attesi in decili di rischio
cardiovascolare stimato
in 1988 pazienti seguiti
per 1 anno. R = 0,97.
20
15
10
5
0
0
196
5
10
15
Proporzione di casi attesi
20
25
Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3
TABELLA 4
Variazioni nell’impiego di farmaci antipertensivi tra gli ipertesi sopravvissuti 1 anno (n = 2677)
Proporzione %
P di test
Farmaci
Base
Follow-up
delle proporzioni
ACE-inibitori
Alfa-bloccanti
Beta-bloccanti
Ca antagonisti
Diuretici
Antagonisti A2
42,3
6,1
13,2
24,0
49,7
14,8
35,9
4,6
10,8
19,7
36,3
8,7
<0,001
0,017
0,008
<0,001
<0,001
<0,001
Totale
84,9
68,7
<0,001
TABELLA 5
Variazioni nell’impiego di farmaci ipolipemizzanti tra i pazienti dislipidemici
sopravvissuti 1 anno (n = 1310)
Proporzione %
P di test
Farmaci
Base
Follow-up
delle proporzioni
Fibrati
Resine a scambio ionico
Statine, di cui
Simvastatina
Atorvastatina
Altre o non definite
Altri farmaci
0,9
0,2
23,9
13,6
6,5
3,8
1,5
0,7
0,1
31,4
20,7
5,5
5,2
1,8
0,722
0,052
<0,001
<0,001
0,320
0,102
0,630
Totale
25,3
33,9
<0,001
zione di più fattori di rischio, piuttosto che sul
trattamento di uno unico in maniera maggiormente aggressiva.
DISCUSSIONE
La partecipazione al follow-up e la completezza delle informazioni sono state complessivamente soddisfacenti.
La mortalità a un anno di questa casistica è
risultata un po’ più elevata che nell’analoga analisi eseguita nello studio FADOI-2 follow-up (211
per mille contro 185 per mille), ma la differenza è largamente spiegata dalla diversa distribuzione per età che è più elevata nello studio FADOI3.
In questa esperienza, la mortalità sia coronarica sia per accidenti cerebrovascolari e per
malattie cardiovascolari arteriosclerotiche è risul-
tata più elevata tra le donne che tra gli uomini. Anche questo fenomeno è in gran parte spiegato dalla diversa età media e distribuzione tra
uomini e donne. Tra queste ultime, infatti, l’età
media iniziale era di 72,3 anni contro 69,0 negli
uomini e la proporzione di pazienti di età ≥75
anni era del 50% contro il 37% osservato tra i
pazienti uomini.
L’incidenza a un anno di nuovi eventi cardiovascolari è stata elevata, attorno al 18%, come
peraltro era attendibile per una popolazione
anziana costituta in gran parte da pazienti
cardiopatici.
La predizione del rischio cardiovascolare, per
lo meno in termini relativi, utilizzando un piccolo numero di fattori di rischio, è risultata soddisfacente.
Le riospedalizzazioni entro un anno sono molto
frequenti (oltre il 40%), confermando la gravità
della patologia di cui sono portatori i pazienti
197
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
TABELLA 6
Variazioni nell’impiego di farmaci anti-dislipidemici in alcune categorie
di pazienti sopravvissuti 1 anno
Proporzione %
P di test delle
Pazienti
Base
Follow-up
proporzioni
Tutti i pazienti (n = 3394)
di cui statine
16,3
15,4
24,0
20,7
<0,001
<0,001
Pazienti con cardiopatia
coronarica (n = 864)
di cui statine
26,8
26,5
34,8
33,2
<0,001
<0,001
Pazienti con accidenti
cerebrovascolari (n = 740)
di cui statine
20,3
19,2
27,8
26,1
<0,001
0,002
Pazienti con malattie
cardiovascolari (n = 1458)
di cui statine
23,7
23,0
31,6
30,0
<0,001
<0,001
Pazienti con diabete (n = 809)
di cui statine
21,2
20,8
31,8
29,9
<0,001
<0,001
dimessi dalle Divisioni di Medicina Interna.
Nel corso di un anno si è verificata una sostanziale riduzione della proporzione di pazienti ipertesi trattati con farmaci specifici. Questo fenomeno è di difficile spiegazione. Come già sopra
indicato, l’impiego di tali farmaci alla linea base
non era più comune tra coloro che successivamente sono deceduti rispetto ai sopravvissuti. Inoltre, si è constatato che la riduzione nell’impiego si è verificata per tutte le famiglie di farmaci,
compresi quelli meno costosi come i diuretici, escludendo in tal modo che il problema sia stato legato a una deliberata tendenza verso la riduzione
della spesa. Se questa si è verificata tra i medici
prescrittori (in questo caso e per questo periodo
di tempo in gran parte – probabilmente – medici di famiglia) è stata quindi generalizzata andando a penalizzare la categoria di pazienti – gli
ipertesi – che notoriamente assorbono la maggior
quota della spesa farmaceutica.
Contemporaneamente si è verificato un incremento complessivo nell’impiego delle statine,
nelle più varie categorie di pazienti, suggerendo il crescente interesse per questo approccio
terapeutico. Il fenomeno rappresenta la conseguenza di favorevoli risultati ottenuti da recenti trial di prevenzione eseguiti con statine6,7 e
forse anche di una certa liberalizzazione prevista nella prescrivibilità di tali farmaci con costo
a carico del Servizio Sanitario Nazionale.8-10
198
Ciononostante, le quote di pazienti dislipidemici (sia pure definiti in modo arbitrario), di
pazienti coronaropatici, di pazienti cerebrovascolari e di diabetici osservati in questo studio
che ancora non sono trattati con statine sono
molto elevate. Oscillano infatti tra il 65% e oltre
il 70% e richiedono ancora attenzione da parte
di chi è deputato ad ottimizzare le procedure di
prevenzione secondaria.
BIBLIOGRAFIA
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coronary artery disease in divisions of internal medicine. J Cardiovasc Risk 2000;7:147-152.
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Eur J Int Med, in press.
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Gruppo di Ricerca FADOI. Studo FADOI-2: followup a 1 anno. G Ital Med Intern 2002;1:1-12.
5. Menotti A, Lanti M, Puddu PE, et al. The risk functions incorporated in Riscard 2002: a software for
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MRC/BHF Heart Protection Study of cholesterollowering with simvastatin in 20536 high risk individuals: a randomised placebo-controlled trial.
Lancet 20002;360:7-22.
7. Heart Protection Study Collaborative Group.MRC/
BHF Heart Protection Study of cholesterol-lowe-
ring with simvastatin in 5963 people with diabetes: a randomised placebo-controlled trial. Lancet
2003;361:2005-2016.
8. Bollettino d’Informazione sui Farmaci, Ministero
della Sanità (BIF) 2000;7:1-96.
9. CUF, Ministero della Sanità, Nota 13. 2001
10. Bollettino d’Informazione sui Farmaci, Ministero
della Salute (BIF). Le note CUF 2004: lavori in corso.
2004;11:3-5.
APPENDICE
Elenco Riceratori degli studi Fapoi-1, Fadoi-2, Fadoi-3
PIEMONTE
Zampaglione Vito
Lanza Gabriele
Bargero Giuseppe
Montalenti Felice
Ghezzo Giuseppe
Bennicelli Federico
Traversa Barbara
Cadario Giovanni
Ruga Alberto
Campanini Mauro
Damnotti Federica
Panagini Daniele
Cassani Pietro
Cusumano Salvatore
Colombo Paolo
De Mori Elena
Favro Mauro
Borgno Enrico
Bersi Mario
Ferrara Giuseppe
Fiore Giuseppe
Gasparini Carlo
Gioria Aldo
Trecate Lara
Ghiazza G. Franco
Grassi Giacinto Ezio
Giuso Roberto
Leccardi Enrico
Piccinelli Valeria
Montanaro Giorgio
Cardano Sergio
Bignoli Cristina
Qalqili Alfred
Pinna Giuliano
Barolo Stefano
Scassa Enzo
Caire Giovanni
Vanni Armando
Trovato Giuseppe
Meineri Ines
Bertello Pierdomenico
Peasso Paolo
Cavaliere Rodolfo
Norbiato Claudio
Dore Maurizio
La Brocca Attilio
Gabasio Sergio
Corino Andrea
Marengo Claudio
Frediani Roberto
Cantino Elena
Mathieu Giovanni
Marandino Alberto
Senatore Fulvio
Grossi Antonietta
Gagliardo Sara
Conte Riccardo
Ferraro Paola
Ghiberti Gianfranco
Diana Antonio
Tatì Mario
Scaroina Francesco
Gai Valerio
Schinco Patrizio
Molino G. Paolo
Pasquino Milena
Sardi G. Franco
Molina Germano
Meneghin Gabriella
Pascale Claudio
Bosio Angelo
Fornengo Paolo
Gurioli Lorenzo
Latteri Miriam
Imperiale
Gianlorenzo
Torta Francesco
Rossi Alessandro
Romano Silvia
Botto Barbara
Giannini Marco
Marinone Carlo
Martinelli Massimo
Ratti Carla
Gollè Giovanni
Panzone Sergio
Manildo Matteo
Monaco Eugenia
Muzzolini Carlo
Giusti Massimo
Cottino Aldo
D’Arrigo Attilio
Murante Nicolangelo
Rollero Alessandro
Bosso Pietro
LOMBARDIA
Attardo Parrinello
Giuseppe
Caprioli Severino
Cattaneo Roberto
Carpinella Giovanni
Duratorre Edoardo
Richichi Italo
Magnani Luigi
Lucioni Ferdinando
Maioli Maurizio
Margaroli Pietro
Scaltritti Marco
Daverio Adriano
Mazzone Antonino
Rondena Maurizio
Savastano Angelo
Pozzati Alberto
Bargiggia Angelo
Ragazzi Monica
Bordin Giorgio
Mancarella Sandro
Brunati Sergio
Signorini Giuliano
Comin Umberto
Sarto Giuseppina
Fossati Carlo
Cappello Pietro
Fugazza Luciano
Esposito Ciro
Gioventù Mauro
Gellmann Eva
Graziani Giorgio
Berra Cesare
Lanfredini Mario
Castelli Mario
Leggieri Ennio
Martinenghi Sara
Magni Sergio
Zaffaroni Marco
Marino Pietro
Candiani Tiziana
Massarotti Giorgio
Bellobuono Antonio
Grimoldi Daniela
Neri Vittorio
Merlo Enrico Maria
Ortolani Claudio
Catenacci Alessandro
Palmieri Giancarlo
Fiorini Gianfrancesco
Pisani Ceretti Aldo
Gnocchi Pierluigi
Lombardi Alberto
Pelosi Giancarlo
Magrucci Maurizio
Ponti G. Battista
Magatelli Renata
Porro Tommaso
199
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
Casiraghi Stefano
Serino Giorgio
Giacomazzi Francesca
Sommariva Domenico
Colombo Maurizio
Torri Adriana
Turconi Roberta
Stabilini Roberto
Aimo Giampiero
Aliprandi Giovanni
Garatti Giuseppe
Strazzeri Roberto
Molinari Stefano
Bellogini Giancarlo
Cantalamessa
Antonio
Pastorelli Raffaella
Beretta Angelo
Bertuzzi Alberto
Bobbio Pallavicini
Enrico
Cavatorta Angelo
Lazzari Flavio
Crippa Massimo
Ettori Stefano
Cocciolo Massimo
Codeluppi Massimo
Cremonesi Giuseppe
Sala Nadia
Botrugno Livio
D’Ingianna Enzo
Tettamanti Pietro
Di Stefano Ottavio
Grassi Vittorio
Fariello Raffaele
Iorini Mario
Lombardi Gianfranco
Mascheroni Doris
Roffi Luigi
Menozzi Guido
Pascal Giancarlo
Piccoli Alfonso
Piubello Walter
Procopio Luigi
Radaeli Enrico
Zuccato Fausto
Ballini Antonio
Comelli Aurelio
Magnani Viviana
Minetti Bruno
Cammà Anna Maria
Thiella Giuseppe
Pasotti Carlo
Poli Maurizio
Rosà Ruggero
200
Bollati Paola
Tarsia Caterina
Colombo Enrico
Sironi Claudiano
Barone Gianfranco
Malacco Ettore
Franzini Claudio
Venegoni Mauro
Boschiero Annamaria
Misiani Rocco
Baio Pierangelo
TRENTINO ALTO
ADIGE
De Venuto Giuseppe
Cozzio Susanna
Fiorentini Franco
Marchesi Mario
Mattarei Mauro
Dalrì Paolo
De Vigili Giorgio
Amor Helmuth
Kossler Ulrich
Oberhofer Reinhold
Weger Siegfried
Pedrazzoli Mauro
Armelao Franco
Valli Alberto
Segna Micaela
FRIULI VENEZIA
GIULIA
Bulfoni Alessandro
De Carli Stefano
Bulfoni Adolfo
Ariatta M. Cristina
Damato Rosaria
Carniello Giorgio Siro
La Porta Nicola
Medeot Lucio
Di Bella Gaetano
Donada Carlo
Loru Franco
Basile Antonio
Tonizzo Maurizio
Palladini Giorgio
Stupar Gianfranco
VENETO
Ambrosio Giovanni
Battista
Bortoluzzi Cristiano
Contavalli Claudio
Mazzanti Giovanni
Favro Sabrina
Lusiani Luigi
Maccioni Antonio
Brocco Enrico
Patrassi Giovanni
Velo Emanuela
Pauletto Paolo
Scannapieco Gianluigi
Puglisi Antonio
Narciso Pietro
Santanastaso
Massimo
Zambelli Vito
Barbato Cristina
Minniti Francesco
Donà Giuseppe
Zanchi Paolo
Pagan Giorgia
Nogara Anna
Olivieri Piergiorgio
Bergamo Sante
Garofano Massimo
Bonfanti Francesco
Faggioli Maurizio
Fazzini Pietro
Faccincani Giuseppe
Galvanini Guido
Laspada Antonino
Pancera Paolo
Casaril Massimo
Dal Santo Mario
Angelini Giuseppe
Fongaro Emilio
Greselin Alberto
Beltramello
Giampietro
De Antoni Mario
Maraschin Bruno
Vescovo Giorgio
Zamboni Sergio
Bonanome Andrea
Barbuiani Marco
Pinto Filippo
Caldironi Maria
Wanda
Longhin Pierluigi
Boscolo Bariga
Angelo
Inglese Margherita
Diodati Giulio
LIGURIA
Durante Roberto
Tassara Rodolfo
Rondelli Elio
Martini Franco
Bonanni Franco
Parodi Lionello
Zavarise Gianmaria
Artom Alberto
Zunino Enrico
Sanfilippo Marco
Rizzi Guido
Canetti Silvio
Scudelletti Marco
Lopinto Giuliano
Grillo Giuliano
Ligas Bruno
Comaschi Marco
Filorizzo Salvatore
EMILIA ROMAGNA
Ajolfi Corrado
Brianti Marco
Catelli Efrem
Cavanna Luigi
Civardi Giuseppe
Baldini Alessandro
Muratori Rosangela
Bellodi Giorgio
Muratori Luigi
Bendinelli Stefano
Tolomelli Stefano
Carapezzi Carlo
Gilioli Fabio
Casoni Tito
Cioni Giorgio
Chesi Giuseppe
Zoboli Patrizia
De Micheli Enrico
Greco Milena
Sacchetti Carla
Grandi Marco
Poli Norma
Iori Ido
Negri Emanuele
Masiello Ottorino
Zamboni Luisella
Napoli Angelo
Nardi Roberto
Borioni Daniele
Terni Angela
Panuccio Domenico
Rossi Ermanno
Perazzoli Franco
Ventrucci Maurizio
Anzolin Francesca
Zucchelli Serafino
Pradelli Marcello
Del Noce Antonio
Gamberini Susanna
Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3
Fellin Renato
Gallerani Massimo
Scanelli Giovanni
Zoli Giorgio
Monda Vincenzo
Parenti Mario
Pirazzoli Alessandra
Morelli Domenico
Bondi Antonella
Conti Claudio
Beccari Giampiero
Miserocchi Fabio
Ferretti Piergiorgio
Mazzocchi Angela
Maiolo Pasquale
Fratesi Elisabetta
Pazzi Paolo
Salvi Paolo
Chiatti Roberto
TOSCANA
Nardini Alessandro
Andreucci M. Cristina
Biagi Paolo
Boddi Walter
Cappelletti Carlo
Nenci Gabriele
Castro Rosario
Cipriani Marcello
Alessandri Massimo
Tredici Laura
Corradi Franco
Di Natale Massimo
Micheli Serena
Lomi Mario
Degl’Innocenti Dino
Fierro Alfredo
Auner Ingrid
Prattichizzo Fernando
Ghetti Augusto
Landini Giancarlo
Laureano Raffaele
Tonarelli Lucia
Alessandrì Antonio
Pedace Claudio
Bernardini Milena
Seghieri Giuseppe
Porta Carlo
Breschi Carla
Silvestrini Edoardo
Rimediotti Roberto
Venturi Antonella
Neri Daniele
Tafi Alessandro
Cipriani Franco
Gori Anna
Rinaldi Guidantonio
Bertieri Maria Chiara
Bertoncini Gianfranco
Gheri Fabio
Bravi Prassede
Nozzoli Carlo
Bacci Francesca
Morettini Alessandro
Bruscoli Maddalena
Fabrizi Be Biani Guido
Mazzoli Marcello
Pieralli Franco
Ralli Luciano
Parca Gino
Giannuzzi Ugo
Lucarini Maida
Vitali Claudio
Lombardini Francesco
Sfondrini Giovanna
Giacomelli Giorgio
Giannelli Giuseppe
Pasquinelli Paolo
Marino Ornella
Castiglioni Maido
Gioacchino
Paladini Marco
Carrai Mario
Boccolini Elena
Venturini Gianluigi
Andreini Roberto
Cecchi Luigi
Vecchiarino Sabrina
Baldasseroni Samuele
Scarti Luca
Manini Maurizio
Mannucci Annalisa
Carnicelli Aligi
Cantini Fabrizio
Baroncelli Tiziana
Mugnaioni Grazia
Meucci Giancarlo
Mollaioli Maurizio
Migliacci Rino
Berni Giancarlo
Biagioni Cristina
Giusti Massimo
Morosi Linda
Marinacci Lina
Panciarola Rosita
Boldrini Venanzo
De Caridi Vincenzo
Filipponi Paolo
Luchetti Maurizio
Battochi Paolo
Garognoli Oriana
Lombardi Rosario
Coletti Arnaldo
Parise Pasquale
Paliani Ugo
Rondoni Marcello
UMBRIA
Bartolucci Leonardo
Benemio Guglielmo
Berrettini Mauro
Biscottini Bruno
Boccali Andrea
LAZIO
Bernardi Renato
Ocelli Claudio
Delle Monache Marco
Falla Orazio
Brundisini Bruno
MARCHE
Cipollini Francesco
Zega Gualtiero
Lembo Giovanni
Mancini Stefania
Marcheggiani
Gabriele
Pinciaroli Pietro
Caporalini Roberto
Morosini Pierpaolo
Roiati Augusto
Pelliccia Gennaro
Antonellli Bruno
Grossi Loris
Lattanzi M. Cinzia
Frausini Gabriele
Lucarelli Giulio
Latella Giovanni
Chiappini Luana
Marulli Raffaele
Sabotino Paola
Lamura Lydia
Maniscalco Giorgio
Baldini Patrizia
Possanzini Gabriele
Sgarro Gaetano
Belogi Marco
Palmieri Lucia
Fioravanti Paolo
Benedetti Piero
Agostinelli Paolo
Bordoni Enrico
Ciabattini Francesca
Ghirelli Pierantonio
Dell’Unto Orlando
Ceccon M. Antonietta
Di Rollo Francesco
Doddi Marcello
Scolieri Palma
Giannuzzi Roberto
Marci Massimo
Panzini Enrico
Lozzi Iberto
Pastorelli Ruggero
Puoti Claudio
Romagnoli Giancarlo
Gatta Enrico
Russo Francesco
Temperilli Luigi
Rotondi Mario
D’Amore Angelo
Agostino Attilio
Alegiani Filippo
Manfellotto Dario
Aiello Pasquale
Cappelli Alessandra
Bruzzese Vincenzo
Colella Franco
Contini Stefano
Santero Mauro
Di Giorgio Mauro
Di Lascio Giuseppe
Camastra Caterina
Fanelli Marcello
Persichino Lidia
Merolli Giovanni
Campagna Giuseppe
Rogacien Anna
Piccinni Leopardi
Maurizio
Scotti Emilio
Aracri Nicola
Bottone Andrea
Bianchi Sergio
Cau Claudio
Stazi Giancarlo
Pignalosa Maurizio
Tiberi Paolo
Vari Enzo
Rivera Paolo Emilio
Vozzolo Vincenzo
Dalmaso Serenella
De Martino Rosaroll
Guido
Pignatelli Valeria
Dionisi Amerigo
Alimonti Pietro
Gentiloni Nicola
Travaglino Francesco
201
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
Pagano Adalberto
Latini Angelo
Leoni Marco
Di Giacomo Giuseppe
Casaldi Stefania
ABRUZZO
Biocca Andrea
De Blasis Domenico
Del Forno Lucio
Petrella Emerenziana
Di Michele Dario
Morelli Giuliano
Truscelli Francesco
Collacciani Antonio
Traisci Giancarlo
De Feudis Lucrezia
MOLISE
Vecchiarelli Salvatore
CAMPANIA
Agozzino Aldo
Vecchiato Agostino
Stanziano Giovanni
Cesareo Errico
Cianciullo Marco
D’Avanzo Antonio
De Cristofano
Raffaele
Esposito Catello
De Riso Luigi
Di Lorenzo
M. Giovanna
Di Cunzolo Giovanni
Piantadosi Sinibaldo
Zuccoli Alfonso
Visconti Mario
Armogida Nicola
Russo Innocenzo
Balsamo Giuseppe
Bellis Paolo
Buono Giovanni
Rinaldi Massimo
Arciello Teresa
Capurro Romolo
Capezza Francesco
Uomo Generoso
Carnovale Antonio
Caruso Domenico
D’Avino Maria
D’Avanzo Felice
Chiarello Giuseppe
Mercaldo Enrico
Cicia Giovanni
202
Cristiano Pasquale
Francesca Giuseppe
Pannella
Giandomenico
Gargiulo Anna
Vinciguerra Antonio
Grasso Ernesto
Iovinella Vincenzo
Laviscio Raffaele
Pino Ida
Lo Russo Francesco
Paolo
Luongo Manfredi
Serino Nunziante
Mayer Maria Carolina
Bruno Pannone
Brighina Giuseppe
Minicone Perla
Palomba Domenico
Domenico
Annunziata
Rabitti Piergiorgio
Piscopo Gennaro
Scala Aldo
Russo Pasquale
Sensale Pasquale
Santoro Raffaele
Sgambato Francesco
Tresca Domenico
Verrengia Luigi
Frasca Alfonso
Pisaturo Alfonso
De Risi Francesco
Romis Leone
Russo Antonio
Caruso Ciro
Napolitano Luigi
Velotti Maria
Spera Catello
Anaclerio Salvatore
Sannino Alfonso
Ritorto Vincenzo
D’Amato Saverio
Sassi Giovanna
Guariglia Ciro
Basile Antonio
Aliperta Agostino
D’Auria Salvatore
Iannuzzi Arcangelo
Brescia Morra Alberto
Perna Pasquale
Pisacane Ernesto
Mattia Donato
De Vita Emanuele
D’Angella Rosario
Rescinito Aldo
Bellizio Antonietta
Giugliano Giovanni
Mega Vincenzo
Carpinelli Crescenzo
Sorrentino Sabato
Ciano Giovanni
Rauseo Luigi
Forte Gabriele
Antonio
Fabiano Sossio
De Lucia Tommaso
Frullone Salvatore
Mazzocca Salvatore
Bevilacqua Domenico
Berardino Lorella
Alfano Gerardo
Caputo Dario
De Roberto Matteo
PUGLIA
Arbore Saverio
Saracino Egidio
Campanozzi Fausto
Sportelli Patrizio
Rodriguez Mirella
Cannone Michele
D’amato Michele
Cappello Giuseppe
Abbattista Maria
Fata Leonardo
Pinto Angela
Fera Giacomo
Giannatempo
Carmela
Ferri Francesco
Lattanzi Vincenzo
Pascale Lisangela
Lo Ragno Vincenzo
Fasiello Vito
Lucarelli Giacomo
Nettis Giuseppe
Maiorano Giuseppe
Mascolo Eugenia
Miglietta Antonio
Mongelli Sergio
Barone Nicola
Mossa Giovanni
Piccillo Silvia
Putignano Angelo
Putignano Luca
Acquafredda Nicola
Quinto Vincenzo
Renzetti Doda
Ruggiero Domenico
Sguera Carmelo
Vitale Carmine
Tomanelli Mario
Amico Antonio
Antonucci Giuseppe
Saracino Pasquale
Bisceglia Antonio
Totaro Giuseppe
Errico Massimo
Carrieri Vito
Cavalera Cesare
D’Addetta Giovanni
De Florio Sergio
Di Taranto Alfredo
Iadarola Giuseppe
Losavio Antonio
Martello Carlo
Pace Giuseppe
Morelli Gennaro
D’Alagni Giancarlo
Muscogiuri Antonio
Galiberti Verdiana
Fabietti Ferdinando
Nuzzi Giuseppe
Pisa Giuseppe
Politi Giuseppe
Santoro Domenico
Potì Raffaele
Caroli Piero
Talarico Serafino
Tomaiuolo Michele
Mavilio Rosanna
Ragone Giuseppe
Sansò Giovanni
Sansò Luigi
Vincenti Cesare
Sarli Alfredo
Casilli Oriana Elena
Sconosciuto Carmelo
Serra Maria Grazia
Ramundo Stefano
Stefanachi Umberto
Ria Luigi
Valente Silvano
Battista Salvatore
Zecca Alessandro
Fellini Giuliano
Carozza Ugo
BASILICATA
Annese Mauro
Dragonetti Anna M.
Colarusso Diadoro
Martini Maria Cristina
Mazzarella Antonio
Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3
Lagonigro Giuseppe
Casorelli Pasquale
Murano Giulia
Tramice Gianfranco
Buccianti Nello
Sacco Andrea
CALABRIA
Anastasio Luigi
Bertucci Carmelo
Buccieri Mario
Settembrini Vincenzo
Cerbella Ernesto
Federico Domenico
De Lio Angelo
Tramontano Luciano
Ferraro Francesco
Nucera Antonino
Gabriele Giuseppe
Amoruso Raffaele
Galasso Domenico
Cimino Rosella
Giancotti Saveria
Gulli Giovanni
Madaffari Bruno
Scopelliti Francesco
Mancuso Gerardo
Crescenzo Anna
Bartone Mosè
Mauro Gaetano
Ferraro Maria
Mazzuca Luigi
Croce Emilio
Miceli Francesco
Manno Valerio
Musca Giuseppe
Carpino Carmine
Cauteruccio
Antonella
Naccarato Francesco
Bova Giovanni
Noto Alfonso
Pellegrini Roberta
Passavanti Giov. B.
Mangone Antonio
Russo Francesco
Balsano Mario
Samà Nicola
Griffo Gerardo
Sprovieri Mario
Scrivano Pietro
Tucci Vincenzo
Falbo Mario
Vigna Luigi
Nudo Giuliana
Zimatore Giuseppe
Cimellaro Vincenzo
SICILIA
Abate Damiano
Vaccaro Sergio
Raimondo Francesco
Cristiano
Augello Giuseppe
Attardo Tiziana
Augugliaro Michele
Di Nolfo Giuseppe
Ventimiglia Giuseppe
Bajardi Antonio
Mandalà Vittoria
Cagnina Francesco
Corbo Archimede
Baldacchino Angelo
Cosimo Pulizzi
Francesco Pantaleo
D’Angelo Audenzio
Fazio Maria
Stassi Maria
D’Anna Salvatore
Curcio Salvatore
Di Rosa Salvatore
Schirò Vincenzo
Hamel Pasquale
Indelicato Pietro
Violante Concetta
Pecorella
Michelangelo
Palazzolo Maria
Fradà Giovanni
Di Palermo Giuseppe
Amato Pietra
Scalisi Ignazio
Gioia Giuseppe
Maringhini Alberto
Leone Mario
Marino Giovanni
Barracco Vito
Minasola Girolamo
Azzarello Tommaso
Morreale Salvatore
Pusateri Ercole
Gargano Francesco
Benintende Anna
Maria
Calcara Giovanni
Brischetto Rosario
Ciffo Filippo
Arena Sebastiano
Condorelli Benito
Perracchio Guido
Cutaia Gaetano
Lanzafame Luigi
Di Blasi Fausto
Venuto Pietro
D’Andrea Graziella
Fiore Carmelo Erio
Tessitori Maria Teresa
Gurrisi Salvatore
Alario Antonio
Inserra Vincenzo
Arena Antonino
Lorefice Manlio
Manfrè Antonietta
Margherita
Raffaele Addamo
Francesco
Sciacca Nunzio
Sara Adamo
Mignemi Luigi
Rizzo Mario
Romano Marcello
Carretti Corrado
Scifo Gaetano
Salvatore
Giacalone Francesco
Siciliano Rocco
La Spina Carmelo
Zammataro Marcello
Pappalardo Elio
Marra Giovanni
Vancheri Federico
Ventura Vincenzo
Gambino Antonino
Carbone Guglielmo
Stornello Michele
Zazzaro Bernardino
Manenti Vincenzo
Padua Walter
Musco Angelo
Mazza Salvatore
Maugeri Santo
Cutri Rosario
Picone Domenica
Scarsi Chiara
Fisicaro Michela
Di Cataldo Vincenza
Borzì Vito
Sgroi Francesco
Landolina Riccardo
Gatta Concetta
Maraschi Giovanni
Nicastro Santo
Giugno Ignazio
Maira Raimondo
Nicosia Calogero
SARDEGNA
Addis Luciano
Verre Piero
Asproni Giuseppina
Orecchioni Wolfgang
Baule Giovanni
Gentili Alessandro
Brundu Mario
Caredda Fiorella
Armeni Marina
Congiu Paolo
Mantega Mauro
Corda Carlo
Marcialis Roberto
Dore Salvatore
Cossu Nicola
D’Elia Cataldo
Molinu Margherita
Guiso Gustavo
Peralta Bruna
Flumene Francesco
Arras Sebastiana
Salis Salvatore
Secci Roberta
Peigottu M.
Antonietta
Solinas Franco
Marchi Antonio
Pisanu Andrea
Mereu Salvatore
Pirino Giuseppe
Tanda Manuel
Pisano Efisio
Murtas M. Grazia
Paolini Tito Antonio
Cicu Antonio
Migaleddu Antonio
Pintus Franco
Mascia Patrizia
Pisu Giorgio
Granata Nicoletta
Dore Filippo
Poddighe Guido
Saragat Cesare
Besson Alessandro
Renier Giuseppina
Secchi Giovanni
Achenza Marino
Spiga Enrico
Pisu Luigi
Pilleri Giampaolo
Fadda Giorgia
203
Caso clinico
La sindrome di Weil:
descrizione di un caso clinico
P. Bertucci, R. Toscano, F. Serione, P. Bertello
Struttura Complessa di Medicina Interna, Ospedale
Civico di Chivasso, ASL 7, Chivasso (TO)
GIMI 2004;3(4):204-208
RIASSUNTO
Riportiamo il caso di un paziente maschio di 71 anni giunto in Pronto Soccorso per febbre, intensa astenia, dispepsia, sputo emoftoico e con un’importante ipotensione arteriosa. Gli esami ematochimici
evidenziavano leucocitosi, piastrinopenia, insufficienza renale e respiratoria, rabdomiolisi (senza aumento della creatinfosfochinasi), iperbilirubinemia prevalentemente diretta in progressivo aumento. L’Rx
torace evidenziava una polmonite medio-basale bilaterale. Nella seconda settimana di ricovero si manifestava un’importante anemia iporigenerativa. La terapia antibiotica con amoxicillina-acido clavulanico per via endovenosa e doxiciclina per via orale determinava scomparsa della febbre e netto miglioramento della trasparenza polmonare (Rx) in sesta giornata. Le prove di agglutinazione, solo alla terza
settimana, evidenziavano titoli positivi per alcuni sierotipi di Leptospire e, alla quinta settimana, individuavano come causale il sierotipo icterohaemorrhagiae. Si sottolinea che la terapia antibiotica va
iniziata in presenza del solo sospetto diagnostico di Leptospirosi e che questo è facilitato da un’accurata raccolta anamnestica.
Parole chiave: sepsi, ittero, insufficienza renale, infiltrati polmonari.
SUMMARY
We report the case of a 71-year-old man who was admitted to our Emergency Department for fever,
prostration, dyspepsia and blood-stained sputum. At clinical evaluation, the arterial pressure was very
low; laboratory findings showed leukocytosis, thrombocytopenia, renal and respiratory failure, rhabdomyolysis (no creatine phosphokinase changes) and a progressive increase in bilirubin (predominantly direct) values. There was radiographic evidence of pulmonary infiltrates in the lower lobes. In
the second week he developed severe hypoproliferative anemia. Intravenous amoxicillin-clavulanate
added to oral doxycycline treatment induced remission of fever and greatly improved radiographic
abnormalities after six days. The agglutination test identified the infecting serovar icterohaemorrhagiae only on the fifth week. We underline the importance of starting an antimicrobial therapy when the
diagnosis of Leptospirosis is presumptive and based on a thorough hystory.
Key words: sepsis, jaundice, renal failure, pulmonary infiltrates.
INTRODUZIONE
Per la corrispondenza:
Pierdomenico Bertello
SC di Medicina Interna, Ospedale Civico
Corso Galileo Ferraris, 3
10034 Chivasso (TO)
tel. 011-9176229-228
fax 011-9176230
e-mail [email protected]
204
La leptospirosi è la zoonosi più frequente1 e anche
la più sottostimata, se si considera che, nelle popolazioni a rischio (veterinari, addetti ai mattatoi)
la sieroprevalenza per anticorpi specifici è del
15% circa. La trasmissione dell’infezione all’uomo avviene principalmente tramite il contatto
con acqua contaminata da urine di animali infet-
La sindrome di Weil: descrizione di un caso clinico
ti.2,3 Esistono due specie di Leptospira, la Leptospira biflexa, che è saprofita, e la Leptospira interrogans, che invece è patogena e di cui, a tutt’oggi, sono stati identificati oltre 200 sierotipi. La
leptospirosi può essere asintomatica o sintomatica lieve anitterica (90% circa dei casi) o presentarsi nella forma grave itterica (10% circa dei
casi), nota come morbo di Weil, dal nome del
ricercatore che nel 1886 descrisse i primi quattro casi.2,3 Ci sembra che il caso di morbo di Weil
giunto alla nostra osservazione possa offrire lo
spunto per considerazioni epidemiologico-cliniche e diagnostico-terapeutiche.
DESCRIZIONE DEL CASO
Maschio di 71 anni, non fumatore da 25 anni,
bevitore solo occasionale di alcolici, proprietario di un orto che usa coltivare di persona, si
presenta in Pronto Soccorso accusando febbre
insorta da 3-4 giorni (per cui dal giorno prima
assumeva amoxicillina e tachipirina per via orale),
astenia, malessere generale, dispepsia e riferendo
sputo emoftoico. Dall’anamnesi patologica remota emerge ipertensione arteriosa in terapia da
circa 10 anni, ultimamente con amlodipina 10
mg, enalapril 10 mg, atenololo 50 mg e clonidina per via transdermica. All’esame obiettivo
il paziente appare sudato, pallido, lievemente
obnubilato; la temperatura corporea è di 37,8°C,
la pressione arteriosa è 100/50 mmHg, la frequenza cardiaca è ritmica 104 b/min, la SaO2 in aria
ambiente risulta dell’86%. All’auscultazione
polmonare sono presenti rantoli crepitanti in
campo medio-basale bilateralmente; all’auscultazione cardiaca non sono apprezzabili rumori
di soffio patologici. L’addome è trattabile senza
punti particolarmente dolenti. Non si palpano
linfonodi superficiali. Gli esami ematici eseguiti al momento del ricovero evidenziavano: Globuli bianchi 2700, Hb 12 g/dl, Ht 36%, MCV 92,
piastrine 41.000, glicemia 123 mg/dl, urea 149
mg/dl, creatinina 4,5 mg/dl, bilirubina totale 5,1
mg/dl, bilirubina diretta 3,6 mg/dl, AST 27 UI/l,
ALT 10 UI/l, CPK 126 UI/l, CPK-MM 3 UI/l, LDH
292 UI/l, mioglobina 1270 µg/l, troponina-T
<0,01ng/ml, fosfatasi alcalina 168 UI/l, gGT 46
UI/l, amilasi 390 UI/l (v.n. 20-220 UI/l), calcio 2,0
mmol/l, fosfato 2,9 mg/dl, sodio 137 mmol/l, potassio 3,5 mmol/l, albumina 2,6 g/dl, colesterolo totale 84 mg/dl, urato 11,5 mg/dl, tempo di protrombina (INR) 1,9, tempo di tromboplastina parziale
attivata 36 sec, VES 122 mm, proteina C reattiva 443 mg/l (v.n. <10 mg/l), d-Dimero 2,82
µg/ml(v.n. <0,5 µg/ml), ferritina 678 ng/ml. Il
quadro proteico evidenziava un aumento delle
proteine della fase acuta. L’emogasanalisi arteriosa evidenziava la presenza di ipossiemia (pO2
45,5 mmHg) e di alcalosi respiratoria (pH 7,51;
pCO2 28,3 mmHg; HCO– 21,7 mmol/l; eccesso di
basi: –1,4 mmol/l). L’ECG dimostrava solo turbe
aspecifiche della ripolarizzazione. L’Rx torace
evidenziava un esteso addensamento cotonoso
esteso a tutto il campo polmonare sinistro e in
sede medio-basale destra con ili addensati e
congesti. L’ecotomografia dell’addome totale non
evidenziava reperti patologici, in particolare
non evidenziava la presenza di epatosplenomegalia. L’esame colturale dell’escreato, compresa la ricerca del BAAR, ha dato esito negativo.
L’esame citologico su tre campioni di escreato
ha presentato reperto negativo per cellule
neoplastiche. L’urocoltura, la coprocoltura e
l’emocoltura (su 3 campioni, per microrganismi
aerobi e anaerobi) risultavano negative. La
reazione di Widal Wright risultava negativa. La
ricerca degli anticorpi escludeva l’epatite da virus
A, B, C. Le IgM Mycoplasma pneumoniae risultavano negative ed era presente un debole tasso
anticorpale IgG (11 U.A./ml). La ricerca dell’antigene urinario e di anticorpi anti-Legionella
pneumophila sierogruppo 1 con il metodo di
immunofluorescenza indiretta e con il test di microagglutinazione eseguita su due campioni, a
distanza di due settimane, risultava negativa.
Gli anticorpi anti-Leptospira risultavano negativi nel 1° campione e positivi (IgM 32,7 U.A./ml,
quando >20 U.A./ml è positivo e indica infezione recente o trascorsa) nel 2° campione, a distanza di due settimane. L’andamento di alcuni valori ematochimici è illustrato nella Tab. 1. Le prove
di agglutinazione per l’accertamento diagnostico
delle leptospirosi sono riportate nella Tab. 2.
Comunque, fin dal primo giorno del ricovero è
stata praticata terapia antibiotica con amoxicillina-acido clavulanico (2,2 g ev 2 volte/die), doxiciclina (100 mg per via orale 2 volte/die) e fluconazolo (200 mg ev 2 volte/die). È stata inoltre
praticata terapia con dopamina, furosemide e
uricasi ev. In sesta giornata, l’Rx torace dimostrava un netto miglioramento della trasparenza polmonare bilaterale. Durante la seconda
settimana di ricovero, in considerazione dell’anemizzazione, è stata eseguita la ricerca di sangue
occulto nelle feci (3 campioni) con esito negativo; è stata effettuata una biopsia osteomidollare, che ha evidenziato un midollo osseo con
cellularità del 50%, serie mieloide e megacariocitaria rappresentate e lieve iperplasia della
205
206
41
14-17,5
42-54
150-400 (x103)
Emoglobina
Ematocrito
0,1-1
<0,3
10-50
10-50
25-190
240-280
0-10
23-72
2,4-7
0,8-1,2
Bilirubina totale
Bilirubina diretta
AST
ALT
CPK
LDH
PCR
Mioglobina
Urato
P.T. (INR)
Fibrinogeno
200-400
<40
0,5-1,3
Creatinina
P.T.T.
10-50
Urea
Piastrine
36
30-45%
Linfociti
–
36
1,9
–
1270
443
292
126
10
27
3,6
5,1
4,5
149
12
7,4
90,7
45-60%
Neutrofili
2700
4-10.000
1
Globuli bianchi
Valori normali
1236
–
–
11,5
–
347
321
113
16
36
7,6
8,2
4,9
168
18
31,8
10,6
2,8
91,1
14.400
2
TABELLA 1
Evoluzione dei valori ematochimici durante il decorso clinico
1221
33
1,8
12,7
–
–
565
96
17
37
11,8
12,3
6,3
239
15
31,5
10,9
5,6
87,3
12.700
3
1009
29
1,6
–
117
–
954
36
35
94
–
17,7
5,0
271
42
37,6
13
10
77,6
14.100
4
–
32
1,6
–
82
64
734
22
48
75
9,8
13,9
3,5
250
57
35,2
12,4
14
75,5
17.400
6
8
–
–
–
1,6
–
–
712
–
54
92
4,7
8,4
1,3
79
232
24,8
8,4
14,7
77,5
9600
Giorno di ricovero
714
–
–
–
–
91
500
–
63
89
4,5
6,1
1
61
227
24,1
7,8
25,9
63,7
5800
12
–
38
1,5
–
–
–
281
–
66
57
2,7
4,1
0,9
41
236
22,1
7,1
26,9
65
5300
15
525
38
1,4
4,7
–
34
310
–
33
28
1,6
2,5
1,1
44
215
39,1
12,3
34,4
58,7
7600
22
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
La sindrome di Weil: descrizione di un caso clinico
TABELLA 2
Prove di agglutinazione
Sierotipi
di Leptospire
Ceppi
Icterohaemorrhagiae
Copenhageni
Canicola
Pomona
Bataviae
Grippo-typhosa
Bratislava
Australis
Zanoni
Saxkoebing
Sejroe
Mini
Castellonis
Tarassovi
Poi
Lora
Handjo
Handjo
Autumnalis
Hebdomatis
Bianchi1
Wijnberg
Alarik
MezzanoI
PaviaI
MoskavaV
Riccio2
Ballico
Zanoni
Mus24
Topo1
Sari
Castellon3
MitisJohnson
Poi
Riccio37
Handjoprajitno
FarinaC715
Akiyami
HebdomatisH.
serie eritroide con diseritropoiesi; la mielocoltura è risultata negativa. Sono state praticate
tre emotrasfusioni. La febbre ha cominciato a
diminuire dopo 4 giorni fino a scomparire in settima giornata. La TC del torace con MDC eseguita in ventesima giornata non ha evidenziato
addensamenti parenchimali, lesioni con caratteristiche evolutive, adenopatie mediastiniche
e ha dimostrato strutture cardiovascolari complessivamente regolari.
DISCUSSIONE
La sindrome di Weil, che rappresenta la forma
più severa di leptospirosi, è frequentemente, come
nel nostro caso, ma non esclusivamente, associata al sierotipo Leptospira icterohaemorrhagiae.
La leptospirosi è considerata una malattia bifasica, la cui prima fase, con febbre, della durata
di 4-7 giorni, è seguita, dopo qualche giorno di
defervescenza, dalla seconda fase, quella immune, con la comparsa nel siero degli anticorpi specifici.2 Nella sindrome di Weil, il decorso bifasico
è molto meno evidente e talora può mancare
del tutto, come è avvenuto nel nostro caso.3 Il
I siero
24/09/2002
II siero
11/10/2002
III siero
23/10/2002
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
320
100
100
–
100
–
–
–
320
–
320
–
–
–
100
–
100
–
–
–
1000
320
100
–
100
–
–
–
320
–
320
–
–
–
100
–
100
–
–
–
sintomo più importante e frequente (98% dei
casi)2 della sindrome è un’intensa cefalea frontale e retro-orbitaria, accompagnata da segni
meningei. Questo sintomo si manifesta principalmente nella prima fase della malattia, in cui
la Leptospira può essere isolata, oltre che dal
sangue, anche dal liquor. Il nostro paziente, invece, non ha mai accusato una cefalea significativa. Anche l’epatomegalia, descritta nel 70-80%
dei casi, la splenomegalia, presente nel 20% dei
casi, e la congiuntivite, presente nel 40-60% dei
casi, non erano evidenti nel nostro paziente. La
leptospirosi determina una vasculite infettiva con
un danno alle cellule endoteliali capillari, che
diventa il principale responsabile delle manifestazioni cliniche della malattia, rappresentate da
insufficienza renale, epatica, respiratoria e cardiaca. L’ipovolemia, secondaria al danno endoteliale e alla conseguente aumentata permeabilità capillare, può peggiorare il quadro di
insufficienza renale ed essere concausa del collasso cardiocircolatorio. Il soggetto da noi osservato ha presentato un quadro di insufficienza
renale ai limiti della necessità di trattamento dialitico. L’insufficienza respiratoria è in genere dovuta, come nel nostro caso, a polmonite infiltrati207
Giornale Italiano
2004;3(4)
di Medicina Interna
va nodulare diffusa, sovente associata a emorragia intra-alveolare, che può determinare sputo
emoftoico.4 L’insufficienza epatica è in genere
transitoria perché non vi è per lo più necrosi epatocellulare. Difatti, l’aumento delle transaminasi
è modesto (2-3 volte al massimo i valori normali). Anzi, l’aumento lieve delle transaminasi, in
associazione a elevati valori di CPK-MM dovuti
a rabdomiolisi, può costituire, in un soggetto itterico, un importante criterio diagnostico differenziale nei confronti delle epatiti virali acute.
Nel nostro caso, i valori delle transaminasi non
hanno raggiunto le 100 UI/l, ma anche i valori
della creatinfosfochinasi sono rimasti nel range
della normalità, nonostante fossero presenti
altri segni bioumorali di rabdomiolisi, in primo
luogo la mioglobinemia elevata. La piastrinopenia,
associata all’insufficienza renale con necrosi
tubulare, è descritta nel 50% circa di casi e può
far parte di un quadro di coagulazione intravascolare disseminata.5 Possono manifestarsi, come
nel nostro soggetto, anemia iporigenerativa e
leucocitosi. Per quanto riguarda la diagnosi della
sindrome di Weil, vorremmo ricordare che è possibile far crescere in coltura la Leptospira isolata
dal sangue durante la prima settimana di malattia, ma che, poiché la crescita è assai lenta, possono essere necessarie fino a 4-6 settimane prima
che le colture si positivizzino. Le agglutinine
compaiono dopo il sesto giorno di malattia, per
raggiungere il massimo nella terza o quarta settimana e la diagnosi è basata sull’aumento di quattro volte del titolo degli anticorpi agglutinanti.
Difatti, nel nostro paziente, solo nel secondo siero
(terza settimana di malattia) vi erano titoli positivi per alcuni sierotipi di Leptospire e solo alla
quinta settimana di malattia veniva individuato
come causale il sierotipo icterohaemorrhagiae.
La terapia (ampicillina o amoxicillina 1 g ev 4
volte/die nelle forme più severe oppure doxiciclina 100 mg per via orale 2 volte/die nelle forme
208
più lievi)6,7 va perciò iniziata in presenza del solo
sospetto diagnostico, tanto più che sull’efficacia della terapia antibiotica iniziata tardivamente (dopo 4 giorni) le opinioni non sono tuttora concordanti. La diagnosi va quindi sospettata,
tenendo conto delle modalità di trasmissione della
malattia (urine infette oppure acqua o terreno
contaminati da urine infette) e considerando
l’anamnesi lavorativa (lavoratori agricoli, veterinari, allevatori di maiali, addetti ai mattatoi) e
anche sportiva (nuoto, windsurf, canoa). Anche
noi, dato il quadro clinico, abbiamo cominciato
a ipotizzare fortemente per il nostro paziente
la diagnosi di leptospirosi quando abbiamo
appreso che era dedito, qualche volta anche scalzo, alla coltivazione di un orto. Pertanto, il caso
ci è sembrato meritevole di segnalazione anche
per sottolineare l’importanza diagnostica della
raccolta anamnestica.
BIBLIOGRAFIA
1. Petri WA, Jr. Leptospirosi. In: Cecil. Trattato di Medicina Interna. Roma: Verduci, 1997:1917-1918.
2. Farrar WE. Leptospira species (Leptospirosis). In:
Mandell GL, Bennet JE, Dolin R (eds.). Principles
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3. Speelman P. Leptospirosis. In: Fauci AS (ed.). Harrison’s Principles of Internal Medicine. Singapore:
Mc Graw Hill, 1998:1036-1038.
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Thrombocytopenia in leptospirosis: the absence
of evidence for disseminated intravascular coagulation. Am J Trop Med Hyg 1986;35:352-354.
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7. Mc Clain JBL, Ballon WR, Harrison SM, et al. Doxycycline therapy for Leptospirosis. Ann Intern Med
1984;100:696-698.
Caso clinico
Watermelon stomach: descrizione di due
casi e rivisitazione della letteratura
R. Risicato,1 B. Zazzaro,1 G. Passanisi,2 G. Cascone,1
S. Romano,2 M. Stornello1
1U.O. Medicina Interna “L. Scapellato”,
A.O. “Umberto I”, Siracusa; 2Servizio
di Gastroenterologia A.O. “Umberto I”, Siracusa
GIMI 2004;3(4):209-216
RIASSUNTO
Gli autori descrivono due casi di ectasia vascolare antrale gastrica (GAVE). Si tratta di due donne di
età matura, una delle quali diabetica, obesa, ipertesa e affetta da insufficienza renale cronica lieve.
Entrambe affette da epatite cronica HCV-correlata, senza ipertensione portale. Ricoverate per anemia
severa sideropenica e ricorrenti episodi di emorragia digestiva superiore. Dopo aver riportato i riscontri clinici, ematochimici e strumentali, che li hanno portati alla diagnosi, gli Autori descrivono le caratteristiche della GAVE, rara causa di emorragia digestiva cronica, che si manifesta con severa anemia
sideropenica, secondaria allo stillicidio ematico cronico. Una rivisitazione della letteratura sull’argomento permette di caratterizzare la GAVE e di definirne criteri diagnostici e opzioni terapeutiche.
SUMMARY
The Authors report two cases of gastric antral vascular ectasia (GAVE) observed in old females. One
of these was affected by diabetes, mild chronic renal failure, obesity, and hypertension. Both were affected by chronic HCV hepatitis, without portal hypertension. They were admitted for severe anemia with
low iron level and recurrent upper gastrointestinal bleeding. The Authors report clinical, haematological, histological, and instrumental characteristics of these two cases. Then, they describe the features of GAVE and make a review of recent literature of this relatively new, distinct, clinical entity, to define diagnostic criteria and therapeutic options.
CASISTICA CLINICA
Caso 1
S.M., donna di 72 anni. Riferisce al Pronto Soccorso insorgenza, da circa trenta giorni, di astenia
marcata, pallore cutaneo, dispnea da sforzo e
scompenso glico-metabolico. La signora non
fuma, non assume alcolici, ha una familiarità per
diabete, assume ACE-inibitori per ipertensione
arteriosa e ipoglicemizzanti orali per diabete di
Per la corrispondenza:
Roberto Risicato
U.O. Medicina Interna, A.O. Umberto I
Via Testaferrata, 1
96100 Siracusa
tel. 0931-724072; fax 0931-724077
e-mail [email protected]
tipo 2. Riferisce, altresì, stipsi cronica, lieve insufficienza renale secondaria a nefropatia diabetica e turbe dispeptiche di tipo dismotility-like.
Mai rettorragia. Al ricovero presso l’Unità Operativa di Medicina Interna, l’esame obiettivo rivela
severo pallore cutaneo e mucoso; sovrappeso
moderato/severo (BMI 35); PA 140/85; frequenza
cardiaca 90 bpm; assenza di scompenso emodinamico, assenza di edemi, assenza di ascite,
epatomegalia moderata, di consistenza aumentata, assenza di splenomegalia, murmure vescicolare lievemente indebolito, addome trattabile. Tiroide nei limiti; assenza di linfoadenopatie
superficiali. Esplorazione rettale: assenza di
lesioni attive rilevabili. La routine di laboratorio rivela: globuli rossi 3.400.000; globuli bianchi 5300 (NE 63%; LI 24%); piastrine 215,00; Hb
6 g/dl; MCV 68. VES 1 ora 40; PCR 7 (v.r. 5); AST
53 U/dl (v.r. 40), ALT 33 U/dl (v.r. 40); GGT 52 U/dl
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(v.r. 50); PCHE 2946 (v.r. 3000-8000); proteine totali 5,1 g/dl; albuminemia 2,86 g/dl; gammaglobulinemia 2,41 g/dl; calcemia 7,7 mg/dl; amilasemia e altri parametri di laboratorio normali.
Successivamente, la diagnostica di laboratorio è
stata integrata con i seguenti parametri: CEA
2,6 (v.r. <5); gastrinemia 134 pg/dl (v.r. 100); ALKM1 negativi; autoanticorpi non organo- specifici (immunofluorescenza indiretta su fegato, rene
e stomaco di ratto con siero diluito a 1:40): ANA,
SMA, AMA, A-ribosomi, A-reticolina, A-microsomiali, APGA, crioagglutinine, IgA, IgG, IgM,
immunocomplessi circolanti, ATPO, anti-tiroidei, fattore reumatoide, C3, C4: tutti negativi.
FT3, FT4, TSH: nei limiti della norma. HbsAg: negativo. A-HCV: positivo. Dosaggio vitamina B12 e
acido folico nel sangue, ferritinemia, transferrinemia: sotto la norma. Ricerca sangue occulto
nelle feci: positivo.
La diagnostica strumentale ha dato i seguenti risultati:
• ECG: ritmo sinusale, 88 bpm, alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione.
• Rx Torace: assenza di alterazioni pleuro-parenchimali.
• Ecografia addome superiore: fegato di dimensioni globalmente aumentate, a margini regolari, ecostruttura omogenea con ecogenicità
medio-alta per echi fittamente stipati, di
piccole dimensioni. Assenza di lesioni focali.
Reni con parenchima di spessore ridotto.
Assenza di segni di ipertensione portale. Colecisti, vie biliari, pancreas, milza: nulla di rilevante.
• EGDscopia: esofago normocanalizzato ed
esente da lesioni, corpo gastrico esente da
lesioni. A carico dell’antro: mucosa friabile,
con ectasie venose di colorito vinoso, rilevate, che si estendono cranialmente verso la regione angolare e in breve tratto della piccola
curva pre-angolare. Sono eseguite prese bioptiche a livello angolare e dell’antro.
• Esame istologico (su prelievo bioptico endoscopico): dilatazione dei capillari della mucosa, iperplasia fibromuscolare della lamina
propria, ispessimento della mucosa; assenza
di infiltrato infiammatorio.
In considerazione della grave forma di anemia,
è stata proposta terapia trasfusionale, che la signora ha rifiutato per motivi religiosi (la signora ha
dichiarato di essere una testimone di Geova). È
stata praticata, pertanto, terapia medica a base
di ferro ev, folati ev, PPI, rHePO.
Alla dimissione, la signora presenta il seguen210
te quadro emocromocitometrico: Hb 9,9; GR
3.610.000; GB 4650; piastrine 132.000; MCV 71.
Al controllo ambulatoriale, dopo 4 settimane, tuttavia, i valori di emoglobina erano nuovamente scesi a 6,2. Pertanto, visto il rifiuto alla
pratica trasfusionale e non essendo la terapia
medica in grado di risolvere la grave anemia secondaria, si sono prese in considerazione le terapie
non mediche. Per la presenza di fattori di rischio
per l’intervento chirurgico, si è optato per la terapia endoscopica e la signora è stata sottoposta,
con successo, a terapia con laser a plasma d’argon, presso altra struttura ospedaliera. Tuttora,
è controllata periodicamente, per programmare ulteriori sedute di laserterapia endoscopica.
In regime ambulatoriale ha eseguito la colonscopia, risultata negativa.
Caso 2
C.A., donna di anni 67. Ricoverata per recente
riscontro di severa anemia con astenia e pallore cutaneo. L’anamnesi personale non evidenzia patologie familiari di rilievo. La signora non
fuma e non assume alcolici. L’anamnesi patologica rivela una precedente diagnosi di polipo
gastrico. Alvo e diuresi sono riferiti regolari. Mai
rettorragia. Al ricovero, l’obiettività clinica rivela: severo pallore cutaneo e mucoso, normopeso, PA 130/70, Frequenza cardiaca 90 bpm; soffio
sistolico 1-2/6 Levine, ubiquitario, assenza di scompenso emodinamico, MV fisiologico, addome trattabile, organi ipocondriaci nei limiti, M. di Giordano negativa bilateralmente, assenza di
linfoadenopatie superficiali, tiroide nei limiti.
Esplorazione rettale: assenza di lesioni attive rilevabili. La routine di laboratorio rivela: Hb 5,1;
MCV 84; GB 2800/mm3; GR 2.200.000/mm3; PLT
300.000/mm3; proteine totali 5,2 g/dl, albumina
56%; gammaglobuline 12,7%. A-HCV: positivo.
Tutti gli altri parametri risultano nella norma.
Successivamente, vengono eseguite altre indagini di laboratorio, che risultano normali e che
includono: CEA, A-LKM1, ANA, SMA, ANA, crioagglutinine, APGA, IgA, IgG, IgM, immunocomplessi
circolanti, AAT, fattore reumatoide, C3, C4, FT3,
FT4, TSH. Risultano invece patologici: dosaggio
di folati e vitamina B12, ferritinemia, transferrinemia: ridotti sotto la norma. ATPO: aumentati: 425 Au/ml (v.r. 0-30). ENA: positivi. Haemoccult: positivo.
La diagnostica strumentale ha fornito i seguenti risultati:
• ECG: ritmo sinusale 84 bpm, alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione.
Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura
• Rx torace: assenza di alterazioni pleuro-parenchimali in atto.
• Ecografia addome superiore: fegato di dimensioni, margini ed ecostruttura conservati.
Componente vascolare normalmente rappresentata. Non dilatate le vie biliari intra- ed
extraepatiche. Lesione focale anecogena,
compatibile con cisti semplice, del diametro
di circa 2 cm, rilevabile al confine tra i segmenti 7° e 8°. Colecisti di dimensioni regolari, con
pareti di spessore normale. Reni, pancreas e
milza di dimensioni ed ecostruttura normali.
• EGDscopia: piccola ernia jatale, piccolo polipo iperplastico sottocardiale. Corpo gastrico
normale. Mucosa antrale friabile, con ectasie
venose rosso scuro, rilevate, che si estendono verso l’angulus. Si eseguono biopsie. Test
all’ureasi negativo.
• Colonscopia: non eseguita per rifiuto della
paziente.
• Esame istologico (da prelievo bioptico endoscopico): mucosa ispessita; assenza di infiltrato
infiammatorio; ectasia dei capillari mucosali;
iperplasia fibromuscolare della lamina propria.
Sono state praticate terapia trasfusionale e
terapia medica a base di ferro ev, folati ev, PPI
e steroidi.
Alla dimissione, il quadro anemico era molto
migliorato, con HB intorno a 11. GR, GB, PLT,
normali. È stato programmato il follow-up per
verificare l’efficacia della terapia prescritta a domicilio: IPP, steroidi. È prevista una prima EGDscopia di controllo a due mesi dalla dimissione.
ECTASIA VASCOLARE ANTRALE
GASTRICA (GAVE)
Definizione
Patologia gastrica cronica acquisita, che colpisce prevalentemente donne in età avanzata o
senile. Rappresenta una rara causa di emorragia digestiva (2-5% del totale delle emorragie
digestive non varicose), causando uno “stillicidio” cronico ematico, e determinando, quindi,
progressiva anemizzazione e quadro ematico di
carenza marziale, ipoalbuminemia, carenza di
folati e vitamina B12. È indicata anche come watermelon stomach, per il tipico aspetto endoscopico della mucosa antrale gastrica.
È una patologia distinta dalla gastropatia ipertensiva portale tipica del cirrotico.1,2 Inoltre, attraverso la valutazione di parametri morfometrici
e statistici, la GAVE è stata differenziata dalle
gastriti e dalla mucosa gastrica normale.3 Altri
autori hanno elaborato uno score system che,
attraverso l’utilizzazione di parametri quali
anomalie dei vasi della mucosa (trombi di fibrina e/o estasia) e presenza di proliferazione di
spindle cell, permette di differenziare la GAVE
dagli stomaci normali, dagli antri resecati, dalle
gastriti acute e dalle gastriti croniche.4
Patogenesi
Sono state avanzate alcune ipotesi patogenetiche. Secondo alcuni autori potrebbe svolgere un
ruolo importante nella patogenesi della GAVE
il prolasso cronico della mucosa gastrica, causato da altre patologie concomitanti, o essere la
conseguenza di disturbi dei neuro-ormoni e dei
neurotrasmettitori secreti a livello di mucosa
gastrointestinale, o rappresentare l’esito di un
microtraumatismo cronico.5,6 Altri autori avanzano l’ipotesi che potrebbe trattarsi di una localizzazione precoce e/o non riconosciuta della sclerodermia, o rappresentare uno spettro delle
alterazioni vascolari tipiche della sclerosi sistemica.7,8,9,10 Inoltre, le teleangectasie nella cute e
nella mucosa di pazienti con sclerodermia ed
emorragia digestiva sono istologicamente indistinguibili da quelle osservate nella teleangectasia emorragica ereditaria.11
Nel siero di pazienti affetti da GAVE sono stati
talvolta riscontrati particolari autoanticorpi. Più
specificamente, si tratterebbe di proteine nucleari di 100 kDa, definite da alcuni autori proteine
“Gu”, che sarebbero membri di un nuovo sottogruppo di RNA-elicasi. Inoltre, esse, fuse con la
glutatione-S-transferasi, contengono attività
RNA-elicasi ATP-dipendente. Il preciso ruolo
biologico di tali autoanticorpi nella biogenesi
del RNA ribosomiale nella patogenesi della GAVE
e nei disordini autoimmunitari associati resta ancora non chiarito e in fase di studio.12
Infine, come recentemente rilevato da Fisher,13
non sempre è possibile escludere la presenza di
ipertensione portale sulla base dei parametri
ecografici o di laboratorio. La diagnosi, infatti,
di ipertensione portale andrebbe correttamente formulata sulla base della biopsia epatica e/o
del gradiente porto-epatico (HVPG), insieme a
metodiche neuroradiologiche del sistema venoso portale, al fine di escludere la trombosi della
vena epatica o della vena splenica. Infatti, è stato
rilevato che in pazienti sottoposti a trapianto di
midollo osseo o affetti da malattie autoimmuni l’ipertensione portale può essere causata da
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una malattia veno-occlusiva epatica o da cause
extraepatiche.
Caratteristiche endoscopiche
La prima descrizione si deve a Jabbari, che nel
1984 ha definito le seguenti caratteristiche endoscopiche in 3 casi osservati: pliche longitudinali
irregolari, che attraversano l’antro e convergono sul piloro; ciascuna di esse contiene una colonna visibile di vasi convoluti e assomiglia alle strisce scure di un’anguria. Esse sono meno procedenti
rispetto al prolasso mucoso.14
Altri autori hanno definito le lesioni della GAVE
come pliche lineari o strisce rossastre parallele
con vasi visibili che dal piloro si irradiano all’antro,5,15,16 intenso arrossamento longitudinale o
macchie rosso ciliegia (cherry-red spots) della
mucosa antrale.17,18
I rilievi endoscopici precoci consistono in punti
rossi in area pre-pilorica. Le lesioni vascolari
gradualmente si ispessiscono e si estendono
lungo la mucosa antrale e il quadro definitivo
si realizza in un periodo di tempo che varia da
18 a 60 mesi.19 Le lesioni sono state graduate in
assenti, minime, moderate e marcate.15
Il quadro di distribuzione è stato classificato
in tre tipi: (1) punteggiato, (2) confluente e (3)
a strisce.19
La GAVE, pur manifestandosi nella forma tipica in un periodo di tempo variabile e per lo più
in meno di cinque anni, può causare emorragia
già negli stadi precoci (spot pre-pilorici), ma generalmente l’anemia viene osservata solo nei
pazienti che presentano il quadro endoscopico
diagnostico tipico.19
L’ecoendoscopia (EUS) può avere un ruolo nella
diagnosi e nel follow-up del paziente con GAVE.
L’EUS, infatti, permette di identificare le zone
ispessite della parete gastrica che presentano
aspetto “spugnoso” per l’ectasia vascolare a carico degli strati II e III, mentre lo strato muscolare sembra preservato. Inoltre, l’EUS permetterebbe di controllare l’efficacia della laserterapia
endoscopica.20 Si vedano le Figure 1 e 2.
dilatati e tortuosi e pliche mucosali prominenti, mentre la parete gastrica prossimale è sottile.6 Le vene sottomucose antrali sono dilatate
fino a tre volte il calibro delle arteriose.6
La mucosa è ipervascolarizzata e sono presenti capillari ectasici e trombosati sotto la superficie dell’epitelio.14,15,17 I trombi capillari sono di
tipo fibrinoso.17 Sono inoltre presenti iperplasia
fibromuscolare della lamina propria, rigenerazione epiteliale e distorsione dell’architettura
mucosale.15 Caratteristica è, infine, la mancanza di infiltrato infiammatorio.17 L’ischemia focale, dovuta ai microtrombi fibrinosi nei vasi mucosali, sarebbe la causa della tendenza di questa
malformazione vascolare al sanguinamento.21
PATOLOGIE CONCOMITANTI
Il 50% circa dei pazienti affetti da GAVE presenta disordini autoimmuni associati.11,22 Altre condizioni patologiche descritte in associazione alla
Figura 1.
Caratteristiche istologiche
Secondo alcuni autori, i dati desunti dalle antrectomie, confrontati con quelli ottenuti da biopsie
endoscopiche, permettono di concludere che
anche le seconde possono essere diagnostiche
di GAVE.4
La parete antrale gastrica è ispessita, soprattutto a livello del piloro, con vasi sottomucosi
212
Figura 2.
Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura
GAVE sono:
– A-HCV positività23
– Acloridria16
– Ipergastrinemia16,23
– Mancanza di folati e vitamina B1216
– Epatopatia cronica (cirrosi, epatite cronica)1,16
– Sclerosi sistemica (SSC)7,9,10,11
– Teleangectasie cutanee9
– Linfomi24
– Ipertensione portale24
– Insufficienza renale cronica25
– Connetivopatie25
– Presenza di autoanticorpi non organo-specifici12
– Ipotiroidismo22
– Alcolismo25
– Diabete mellito26
– Cirrosi biliare primitiva (PBC)12,2,27
– Sindrome di Sjögren22
– Sindrome CREST27
– Malattia di Rendu-Osler28
– Ectasia vascolare rettale29
– Adenocarcinoma “in situ” del piloro30
– Carcinoma squamoso del cardias30
– Trapianto di midollo, terapia con Busulfan10,31
DIAGNOSI E TERAPIA
Rappresenta il problema maggiore nei pazienti affetti da GAVE, così come rilevato da diversi autori.32,33 Una volta raggiunta la diagnosi,
infatti, il paziente, che generalmente manifesta una severa anemia, con ipoalbuminemia,
deficit vitaminico e scadimento dello stato
generale, necessita di un trattamento di supporto e di trasfusioni di sangue. Ciò perché, a seguito dello stillicidio cronico ematico, si stabilisce
una sorta di adattamento del paziente a valori di emoglobina sempre più bassi con il passare del tempo. I sintomi e i segni che inducono
il paziente a ricorrere al medico e, quindi, che
permettono di fare la diagnosi attraverso accertamenti bioumorali e strumentali sono, infatti, legati proprio alla progressiva anemizzazione
e alla perdita ematica intestinale: pallore mucocutaneo, astenia intensa, iporessia, calo ponderale, dispnea da sforzo, melena, turbe dell’alvo e dispepsia. Possono essere presenti altre
manifestazioni vascolari a livello cutaneo (in
particolare a carico delle dita o delle labbra),
come le teleangectasie, ma solo nei casi di
connettivopatia concomitante.7 Distinguiamo:
(1) terapie mediche, (2) terapia endoscopica e
(3) terapia chirurgica.
Terapie mediche
(a) Supporto nutrizionale e vitaminico, acido
tranexamico, acido folico, eritropoietina ricombinante (rHePO), terapia marziale, secondo le
necessità del caso.
(b) Inibitori di pompa protonica (IPP), al fine
di ridurre il rischio di ulteriore danno mucosale
gastrico da iperacidità. La loro utilità è controversa, in quanto, per le caratteristiche della lesione gastrica vascolare, in realtà, generalmente
concomita un’ipocloridria, ma il loro uso fa
parte quasi di una “routine terapeutica” nel
gastroepatico.
(c) Allo stesso scopo vengono usati gli antiacidi (ad es., magaldrato, sucralfato, alginato)
come composti di “barriera” protettiva nei
confronti della mucosa gastrica.
(d) Beta-bloccanti non cardioselettivi (ad es.,
propranololo, nadololo), in analogia con la terapia per la profilassi del sanguinamento da varici esofagee del cirrotico, secondaria a ipertensione portale, la quale può causare una gastropatia
congestizia con caratteristiche morfologiche
simili alla GAVE. I beta-bloccanti non cardioselettivi hanno dimostrato, anche in studi di metanalisi, la loro efficacia. Agirebbero, infatti, riducendo il gradiente pressorio portale, il flusso
ematico dell’azygos e la pressione intravariceale, attraverso una vasocostrizione splancnica
(azione di blocco sul recettore vascolare B2 vasodilatatore) e una riduzione della gittata cardiaca (azione di blocco sul recettore B1 cardiaco). Il
sanguinamento, in caso di GAVE, tuttavia, non
risponde al trattamento con TIPS (shunt portosistemico intraepatico transgiugulare), né a betabloccanti, a dimostrazione che non è coinvolto
lo stesso meccanismo alla base della gastropatia ipertensiva portale del cirrotico, secondo quanto affermato da McCormick et al.1 Inoltre, secondo Rainoldi et al., in nessun caso di GAVE
riportato era possibile riscontrare la presenza di
ipertensione portale.2
(e) Octreotide, che è un analogo sintetico della
somatostatina ad azione protratta, somministrabile anche per via sottocutanea. Esso ha dimostrato di essere in grado di diminuire la pressione portale senza modificare la pressione
arteriosa, la gittata cardiaca e le resistenze
vascolari periferiche.35 Probabilmente agisce
aumentando le resistenze della circolazione
arteriolare splancnica. L’azione del farmaco
potrebbe essere mediata (analogamente a quella della somatostatina) anche dall’inibizione
della secrezione di glucagone, i cui elevati livel213
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li potrebbero contribuire alla vasodilatazione
splancnica presente nell’ipertensione portale. L’octreotide è inoltre un potente inibitore delle secrezioni gastrointestinali. L’uso dell’octreotide ha
prodotto risultati contrastanti. Secondo alcuni
autori, il trattamento sarebbe inefficace.35 Secondo altri, il trattamento prolungato, a basse dosi,
sarebbe efficace.32
(f) Terapie ormonali a base di estroprogestinici. Questo approccio identifica come bersaglio
della terapia la componente legata all’ectasia
capillare e ai microtrombi fibrinosi intracapillari, nonché alla vasodilatazione venosa della
sottomucosa. Anche questa terapia ha prodotto risultati contrastanti, secondo quanto riportato da diversi autori.25,26,36,37,38,39
(g) Steroidi. L’utilizzo della terapia steroidea
è relativo ai casi che si rilevano in soggetti con
concomitante disordine autoimmunitario e nell’acloridria. I risultati, in questi casi, sono incoraggianti.14,39,40
Terapia endoscopica
La terapia endoscopica si avvale delle metodiche di emostasi, che sono state applicate alle
EDANV (emorragie digestive alte non varicose).
In particolare, hanno trovato applicazione nel
trattamento della GAVE la coagulazione bipolare (BiCAP);41 la termocoagulazione con heather
probe (HP);42 la fotocoagulazione Laser (Nd-YAG)43
e la coagulazione con plasma di argon (PLA).44
Quest’ultima, per i bassi costi e la dimostrata
efficacia, è preferita da molti Servizi di Endoscopia.
Terapia chirurgica
Consiste essenzialmente nell’antrectomia con
anastomosi secondo Billroth I o II. Tale terapia,
quando applicata, risulta molto efficace e può
essere considerata il trattamento definitivo della
GAVE.
CONCLUSIONI
– La GAVE è una patologia gastrica cronica acquisita, segnalata quasi esclusivamente nelle
donne in età senile.
– È una rara causa di sanguinamento gastrointestinale cronico “occulto”.
– Causa un’anemizzazione progressiva e severa del soggetto colpito.
– Si tratta di una patologia distinta dalle altre
214
forme di gastrite acuta e cronica e in particolare dalla gastropatia ipertensiva portale
del cirrotico.
– È stata spesso confusa o misconosciuta con
altre forme di gastrite antrale refrattaria.
– È stata riscontrata in associazione a molte
condizioni patologiche a carico di diversi
organi e apparati: in particolare, si associa a
epatopatie di diversa eziologia, malattie metaboliche ed endocrine, disordini ematologici e
del sistema immunitario.
– Il 50% circa dei soggetti affetti da GAVE presenta disordini autoimmunitari associati e alcuni autori formulano l’ipotesi che potrebbe trattarsi di una localizzazione precoce e/o non
riconosciuta della sclerodermia. Gli stessi autori propongono che la diagnosi endoscopica
di GAVE induca alla ricerca di autoanticorpi,
in particolare anti-centromero, e a eseguire
una capillaroscopia.
– Recentemente, Kamath et al. hanno dimostrato
che la TIPS (shunt porto-sistemico intraepatico transgiugulare) riesce a risolvere il 75% dei
casi di gastropatia ipertensiva portale (PHG)
severa e l’89% circa dei casi di PHG lieve, mentre
non risulta efficace nella GAVE. Ma anzi, in
considerazione dell’età avanzata tipica dei
pazienti con GAVE, questi sono più esposti al
rischio di encefalopatia portosistemica postshunt.45 Anche i farmaci beta-bloccanti migliorano la PHG, mentre non sembrano avere effetto terapeutico sulla GAVE. Ciò dimostrerebbe
che la GAVE è un’entità patologica distinta
dalla PHG, pur concomitando l’ipertensione
portale.45
– La sua patogenesi non è ancora stata chiarita, sebbene tra le ipotesi avanzate rientrino
il ruolo di particolari proteine con funzione
di autoanticorpo, l’effetto di un traumatismo
cronico sulla mucosa, disturbi dei neuro-ormoni e dei neurotrasmettitori secreti a livello
gastrointestinale o l’effetto sulla mucosa
gastrica di patologie concomitanti.
– La presenza di ipertensione portale in pazienti con GAVE potrebbe essere misconosciuta.
– Le lesioni della mucosa nella GAVE sarebbero in ogni modo correlate a un incremento
del flusso ematico mucosale e alla vasodilatazione splancnica, che tipicamente si verificano nelle epatopatie croniche.
– L’ischemia focale, dovuta ai microtrombi fibrinosi nei vasi mucosali, sarebbe la causa della
tendenza di questa malformazione vascolare
al sanguinamento.
Tale sanguinamento può determinarsi anche negli
Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura
stadi iniziali della GAVE, in cui la sola manifestazione endoscopica rilevabile è la presenza di
cherry-red spot pre-pilorici. Il quadro clinico severo e la conseguente anemia sideropenica si
realizzano, però, solo quando la gastropatia ha
assunto le caratteristiche endoscopiche patognomoniche e ciò si verifica in un lasso di tempo
variabile tra 18 e 60 mesi.
– La biopsia per via endoscopica può essere
diagnostica, al pari di quella eseguita sul pezzo
operatorio da antrectomia.
– L’EUS può svolgere un ruolo nella diagnosi e
nel valutare l’efficacia della laserterapia endoscopica
– Il trattamento della GAVE resta il problema
principale. I diversi approcci farmacologici
trovano indicazione in un limitato e ben definito numero di casi, mentre generalmente falliscono l’obiettivo della guarigione. L’antrectomia sembra essere il trattamento risolutivo.
La terapia endoscopica rappresenta una valida scelta, soprattutto in casi selezionati
(soggetti che rifiutano l’intervento chirurgico o che non possono essere sottoposti alla
gastroresezione per le patologie concomitanti).
La metodica di scelta dipende dalla disponibilità del centro e dall’esperienza dell’operatore. In virtù del miglior rapporto costo/beneficio, la metodica di scelta potrebbe essere,
attualmente, la laserterapia con plasma di
argon.
– La TIPS e lo shunt porta-cava chirurgico sono
controindicati nella GAVE.
– È auspicabile che vengano condotti ulteriori studi sulle caratteristiche dei pazienti affetti da GAVE (WS), per meglio definire il ruolo
che eventuali alterazioni del sistema immunitario svolgono nella patogenesi e nella storia
naturale di questa rara patologia gastrica.
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Caso clinico
Bullosis diabeticorum: una problematica
diagnosi clinica di esclusione
C. Trenti,1 E.A. Negri,1 A. Casali,1 U. Petrelli,2 S. Asioli,3
I. Iori1
1U.O. 1a Medicina Interna; 2U.O. Medicina d’Urgenza;
3
U.O. Anatomia Patologica
Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova, Reggio Emilia
GIMI 2004;3(4):217-219
RIASSUNTO
La bullosis diabeticorum è una rara complicanza del diabete mellito, ma ne rappresenta un marcatore
tipico. È caratterizzata dall’improvvisa comparsa di lesioni bollose cutanee in assenza di dolore e di
segni di flogosi, tipicamente localizzate alle estremità. Sono più spesso colpiti maschi adulti con diabete di lunga data complicato da neuropatia periferica. La patogenesi non è chiara; i traumi possono
rappresentare un fattore precipitante. Tali lesioni abitualmente guariscono spontaneamente senza lasciare cicatrici. Le recidive sono comuni.
Riportiamo il caso di un uomo di 53 anni, affetto da diabete tipo II con retinopatia diabetica e neuropatia periferica, giunto all’osservazione clinica per comparsa da alcuni giorni di bolle non dolenti a
entrambi i piedi. Riferiva un analogo episodio con lesioni sovrapponibili nella stessa sede due anni
prima, guarite spontaneamente. In entrambi i casi vi era correlazione con l’impiego sul lavoro di pesanti calzature antinfortunistica. L’esame istologico ha mostrato una bolla a sede intraepidermica; l’immunofluorescenza è risultata negativa. Dal punto di vista terapeutico è stata praticata medicazione
locale quotidiana, oltre a terapia antibiotica sistemica per verosimile sovrainfezione. Le lesioni sono
guarite completamente nell’arco di tre settimane.
Parole chiave: bullosis diabeticorum, diabete mellito, bolle, neuropatia periferica.
SUMMARY
Bullosis diabeticorum, though a rare manifestation, is a distinct diabetic marker. It is characterized by
suddenly occurring bullae without pain or any sign of inflammation, commonly on the acral areas. The
bullae occur more frequently in adult men with long standing diabetes and neuropathy. The pathogenesis is unclear; trauma may be a precipitating factor. The blisters usually heal spontaneously without
scarring and recurrences are common.
A 53-year old diabetic man with diabetic retinopathy and peripheral neuropathy presented with a few
day history of spontaneous painless blister formation on both lower legs, feet and soles. He recalled
another episode of developing bullae on the feet two years before, which spontaneously resolved. In
both cases, he had used heavy shoes at work. Histologically, the examination showed an intraepidermal bulla; immunofluorescence studies were negative, excluding an immunobullous disease. The treatment consisted of local care with disinfection and protective covering; systemic antibiotics were also
given. The bullae healed completely over three weeks.
Key words: bullosis diabeticorum, diabetes mellitus, bullae, peripheral neuropathy.
Per la corrispondenza:
Chiara Trenti
UO I Medicina Interna
AO S. Maria Nuova
Reggio Emilia
e-mail [email protected]
INTRODUZIONE
Manifestazioni cutanee associate al diabete
mellito si osservano nel 30% circa dei pazienti
durante il decorso della malattia.1 Tra queste, le
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lesioni bollose sono rare, ma ben caratterizzate e così tipiche da poter essere considerate un
marcatore cutaneo specifico del diabete. Sono
state descritte per la prima volta da Kramer nel
1930,2 ma soltanto nel 1967 Cantwell e Martz
coniarono il termine di “bullosis diabeticorum”.3
Finora, solo un centinaio di casi è stato descritto
in letteratura e la maggior parte delle segnalazioni riguarda uno o pochi pazienti.4-8
PRESENTAZIONE DEL CASO CLINICO
Un uomo di 53 anni, affetto da diabete tipo II
complicato da grave neuropatia sensitivo-motoria periferica e da retinopatia diabetica, giunge
alla nostra osservazione per l’improvvisa comparsa di estese lesioni bollose non dolenti a entrambi i piedi. Obiettivamente, il quadro cutaneo ricorda quello di un’ustione localizzata, con bolle tese
alternate ad altre flaccide e ad ampie aree di cute
disepitelizzata, ma aflegmasica. Sono interessate le dita, la superficie dorsale e quella plantare.
In anamnesi non viene riferita l’assunzione di
farmaci diversi dall’abituale terapia (metformina e ramipril). L’unico fattore temporalmente
correlato alla comparsa delle lesioni risulta essere l’impiego di pesanti scarpe antinfortunistiche
sul lavoro. Approfondendo la storia, emerge un
episodio analogo due anni prima, con lesioni
bollose di identico aspetto al solo piede sinistro,
guarite spontaneamente in tempi lunghi per
sovrainfezioni ripetute e anche in questa occasione correlate a verosimile microtraumatismo
dei piedi a opera di calzature pesanti.
Gli esami bioumorali mostrano leucocitosi
neutrofila (GB: 15.000; N: 85%) e incremento degli
indici di flogosi (VES: 84 mm; PCR: 9,83 mg/dl).
Le indagini immunoreumatologiche risultano
nella norma, comprensive di ANA test, anti-ENA,
fattore reumatoide, Waaler-Rose.
Viene eseguita biopsia cutanea che mostra
lesione bollosa intraepidermica subcornea; il tetto
della bolla è costituito dallo strato corneo dell’epidermide e nella bolla si reperta fibrina con rari
granulociti neutrofili. Nel derma si osserva un
modestissimo infiltrato perivascolare superficiale prevalentemente linfocitario (Fig. 1 e 2).
Gli esami di immunofluorescenza per la ricerca
di immunoglobuline e complemento danno esito
negativo. Durante la degenza, le lesioni bollose sono quotidianamente medicate con fisiologica, rimozione dei frammenti di cute necrotica e applicazione di sulfadiazina argentina in
occlusione. Per la comparsa di febbre da verosimile sovrainfezione cutanea si decide di istituire terapia antibiotica ad ampio spettro con piperacillina-tazobactam. Il quadro migliora
progressivamente con graduale e costante
tendenza alla riepitelizzazione e con stabile
normalizzazione della curva termica. La Figura
3 mostra l’aspetto delle lesioni dopo 15 giorni
dal primo riscontro.
L’orientamento diagnostico è quello di bullosis diabeticorum, sulla base della storia clinica
(comparsa spontanea di bolle cutanee non dolenti in un paziente diabetico di sesso maschile con
grave neuropatia periferica, in accordo con i dati
della letteratura), della sede acrale tipica, della
ricorrenza delle lesioni già osservate due anni
prima, del quadro istologico aspecifico con
immunofluorescenza negativa e dell’esclusione
di altre patologie in diagnosi differenziale.
DISCUSSIONE
La bullosis diabeticorum è caratterizzata dall’improvvisa comparsa di una o più bolle cutanee
tese, di dimensioni variabili da pochi millimetri
ad alcuni centimetri, in assenza di dolore e di
segni di flogosi. Tali lesioni possono interessare
molteplici sedi, ma più spesso si osservano alle
estremità, in particolare ai piedi o alla porzione distale delle gambe. È stata finora descritta
solo negli adulti, ma il range di età pare molto
Figura 1 e 2. Lesione bollosa
intraepidermica subcornea
contenente fibrina e rari
neutrofili; modesto infiltrato
perivascolare.
218
Bullosis diabeticorum: una problematica diagnosi clinica di esclusione
Figura 3.
Aspetto
macroscopico
delle lesioni a
15 giorni dalla
prima
osservazione.
variabile dalla seconda all’ottava decade di vita;
i maschi sono più frequentemente interessati.
I pazienti hanno in genere una lunga storia
di diabete, tipicamente complicato da neuropatia
periferica, retinopatia e nefropatia, come nel caso
clinico descritto; in alcuni casi, invece, la bullosis diabeticorum rappresenta la modalità clinica di presentazione di un diabete all’esordio.
Le recidive sono molto comuni, nella stessa
sede o in siti anatomici differenti.
Inizialmente, le bolle sono tese e appaiono
macroscopicamente come ustioni; rapidamente
diventano flaccide, perdono il tetto lasciando la
cute sottostante disepitelizzata e tendono ad
ampliarsi e a confluire. All’interno contengono
un liquido limpido che, in assenza di superinfezioni batteriche o emorragie intralesionali, è di
regola sterile; in genere guariscono spontaneamente senza cicatrici, con completa restitutio ad
integrum nell’arco di 2-5 settimane. Istologicamente sono stati descritti quadri eterogenei: le
bolle appaiono intraepidermiche in alcuni pazienti (da subcornee a soprabasilari) e subepidermiche in altri. L’immunofluorescenza diretta e indiretta risulta sempre negativa. Il liquido contiene
fibrina e leucociti polimorfonucleati in modesta
quantità. Dal punto di vista eziopatogenetico,
non si conosce l’esatta causa della bullosis diabeticorum, che verosimilmente è multifattoriale.
La microangiopatia potrebbe svolgere un ruolo
eziologico rendendo la cute ipovascolarizzata
più suscettibile allo sviluppo delle bolle. Anche
la neuropatia sembra essere un fattore rilevante; infatti, la quasi totalità dei pazienti descritti ha evidenza di grave neuropatia periferica.
Secondo altri autori, la nefropatia svolge il ruolo
principale, forse mediante un’alterazione nel
bilancio tra calcio e magnesio che diventa rilevante a livello cutaneo. I traumi possono agire
come fattori precipitanti e la localizzazione
acrale rafforza questa osservazione. Tuttavia, se
da un lato sono riportati in letteratura casi di
bullosis traumatica,9 molti altri sono spontanei
e spesso le lesioni si sviluppano durante la notte
mentre il paziente è a riposo. Nel caso clinico
descritto vi è una relazione temporale significativa con l’impiego di calzature antinfortunistiche, tanto nell’episodio attuale quanto in quello precedente anamnestico. Non esiste un test
diagnostico specifico per la diagnosi, basata essenzialmente sui tipici reperti clinici e sull’esclusione di altre condizioni patologiche. La diagnosi
differenziale comprende il pemfigoide bolloso,
il pemfigo volgare, la porfiria cutanea tarda, l’eritema multiforme, l’epidermolisi bollosa e le
reazioni cutanee a farmaci. La terapia è finalizzata a evitare le sovrainfezioni consentendo alla
lesione di guarire spontaneamente. In questo
senso è di primaria importanza, poiché ogni soluzione di continuo della cute di un paziente diabetico può costituire il primo gradino verso l’amputazione. La terapia locale consiste nell’aspirazione
delle bolle di grandi dimensioni per prevenirne
la rottura, lasciando intatto il tetto della bolla
a proteggere la cute sottostante; ogni giorno la
lesione deve essere detersa delicatamente con
fisiologica in assoluta sterilità e mantenuta
coperta. Se vi sono segni di superinfezione è necessario intraprendere terapia antibiotica sistemica, possibilmente dopo aver eseguito tampone
per esame colturale. Si stima che lo 0,5% circa
dei diabetici sviluppi bullosis diabeticorum, ma
probabilmente la patologia è più comune e non
riconosciuta.
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