Strumenti alternativi di partenariato pubblico – privato

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Strumenti alternativi di partenariato pubblico – privato
VI^ Edizione – Seminari di diritto comunitario
e nazionale sugli appalti pubblici e i servizi
Seconda giornata
Strumenti alternativi di
partenariato pubblico – privato
TRENTO, 18 maggio 2007
GIUNTA DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - 2008
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Copyright:
Tutti i diritti riservati
Giunta della Provincia Autonoma di Trento, 2008
Centro Documentazione Europea
Coordinamento redazionale: Paola Barozzi
Stampato in proprio
Centro duplicazioni della Provincia Autonoma di Trento
Editore: PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
STRUMENTI
alternativi di partenariato pubblico-privato : Trento, 18 maggio
2007. – Trento : Provincia autonoma di Trento. Giunta, 2008. – 99 p. ; 21 cm. –
(Quaderni del CDE ; 27)
Scritti di vari. – In testa al front.: VI. Edizione – Seminari di diritto comunitario e
nazionale sugli appalti pubblici e i servizi, Seconda giornata
1. Lavori pubblici – Appalti – Diritto comunitario – Congressi – Trento – 2007
I. Seminario di diritto comunitario e nazionale sugli appalti pubblici e i servizi,
6., Trento, 2007
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Nicoletta Clauser
Dirigente sostituto
Servizio Rapporti Comunitari e Sviluppo Locale
Provincia Autonoma di Trento
Franco Menestrina
Segretario Sezione Autonoma dell’Edilizia di Confindustria Trento
Gian Antonio Benacchio
Professore ordinario, Università di Trento
Michele Cozzio
Dottore di ricerca, Università di Trento
Marco Cerritelli
Avvocato, Banca OPI S.p.A., Roma
Massimo Baldinato
Avvocato, Bruxelles
Gian Domenico Comporti
Professore ordinario, Università di Siena
Giuseppe Piperata
Professore a contratto, Università di Bologna
Velia Maria Leone
Avvocato, Roma
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Dott. ssa Nicoletta Clauser
Dirigente sostituto Servizio Rapporti Comunitari e Sviluppo Locale
Provincia Autonoma di Trento
La ricorrenza dei 50 Anni d’Europa (25 marzo 2007) è stata festeggiata con una
serie di seminari, convegni e dibattiti in tutta Europa.
Per i giuristi e per questa amministrazione provinciale è stata al centro dell’attenzione l’analisi dell’impatto del diritto comunitario sull’ordinamento nazionale.
Queste le premesse alla Sesta edizione dei Seminari di diritto comunitario e
nazionale sugli appalti pubblici e i servizi il cui filo conduttore è costituito dal
sottile rapporto che intercorre tra le regole della concorrenza e i principi comunitari all’interno dei sistemi di contrattazione pubblica. E’ infatti, ormai, acquisita generalmente la cosiderazione che gli obiettivi della libera concorrenza e
del Mercato unico caratterizzano oggi il processo di comunitarizzazione della
disciplina nazionale degli appalti pubblici e dei servizi.
Ulteriormente, considerato il riscontro positivo ottenuto dalle precedenti
edizioni di questi seminari, l’Università degli Studi di Trento – Facoltà di Giurisprudenza, la Provincia Autonoma di Trento – Servizio Rapporti Comunitari
e Sviluppo Locale, con la collaborazione della sezione locale dell’Associazione
Industriali e del Centro di Documentazione Europea (C.D.E.) provinciale, ha inteso promuove un ulteriore corso di lezioni, organizzate in forma seminariale,
relative al diritto comunitario e nazionale sugli appalti pubblici e i servizi.
L’iniziativa, infatti, ha sempre riscontrato buoni risultati, offrendo agli operatori
della Pubblica amministrazione e alle imprese un valido strumento di aggiornamento a fronte della continua evoluzione delle regole e della prassi in materia
di appalti pubblici e servizi. I temi trattati sono stati diretti ad approfondire le
novità normative e giurisprudenziali, di matrice comunitarie e nazionali, alle
quali il legislatore della Provincia autonoma, gli operatori della Pubblica amministrazione e le imprese devono dare attuazione.
L’opportunità di approfondire questi temi è nata dalla comune constatazione,
da parte degli enti organizzatori, che gli Stati membri, le Regioni, le Province, i
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Comuni e le Stazioni appaltanti appaiono talvolta storditi dalla pervasività delle
nuove regole e faticano ad adeguarsi tempestivamente; che gli stessi giudici nazionali assumono decisioni ondivaghe; e che le tensioni che ne derivano,
senza dubbio stimolanti, percorrono tutti gli ordinamenti nazionali, con soluzioni differenti che è interessante approfondire.
Il programma, predisposto per questa sesta edizione, è stato articolato in tre
giornate previste rispettivamente il 4 maggio, il 18 maggio e l’8 giugno 2007,
nel corso delle quali i relatori hanno affrontato i temi prescelti sotto profili diversi, giuridici, economici e procedurali, rivolgendosi particolarmente agli operatori della Pubblica amministrazione nonché agli enti che normalmente utilizzano lo strumento dell’appalto pubblico, avvocati e consulenti professionali,
magistrati, imprenditori e associazioni di categoria.
Oggetto di attenzione sono stati soprattutto gli istituti e le formule pro – concorrenziali che caratterizzano il quadro regolatorio definito dalle direttive
2004/18/CE e 2004/17/CE e agli effetti che derivano sull’ordinamento interno,
con riferimento sia al Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006) sia alle modifiche della normativa provinciale tuttora in fase di predisposizione.
Dopo aver edito, nel Quaderno del CDE n. 26, le relazioni della prima giornata
che ha approfondito il tema: Società pubblico-private e procedure di affidamento. L’in house alla prova delle regole comunitarie, questo Quaderno
del CDE trentino raccoglie le relazioni tenute nel corso della seconda giornata,
18 maggio 2007, che proponeva, specificatamente la tematica: Strumenti alternativi di partenariato pubblico – privato di cui, per maggiore e veloce
cognizione, si riporta la traccia d’approfondimento:
Le esigenze di riequilibrio della finanza pubblica si riflettono sull’andamento
del mercato degli appalti pubblici e spingono le Amministrazioni alla ricerca di
nuove risorse finanziarie e a una maggiore integrazione con i privati, secondo
modelli talvolta atipici.
Una parziale risposta all’esigenza di garantire la collaborazione dei privati deriva dalle nuove procedure introdotte dalle Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE e
da istituti ancora poco diffusi ma in crescente espansione quali, ad esempio, le
sponsorizzazioni, il leasing immobiliare etc. In questa direzione si stanno muovendo alcune Regioni nel varco aperto dalla modifica del Titolo V della Costituzione e nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie.
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Nella fondata speranza che, per il qualificato contributo assicurato dai relatori,
questo sforzo di approfondimento possa essere apprezzato, si informa che nei
prossimi numeri di questa collana verranno pubblicate le relazioni della terza
ed ultima giornata seminariale.
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Franco Menestrina
Segretario Sezione Autonoma dell’Edilizia di Confindustria Trento
ANCE Trento – Sezione Autonoma dell’Edilizia di Confindustria Trento ha sostenuto e promosso con convinzione la Sesta edizione dei Seminari di diritto comunitario e nazionale sugli appalti pubblici e i servizi, organizzata dalla Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, nell’intento di offrire alle
imprese associate un’occasione di chiarificazione, confronto e dialogo con interlocutori altamente specializzati nei diversi ambiti di articolazione dell’importante materia degli appalti di lavori pubblici.
L’iniziativa seminariale ha rappresentato sicuramente per il sistema delle imprese
industriali edili trentine una valida opportunità di formazione relativamente allo
specifico settore che presenta grande rilevanza sotto il profilo produttivo e che si
caratterizza per la molteplicità delle regole che lo disciplinano, fra l’altro in continua, e a volte disorganica, espansione e modificazione.
La scelta di ANCE Trento a favore dell’iniziativa conferma ancora una volta gli
stretti legami intercorrenti tra l’Università degli Studi di Trento e il sistema imprenditoriale locale, mirati a stabilire proficui punti di contatto tra approfondimenti accademici e ricerca di soluzioni ai problemi concreti che le imprese si trovano ogni giorno a dover affrontare.
Oggi, a un anno dall’emanazione del nuovo Codice dei contratti pubblici, in un
panorama che vede affacciarsi con sempre maggiore forza le regole comunitarie,
emerge la necessità e la volontà delle imprese di essere soggetti attivi di momenti di
formazione e di confronto sulla tematica degli appalti pubblici, in relazione al complesso scenario normativo esistente ma anche a quello che si profila per il futuro.
In tal senso l’edizione di quest’anno dei Seminari ha rappresentato un approccio
interessante a quegli elementi che secondo gli esperti del settore caratterizzeranno i mercati dell’esecuzione e gestione delle opere pubbliche come, ad esempio, la partnership tra imprese private ed ente pubblico, il rispetto dei principi di
libera concorrenza e di elasticità delle procedure, le aggregazioni tra operatori
economici.
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Sul versante delle imprese oggi è in effetti forte l’impulso verso nuove dimensioni, di conoscenza oltre che organizzative, che permettano una più qualificata e
competitiva azione nel mercato degli appalti pubblici nel rispetto della più ampia partecipazione alle procedure di scelta del contraente nonché della trasparenza e chiarezza dell’azione amministrativa.
Ciò in un contesto di aspettative per una semplificazione dell’azione amministrativa nel perseguimento di quegli obiettivi di “sburocratizzazione” che, sia le
direttive comunitarie che i nuovi istituti recepiti dal legislatore nazionale con il
Codice dei contratti pubblici, intendono valorizzare.
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Gian Antonio Benacchio
Professore ordinario, Università di Trento
Michele Cozzio
Dottore di ricerca, Università di Trento
PRESENTAZIONE
Le regole e i principi che definiscono la concorrenza per il mercato e nel mercato1 ricorrono con sempre maggior frequenza nelle sedi in cui si affronta la
materia degli appalti e dei servizi pubblici, soprattutto laddove l’attenzione è
rivolta alle dinamiche in atto a livello comunitario. Non sorprenda quindi se il
criterio adottato per la selezione dei temi della presente edizione dei Seminari
rinvia, seguendo un ipotetico fil rouge, alle dinamiche attivate dalle regole concorrenziali comunitarie. Sono state così individuate tre aree tematiche nell’ambito delle quali gli impatti delle norme concorrenziali risultano particolarmente
incisivi e tanto più dirompenti quanto minore è il grado di ‘apertura’ raggiunto
dalle disposizioni interne. Il presente volume è dedicato alle relazioni presentate
durante il secondo Seminario, venerdì 18 maggio 2007.
Tema di discussione sono state le forme contrattuali di partenariato pubblico
– privato (PPP), tipologia ampia e ancora non chiaramente definita (né a livello
comunitario, né a livello nazionale) all’interno della quale sono raggruppati modelli giuridici fortemente disomogenei e in continua evoluzione.
Le diversità sono tali che la stessa Commissione ha incontrato (e incontra)
non poche difficoltà nel predisporre proposte di armonizzazione normativa
dei PPP, né mancano occasioni di attrito con le altre Istituzioni. Il Parlamento
1
Cfr. sentenza del 22 novembre 2007 n. 401, pt. 6.7, nella quale i giudici della Corte
costituzionale distinguono fra concorrenza per il mercato, la quale impone che il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori
comunitari e costituzionali e concorrenza nel mercato che si realizza attraverso la liberalizzazione dei mercati a cominciare dall’eliminazione di diritti speciali o esclusivi.
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europeo2, ad esempio, ha espresso una posizione di contrarietà verso iniziative
legislative ad hoc sul PPP, mentre la posizione della Commissione sembrerebbe
più sfumata. Tali divergenze in sede comunitaria corrispondono alla diversità
degli orientamenti degli Stati membri: da una parte, infatti, vi sono pressanti
richieste a favore di un intervento legislativo comunitario (da parte dei Paesi che
tradizionalmente dispongono di norme prescrittive, rispetto alle quali le proposte comunitarie assumono un approccio pragmatico e market oriented) mentre,
dall’altra parte, gli operatori di molti paesi chiedono ampia libertà di manovra,
senza alcun irrigidimento normativo (da parte dei Paesi che hanno una grande
libertà di azione e dove l’intervento legislativo è ridotto al minimo indispensabile come Inghilterra, paesi scandinavi e Olanda) [vd. la relazione di LEONE V. M.].
L’approccio pragmatico suggerisce di posticipare le questioni definitorie
e guardare ai PPP come a un insieme di modelli contrattuali risultanti dalla libera negoziazione tra parti che possono disporre dei propri interessi
nel modo più opportuno3. Di qui il tema del rapporto con le regole comunitarie del mercato e della concorrenza che agiscono con diversa intensità nella fasi di: costituzione dei PPP (ad es. regole per la scelta del socio privato),
di gestione / esecuzione (ad es. previsione di contratti di lunga durata con
previsione di allocazione dei rischi secondo schemi dinamici), di controllo
(ad es. verifica della compatibilità di eventuali posizioni di vantaggio con le libertà fondamentali del Trattato CE).
Il project financing [vd. la relazione di CERRITELLI M.] il dialogo competitivo [vd. la
relazione di COMPORTI G.], la sponsorizzazione [vd. la relazione di PIPERATA G.]e il
leasing immobiliare rappresentano alcune tipologie contrattuali che realizzano
forme di PPP.
I vantaggi dall’utilizzo di queste formule possono essere significativi, come nel
caso del leasing immobiliare che costituisce una soluzione inedita nel nostro
2
3
Relazione A6-0363/2006 final, rel. Barbara Weller (PSE).
In sede comunitaria la sigla PPP sta a indicare forme di cooperazione tra le autorità
pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio. La Commissione europea ha individuato una serie di elementi che
accomunano i PPP: a) la durata relativamente lunga della collaborazione; b) le modalità di finanziamento del progetto, garantito da parte dal settore privato, cui si
aggiungono spesso quote di finanziamento pubblico; c) il ruolo del partner privato
(progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento); d) la ripartizione dei rischi.
Cfr. Libro Verde sui Partenariati pubblico – privati e il diritto comunitario degli appalti
pubblici e delle concessioni, COM/2004/327def. del 30 aprile 2004.
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ordinamento per la realizzazione, l’acquisizione ed il completamento di opere
pubbliche o di pubblica utilità (vd. l. 27 dicembre 2006 n. 296, art. 1, co. 907 –
Finanziaria 2007). L’applicazione di questo istituto, infatti, può comportare: riduzione del ritardo tra la decisione d’investimento e l’attivazione, semplificazione
dell’iter procedurale (un’unica gara con cui la stazione appaltante seleziona la
società di leasing ed il fornitore/costruttore del bene), maggiore sicurezza sui
tempi di realizzazione e consegna, trasferimento del rischio di realizzazione/
esecuzione delle opere a carico della società di leasing, costo pianificato per
l’Amministrazione (equivalente al canone di leasing fisso), pagamento soltanto
a partire dall’avvenuto collaudo del bene (anche per stralci funzionali) [vd. la
relazione di BALDINATO M.].
Gli schemi di contrattazione pubblicistici sopra ricordati mostrano, quale dato
comune, la presenza di elementi atipici propri dei modelli di contrattazione privatistici. In tal senso sembra che l’aderenza ai principi concorrenziali comunitari
porti a riaffermare una maggiore libertà negoziale dell’Amministrazione che si
riflette anche sui modelli contrattuali4. L’ago della bussola dirige verso un regime più privatistico della materia nell’ambito della quale assumono importanza
gli aspetti fiscali, la gestione / alienazione dei diritti, le fasi di ri-programmazione
degli accordi etc. tutti elementi funzionali a rendere più flessibili schemi e procedure che nell’alveo del diritto amministrativo non erano previsti o erano caratterizzati da maggiore rigidità.
4
In terminis MASTRAGOSTINO F. (a cura di), Tipicità e atipicità nei contratti pubblici, 2007,
Bonomia University Press.
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Marco Cerritelli
Avvocato, legale Banca OPI S.p.A., Roma
IL PROJECT FINANCING
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Inquadramento e questioni definitorie. - 3. Dinamiche
di mercato. - 4. La situazione in Europa. - 5. La finanza di progetto nel codice dei
contratti pubblici. - 6. La società di progetto. - 7. Forme di tutela del credito. - 8. Un
case study: la scuola di biotecnologie della università di Torino.
1. Introduzione
Il presente lavoro ha ad oggetto l’illustrazione di taluni profili istituzionali della
finanza di progetto e delle principali dinamiche di mercato registrate nel settore.
La relazione è articolata in sezioni, vengono in particolare affrontate e svolte:
– talune questioni definitorie utili al migliore inquadramento della finanza di
progetto nel contesto delle iniziative di partenariato pubblico privato;
– i principali orientamenti e prospettive registrabili nel mercato italiano,
confrontando tali dinamiche con quanto è stato sviluppato in altri paesi
dell’Unione Europea;
– la disciplina della finanza di progetto nell’ambito del Codice dei contratti
pubblici;
– l’illustrazione di un case study.
Nell’ambito della disciplina della finanza di progetto vi sono una serie di argomenti specifici (quali la società di progetto, le forme di tutela del credito), che
concorrono a determinare i profili di finanziabilità (o bancabilità, secondo quanto diffuso nel gergo corrente) di questa tipologia di iniziative. Un attento esame
di tali profili risulta essenziale per comprendere le peculiarità di questa forma
di realizzazione degli investimenti in ragione del particolare ruolo svolto dalla
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finanza nel concorrere a determinare i presupposti necessari per assicurarne il
buon esito1.
Come accennavo, avrei ritenuto opportuno concludere questa mia breve testimonianza (rinviando per economia di tempi ai contributi dottrinari di volta
in volta segnalati per ogni eventuale esigenza di approfondimento2), dedicando uno spazio all’illustrazione di un caso pratico. L’ultima sezione del presente lavoro è pertanto dedicata alla descrizione delle principali caratteristiche di
una recente iniziativa realizzata in regime di finanza di progetto positivamente
conclusasi nell’aprile del 2006; il caso selezionato riguarda la realizzazione e gestione di investimenti in ambito universitario, ed in particolare di una scuola di
1
2
Sulla funzione delle banche nella realizzazione di un’operazione di finanza di progetto v. CANNARSA C., Il ruolo delle banche in AA.VV., La partnership pubblico-privata, Milano,
Il Sole 24 Ore, 2006, pp. 49 e ss.; COLABRARO E., “Le istituzioni bancarie e la finanza di
progetto” in NORSA A. (a cura di), La nuova finanza di progetto e il ruolo delle regioni,
Milano, 2003; BERRUTI F. “La valutazione della capacità di credito di un progetto: il punto
di vista delle banche”, in AA.VV., Il project finance. I principi guida per la realizzazione
delle opere pubbliche, Milano, pp. 71 e ss; MASERA R., “Il ruolo e gli attuali orientamenti
delle banche italiane: il project financing come nuova area di business. Aspetti normativi
del project financing” in AA.VV., Il rilancio degli investimenti pubblici attraverso l’utilizzo
dei capitali privati. Il project financing, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 47 e ss.; PONZELLINI M., “Evoluzione del ricorso al project financing in Europa. L’esperienza europea delle
banche nella partecipazione a operazioni di project financing”, in AA.VV., Il rilancio degli
investimenti pubblici attraverso l’utilizzo dei capitali privati. Il project financing, Milano,
Franco Angeli, 1998, pp. 33 e ss.; BAGNATO A., Le banche italiane ed il project financing,
in TERNAU W. (a cura di), Project financing. Aspetti economici, giuridici, finanziari, fiscali
e contrattuali, Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 163 e ss.; LOMBARDI GALLI DELLA LOGGIA G.,
Strumenti di finanziamento e ruolo della banca nel project financing; in TERNAU W. (a cura
di), Project financing. Aspetti economici, giuridici, finanziari, fiscali e contrattuali, Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 197 e ss.; MARESCA G., Forme di project financing nell’esperienza della BERS, in TERNAU W. (a cura di), Project financing. Aspetti economici, giuridici,
finanziari, fiscali e contrattuali, Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 229 e ss.; TORTORELLI E.,
Project Financing ed enti finanziari multilaterali: criteri di valutazione e analisi dei rischi,
in TERNAU W. (a cura di), Project financing. Aspetti economici, giuridici, finanziari, fiscali
e contrattuali, Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 237 e ss.; TROMBETTI M., Il mercato del
project finance ed il sistema bancario, in Aa.Vv., Operatività del contratto nella finanza
di progetto. L’esperienza britannica e l’Italia, Atti del convegno tenutosi a Torino il 23
giugno 2000.
Si rinvia, in particolare, a G.F. FERRARI – F. FRACCHIA (a cura di), Project financing e opere
pubbliche. Problemi e prospettive alla luce delle recenti riforme, Milano, 2004; MARIANI,
MENADI & ASSOCIATI (a cura di), Il project financing nel codice dei contratti. Analisi giuridico-amministrativa, economico-finanziaria e tributaria, Torino, 2007.
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biotecnologie e laboratori presso l’Università degli Studi di Torino. Per le sue caratteristiche l’iniziativa appare idonea ad essere replicata anche in altri contesti
locali e costituisce un significativo benchmark per eventuali futuri sviluppi.
2. Inquadramento e questioni definitorie
Il project finance viene comunemente definito come: il finanziamento di una
specifica unità economica mediante un’operazione in cui un finanziatore considera il flusso di cassa e gli utili di progetto come principale garanzia per il
rimborso del debito e le attività [ed il patrimonio] dell’unità economica come
garanzia collaterale3.
Questa definizione, largamente richiamata in dottrina, evidenzia le principali caratteristiche della tipologia di finanziamento in esame. Segnatamente:
(1) l’identificazione di un “unità economica” giuridicamente individuata e distinta, sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, dagli sponsor dell’iniziativa mediante l’incorporazione del progetto in un separato soggetto giuridico
(usualmente società di capitali) titolare delle relazioni contrattuali attive e passive che compongono il progetto e denominato “società veicolo” o “società di
progetto” (“special purpose vehicle” o “special purpose entity”);
(2) l’idoneità dell’attività economica finanziata a generare “flussi di
cassa”4 di segno positivo sufficienti a coprire i costi operativi, restituire le somme ricevute in prestito per la realizzazione dell’investimento e
3
4
K.P. NEVIT, project finacing, trad it. Della 4° ediz a cura di P.De Sury, 1987. Secondo taluni
la tecnica del project financing identifica un fenomeno nato e disciplinato nell’ambito dei sistemi giuridici di commow low che la prassi del commercio internazionale ha
poi diffuso negli ordinamenti del civil law a seguito di una sempre maggiore circolazione dei modelli giuridici (cfr. G.L. RABITTI, Project finance e collegamento contrattuale,
in Contr. e impr, 1996, 224. R. SACCO, voce Circolazione e mutazione dei modelli giuridici,
in Dig. Disc. Priv. Sez. civ., II, Torino, 1988, 365).
Crf. C. SALVATO, Le operazioni di project financing: lineamenti normativi e operativi dei
rapporti. Soggetti. Ruoli. In Project financing, a cura di DRAETTA-VACCÀ, Milano, 1997.
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fornire un adeguato margine di profitto al promotore dell’iniziativa5;
(3) il complesso delle garanzie prestate a tutela dei finanziatori tende ad essere costituito sull’intero patrimonio del veicolo; segnatamente i beni e diritti di
cui questo è titolare ed i claims che possono essere da questi vantati – a titolo di
risarcimento, indennizzo o altro – nei confronti delle controparti terze (progettisti, esecutori di lavori e servizi, imprese di assicurazione, soci - limitatamente
agli impegni di apporto di capitale eventualmente non onorati - e pubbliche
amministrazioni);
(4) lo svolgimento di un processo di identificazione, valutazione e traslazione (mediante specifici accordi contrattuali) delle varie tipologie di rischio che
gravano sull’iniziativa economica in capo ai diversi attori coinvolti nell’iniziativa
(risk allocation o risk shifting)6.
La Banca dei Regolamenti Internazionali si è occupata del fenomeno del project
financing nell’ambito del processo di consultazione che ha condotto all’approvazione del Nuovo Accordo di Basilea sui Requisiti Patrimoniali (c.d. “Basilea
II”)7.
Pur non entrando nel merito del trattamento riservato a tale classe di impieghi nel
contesto del Nuovo Accordo – argomento che esula dall’oggetto del presente lavoro – si rileva che attraverso una ragionata rassegna delle posizioni espresse nei vari
consultative paper e position paper prodotti è possibile rinvenire ulteriori autorevoli
5
6
7
Così anche in giurisprudenza: il project financing costituisce una modalità di finanziamento, da parte del privato, della realizzazione di opere pubbliche, la cui gestione possa
assicurare un ritorno economico. Trattasi di operazione senza rischio nella quale risulta
essenziale la validità del conto economico del progetto da finanziare e la capacità di
generare un flusso di cassa in grado di rimborsare il prestito erogato (capacità reddituale
per l’arco di tempo occorrente all’estinzione del finanziamento erogato). Caratteristica
peculiare del project financing, dunque, non è solo l’ottenimento del capitale occorrente
per la realizzazione delle opere, ma fondamentalmente la gestione delle stesse, affinché dalla loro fruizione e dai ricavi correlati possa trovare completa remunerazione il
capitale investito. Il progetto, quindi, va considerato come un unicum, nel quale la fase
gestionale ha, indubbiamente, rilevanza di gran lunga maggiore di quella realizzativa
dell’opera, perché consente appunto la remunerazione della stessa. Conseguentemente
ogni significativa modifica al piano gestionale rende inaccoglibile la proposta (Tar Emilia Romagna, Sez. I Bologna, 20 maggio 2004, n. 762).
Sul tema della traslazione dei rischi vedi DAILAMI, Mansoor – HAUSWALD, Robert, “Risk
Shifting and Long-Term Contracts: Evidence from the Ras Gas Project”, in World Bank
Papers, Washington.
BRI, Documento di consultazione – Nuovo Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali,
Basilea, Aprile 2003 (pag. 35).
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fonti per l’opportuno inquadramento della materia ed una puntuale definizione.
Coerentemente alle posizioni espresse dalla dottrina aziendalistica, il Nuovo
Accordo definisce il Project Finance (“PF”) come un “metodo di finanziamento
in cui il prestatore guarda soprattutto alla redditività di un singolo progetto, sia
come fonte di rimborso che come garanzia dell’esposizione”.
Quanto all’oggetto, la Banca per i Regolamenti Internazionali (“BIS”) rileva che
la tipologia di finanziamento è “generalmente destinata a grandi, complesse e
costose infrastrutture, ad esempio nei settori energetico, chimico, estrattivo, dei
trasporti, dell’ambiente e delle telecomunicazioni.“
Avendo riguardo alla esigenza di comprendere sia le iniziative green field8 che
brown field9, molto opportunamente la BIS riconosce che tali finanziamenti possono “assumere la forma di finanziamento destinato alla costruzione di nuove
installazioni o di rifinanziamento di impianti esistenti, con o senza ristrutturazioni”, e che in tale contesto “il finanziatore si rimborsa in genere sempre o quasi
sempre con i proventi generati dai contratti di fornitura, come ad esempio l’elettricità venduta da un’azienda elettrica”.
Sotto il profilo soggettivo, inoltre, “il debitore è solitamente rappresentato da
una [special purpose entity o] SPE cui non sono attribuite altre funzioni al di fuori
di quelle connesse con lo sviluppo, la proprietà e il funzionamento dell’impianto”. Coerentemente, “il rimborso dell’esposizione dipende principalmente dai
flussi finanziari del progetto e dal valore delle sue attività in termini di garanzia
reale”. Al contrario, si riconosce che “se esso dipende in primo luogo da un utilizzatore finale riconosciuto, diversificato, affidabile e contrattualmente obbligato
per il rimborso, l’esposizione si configura come un credito garantito nei confronti di tale utilizzatore finale”.
Più articolato sembra essere l’inquadramento del partenariato sotto il profilo
normativo. Pur essendosi interessato all’inquadramento del fenomeno, l’ordinamento comunitario non offre infatti una definizione specifica dell’istituto del
partenariato pubblico-privato (“PPP”).
In linea di principio tale formula si intende tuttavia riferita a “forme di cooperazione tra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano
8
9
Ovvero per quanto riguarda le inziative green field, quelle relative alla realizzazione
ex novo di impianti e/o infrastrutture; tali iniziative sono convenzionalmente contrapposte ai c.d. brown field illustrati alla successiva nota.
Sono così definite le iniziative che riguardano il potenziamento o l’integrazione di
impianti e/o reti esistenti.
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a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio”10.
Sotto il profilo degli indici essenziali qualificatori del rapporto, può peraltro ben
rilevarsi che taluni elementi ricorrenti concorrono a caratterizzare le iniziative
realizzate secondo schemi di partenariato pubblico privato, segnatamente:
- la durata relativamente lunga della collaborazione, che implica una cooperazione tra il partner pubblico ed il partner privato in relazione a vari aspetti di
un progetto da realizzare;
- la modalità di finanziamento del progetto, garantito da parte dal settore
privato, talvolta tramite relazioni complesse tra diversi oggetti. Spesso,
tuttavia, quote di finanziamento pubblico, a volte assai notevoli, possono
aggiungersi ai finanziamenti privati;
- il ruolo importante dell’operatore economico, che partecipa a varie fasi del
progetto (progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento). Il partner
pubblico si concentra principalmente sulla definizione degli obiettivi da raggiungere in termini d’interesse pubblico, di qualità dei servizi offerti, di politica dei prezzi, e garantisce il controllo del rispetto di questi obiettivi;
- la ripartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato, sul quale
sono trasferiti rischi di solito a carico del settore pubblico. I PPP non implicano
tuttavia necessariamente che il partner privato si assuma tutti i rischi, o la parte più rilevante dei rischi legati all’operazione. La ripartizione precisa dei rischi
si effettua caso per caso, in funzione della capacità delle parti in questione di
valutare, controllare e gestire gli stessi (11).
Quanto alle concrete modalità attuative diffuse nella prassi, la tassonomia proposta dalla Commissione opera una fondamentale distinzione tra:
(i) forme di partenariato pubblico privato di tipo puramente contrattuale,
nell’ambito delle quali la cooperazione tra settore pubblico e settore privato si
fonda su vincoli di tipo “esclusivamente convenzionale”; e
(ii) forme di partenariato pubblico privato di tipo istituzionalizzato, nell’ambito delle quali la cooperazione tra il settore pubblico ed il settore privato trova
10 Così Commissione delle Comunità Europee, Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni,
Bruxelles, 30.4.2004, COM (2004) 327.
11 Così Commissione delle Comunità Europee, Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni,
Bruxelles, 30.4.2004, COM (2004) 327.
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attuazione mediante compartecipazione in un’entità distinta (di tipo societario
o equivalente).
In buona sostanza, la distinzione operata contrappone iniziative basate su legami contrattuali non associativi (appalti e concessioni) tra diversi soggetti pubblici e privati e volte ad affidare compiti più o meno ampi ai soggetti privati (“PPP
contrattuale”) rispetto ad iniziative volte alla creazione o alla trasformazione di
entità distinte di tipo associativo (cessioni di quote più o meno ampie di entità
pubbliche già esistenti, sino a giungere al passaggio dell’entità sotto il controllo
privato, ovvero costituzione di entità miste pubblico private), con le quali i partners privati hanno l’opportunità di contribuire alla progettazione/realizzazione/
gestione di infrastrutture pubbliche e/o all’approntamento/gestione di servizi
pubblici nazionali e locali (“PPP istituzionalizzato”)12.
Il legislatore comunitario, tuttavia, lungi dall’essere indifferente alla crescente
rilevanza del fenomeno ha negli scorsi anni promosso una approfondita riflessione sul tema. Quest’ultima, sollecitata dal Libro Verde pubblicato nell’aprile
2004, ha trovato recente sintesi nella successiva Comunicazione del novembre
12 Il Libro Verde definisce quali operazioni di PPP di tipo Istituzionalizzato quelle implicanti “la creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal
partner privato”. In quest’ottica appare evidente come il modello di partenariato di
tipo istituzionalizzato più diffuso sia da individuarsi nella formula della joint venture
o società a capitale misto pubblico-privato. Secondo la Commissione Europea: (a)
la società mista deve essere costituita per svolgere le prestazioni definite “in modo
sufficientemente chiaro e preciso” nel bando di gara; (b) al socio privato spetta svolgere le prestazioni affidate alla società;(c) il socio pubblico deve, invece, svolgere
solamente il ruolo di controllore delle operazioni “in seno agli organi decisionali
dell’impresa comune”; (d) siccome il socio privato assume il ruolo di “esecutore” degli
incarichi affidati alla società, la scelta dello stesso, oltre ad avvenire mediante una
procedura concorrenziale, non può basarsi “esclusivamente sulla qualità del suo contributo in capitali o della sua esperienza”, dovendosi anche “tenere conto delle caratteristiche della sua offerta (…) per quanto riguarda le prestazioni specifiche da fornire”;
(e) nel caso in cui la società mista intenda, a sua volta, affidare degli incarichi non potrà
avvalersi del socio privato, ma essendo essa stessa un’amministrazione aggiudicatrice,
dovrà bandire un’apposita gara; (f) la durata della società mista dovrà, infine, coincidere
“con la durata del contratto o della concessione”, giacché, altrimenti, le amministrazioni
aggiudicatrici potrebbero essere indotte “a rinnovi dell’incarico affidato a questa impresa senza che sia posta in essere una reale nuova messa in concorrenza” e, quindi, in definitiva, ad attribuire gli incarichi “per una durata illimitata”.
Il modello di società mista ipotizzato dalla Commissione nel Libro Verde pare, dunque, essere quello di una concessione che assume la forma della società nella quale il
partner privato realizza gli incarichi specificati nel bando di gara e il partner pubblico
controlla, dall’interno della società, il modo in cui gli incarichi stessi vengono realizzati.
- 19 -
2005. Le conclusioni del processo di consultazione, pur non conducendo ad una
sistematizzazione in sede normativa mediante emersione di una distinta ed autonoma figura istituzionale, hanno peraltro concorso a chiarire (offrendo utili
spunti ai legislatori nazionali) i contorni dell’istituto e le sue concrete modalità
applicative nel più ampio contesto del diritto degli appalti e delle concessioni.
Taluni ordinamenti, peraltro, in forza di specificità proprie e di sollecitazioni portate dalla propria cultura giuridica hanno nel corso degli stessi anni percorso
un autonomo (ancorché, sotto taluni profili parallelo) processo che condotto
ad integrare i tradizionali strumenti di realizzazione degli investimenti pubblici,
quali l’appalto e la concessione, dando autonomo risalto e specifica disciplina
all’istituto dei contratti di partenariato pubblico privato.
2.1 I principali modelli di PPP nell’ordinamento italiano
Nel corso degli anni l’ordinamento italiano si è progressivamente arricchito di
una pluralità di forme attraverso cui può trovare veste giuridica la cooperazione
tra pubblico e privato e, conseguentemente, facilitare la captazione di risorse
private per la realizzazione di investimenti pubblici o di pubblica utilità. I principali istituti attraverso i quali la collaborazione è suscettibile di declinarsi possono essere individuati nella lista che segue:
- Concessione di costruzione e gestione ad iniziativa pubblica (artt. 142 e ss
d.lgs. 163/2006):
- concessione di costruzione e gestione ad iniziativa privata (c.d. finanza di progetto) (artt. 152 e ss. d.lgs. 163/2006);
- altre forme di concessione di gestione (artt. 113, co. 5, D.lgs. 267/2000 TUEL);
- affidamento unitario a contraente generale (art. 176 e ss. d.lgs. 163/2006);
- società miste pubblico-private (artt. 113, 116, 120 D.lgs. 267/2000 - TUEL);
- società di trasformazione urbana (STU) (D.lgs. 267/2000 - TUEL);
- leasing immobiliare pubblico (Legge finanziaria 2007, commi 907-914)13.
13 Successivamente alla presentazione del presente lavoro le disposizioni in argomento sono state transfuse nel nuovo art. 160-bis (rubricato “locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità”). Cfr. D.lgs. 31 luglio 2007, pubblicato in GU del 31
luglio 2007, con il quale è stato adottato il c.d. secondo decreto correttivo del Codice
dei Contratti. Per un primo commento v. R. DE NICTOLIS, “Le novità normative in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” in Urbanistica e appalti, 9/2007,
pp. 1080-1081.
- 20 -
In conclusione, il project financing (che, come abbiamo visto può ben considerarsi una modalità di reperimento di risorse private suscettibile di essere
applicato anche alle forme di partenariato) può definirsi come una tecnica di
finanziamento applicabile ad iniziative economiche dotate di intrinseca ed autonoma attitudine alla generazione di ricavi, tali da garantire – attraverso una
appropriata struttura contrattuale di allocazione dei rischi – le ragioni di credito
dei soggetti finanziatori mediante i flussi di cassa attesi, limitando gli impegni a
carico dei soggetti promotori.
Le sue caratteristiche essenziali14 possono essere riassunte nella:
(a) valutazione della capacità di rimborso del debito principalmente basata su
previsioni di reddito sorgenti dalla iniziativa piuttosto che sul merito di credito
dei soggetti promotori;
(b) isolamento del progetto15 mediante appropriati strumenti giuridici che ne
consentano il ring fencing, così da separare l’iniziativa economica dal patrimonio dei soggetti promotori;
(c) trasferimento di una pluralità di rischi secondo il metro della economicità e
dell’efficienza allocativa.
A tale riguardo, mi sembra particolarmente condivisibile l’osservazione formulata poc’anzi secondo cui la finanza di progetto, nella sua particolare declinazione
in ambito pubblicistico, è soltanto uno degli strumenti che la pubblica amministrazione e i privati hanno per sviluppare un rapporto di collaborazione.
Nella prospettiva del decisore pubblico, anche alla luce della pluralità di strumenti offerti dall’ordinamento, si rende pertanto opportuno porsi costantemente in posizione di vaglio critico rispetto allo strumento da selezionare. Più
precisamente, in sede di sviluppo e definizione delle scelte di procurement da
adottare, andrebbero valutati comparativamente i pro e i contro, i costi e le opportunità, che i vari modelli istituzionali comportano.
L’acritica adesione ad uno schema piuttosto che a un altro, in difetto di un momento di ricognizione ed indagine preliminare, può infatti condurre a risultati
14 Analizzate criticamente nel lavoro di BREALEY, Richard A. – COOPER, Ian A. – Habib, Michel
A., “Using Project Finance to Fund Infrastructure Investments”, in Journal of Applied
Corporate Finance, 1996, pp. 25 e ss.
15 Sui presupposti economici che orientano la scelta tra sviluppo endogeno dei progetti di investimento in seno all’impresa e realizzazione dei medesimi mediante lo
strumento della separazione societaria v. CHEMMANUR, Thomas J. – JOHN, Kose, “Otimal
Incorporation, Structure of Debt Contracts, and Limited-Recourse Project Financing”,
Working Paper, March 1991.
- 21 -
non conferenti con le aspettative del committente e, conseguentemente, della
collettività. La considerazione che precede assume particolare rilevanza qualora non vi sia stata un’esatta e compiuta analisi delle condizioni peculiari e del
contesto locale in cui le singole iniziative sono destinate a svilupparsi. Volendo
trarre delle indicazioni di sintesi dalle esperienze registrate in ambito europeo,
e con doverosa riserva di operare le imprescindibili analisi del caso di specie, è
possibile affermare che vi sono taluni settori o processi nell’ambito degli investimenti pubblici in cui il ricorso a forme di finanza di progetto presenta elementi
di maggiore coerenza rispetto a forme alternative, n tal’altri settori, viceversa,
per le caratteristiche del mercato su cui l’iniziativa è destinata a svolgersi, o per
il ciclo di sviluppo delle tecnologie necessarie, probabilmente questa forma non
risponde alle esigenze comuni delle parti.
In questo senso mi permetto di rinviare alle conclusioni di un recente survey
condotto dal National Accounting Office (NAO)16. La ricerca si fonda sulla ricognizione ed analisi delle performance (sia in fase di realizzazione che nella
successiva gestione) di un portafoglio di iniziative realizzate nell’ambito della
private finance iniziative (campione statistico senz’altro più ampio e rilevante
di quello italiano). Non soprendentemente, gli esiti dell’analisi in termini di performance rilevata (e percepita), sono alquanto eterogenei in relazione al settore
economico; una significativa omogeneità sembra viceversa osservabile nell’ambito delle varie industry considerate. Le conclusioni mi sembrano interessanti e
meritevoli di attenzione in sede di individuazione dei modelli istituzionali più
idonei al perseguimento degli interessi pubblici laddove questi ultimi siano destinati ad essere realizzati ricorrendo a strumenti di mercato.
16 Per un commento v. E. IOSSA, Partenariato Pubblico e Privato: aspetti contrattuali e
l’esperienza inglese, Mimeo, marzo 2007.
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3. Dinamiche di mercato
Il ciclo di periodo. È interessante percorrere le dinamiche di mercato che dal
1998 a oggi hanno caratterizzato il mercato italiano delle concessioni e degli
altri strumenti di partenariato suscettibili di essere finanziati mediante il ricorso
ai capitali privati.
Al riguardo si rileva che tra il 1998 e il 2001 il mercato è stato caratterizzato da
una crescita modesta, prevalentemente frenata da una scarsa conoscenza degli
strumenti e da motivate esigenze di progressivo affinamento della normativa
specifica. Quest’ultima, nel biennio 2001/2002, ha finalmente trovato una migliore definizione con l’adozione di alcune misure correttive17. Il rinnovato contesto normativo ha favorito una accelerazione della componente della domanda basata su schemi di partenariato.
Nel corso del quinquennio 2001-2006 il tema dello sviluppo infrastrutturale ha
caratterizzato in maniera determinante l’agenda politica nazionale. In tale contesto, come accennato, molteplici interventi legislativi hanno integrato e/o progressivamente corretto il quadro normativo di riferimento.
Nel porre le basi per avviare la realizzazione di un ambizioso programma di investimenti, formalmente adottato attraverso l’impulso di speciali strumenti di
piano, si sono generate forti aspettative per la crescita economica e sociale del
Paese. Pur evidenziando esperienze positive, l’avviato processo di sviluppo rimane tuttavia caratterizzato da taluni aspetti controversi.
La definizione degli interventi prioritari, i meccanismi di coesione e di consenso
locale, il reperimento di risorse finanziarie, l’individuazione dei modelli istituzionali e la indicazione degli schemi/modalità attraverso cui realizzare le opere programmate rappresentano i principali temi sui quali pubblico e privato debbono,
attraverso un dialogo costante, completare il percorso intrapreso.
Le considerazioni che precedono devono poi essere combinate con l’andamento complessivo della spesa pubblica e con le effettive capacità di investimento
del settore pubblico. A tale riguardo, il flusso di investimenti in opere pubbliche
appare caratterizzato da un andamento discontinuo. Negli anni compresi tra il
1997 ed il 2004 gli investimenti in opere pubbliche appaiono in costante, seppur
17 Si ricorda al riguardo l’introduzione della normativa sul contraente generale e sulla
realizzazione delle opere strategiche e di prevalente interesse generale (come successivamente meglio dettagliata attraverso il d.lgs. 190/2002) e la novella della legge
Merloni attuata con legge 166 del 2002.
- 23 -
misurato, aumento. A partire dal 2005 la tendenza sembra invertirsi, registrando diminuzioni dell’ordine dell’1,5% nel 2005 e dell’1% nel 2006. In assenza di
adeguati interventi di correzione anche il 2007 potrebbe essere caratterizzato
dalle medesime dinamiche18. Il principale fattore che ha influenzato una flessione del volume di investimenti destinati alla realizzazione di infrastrutture è
senz’altro da individuarsi nella decisa contrazione di risorse destinate a nuove
opere pubbliche, sostanzialmente dividiate nel periodo 2004-2006 (-49%). A
parziale correzione di tale dinamica si segnala quanto contemplato dalla legge
finanziaria 2007, che prevede un positivo incremento delle risorse disponibili
(+23%)19. L’effettivo utilizzo di tali risorse secondo criteri di economicità e priorità chiaramente definite rappresenta un requisito essenziale per promuovere
una accelerazione degli investimenti.
Vi sono poi altri segnali positivi che devono essere adeguatamente evidenziati ed offrono elementi di conforto per il futuro. Gli studi pubblicati da Finlombarda rispettivamente nel 2005 e nel 200620 confermano che il mercato ha ormai raggiunto un apprezzabile grado di maturità. Si segnala la presenza ormai
consolidata di operatori italiani ed esteri attivi nel comparto con team dedicati.
Con particolare riferimento al settore finanziario, lo studio accredita 30 imprese
bancarie italiane e straniere referenziate, 127 operazioni di finanza di progetto
chiuse, per un controvalore complessivo di 13 miliardi di euro di finanziamenti.
L’indagine di Finlombarda, tuttavia, evidenzia che solo il 18% del montante dei
finanziamenti concessi riguardava il settore delle infrastrutture, appartenendo
la maggior parte delle iniziative al settore degli investimenti privati (telecomunicazioni, energia, oil and gas, manifacturing).
Le potenzialità restano pertanto elevate. Il dato è infatti in palese contrasto con
le dinamiche osservabili in altri paesi europei che, ancorché dotatisi di una legislazione specifica per le forme di finanza di progetto in ambito “pubblicistico”
successivamente all’Italia, hanno manifestato una maggiore vivacità evidenziando tassi di crescita molto più sostenuti di quanto registrato in Italia. Il grafico che segue rappresenta la distribuzione delle procedure indette per classi
dimensionali.
18 In parte adottati nel terzo trimestre del corrente anno, successivamente alla illustrazione della presente relazione.
19 Cfr. ANCE, Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni, Roma, 2007.
20 Cfr. FINLOMBARDA, Guida agli operatori del project finance – Directory of Project Finance
Operators¸ Milano, 2006; e FINLOMBARDA, Guida agli operatori del project finance – Directory of Project Finance Operators¸ Milano, 2005.
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La maggior parte degli investimenti promossi (il 78%), nel periodo 2002-2005,
riguarda investimenti di importo medio inferiore a 5 milioni di euro (cfr. Grafico
1)21. Il dato non è sorprendente, avuto riguardo alle caratteristiche del territorio
italiano, che presenta una forte parcellizzazione della committenza a livello locale, spesso coincidente con comuni di piccole e/o medie dimensioni. La ridotta
entità degli interventi tuttavia mal si concilia con l’elevata complessità delle attività necessarie alla migliore impostazione ed al successo degli investimenti; la
ridotta capacità di assorbimento dei costi fissi e di sviluppo costituisce un freno
non trascurabile allo sviluppo di queste iniziative.
Il dati del primo semestre 2007. Nei primi sei mesi dell’anno il mercato della finanza di progetto ha risentito in misura sensibile del contenimento delle risorse
disponibili per la realizzazione di investimenti pubblici registrato nel corso del
2006. Fonti ufficiali registrano una contrazione di circa un terzo delle risorse destinate a questo specifico segmento del settore degli investimenti pubblici (cfr.
www.infopieffe.it su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze, Unità Tecnica
Finanza di Progetto, Cipe, Unioncamere e Camera di Commercio di Roma). Da
gennaio 2007 sono state avviate 786 iniziative per un volume d’affari di € 6,7 miliardi. Rispetto al primo semestre 2006, si evidenzia un incremento del 6,6% del
numero di iniziative con un sensibile ridimensionamento del valore complessivo del valore delle opere (meno 36%).
Le concessioni di costruzione e gestione (comprensive delle iniziative in regime
di finanza di progetto giunte alla fase della licitazione privata) affidate o in fase
di affidamento sono state 194 (meno 8,9% rispetto al primo semestre 2006), per
un controvalore di € 2 miliardi (meno 6,8% rispetto al primo semestre 2006).
In crescita (più 6,6%) il numero di avvisi di preinformazione per nuove iniziative
in finanza di progetto. Il dato sembra confortante per le future dinamiche del
mercato. Sotto il profilo della distribuzione degli interventi si conferma la forte
valenza locale del mercato, con una tendenziale crescita delle opere (anche di
modesto importo) bandite a livello comunale.
Significativo sotto il profilo quantitativo il numero delle iniziative di taglia minore
(tra € 7,5 e € 15 milioni), in relazione alle quali diverse istituzioni finanziarie ed
aziende operanti nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria hanno progressi-
21 In allegato. Per un più ampio commento dei dati v. ABI, Il finanziamento delle opere
pubbliche in Italia. Profili problematici e proposte per lo sviluppo del project financing.
Roma, Ottobre 2006.
- 25 -
vamente previsto nei propri piani di impresa linee di business dedicate (c.d. small
project).
La prevalenza delle iniziative nel settore dell’edilizia pubblica (sia per numero di
affidamenti che per volumi di investimento) spesso caratterizzate da elementi
del corrispettivo costituiti in forma di opportunità di valorizzazione immobiliare
porta ad ipotizzare una progressiva integrazione di una componente della domanda con elementi tipici del real estate finance.
Le prospettive del secondo semestre. La recuperata capacità di programmazione attuata dal governo ha consentito di reperire risorse pubbliche finalizzate a
ripristinare adeguate capacità di spesa presso i principali committenti pubblici.
Il secondo semestre del 2007 si è pertanto aperto con una ripresa dei bandi per
la realizzazione di grandi infrastrutture, che avevano registrato un accentuato
rallentamento nel corso del 200622.
4. La situazione in Europa
Parimenti interessante risulta essere l’esame comparativo in ambito internazionale23. L’analisi del mercato europeo della finanza di progetto in ambito di investimenti pubblici evidenzia come i Paesi che nei tempi più recenti
hanno registrato un flusso costante di iniziative possono essere senz’altro individuati nella Spagna e nell’Irlanda.
Le ragioni del successo devono essere ascritte ad una pluralità di fattori. Si tratta di mercati maturi, caratterizzati da schemi di regolamentazione dei rapporti
tra pubblico e privato adeguatamente sviluppati. I programmi di investimento
appaiono identificati in maniera abbastanza precisa e la scelta sulle modalità di
composizione delle fonti di copertura (i.e. pubblico vs. privato) risulta ispirata a
criteri di coerenza.
L’ideale tassonomia evidenzia poi la presenza di taluni mercati maturi con
flussi discontinui. Tra questi ultimi deve essere annoverata la Francia che tuttavia, anche alla luce delle recenti integrazioni apportate al quadro normativo
di riferimento, presenta elevate potenzialità di sviluppo ed una significativa
22 Cfr. www.infopieffe.it
23 Per maggiori approfondimenti si rinvia a STANDARD & POORS, PPP Credit Survey 2006, pp.
20-21; e STANDARD & POORS, “A global Survey of PPPs: New Legislation Sets context for
growth”, in Global Project Finance Yearbook, October 2005, pp. 43 et ss.
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pipeline di iniziative in corso di organizzazione. Simili considerazioni possono
essere svolte per l’Austria che ha negli scorsi anni ha sperimentato forme di
partenariato in relazione ad investimenti nel settore delle infrastrutture viarie.
Segnalo infine la Grecia e i Paesi Bassi, che hanno realizzato o hanno in corso
di realizzazione interventi molto interessanti nel sistema dell’alta velocità e dei
sistemi di trasporto di rete.
Devono essere infine menzionati i mercati in stand-by. Quest’ultimi risultano eterogenei per fisionomia e caratteristiche dei rispettivi ordinamenti. Taluni (come il
Portogallo) hanno già promosso e portato a termine un primo significativo flusso
di investimenti in taluni settori e sono in attesa di stabilizzare le condizioni di contorno sotto il profilo politico e di finanza pubblica per avviare una nuova stagione
di interventi. Altri, quali la Germania e i paesi della nuova Europa, presentano caratteristiche tali da rendere probabile che la ripresa degli investimenti possa essere promossa anche attraverso la captazione di risorse private ricorrendo ai vari
strumenti di partenariato sperimentati in altri ordinamenti24.
5. La finanza di progetto nel Codice dei contratti pubblici
Come noto, il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – emanato in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE anche al fine di procedere ad significativa opera di razionalizzazione e sistematizzazione della previdente normativa in
materia di appalti pubblici – ha introdotto nel nostro ordinamento il “codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.
Nell’ambito del codice, il Capo III del Titolo III rubricato “promotore finanziario,
società di progetto” è interamente dedicato al tema della finanza di progetto.
Quanto al merito del provvedimento, gli articoli da 152 a 160 riproducono in
buona sostanza la disciplina introdotta ex art. 11dalla Legge 415/1998, sostanzialmente nella forma modificata ed integrata a mente della Legge 166/200225.
24 Per un’analisi comparativa cfr. FRESHFIELDS BRUCKHAUS DERINGER, PPP in Europe: an Overview, December 2005 e DLA PIPER, European PPP Report 2005,
25 Talune significative modifiche, segnatamente in tema di eliminazione del diritto di
prelazione accordato al promotore ex art. 7, comma 1 lettera b) della legge 1 agosto
2002, n. 166 che aveva aggiunto all’art. 37-quater della legge Merloni un comma in
materia, sono state introdotte dal c.d. “secondo decreto correttivo” (d.lgs 113/2007)
successivamente alla data in cui la presente relazione è stata presentata nell’ambito
del ciclo di seminari tenuti presso la Facoltà di giurisprudenza di Trento.
- 27 -
Giova altresì segnalare, quale elemento di novità, il disposto del terzo comma
dell’art. 152 (Disciplina comune applicabile), secondo cui “le disposizioni del
presente capo si applicano, in quanto compatibili, anche ai servizi”. La norma
rinvia al regolamento per definire le concrete modalità di applicazione del principio.
In buona sostanza il codice sancisce espressamente l’applicazione delle norme
in materia di finanza di progetto anche all’affidamento dei servizi. La disposizione deve essere letta in necessario coordinamento con quanto previsto all’art. 30
(Concessione di servizi)26.
Un discorso specifico merita la tipologia della finanza di progetto e concessione
di costruzione e gestione. Nella realizzazione di Infrastrutture in Italia lo strumento del project financing è associato all’affidamento di concessioni di costruzione
e gestione. La procedura più utilizzata è quella dell’art. 153 del D. Lgs. 163/2006,
che consente ai privati di proporsi per la realizzazione e gestione di un’opera
pubblica, in regime di concessione di progettazione, costruzione e gestione, con
risorse “totalmente o parzialmente a carico dei promotori stessi”.
La Pubblica Amministrazione può inoltre affidare concessioni di costruzione e
gestione direttamente, sulla base di un progetto da essa stessa elaborato (art.
143 D. Lgs. 163/2006).
Sotto il profilo sostanziale, le concessioni di lavori pubblici sono qualificati come
contratti conclusi in forma scritta tra un soggetto privato concessionario ed
una amministrazione aggiudicatrice (soggetto concedente), aventi ad oggetto
la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori
pubblici, o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente
collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica.
La controprestazione a favore del concessionario consiste, di regola, unicamente
nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori
realizzati. Qualora necessario, il soggetto concedente assicura al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e
della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare, anche
mediante un prezzo, stabilito in sede di gara. A titolo di prezzo, il soggetto aggiudicatore può cedere in proprietà o diritto di godimento beni immobili nella
propria disponibilità, o allo scopo espropriati, la cui utilizzazione sia strumentale
26 Secondo il quale “salvo quanto altrimenti disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi”
- 28 -
o connessa all’opera da affidare in concessione, nonché beni immobili che non
assolvono più a funzioni di interesse pubblico27.
6. La società di progetto
Nel finanziamento dei progetti di investimento le esigenze di unitarietà e le specificità delle iniziative privilegiano il ricorso ad un modulo organizzativo che si incentri su una apposita società (la c.d. società di progetto o special purpose vehicle (“SPV”)28 o, nel linguaggio delle agenzie di rating, special purpose entity (“SPE”). Questa è tipicamente caratterizzata da:
un regime giuridico di responsabilità limitata dei soci29 (isolamento giuridico);
ed un oggetto sociale (generalmente) limitato alla realizzazione e gestione del
progetto (isolamento economico).
Attraverso tale strumento si riesce, con particolare incisività, a:
isolare economicamente e giuridicamente (nei limiti della lex societatis)30 il progetto dai suoi sponsor (e viceversa);
27 Sul tema cfr. amplius R. DE NICTOLIS (a cura di), contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – Tomo II Normativa speciale per i lavori pubblici, settore speciali, Milano, 2007
28 Il tema della società di progetto è stato affrontato da diversi Autori, con particolare riferimento ai profili di disciplina introdotti dall’art. 37-quinquies della Legge
109/1994 e s.m.i. (oggi art. 156 del D.lgs. 163/2006). Tra i principali contributi si ricordano gli interventi di P. FRATTA, Le società di progetto [2002]; G. BERRUTI, La società di progetto per la realizzazione e/o gestione di infrastrutture e servizi: costituzione, operatività,
capitalizzazione [2001]; G. MANGIALARDI, La società di progetto per la realizzazione e/o gestione di infrastrutture e servizi, in Urbanistica e appalti [2000]; M. ZACCHEO, La società di
progetto [2003]; M. PROTTO, Project financing e società di progetto [2000]: NICOLETTI S., “Il
ruolo della società di progetto nel project financing”, in Nuova Rassegna di legislazione,
dottrina e giurisprudenza, 2002, 2135 ss.; VIRGILIO R., Articolo 37 quinquies Società di progetto, dattiloscritto, relazione presentata al Convegno “Finanza di Progetto, Firenze,
Palazzo Incontri, 31 marzo 2003
29 Sul punto si veda, in particolare, P. CARRIERE, Il leveraged financing e il project financing
alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti,
30 Per una interessante rassegna di diritto comparato sulla sussistenza della responsabilità della controllante per le obbligazioni della controllata si rinvia al lavoro di ADARALEGBE, Adebaio, Special Project Vehicles in International Project Finance: Are They Road
Whorty?, working paper. In particolare, il lavoro prende in esame “the extent to which
sponsor can avoid liability for the project loan by relying on the SPV’s separateness”
e conclude registrando come in talune giurisdizioni i principi di diritto societario e
fallimentare non sono adeguati ad assicurare la solidità di tale separatezza giuridicoistituzionale.
- 29 -
favorire e semplificare l’imposizione di efficaci vincoli di destinazione ed intangibilità a favore dei finanziatori sui beni e diritti della società veicolo e, in specie, sul flusso di cassa generato dal progetto.
In entrambi i casi, limitando le interferenze con le altre attività economiche e finanziarie riferibili agli sponsor medesimi. Tale separazione giuridica ed economica del progetto costituisce, con espressione coniata
nella nomenclatura anglosassone ed ampiamente diffusa nella prassi, il
principiodelc.d.ringfence31. Da questo discendono diversi corollari.
In primo luogo, conseguenza immediata e diretta è che, in assenza di altri e diversi collegamenti negoziali32, l’eventuale fallimento del progetto (rectius della
SPV) investe solo il capitale di rischio apportato dagli sponsor e non si estende,
ex art. 2740 cod. civ., all’intero patrimonio dei soci; viceversa, situazioni patologiche che possano interessare gli sponsor non si propagano al progetto (c.d.
bankruptcy remoteness).
Secondariamente, il ring fence dovrebbe consentire altresì (compatibilmente
con i principi contabili di volta in volta applicabili) di non far gravare la situazione di fisiologico indebitamento che caratterizza la struttura finanziaria della società di progetto sui bilanci degli sponsor (c.d. deconsolidamento o off-balance
sheet financing).
Infine, con particolare riguardo alle grandi imprese che ricorrono ai mercati finanziari tramite l’emissione di bond o attraverso prestiti unsecured, l’incorporazione di
singoli progetti di investimento in appositi veicoli consente di costituire in garanzia
i cespiti costituenti il patrimonio dell’iniziativa come collateral dei prestiti contratti, senza violare le clausole di negative pledge solitamente imposte dai finanziatori
all’impresa sponsor nell’ambito dei suoi strumenti di ricorso al mercato.
Con la novella del 1998, il legislatore italiano ha recepito le istanze provenienti dall’osservazione dell’esperienza straniera33 e riconosciuto il ruolo della
31 In materia di articolazione del patrimonio e principio del “ring fencing” si veda SPADA
P (2002), “Persona Giuridica e Articolazioni del patrimonio: Spunti legislativi recenti
per un antico dibattito” in Rivista di Diritto Civile, p.837 e ss.;
32 Il tema è ben sviluppato da VIRGILIO R., Articolo 37 quinquies Società di progetto, dattiloscritto, relazione presentata al Convegno “Finanza di Progetto, Firenze, Palazzo
Incontri, 31 marzo 2003
33 La letteratura sviluppata sul tema da parte degli Autori esteri è particolarmente ampia; una efficace sintesi – nella prospettiva della lettura del fenomeno nella prospettiva del diritto societario di matrice anglosassone – può leggersi in SHIRBIN J. “Australia:
project finance - SPVs (special purpose vehicles)”, in Journal of International Banking
Law, J.I.B.L. 2001, 16(5), N21-22.
- 30 -
società di progetto nelle operazioni di finanza di progetto34, introducendo
nell’ordinamento dei lavori pubblici la possibilità di ricorrere a tale formula nel
contesto dell’esecuzione delle concessioni di costruzione e gestione35. Il ricorso
a tale modello istituzionale appare inoltre destinato ad avere crescente diffusione, anche in ragione della riconosciuta compatibilità con la normativa di settore,
nel contesto dei servizi pubblici e di pubblica utilità36.
Al fine di agevolare la captazione di risorse e capitali privati, l’art. 156 (Società di
progetto) del Codice prevede che l’impresa o le imprese associate aggiudicatarie della concessione per la realizzazione e gestione di una infrastruttura o di un
nuovo servizio di pubblica utilità possano costituire dopo l’aggiudicazione una
società di progetto, in forma di società per azioni o a responsabilità limitata. La
costituzione della società può anche essere prevista come un obbligo a carico
dell’aggiudicatario nel bando di gara.
Molto opportunamente la norma precisa che il medesimo bando, sia per l’ipotesi della costituzione facoltativa del veicolo che per quella obbligatoria, debba
indicare il capitale minimo della costituenda società.
La società così costituita diviene, senza necessità di alcuna autorizzazione o approvazione o altro provvedimento, concessionaria a titolo originario subentrando all’originario aggiudicatario in tutti i rapporti con l’amministrazione.
Per effetto di tale subentro – in relaziona al quale la norma si premura di escludere ogni eventuale riqualificazione in termini di cessione del contratto - i soci, in
caso di versamento di un prezzo in corso d’opera, restano solidalmente responsabili con la società per l’eventuale rimborso di quanto percepito. Il descritto
profilo di responsabilità può peraltro essere escluso nell’ipotesi in cui la società
fornisca garanzie bancarie od assicurative per la restituzione delle somme versate a titolo di prezzo in corso d’opera.
La disciplina della circolazione delle partecipazioni societarie riflette il regime
34 S. NICOLETTI, Il ruolo della società di progetto nel project financing (Comunicazione alla
conferenza sul tema: “Il project financing e il suo rapporto con la programmazione dei
lavori pubblici anche alla luce dei principi della legge obiettivo per la realizzazione di
opere strategiche”, Thiene (Vicenza), 1 marzo 2002), sta in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2002, fasc. 20 (16 ottobre), pag. 2135-2145
35 Sul tema della società di progetto nel contesto dei sistemi di realizzazione dei lavori
pubblici v. amplius LANDI V, Le società di progetto nella legge 415/98, sta in Responsabilità comunicazione impresa, 2001, fasc. 1 (marzo), pag. 61-81
36 Cfr. AA.VV., La riforma del diritto societario. Impatto sulle società delle infrastrutture e di
gestione dei servizi pubblici locali, Atti del Convegno Paradigma, Milano 26-27 marzo
[2003]
- 31 -
introdotto dalla novella del 2002. Si prevede pertanto che il contratto di concessione debba contemplare le modalità da osservare per l’eventuale cessione
delle quote della società di progetto; in deroga al principio di autonomia privata
ed al fine di tutelare l’amministrazione concedente resta peraltro fermo che i
soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione siano tenuti
a partecipare alla società ed a fornire le garanzie dell’adempimento degli obblighi del concessionario fino al momento dell’emissione del certificato di collaudo
dell’opera. Un regime particolare è infine dettato per le operazioni sul capitale
operate da istituzioni finanziarie. A tale riguardo si prevede che “l’ingresso nel
capitale sociale della società di progetto e lo smobilizzo delle partecipazioni da
parte di banche ed altri investitori istituzionali che non abbiano concorso a formare i requisiti per la qualificazione” possa avvenire in qualunque momento.
Quanto alle modalità di finanziamento, giova ricordare la disposizione di cui
all’art. 157 (emissione di obbligazioni da parte delle società di progetto) a mente
del quale “le società costituite al fine di realizzare una singola infrastruttura o un
nuovo servizio di pubblica utilità possono emettere, previa autorizzazione degli
organi di vigilanza, obbligazioni” (, nominative o al portatore,) “anche in deroga
ai limiti di cui all’art. 2412 c.c., purchè garantite pro quota mediante ipoteca”.
Sotto il profilo sistematico, si segnala che la facoltà di emettere obbligazioni è
estesa anche alle società di progetto costituite in forma di s.r.l., avuto riguardo
alla circostanza che l’amministrazione può prevedere un capitale minimo ed altre cautele idonee a concorrere alla maggior tutela i portatori dei titoli obbligazionari37.
37 M. GIOVANNELLI – D. LASTRAIOLI, “Concessione di lavori pubblici e promotore finanziario”
in Urbanistica e Appalti, 8/2006, pp. 895-896.
- 32 -
7. Forme di tutela del credito
La tutela del credito nelle operazioni di finanza di progetto è affidata ad una
pluralità di strumenti e contratti di garanzia, destinati a costituire vincoli a favore
dei soggetti finanziatori in relazione ai beni ed ai diritti della società di scopo
costituita al fine di realizzare l’intervento.
Sotto il profilo sistematico, il complesso di tali atti di garanzia si articola in forme
c.d. “tradizionali” ed in strumenti specificatamente previsti dalla legge per tale
tipologia di crediti.
Le principali garanzie di natura “tradizionale” sono riconducibili a:
- Pegno su azioni;
- Pegno sui Conti del Progetto;
- Ipoteca;
- Privilegio Speciale;
- Cessione dei Crediti IVA;
- Pegno/Cessione in Garanzia dei Crediti
› Vs controparti private,
› Vs controparti pubbliche (contributi);
- Profili di compatibilità con oggetto del rapporto concessiorio;
- Regime beni/diritti concessi.
Sono inoltre previste, come accennato, talune forme tipiche espressamente previste dalla legge, segnatamente:
- Vincolo di destinazione degli indennizzi (art. 158, comma due – già art. 37-septies);
- Subentro (art. 159 – già art. 37-octies);
- Privilegio sui crediti (art. 160 – già art. 37-nonies).
Quanto al privilegio sui crediti, introdotto con la novella del 1998 al fine di favorire il finanziamento da parte delle banche della realizzazione di investimenti
pubblici, l’art. 160 del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 disciplina una forma di privilegio ex lege. La norma prevede che i crediti dei soggetti che finanziano la
realizzazione di lavori pubblici, di opere di interesse pubblico o la gestione di
pubblici servizi abbiano privilegio generale sui beni mobili del concessionario a
sensi degli artt. 2745 e seguenti del codice civile.
L’adozione del codice dei contratti pubblici poteva rappresentare una utile occasione per definire e precisare alcune carenze interpretative che la prassi degli
affari aveva evidenziato nei primi anni di applicazione. Tra le questioni suscet- 33 -
tibili di specificazione vi era (e resta) l’opportunità di acclarare il grado con il
quale il privilegio deve collocarsi in relazione all’ordine dei privilegi previsto dal
codice38. L’occasione di una sistematizzazione delle materia non è stata sfruttata
ed il tema resta affidato alla sensibilità degli interpreti.
L’ambito oggettivo di applicazione è rappresentato come si è detto dai crediti
dei soggetti che finanziano la realizzazione di “lavori pubblici”, di “opere di interesse pubblico” ovvero la “gestione di pubblici servizi”.
Sotto il profilo degli adempimenti formali, la norma precisa che il privilegio deve
risultare (con comminatoria – in difetto - della sanzione della nullità) da atto
scritto. Il documento deve recare una descrizione
(a) dei finanziatori originari dei crediti;
(b) del soggetto debitore;
(c) dell’ammontare in linea capitale del finanziamento concesso;
(d) degli altri elementi che caratterizzano l’operazione di finanziamento.
Quanto alla opponibilità a terzi del privilegio, è richiesta la trascrizione del gravame nel registro previsto ai sensi dell’art. 1524 del codice civile (Registro delle
vendite con riserva di proprietà). Della costituzione del privilegio deve poi essere dato avviso mediante pubblicazione nel foglio annunzi legali; la norma precisa che dall’avviso devono risultare gli estremi della intervenuta trascrizione.
La disposizione reca indicazioni precise in merito alla individuazione degli uffici
competenti a ricevere tali adempimenti, sancendo un principio di competenza
con riferimento al luogo ove risulta avere sede l’impresa finanziata. La prevalente dottrina attribuisce a tali oneri natura di pubblicità dichiarativa (a tutela,
pertanto, dei terzi), priva pertanto di effetto costitutivo (richiesto al contrario ex
art. 2745 c.c. per quanto attiene al privilegio speciale).
In merito all’inquadramento sistematico dell’istituto occorre rammentare che il
privilegio in commento non costituisce una garanzia reale, accordando viceversa una preferenza in relazione al credito assistito. Ne discende che il creditore
38 Come noto, la legge offre un elenco dei crediti muniti di privilegio, secondo un certo
ordine di preferenza. I crediti per le spese di giustizia, che consistono nelle spese
sopportate per atti conservativi ed espropriativi, vengono soddisfatti prima rispetto
ad ogni altro credito, pignoratizio o ipotecario che sia. Subito dopo sono collocati i
crediti riguardanti compensi per attività di lavoro subordinato o autonomo, ricavi
di coltivatori diretti, di imprese artigiane o cooperative di produzione e di lavoro
(art. 2777 c.c.). Di seguito, la preferenza è concessa ai crediti riguardanti contributi di
assicurazione obbligatoria, tributi indiretti, contributi di previdenza sociale, tributi
diretti e altri (art. 2778 c.c.).
- 34 -
privilegiato non dispone dello ius sequendi altrimenti attribuito da altre forme
di garanzia suscettibili di insistere sul medesimo oggetto39.
Infine, risultano diffuse nella prassi ed appaiono destinati a meglio coordinare i
diretti dei creditori in relazione al rapporto con la controparte pubblica e le maggiori controparti commerciali i c.d. accordi diretti (direct agreement).
I direct agreement si caratterizzano per la previsione di alcuni obblighi
che la controparte commerciale della società di progetto assume direttamente (da cui l’eponimo) nei confronti dei finanziatori. Tipico al riguardo è l’obbligo assunto dalla controparte commerciale di astenersi
dall’esercitare l’eventuale risoluzione del contratto commerciale in essere con la
società di progetto in ipotesi di inadempimento da parte di quest’ultima ad alcuna delle obbligazioni senza aver prima dato la possibilità agli enti finanziatori
medesimi (a loro volta controparti nel direct agreement) di sanare l’inadempimento della società di progetto al fine di preservare la continuità del rapporto
contrattuale superando la fase patologica.
Evidentemente, i direct agreement sono strumentali rispetto all’esigenza di
preservare la stabilità dell’iniziativa e, come tali, assumono una importanza non
trascurabile nella valutazione del merito complessivo dell’iniziativa da parte dei
soggetti finanziatori.
La previsione di accordi diretti nell’economia della rete di relazioni contrattuali che compone il progetto costituisce una delle peculiarità delle operazioni di
finanza di progetto, finalizzate in via prioritaria ad assicurare alle banche finanziatrici del progetto (come detto) la preservazione della stabilità dell’iniziativa.
In considerazione di tale peculiarità, nella letteratura anglosassone questa particolare tipologia negoziale viene considerata una componente del complessivo
security package che assiste il finanziamento40. E’ possibile comunque individuarvi, proprio per le finalità ad esso sottese, l’assolvimento di una funzione di
garanzia “indiretta” in favore delle banche.
Giova ripetere che ai sensi dei direct agreement la controparte commerciale della società di progetto assume direttamente nei confronti dei finanziatori
alcuni specifici obblighi che traggono origine dal rapporto contrattuale ad essi
39 Ricordiamo che in linea di principio sui beni mobili possono, in assenza di vincoli
convenzionali previsti dal contratto di concessione, essere costituite le garanzie tipiche (possessorie e non possessorie) previste dall’ordinamento.
40 Così, CUTHBERT, “Project Finance”, in Asset and Project Finance Law and Precedents, London, 1997, pag. E5/1 e ss.
- 35 -
sotteso. In particolare, ed in via principale, il direct agreement prevede l’obbligo
assunto dalla controparte commerciale di astenersi dall’esercitare l’eventuale diritto di risolvere il contratto commerciale in essere con la società di progetto in
conseguenza dell’inadempimento da parte di quest’ultima ad alcuna delle sue
obbligazioni prima di aver dato la possibilità ai soggetti finanziatori di sanare l’inadempimento della società di progetto al fine di preservare la continuità del rapporto contrattuale in essere tra la società di progetto e la controparte commerciale de qua. Normalmente, alla decisione di sanare l’inadempimento della società di
progetto si accompagna il subentro (step in) da parte delle banche (direttamente
o attraverso un soggetto terzo da queste nominato) nel rapporto contrattuale originariamente in essere tra detta società e la controparte del direct agreement.
La struttura contrattuale che caratterizza i direct agreement può variare a seconda dei casi, essendo talvolta il contratto perfezionato in forma bilaterale, tra
ciascuna controparte commerciale della società di progetto e le banche finanziatrici, talaltra trilaterale, con la partecipazione altresì della società di progetto
stessa.
Il contenuto dei direct agreement si è progressivamente evoluto nel tempo,
divenendo via via più complesso ed articolato. Mentre infatti l’impostazione
più risalente vedeva previsioni per lo più circoscritte alla mera presa d’atto
da parte della controparte della società di progetto della notifica della intervenuta cessione in favore dei finanziatori del progetto dei diritti nascenti
dal contratto commerciale sottostante, la pratica degli affari ha elaborato
schemi più complessi, nell’ambito dei quali il direct agreement si connota
per la presenza di stipulazioni addizionali, impegni, “dichiarazioni e garanzie” (representation & warranties) rese direttamente in favore del soggetto
finanziatore.
I contenuti specifici di ciascun direct agreement variano ovviamente a seconda
delle caratteristiche proprie dell’operazione cui accedono e della “forza” negoziale della specifica controparte della società di progetto. Ferma restando tale
circostanza, è possibile tuttavia individuare alcune pattuizioni ricorrenti:
(a) l’obbligo della controparte commerciale a comunicare alle banche finanziatrici il verificarsi di eventuali inadempimenti da parte della società di progetto in relazione al rilevante contratto di progetto;
(b) l’obbligo della controparte commerciale, in caso di inadempimento della società di progetto, a sospendere temporaneamente il proprio diritto di esercitare i rimedi contrattuali e risolvere il contratto (c.d. suspension period);
- 36 -
(c) consentire alla banche finanziatrici, nel corso del periodo di sospensione di
cui sopra, di sanare l’inadempimento della società di progetto ovvero di esercitare il proprio diritto di subentro (step-in) e sostituirsi (anche attraverso un
soggetto terzo) nella gestione dell’iniziativa al fine di preservarne la continuità
e tutelare il profilo di generazione di ricavi atteso;
(d) disciplinare le condizioni di step-out nel caso in cui le banche finanziatrici
abbiano esercitato il diritto di subentro di cui sopra;
(e) l’obbligo della controparte commerciale di accettare la sostituzione della società di progetto operata dalle banche finanziatrici in dipendenza di inadempimenti verificatisi sul contratto di finanziamento, e non già sullo specifico
contratto commerciale (c.d. acceleration step-in);
(f) limitare i (o comunque disciplinare l’esercizio dei) diritti di compensazione
e/o le eccezioni opponibili da parte della controparte commerciale nei confronti della società di progetto;
(g) infine, il contenuto tipico di tale tipologia di atti negoziali tende a ricomprendere anche:
(i) covenant assunti dalla controparte commerciale direttamente nei confronti delle banche finanziatrici per quanto attiene alla canalizzazione
dei flussi finanziari nascenti dallo specifico contratto di progetto;
(ii) dichiarazioni e garanzie rese dalla controparte commerciale direttamente nei confronti delle banche finanziatrici per quanto attiene, ad esempio, alla natura delle obbligazioni assunte (fit for purposes) o alla rinunzia
alla natura aleatoria di talune pattuizioni contrattuali.
8. Un case study: la scuola di biotecnologie dell’Università di Torino
Da “pratico” del diritto, riterrei utile concludere questa breve esposizione con
l’illustrazione di un caso concreto, in cui le tecniche della finanza di progetto
hanno trovato positiva applicazione. Il progetto che intendo descrivere riguarda
la realizzazione della nuova scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino.
L’iniziativa in argomento è stata realizzata ricorrendo al modello istituzionale
della concessione di costruzione e gestione affidata attraverso la procedura ad
iniziativa privata su istanza del promotore, disciplinata dagli articoli 37 bis e seguenti della Legge 109.
L’intervento, affidato dall’Università di Torino secondo lo schema della conces- 37 -
sione di costruzione e gestione prevista dalla Legge 109/1994 (Legge Merloni),
rappresenta il primo esempio in Italia di partenariato pubblico privato applicato
nel settore dell’edilizia universitaria finanziato secondo tecniche di finanza di
progetto coerenti con i correnti standard internazionali.
La proprietà dell’area è dell’Agenzia del Demanio, che l’ha affidata in uso gratuito e perpetuo all’Università. L’Agenzia del Demanio, con proprio provvedimento, ha inoltre concesso l’area in diritto di superficie alla società concessionaria
per un durata pari a quella della concessione.
La Scuola è dimensionata per accogliere circa 800 studenti e 100 tra docenti e
personale di supporto. Il contratto di concessione prevede la realizzazione di
strutture didattiche (aule, biblioteche, ecc.), di strutture di ricerca e sperimentazione (laboratori, stabulari, incubatore per nuovi studi, ecc.) e di aree destinate a servizi (parcheggio interrato, impianti, ecc.). Durante tutto il periodo della
concessione la società concessionaria dovrà eseguire, a sua cura e spese, tutte
le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie per assicurare il
buono stato di conservazione dell’immobile nonché l’ottimale funzionamento
degli impianti, provvedendo, se necessario, anche al loro parziale o completo
rinnovo.
Il finanziamento del progetto è stato stipulato nell’aprile del 2006 ed ha successivamente raggiunto il financial close; gli investimenti sono stati pertanto
effettivamente finanziati da capitali privati con fonti di debito strutturate da un
gruppo bancario italiano.
Gli assetti proprietari hanno vedono la partecipazione nel capitale del veicolo
- 38 -
della società di progetto costituita per la realizzazione dell’intervento, di soggetti privati ed appartenenti alla sfera del settore pubblico allargato, in particolare
della finanziaria regionale piemontese.
Si tratta altresì di uno dei primi positivi esempi di applicazione delle tecniche di
finanziamento elaborate per i grandi progetti alle iniziative di taglio minore.
La struttura delle linee di credito organizzate e sottoscritte per la realizzazione
dell’investimento può essere sintetizzata nei termini che seguono:
Facility
Rimborso
Importo
Forma
tecnica
Scadenza
Linea Base
amortising
€
10,7
milioni
Term loan
31 dicembre
2020
Linea IVA
Dipendente
dai rimborsi
IVA
€
2,4
milioni
Term loan
31 dicembre
2009
Anticipazione
del contributo
Bullet
€
5,05
milioni
Linea
a breve
termine
18 mesi meno
un giorno
L’esempio illustrato conferma la disponibilità del sistema finanziario ad investire
in iniziative che si caratterizzano per la stabilità dei fondamentali, una chiara distinzione dei ruoli delle controparti pubbliche e private, tesa anche ad assicurare
la coerenza e la coesione degli assetti proprietari dei veicoli societari costituiti
per la realizzazione di questi interventi. e Una chiara distinzione del ruolo degli
attori pubblici e privati coinvolti e delle relative responsabilità può facilmente
agevolare la realizzazione di questi interventi.
In sintesi: l’intervento è stato realizzato nei tempi previsti e l’investimento si è
oramai positivamente concluso; la Scuola di Biotecnologie è oggi una struttura
didattica speciale (pubblica) che si propone di preparare diplomati e laureati
con specifiche competenze professionali nel campo delle biotecnologie agrarie,
vegetali, farmaceutiche e veterinarie. Svolge inoltre anche la funzione di incubatore tecnologico con evidenti capacità di generazione di esternalità positive.
Concludendo, l’esperienza dimostra come un’operazione ben impostata nelle
proprie finalità e nella struttura delle fonti di copertura dei fabbisogni è idonea a realizzare interventi nei settori caratterizzati da orizzonti di lungo periodo
come quello della ricerca. Il modello istituzionale di concessione di costruzione
e gestione con schemi di tariffazione sulla pubblica amministrazione utilizzatri- 39 -
ce (c.d. opere fredde) rappresenta senz’altro uno strumento adeguato sotto il
profilo giuridico ed istituzionale ed è espressione delle potenzialità del partenariato pubblico privato in settori affini a quello esaminato.
Allegato
2.000
78%
10%
9%
4%
100%
62
162
1.500
167
1.000
1.742
1.351
500
-
Fino a 5.000.000
Da 5.000.001 a
10.000.000
Da 10.000.001 a
50.000.000
Oltre 50.000.000
Totale
Grafico 1. Distribuzione degli avvisi di gara di PPP per classi di importo nel triennio 20022005 (Fonte: Elaborazioni ABI su dati Osservatorio Nazionale sul Project Financing).
- 40 -
Massimo Baldinato
Avvocato, Bruxelles
IL LEASING IMMOBILIARE
SOMMARIO: 1. Introduzione al concetto di leasing. - 2. Il leasing immobiliare in costruendo. - 3. il leasing immobiliare nel diritto comunitario. - 4. il leasing immobiliare
nel diritto nazionale. - 5. L’impatto del leasing immobilare sul bilancio pubblico. - 6.
conclusioni.
1. Introduzione alla figura del leasing
E’ opportuno fornire innanzitutto una definizione generale di leasing: il leasing è
un contratto di finanziamento con cui una società finanziaria (società di leasing)
acquista per conto di un utilizzatore un bene e lo cede in uso allo stesso in cambio
di un canone periodico. Allo scadere del termine di durata del contratto il soggetto utilizzatore può restituire il bene al soggetto finanziatore, oppure esercitare il
diritto di riscatto e quindi acquisire la proprietà del bene medesimo mediante il
pagamento di un importo fissato al momento della conclusione del contratto.
Si tratta di una definizione classica di leasing ma le caratteristiche fondamentali
non cambiano con riferimento al leasing immobiliare applicato alle pubbliche
amministrazioni. Il rapporto che si instaura è sempre un rapporto trilaterale, che
coinvolge il soggetto finanziatore, il soggetto utilizzatore (in questo caso l’ente
pubblico) e il soggetto realizzatore.
Quando in particolare si parla di leasing immobiliare in costruendo, viene fatto riferimento a un rapporto nell’ambito del quale l’opera da concedere in godimento viene edificata a cura del soggetto finanziatore secondo le istruzioni del soggetto futuro utilizzatore1.
1
Nel prosieguo di questo testo verranno utilizzati indifferentemente i termini leasing
immobiliare in costruendo e leasing immobiliare: ciò avviene solo per esigenze di
scorrevolezza del testo e quindi il riferimento è sempre al leasing immobiliare in costruendo.
- 41 -
Per quali opere è indicato l’utilizzo del leasing immobiliare in costruendo?
Il leasing immobiliare in costruendo è particolarmente indicato per quelle che
sono definibili come opere “fredde”, cioè quelle non autoremunerative e che
non permettono, se non in misura minima, al soggetto finanziatore di remunerarsi con una tariffazione all’utenza o all’ente pubblico medesimo. Quando
parlo di opere fredde, possiamo parlare ad esempio di ospedali, di carceri o di
università.
Per fare un esempio, il project financing è una declinazione del concetto di partenariato pubblico privato, che spesso si considera indicato per le opere “calde” o “tiepide”, quindi quelle che sono autoremunerative e che permettono al
soggetto finanziatore di remunerarsi con una tariffazione all’utenza o con una
tariffazione all’ente pubblico medesimo.
Recentemente l’inquadramento del leasing immobiliare nel diritto nazionale e
nel diritto comunitario ha evidenziato degli sviluppi interessanti di cui darò durante in questa presentazione, illustrando come esso abbia trovato un definitivo
inquadramento tanto nel diritto comunitario quanto nel diritto nazionale.
2. Leasing immobiliare e diritto comunitario
Per quel che riguarda il quadro comunitario, il leasing immobiliare rappresenta
un esempio di partenariato pubblico-privato, cioè uno di quegli strumenti giuridici mediante i quali la pubblica amministrazione collabora con l’imprenditoria
privata al fine di sviluppare operazioni di comune interesse.
E’ opportuno fare riferimento a due importanti concetti sviluppati nella
Comunicazione adottata dalla Commissione Europea su questo tema nel 20052:
- da un lato i soggetti pubblici si trovano nella necessità di attingere dal settore
privato risorse finanziarie e know-how;
- dall’altro lato i soggetti privati, per sviluppare la loro attività economica, elaborano continuamente nuovi strumenti di collaborazione da mettere a disposizione del soggetto pubblico.
E’ il caso di precisare che si tratta di strumenti di sviluppo recente, le cui caratteristiche hanno spesso evidenziato nelle loro prime applicazioni alcune difficoltà
2
Comunicazione della Commissione al Parlamento, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni sui partenariati pubblico privati e sul diritto comunitario in materia di appalti e concessioni del 15.11.2005, COM(569)DEF
- 42 -
interpretative a volte tradottesi in errori applicativi. Esemplificativo è il caso del
leasing immobiliare in costruendo, venuto all’attenzione della Commissione europea in occasione del lancio da parte del Ministero della Giustizia delle gare di
appalto per l’edificazione delle carceri di Varese e Pordenone.
Tali gare diedero origine a una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 226 del
Trattato istitutivo della Comunità europea che si sviluppò tra l’inizio del 2005 e la
fine del 2006 e che portò al loro annullamento da parte della stazione appaltante.
La procedura di infrazione aveva come oggetto la definizione dell’oggetto
dell’appalto che il Ministero italiano aveva determinato nella prestazione di servizi di leasing e che la Commissione invece riteneva di individuare nell’esecuzione di lavori. La Commissione europea criticava il fatto che tale individuazione
dell’oggetto dell’appalto penalizzasse le imprese di costruzione a vantaggio delle società di leasing nella partecipazione alla gara, essendo stata quest’ultima
pubblicizzata come finalizzata all’acquisizione di servizi e non di lavori.
Va osservato in termini generali che il diritto comunitario non conosce lo
strumento del leasing immobiliare in costruendo in sé e quindi va condotta un’attività interpretativa diretta alla identificazione dell’oggetto
dell’appalto. Vanno quindi applicati i criteri enunciati dalle direttive
appalti e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Nel primo senso va fatto riferimento alla direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE3.
Nel secondo senso va esaminata in particolare la sentenza Gestion Hotelera Internacional SA4 nella quale la Corte di giustizia ha evidenziato come la determinazione dell’oggetto di un appalto pubblico vada
fatta secondo criteri qualitativi e non meramente quantitativi: tale criterio è stato accolto solo recentemente dal legislatore italiano5.
3
4
5
Per “direttive appalti” si intendono i seguenti testi normativi:
direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che
coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti
che forniscono servizi di trasporto e servizi postali;
direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi.
Si vedano in particolare il considerando 10 della direttiva 2004/18/CE e il considerando 17 della direttiva n. 2004/17/CE.
Sentenza della Corte di Giustizia del 19 aprile 1994 Gestion Hotelera Internacional SA
nella causa C-331/92 (Rac. 1994 p. I-01329)
Si vuole con questo fare riferimento all’art. 24 della legge 62/2005 (legge comunitaria 2004) e all’art. 14 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs 26 gennaio 2006
n. 6 e d.lgs. 31 luglio 2007 n. 113).
- 43 -
La procedura di infrazione è stata da alcuni utilizzata per affermare che lo strumento del leasing immobiliare in sé fosse incompatibile con il diritto comunitario, affermazione questa non giustificata dai fatti.
La situazione è stata chiarita grazie all’iniziativa presa da una società di Milano,
specializzata nella prestazione di servizi di leasing alla pubblica amministrazione, la ING Operleasing S.p.A., che ha risposto all’invito alla collaborazione formulato dalla Commissione nella Comunicazione sul partenariato pubblico privato
presentando le caratteristiche dello strumento e chiedendo indicazioni per il
suo inquadramento nel contesto del diritto comunitario6.
Il riscontro della Commissione europea, disponibile sul sito internet della società fornitrice di servizi di leasing, ha chiarito l’assoluta compatibilità dello strumento con il diritto comunitario e in particolare sono stati
chiariti i seguenti aspetti7: “Il contratto di leasing finanziario in costruendo è qualificabile come appalto pubblico di lavori che comprende la prestazione di servizi finanziari, l’aggiudicazione dovrà avvenire nel rispetto delle regole e delle procedure previste dalle citate direttive per l’aggiudicazione degli appalti di lavori, tenendo debitamente conto della
componente servizi, segnatamente in sede di definizione dell’oggetto
dell’appalto e di fissazione dei criteri di selezione e di aggiudicazione”:
di conseguenza l’oggetto dell’appalto va descritto in modo completo, ad esempio attraverso un uso appropriato della nomenclatura CPV e in particolare con
l’indicazione di entrambi i codici rilevanti, quello per i servizi di leasing e quello
per il lavori di costruzione richiesti.
Il diritto comunitario non osta a che un contratto di appalto di lavori sia concluso con una società di leasing né che la proprietà del bene realizzato a seguito
di un appalto di leasing immobiliare in costruendo non passi immediatamente
in proprietà della stazione appaltante ma solo in un secondo momento ed eventualmente.
6
7
Il riferimento è al paragrafo 2.4 p. 6 della Comunicazione sul partenariato pubblico
privato cit.
Il testo completo della corrispondenza della Commissione europea è rinvenibile sul
sito della società di leasing www.operleasing.it.
- 44 -
3. Leasing immobiliare e diritto nazionale
La storia dell’inquadramento del leasing immobiliare nel contesto del diritto nazionale va invece esaminata distinguendo gli interventi che hanno interessato
l’applicazione dello strumento a specifici settori da quelli che invece miravano a
un’applicazione generale del medesimo.
Sotto un primo profilo vanno segnalati due atti normativi e cioè la legge Finanziaria 2001 (legge n. 388 del 23 dicembre 2000) ed il D.L. n. 201 dell’11 settembre
2002 (Misure urgenti per razionalizzare l’amministrazione della giustizia).
Tali iniziative hanno mirato a rendere applicabile lo strumento della locazione finanziaria alla realizzazione di edilizia penitenziaria e sono state accompagnate da un’approfondita analisi tecnica del CIPE (Comitato interministeriale per la Programmazione Economica)8 del gennaio del 2002
e da una verifica della Corte dei Conti nel 2005: in entrambi i casi è stata
valutata positivamente l’utilità dello strumento sia per la realizzazione concreta
dei lavori sia per l’impatto sulle finanze pubbliche.
Successivamente la legge Finanziaria del 2005 ha introdotto la possibilità anche
per la Guardia di Finanza di ricorrere al leasing immobiliare per edificare le proprie caserme.
Per quanto attiene agli interventi di portata generale va innanzitutto segnalato il cosiddetto “Decreto competitività” (Disegno di legge n. C5736/05)
avente per oggetto il “Piano di Azione per lo Sviluppo Economico e Sociale”, mai entrato in vigore non essendone stato perfezionato l’iter legislativo.
8
Per maggiori informazioni si veda www.cipecomitato.it.
- 45 -
E’ stato con la Legge Finanziaria 2007, in particolare con l’articolo. 1,co. 907 e
seguenti9, che il leasing immobiliare ha avuto un generale riconoscimento
9
Di seguito l’art. 1, co. 907, della legge finanziaria 2007 (legge 296 del 27 dicembre
2006) maggiormente rilevanti per l’analisi in corso:
907. Per la realizzazione, l’acquisizione ed il completamento di opere pubbliche o di pubblica utilita’ i committenti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, possono
avvalersi anche del contratto di locazione finanziaria.
908. Nei casi di cui al comma 907, il bando, ferme le altre indicazioni previste dal codice
di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, determina i requisiti soggettivi, funzionali, economici, tecnico-realizzativi ed organizzativi di partecipazione, le caratteristiche
tecniche ed estetiche dell’opera, i costi, i tempi e le garanzie dell’operazione, nonche’ i
parametri di valutazione tecnica ed economico-finanziaria dell’offerta economicamente
piu’ vantaggiosa.
909. Al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
sono apportate le seguenti modificazioni:a) all’articolo 86, dopo il comma 3, e’ inserito il
seguente:
“3-bis. Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione, nei casi previsti
dalla normativa vigente, dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di
appalti di lavori pubblici, di servizio e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a
valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro
come determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente piu’ rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree
territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro e’ determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico piu’ vicino a quello
preso in considerazione”;
b) all’articolo 87, al comma 2, la lettera e) e’ abrogata;
c) all’articolo 87, al comma 4, le parole: “In relazione a servizi e forniture,” sono soppresse;
d) all’articolo 87, dopo il comma 4, e’ inserito il seguente:
“4-bis. Nell’ambito dei requisiti per la qualificazione di cui all’articolo 40 del presente
decreto, devono essere considerate anche le informazioni fornite dallo stesso soggetto
interessato relativamente all’avvenuto adempimento, all’interno della propria azienda,
degli obblighi di sicurezza previsti dalla vigente normativa”.
910. All’articolo 7 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) al comma 1, l’alinea e’ sostituito dal seguente: “Il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria
azienda, o di una singola unita’ produttiva della stessa, nonche’ nell’ambito dell’intero
ciclo produttivo dell’azienda medesima:”;
b) e’ aggiunto, in fine, il seguente comma:
“3-bis. L’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonche’ con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore,
dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera
dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro”.
911. L’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e’ sostituito
dal seguente:
“2. In caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro
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nell’ordinamento italiano, riconoscimento poi confermato con l’introduzione di
tale disciplina nel Codice dei contratti pubblici con l’adozione del Decreto legislativo 31 luglio 2007 n. 11310.
Quali sono le caratteristiche di tale normativa? Innanzitutto va osservato che
essa, oltre a dare alle Amministrazioni pubbliche la possibilità di utilizzare questo strumento, accorda tre differenti opzioni a livello procedurale per l’applicazione del leasing immobiliare.
e’ obbligato in solido con l’appaltatore, nonche’ con ciascuno degli eventuali ulteriori
subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere
ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti”.
912. L’offerente di cui al comma 908 puo’ essere anche un’associazione temporanea costituita dal soggetto finanziatore e dal soggetto realizzatore, responsabili, ciascuno, in
relazione alla specifica obbligazione assunta, ovvero un contraente generale. In caso di
fallimento, inadempimento o sopravvenienza di qualsiasi causa impeditiva all’adempimento dell’obbligazione da parte di uno dei due soggetti costituenti l’associazione
temporanea di imprese, l’altro puo’ sostituirlo, con l’assenso del committente, con altro
soggetto avente medesimi requisiti e caratteristiche.
913. L’adempimento degli impegni della stazione appaltante resta in ogni caso condizionato al positivo controllo della realizzazione ed eventuale gestione funzionale dell’opera
secondo le modalita’ previste.
914. Al fine di assicurare la massima estensione dei principi comunitari e delle regole
di concorrenza negli appalti di servizi o di servizi pubblici locali la stazione appaltante
considera, in ogni caso, rispettati i requisiti tecnici prescritti anche ove la disponibilita’
dei mezzi tecnici necessari ed idonei all’espletamento del servizio e’ assicurata mediante
contratti di locazione finanziaria con soggetti terzi.
10 Questo il testo rilevante dell’art. 2 del Decreto legislativo 113/2007:
1. Per la realizzazione, l’acquisizione ed il completamento di opere pubbliche o di pubblica utilità i committenti tenuti all’applicazione del presente codice possono avvalersi
anche del contratto di locazione finanziaria.
2. Nei casi di cui al comma 1, il bando, ferme le altre indicazioni previste dal presente
codice, determina i requisiti soggettivi, funzionali, economici, tecnico-realizzativi ed
organizzativi di partecipazione, le caratteristiche tecniche ed estetiche dell’opera, i costi, i tempi e le garanzie dell’operazione, nonche’ i parametri di valutazione tecnica ed
economico-finanziaria dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
3. L’offerente di cui al comma 2 può essere anche una associazione temporanea costituita
dal soggetto finanziatore e dal soggetto realizzatore, responsabili, ciascuno, in relazione
alla specifica obbligazione assunta, ovvero un contraente generale. In caso di fallimento, inadempimento o sopravvenienza di qualsiasi causa impeditiva all’adempimento
dell’obbligazione da parte di uno dei due soggetti costituenti l’associazione temporanea
di imprese, l’altro può sostituirlo, con l’assenso del committente, con altro soggetto avente medesimi requisiti e caratteristiche.
4. L’adempimento degli impegni della stazione appaltante resta in ogni caso condizionato al positivo controllo della realizzazione ed alla eventuale gestione funzionale dell’opera secondo le modalità previste.
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A) L’adozione dello schema del leasing classicamente inteso. Questa ipotesi è
quella che prevede la possibilità di condurre la gara secondo il classico schema
del leasing in cui il soggetto finanziatore, quindi la società di leasing, presenta
un’offerta unitamente a un soggetto realizzatore e partecipa alla gara d’appalto.
L’impresa di costruzioni determina quindi le condizioni alle quali essa è disponibile a realizzare l’opera e la società di leasing formula l’offerta globale comprensiva di servizi di leasing e lavori di costruzione, presentando quindi l’offerta
anche con riguardo all’importo dei canoni periodici e dell’eventuale riscatto finale.
B) L’Associazione Temporanea di Imprese (A.T.I.). Questa fattispecie prevista
dalla legge finanziaria prevede il ricorso ad un’Associazione Temporanea di Imprese (ATI): si tratta di un’opzione che va utilizzata con cautela. E’ opportuno
segnalare un esempio concreto.
L’applicazione del leasing, per mezzo di un’Associazione Temporanea di Imprese, può avvenire, ad esempio, nel caso in cui una ASL abbia bisogno di disporre
di due piastre chirurgiche: per una piastra chirurgica essa dispone già del finanziamento necessario, mentre l’altra deve essere finanziata attraverso la società
di leasing.
La stazione appaltante può in questo caso lanciare un’unica gara, nella quale
mette in concorrenza da un lato la fornitura della prima piastra chirurgica e
dall’altro lato la prestazione di servizi di leasing per l’acquisizione della seconda
piastra chirurgica. Saranno quindi due e autonomi tra loro i contratti conclusi:
il contratto di fornitura per la prima piastra chirurgica e il contratto di finanziamento e fornitura della seconda piastra chirurgica.
Diverso e ben penalizzante per la stazione appaltante è il caso in cui un’ ATI
venga richiesto nel contesto di un appalto di leasing immobiliare e non vi sia
la possibilità di “sdoppiamento” del contratto vista nel caso precedente. Si
pensi alla costruzione di un carcere: se viene lanciata una gara in ATI il soggetto costruttore andrà a effettuare delle prestazioni direttamente a beneficio della stazione appaltante che ne acquisirà la proprietà. La fatturazione
avverrà direttamente alla stazione appaltante con l’addebito dell’IVA.
Per rientrare nello schema del leasing dovrebbe esserci a quel punto un riacquisto da parte della società di leasing della proprietà del bene che poi
concederebbe il medesimo in locazione alla stazione appaltante: ci si troverebbe però di fronte a un grave danno contabile per la stazione appaltante.
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L’impresa di costruzioni, come sottolineato prima, avrà fatturato alla stazione
appaltante il bene calcolando anche l’IVA: nel rivendere il bene alla società
di leasing, questa IVA non potrà essere recuperata dal soggetto finanziatore
e quindi si avrà una sua duplicazione e una conseguente maggiorazione dei
canoni di locazione da parte della società di leasing con un aumento di spesa
per la stazione appaltante.
La delegazione di pagamento da parte della stazione appaltante alla società
di leasing non rappresenta una soluzione a questa problematica: la fatturazione da parte dell’impresa di costruzione avverrebbe comunque nei confronti
dell’amministrazione aggiudicatrice con l’addebito di IVA che non sarebbe recuperabile da parte della società finanziatrice.
Per quest’ultima tale importo rappresenterebbe un costo che non potrebbe essere che ribaltato sul soggetto pubblico utilizzatore al momento della
determinazione dei canoni con l’eventuale addebito di ulteriore IVA (quindi
duplicazione) al momento della fatturazione dei medesimi. Occorre quindi
verificare accuratamente i casi nei quali l’uso dell’ATI applicato al leasing immobiliare è possibile e vantaggioso dai casi nei quali è invece dannoso per la
spesa pubblica.
C) Il contraente generale. Questo è l’ultimo caso previsto dalla Finanziaria
2007 per l’applicazione del leasing immobiliare e riguarda le ipotesi nelle quali
vi è la realizzazione di infrastrutture strategiche di cui all’art. 161 e ss del d.lgs
163/2006. Si tratta di opere di dimensioni importanti e quindi di progetti complessi: il leasing può trovare applicazione in qualche specifica fase della realizzazione dell’opera.
L’ente appaltante, per la parte estranea al leasing, avrà un rapporto economicocontrattuale diretto con il contraente generale, mentre per la parte da realizzare mediante leasing avrà un rapporto economico-contrattuale con la società di
leasing.
4. L’impatto del leasing immobiliare sul bilancio pubblico
Vanno tenuti presenti tanto i limiti di spesa quanto i limiti di indebitamento in
relazione ai vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno e con specifico riferimento a Regioni, Province e Comuni.
- 49 -
Per quanto riguarda i limiti di spesa per le Regioni ai sensi dell’art. 656 e ss
della Legge Finanziaria 2007, è attualmente in corso una sperimentazione finalizzata ad assumere quale base di riferimento per il patto di stabilità interno
il saldo finanziario (differenza tra entrate finali ed uscite finali), secondo criteri
e modalità da definire con decreto del Ministero dell’Economia e Finanze.
Per il triennio 2007-2009 e in attesa dell’esito della sperimentazione, il complesso delle spese finali (spese correnti e in conto capitale) di ciascuna Regione
a statuto ordinario non potrà superare il corrispondente complesso dell’anno
2005 diminuito dell’1,8% e per gli anni 2008 e 2009 non potrà essere superiore
al complesso delle corrispondenti spese finali dell’anno precedente aumentato rispettivamente del 2,5% e del 2,4%. Va precisato che il complesso delle
spese finali è determinato dalla somma delle spese correnti ed in conto capitale al netto delle spese per la sanità e delle spese per la concessione di crediti.
Con riferimento agli Enti Locali (Province e ai Comuni con più di 5.000 abitanti) la manovra finanziaria è fissata, per il triennio 2007-2009, in termini di
riduzione del saldo finanziario (differenza tra entrate finali correnti ed in conto
capitale da un lato e spese finali correnti ed in conto capitale dall’altro) sulla
base della media del periodo 2003-2005 con eventuali correzioni.
Per quanto riguarda i limiti di indebitamento degli Enti locali (art. 204 T.U.E.L.
come da ultimo modificato dall’art. 698 della Legge Finanziaria 2007). L’ente
locale può assumere nuovi mutui o accedere ad altre forme di finanziamento
solo se l’importo annuale degli interessi passivi sommato a quello degli interessi sui mutui precedentemente contratti e sui prestiti obbligazionari (oltre
che sugli altri rapporti di debito) non supera il 15% delle entrate relative ai
primi tre titoli del rendiconto del penultimo anno precedente, quello in cui
viene assunto il finanziamento.
Ci si deve quindi chiedere come viene contabilizzato l’acquisto della disponibilità di questo bene?
Ci sono due metodi possibili: un metodo finanziario e un metodo patrimoniale.
Con riferimento al metodo finanziario l’operazione di leasing viene assimilata a
un’operazione di debito e quindi:
- l’importo pari al valore del bene viene registrato in contabilità dall’Ente utilizzatore tra le “entrate da assunzione prestiti” nel titolo V e, parallelamente,
tra le “spese in conto capitale” nel titolo II;
- la rata che l’utilizzatore paga alla società di leasing è divisa tra quota capitale
e quota interessi: la prima viene registrata contabilmente tra le “spese per
- 50 -
rimborso prestiti” nel titolo III e la seconda tra le “spese correnti” nel titolo I;
- parallelamente verranno effettuate le scritture relative all’ammortamento
del bene.
In questo caso la contabilizzazione del leasing comporta un impatto sia sui limiti
di spesa che su quelli di indebitamento dell’ente con riferimento ai limiti imposti
dal patto di stabilità.
Con riferimento al metodo patrimoniale il bene oggetto del contratto di leasing entra nel patrimonio dell’utilizzatore (P.A.) solo se e quando questi deciderà di acquisire la proprietà del bene esercitando l’opzione di riscatto. Il canone di leasing viene
trattato come un canone d’uso e rientrerà interamente (e quindi senza separare il
capitale dagli interessi) tra le “spese correnti” nel titolo I come “utilizzo di beni di terzi” per poi rappresentare una “spesa in conto capitale” nel titolo II per il solo importo
del prezzo di riscatto.
La contabilizzazione del leasing in base al metodo patrimoniale incide sui limiti di spesa (spese finali/saldo finanziario), ma non sui limiti di indebitamento
dell’Ente in quanto il canone di leasing si colloca tra le “spese correnti” come
“utilizzo di beni di terzi” e non come “interessi passivi”, voce invece considerata
per i limiti di indebitamento.
La scelta tra metodo finanziario e patrimoniale può essere fatta sulla base di una
analisi dell’operazione di leasing in questione, in particolare analizzando chi, tra
utilizzatore e finanziatore, sopporti i rischi dell’operazione.
In particolare, ove il rischio sia trasferito dalla società di leasing all’utilizzatore
che avrà quindi un rapporto diretto con il costruttore, il rapporto avrà prevalentemente caratteristiche di finanziamento, e verrà trattato dalla stazione appaltante come un rapporto di mutuo e quindi con il metodo finanziario.
Diversamente, ove il rischio rimanga alla società di leasing che a sua volta lo
trasferirà negozialmente all’impresa di costruzione, l’operazione avrà più una
connotazione industriale, essendo il bene fornito “chiavi in mano” alla stazione
appaltante. In tal caso l’operazione consisterà in ultima analisi in un “utilizzo di
beni di terzi” e come tale potrà essere trattato contabilmente dall’ente pubblico
che userà il metodo patrimoniale senza incidere sulla capacità di indebitamento
dell’ente.
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5. Conclusioni
Quali sono quindi gli aspetti più interessanti del leasing immobiliare in costruendo?
Puntualità innanzitutto, il grande problema degli appalti di lavori, in Italia, sono
i ritardi e gli aumenti dei costi. In questo caso l’opera viene consegnata con
puntualità e questo perché la società di leasing ha l’assoluta convenienza a
consegnarla con puntualità: essa viene remunerata solo dal momento in cui
la stazione appaltante riceve, collauda e approva l’opera che è stata costruita.
Prima di tale momento la società di leasing non riceve bensì effettua pagamenti
nei confronti del costruttore.
Questo è un primo aspetto importante: il leasing immobiliare in costruendo non
è un’operazione di finanziamento sic et simpliciter, è un’operazione di finanziamento i cui effetti, a differenza del mutuo, cominciano ad essere sentiti dalla
stazione appaltante solamente dal momento in cui essa inizia effettivamente a
utilizzare il bene costruito.
Il leasing immobiliare rappresenta un vantaggio anche per il soggetto realizzatore, per l’impresa di costruzioni: sono frequenti i ritardi nei pagamenti da
parte della pubblica amministrazione. In questo caso l’interlocutore dell’impresa
di costruzione non è altri che la società di leasing, un soggetto notoriamente
solvibile, con il quale essa avrà un rapporto contrattuale e che quindi garantirà
il pagamento alle scadenze pattuite.
Inoltre c’è, per la stazione appaltante, un vantaggio per il periodo successivo al
collaudo e questo perché solitamente gli appalti di leasing immobiliare prevedono una serie di prestazioni accessorie per tutta la durata del contratto di leasing e
che includono ad esempio la manutenzione in perfetto stato dell’immobile e dei
macchinari e l’assicurazione oltre a tutti quei servizi accessori atti a garantire alla
stazione appaltante che, una volta che essa avrà collaudato il bene, esso potrà
rimanere in suo possesso e in perfetta efficienza per tutta la durata del contratto
di locazione finanziaria.
Il contratto di leasing immobiliare è una novità importante nel panorama dei partenariati pubblico-privati, uno strumento che sia a livello comunitario che a livello
nazionale ha ricevuto un inquadramento sufficientemente completo.
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Gian Domenico Comporti
Professore ordinario, Università di Siena
IL DIALOGO COMPETITIVO 1
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il dato di partenza: i contratti pubblici quali mezzi di spesa e l’opzione a favore della legalità ed imparzialità dei criteri di aggiudicazione.
- 3. Il richiamo strumentale alla concorrenza e la riduzione dei momenti di dialogo
tra stazione appaltante ed imprese. - 4. La rivalutazione di strumenti flessibili di negoziazione. - 5. Il dialogo competitivo. - 6. I presupposti applicativi e la procedura.
- 7. Uno sguardo al futuro: il problema della discrezionalità amministrativa.
1. Premessa
L’intervento è sostanzialmente articolato in tre parti: una prima parte nella quale
si cercherà di ripercorrere le origini del tema, mostrando cosa esisteva prima
del dialogo competitivo; una seconda parte in cui si cercherà di descrivere gli
elementi identificativi del nuovo istituto; una terza parte, infine, in cui verranno
tratte delle conclusioni sullo stato non molto roseo che si delinea circa i profili
applicativi di questo, come di altri istituti innovativi, introdotti dal Codice dei
contratti pubblici del 2006.
2. Il dato di partenza: i contratti pubblici quali mezzi di spesa e l’opzione a favore
della legalità ed imparzialità dei criteri di aggiudicazione
1
Si è preferito lasciare il testo dell’intervento nella forma colloquiale ed essenziale in
cui è stato esposto all’uditorio, rinviando per ogni necessario approfondimento e
per i richiami alla dottrina e giurisprudenza ai seguenti scritti dell’autore: Commento
all’art. 58 – Dialogo competitivo, in Codice dei contratti pubblici. Commento al D. lvo. 12
aprile 2006 n. 163, a cura di V. Italia, Milano, 2007, 559-594; Lo stato in gara: note sui
profili evolutivi di un modello, in Il diritto dell’economia, 2-2007, 231-280.
- 53 -
Le origini riguardano la classificazione della tematica dei contratti pubblici
nell’ambito del settore strumentale della contabilità di Stato.
I contratti sono considerati strumenti di spesa, cosiddetti strumenti finanziari,
in quanto servono a finanziare la realizzazione di opere, lavori e forniture di interesse pubblico. Essi sono quindi inquadrati nel capitolo settoriale dei mezzi di
azione delle amministrazioni pubbliche.
Trattandosi di mezzi precipui di spesa, dice una dottrina consolidata, i medesimi
si trovano intimamente legati al patrimonio, alle scritture ed ai controlli e per tali
motivi, appunto, gli studi relativi si svolgono comunemente nell’ambito della
contabilità pubblica.
È materia di contabilità più che di diritto amministrativo. Si tratta di una tematica
relegata in un capitolo circondato da formalità burocratiche, ferrei controlli e
rigidi meccanismi; un capitolo che non è posto in collegamento con il più fecondo settore della procedimentalizzazione dell’attività amministrativa. Cioè non è
posto in relazione con il profilo dinamico dello svolgimento della funzione, della
valutazione degli interessi.
Decisiva è a tali fini la duratura influenza della teorica zanobiniana, incentrata sul
primato della legge e sulla conseguente riduzione del potere amministrativo ad
una funzione eteronoma di attuazione-esecuzione dei fini voluti ed indicati dal
legislatore. E’ questa visione dicotomica tra individuazione degli interessi pubblici da perseguire e scelta dei mezzi più opportuni ed adeguati, “in ordine ai fini
che la legge vuole che siano raggiunti” (così Zanobini, L’attività amministrativa
e la legge, in Riv. dir. pubbl., 1924, 387), a proiettare la sua valenza sistematica
anche sulla materia in esame.
In questa ottica, sin dall’inizio si considera il contratto pubblico come un “contratto di adesione”, per la cui formazione non è necessario il lavorio comune
delle parti, nel senso che la pubblica amministrazione è ritenuta per definizione
capace di definire in piena autonomia tutti gli elementi del contratto, ovvero di
decifrare i bisogni collettivi corrispondenti ai fini che la legge impone di soddisfare, rivolgendosi poi al mercato solo per individuare il miglior offerente cui
affidare la realizzazione pratica del progetto di azione ideato. Miglior contraente
che, in quest’ottica, è colui che fa spendere di meno, che fa risparmiare denaro
alla collettività.
Quindi, le occasioni di confronto con questo contraente sono limitate al minimo
indispensabile, e si riducono essenzialmente all’incontro meccanico dell’offerta
con la domanda pubblica.
- 54 -
Momenti di dialogo sono banditi, mentre sono preferite procedure automatiche
ed aperte. Procedure aperte, quali la gara o asta pubblica, perchè l’accesso dei
molti nell’arena negoziale favorisce la spersonalizzazione della scelta; e procedure automatiche, nel senso che l’esito della gara è affidato al sistema matematico del prezzo più basso.
Tutto questo sistema serve essenzialmente per garantire l’imparzialità della scelta amministrativa e per proteggere, più che i cittadini ed il mercato, la pubblica
amministrazione da corruzione e malaffare.
Talvolta si prende atto in dottrina che questi meccanismi possono non produrre il miglior risultato in termini di efficienza economica. Si riconosce che simili
automatismi procedurali impediscono che la capacità, onestà e solvibilità del
privato contraente siano adeguatamente vagliate dal prudente apprezzamento
discrezionale dell’amministrazione pubblica, in guisa che accade che qualcuno
si chieda se i pregi superino gli svantaggi del sistema, e riconosce che talvolta
i sistemi più efficienti sono rappresentati proprio dai meccanismi negoziati (la
trattativa privata), che sono relegati ad ipotesi eccezionali. Nonostante tutto,
però, si afferma che ciò che conta al di sopra di tutto è garantire la legalità, il
rispetto delle regole. Si sostiene chiaramente che ciò che le procedure contrattuali ordinarie devono dimostrare, non solo alle imprese che vi partecipano, ma
anche al pubblico e quindi agli utenti, agli operatori ed ai cittadini in generale, è
che la legalità più scrupolosa ha informato ogni atto dell’amministrazione.
Quindi, è un sistema che si regge su vincoli di legalità, che guarda poco al riflesso economico delle operazioni, che – come detto - limita il contatto con il
mercato a momenti altamente presidiati da controlli e garantiti da automatismi
procedurali.
3. Il richiamo strumentale alla concorrenza e la riduzione dei momenti di dialogo
tra stazione appaltante ed imprese
L’idea di concorrenza non nasce con l’ordinamento comunitario. Sin dagli studi
di fine ‘800 in materia di contabilità e contrattazione pubblica viene enunciato i
valori della libertà di iniziativa economica e della concorrenza del mercato. Eppure la concorrenza viene richiamata ed intesa più come uno strumento; non
è un bene riguardato in sé, o una virtù, ma è più che altro un mezzo che viene
favorito attraverso il ricorso al sistema aperto dell’asta, del pubblico incanto, e
- 55 -
serve per distaccare l’amministrazione dalla pressione di interessi di parte (siano
essi di estrazione politica od economica). Serve per costringere l’amministrazione a fare valutazioni automatiche e formalmente corrette.
Quindi, la concorrenza è invocata in funzione non dell’utilità del mercato o dei
cittadini, utenti finali delle prestazioni offerte dal mercato, ma in funzione della
scelta più imparziale, meno costosa e meno attaccabile sul piano della legalità.
Non è che questa impostazione muti molto con l’intervento delle prime due stagioni di direttive comunitarie sugli appalti, quelle che partono dagli anni ‘70 ed
arrivano fino alla prima metà degli anni ’90 del secolo scorso.
È vero che si prende atto che le amministrazioni, oltre al loro interesse al contenimento delle spese, debbono perseguire anche l’interesse ulteriore alla diffusione di mercati aperti e concorrenziali, ma questo porta non ad un cambiamento delle strategie operative, non all’introduzione di metodi di gara nuovi, ma
semmai a fare quadrato intorno a quei metodi originari ricevuti praticamente
dalla legislazione piemontese, cioè al rafforzamento delle gare pubbliche e dei
relativi metodi automatici di aggiudicazione.
Per effetto di queste direttive comunitarie di prima maniera e per effetto della giurisprudenza comunitaria si arriva a un’omologazione di tutti i diversi metodi di aggiudicazione ed alla loro assimilazione a quello (ritenuto) più garantista dell’asta.
Si assiste così alla estensione delle formalità tipiche dell’evidenza pubblica ad
ogni forma negoziale delle amministrazioni.
Anche il territorio di confine popolato dalle trattative private viene colonizzato
e sottomesso a scansioni procedurali, quali gare informali e pubblicazione di
bandi, al fine di ridurre ai minimi essenziali le possibilità di scelta dell’amministrazione.
Sintomatica è poi – al pari della marginalizzazione dell’appalto concorso - la vicenda della licitazione privata, che viene sostanzialmente equiparata alla licitazione pubblica, nel senso che diviene progressivamente una procedura aperta,
in cui non c’è più possibilità di scegliere chi invitare, ma viene affermato il dovere di chiamata di coloro che fanno domanda di partecipazione.
4. La rivalutazione di strumenti flessibili di negoziazione
Si arriva così alla stagione successiva, nella quale la Comunità europea per prima
è indotta ad ideare un cambio di indirizzo. Ciò avviene nel 1996 con la pubblica- 56 -
zione da parte della Commissione del Libro verde sugli appalti pubblici nell’Unione europea, nel quale si sottolinea quello che dicevano i nostri autori dalla fine
dell’800, cioè che la procedura negoziata sembra condurre a un risultato economicamente più soddisfacente dell’asta tradizionale, rivelandosi quindi un mezzo
per diminuire i costi dell’acquirente pubblico e per realizzare al meglio gli obiettivi
perseguiti.
Nelle consultazioni che hanno fatto seguito a questo Libro verde tutti gli interlocutori hanno sottolineato la necessità non solo di una semplificazione del
quadro normativo, ma soprattutto del recupero di una flessibilità decisionale e
hanno auspicato il ritorno alla possibilità, da parte delle stazioni appaltanti, di
fare valutazioni ad hoc, commisurate alle peculiarità delle singole fattispecie.
Al menzionato Libro verde ha fatto seguito nel 1998 una comunicazione della
Commissione che, traendo le fila dalle consultazioni sviluppatesi sulla base del
Libro verde del 1996, ha preso atto che, soprattutto negli appalti particolarmente complessi e caratterizzati da una evoluzione costante, ad esempio nel settore
dell’alta tecnologia, gli acquirenti conoscono le proprie esigenze, ma agli inizi
ignorano quale sia la migliore soluzione tecnica per soddisfarle. E’ stata quindi
sottolineata la necessità, per simili situazioni, di introdurre meccanismi di dialogo
che, al minimo, consentano all’amministrazione di fare chiarezza sulle soluzioni
da perseguire o da realizzare per conseguire un determinato obiettivo e, si può
giungere ad ipotizzare, anche di fare chiarezza sugli obiettivi da conseguire.
Prima delle direttive comunitarie nn. 17 e 18 del 2004 che hanno tradotto in normativa quadro questi nuovi indirizzi, in effetti i momenti di dialogo erano sterilizzati, relegati ai margini nelle procedure di aggiudicazione. Quando, in particolare, l’amministrazione non riusciva a definire, in termini completi, un progetto
per un appalto di lavori, forniture o servizi, doveva ricorrere a due tecniche.
La prima era quella del doppio appalto: quindi, prima, un appalto di servizi o un
concorso di progettazione o di idee, per sollecitare idee e suggerimenti da parte
del mercato; poi, una volta acquisita l’idea o il progetto, il successivo appalto per
la realizzazione dell’opera o fornitura.
La seconda era rappresentata dal ricorso ad un istituto particolare, che era già
presente nel decimo considerando della direttiva n. 97/52, cioè la consulenza
esterna di carattere tecnico, una forma di dialogo, figura minore del dialogo
competitivo, che si chiama dialogo tecnico (tutt’oggi previsto nell’ottavo considerando della direttiva quadro, che non è stato recepito e attuato nel nostro
ordinamento con il Codice dei contratti, ma che comunque si può ritenere di
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immediata applicazione). In questo senso, l’ente aggiudicatore poteva (e può)
sollecitare e accettare consulenze da parte di operatori economici che possono
essere utilizzate nella preparazione delle specifiche tecniche per un determinato appalto, a condizione però che tale apporto conoscitivo esterno non abbia
l’effetto di ostacolare la concorrenza.
Questi erano gli espedienti cui si faceva ricorso in pratica per introdurre un momento di dialogo che facesse chiarezza su come confezionare il progetto di appalto, con cui poi avviare la gara vera e propria. Si trattava peraltro di espedienti
che presentavano una difficoltà di fondo, visto che l’ordinamento comunitario
tendeva ad escludere che l’impresa che aveva partecipato alla prima gara, quella
di servizio o di progettazione, o che era stata contattata per fornire la consulenza
sulla formazione delle specifiche tecniche, potesse poi partecipare alla successiva gara, in quanto in possesso di un know-how essenziale che la differenziava
dalle altre imprese e la avvantaggiava rispetto ad esse.
Con il che i possibili benefici in termini di economia di scala, di concentrazione dell’affare, di razionalità economica, consistenti nella possibilità di affidare la
prestazione proprio all’impresa che l’aveva suggerita, ma anche nella capacità
di sollecitare idee effettivamente innovative da parte delle imprese, finivano in
pratica per essere frustrati, perché difficilmente un operatore si sarebbe risolto
a suggerire buone proposte con la prospettiva di esserne poi scippato da altre
imprese.
Questo era il quadro estremamente problematico, che è stato superato dalla
giurisprudenza comunitaria. La Corte di Giustizia, infatti, sconfessando anche le
conclusioni dell’Avvocato generale, con la sentenza del 3 marzo 2005, ha detto
chiaramente che non c’è preclusione all’impresa di partecipare al successivo
appalto.
Un’altra tappa fondamentale di questo percorso è rappresentata da una sentenza di un anno precedente (7 ottobre 2004) della Corte di Giustizia, che ha
rivalutato, proprio con riferimento alla legislazione italiana sui lavori pubblici, la
possibilità di utilizzare il criterio discrezionale dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
È una sentenza assai nota, che si conclude con questa affermazione di principio:
la fissazione da parte del legislatore nazionale, in termini generali e astratti, di un
unico criterio di aggiudicazione degli appalti, quello del prezzo più basso, per i
lavori pubblici, priva le amministrazioni giudicatrici della possibilità di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche peculiari degli appalti, isola- 58 -
tamente considerati. Quindi, è una soluzione irragionevole e da condannare. È
una soluzione che va bene secondo la nostra tradizione, va bene anche secondo
una tradizione di prima e seconda maniera dell’ordinamento comunitario, ma
non appare più in linea con l’evoluzione più recente.
5. Il dialogo competitivo
Non è un caso che il citato dictum della sentenza sia stato richiamato tra i principi e criteri direttivi per la definizione del nuovo Codice dei contratti pubblici (cfr.
la legge delega n. 62 del 2005, articolo 25, comma 1, lett. d).
Il Consiglio di Stato, in sede di parere sulla bozza del Codice, ha giustamente
sottolineato l’importanza di questo criterio direttivo, che implica la necessità per
le stazioni appaltanti di utilizzare al meglio le possibilità offerte dal mercato e
delinea un modello di amministrazione dotata della tecnicità necessaria per attuare una propria politica degli appalti e capace di motivare le scelte sui metodi
di gara, considerando le peculiarità delle diverse situazioni di fatto.
Quindi il Consiglio di Stato, valorizzando questo indirizzo che proviene dalla giurisprudenza comunitaria e che è un criterio guida alla cui luce leggere tutto il Codice dei contratti, sostanzialmente sostiene che non valgono più criteri operativi
generali ed astratti, che bisogna rifuggire da automatismi procedurali e da rituali
formali burocratici, perchè ciascuna amministrazione deve adottare una propria
strategia in materia negoziale, non solo in generale, ma in particolare cioè procedura per procedura, tenendo conto delle irripetibili peculiarità e della complessità
del caso concreto.
È con queste premesse che bisogna analizzare il nuovo istituto del dialogo competitivo.
Si tratta, in prima battuta, di una procedura flessibile, informale, incrementale e
presidiata in ogni momento dalle garanzie del contraddittorio e par condicio tra
le imprese partecipanti.
Per comprenderne l’ambito di applicazione si può partire dalla chiara enunciazione del trentunesimo considerando della direttiva n. 18/2004, a norma del
quale le amministrazioni aggiudicatrici che realizzano progetti particolarmente
complessi possono trovarsi nell’impossibilità oggettiva, non per carenze loro
imputabili, di definire i mezzi atti a soddisfare le loro esigenze o di valutare ciò
che il mercato può offrire, in termini di soluzioni tecniche e/o di soluzioni giuri- 59 -
dico-finanziarie. Tale situazione può in particolare verificarsi per l’esecuzione di
importanti progetti di infrastruttura, trasporti integrati, grandi reti informatiche,
progetti che comportano un finanziamento complesso e strutturato di cui non è
possibile stabilire in anticipo l’impostazione finanziaria e giuridica.
In ragione di quanto detto, pare fuorviante qualunque lettura che tenda ad omologare questa procedura alle procedure di aggiudicazione preesistenti. Dunque,
anche la corrente interpretazione che cerca di distinguere il dialogo competitivo da modelli consimili di negoziazione, per esempio le procedure negoziate o
l’appalto-concorso, sono letture riduttive.
Si tratta di letture riduttive, in qualche modo suffragate dallo stesso tenore
del Codice e della direttiva, perché anche il dialogo competitivo è considerato
una procedura di aggiudicazione. Prevede infatti l’articolo 54, primo comma,
del Codice che per l’individuazione degli operatori economici “le stazioni appaltanti utilizzano procedure aperte, negoziate o il dialogo competitivo”. Formulazione che lascia intendere si tratti in qualche modo di tecniche negoziali
poste sullo stesso piano e non aiuta a comprendere quali siano le differenze
specifiche.
Chi parla ritiene si tratti di istituti diversi che non possono essere assimilati, e
che di conseguenza debbano essere valorizzati gli elementi di assoluta novità
del dialogo competitivo tenendo conto, tra le altre, di quelle indicazioni preliminari da cui siamo partiti: la crisi o l’inefficienza economica, anche in termini di
risultati, degli ordinari meccanismi automatici di aggiudicazione e la necessità di
recuperare flessibilità operativa e decisionale da spendere caso per caso.
In questa ottica, il dialogo competitivo costituisce un meccanismo particolare
che non lascia la concorrenza all’esterno, ma che sussume e interiorizza la concorrenza come metodo di azione dell’amministrazione pubblica.
Si tratta di un metodo di conversione della concorrenza in interesse pubblico
specifico, nel senso che attraverso il regolato e controllato svolgimento del contraddittorio paritario tra gli operatori economici ed il confronto progressivo tra
un’amministrazione che non sa cosa fare e le imprese che danno proposte e suggerimenti in fasi successive, si perviene alla scoperta-selezione non solo dei mezzi,
ma anche degli obiettivi da perseguire.
Il dialogo competitivo ricompone in modo originale il tradizionale dualismo tra
individuazione degli obiettivi fissati dalla legge e scelta dei modi più adeguati
per la loro realizzazione pratica che – si è visto – ha da sempre caratterizzato le
procedure di evidenza pubblica, perché qui è il contraente privato chiamato a
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scoprire, insieme all’amministrazione, l’obiettivo che quest’ultima non è in grado di definire autonomamente.
L’amministrazione resta sì il titolare di qualcosa, ma non dell’interesse pubblico,
che non esiste a priori e non è descrivibile in termini astratti (come notava Giannini, alla fine degli ’30, nella monografia sul potere discrezionale), bensì dell’esigenza pubblica. Cioè conserva la responsabilità di versare in una sfera aperta e
dialogica, situazioni problematiche ed esigenze espresse dalle collettività locali,
senza peraltro avere la possibilità di una loro compiuta individuazione e rappresentazione; ciò, al fine di saggiarne la consistenza e di individuare il da farsi
prima ancora che il come operare.
Se si vuole proprio fare un confronto, forse il paragone più utile per capire la
novità in esame può essere quello con il project financing, ed in particolare con
la fase di scelta del promotore in cui, appunto, il dialogo con il mercato è portato
ad un livello molto avanzato tanto che è consentito che il promotore suggerisca
all’amministrazione una certa iniziativa da recepire nella programmazione delle
opere.
Il parallelo suggerito consente peraltro di cogliere una differenza di fondo tra i
due meccanismi, perchè, mentre l’iniziativa del promotore non può mai comunque superare il momento pubblicistico della programmazione triennale, il dialogo – come meglio si vedrà tra un momento - vale anche a scardinare il presupposto della programmazione triennale, o meglio pare integrare un momento di
definizione consensuale del suo contenuto.
6. I presupposti applicativi e la procedura
I presupposti applicativi sono chiaramente enunciati nella Direttiva e nel
Codice.
Il primo presupposto è quello indicato, in chiave positiva: deve trattarsi di appalti particolarmente complessi.
Il secondo presupposto è di carattere invece negativo, cioè l’amministrazione
deve verificare che l’aggiudicazione di questo contratto particolarmente complesso, non sia possibile ricorrendo alle ordinarie procedure aperte o ristrette.
Quindi un requisito positivo, particolare complessità, e un requisito negativo. La
scelta deve essere motivata. L’amministrazione deve preventivamente valutare
le specificità del caso concreto, deve motivare perché non è possibile risolvere la
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questione complessa ricorrendo alle procedure aperte o ristrette, e quindi non
può semplicemente fuggire verso la via di fuga, apparentemente più semplice,
del dialogo competitivo: è configurabile un dovere di diligenza, nel senso che
occorre comunque valutare se sono esperibili le procedure tradizionali; tale dovere è rafforzato dall’obbligo di motivazione, dovendo essere spiegato perché
queste procedure non sono esperibili nell’ipotesi di specie.
Cosa significa particolarmente complesso? Lo dice molto bene il nostro legislatore: significa che l’amministrazione non è oggettivamente, quindi non per sue
carenza strutturale o decisionali od operative, ma in ragione della complessità
esogena del caso, di una vicenda esterna che l’amministrazione si limita a verificare, cogliere e registrare, non è oggettivamente in grado – si diceva - di definire
i mezzi tecnici dell’appalto.
Questo può significare due cose: o non è in grado di definire le specifiche tecniche, a fronte di un’unica soluzione progettuale astrattamente possibile; oppure non è in grado di definire le soluzioni progettuali, le soluzioni tecniche,
per realizzare un obiettivo che, per quanto genericamente, l’amministrazione è
riuscita a configurare. Soluzioni di cui peraltro essa potrebbe comunque definire
le specifiche tecniche.
L’ordinamento comunitario ci offre alcuni esempi di complessità tecnica.
Viene così citato l’esempio della costruzione di un collegamento tra le rive di un
fiume; ipotesi per la quale sono astrattamente possibili sia la soluzione del tunnel sia quella di un ponte. Altro caso di scuola, di cui si è discusso in Inghilterra, è
l’ipotesi di realizzazione della circonvallazione di un centro abitato di particolare pregio paesaggistico-ambientale, il cui traffico è molto congestionato, in cui
sono da risolvere problemi non solo di viabilità, ma anche di ambiente e di tutela
di alcune specie animali in estinzione che si trovano nella zona, e così via.
C’è poi l’altro aspetto di complessità, l’amministrazione non è in grado di definire questi elementi tecnici o non è oggettivamente in grado di definire l’impostazione giuridica o finanziaria del progetto. Qui si può dire che le indicazioni
comunitarie fanno rinvio, anche se non in blocco, alle vicende del partenariato
pubblico-privato. Ciò non implica però una equiparazione automatica: non tutto ciò che riguarda il partenariato deve rifluire nel dialogo competitivo. Si tratta
dunque di una indicazione di massima, si dice che questa complessità ricorre
particolarmente in queste vicende in cui è complessa la definizione del ciclo della vita ed il trasferimento a lungo termine del rischio agli operatori privati.
Altre indicazioni provengono sempre dall’ordinamento inglese: per esempio nel
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caso Pimlico si trattava di ristrutturare un complesso scolastico e quindi l’amministrazione era interessata a che si trovassero diverse modalità di remunerazione dei lavori, derivanti da diverse modalità di utilizzo della terra di proprietà
dell’ente.
Sempre dall’Inghilterra derivano anche altre indicazioni in ordine ai casi di iniziativa finanziaria privata, che sono distinti da quelli di partnership pubblico-privato, ai casi di costruzioni di carceri, scuole, ospedali: tutti considerati come ipotesi
tipiche di complessità sia tecnica ma anche legale e finanziaria, che giustificano
il ricorso a questo strumento.
Ma nella nostra normativa vi è qualcosa di più, quando si dice, nel secondo comma dell’articolo 58, che ci può essere impossibilità giuridica o finanziaria, e si aggiunge: possono secondo le circostanze concrete, essere considerati complessi
gli appalti per i quali la stazione appaltante non dispone, tra le altre cose, anche
di studi in merito alla identificazione e quantificazione dei propri bisogni.
Ecco il punto: non è qui enunciata soltanto una ipotetica carenza di individuazione dei mezzi e degli strumenti, ma si fa riferimento anche all’assenza di
una chiara possibilità di percezione dei propri bisogni ovvero degli interessi
pubblici da perseguire e soddisfare. C’è chi dice che qui l’assenza sarebbe riferita agli studi, ma si può agevolmente replicare che se manca lo studio manca
anche la capacità di indagare il bisogno, cioè l’amministrazione è completamente al buio sulle priorità, sulle esigenze da realizzare, sugli obiettivi, su tutti
quelli aspetti che identificano in una parola l’interesse pubblico. E’ per questa
fondamentale ragione che essa chiede aiuto al mercato e si apre all’apporto
ideativo e propositivo degli operatori economici.
Sotto questo aspetto si può dire che si attenui il vincolo gerarchico con la programmazione triennale dei lavori pubblici, nel senso che dalla combinata lettura di questo comma, che riguarda le assenze che legittimano l’adozione del
dialogo competitivo, insieme al secondo comma dell’articolo 128 del Codice,
si desume che simili casi di complessità integrino le valutazioni preliminari e
studi di fattibilità di cui la programmazione triennale costituisce l’appendice
esecutiva. Per cui si può giungere a sostenere che il dialogo competitivo può
iscriversi tra i casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici possono definire
obiettivi e priorità “di concerto con altri soggetti”. Quindi ci si colloca in un
orizzonte operativo molto più avanzato, ed ancora inesplorato in tutte le sue
implicazioni anche di carattere organizzativo, rispetto al project.
Le fasi della procedura sono indicate abbastanza chiaramente dall’art. 58.
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C’è la fase del dialogo, che si apre con la pubblicazione di un bando o documento
descrittivo, ci sono quindi le domande delle imprese interessate alla partecipazione, una fase di pre-qualifica, quindi lo svolgimento della gara vera e propria e
l’aggiudicazione con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Nel documento descrittivo deve indicarsi anche come si sviluppa il dialogo, la
tempistica prevista, la successiva calendarizzazione in fasi successive della procedura, la possibile previsione di premi o indennizzi, cosa molto importante. Si
tratta di una passaggio molto delicato, vera e propria condizione di successo
dell’intera operazione, perchè attraverso tale documento l’amministrazione
deve presentarsi come soggetto affidabile e capace di guidare con sicurezza l’intera procedura: essa deve, in sostanza, convincere ed attrarre il mercato sollecitando la partecipazione degli operatori più capaci ed innovativi. Per tali ragioni,
in alcuni ordinamenti si insiste in modo particolare sull’importanza di anticipare
già a questa fase momenti di colloquio con i soggetti potenzialmente interessati
e si suggerisce di non affidarsi soltanto ad un documento formale ma di ricorrere
anche a presentazioni orali e sessioni volte ad illustrare ogni aspetto ed a rispondere a tutti i possibili quesiti degli operatori.
Altro interrogativo di fondo è se il dialogo debba essere impostato one-to-one,
o possa essere anche svolto in forma congiunta con più imprese.
Qui si confrontano due contrapposte esigenze: da una parte c’è l’interesse
dell’amministrazione, che è affetta da carenze e da asimmetria informativa, di
avere più informazioni possibili e quindi di coinvolgere più imprese possibili
e discutere con esse apertamente e senza molti vincoli gli aspetti di una problematica complessa da risolvere; dall’altra si trova l’esigenza delle imprese di
vedere rispettata la riservatezza delle loro proposte progettuali e delle informazioni ivi contenute, affinchè di esse non si avvantaggino impropriamente i concorrenti. Tali dati rappresentano, infatti, un bene importante, e costituiscono la
garanzia del successo dell’operazione, perché solo attraverso una adeguata rete
di protezione della loro circolazione ed utilizzazione si assicura un apporto ideativo effettivamente creativo ed innovativo all’amministrazione. Occorre dunque
trovare ed assicurare un giusto equilibrio tra queste due esigenze ed è bene
prevedere in via tendenzialmente generale l’obbligo di indennizzo delle spese
per coloro che nel dialogo progressivo saranno esclusi.
Alla fine del dialogo si individua la o le possibili soluzioni che possono essere
messe a base della gara successiva. Il fatto che si parli anche di più soluzioni,
garantisce maggiore trasparenza e concorrenza anche nella fase successiva, po- 64 -
nendo su un piano di parità con altri partecipanti anche l’impresa che aveva
proposto l’eventuale soluzione preferita.
Altro aspetto da sottolineare è che si parla di soluzione-i, anziché di proposte: ciò
significa che dovrebbero ritenersi vietate operazioni di combinazione delle varie
bozze di soluzioni; l’amministrazione non può mescolare le varie soluzioni offerte dalle imprese per comporre in modo arbitrario la propria soluzione, da porre
a base della successiva gara. Questo è assolutamente vietato. Una proposta in
questo senso era prevista inizialmente allorché si parlava di “bozze” di soluzioni,
ma poi a seguito della ferma opposizione dell’Inghilterra e di altri paesi alla fine
si è preferito parlare appunto di soluzioni e non di bozze: quindi l’amministrazione deve recepire interamente la, o, se non ritiene l’unica sufficiente, idonea e
bella, le soluzioni, e non può fare opera di combinazione.
7. Uno sguardo al futuro: il problema della discrezionalità amministrativa
In Italia è successo che, complice anche una particolare coincidenza storica, un
ex Magistrato di “Mani pulite” si è trovato a ricoprire la carica di Ministro delle
Infrastrutture proprio nel momento in cui si è trattato di dare applicazione concreta alle nuova disciplina introdotta dal Codice dei contratti pubblici.
La strategia adottata è stata, di conseguenza, quella di bloccare e rinviare l’entrata in vigore (tra le altre) delle disposizioni in tema di dialogo competitivo in
attesa di mettere a punto ulteriori modifiche normative. Di colpo si è così tornati
al punto di partenza, ovvero alla paura per la discrezionalità dell’amministrazione, spettro che viene agitato al fine di invocare misure salvifiche in grado di
proteggere la collettività dai rischi di frodi e collusioni.
Dunque, è evidente che da noi il problema non è di carattere normativo, poiché
finalmente esiste una normativa in linea con l’ordinamento comunitario, anche
organica e completa.
Non si tratta di un problema di regole: non è il contesto normativo che condiziona il successo di queste operazioni, è più che altro un fattore di carattere
culturale, perchè siamo ancora fermi a quelle idee dell’800 : la paura della discrezionalità, della capacità di scelta della soluzione più opportuna al caso concreto
da parte di un’amministrazione attrezzata in tal senso, e la connessa esigenza di
tutelare non i cittadini, ma più che altro le amministrazioni dal rischio di corruzioni e malaffare.
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Si diceva già ai primi del ‘900 che “non è tanto nei freni o controfreni automatici
del meccanismo burocratico la chiave di volta della bontà e probità di una pubblica amministrazione, quanto nella coscienza salda e illuminata che il funzionario pubblico abbia del proprio dovere, coscienza che solo può infondergli l’impulso benefico dell’iniziativa e il severo acume della critica” (Ingrosso, Il Diritto
Amministrativo Italiano nella scienza e nella realtà dello Stato, in Riv. dir. pubbl.,
1909, I, 60). Quindi, la vera condizione di successo di operazioni complesse quale
quelle in esame risiede nel coraggio circa l’uso di fantasia, iniziativa, capacità di
scelta; coraggio che va incentivato, incoraggiato e sostenuto sul piano culturale,
e che non può non trovare in precise regole di responsabilità il proprio contrappunto.
Mentre nel nostro ordinamento pare dunque che il problema del futuro sia rappresentato dall’antico tema del potere discrezionale delle stazioni appaltanti, in
altri ordinamenti non si è perso tempo.
L’euroscettica Inghilterra ha già redatto nel gennaio 2006, data di entrata in vigore delle nuove normative e quindi del dialogo competitivo, una guida operativa sull’uso del dialogo competitivo (OGC Guidance on the Competitive Dialogue Porcedure) cui hanno fatto seguito numerosi altri documenti, di origine
governativa e non, contenenti commenti, linee guida, circolari, illustrazione di
casi applicativi molteplici guide operative. In essi si sottolinea l’importanza del
nuovo strumento negoziale e l’importanza di usarlo in modo aperto e flessibile,
con continui confronti con le imprese partecipanti, la necessità di una accurata
preparazione e convincente illustrazione delle regole del gioco in quanto l’obiettivo di fondo per l’amministrazione è quello di comprare la fiducia del mercato e
sollecitare idee veramente originali ed innovative.
Ci sono già stati anche casi interessanti di applicazione. Per esempio, per i Giochi olimpici del 2012 è stata costituita un’autorità pubblica, la Olympic Delivery
Authority (ODA), che in ben 34 settimane ha concluso un’operazione assai complessa di dialogo competitivo, affidando tutte le operazioni di progettazione e
realizzazione delle infrastrutture e dei servizi attinenti al villaggio olimpico ad
una società privata. A parte la improrogabile scadenza temporale, ogni altro
elemento del progetto era aperto ed indefinito. Le domande di partecipazione
sono state sette, mentre i concorrenti sono stati poi ridotti a quattro nella fase
del dialogo vero e proprio, che è durata 3-4 settimane con sedute e discussioni
condotte quotidianamente ed in parallelo sia sugli aspetti tecnici, da una parte,
che su quelli legali e commerciali, dall’altra, e lo svolgimento di pre-briefing e fe- 66 -
edback meetings all’inizio ed alla fine di ogni giornata per aggiornare le schede
contrattuali.
L’idea di fondo che si può ricavare da simili esperienze è, dunque, che si impara
facendo più che discutendo di problematiche astratte e ricorrendo all’ennesima riforma legislativa, e che si devono trarre lezioni dai casi applicativi, le cui
risultanze siano poi messe a servizio della collettività degli operatori ed utenti in
termini di Lessons Learned Studies.
Su un altro versante, può citarsi anche l’ordinamento francese che, per un verso
ha ampliato il possibile ambito applicativo del dialogo competitivo, enunciando nel Code de marchés publics del 7 gennaio 2004 anche l’ipotesi dell’appalto
complesso. Per altro verso, ha prodotto nel gennaio 2007 una sorta di decalogo
o guida di funzionamento dell’istituto (denominato Charte du Dialogue Competitif), nel quale si sottolineano la fondamentale importanza della fase di discussione tra gli operatori economici e l’amministrazione, fase che deve permettere
lo svolgimento di un dialogo responsabile, fruttuoso e senza ritardi eccessivi,
e a tali fini il carattere decisivo di un buon assetto regolatorio per infondere sicurezza ai partecipanti, rispetto della confidentialité, equilibrio della posizioni,
tempi certi e comunque proporzionati alla complessità del caso, l’indennizzo
delle spese.
L’idea di fondo ricavabile dall’esempio francese pare la indefettibile presenza
di una salda cabina di regia pubblica della procedura, rimanendo comunque
prerogativa delle stazioni appaltanti non solo la definizione delle regole del gioco ma anche l’identificazione dei bisogni collettivi da soddisfare da porre poi a
base di un programma di azione – non suscettibile di modificazione nel corso
del dialogo competitivo - contenente la specificazione, quanto meno in termini
funzionali, dei risultati attesi e delle esigenze da rispettare.
E’, in definitiva, a queste esperienze che occorre guardare con attenzione al fine
di superare l’attuale situazione di impasse culturale che caratterizza l’approccio
domestico all’istituto in esame e scongiurare letture riduttive o interventi normativi limitativi delle sue potenzialità operative.
Nel frattempo, utili indicazioni sembrano offerte dalla giurisprudenza che, in relazione a selezioni particolarmente complesse ed implicanti apprezzamenti riferibili all’architettura, all’urbanistica, alla storia ed all’estetica, ha di recente ritenuto
utile e “necessario conservare all’amministrazione un margine di discrezionalità
particolarmente ampio” (così Cons. stato, sez. V, 6-3-2007 n. 1053, in materia di
criteri di valutazione di progetti per l’adeguamento di un sito museale).
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Allo stesso modo, interessanti spunti potrebbero derivare anche dai fecondi
laboratori legislativi dei parlamenti regionali che, sfruttando i margini di intervento consentiti dall’art. 4 del Codice, potrebbero anticipare l’applicazione del
dialogo competitivo nei rispettivi ordinamenti e dare così avvio ad una stagione
di sperimentazione e messa in opera delle novità che ci consenta finalmente di
entrare in una fase più matura di gestione delle risorse pubbliche.
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Velia Maria Leone
Avvocato, Roma
ALTRE ESPERIENZE SIGNIFICATIVE IN EUROPA
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Partenariato pubblico-privato in Europa. – 3. Alcune
esperienze pratiche. – 4. Conclusioni.
1. Introduzione
La mia presentazione si divide due parti: la prima, in cui descrivo, a grandi linee,
l’operato della Comunità Europea in materia di partenariato pubblico-privato (il
“PPP”) e la seconda, in cui fornisco degli esempi di come il PPP sia stato attuato
in alcuni Stati Membri della Comunità Europea.
In prima battuta, occorre premettere che, al momento, il ricorso al PPP da parte dei diversi Stati Membri è particolarmente eterogeneo: all’interno dell’ampia
definizione di PPP sono ricondotti modelli fortemente disomogenei, diversificati ed in continua evoluzione. Questo frastagliato panorama, come vedremo
meglio, non ha ancora consentito alla Commissione delle Comunità Europee (la
“Commissione”) di produrre una bozza di proposta normativa in materia di PPP,
da un lato, e, dall’altro, non permette una trattazione esaustiva di tutte le tipologie presenti sul mercato comunitario. Ciò detto, volendo fornire degli indicatori
di massima – e come tali suscettibili di imprecisioni – sul comportamento degli
Stati Membri in relazione al PPP, si può idealmente suddividerli in due macro
categorie:
a. quei paesi che sono convinti fruitori del modello di PPP e hanno sviluppato
tipologie di PPP particolarmente sofisticate – come il Regno Unito, per esempio –, oppure che lo considerano lo strumento ottimale per massimizzare
i benefici fruibili dai fondi comunitari, specialmente per realizzare progetti
infrastrutturali – come la Spagna ed il Portogallo;
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b. quei paesi che non sarebbero, di per sé, in grado di ricorrere efficientemente
al PPP – per esempio, perché non hanno un sistema bancario od assicurativo
sufficientemente sofisticato –, ma che sono indotti a ricorrere a tale strumento dalle norme comunitarie, per esempio, relative alle infrastrutture trasportistiche1. In questa seconda categoria ricade la maggior parte dei nuovi Stati
Membri – meglio noti come gli ex paesi dell’Est – in cui il modello di PPP è
particolarmente incoraggiato per la realizzazione di infrastrutture viarie, attraverso il ricorso a fondi comunitari.
A fronte di questa variegata situazione, gli Stati Membri fondatori della Comunità europea, che potremmo immaginare aver sviluppato significativi modelli
evidenziano delle interessanti sorprese: in particolare, mi soffermerò sulle esperienze francese e tedesca.
Da ultimo, mi preme concludere questo paragrafo introduttivo ribadendo una
cosa già ben nota. Quando si parla di PPP, il paese più evoluto è il Regno Unito,
in merito al quale esiste abbondante letteratura in Italia ed all’estero. Per questi
motivi, non ne parlerò, privilegiando, di contro, esempi nazionali meno noti.
2. Il Partenariato Pubblico-Privato in Europa
Dato il significativo sviluppo del PPP a livello domestico, la Commissione aveva, inizialmente, pensato di inserire questo strumento nelle direttive in materia
di appalti pubblicate nel 2004, segnatamente la Direttiva 2004/18 in materia di
appalti pubblici di lavori, di forniture e servizi e 2004/17 in materia di appalti nei
settori c.d. “esclusi”2.
In realtà, la gestazione delle direttive fu troppo lunga, sorsero molti problemi ed obiezioni su varie questioni, tra cui quella, già discussa questa
mattina – il dialogo competitivo –, che riguarda la procedura più idonea per
l’affidamento dei contratti sottostanti i modelli di PPP. Dato questo scenario, e
vista l’urgenza di approvare le direttive, la Commissione decise di concentrare,
1
2
Per la disciplina del settore delle reti transeuropee, vedi Regolamento (CE) n.
807/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004 (G.U.U.E.
L143/46, 30.04.2004); Decisione n. 884/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (G.U.U.E. L201/1, 07.06.2004).
Direttiva CE, 31.03.2004, n. 18 (G.U.U.E. L134, 30.04.2004) e Direttiva CE, 31.03.2004,
n. 17 (G.U.U.E. L134, 30.04.2004).
- 70 -
in un primo momento, i propri sforzi sulle direttive in materia di appalti c.d. classici – pur comprendendo anche i settori c.d. esclusi – e di occuparsi di PPP in un
secondo momento.
Tale approccio pragmatico è anche legato alla confusione che aleggia sulla questione relativa a cosa sia il PPP. In questo contesto, il diritto comunitario non
coglie – perché non può produrre propri modelli autonomi – l’essenza precipua
del PPP, che, a mio avviso, va inteso come insieme di modelli giuridici. A complicare ulteriormente le cose, occorre, altresì, evidenziare che le forme di PPP
sono sostanzialmente dei modelli contrattuali, in altre parole, sono il prodotto
della libera negoziazione tra parti private che possono disporre dei propri interessi nel modo che ritengono più opportuno. Di converso, il tentativo in atto è
quello di ricondurli - specialmente in Italia - nell’alveo del diritto amministrativo,
caratterizzato da una maggiore rigidità rispetto al diritto privato e rispondente
ad una logica differente, segnatamente l’aggiudicazione del contratto prevale
sull’esecuzione dello stesso. Questo approccio tassonometrico crea una serie di
difficoltà che vedremo meglio in seguito.
Sorge spontaneo, allora, chiedersi perché sia in atto questo esercizio di genetica giuridica che rischia di distorcere la vera natura del PPP, introducendo dei
“mostri giuridici” nei singoli ordinamenti nazionali. Sostanzialmente, se si guarda complessivamente all’esperienza europea, il minimo comun denominatore
deve essere identificato nelle forti carenze di budget che funestano i bilanci
pubblici – in maniera più o meno significativa – dei singoli Stati Membri, specialmente con riferimento al settore infrastrutturale – caratterizzato da importanti
esigenze finanziarie – ed a quello dei servizi pubblici locali, in cui alla scarsità dei
fondi pubblici si aggiungono le esigenze di adeguamento a standard qualitativi
superiori, anche generati dall’introduzione di nuove norme comunitarie3. Non a
caso, sono questi i settori industriali in cui i modelli di PPP hanno trovato maggiore e più significativa applicazione nei diversi paesi europei.
Questa complessa situazione regolamentare ha prodotto una certa confusione
sul mercato, in cui, invece di ipotizzare e sperimentare nuovi istituti belli, spigliati e interessanti, per traghettare progressivamente la pubblica amministrazione
sul mercato, riducendo lo iato operativo con il settore privato – attraverso un
fenomeno di reciproco arricchimento osmotico – ha prevalso una logica arruffona, sbrigativa e di corto respiro secondo la quale, a fronte delle esigenze di
3
Si pensi, in proposito, ai settori dell’ambiente, dell’acqua, dei rifiuti, ecc.
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budget del settore pubblico, si è cercato di supplire con il ricorso alla finanza privata, senza – al contempo – cercare di sfruttare le migliori sinergie e possibilità
che le modalità di PPP – in alcuni casi – possono realmente offrire rispetto alle
logiche appaltistiche tradizionali. Quest’approccio ha creato più problemi di
quanti sia stato in grado di risolvere.
Altra questione delicata – ancora irrisolta – era decidere quale fosse l’alveo regolatorio più appropriato cui ricondurre il PPP. Il primo approccio della Commissione è stato, ovviamente, quello di ritenerlo facente parte delle norme sugli
appalti di lavori, poiché il risultato finale della maggior parte dei modelli di PPP
è la realizzazione di opere pubbliche, in base alle specifiche identificate dall’amministrazione pubblica4. Peraltro, questa collocazione rischia di non rendere interamente giustizia al fenomeno del PPP, in cui un ampio ruolo è, invero, giocato
dai servizi, specialmente nel settore dei servizi pubblici locali, come anche evidenziato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia5 (la “Corte”).
La collocazione del PPP nel settore normativo degli appalti di lavori è ulteriormente complicata dal rilievo che queste stesse norme definiscono i
contratti di appalti di lavori e le concessioni: l’interazione fra queste due figure, chiaramente definite dalle direttive in materia di appalti, pone un
problema interpretativo ed attuativo che non aiuta lo sviluppo coerente
di modelli di PPP in cui, a volte, la precisa linea di demarcazione tra le due tipologie contrattuali non è così netta. La percezione di questa difficoltà si accentua
ove non si presti solo attenzione al momento dell’affidamento – in cui le due
figure contrattuali possono più facilmente essere diversificate –, quanto, piuttosto, alla fase di esecuzione del contratto – ed al suo vero scopo – che potrebbe
modificarsi nel tempo6. Ad esempio, si potrebbe ben dare – specie nel caso di
modelli di PPP – che, nel tempo, il ruolo giocato dai servizi esuberi l’importanza
dei lavori. Se così fosse, l’eventuale affidamento di un contratto di concessione
di lavori sarebbe illegittimo. Questa illegittimità si evidenzierebbe a valle della
4
5
6
Per la definizione comunitaria di opera pubblica vedi all’art. 1, comma 2, lettera b)
della direttiva 2004/18.
Vedi, per esempio, le sentenze della Corte nei casi “Coname”, C-231/03; “Parking Brixen”, C-458/03.
Si pensi al caso in cui – nei contratti di concessione – non ci sia stata un’effettiva
allocazione del rischio in capo al concessionario, a prescindere da quanto riprodotto
nel testo del contratto. In tal caso, anche se il contratto fosse stato affidato attraverso
le procedure previste per il contratto di concessione, in effetti, al momento della sua
esecuzione, lo stesso dovrebbe, più correttamente, essere considerato un appalto
tradizionale.
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procedura di affidamento, ma travolgerebbe l’intero contratto, poiché manca
una procedura di affidamento di concessioni di servizi, o, ancor peggio, ove si
ritenesse di essere in presenza di una concessione di servizi, l’amministrazione
potrebbe ricorrere all’affidamento diretto, in mancanza di una procedura ad
hoc7. Questo semplice esempio dà contezza dell’insufficienza di entrambe le
definizioni rispetto all’evoluzione continua del mercato in relazione a modelli
di PPP.
Come è noto, nel 2004 è stato pubblicato il Libro verde sul PPP (il “Libro Verde”)8,
sul quale non mi dilungo poiché è stato oggetto di altri seminari tenutisi presso
quest’Osservatorio. L’obiettivo del Libro Verde era compiere una ricognizione
degli strumenti esistenti sul mercato in materia di PPP e cercare di individuare
quale strumento giuridico potesse essere più adatto a coglierne le peculiarità
proprie. Inoltre, il Libro Verde si poneva l’obiettivo di cercare di capire il livello di
interazione tra il diritto comunitario e quello nazionale. Quest’ultimo scopo evidenzia immediatamente la vera debolezza dell’intero esercizio, non esistendo,
praticamente, alcun rapporto tra i due. Infine, tutto lo sforzo doveva concentrarsi sulla verifica della necessità, o meno, per gli operatori degli Stati membri di
introdurre una normativa comunitaria ad hoc in materia di PPP. Questa esigenza
nasceva dalla distonia d’informazioni sino a quel punto ricevute dalla Commissione: da un lato, vi erano pressanti richieste a favore di un intervento legislativo
comunitario, e, dall’altro, gli operatori di molti paesi chiedevano ampia libertà di
manovra, senza alcun irrigidimento normativo. Questi approcci contrastanti corrispondono a due grandi categorie filosofiche che oggi dividono l’Europa: quella
dei paesi che hanno una grande libertà di azione e dove l’intervento legislativo
è ridotto al minimo indispensabile - come Inghilterra, paesi scandinavi e Olanda
- e quella dei paesi che, di converso, sono dominati da norme molto prescrittive
che, sostanzialmente, limitano l’operato sia del mercato, sia della pubblica amministrazione – come l’Italia, – e dove, almeno concettualmente, si riconosce al
diritto comunitario un approccio più pragmatico e market oriented rispetto a
molte strettoie formalistiche imposte – in ambiti legislativi contigui ai modelli di
PPP – dal diritto amministrativo domestico.
7
8
Ad esempio, si veda la sentenza della Corte nel caso Commissione/Italia, C-382/05.
Nelle direttive del 2004 sugli appalti è presente solamente la definizione della concessione di servizi, mentre è del tutto assente la disciplina del suo affidamento.
Libro Verde della Commissione relativo ai partenariati pubblico–privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni - Bruxelles, 30.04.2004,
COM(2004) 327 definitivo.
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Il vero problema, tuttavia, è dovuto al fatto che la Commissione non può intervenire ex officio, ma solo nella misura in cui vi sia un’espressa richiesta d’intervento
da parte degli Stati membri, pena la mancanza di legittimazione politica – in
quanto ultra vires – dell’intervento comunitario. È evidente che, ove non esita
accordo tra gli Stati membri, neppure in relazione al perimetro dell’azione richiesta alla Commissione, questa è fortemente disincentivata ad agire e deve, in
primo luogo, legittimare il proprio intervento.
L’incipit per l’identificazione della matrice del PPP doveva necessariamente partire dai contratti di lunga durata, i quali richiedono un investimento misto - segnatamente pubblico-privato. In questo contesto, il settore privato può svolgere un duplice ruolo: segnatamente, può essere molto propositivo - sul modello
del promotore italiano9, nella duplice veste che questi può assumere qualora
non solo risponda ad un avviso, ma, addirittura, presenti una proposta per l’inserimento di un intervento nella programmazione carente della pubblica amministrazione - oppure solo reattivo in quanto si limita a rispondere ad una sollecitazione della pubblica amministrazione, come avviene in occasione di una tipica
concessione di costruzione e gestione, ex art. 144 del nostro d.lgs. 163/2006 (il
“Codice dei contratti pubblici”). In entrambi i casi, l’elemento che veramente
qualifica la partecipazione del settore privato è l’assunzione dei rischi relativi
al realizzando progetto. È la ripartizione del rischio ad avere il ruolo centrale in
qualsiasi operazione di PPP, specialmente ove questa si fondi sull’esecuzione
di un contratto di concessione. Come noto, è questo l’elemento – la c.d. alea
commerciale – che caratterizza, inter alia, il contratto di concessione vis-à-vis
quello di appalto. Questo è l’elemento che funge da cartina tornasole dei rapporti pubblico-privato: tanto più l’amministrazione è consapevole, tanto meno
rischio è esternalizzato.
Negli ultimi quindici anni, la ripartizione del rischio è profondamente cambiata:
inizialmente, si parlava di massimizzazione dell’esternalizzazione del rischio. Si
riteneva opportuno accollare tutti i rischi possibili al settore privato. Quest’impostazione iniziale è stata superata, poiché antieconomica: contrattualmente il
rischio è un costo. È vero che le parti sono libere di esternalizzare tutti i rischi,
ma, così facendo, lievitano i costi dell’esecuzione del contratto e diventa più difficile dimostrare la bontà del ricorso a metodologie di PPP.
Alla luce di queste considerazioni, oggi, la più moderna teoria in tema di risk allocation sostiene la necessità di ottimizzare l’esternalizzazione dei rischi, cer9
Vedi artt. 153 e ss. del d.lgs. 163/2006.
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cando di raggiungere il miglior equilibrio possibile tra l’allocazione al privato,
od al pubblico. Dal punto di vista contrattuale, le parti sono poste su un livello
di parità, in una logica in cui ciascuna si assume il rischio che è meglio in grado di
gestire – rectius a costi più contenuti. Quest’impostazione si ispira ad un modello
privatistico di sinallagma contrattuale, in una logica di ricerca d’efficienza, mentre
appare rifiutare il modello contrattuale proprio del diritto amministrativo dove
trovano, peraltro, spazio lo jus variandi e lo jus imperii, in pratica il diritto della disuguaglianza tra i contraenti. Questa forzatura non può coesistere con operazioni
di PPP, ove il buon successo dell’operazione è necessariamente legato al reciproco – seppur differenziato – interesse in capo al settore pubblico e quello privato.
Lo sforzo ermeneutico svolto dalla Commissione identifica due macro-categorie
cui ricondurre i progetti di PPP: il PPP contrattuale – sostanzialmente identificabile con i contratti di appalti pubblici e le concessioni – ed il PPP c.d. istituzionalizzato – che ricomprende entità ad hoc (come le società miste) ed il controllo
privato sull’entità pubblica. Questa dicotomia per noi italiani può risultare illogica, in quanto in ragione dei nostri schemi giuridici, consolidati in decine di anni
di legislazione in materia di appalti pubblici, risulta difficile considerare l’appalto
pubblico come una tipologia di partenariato. Anzi, di converso, l’appalto rappresenta, per noi, l’apoteosi della bipolarizzazione settore pubblico-settore privato.
Questa contraddizione non è presente, a livello comunitario. Si constata, difatti,
che, nel PPP del sistema comunitario, il contratto di appalto appare essere una
categoria concettuale più flessibile, nel cui alveo possono essere ricondotte fattispecie contrattuali differenti, caratterizzate da modalità di pagamento maggiormente modulate10. Ciò consente un’esecuzione del contratto più congeniale a modelli di cooperazione pubblico-privato.
Queste difficoltà svaniscono nel caso del contratto di concessione che,
chiaramente, rappresenta il contratto per eccellenza per i modelli di PPP
applicati al settore infrastrutturale. Questo è il tipo di contratto più utilizzato a livello internazionale, anche se il mondo anglo-americano ricorre a differenti sigle – come B.O.T.11, D.B.F.O.12, ecc. – le quali sono, per
lo più, riconducibili al contratto di concessione di costruzione e gestione.
10 Vedi la definizione di opera pubblica di cui alla nota 4: definisce il perimetro del contratto di appalto, ma la realizzazione potrebbe essere attuata in leasing od in appalto
tradizionale. Quest’ultima distinzione è di natura finanziaria e non incide sul concetto di realizzazione dell’opera pubblica in base ai desiderata della PA.
11 Build, operate and transfer.
12 Design, build, finance and operate.
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Nel panorama dei modelli di PPP istituzionalizzato, si deve annoverare l’insieme
di quegli strumenti, particolarmente difficili da inquadrare, come entità ad hoc,
società miste, ecc.: queste scontano una particolare difficoltà di applicazione ed
armonizzazione nei diversi paesi della Comunità europea.
In entrambi i casi, a prescindere dallo specifico strumento giuridico utilizzato, si
tratta, in generale, di strutture contrattuali complesse, normalmente incardinate
in un’estrema contrattualizzazione che non ne facilita l’utilizzazione. I modelli contrattuali in circolazione - anche in Italia - risentono della forte influenza
anglosassone. In altre parole, in Italia, così come in altri paesi europei, questi
modelli sono elaborati ispirandosi alle tecniche di redazione contrattuale angloamericana, per cui tutto è scritto nel contratto, non esistendo il rinvio alla norma
generale – come potrebbe essere il codice civile o altra normativa similare. Il
tentativo del redattore del contratto è di prevedere nel testo tutto ciò che può
succedere in rapporti consensuali che possono avere una durata anche ventennale.
La redazione di simili tipologie contrattuali è accompagnata dalla necessità di
far precedere l’interlocuzione con il mercato – ed è uno degli elementi che ha
acquisito maggiore importanza nello sviluppo di questa materia a livello di paesi
comunitari – dalla redazione del c.d. public sector comparator (il “PSC”), cioè
una valutazione interna della pubblica amministrazione, che elabora un ragionamento sulla convenienza del ricorso al settore privato per la realizzazione di
una determinata opera, partendo dai costi di realizzazione della stessa. Scopo di
quest’esercizio è verificare se il mercato può realizzare la stessa opera a costi più
contenuti. Questa prima analisi deve essere completata dalla valutazione di cosa
il mercato possa offrire in termini di quello che gli inglesi - che hanno inventato
il PSC - chiamano innovazione e che corrisponde a quello che noi chiamiamo
efficienza ed economicità. Questo secondo – e ben più complesso – esercizio è
utile e produce buoni frutti solo nella misura in cui la pubblica amministrazione
abbia valutato attentamente i propri desiderata in funzione del fine ultimo della
realizzanda opera pubblica. In altre parole, deve aver ben svolto la fase di programmazione. Ciò perché è solo questa fase che consente una valutazione più
completa di tutte le variabili coinvolte nella realizzazione dell’opera. Altrimenti,
il rischio è che l’amministrazione si limiti a svolgere due semplici considerazioni
astratte:
a) conviene sempre ricorrere al mercato quando non si hanno sufficienti fondi
pubblici. Questa logica non premia il contributo innovativo del mercato e
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rischia di far compiere alla pubblica amministrazione scelte sbagliate, dettate
dalla mera ricerca del finanziamento privato; oppure, all’estremo opposto,
b) conviene sempre realizzare le infrastrutture autonomamente, in ragione del
minor costo di indebitamento in cui incorre il settore pubblico. Questo secondo approccio dovrebbe indurre a ricorrere al mercato solo ove si ritenga
utile estrarre innovazione o efficienza. Ma per poter valutare questo elemento, il settore pubblico deve aver fatto bene l’esercizio di valutazione a monte.
Quando si parla di buoni modelli di programmazione, spesso ci si riferisce al
PSC del modello inglese, su cui il Regno Unito ha costruito l’intera filosofia del
PFI, ovvero la Private Finance Initiative. Quest’impostazione è, a mio avviso, sbagliata. Il sistema giuridico anglosassone ha dovuto introdurre una metodologia
come il PSC poiché non era, altrimenti, dotato di strumenti adeguati per svolgere un’accurata programmazione del territorio. In questa logica, che sottende tutti i modelli di PPP, la miglior metodologia di programmazione ritengo sia
quella italiana. Questa è descritta nel vecchio articolo 14 della legge 109/94 (la
c.d. “Legge Merloni”), fedelmente oggi ripreso nell’articolo 128 del Codice dei
contratti pubblici. Il sistema della programmazione triennale ed annuale è uno
dei modelli più sofisticati che si possano immaginare in tema di programmazione e realizzazione di opere pubbliche. Se si esaminano le metodologie di analisi
dei progetti della World Bank, dell’EBRD o di altri donors internazionali, ma anche le legislazioni nazionali di altri paesi, praticamente nessun altro paese ha introdotto, a livello legislativo, questo doppio binario di analisi del territorio, programmazione e finanziamento, in contemporanea. Il problema, in questo caso,
non è di regole – che ci sono e sono anche ben fatte – quanto, piuttosto, della
loro applicazione. A tal proposito, si deve riconoscere la difficoltà degli operatori
nella verifica della programmazione della pubblica amministrazione, quando si
trovano davanti alla mera identificazione dell’infrastruttura, senza alcuna analisi
di supporto. Questa carenza non consente al settore privato di produrre buone
– rectius efficienti – offerte, né alla pubblica amministrazione di valutare adeguatamente, in maniera comparativa, le diverse offerte del mercato.
Come accennato, nella ricerca di maggior efficienza, riveste un ruolo importante
l’allocazione dei rischi, che deve avere natura dinamica, non solo nella fase d’aggiudicazione - potendo ben costituire uno dei criteri di valutazione delle offerte
-, ma anche, e soprattutto, nella fase d’esecuzione del contratto. Su questo tema,
è importante raggiungere un equilibrio tra gli interessi del settore pubblico e
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quelli del privato, così che si creino condizioni di appetibilità per quest’ultimo. In
altre parole, il concetto di efficienza per la pubblica amministrazione deve equivalere a quello di redditività per il settore privato. Questo risultato può essere
ottenuto attraverso varie modalità: alcune sono state immaginate nella stessa
normativa13, mentre altre possono essere ipotizzate a livello contrattuale. In ogni
caso, l’interazione tra soggetti pubblici e privati deve aver luogo avendo a mente un elemento tipico dei modelli di PPP: mentre nel caso dell’appalto si aggiudica un contratto che, normalmente, ha una durata breve, i contratti sottostanti
i modelli di PPP possono avere una durata lunga, anche molto lunga. Ciò implica
che l’esecuzione del contratto acquisisce un ruolo molto più importante. In tale
contesto, variano anche le capacità del soggetto esecutore del contratto, nel
tempo. Infatti, ad una fase iniziale in cui prevalgono le capacità progettuali e di
realizzazione delle opere pubbliche, subentra la fase – di più lunga durata – in
cui primeggia il ruolo del gestore dell’infrastruttura. Peraltro, negli ordinamenti
nazionali di molti paesi europei – tra cui l’Italia – la verifica dei requisiti soggettivi
si concentra, prevalentemente, su quelli relativi al costruttore – che normalmente, non sa e non è interessato a gestire l’opera realizzata – a discapito degli altri,
pur importanti, requisiti soggettivi che sarebbero essenziali nella fase di esecuzione e, soprattutto, di gestione.
Altro tema molto controverso, a livello comunitario, è il rapporto tra i modelli di
PPP e le regole del mercato, alias della concorrenza. La questione non è affatto banale, prima di tutto, perché tutte le norme comunitarie sono serventi alla
creazione di un mercato unico, che deve essere più efficiente e concorrenziale
e, poi, perché se il mercato fosse un mercato già pienamente concorrenziale,
non ci sarebbe – forse – bisogno di imporre nuove regole. Alternativamente,
le eventuali regole potrebbero essere introdotte solo per correggere eventuali
“fallimenti del mercato” – quali, ad esempio, la necessità di introdurre contributi
pubblici a sostegno di attività necessarie, ma non efficienti dal punto di vista economico. In altre parole, la corretta modulazione dell’intervento comunitario non può prescindere dalla precisa individuazione del mercato rilevante e delle sue dinamiche intrinseche.
13 Esempio emblematico è rappresentato dall’art. 143 del Codice dei contratti pubblici, il cui comma 8 consente di rinegoziare le clausole del contratto ove siano intervenuti eventi che non consentono di mantenere l’equilibrio economico-finanziario
dell’operazione cui il contratto è finalizzato.
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Questo insieme di questioni - solo accennate - rappresenta alcune dei nuovi
temi di grande interesse, oggi, a livello di appalti, perché ormai – a mio avviso
– quelli più tradizionali sono già stati affrontati più volte: questi sono tutti riconducibili al mutato assetto dei ruoli tra la pubblica amministrazione, che sempre
più invade il campo tradizionalmente proprio del privato, e del privato, al quale è sempre più di sovente richiesto di svolgere attività storicamente proprie
dell’amministrazione.
Passando, ora, alla trattazione - sempre solo per sommi capi - del c.d. PPP istituzionalizzato, un tema controverso è rappresentato dalla creazione delle entità
ad hoc. In merito, a livello comunitario, vige la più ampia libertà di scelta: non c’è
nessuna norma che ne vieti la costituzione, né che la imponga. L’unico caveat è
che, qualunque sia la scelta effettuata, la si realizzi in coerenza con le norme ed
i principi fondamentali del Trattato CE e che, se così facendo, si costituisce un
soggetto qualificabile come stazione appaltante, quest’ultima agisca attraverso
procedure competitive, ai sensi della normativa in materia di appalti pubblici.
In questo contesto, si inserisce la scelta del partner privato: questi deve essere selezionato attraverso una procedura di evidenza pubblica, che utilizzi come
criterio di aggiudicazione quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
perché, in tale caso, non siamo solo di fronte ad una questione di prezzo, rectius
di offerta più bassa. Ove il soggetto privato assuma il ruolo di finanziatore e di
gestore, il criterio del prezzo più basso non rende giustizia delle competenze necessarie per la corretta gestione delle attività incardinate in questo tipo di entità.
Un esempio di queste modalità di selezione è rappresentato dall’art. 113, comma 5, del D. Lgs. 267/2000 (il c.d. testo unico degli enti locali, o “TUEL”), il quale
prevede che la scelta del socio privato debba essere fatta con gara ad evidenza
pubblica e fornisce - per lo svolgimento della gara stessa - criteri di qualità, sicurezza, investimenti ed efficienza della gestione, oltre alle condizioni economiche
e di prestazione del servizio14. Quest’approccio era poco in linea con il regime
giuridico vigente in Italia - per gli appalti di lavori - prima della nota sentenza
comunitaria “Sintesi”15, che ha sancito che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ha identica dignità giuridica di quello del prezzo più basso.
Peraltro, in molti casi, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa
14 Il comma 7 dell’art. 113, secondo e terzo periodo, che forniva i suddetti criteri, è stato
dichiarato incostituzionale - in relazione ai criteri di ripartizione delle competenze
Stato-regioni - dalla Corte costituzionale con sentenza del 13-27 luglio 2004, n. 272.
15 Corte, sentenza del 7 ottobre 2004, causa C-247/02.
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è l’unico che consente di apprezzare veramente il patrimonio pubblico – ossia
l’attività per cui è stata creata l’entità – a scapito di mere operazioni finanziarie.
In altre parole, il perseguimento dell’interesse pubblico passa anche per la scelta
del corretto e più adeguato criterio di aggiudicazione del contratto.
A questo stesso risultato, a mio avviso, si arriva anche attraverso un’altra
considerazione: in genere, le società si costituiscono con soggetti che
non solo ricercano il lucro, ma perseguono lo stesso interesse, lo stesso
obiettivo. Se manca quest’elemento fondamentale e se il motivo per cui la
pubblica amministrazione ricerca il socio privato è solo perché non ha i soldi
o perché non ha l’expertise, allora sarebbe meglio procurarsi – anche alternativamente – gli stessi elementi attraverso una semplice gara di servizi. Tra l’altro,
collegata a questa problematica, c’è una delle quattro libertà fondamentali del
Trattato CE, che è stata, sinora, la meno analizzata: segnatamente, la libertà dei
capitali16.
Quando si seleziona un soggetto privato perché entri a far parte di una compagine pubblica, finanziandone – in parte – le attività, a parte l’emblematico caso
della c.d. Golden Share, occorre assicurarsi che non si stia creando una barriera
alla libera circolazione dei capitali. Infatti, l’Avvocato Generale Poiares Maduro
nel caso AEM17, relativo alla società municipalizzata di Milano, ha evidenziato
come la presenza di capitale pubblico imponga certe condizioni specifiche per
la ricerca del socio privato - a tutela della concorrenza e del mercato -, e come
qualsiasi condizione di privilegio a vantaggio del socio pubblico - anche se decisa dall’amministrazione nella sua qualità di azionista - violi il principio della
libera circolazione dei capitali.
Altra delicata questione è quella dell’acquisizione del controllo - da parte di un
privato - sull’entità pubblica. Di nuovo, la normativa comunitaria non impone
limitazioni di alcun tipo: l’importante è che sia garantito il rispetto del principio
di trasparenza e degli altri principi fondamentali indicati dal Trattato CE.
Ciò detto, spesso avviene – e questo è certamente illegittimo alla
luce del diritto comunitario – che operazioni di aumento del capitale
siano strumentalmente utilizzate per nascondere l’affidamento diretto – ossia senza gara – di contratti di concessione o di appalti pubblici. In altre parole, è in chiara violazione del diritto comunitario l’acquisto – seppure, di per sé, lecito – di una parte dell’azionariato
16 Artt. 56-60 del Trattato CE.
17 Cause riunite C-463/04 e C-464/04.
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di una certa società in mano pubblica, che, con una pura operazione
societario-finanziaria, comporti l’acquisto anche del diritto di svolgere tutti
i contratti di concessione e gli appalti pubblici che, di converso, la società dovrebbe correttamente affidare attraverso una procedura competitiva,
nonché delle attività che sono state affidate alla società stessa sulla base
della sua natura totalmente pubblica. Con questo modus operandi si crea
un “collo di bottiglia” che non apre alla concorrenza il mercato dei contratti
a valle.
Questi brevi cenni danno contezza di un panorama di questioni ricco, complesso ed abbastanza confuso. A riprova di ciò, la consultazione lanciata dalla Commissione sul Libro Verde è stata vastissima: la Commissione ha ricevuto più di
300 risposte, di cui alcune molto articolate ed interessanti. Non solo. La vasta
consultazione ha anche prodotto un risultato che nessuno si sarebbe aspettato:
l’espresso invito alla Commissione di legiferare in materia di concessioni. Realisticamente, per coloro che hanno dimestichezza con questa tematica, si è trattato di un vero shock, poiché, a livello di norme comunitarie, le concessioni sono
ben definite, anche se sulle procedure di affidamento possono rilevarsi posizioni
discordanti.
Semmai, un intervento più robusto sarebbe stato auspicabile per le concessioni
di servizi – ambito in cui proliferano i modelli di PPP – che non sono, a tutt’oggi, ancora regolate, seppure le Direttive del 2004, per la prima volta, ne offrano
una consona definizione. Un risultato in tal senso non sarebbe assolutamente
da considerarsi scontato, poiché le concessioni di servizi dovevano già essere
contemplate nella Direttiva 92/50, ossia la direttiva in materia di appalti di servizi vigente prima dell’entrata in vigore della Direttiva 2004/18. In quel caso, ci
furono alcuni paesi - tra cui la Germania - che si opposero, evidenziando come
la presenza di una legislazione domestica fortemente distonica da Stato a Stato
non permettesse l’armonizzazione di questo istituto a livello comunitario.
La stessa situazione si è ripetuta durante la negoziazione sulle Direttive del 2004,
dove si arrivò ad un compromesso al ribasso per cui le concessioni di servizi
furono definite - non potendo le direttive non prendere atto di un diffuso fenomeno -, ma non regolamentate dal punto di vista procedurale. Sul punto, il
legislatore italiano ha fatto una scelta sui generis: le definisce all’articolo 3, comma 12, del Codice dei contratti pubblici per poi, nell’articolo 30 dello stesso testo, invitare le amministrazioni, al momento dell’affidamento, ad usare i principi
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generali18 del Trattato CE, senza chiarire quale procedura seguire - salvo pochi
cenni sul numero dei candidati da invitare -, o se esistano - come dovrebbe ragionevolmente essere - delle distinzioni da fare per i contratti di valore inferiore
alla soglia comunitaria.
A livello comunitario, in risposta al Libro Verde, si nutrivano ragionevoli aspettative sul fatto che la Commissione sarebbe intervenuta solo sulla questione
delle soglie, mentre più incisivo, ci si aspettava, avrebbe dovuto essere l’intervento comunitario sul PPP istituzionalizzato. Di converso, nulla è stato detto in
merito. Questo è un silenzio che potremmo definire “politico”. L’esigenza giuridica di regolamentare il PPP istituzionalizzato è molto sentita e comprovata
dalla rilevante giurisprudenza della Corte sul tema. Ciò detto, la Commissione
è, al momento, ingaggiata in una battaglia molto delicata sui servizi di interesse
economico generale – cioè, i servizi pubblici locali, per noi italiani – che, come
noto, rappresentano il principale mercato d’applicazione dei modelli di PPP istituzionalizzato. Gli Stati Membri non intendono consentire alla Commissione di
intervenire su queste questioni e tali obiezioni spiegano perché l’intervento sul
tema non sia stato avocato in termini più robusti nelle risposte al Libro Verde.
A valle della divulgazione delle risposte al Libro Verde, ci si aspettava che, entro novembre dell’anno scorso, la Commissione presentasse la bozza di nuova
direttiva sulle concessioni, in merito alla quale erano anche già circolate alcune
informazioni ufficiose. Invece, il 16 ottobre 2007, avviene un clamoroso colpo
di scena, ossia la relazione del Parlamento europeo su PPP e diritto comunitario
in materia di appalti pubblici e concessioni19. Come noto, in questa relazione, il
Parlamento critica fortemente l’operato della Commissione nel settore del PPP.
Quest’intervento, ma soprattutto le conseguenze che ha avuto, sono sintomatiche della crisi che le istituzioni comunitarie stanno vivendo. Storicamente, il Parlamento europeo era l‘istituzione europea più debole,
certamente non in grado di mettere in imbarazzo, o addirittura bloccare, la
Commissione. Oggi le cose sono molto diverse: dopo il tragico fallimento della
Costituzione europea, gli equilibri, il c.d. sistema di “check & balance”, il sistema
montesquiano di equilibri fra potere esecutivo, legislativo e giurisdizionale, a
18 Parità di trattamento: C-20/01 Commissione/Germania, C-340/02 Commissione/
Francia. Trasparenza: C-324/98 “Telaustria”. Proporzionalità: C-327/00 “Santex” e
C-21/03 “Fabricom”. Riconoscimento reciproco: C-225/98 Commissione/Francia e
C-489/06 Commissione/Grecia, pendente.
19 Relazione A6-0363/2006-final. Relatrice: Barbara Weller (PSE).
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livello comunitario, è diventato molto delicato e precario. Il Parlamento si può
permettere di incalzare la Commissione e chiedere conto del suo operato. Il risultato è stato che la ventilata bozza di direttiva sulla concessione non è mai
stata fatta circolare ufficialmente. Occorre notare che la relatrice al Parlamento
è una signora tedesca, che espone una serie di concetti che rappresentano non
solo la visione dei suoi colleghi parlamentari, ma anche, e direi soprattutto, quella del suo paese.
La lista delle osservazioni è abbastanza imbarazzante, tant’è vero che la Commissione adesso è in uno stallo su queste materie. Prima di tutto, la relazione invita
a non estendere il regime delle direttive in materia di appalti alle concessioni.
In secondo luogo, indica la contrarietà del Parlamento a creare una legislazione
ad hoc sul PPP, che comporterebbe il rischio di partorire un “mostro giuridico”.
La relazione ritiene che la produzione normativa autonoma in materia di concessioni, coerente con i principi generali del Trattato CE e che identifichi i valori
delle soglie di applicazione, in maniera tale da consentire un ambito di sotto
soglia assolutamente libero, sia uno strumento migliore. È, inoltre, segnalata
l’importanza di un chiarimento in merito ai PPP cosiddetti istituzionali.
La relazione evidenzia anche la necessità di una migliore definizione delle concessioni, vale a dire di un chiarimento sulla distinzione tra gli affidamenti che
ricadono nell’ambito delle concessioni e quelli che sono, piuttosto, configurabili
come appalti. La comunicazione della Commissione dell’aprile 200020 sulle concessioni ha lasciato sul campo molti dubbi e lacune, le quali, soprattutto oggi,
sono più stringenti: se si presta attenzione a come sono applicate le indicazioni
fornite in materia di concessioni e sulle modalità esecutive di alcuni contratti, è
inevitabile domandarsi se valgano ancora i medesimi principi. In realtà, un solo
principio deve sempre valere e costituire una guida sicura in questo campo:
quello dell’assunzione dell’alea commerciale.
Se si procede ad una lettura economica e teleologica dei contratti - specialmente
di quelli attualmente riscontrabili sul mercato italiano -, si rileva che, molto spesso, si tratta di contratti che solo formalmente sono assimilabili ad una concessione, ma la cui reale natura è di semplice appalto, il cui pagamento è spalmato
nel tempo. Non si tratta di contratti di leasing, né di locazioni, ma, unicamente,
di appalti pagati nel tempo. Il classico esempio è rinvenibile in quella forma di
20 Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario, G.U.U.E. C 121 del 29.4.2000.
- 83 -
affitto rappresentata dall’availability charge21. Secondo tale metodologia - utilizzata, solitamente, per opere non suscettibili di gestione commerciale, o la cui
gestione non produce flussi di cassa sufficienti -, l’amministrazione paga in relazione all’effettiva disponibilità dell’opera, quindi, di fatto, proroga il pagamento
a dopo la conclusione dei lavori, ma senza che tale proroga costituisca un rischio
commerciale per il “concessionario”.
Per comprendere le ragioni che conducono le amministrazioni a cimentarsi in
tali imprese occorre fare riferimento alle già citate circostanze di finanza pubblica, all’eccessivo indebitamento – in particolare nel nostro paese –, agli oneri
del Patto di stabilità, ecc. In Italia abbiamo, oltretutto, delle norme che, non contemplando una valutazione intergenerazionale sul costo di questi investimenti,
agevolano atteggiamenti “dilatori”. L’analisi dei costi/benefici è eseguita al momento dell’aggiudicazione, mentre sarebbe più logico parametrarla prospetticamente, al tempo di esecuzione del contratto.
Tornando alla relazione, occorre notare che il Parlamento avanza,
altresì, la richiesta di “chiarire” – ma, in realtà, di ampliare – la nozione ed
i requisiti dell’in house derivanti dalla giurisprudenza della Corte, in
particolare, del controllo analogo. A tale proposito, occorre evidenziare che la giurisprudenza italiana ha fino ad oggi risposto agli interrogativi sollevati circa la definizione delle condizioni identificative del controllo analogo in modo piuttosto
contraddittorio: ci sono stati passi avanti e passi indietro e, se in Italia i tribunali amministrativi hanno detto di tutto e di più, il legislatore non ha di certo contribuito a
costituire argini adeguati allo sviluppo di un tema divenuto oggi alquanto spinoso.
Anticipando alcune considerazioni, rispetto all’analisi di specifici modelli nazionali in uso, preme sottolineare che uno dei punti fondamentali da inquadrare
è che si tratta chiaramente di attività di frontiera, molto aperte, sicuramente
importanti e dove c’è sostanzialmente una forte incertezza del diritto. Il vero
tema è che non c’è mercato che funzioni quando c’è l’incertezza della regola. La
regola serve perché deve definire con chiarezza i comportamenti e le relazioni
che ne conseguono.
Infine, la relazione segnala la necessità di delimitare con maggiore precisione il
confine tra misure di organizzazione interna all’amministrazione e contratti.
In conclusione, occorre sottolineare la matrice “nazionale” della relazione presentata al Parlamento dalla relatrice tedesca, soprattutto su questi ultimi due
temi. La Germania sta, attualmente, portando avanti due grandi offensive, che si
21 Il c.d. “canone di disponibilità”.
- 84 -
riflettono nella relazione. Una è volta ad ampliare la nozione di in house, per ricomprendervi anche le società miste, e l’altra mira ad affermare, in coerenza con
l’organizzazione costituzionale a stato federale della Germania, che la delega di
attività da un’amministrazione ad un’altra - anche laddove si tratti di organismi
di diritto pubblico e non di vere e proprie amministrazioni -, non realizza una
fattispecie contrattuale ed è, quindi, esclusa - in ogni caso - dalla normativa in
materia di appalti pubblici.
Questo ragionamento confonde due piani: il piano soggettivo, cioè l’identificazione dei soggetti coinvolti, e quello oggettivo, ossia l’individuazione del
contratto. Le norme sugli appalti possono essere divise in due fasi applicative
autonome, prima si identificano le parti, poi il contratto. Le autorità tedesche,
di converso, non considerano rilevante il contratto, ma unicamente il fatto che
l’azione si realizzi internamente all’amministrazione, anche se tra due amministrazioni differenti.
La Corte ha sistematicamente dato torto alla Germania, sulla base, in realtà, di
una sentenza spagnola: Commissione contro Spagna22. Ove ci si appassionasse
al tema, occorrerebbe leggere tale sentenza perché è molto interessante, non
tanto per quanto riguarda la conclusione della Corte, che è abbastanza scontata, bensì per gli argomenti difensivi svolti dallo Stato spagnolo. Questo ritiene
che il proprio diritto amministrativo interno consenta di stipulare contratti amministrativi fra pubbliche amministrazioni, che tali atti non siano da ricondurre
a veri e propri contratti e che ad essi, pertanto, non si possano applicare le norme sugli appalti pubblici. La Corte controbatte affermando che, laddove non
sussista, come accade nel caso dell’in house, una identità di volontà negoziale,
ovvero laddove il rapporto, a titolo oneroso, intercorra tra due soggetti distinti
- de jure e de facto -, esiste un contratto che rientra pienamente nell’ambito
di applicazione della normativa in materia di appalti, indipendentemente dalla
circostanza che entrambi i soggetti siano qualificabili come amministrazioni
aggiudicatrici. La questione affrontata dalla citata sentenza interviene su un
problema spinoso perché, come si può capire, insiste sulla competenza degli
Stati membri in termini di organizzazione ed operatività dell’amministrazione
e delle sue articolazioni.
A testimonianza della delicatezza dei temi in esame - che riflettono, tra l’altro, la complessità dei rapporti tra le istituzioni comunitarie e gli Stati membri
- depone il fatto che per la prima volta, l’autunno scorso, la Germania abbia fat22 Sentenza C-84/03 del 13 gennaio 2005.
- 85 -
to ricorso alla Corte contro una comunicazione della Commissione europea23,
la quale, come tutte le comunicazioni, non ha, come noto, valore giuridico
cogente, ma unicamente una portata interpretativa, ossia limitata alla mera
dichiarazione della prassi seguita dalla Commissione e rinvenibile nella
giurisprudenza della Corte.
La comunicazione oggetto del ricorso della Germania riguarda gli appalti esclusi dall’applicazione delle direttive, ovvero gli appalti sotto soglia,
quelli cui le norme delle direttive si applicano solo limitatamente – come,
ad esempio, nel caso dei servizi c.d. non prioritari, di cui all’allegato II
B della direttiva – e quelli esclusi in virtù di specifiche eccezioni. Una comunicazione particolarmente ben fatta, in cui si può ritrovare l’insieme dei principi della giurisprudenza comunitaria riguardanti queste tematiche. Avverso di essa la Germania ha proposto ricorso ritenendo che
la Commissione abbia travalicato i propri limiti interpretativi, stabilendo, in
realtà dei nuovi principi in materia.
A seguito della relazione del Parlamento che, tra le altre cose di cui si è detto, auspicava lo svolgimento di una dettagliata analisi d’impatto sul mercato di
una futura regolamentazione comunitaria sui temi discussi, la Commissione ha
lanciato un’ampia valutazione, in tutti gli Stati membri, sulle attuali modalità di
ricorso agli strumenti di PPP ed alle concessioni.
Nella tabella che segue sono riportati alcuni dati emersi da tale valutazione24, segnatamente, si tratta di un censimento degli strumenti usati in alcuni
paesi europei per la realizzazione di grandi infrastrutture. Il ventaglio delle tipologie è ampio: ci sono concessioni, appalti, partenariati istituzionali, operational management, ovvero contratti a valle soltanto di gestione
ed il “contratto di partenariato”, di cui si parlerà in seguito, ideato in Francia.
Si può osservare che, nell’utilizzo di una tal congerie, abbastanza complessa, di modalità, lo spread tra i paesi è molto diverso. È da notare che, dal
confronto con gli altri, il nostro paese esce fuori piuttosto bene, mostrando
una situazione abbastanza equilibrata, nonostante ciò valga limitatamente ai settori considerati, forse non i più rappresentativi da noi, segnatamente: trasporto, trasporto pubblico locale, acqua, social housing ed ospedali.
23 Comunicazione interpretativa della Commissione, del 23 giugno 2006, relativa al diritto comunitario applicabile all’aggiudicazione di appalti non, o solo parzialmente,
disciplinati dalle direttive “appalti pubblici”, GUUE C179 del 1.8.2006.
24 First draft report- Revised November 2006 MARKT/2005/09/C.
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TIPOLOGIE CONTRATTUALI
Stato
Conces- Appalto
sione
Repubblica Ceca
Francia
Germania
Italia
Polonia
Spagna
UK
Totale
6
8
9
7
4
13
12
59
7
IPPP
Management &
operation contract
Contrat de Totale
partenariat
3
1
9
5
2
3
3
1
23
4
14
1
2
3
1
16
9
22
15
9
13
16
100
Fonte: First draft report-Revised November 2006 MARKT/2005/09/C
Nella tabella successiva è riportato il giudizio, espresso da alcuni paesi europei,
circa l’impatto che avrebbe, sul sistema del PPP interno, una iniziativa legislativa, oppure una comunicazione interpretativa in materia di concessioni. Rispetto
ad un insieme di risposte molto variegate, si può osservare quanto precedentemente già segnalato, ossia che nei paesi con capacità propria di legiferare o,
comunque, di elaborare modelli nuovi, come, per esempio, l’Inghilterra, non si
avverte il bisogno di queste norme.
Di contro, ci sono paesi in fase di stallo, come la Francia, attestati su una linea che potremmo chiamare di “bilanciamento”. Ci sono, infine, paesi, come
la Germania, che - preferendo mantenere una posizione fortemente conservativa delle proprie prerogative ed esigenze - esprimono una grande diffidenza nei confronti di qualsiasi intervento a livello comunitario su temi
così delicati. Da segnalare, altresì, la posizione italiana, che appare “indifferente” rispetto alla possibilità di un’iniziativa comunitaria, probabilmente ritenendo già sufficientemente sviluppato il proprio sistema interno.
Stato
Repubblica Ceca
Francia
Germania
Italia
Polonia
Spagna
UK
Media
Nessun impatto
60%
50%
67%
100%
80%
67%
75%
72%
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Impatto positivo
40%
50%
33%
20%
33%
25%
28%
3. Alcune esperienze pratiche
Venendo all’esame di alcune esperienze pratiche, ci si propone di illustrare gli
strumenti adottati in un ristretto campione di Stati fondatori della Comunità
Europea – quali Francia e Germania – o che vi hanno aderito successivamente
– l’Austria – scelti, come precedentemente accennato, per le peculiarità, anche
sorprendenti, che offrono.
Francia
L’esperienza francese può essere considerata affascinante perchè è un esempio
di nemesi storica. Gli inglesi hanno lanciato il già citato PFI, usando sostanzialmente un contratto di concessione e chiamandolo BOT - ovvero Build, Operate
and Transfer -, proprio a causa del fatto che nel diritto inglese non esiste la concessione. Ciò detto, analizzando questo contratto ci si avvede che, a prescindere
dal nomen juris, proprio di concessione si tratta.
I francesi, dopo molti anni - quasi quindici - di PFI, dicono di voler riprodurre il
modello inglese. Tuttavia, i francesi non si risolvono a dotarsi, a tal fine, di un
semplice contratto di concessione, ma, nel 2004, elaborano un nuovo istituto,
segnatamente il contratto di partenariato (“Contrat de partenariat”), ossia un
contratto di diritto amministrativo.
Si osservi che le situazioni in cui è fruibile il Contrat de partenariat sono, propriamente, ipotesi, per così dire, di frontiera. Sostanzialmente, si tratta di un
contratto misto, - comprensivo, secondo i casi, di progettazione, costruzione,
manutenzione, gestione e prestazioni accessorie all’esercizio di servizi - con una
speciale vocazione a disporsi al servizio dei soggetti pubblici locali e dedicato
alla gestione di quegli elementi di difficoltà tipici degli affidamenti nell’ambito
dei servizi pubblici o, comunque, agli affidamenti connotati da condizioni di
particolare complessità od urgenza. È, pertanto, d’obbligo che la sua attivazione sia sempre preceduta da un PSC e, ai fini del suo corretto sviluppo, la
legge istitutiva del Contrat de partenariat ha disposto, tra l’altro, la creazione
di un’unità tecnica simile alla task force del PFI.
Dal punto di vista giuridico, il Contrat de partenariat è chiaramente un modello di partenariato, contraddistinto da una durata lunga - 20-30 anni -, funzione
della prevista capacità di ammortamento del progetto e delle modalità di reperimento delle risorse finanziarie sul mercato. Di speciale interesse, ai sensi delle
considerazioni generali precedentemente svolte, è l’aspetto della remunerazio- 88 -
ne. Questa è determinata principalmente in funzione della qualità del servizio
(performance) ed è, poi, “spalmata” sulla durata del contratto. L’assenza, in tutta
la normativa rilevante, di ogni menzione dell’alea commerciale e la riduzione del
contesto remunerativo a questione di qualità e performance, produce precisi riflessi di ordine qualificatorio, ossia: tanto basta a stabilire che non si tratta di una
concessione. Sebbene quest’ultima fosse, ragionevolmente, il modello giuridico
cui si sarebbero dovuti ispirare i francesi, il Contrat de partenariat non configura
una concessione, né un appalto puro ma, piuttosto, un istituto che si trova in un
limbo giuridico, similmente al nostro general contractor, cioè l’istituto in cui un
soggetto realizza “con qualunque mezzo” l’opera pubblica e la finanzia.
Di ulteriore interesse è che i francesi per la procedura di aggiudicazione si riferiscono, di fatto, al dialogo competitivo, pur non menzionando esplicitamente
tale istituto. Anzi, non elaborano alcuna definizione e, sostenendo che si tratti
di una nuova procedura, semplicemente definita come procedura per l’aggiudicazione. Altra cosa straordinaria, specialmente per la sua ispirazione al modello
inglese, è che i francesi, nella legge, dettano una serie di clausole contrattuali
obbligatorie. Ciò contrasta con l’elementare dato di fatto che non c’è una legge
in Inghilterra che detti clausole obbligatorie per questi tipi di contratti - né più
in generale - e rafforza una sensazione di confusione in chi si cimenti sul tema di
cosa esattamente abbiano voluto realizzare in Francia.
Ultima cosa interessante è che, contrariamente a quello che ha fatto il legislatore
italiano, il legislatore francese si è occupato di questioni ancillari, in particolare
della disciplina dei diritti reali connessi al contratto. La cessione dei diritti reali
che interessano l’infrastruttura che deve essere realizzata è, infatti, attentamente regolata, con una logica abbastanza innovativa.
In ogni caso, in una valutazione generale su questo istituto, occorre senz’altro
apprezzare la previsione di un preliminare studio approfondito dell’intervento
- quello che in Italia compete alla programmazione - definito PSC, sempre in formale omaggio al modello inglese. Occorre, di contro, segnalare che lo strumento offerto non è affatto uno strumento flessibile, e che, se addirittura si avvale
di una legge in cui sono indicate dettagliatamente le clausole contrattuali, ciò
non può essere che a sacrificio della flessibilità. Si segnala inoltre, che alla felice
previsione dell’obbligo di ripartire i rischi tra pubblico e privato nella logica della
loro migliore sostenibilità, non corrisponde, purtroppo, alcuna previsione circa
la metodologia atta a darvi adempimento. Per quanto riguarda l’indicazione –
tra gli asseriti vantaggi del Contrat de partenariat – di una maggiore prevedibi- 89 -
lità finanziaria dovuta alla redazione molto dettagliata del contratto, ciò è vero
solo in parte. Per una banca, ad esempio, l’estrema prescrittività delle norme,
anche contrattuali, costituisce un ostacolo ad una modulazione del finanziamento maggiormente in linea con le variegate possibilità presenti sul mercato,
che potrebbero rivelarsi più vantaggiose. Occorre, infine, ricordare che il Contrat
de partenariat è stato pensato quale strumento volto a facilitare e velocizzare la
realizzazione dell’opera. Dovrebbe, quindi, essere utilizzato specialmente per i
casi d’urgenza, un po’ come per la procedura negoziata, o, piuttosto, nella logica
di accelerazione che, in Italia, è propria della regolamentazione delle infrastrutture strategiche.
In conclusione, è interessante notare che il nuovo istituto è un modello misto,
che non è stato elaborato da un paese nuovo alle logiche del diritto comunitario, bensì da uno dei paesi fondatori che ha contribuito per primo a creare il
tradizionale contratto di concessione. Evidentemente, per tanti versi, si avverte
ormai la strettoia in cui opera il tradizionale contratto di concessione, ed incalza
l’esigenza di proporre al mercato modalità contrattuali più dinamiche, a rischio
di produrre strumenti distonici rispetto alle norme generali e di difficile inquadramento giuridico.
Germania
La Germania non ha una legislazione federale sul PPP, ma disciplina con legislazione settoriale tutti quegli ambiti - di volta in volta - oggetto di input comunitario, intervenendo, ove costretta, per consentire la realizzazione di infrastrutture
inserite nei TENs (Trans European Networks), per regolamentare lo svolgimento
dei servizi pubblici locali e così via.
Possiamo evidenziare come - anche qui - si faccia, generalmente, ricorso al PSC,
che le pubbliche amministrazioni tedesche utilizzano con un approccio molto
conservativo. I modelli generalmente applicati sono due: quello del promotore/
concessionario25 e quello del general contractor26. La differenza fondamentale
tra i due è che l’uno ha compiti di gestione e l’altro no. Contrariamente ad altri
paesi, il settore in cui il PPP funziona meglio è quello delle scuole; questa è
una particolarità interessante, che merita di essere segnalata. Nel Regno Unito,
quando il PFI cominciò ad essere applicato alle scuole, uno dei problemi fondamentali del settore era quello della dimensione - troppo piccola - delle infra25 Betreibermodelle.
26 Funktionsbauvertrag.
- 90 -
strutture coinvolte: questo non le rendeva attraenti dal punto di vista finanziario
e ciò indusse a ricorrere alla logica del cluster, che consiste nel mettere insieme
tre o quattro operazioni, tutte più o meno simili, in modo tale da raggiungere
una massa critica, ossia una dimensione complessiva, appetibile per il mercato.
Il modello contrattuale generale - utilizzato in Germania - è un modello, peraltro,
molto diverso da quello inglese, od italiano. Le varie ipotesi di PPP interessate
prevedono che la project company, ossia la SPV - la società di progetto in Italia
-, assuma il ruolo di gestore dell’intera operazione: si pone al centro dell’operazione per gestire una serie di contratti differenti.
Il settore in cui le modalità di PPP hanno raggiunto il maggiore sviluppo è quello
autostradale, in cui sono utilizzati due modelli, segnatamente il modello F ed il
modello A. Il modello F è un modello DBFOT - Design, Build, Finance, Operate
and Transfer - introdotto nel 1994, essenzialmente in uso per la costruzione e
gestione di nuove autostrade. Nell’uso di tale modello, è promosso e rafforzato il
ricorso ai capitali privati, ma non è esclusa la possibilità di avvalersi di un contributo pubblico, anche attraverso il ricorso alle c.d. tariffe ombra. Da questo punto
di vista, il modello è abbastanza simile al nostro.
Diverso è il più recente modello A, prima di tutto perché utilizzato esclusivamente per l’ampliamento di autostrade già esistenti, in una logica simile a quella
invalsa nelle autostrade americane, segnatamente con la particolare finalità di
trovare soluzioni al problema dell’attraversamento dei mezzi pesanti sulle autostrade della Germania. In quest’ipotesi, è l’entità del pedaggio dei mezzi pesanti
la principale fonte di finanziamento, secondo una scelta di politica industriale
dovuta al fatto che la Germania sta insistentemente creando dei disincentivi
all’uso della strada nel trasporto merci, a beneficio del trasporto su ferro.
Tale esplicita finalità - volta a diminuire il passaggio dei mezzi pesanti e, quindi,
a contrarre i proventi per il gestore autostradale - sta rendendo, in realtà, poco
attraente per il mercato il ricorso a questa modalità di PPP.
Per far fronte allo scarso interesse verso le modalità di PPP - dovuto anche, come
si è visto, a scelte politiche che non hanno niente a che fare con il PPP -, è stata
adottata una legge che facilita il ricorso a tale tipo di contratti, segnatamente il
“PPP Acceleration Act”27.
Questa iniziativa normativa costituisce uno dei modelli più interessanti attualmente riscontrabili sul mercato. Si occupa di tasse sul trasferimento dei terreni,
27 ÖPP Beschleunigungsgesetz, 2005.
- 91 -
di apertura delle fonti di finanziamento e di tutte quelle questioni, apparentemente ancillari al contratto di appalto, o di concessione, da cui, tuttavia, dipende, concretamente, la buona riuscita dello stesso e la capacità di attrazione nei
confronti del mercato.
Inoltre, è intenzione del nuovo governo della Cancelliera Merkel presentare una
serie di nuove misure, sul PPP, volte a renderne l’uso più agevole e più efficiente.
Tra tali misure figura, ad esempio, quella di migliorare il citato modello F, per
renderlo maggiormente coerente con il modello della concessione, ed eliminare
le distonie nella normativa di settore. Inoltre, sono previste misure volte ad agevolare - anche mediante modifiche di natura fiscale - il ricorso al finanziamento
e le possibilità di investimento, oltreché a consentire il ricorso a procedure di
aggiudicazione più flessibili, quali il dialogo competitivo.
Se un simile approccio fosse stato seguito in Italia, avremmo avuto dei risultati
decisamente migliori28.
Austria
È opportuno un brevissimo accenno anche all’esperienza austriaca ed al settore
autostradale, in particolare.
ASFINAG, il c.d. “gestore” delle autostrade in Austria, è, in realtà, un
concessionario amministrativo. Non ha compiti di vigilanza ed è un soggetto 100% pubblico, che opera sulla base di tariffe fissate dallo Stato. La
qualifica di concessionario, in senso proprio, è esclusa dalla circostanza
che ASFINAG gode di una garanzia statale sulla propria attività concessoria. Ai sensi della Comunicazione della Commissione sulle concessioni29 la
presenza di un’alea commerciale in capo al concessionario e, pertanto, di
una concessione, è esclusa quando sia prevista di una garanzia sovrana. In altre
parole, se è assente l’alea, non c’è concessione. Si noti che in Italia, oggi, non è
consentito stabilire questo tipo di garanzie.
28 L’alta mortalità dei progetti di PPP in Italia è, infatti, dovuta, prevalentemente, alle
rigidità del sistema giuridico italiano, che non consente di sfruttare appieno, anche
sotto il profilo finanziario – ad esempio, mediante garanzie sul cash flow – la redditività del progetto. L’adozione di una legislazione quale quella tedesca - non focalizzata solo sull’aggiudicazione ma, piuttosto, sulla creazione delle condizioni di contesto
adeguate - consentirebbe di risolvere i problemi pratici, contrattuali e finanziari, di
questo tipo di operazioni.
29 Nota n. 10 della Comunicazione interpretativa, citata alla nota 20 del presente testo.
- 92 -
Peraltro, la presenza di una vera e propria concessione è, altresì, dubbia, in relazione alle concessioni – o sub concessioni – affidate dalla stessa ASFINAG. Ad
esempio, quanto mostrato nel grafico che segue è particolarmente significativo,
in riferimento al meccanismo di pagamento utilizzato per uno specifico progetto autostradale, PPP-Projekt Ostregion. La presenza di una availability fee al 70%
evidenzia chiaramente la sostanza del contratto: al di là di qualsiasi denominazione, si tratta chiaramente di un appalto in cui il pagamento è spalmato nel
tempo ed in cui non c’è assunzione di alcun rischio. La previsione di una shadow
toll (tariffa ombra) potrebbe, teoricamente, comportare una valutazione di rischio, perché la stessa è corrisposta, generalmente, a mitigazione del mancato
traffico previsto ma la limitazione dell’incidenza di questo rischio al 30% determina un’alea commerciale, in ogni caso, troppo bassa per qualificare il contratto
come concessione.
Fonte: www.ASFINAG.AT.
Da quanto precede, sono evidenti gli aspetti critici che il sistema autostradale
austriaco presenta, in termini di compatibilità con le norme comunitarie in materia di concessioni e PPP.
Ulteriori indicazioni sullo stato del PPP nei paesi presi a campione si possono trarre
da una serie di sentenze, o di procedimenti d’infrazione, promossi dalla Commissione europea, in particolare contro Germania e Austria, aventi ad oggetto l’ec- 93 -
cessivo ricorso ad affidamenti diretti. Nell’occhio del ciclone è, soprattutto, il fenomeno delle società miste e degli affidamenti in house30. La Commissione contesta
l’impostazione di questi due paesi in materia di organizzazione amministrativa e
di sostanziale esclusione dalle norme in materia di appalti e concessioni ogni volta
che siano coinvolti i rapporti tra entità aggiudicatrici. In sostanza, Germania ed
Austria rivendicano la libertà di ciascuno Stato di organizzarsi al proprio interno
- anche mediante le più diverse forme giuridiche, totalmente pubbliche o miste
- senza che ciò possa essere disciplinato dalle norme comunitarie e, quindi, estendendo la formula dell’in house a qualsiasi situazione in cui l’affidamento avvenga
nei confronti di un soggetto qualificabile come amministrazione aggiudicatrice,
anche se partecipato da privati. La Commissione, in quasi tutti i casi, ha chiuso i
procedimenti solo quando le amministrazioni coinvolte hanno interrotto l’esecuzione del rapporto e hanno indetto una nuova gara.
Un risultato da registrare a tale proposito - peraltro tipico in casi di contenzioso
ricorrente - è che, in un contesto del genere - che non garantisce la basilare certezza nell’esecuzione del contratto - si introduce un forte elemento di sfiducia
da parte dei finanziatori, che non saranno interessati a tali operazioni.
Da un simile stato di incertezza - che comporta un’ulteriore riduzione
della fiducia del mercato in questi contratti, e in generale, nel concetto
stesso di “partenariato” - non è immune il segmento del partenariato pubblicopubblico anch’esso, come accennato, frequentemente oggetto di contenzioso
comunitario31.
4. Conclusioni
Si può concludere con due osservazioni. In parte, i modelli contrattuali in uso
sono, bene o male, gli stessi, non c’è, in fondo, questa gran differenza tra i vari
Stati membri. Si è, tuttavia, tralasciato, qui, di sviluppare un’analisi sui nuovi paesi dell’Est, che, probabilmente, sono i più innovativi. Tale analisi non potrebbe
30 A titolo di esempio: sentenza “Stadt Halle” (C26/03, 11.01.2005); sentenza “Mödling”
(C-29/04, 10.11.2005); procedimento d’infrazione sul caso dello smaltimento rifiuti
città di Hartberg e Kapfenberg (comunicato stampa IP 06/1786, 13.12.2006).
31 Vedi: caso Commissione/Germania (C-480/06, pendente); procedimento d’infrazione
sul caso trattamento acque Amburgo (comunicato stampa IP 05/949, 15.07.2005);
procedimento d’infrazione sul caso smaltimento rifiuti Zweckverband (comunicato
stampa IP 07/357, 21.03.2007).
- 94 -
non tenere conto del differente e specifico problema che tali paesi hanno di
fronte, e che consiste nel dover creare le condizioni per un mercato. Ad esempio,
i Polacchi hanno da poco adottato un PPP ACT32, ottima legge-quadro, peccato
che molte delle norme di applicazione siano destinate ad essere introdotte attraverso regolamenti, il che può prefigurare una fase futura di difficile gestione.
In tal senso depone il messaggio che il governo stesso ha dato, quando ha lanciato questo strumento: lo stesso ha già ammesso possibili difficoltà nell’applicazione pratica.
Tutti i paesi dell’Unione, chi più chi meno, stanno, dunque, facendo le stesse cose,
seguendo, grosso modo, le stesse regole e riscontrando gli stessi limiti e gli stessi
vantaggi. Emerge, in particolare, la forte enfasi sulla programmazione. Occorre,
tuttavia, acquisire piena consapevolezza del fatto che gli strumenti, alla fine, funzionano soltanto se l’amministrazione è forte e capace di gestire e regolare l’intero
processo, dalla fase programmatoria all’esecuzione. Purtroppo, da questo punto di vista, le norme sugli appalti pubblici sono norme deficitarie, perché sono,
essenzialmente, di stretta procedura: norme restrittive che vincolano ad una
procedura, ma non prescrivono - in positivo - né cosa fare prima, né cosa fare
in fase d’esecuzione del contratto. Il nostro Codice dei contratti pubblici prova
a dire qualcosa sulla fase d’esecuzione, ma risulta essere un tentativo ancora
immaturo.
Gli strumenti sono tantissimi e tutti i giorni nascono nuove idee, che scontano,
però, il rischio di operare in un quadro giuridico non chiaro e che rischia di alimentare il classico rischio amministrativo. Permane, dunque, un contesto in cui
gli operatori devono assumersi forti rischi, il che comporta costi superiori per il
soggetto pubblico e non garantisce, in ogni caso, la buona riuscita del progetto.
Intorno al proliferare di molte leggi di settore, dovute anche a norme comunitarie, le esperienze più nuove sono quelle che perseguono un approccio globale,
come, per esempio, sta facendo il governo tedesco. La sua attività di revisione
legislativa si è focalizzata sulle tasse, sull’eliminazione dei “colli di bottiglia”, sul
recepimento di best practice. L’approccio tedesco comprova la vera natura di
questa materia: è uno swinging pendulum, un pendolo che va avanti e indietro.
In origine, era un contratto, soggetto a norme contrattuali. È stata poi, a forza,
inserita dentro il sistema appaltistico e adesso, gradatamente, ne sta uscendo.
32 Public Bidding Law Act of 29 January 2004 (Journal of Laws No. 19, item 177 with subsequent amendments).
- 95 -
Tutti gli interventi legislativi più interessanti in questo settore non sono in materia di appalti e di diritto amministrativo, bensì - ed è bene ribadirlo - riguardano
gli aspetti fiscali, i modelli contrattuali, l’alienazione di diritti, ecc. Il pendolo sta
ritornando indietro: torniamo ad un regime più privatistico della materia, nonostante sussista sempre la specifica difficoltà costituita dall’oggetto del contratto,
segnatamente la realizzazione di un’infrastruttura pubblica o la fornitura di un
servizio pubblico.
- 96 -
APPENDICE
Sul sito web dell’Osservatorio di diritto comunitario e nazionale sugli appalti
pubblici www.jus.unitn.it/appalti sono disponibili gli atti, le sentenze e le disposizioni normative commentate nel corso della VI ed. dei Seminari.
Principali atti delle Istituzioni comunitarie
Disponibili all’indirizzo http://www.jus.unitn.it/appalti/normativa/eu/
home.html
- Comunicazione interpretativa della Commissione del 23 giugno 2006, relativa al diritto comunitario applicabile all’aggiudicazione degli appalti non, o solo parzialmente,
disciplinati dalle direttive “appalti pubblici”, in G.U.U.E. C 179 dell’1 agosto 2006
- Note esplicative della Commissione in tema di dialogo competitivo, CC/2005/04 FR
del 5 ottobre 2005
- Comunicazione del 15 novembre 2005 sui partenariati pubblico privati ed il diritto
comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni, COM/2005/569
- Comunicazione del 15 novembre 2005 recante il Rapporto sulla consultazione pubblica sul Libro verde relativo ai partenariati pubblico privati ed al diritto comunitario
degli appalti pubblici e delle concessioni, COM/2005/629
- Libro Verde del 30 aprile 2004 sui partenariati pubblico - privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, COM/2004/327 def.
- Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004,
relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, pubblicata in GU L 134 del 30 aprile 2004
- Direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004,
che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia,
degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, pubblicata in GU L
134 del 30 aprile 2004
- Comunicazione del 29 aprile 2000 sulle Concessioni nel diritto comunitario, in
G.U. C 121 del 29 aprile 2000
Giurisprudenza comunitaria
Disponibili all’indirizzo http://www.jus.unitn.it/appalti/giurisprudenza/eu/cge.
html
- Corte di Giustizia, 6 dicembre 2007, C-463/04 – C-464/04, Federconsumatori
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Corte di Giustizia, 3 marzo 2005, C-21/03, Fabricom, p.I-1559
Corte di Giustizia, 14 ottobre 2004, C-340/02, Commissione / Francia, p.I-9845
Corte di Giustizia, 7 ottobre 2004, C-247/02, Sintesi, p.I-9215
Corte di giustizia 10 aprile 2003, C-20/01 e C-28/01, Comm. v. Germania, in Racc. 2003,
p.I-3609
Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, C-327/00, Santex, p.I-1877
Corte di giustizia 13 gennaio 2003, C-84/03, Commissione v. Spagna, in Racc. 2005,
p.I-139
Corte di Giustizia, 7 dicembre 2000 C-324/98, Telaustria, p.I-10745
Corte di Giustizia, 26 settembre 2000, C-225/98, Commissione / Francia , p.I-7445
Corte di Giustizia, 19 aprile 1994, C-331/92, Gestion Hotelera Int. SA, p.I-1329
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COLLANA “QUADERNI DEL CDE”
La collana raccoglie i contribiuti presentati dai relatori ai seminari organizzati dal Centro di documentazione Europea
1. La tutela delle minoranze etnico-linguistiche in relazione alla rappresentanza politica: un’analisi comparata
2. Le professioni turistiche nell’ottica comunitaria
3. Euro: una sfida per la pubblica amministrazione
4. L’accesso ai documenti amministrativi nella prospettiva comunitaria
5. Cooperative, associazioni e mutue nelle normative e nelle politiche della comunità europea
6. Accesso alle fonti informative comunitarie
7. Opportunità di cofinanziamento comunitario nel settore dell’ambiente
8. Documento elettronico e firma digitale
9. Gioventù - il programma Europeo per l’educazione non formale e la mobilità internazionale
10. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
11. Programma comunitario “Cultura 2000”
12. Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato
13. Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell’Unione Europea
14. La produzione della normativa comunitaria
15. Il nuovo Programma Quadro dell’Unione Europea per la ricerca
16. La concorrenza nei servizi pubblici di trasporto
17. Il Libro Bianco sulla Governance Europea: nuove prospettive comunitarie dell’autonomia trentina
18. L’Unione Europea e la “questione regionale”. Quali orientamenti nella Convenzione per una
Costituzione europea?
19. Le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi: processi, prospettive, opportunità
20. Il futuro dell’Unione europea dopo il V allargamento
21. Gli strumenti tematici all’interno delle politiche europee di cooperazione con i paesi terzi
22. Via Claudia Augusta. Sulle tracce degli imperatori
23. Gare d’appalto: come redigere un’offerta e gestire un contratto di finanziamento della
Commissione europea
24. L’energia costa?... Risparmiare si può
25. La tutela del contraente debole nei rapporti tra imprese
26. Società pubblico-private e procedure di affidamento. L’in house alla prova delle regole
comunitarie
27. Strumenti alternativi di partenariato pubblico – privato
Le pubblicazioni sono disponibili su Internet al seguente indirizzo:
http://www.cde.provincia.tn.it, oppure si possono richiedere a:
Provincia Autonoma di Trento,
Centro di Documentazione Europea, via Romagnosi, 9 - 38100 Trento
tel. 0461/495087-88, fax 0461/495095, mailto: [email protected]
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Finito di stampare nel mese di settembre dell’anno 2008
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