“lo stalking”: comparazione tra le diverse esperienze

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“lo stalking”: comparazione tra le diverse esperienze
““LO STALKING”: COMPARAZIONE
TRA LE DIVERSE ESPERIENZE
GIURIDICHE”
PROF. VALERIO IORIO
Università Telematica Pegaso
Lo stalking”: comparazione tra le diverse esperienze
giuridiche
Indice
1
DEFINIZIONE E TERMINOLOGIA-------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.1.
1.2.
2
LEGISLAZIONE NEI PAESI EUROPEI --------------------------------------------------------------------------------- 8
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
2.6.
2.7.
2.8.
2.9.
3
CONVENZIONE DI ISTANBUL ------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
LEGISLAZIONE NEL REGNO UNITO --------------------------------------------------------------------------------------- 13
LEGISLAZIONE IN GERMANIA---------------------------------------------------------------------------------------------- 14
LEGISLAZIONE IN AUSTRIA ------------------------------------------------------------------------------------------------ 14
LEGISLAZIONE IN IRLANDA ------------------------------------------------------------------------------------------------ 15
LEGISLAZIONE IN BELGIO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
LEGISLAZIONE NEI PAESI BASSI------------------------------------------------------------------------------------------- 15
LEGISLAZIONE IN DANIMARCA -------------------------------------------------------------------------------------------- 16
LEGISLAZIONE A MALTA --------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
LEGISLAZIONE NEI PAESI EXTRA EUROPEI --------------------------------------------------------------------- 18
3.1.
3.2 .
3.3.
4
LE PARTI ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
MODUS OPERANDI DELLO STALKER ------------------------------------------------------------------------------- 6
LEGISLAZIONE NEGLI STATI UNITI ---------------------------------------------------------------------------------------- 18
LEGISLAZIONE IN CANADA ------------------------------------------------------------------------------------------------- 19
LEGISLAZIONE IN AUSTRALIA --------------------------------------------------------------------------------------------- 19
LEGISLAZIONE ITALIANA ---------------------------------------------------------------------------------------------- 20
4.1.
4.2.
LA NORMATIVA ANTISTALKING ------------------------------------------------------------------------------------------- 20
INSERIMENTO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO DEL REATO DI ATTI PERSECUTORI - ART. 612 BIS DEL CODICE
PENALE 21
4.3.
IL BENE GIURIDICO TUTELATO --------------------------------------------------------------------------------------------- 22
4.4.
LA CONDOTTA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 23
4.5.
L’EVENTO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24
4.6.
L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO ---------------------------------------------------------------------------------- 24
4.7.
QUESTIONI PROCEDURALI -------------------------------------------------------------------------------------------------- 25
4.8.
LE MISURE PRECAUTELARI PER IL REATO DI ATTI PERSECUTORI ---------------------------------------------------- 26
4.9.
IL GIUDICE COMPETENTE -------------------------------------------------------------------------------------------------- 26
4.10
LE MISURE CAUTELARI PREVISTE PER IL REATO DI ATTI PERSECUTORI E LE ALTRE MISURE APPORTATE DAL
D.L. N°11/2009 CONVERTITO, CON MODIFICHE DALLA LEGGE 38/2009. ------------------------------------------------------- 27
4.11
L’AMMONIMENTO - ART. 8 DECRETO LEGGE N. 11 DEL 2009 CONVERTITO DALLA LEGGE N. 38 DEL 2009. -- 33
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 36
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 37
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Definizione e terminologia
Con il termine inglese stalking, suggerito per la prima volta dalla letteratura scientifica
specializzata in tema di molestie assillanti, s’intende una costellazione di comportamenti tramite i
quali un individuo affligge un altro con intrusioni, comunicazioni ripetute e indesiderate tali da
provocargli timore per la propria incolumità . Per di più questa definizione richiede una persistenza
del comportamento di almeno un mese.
Da un punto di vista etimologico, il termine stalk è variamente traducibile nella nostra lingua
come “caccia in appostamento”, “pedinamento furtivo”, “fare la posta” e il termine maggiormente
usato è “inseguimento”. In ambito giuridico-legale e psicologico-psichiatrico, tale termine ha
assunto una varietà di significati relativi a comportamenti persecutori di un offender, che sono
molesti e assillanti e sono costituiti da fenomeni di intrusione relazionale nella vita di una vittima,
per mezzo di pedinamenti, appostamenti, telefonate indesiderate o oscene, invio di lettere, biglietti
e-mail, sms-mms, oggetti o regali non richiesti, fino alle minacce verbali e/o scritte e alle
aggressioni fisiche.
L’impatto sociale di questo fenomeno è stato tale da richiedere un serio approfondimento del
problema ed una scrupolosa analisi di ogni caso, in virtù della peculiarità di ciascuna espressione di
stalking.
1.1.
Le parti
Lo stalking prevede evidentemente una relazione almeno tra due persone.
I protagonisti di tale fenomeno quindi, sono essenzialmente due: il persecutore (stalker) e la
vittima.
LO STALKER
La parola stalker è traducibile come “cacciatore all’agguato” o “chi avanza furtivamente”,
termini che non chiariscono sufficientemente il significato anglosassone che è stato dato agli stalker
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o “molestatore assillante”, ovvero colui che mette in atto quell'insieme di condotte con scopi
puramente molesti.
Lo stalking non è un fenomeno omogeneo e, pertanto, risulta difficile fare rientrare i molestatori
assillanti in una categoria ben precisa. I dati di ricerca nazionale ci dicono, comunque, che in circa
l’85% dei casi lo stalker è un uomo, conoscente, un ex partner o partner attuale della vittima. Inoltre
più intima è la relazione, maggiore è il rischio di minacce e comportamenti violenti . Nella maggior
parte dei casi lo stalker è di sesso opposto a quello della vittima ma ci sono anche casi di stalker
dello stesso sesso, più comuni nel caso la vittima sia di sesso femminile . Il fenomeno, comunque,
si presenta in modo trasversale, sia nella motivazione di partenza, sia nello status sociale. I dati
provenienti dall’Osservatorio Nazionale Stalking, in merito ad un bilancio dell’attività dello
sportello anti-stalking della provincia di Cagliari, ci informano che il 25% delle vittime è
rappresentato da uomini, che generalmente sono più restii a denunciare atti di persecuzione. La
motivazione che porta ad atti di stalking è molto simile tra uomini e donne, cioè non sapere
elaborare una separazione o un rifiuto; l’unica differenza riguarda la modalità degli atti persecutori:
le donne mettono in pratica strategie meno forti e meno eclatanti, mentre gli uomini sono più
grossolani nelle loro azioni e possono arrivare ad una escalation nelle persecuzioni . Ciò che è
essenziale intendere è che dietro comportamenti e molestie simili possono celarsi motivazioni anche
molto differenti tra loro, in funzione di specifici tratti di personalità e obiettivi relazionali impliciti.
A questa conclusione si è giunti in seguito a studi che hanno esaminato il profilo psicologico di
numerosi stalkers e individuando cinque tipologie di stalkers distinti in base ai bisogni e desideri
che fanno da motore motivazionale .
Una prima tipologia di molestatore insistente è stata definita il "risentito". Si tratta di solito di un
ex-partner che desidera vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale causata, a suo avviso,
da motivi ingiusti o da un danno o torto che ritiene di aver subito. Si tratta di una categoria piuttosto
pericolosa che può ledere prima l’immagine della persona e poi la persona stessa. Il problema più
grave è legato alla scarsa analisi della realtà basata su sentimenti di rancore e odio che tendono a
giustificare i propri atti in quanto reazione legittima al torto subito.
La seconda tipologia di stalkers è stata denominata il "bisognoso d'affetto"; una tipologia che è
motivata dalla ricerca di una relazione e di attenzioni che possono riguardare l’amicizia o l’amore.
La vittima in genere viene considerata, per via di alcuni comportamenti osservati anche
superficialmente, e spesso fraintesi, una persona che si ritiene possa aiutare, attraverso la relazione
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desiderata, a risolvere la propria mancanza di amore o affetto. Spesso il rifiuto dell'altro viene
negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di superare qualche
difficoltà psicologica o concreta e che prima o poi riconoscerà l'inevitabilità del rapporto amoroso
proposto.
Più impulsivo, ma meno resistente nel tempo, è colui che rientra nella terza tipologia denominata
il "corteggiatore incompetente", che manifesta una condotta basata su una scarsa abilità relazionale
e si traduce in comportamenti opprimenti ed esplicitamente invadenti. Gli stalkers di questo gruppo
presentano una condotta persecutoria di solito di breve durata, desiderano corteggiare ma non lo
sanno fare e finiscono per adottare atteggiamenti che possono risultare fastidiosi e a volte
aggressivi. Questa categoria è generalmente meno resistente nel tempo nel perseguire la
persecuzione della stessa vittima ma tende a riproporre i propri schemi comportamentali
cambiando persona da molestare.
Esiste poi il "respinto" che, in genere è un ex, manifesta comportamenti persecutori in reazione
ad un rifiuto. Questo tipo di stalker è ambivalente perché oscilla tra due desideri contrapposti: da
una parte desidera ristabilire la relazione mentre dall'altra vuole solo vendicarsi per l'abbandono
subito.
Infine, è stata descritta una tipologia di stalkers definita "predatore" che ambisce ad avere
rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura, infatti,
eccita questo tipo di molestatore che prova un senso di potere nel pianificare la caccia alla "preda".
Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere messo in atto anche da persone
con disturbi psicopatologici di tipo sessuale come pedofili o feticisti.
LA VITTIMA E IL LEGAME CON IL SUO STALKER
Lo stalking vede come vittime prevalentemente le donne (l'80%) anche se non mancano
situazioni inverse (il rapporto è di circa 3:1).
Nella maggior parte dei casi esiste una relazione pregressa tra lo stalker e la sua vittima; o
perché ex partner (il 50% di tutti i casi) o amici o colleghi di lavoro . L’analisi della letteratura
specialistica ci dice che, nel caso di una pregressa relazione sentimentale, un ruolo importante è
giocato dalla gelosia dello stalker
, che tende ad impostare la relazione sentimentale in base ai
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seguenti fattori: autostima basata sulle conferme nella relazione, paranoia, ossessività, controllo del
partner, paura di abbandono.
L'età delle vittime varia dai 14-16 anni fino all'età adulta, mentre il fenomeno sembra diminuire
dopo i 50 anni. Questi risultati si riferiscono ai casi denunciati e non danno contezza completa della
realtà del fenomeno perché prendono in considerazione solo la punta dell'iceberg ed escludono il
cosiddetto "numero oscuro" .
Tra le categorie a rischio di vittimologia vi è anche quella che opera nell’ambito sociale,
rappresentata da tutti gli appartenenti alle cosiddette professioni d’aiuto, denominata "help
profession", che comprende medici, psicologi, assistenti sociali e infermieri. Questo si verifica
perché tali professionisti entrano in contatto con i bisogni profondi di aiuto e le emozioni delle
persone e possono facilmente cadere vittima di proiezioni di affetti e di relazioni interiorizzate.
La vita di una persona perseguitata, per quanto possa essere breve tale periodo, cambia radicalmente
fino a impregnarsi di paura per l'imprevedibilità di quello che potrebbe accadere. Le conseguenze
dello stalking, per chi lo subisce, sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo
cronicizzandosi. In base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati
d’ansia o problemi d’insonnia o incubi, ma anche flash-back e veri e propri quadri di ‘Disturbo post
traumatico da stress’, compromettendone l'attività lavorativa e le relazioni sociali.
1.2.
MODUS OPERANDI DELLO STALKER
Alcuni studi hanno stabilito che lo stalking si manifesta essenzialmente attraverso tre categorie
di comportamenti .
La prima tipologia comprende le comunicazioni intrusive, che includono tutti i comportamenti
con lo scopo di trasmettere messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui desideri
e sulle intenzioni, sia relativi a stati affettivi amorosi (anche se in forme coatte o dipendenti) che a
vissuti di odio, rancore e vendetta. I metodi di persecuzione adottati, sono forme di comunicazione
messe in atto con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, o perfino graffiti o murales. Altra
forma di comunicazione indesiderata è il cyberstalking (stalking telematico): si tratta di molestie
on-line attraverso l’uso di e-mail, siti, web e chat rooms, etc.. La maggior parte dei cyberstalkers
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sono sconosciuti. I dati a riguardo, provenienti dalle ricerche empiriche americane, ci informano
che:
-
tra il 50-75% delle vittime riceve ripetute telefonate indesiderate;
-
la percentuale delle vittime che ricevono comunicazioni scritte è compresa tra il 19-62%.
Il secondo tipo di comportamenti di stalking è costituito dai contatti, che si concretizzano sia
tramite comportamenti di controllo diretto, come ad esempio pedinare o sorvegliare, sia mediante
condotte di confronto diretto come visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni.
Generalmente non si ritrovano due tipologie “pure” di stalkers, ma molestie in forme miste in cui
alla prima tipologia segue la seconda. Sempre i dati statistici ci dicono che:
-
i pedinamenti della vittima sono >68%;
-
sorveglianza della vittima è >55%;
-
approcci diretti sono del 33%;
Infine, nella terza categoria di comportamenti di stalking rientrano quelli “associati”, tra cui:
ordini e cancellazioni di beni o servizi, doni non richiesti (18-50% delle vittime), minacce (29-60%
delle vittime). Distinguiamo, in tal senso, due forme di minacce: esplicite ed implicite. Il contenuto
delle minacce va dall’intento di distruggere la reputazione e la carriera della vittima, all’intento di
mettere in atto aggressioni fisiche (anche di natura sessuale). Da uno studio è stato riscontrato che
vi è una maggiore probabilità che le minacce esplicite siano seguite da atti violenti (66%), rispetto
alle minacce implicite (24%).
Il comportamento stalkizzante è stato delineato nei suoi dettagli più specifici che permettono di
distinguerlo da comportamenti simili . A tal proposito alcune ricerche empiriche hanno specificato
che la molestia si traduce in stalking, vero e proprio, solo in presenza di quattro delle seguenti
caratteristiche:
1.
Sono diretti ad uno specifico individuo (vittima)
2.
Sono intrusivi e indesiderati.
3.
Inducono paura e preoccupazione nella vittima.
4.
Inducono cambiamenti nelle abitudini di vita della vittima.
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2 Legislazione nei paesi europei
Per un’analisi della legislazione europea intervenuta in materia, non può non richiamarsi la c.d.
Convenzione di Istanbul, firmata dai diversi Stati nel dicembre del 2011 nell’omonima città Turca,
per successivamente procedere alla descrizione della legislazione di ogni Stato del vecchio
continente.
2.1.
Convenzione di Istanbul
Nell’intento di eliminare dall’area europea ogni forma di violenza sulle donne, il Consiglio
d’Europa ha varato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle
donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul l’11.05.2011 che, muovendo dalla constatazione
della complessità del fenomeno e della necessità di affrontarlo in modo articolato, fornisce un
quadro giuridico completo, sia in chiave di prevenzione, che di repressione di quella forma di
violenza.
Lo strumento rappresenta il livello più avanzato dello standard internazionale di prevenzione e
contrasto del complesso fenomeno della violenza sulle donne, di protezione delle vittime e di
criminalizzazione dei responsabili.
Per sistematicità e standard garantistici, la Convenzione di Istanbul si inquadra nel filone di
sviluppi normativi e della prassi internazionale variamente maturato tanto nei sistemi regionali di
protezione dei diritti umani (confronta, oltre lo scenario regionale europeo, la Convenzione
interamericana di Belém do Pará, adottata il 9 giugno 1994, sulla prevenzione, la punizione e
l’eliminazione della violenza contro le donne, e il Protocollo di Maputo alla Carta africana dei diritti
dell’uomo e dei popoli relativo ai diritti delle donne in Africa, adottato l’11 luglio 2003), quanto, e
prima ancora, nel contesto proprio dell’organizzazione delle Nazioni Unite (richiama, in particolare
la raccomandazione generale n. 19 del 1992 del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione di
tutte le forme di discriminazione contro le donne, nonché la Dichiarazione delle Nazioni Unite
sull’eliminazione della violenza contro le donne, di cui alla traduzione dell’Assemblea Generale n.
48/104 del 23 febbraio 1993).
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Secondo la definizione data dalle Nazioni Unite nella Dichiarazione sull’eliminazione della
violenza contro le donne (articolo 1), sulla quale si basa anche la Convenzione (articolo 3, lettera a),
l’espressione «violenza contro le donne» comprende tutti gli atti di violenza che si traducono, o
possono tradursi, in lesioni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche per le donne, incluse le
minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che
nella vita privata.
Concepito nel quadro d’azione del Consiglio d’Europa in materia di violenza contro le donne e
violenza domestica (rispetto al quale si segnala specialmente il lavoro della Task force to combat
violence against women including domestic violence, nonché i ripetuti interventi del Comitato dei
ministri e dell’Assemblea parlamentare) il testo è aperto alla firma non solo degli Stati membri del
Consiglio d’Europa, ma anche dell’Unione europea e degli Stati non membri che hanno preso parte
alla sua redazione e godono dello status di osservatore presso l’Organizzazione (come gli Stati Uniti
e il Canada, il Giappone, il Messico e la Santa Sede).
La Convenzione si compone di un Preambolo, 81 articoli suddivisi in 12 capitoli ed un allegato
relativo ai privilegi e alle immunità dei membri del Gruppo di esperti contro la violenza nei
confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO), il quale costituisce uno specifico Gruppo
internazionale di esperti indipendenti, incaricato di monitorare l’attuazione della Convenzione da
parte degli Stati aderenti.
Essa definisce preliminarmente le diverse tipologie di violenza, precisando i corrispondenti
obblighi statali di carattere generale, con una particolare attenzione agli obblighi di
criminalizzazione di talune condotte lesive (gender-based crimes).
In termini generali, la violenza contro le donne viene menzionata già nel preambolo del trattato,
dove si riconosce che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo
dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.
Segue, nell’articolato, la definizione specifica di «violenza contro le donne» da intendersi
(articolo 3, lettera a), come «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro
le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili
di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le
minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita
pubblica che nella vita privata».
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A tale formula onnicomprensiva si riferisce poi l’autonoma categoria normativa della «violenza
domestica», inclusiva di ogni tipo di condotte di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica
che si verificano all’interno della famiglia o di un’unità domestica ovvero tra coniugi o ex coniugi o
partner, indipendentemente dal fatto che l’autore della violenza condivida o abbia condiviso la
stessa residenza con la vittima (articolo 3, lettera b).
L’ulteriore riferimento testuale alla «violenza contro le donne basata sul genere» intende
enfatizzare il carattere discriminatorio di ogni violenza che sia «diretta contro una donna in quanto
tale» (perché è una donna) o che colpisca le donne in misura sproporzionata (articolo 3, lettera d).
Definite le nozioni di «violenza» disciplinate dal trattato, la sfera materiale di applicazione di
quest’ultimo include, dunque, tutte quelle forme di violenza contro le donne (anche di minore età) e
di violenza domestica che le coinvolgono in misura prevalente o tipicamente discriminatoria, sia in
tempo di pace che in situazioni di conflitto armato (articolo 2). Le categorie di riferimento proposte
dal testo sono meramente descrittive e semplificative, pur rappresentando la casistica
statisticamente più significativa del fenomeno, come nei casi di violenze intra-familiari, parentali,
violenze o abusi tra cosiddetti intimate partner, violenze su soggetti anziani o disabili, stalking o
condotte criminose perpetrate nei confronti di donne ritenute responsabili della violazione di norme
familiari o comunitarie o ancora vittime designate di pratiche tradizionali discriminatorie e
gravemente lesive di diritti individuali.
È interessante notare come la vasta gamma di ipotesi ricavabile dalle ampie formule
convenzionali sia essenzialmente riconducibile ad una condotta criminosa tipica, quella della
violenza fisica, sessuale o psicologica, ricorrente nelle violazioni realizzate nella sfera privata come
nello spazio pubblico, e particolarmente nelle violenze che colpiscono esclusivamente le donne.
Il contenuto fondamentale e la natura degli obblighi internazionali degli Stati contraenti sono
precisati all’articolo 5 della Convenzione (rubricato «Obblighi degli Stati e dovuta diligenza»):
all’obbligo generale di astensione da condotte integrative di violenza contro le donne direttamente o
indirettamente imputabili agli organi statali, si accompagna la prescrizione di uno standard di due
diligence nel prevenire, indagare, punire i responsabili e riconoscere alle vittime adeguate misure di
riparazione per i casi di violenza imputabili a soggetti privati. In linea con la formula tipica dei
trattati europei sul contrasto di speciali forme di violenza e abuso (come la Convenzione del
Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani e la Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale), il riferimento è ai
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tre momenti costitutivi dell’architettura garantistica convenzionale (alle tre «P», Prevention,
Protection and Prosecution).
Sul piano sostanziale l’approccio privilegiato nella stesura del documento non trascura, peraltro,
un’adeguata considerazione di fattispecie gravi e sistematiche di violenza subite tipicamente
(matrimoni forzati) o esclusivamente (pratiche lesive tradizionali, mutilazioni genitali femminili,
aborto forzato e sterilizzazione forzata, schiavitù sessuale nel corso di conflitti armati) dalle donne
(Capitolo V). Quest’ultimo versante di disciplina appare poi particolarmente urgente nei casi di
violenze o abusi la cui dimensione internazionale (è ancora il caso dei forced marriages o dei
rimpatri forzati di donne migranti nei paesi d’origine per essere sottoposte a mutilazioni genitali)
impone un intervento preventivo-repressivo sul piano proprio della cooperazione internazionale,
nelle forme, per esempio, della cooperazione transfrontaliera o della protezione consolare (Capitoli
VII e VIII).
Il testo include al Capitolo V («Diritto sostanziale») specifiche
clausole convenzionali di
interesse penalistico volte a sancire obblighi di penalizzazione di condotte costitutive di fattispecie
di violenza ovvero lesive di diritti fondamentali e discriminatorie nel senso precisato dalla
Convenzione.
Così è per le ipotesi di violenza psicologica (articolo 33), atti persecutori (Stalking, articolo 34),
violenza fisica (articolo 35), violenza sessuale, compreso lo stupro (articolo 36), matrimonio forzato
(articolo 37), mutilazioni genitali femminili (articolo 38), aborto forzato e sterilizzazione forzata
articolo 39), molestie sessuali (articolo 40, la cui formula normativa prevede l’obbligo statale di
adottare «misure legislative o di altro tipo» volte a garantire che le condotte tipiche delle fattispecie
in parola siano sottoposte a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali).
Gli Stati Parte dovranno inoltre adottare le misure necessarie per perseguire penalmente il
favoreggiamento o la complicità intenzionali in ordine alla commissione dei reati contemplati dalla
Convenzione stessa, nonché i tentativi intenzionali di commissione dei reati di cui agli articoli 33,
34, 35, 36, 37, 38.a e 39 (articolo 41). Precisato che i reati previsti dallo strumento convenzionale si
configurano a prescindere dalla natura del rapporto tra la vittima e l’autore del reato, un regime
tipico delle relative sanzioni e misure repressive è delineato attraverso formule normative di portata
generale e la possibile previsione di circostanze aggravanti, conformemente alle disposizioni
pertinenti del diritto nazionale (articolo 46).
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Sul piano procedimentale, le previsioni relative alla determinazione della jurisdiction per le
fattispecie di reato contemplate dalla Convenzione, intese ad evitare possibili limitazioni
all’esercizio della giurisdizione penale (articolo 44), si accompagnano ad interventi volti ad
agevolare il tempestivo avvio e l’efficacia del processo penale, nonché adeguate misure di
protezione dello stato e degli interessi delle vittime, nel rispetto degli strumenti internazionali e
regionali di cooperazione giudiziaria in materia civile e penale (Capitoli VI-VIII).
Il regime specifico delle riserve al trattato sancisce un divieto generale di dichiarazioni che
escludono l’applicazione o consentono un’applicazione limitata delle disposizioni convenzionali,
fatta eccezione per le clausole richiamate ai paragrafi 2 e 3 dell’articolo 78. Gli Stati o l’Unione
europea possono in particolare, al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica,
accettazione, approvazione o adesione, precisare che si riservano il diritto di non applicare o di
applicare solo in determinati casi gli articoli 30, paragrafo 2 (risarcimenti), 44 paragrafi 1.e, 3 e 4
(giurisdizione), 55, paragrafo 1 (procedimenti d’ufficio e ex parte), esaminato insieme all’articolo
35 per quanto riguarda i reati minori, 58 (prescrizione), esaminato insieme agli articoli 37
(matrimonio forzato), 38 (mutilazioni genitali femminili) e 39 (aborto forzato e sterilizzazione
forzata) e 59 (status di residente).
Essi possono, altresì, espressamente dichiarare di riservarsi il diritto di optare per sanzioni non
penali nel caso di comportamenti riconducibili a violenza psicologica (articolo 33) e stalking
(articolo 34).
In generale, come già emerso in sede di lavori preparatori, la disciplina convenzionale degli
obblighi statali di criminalizzazione delle condotte lesive e quella specifica delle riserve al trattato
lascia alle autorità nazionali ampio margine nella determinazione del tipo di sanzioni
(amministrative, civili o penali) utili ad un efficace contrasto del fenomeno in ambito regionale.
La Convenzione istituisce, poi, come detto in precedenza, un meccanismo internazionale di
monitoraggio (il «GREVIO», Capitolo IX) della relativa attuazione in sede domestica (attraverso
questionari, visite, inchieste e rapporti sullo stato di conformità degli ordinamenti interni agli
standard convenzionali, raccomandazioni generali).
Relativamente agli atti persecutori e alla violenza psicologica, la Convenzione ha esplicitamente
dedicato due articoli.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2.2.
Legislazione nel Regno Unito
Il Protection from Harassment Act, approvato dal Regno Unito nel 1997, prevede due ipotesi di
reato:
1.
Harassment: molesti a assillante.
2.
Putting people in fear of violence: creazione di timore di subire condotte violente
1. Nella prima ipotesi, la molestia “consiste nello spaventare o produrre angoscia in un'altra
persona”.
Per configurare l’ipotesi di reato, occorrono almeno due episodi ed è necessario che chi lo
commette sappia o debba sapere che il suo comportamento costituisce molestia.
Si stabilisce che lo stalker dovrebbe rendersi conto di arrecare se “una persona di normale
raziocinio in possesso delle stesse informazioni valuterebbe tale condotta come una molestia”.
La pena prevista per il reato è la reclusione fino a sei mesi e la multa fino a cinquemila sterline, o
entrambe.
Non è punibile chi tiene detto comportamento per prevenire o scoprire un reato, o in base ad una
norma di legge, o per conformarsi ad una condizione o ad una richiesta ai sensi di legge, o se il
comportamento in tali circostanze è ragionevole.
Per quanto concerne il risarcimento dei danni in sede civile, la vittima può richiederlo con
riferimento all’ansia causatale dalle molestie e/o alla perdita finanziaria conseguente.
Per “molestia assillante” si intende, infatti, il comportamento altrui che spaventa e produce
angoscia, e può limitarsi ad essere verbale senza alcuna atto dimostrativo. Solo necessari però
almeno due episodi.
È consentito l’arresto immediato.
Consentiti anche i c.d. restraening orders “ordini di protezione”, emessi dall’Alta Corte o dalla
Corte di Contea per impedire all’imputato di proseguire nel suo comportamento molesto.
In caso di violazione dell’ordine, la parte lesa può domandare l’arresto dell’imputato,
asseverando l’istanza mediante giuramento e corredandola di elementi di fatto.
La violazione dell’ordine, senza giustificato motivo, comporta la reclusione fino a cinque anni
e/o la multa.
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2. La seconda ipotesi di reato (Putting peopple in fear of violence) prevede anch’essa la
commissione di almeno due azioni che creino nell’altro la paura di essere vittima di condotte
violente.
Anche qui sono previste le esimenti già viste ed è consentito l’arresto in flagranza di reato.
Pur la seconda fattispecie è punita a titolo di dolo, ossia in base alla consapevolezza che il soggetto
abbia dell’idoneità della sua condotta a provocare paura in una persona ragionevole, che sia in
possesso delle stesse informazioni.
La pena massima in questo caso è la reclusione fino a 5 anni o una multa di entità indefinita, o
entrambe.
Sono altresì consentiti i restrening orders, con la reclusione fino a 5 anni, in caso di violazione,
2.3.
Legislazione in Germania
In Germania gli atti persecutori vengono contrastati con la previsione, specifica e dettagliata,
dell’art. 238 del codice penale Tedesco (come riformulato nel 2007) .
Tale articolo prevede la punizione della condotta di chi:
perseguita illecitamente una persona cercando insistentemente la sua vicinanza;
tenti di stabilire un contatto tramite i mezzi di telecomunicazione e con l’ausilio di terzi;
ordini merci o servizi utilizzando abusivamente i suoi dati personali;
induce un terzo a mettersi in contatto con la vittima;
minacci con lesioni corporali l’incolumità, la salute e la libertà della vittima o di una persona
ad essa vicina;
compia azioni simili che rechino grave pregiudizio all’organizzazione della vita di tale
persona.
2.4.
Legislazione in Austria
Nel 2006, l’Austria, dopo il paragrafo 107 del codice penale, ha inserito il paragrafo 107.a,
denominato Beharrliche Verfolgung (persistente persecuzione), che delimita la figura giuridica
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dello stalking, specificando che per persecuzione persistente si intende l’azione di chi, in modo
idoneo da pregiudicare la condotta di vita altrui, per un tempo prolungato:
•
si apposta nelle sue immediate vicinanze;
•
prende contatto per telefono o con altri mezzi di comunicazione o stabilisce contatti tramite
terzi;
•
ordina merci o prestazioni di servizi con l’utilizzo dei dati personali della vittima;
•
induce un terzo a prendere contatto con la vittima con l’utilizzo dei suoi dati personali.
2.5.
Legislazione in Irlanda
In Irlanda è stato introdotto, nel 1997, il Non Fatal Offences Aganist the Person Act che, nella
sezione 10, punisce chi volontariamente o involontariamente con atti molesti interferisce nella vita
privata di una persona o le provoca timore, angoscia e danni con la reclusione fino a sei anni e/o
con la multa non superiore a millenovecentocinque euro.
2.6.
Legislazione in Belgio
In Belgio, lo stalking detto belaging o harcelemente è stato considerato reato nel 1998. L’art. 442
bis del codice penale statuisce che chiunque abbia molestato una persona, mentre era a conoscenza
o avrebbe dovuto comunque sapere che il suo comportamento era tale da violare la tranquillità di
un’altra persona, sarà punito con la reclusione da quindici giorni a due anni e con una multa da
cinquanta a trecento euro o con una di queste sanzioni.
2.7.
Legislazione nei Paesi Bassi
Nel 2000 è entrata in vigore, per la prima volta nei Paesi Bassi, una legge contro lo stalking
chiamata Anti-stalkingswet o Wet Belaging. La definizione legale è contenuta nell’articolo 285 b
del codice penale, che definisce lo stalker (non lo stalking).
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Stalker è colui che illegittimamente, volontariamente e sistematicamente viola la vita privata di
una persona con l’intenzione di costringere la stessa a fare, non fare o tollerare qualcosa, o a
spaventarla e punisce il colpevole con la reclusione fino ad un massimo di tre anni e con il
pagamento di una multa.
Nella legislazione olandese l’intervento di tipo penale rappresenta, tuttavia, una extrema ratio.
Infatti, le parti coinvolte dovrebbero cercare di risolvere la situazione attraverso una conciliazione,
con l’aiuto di un mediatore. Successivamente, laddove questo primo tentativo non vada a buon fine,
la vittima potrebbe fare ricorso alla legge civile e, soltanto in caso di inutilità dello strumento
civilistico, si potrà fare ricorso al processo penale.
2.8.
Legislazione in Danimarca
Dal 2004, in Danimarca è previsto il reato di stalking nella sezione 265 del codice penale,
peraltro già considerato nel codice del 1933 e poi modificato nel 1965, con il termine forfolgelse col
significato di persecuzioni ripetute (inteso come sottocategoria del più ampio vocabolo danese
kraenkelse ovvero singolo atto di molestia).
Le persecuzioni ripetute consistono in ogni atto che violi la tranquillità di una persona e sono
punite con il pagamento di una multa o con la reclusione non superiore a due anni.
2.9.
Legislazione a Malta
A Malta, nel 2005, sono stati inseriti nel codice penale gli articoli 251a e 251b sul reato di
stalking chiamato fastidju. Le norme prevedono che il colpevole di atti stalkizzanti, che causano
danni alla persona, ai suoi parenti o alla sua proprietà, è punito con la reclusione fino a sei mesi e
con il pagamento di una multa.
***
Negli altri Stati europei lo stalking non costituisce una fattispecie specifica e spesso anche i
singoli atti non sono di per sé illegali. Ciononostante, lo stalking, pur in assenza di una norma ad
hoc, nel suo insieme o attraverso singoli comportamenti che lo caratterizzano, è punibile
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penalmente attraverso altre condotte giuridiche previste nei codici penali delle singole nazioni e
riferibili ai reati di minaccia, diffamazione, ingiuria, violazione di domicilio, danneggiamento.
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3 Legislazione nei paesi extra europei
3.1.
Legislazione negli stati uniti
Negli Stati Uniti lo stalking è un reato, ed in alcune legislazioni statali è consentito anche
intentare causa civile per il risarcimento del danno.
La Giurisprudenza americana è stata la prima ad affrontare specificamente il problema della
definizione del fenomeno dello stalking.
Nel 1991, in California, fu emanata la prima legge anti stalking. La giurisprudenza americana
demandò nel 1992 all’Attorney General, consulente giuridico del governo nonché massima autorità
giudiziaria inquirente e requirente, figura simile al nostro ‘Procuratore Generale’, di condurre
ricerche attraverso il National Institute of Justice allo scopo di sviluppare un modello legislativo
applicabile alle singole legislazioni degli stati membri.
Nel 1994 tutti i 50 Stati e il Distretto di Colombia approvarono una specifica legislazione antistalking.
La maggior parte di queste leggi definisce lo stalking come “l’intenzionale, malevolo e
persistente comportamento di seguire o molestare un’altra persona”.
Alcuni Stati richiedono che insieme alle molestie sia presente una “minaccia credibile” (definita
come una minaccia, verbale o scritta, di violenza fatta dal persecutore alla vittima), e che sia
verosimile che il persecutore intenda ed abbia la possibilità di attuarla.
Altre leggi statali specificano come necessario un “tipo di condotta” in cui il persecutore (o
stalker) “consapevolmente, intenzionalmente e ripetutamente” mette in atto una serie di azioni
(come mantenersi in prossimità o esprimere minacce verbali o scritte) dirette ad una specifica
persona, che non servono a uno scopo legittimo e che “allarmano, molestano o suscitano in una
persona ragionevole paura o disagio emotivo”.
Altre ancora, se manca l’elemento di minaccia esplicita, prevedono pene e provvedimenti meno
gravi per il crimine o lo trattano come semplici “molestie”.
In tre Stati addirittura (California, Texas e Washington) la definizione dello stalking è presente,
oltre che nella normativa penale anche nella normativa civilistica.
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3.2 .
Legislazione in canada
Nel 1993 il Canada ha adottato il Criminal Harassment Law, ove lo stalking è considerato delitto .
3.3.
Legislazione in australia
La prima regolamentazione dello stalking in Australia risale agli anni ’90.
Il Criminal Code Stalking Amendment Act del 1999, al capitolo 33, paragrafo 359b, regola il c.d.
unlawful stalking, e si individua nelle seguenti condotte :
•
seguire, attardarsi vicino, osservare o avvicinare una persona;
•
contattarla in qualsiasi modo, incluso – per esempio – il telefono, la mail, il fax, la posta o
attraverso l’uso di qualunque tecnologia;
•
attardarsi vicino, osservare, approcciare o entrare in un luogo ove la persona vive, lavora o si
trova in visita;
•
lasciare materiale pericoloso che sarà trovato dalla persona, o a lei consegnato o portato
all’attenzione della persona;
•
consegnare materiale direttamente o indirettamente pericoloso per la persona;
•
commettere un atto intimidatorio, persecutorio o minacciante contro una persona, che
implichi o meno violenza o minaccia di violenza;
•
commettere un atto di violento, o una minaccia di violenza, contro chiunque, o contro la
proprietà, anche dell’imputato, che possa causare apprensione o paura nella persona perseguitata
ragionevolmente derivante da tutte le circostanze che possano causare danno nella persona
perseguitata o in altra persona.
Attualmente sono otto gli Stati Australiani che possiedono una legislazione in materia, non sempre
ad hoc ma comunque applicabile anche agli atti persecutori.
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4 Legislazione italiana
4.1.
La normativa antistalking
In Italia il reato di stalking è stato introdotto con il D.L. 23.02.2009, n°11, dedicato alle misure
urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti
persecutori, convertito in legge il 23 aprile 2009, n°38, che ha introdotto l’art. 612 bis del codice
penale (atti persecutori).
Alcune delle disposizioni in esso contenute sono state estrapolate dal disegno di legge n°733 (il
“collegato sicurezza”, destinato a completare il pacchetto di norme varato con il decreto legge 23
maggio 2008, n. 93, convertito in legge 24 luglio 2008, n°125) che era stato già approvato dal
Senato il 5 febbraio 2009; mentre le disposizioni sullo stalking sono state riprese dal testo
parlamentare approvato con il numero 1440 dalla camera dei deputati il 29 gennaio 2009.
L’introduzione del reato di atti persecutori è parte di una iniziativa mirata ad uno scopo per
larga parte diverso. Il decreto legge, infatti, si prefissava di disporre misure di contrasto alla
violenza sessuale, e di protezione della donna, quale soggetto debole tipicamente vittima di
intemperanze e di aggressioni maschili. I lavori parlamentari segnalano ripetutamente l’allarmante
crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale portati alla pubblica conoscenza dalle denunce
e, spesso, dal ritrovamento delle vittime in condizioni inequivocabili. Prima di intraprendere i lavori
parlamentari, il Governo – in particolare il Ministero per i Diritti e le Pari Opportunità - delegò
all’ISTAT lo studio di alcuni fenomeni, cercando di capire quali erano le problematiche delle donne
e sotto quali forme si esprimevano le diverse forma di violenza.
L’ISTAT presentò nel febbraio 2007 i risultati di un’indagine relativa all’anno 2006, indagine
per la prima volta interamente dedicata al fenomeno della violenza fisica e sessuale contro le donne.
Il campione comprese 25.000 donne tra i 16 e 70 anni, intervistate su tutto il territorio nazionale dal
Gennaio-Ottobre 2006 con tecnica telefonica. I principali risultati furono che il 18,8% aveva subito
violenza fisica, sessuale o atti persecutori da parte di ex-partner. Quasi il 50% delle donne vittima di
violenza fisica e sessuale aveva subito anche comportamenti persecutori. Quasi il 70% dei partner
aveva cercato insistentemente di comunicare con le donne, il 61% aveva chiesto ripetutamente
occasione di incontri mentre il 57% le ha aspettate fuori dalle loro abitazioni, da scuola o dai luoghi
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di lavoro. Il 55% aveva inviato messaggi, telefonate, e-mail, lettere o regali indesiderati, mentre il
41% circa le aveva seguite o spiate. Secondo l’Osservatorio Nazionale Stalking, tra il 2002 e il
2007, almeno il 20% degli italiani, quasi sempre donne, è rimasta vittima di persecuzioni e nella
metà dei casi l’autore è stato un ex: marito, fidanzato, convivente. Su 300 crimini commessi in un
anno, l’88% ha per vittima una donna. L’indagine, quindi, fece emergere il grave stato in cui
imperversava lo stato della donna quale vittima di violenza. Da qui l’urgenza di emettere dei
provvedimenti per contrastare tale fenomeno criminale.
4.2.
Inserimento nell’ordinamento italiano del reato di atti
persecutori - art. 612 bis del codice penale
Con l’art. 7 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38)
è stato introdotto all’art. 612 bis c.p. il reato di “atti persecutori”, inserito nel capo III del titolo XII,
parte II del codice penale, nella sezione relativa ai delitti contro la libertà morale:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro
anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un
perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità
propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da
costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da
persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in
stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art 3 della legge 05 febbraio 1992,
n°104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei
mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una
persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 05 febbraio 1992, n° 104, nonché quando il fatto è
commesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.
Con tale articolo il legislatore ha inteso punire chiunque ponga in essere minacce reiterate o
molestie con atti tali da creare nella vittima un perdurante stato di ansia o paura o un fondato timore
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per l’incolumità propria o di persona legata da relazione affettiva o da costringerlo ad alterare le
proprie abitudini di vita.
L’introduzione del reato di stalking risponde, principalmente, all’esigenza di trovare una risposta
giuridica efficace nei confronti di quelle condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di
una persona, che per la continuità ed il particolare accanimento con le quali vengono perpetrate, si
concretano in una vera a propria forma di violenza psicologica, di entità tale da comprimere
significativamente la libertà di autodeterminazione del soggetto che le subisce.
Tali condotte, pur rientrando in fattispecie di reato già previste dal nostro ordinamento - quali i
reati di ingiurie, diffamazione, minaccia, violazione di domicilio ma soprattutto nel reato di disturbo
di molestia o disturbo alle persone – a cui la Giurisprudenza di Legittimità
- nel tentativo di
colmare tale vuoto normativo - ha ricondotto molti dei comportamenti, che attualmente rientrano tra
la fenomenologia criminalistica degli atti persecutori .
4.3.
Il bene giuridico tutelato
Il bene tutelato risulta essere la libertà morale e, più specificatamente, la libertà di
autodeterminazione dell'individuo.
La libertà morale implica la possibilità di fare scelte autonome, senza condizioni esterne che non
siano quelle comunemente accettate da tutti come regole della civile convivenza.
Gli atti persecutori, considerati nella loro sostanziale natura comportamenti vessatori che
conducono ad una mortificazione delle condizioni soggettive della vittima, incidono per definizione
sulla sua autonomia di determinare le modalità del proprio comportamento e turbano quegli aspetti
complementari ma indispensabili di quiete, tranquillità, sui quali una siffatta autonomia si fonda.
Ancora più incisivo è la violazione di tale diritto, nel momento in cui la vittima si ritrova a dover
mutare le proprie abitudini di vita. Altro bene giuridico fondamentale tutelato dalla norma in
questione risulta essere il bene salute, nel sanzionare gli atti persecutori che vanno a cagionare un
perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità
propria e altrui…
Sulla scorta di siffatta elaborazione, alcuni autori hanno concluso che il reato in esame ha natura
eventualmente plurioffensiva .
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La giurisprudenza di legittimità però, nelle varie sentenze ha confermato che il bene tutelato dal
reato di “atti persecutori” è la libertà morale, senza richiamare il bene salute .
4.4.
La condotta
La condotta si sostanzia in un'azione o in un'omissione tipizzati dalla norma che disciplina il
reato.
L’art. 612 bis impone che l’agente deve porre in essere condotte reiterate, di minaccia o
molestia.
Perché quindi, sia riscontrabile il reato in questione, si devono porre in essere delle minacce o
delle molestie e queste devono essere reiterate.
Sul primo punto il legislatore ha lasciato agli operatori l’interpretazione su cosa si intenda per
“reiterazione”, non quantificando tale elemento.
Sin da subito la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità si è da subito pronunciata. In
alcuni casi ha sentenziato che Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612 bis cod. pen.,
anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione
richiesta dalla norma incriminatrice .
Relativamente alla minaccia o molestia, il legislatore non ha fornito un quadro per la definizione
di che cosa intendesse.
All’uopo, per dare una spiegazione si deve fare ricorso a quanto già previsto nei reati di minaccia
(art. 612 c.p.) e nel reato di molestia (art. 660 c.p.) e alla giurisprudenza che nel tempo è stata
prodotta per tali articoli.
La minaccia è un qualsiasi comportamento idoneo ad incutere timore, e cioè a suscitare in altri la
preoccupazione di soffrire un male ingiusto e che comunque offende e diminuisce l’altrui libertà
morale. Si ha molestia invece, quando venga alterato in modo fastidioso o importuno l'equilibrio
psichico di una persona media, attraverso comportamenti posti in essere da un altro soggetto .
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4.5.
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L’evento
Il Legislatore ha inserito, quali eventi del reato il “perdurante e grave stato d’ansia o di paura
ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di
persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le
proprie abitudini di vita…” .
4.6.
L’elemento soggettivo del reato
In linea generale l'elemento soggettivo del reato (artt. 42 e 43 c.p) si sostanzia nella volontà
giuridica di delinquere.
L'elemento soggettivo può essere costituito dal dolo, dalla colpa o dalla preterintenzione .
Il dolo sussiste quando il soggetto pone in essere la condotta con volontà ed è consapevole
dell'evento; in altre parole, devono concorrere volontà dell'azione e consapevolezza degli effetti.
La colpa, invece, sussiste quando il soggetto, pur ponendo in essere la condotta con volontà, non
ha voluto il verificarsi dell'evento, e quest'ultimo si verifica a causa di negligenza o imprudenza o
imperizia (colpa generica), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa
specifica).
Per definire la preterintenzione è possibile dire che il delitto preterintenzionale è quello
commesso non secondo l'intenzione (dolo), né contro l'intenzione (colpa), bensì oltre l'intenzione. Il
codice penale disciplina solo l'omicidio preterintenzionale (v. art. 584 c.p.) , il quale sussiste quando
con atti diretti a percuotere o a produrre lesioni personali si cagiona la morte dell'offeso.
Riguardo all’elemento psichico va sottolineato che la condotta del reo deve essere connotata dal
dolo generico, cioè dalla volontà e consapevolezza di porre in essere le sopra descritte condotte
persecutorie, cagionando alla vittima uno degli eventi lesivi previsti dalla norma stessa.
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4.7.
Questioni procedurali
la procedibilità per il reato di atti persecutori
Il reato di atti persecutori è di regola perseguibile a querela della persona offesa, che,
analogamente a quanto previsto per i reati di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, è
proponibile nel termine di sei mesi, anziché nel termine ordinario di tre mesi.
Prima di procedere alla descrizione della “procedibilità nel reato di atti persecutori”, riteniamo
opportuno dare alcune sintetiche definizioni in ordine all’argomento.
La norma prevede la procedibilità a querela di parte da proporre entro sei mesi e la procedibilità
d’ufficio nel caso in cui si tratti di minore o di persona diversamente abile, nonché quando il fatto è
connesso con altro delitto per il quale si procede d’ufficio o quando si tratta di soggetto già
ammonito, aspetto quest’ultimo che andremo ad illustrare più avanti.
Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi (anziché tre mesi, come stabilito
dall’art. 124 c.p.) , analogamente a quanto previsto dall’art. 609-septies c.p. per la violenza sessuale
e per gli atti sessuali con minorenne.
Trattandosi di reato abituale il termine de quo spirerà trascorsi sei mesi dall’ultimo della serie di
atti che integrano la condotta del reato in esame.
Relativamente all’art. 612 bis, certa dottrina ha ritenuto la decisione di circoscrivere, infatti, la
procedibilità d’ufficio solo a determinate e tassative ipotesi, una scelta opportuna del legislatore,
soprattutto in ordine a due ragioni; in primo luogo, considerando ragionevole il margine di libertà
lasciato alla vittima, per decidere se affrontare o meno un procedimento penale, proprio per la
delicatezza delle sue implicazioni dal punto di vista psicologico e personale; e in secondo luogo, la
considerazione che la perseguibilità a querela possa apparire una sorta di efficace strumento in
mano alla vittima dello stalking, in quanto una possibile revoca della stessa potrebbe essere un’arma
giuridica nei confronti dell’autore del reato, il quale potrebbe por fine ai suoi atti persecutori proprio
in cambio della rinuncia all’azione penale da parte dell’offeso .
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4.8.
Le misure precautelari per il reato di atti persecutori
Prima di analizzare le misure “precautelari” previste per l’art. 612 bis del c.p., riteniamo
opportuno fare un quadro generale e sintetico delle misure precautelari previste dal nostro codice.
Nella fattispecie delittuosa in esame possiamo affermare che per il reato di atti persecutori ,
trattandosi di uno dei reati previsti dall’art. 381 comma 1 c.p.p., il Legislatore ha previsto che gli
ufficiali e agenti di p.g. che colgono il reo nell’atto della commissione del delitto hanno facoltà di
procedere al suo arresto, qualora ricorrano le condizioni previste dalla norma citata.
Non è previsto invece il fermo di indiziato di delitto, poiché il reato in questione non rientra nella
casistica del comma 1 dell’art. 384 c.p.p.
4.9.
Il giudice competente
In generale con il termine competenza si intende l’insieme delle regole che consentono di
distribuire i procedimenti all’interno della giurisdizione ordinaria.
La competenza per territorio (art. 8 del c.p.p.) individua orizzontalmente il giudice chiamato a
pronunciarsi ed è generalmente determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato. Sono
previste alcune eccezioni che, tuttavia, sono ispirate alla medesima giustificazione. Se si tratta di
fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è
avvenuta l’azione o l’omissione. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo
in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone.
Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto
diretto a commettere il delitto.
La competenza per materia individua verticalmente il giudice attenendo alla distribuzione dei
procedimenti tra i giudici aventi in comune una stessa giurisdizione territoriale.
La competenza per materia è, a sua volta, ripartita in base ai due criteri della qualità del reato o
della misura della pena edittale (art. 4 c.p.p.).
Per determinare la competenza quindi si ha riguardo alla pena massima stabilita dalla legge per
ciascun reato consumato o tentato e non si tiene conto della continuazione e della recidiva,
dell’aumento che deriva dalle circostanze, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali
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la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle circostanze che
il codice penale denomina ad effetto speciale in quanto comportano un aumento della pena
superiore ad un terzo.
Il codice di rito prevede i casi di competenza per materia relativi alla Corte di Assise (art. 5
c.p.p.) e al Giudice di Pace (D.Lgs. 274/00) lasciando al Tribunale una competenza per materia di
tipo residuale (art. 6 c.p.p.). Il Tribunale per i minorenni è sempre competente qualora l’imputato
sia minorenne.
La Corte di Assise costituisce in un’articolazione autonoma del Tribunale ed è composta da sei
componenti privati e due togati, uno dei quali funge da presidenti. Essa è competente per i reati di
maggiore allarme sociale, per i più gravi fatti di sangue ed i più gravi delitti politici.
Il Giudice di pace è competente per determinati reati minori indicati dall’art. 4 del D.Lgs.
274/2000 quali ad esempio percosse, lesioni personali, ingiurie, furti, sottrazioni di cose comuni
ecc.
Il Tribunale infine gode di una competenza residuale per tutti gli altri reati. Sono attribuiti al
Tribunale in composizione monocratica i reati puniti con pena detentiva fino a dieci anni nel
massimo nonché i reati di produzione e traffico di stupefacenti.
La competenza per il reato di atti persecutori è attribuita, secondo i criteri di cui sopra, in primo
grado al Tribunale in composizione monocratica.
4.10
Le misure cautelari previste per il reato di atti persecutori e le
altre misure apportate dal d.l. n°11/2009 convertito, con
modifiche dalla legge 38/2009.
Le misure cautelari, disciplinate dal Libro IV del c.p.p., sono provvedimenti adottati
dall’Autorità Giudiziaria, prima di una sentenza di condanna o di proscioglimento.
Infatti, nonostante le previsioni costituzionali (artt. 13, 27 e 111 co. 7) e le tutele afferenti la
libertà personale in esse sancite e disciplinate, il Legislatore ha previsto, ove ricorrano determinate
condizioni l’applicazione di provvedimenti tali da incidere sulla sfera dei diritti e delle facoltà
(libertà personale, disponibilità economica, etc.) del soggetto indagato o imputato e quindi ben
prima di una definitiva pronuncia circa la sua responsabilità penale.
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Per sottoporvi taluno è necessario che a suo carico sussistano gravi indizi di colpevolezza e che
il fatto non sia stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità, né,
infine, che sussistano cause di estinzione del reato o della pena che si ritiene possa essere irrogata.
Ovviamente, le misure cautelari devono rispondere altresì ai criteri di adeguatezza e
proporzionalità all’entità del fatto ed alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata.
Il Legislatore, dunque, pur attribuendo al Giudice “poteri discrezionali assai estesi nella scelta
delle misure cautelari da applicare all’indiziato” non ha però assegnato all’Organo Giudicante “una
discrezionalità assoluta, e la formulazione del giudizio di proporzione ed adeguatezza della misura
cautelare prescelta e le esigenze da soddisfare è incensurabile, in sede di legittimità, solo se sorretta
da adeguata motivazione, immune da vizi logico-giuridici” .
Le misure cautelari si suddividono in: personali e reali.
Le prime, comportano per il soggetto una limitazione della libertà personale (coercitive) oppure un
limite al libero esercizio di facoltà giuridiche (interdittive); mentre le seconde incidono sul
patrimonio determinandone l’indisponibilità di cose o beni.
Gli artt. 272 c.p.p. e ss. prevedono che per potersi applicare una misura cautelare personale si
debba trattare della commissione di un delitto e che la pena edittale astrattamente prevista dalla
legge sia quella dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni (salvo che per la
custodia cautelare in carcere per cui è prevista la possibilità di applicazione solo per i delitti per i
quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni). Inoltre, come
già chiarito, devono sussistere a carico del soggetto passivo gravi indizi di colpevolezza.
La misura cautelare sarà, ovviamente disposta, per soddisfare e tutelare specifiche ed inderogabili
esigenze quali:
•
pericolo di inquinamento probatorio concreto ed attuale;pericolo di fuga del soggetto
passivo, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di
reclusione;
•
tutela della collettività poiché sussiste il concreto pericolo di commissione di gravi delitti
con uso di armi o di altri mezzi di violenza privata, di delitti contro l’ordine costituzionale, di
criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede (purché punibili con pena
non inferiore nel massimo a 4 anni).
La scelta, come già detto, dovrà essere graduale ed in questa ottica la custodia cautelare in carcere
costituisce l’extrema ratio, potendo essere disposta solo quando le altre misure risultano inadeguate
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(comunque esclusa quando il giudice ritiene che possa essere concessa la sospensione condizionale
della pena).
Ulteriore limitazione, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, deriva dallo stato di salute,
sociale o contestuale ed infatti non potrà disporsi la custodia cautelare in carcere, quando imputati
siano: donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente; padre, se la
madre è deceduta o assolutamente impossibilitata ad assistere i figli; ultrasettantenne; persona
affetta da AIDS conclamata o da altra malattia particolarmente grave.
Nel prevedere e disciplinare il reato di atti persecutori, il Legislatore ha disposto che tutte le
misure cautelari personali previste possano essere applicate a chi si macchia di tale delitto, nonché
ha introdotto, nel nostro codice di procedura penale, nuove misure cautelari.
Sempre nel contesto della stessa legge, con l’art. 9 comma 1 lett. “A” è stata data vita all’art. 282ter del C.P.P. (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa). Tale norma
consente al Giudice di prescrivere all’imputato l’avvicinamento ai luoghi che per consuetudine
frequenta la vittima e di mantenere una certa distanza da quei luoghi e dalla persona offesa.
È previsto, altresì, che tale provvedimento possa essere esteso anche ai luoghi frequentati dai
prossimi congiunti della vittima, ovvero di mantenere una certa distanza da quei luoghi e da quelle
persone, con possibilità, per il giudice, di vietare che l’imputato comunichi, in qualsiasi modo con i
soggetti citati. Sempre la stessa disposizione ha sancito che tali provvedimenti vadano comunicati
dal Giudice alla vittima, ai servizi socio assistenziali del territorio e all’autorità di polizia, per i
provvedimenti di competenza. Tale disposizione integra il quadro cautelare già delineato, per i reati
consumati in ambito familiare, dall’articolo 282-bis c.p.p. (allontanamento dalla casa familiare).
Con il D.L. n. 11 del 2009 è stato inoltre introdotto l’aggravante nel caso di omicidio, qualora il
soggetto agente sia persona che si è macchiata, nei confronti della vittima, del reato di cui all’art.
612 bis.
Con la stessa legge è stata apportata una modifica all’art. 342-bis del codice civile. Si stabilisce che
per i casi in cui il delitto di atti persecutori venga commesso nell’ambito familiare, potendo anche
configurare il reato di maltrattamenti, è possibile ricorrere alle forme di tutela civilistica previste
dalla legge 154/2001 . Quest’ultima ha introdotto gli artt. 342 -bis e 342 -ter c.c. che dettano la
disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari. Il Giudice civile può adottare tali
misure, per la durata massima di un anno, quando la condotta del coniuge o di altro convivente “è
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causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o
convivente”. Gli ordini mirano alla cessazione della condotta, all’allontanamento dell’autore dalla
casa familiare, alla prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi di abituale frequentazione dell’istante,
all’assistenza sociale ed economica “di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e
maltrattati”, ampliando la durata in 12 mesi del decreto del giudice con cui si ordina la cessazione
della condotta criminosa, l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai
luoghi abitualmente frequentati dalla vittima.
L’art. 11 della Legge 38/2009 stabilisce, altresì, quali misure a sostegno alle vittime del reato di atti
persecutori, che “le Forze dell’Ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla
vittima la notizia del reato di atti persecutori, di cui all’art. 612-bis c.p., hanno l’obbligo di fornire
alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai Centri Antiviolenza presenti sul territorio e, in
particolare, nella zona di residenza della vittima. A tale proposito, le Forze dell’Ordine, i presidi
sanitari e le istituzioni pubbliche devono provvedere a mettere in contatto la vittima con i centri
antiviolenza, qualora questa ne faccia espressamente richiesta”. Ad ulteriore tutela delle vittime, il
successivo art. 12 dispone che “venga istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri –
Dipartimento per le Pari Opportunità, un numero verde nazionale a loro favore, attivo ventiquattro
ore su ventiquattro, con la finalità di fornire, nei limiti di spesa previsti (il richiamo opera all’art. 13,
comma 3 dello stesso d.l.) un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica da parte di
personale dotato delle adeguate competenze, nonché di comunicare prontamente, nei casi di urgenza
e su richiesta della persona offesa, alle Forze dell’Ordine competenti gli episodi di molestie
persecutorie comunicate.”
Il numero di pubblica utilità 1522 nasce come strumento per le donne vittime di violenza ma dal
2009 eroga assistenza alle vittime di atti persecutori, indipendentemente dal loro sesso. E’ attivo 24
ore su 24, per 365 giorni l’anno; è un servizio multilingue e accessibile dall’intero territorio
nazionale gratuitamente, da rete fissa o mobile .
Sempre in seno ai rapporti di creazione di una “rete” attorno alle vittime, le nostre forze dell’ordine,
di concerto con i diversi Dicasteri e le Università hanno creato dei nuclei ad hoc per il contrasto del
fenomeno di stalking.
Il 16 gennaio 2009, a Palazzo Chigi, è stato firmato dal Ministro della Difesa (da cui dipende
l’Arma dei Carabinieri) e dal Ministro per le Pari Opportunità un protocollo d’intesa che intende
realizzare un rapporto di collaborazione tra le parti per rendere più efficace sia l’azione di
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prevenzione e di contrasto nei confronti di atti persecutori, violenti, sessualmente finalizzati o
vessativi verso vittime vulnerabili, sia il raccordo tra i soggetti competenti ad intervenire.
Questi i punti programmatici stabiliti nel protocollo:
•
sviluppare studi e ricerche di settore per approfondire il fenomeno della violenza in genere,
ed aggiornare le strategie di prevenzione e contrasto, anche attraverso collaborazioni con la
comunità scientifica, ed avvalendosi di uno specifico archivio per le analisi;
•
fornire un qualificato intervento di supporto ai reparti dell’Arma dei Carabinieri;
•
accrescere la formazione e l’addestramento nel settore del personale dell’Arma dei
Carabinieri;
•
incrementare l’efficacia delle iniziative promosse dal Dipartimento per le Pari Opportunità e
da altri attori istituzionali e sociali, realizzando modalità di raccordo tra le rispettive componenti;
•
favorire la partecipazione dei comandi territoriali alle iniziative di collaborazione
interistituzionali sviluppate a livello provinciale.
Dalla consultazione del sito www.carabinieri.it si legge che “A tal fine sono già state intraprese,
dalla neo costituita sezione collaborazioni con il mondo scientifico e universitario e a breve sarà
creato uno specifico archivio sul fenomeno che costituirà il nucleo attorno al quale poter sviluppare
una banca dati sullo stalking.
Tra i primi servizi e studi del neo nucleo si nota che l’Arma, sempre attraverso il suo sito ha
approntato un vademecum per le vittime di stalking, con una breve analisi della normativa nonché
fornisce dei consigli utili per vittime di stalking. .
Nel sito si legge, infatti:
Dal momento che non tutte le situazioni di stalking sono uguali, non è possibile generalizzare
facilmente sulle modalità di difesa che devono essere adattate alle circostanze e alle diverse
tipologie di persecutori.
Si possono tuttavia dare dei suggerimenti in linea generale:
tenete presente che prendere consapevolezza del problema è già un primo passo per
risolverlo. A volte, invece si tende a sottovalutare il rischio e a non prendere le dovute precauzioni
come per esempio, informarsi sull'argomento e adottare dei comportamenti tesi a scoraggiare, fin
dall'inizio, comportamenti di molestia assillante;
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ricordate che, in alcune circostanze, di fronte ad una relazione indesiderata, è necessario
"dire no" in modo chiaro e fermo, evitando improvvisate interpretazioni psicologiche o tentativi di
comprensione che potrebbero rinforzare i comportamenti persecutori dello stalker;
la maggior parte delle ricerche ha rilevato che la strategia migliore sembra essere
l'indifferenza. Infatti, sebbene per la vittima risulti difficile gestire lo stress senza reagire, è
indubbio che lo stalker "rinforza i suoi atti sia dai comportamenti di paura della vittima, sia da
quelli reattivi ai sentimenti di rabbia;
cercate di essere prudenti e quando uscite di casa evitate di seguire sempre gli stessi itinerari
e di fermarvi in luoghi isolati e appartati;
in caso di molestie telefoniche, tentate di ottenere una seconda linea e utilizzate
progressivamente solo quest'ultima. Registrate le chiamate (anche quelle mute). Ricordate che per
far questo è necessario, al momento della telefonata, rispondere e mantenere la linea per qualche
secondo (senza parlare), in modo da consentire l'attivazione del sistema di registrazione dei tabulati
telefonici;
tenete un diario per riportare e poter ricordare gli eventi più importanti che potrebbero
risultare utili in caso di denuncia;
raccogliete più dati possibili sui fastidi subiti, per esempio, conservate eventuali lettere o email a contenuto offensivo o intimidatorio;
tenete sempre a portata di mano un cellulare per chiamare in caso di emergenza;
se vi sentite seguiti o in pericolo, chiedete aiuto, chiamate un numero di pronto intervento,
come per esempio il "112" o rivolgetevi al più vicino Comando Carabinieri.
Anche la Polizia di Stato si è organizzata al suo interno per “professionalizzare” i suoi operatori al
contrasto al fenomeno nonché per studiare il fenomeno di stalking.
Dal sito www.poliziadistato.it si legge infatti che (…) per cercare di aiutare le donne che si trovano
in queste condizioni la Polizia di Stato, insieme all'Università di Napoli, ha creato "Silvia" (Stalking
inventory list per vittime e autori) un progetto per monitorare i casi attraverso un formulario che
aiuti anche gli operatori a conoscere meglio le caratteristiche di questo fenomeno. L'obiettivo è
anche quello di sensibilizzare i poliziotti per fare in modo che il primo contatto con le forze
dell'ordine sia rassicurante e permetta di instaurare un rapporto di fiducia con la vittima.
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4.11
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L’ammonimento - art. 8 decreto legge n. 11 del 2009
convertito dalla legge n. 38 del 2009.
Sempre per contrastare il fenomeno e per evitare che fatti di persecuzione minore confluiscano
in procedimenti penali, con le relative lungaggini giudiziarie, il Legislatore ha introdotto una
speciale forma di dissuasione nei confronti dell’autore, ovvero l’ammonimento.
Ai sensi dell’art. 8 del d.l. n. 11/2009 viene riconosciuta alla persona offesa dal reato di cui all’art.
612-bis c.p., finché non è stata proposta querela, la possibilità di esporre i fatti all’autorità di
pubblica sicurezza, avanzando al Questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della
condotta: richiesta che deve essergli trasmessa senza ritardo.
A seguito della richiesta suddetta, il Questore assume le necessarie informazioni dagli organi
investigativi territorialmente competenti ed escute le eventuali persone informate dei fatti. Se da tali
accertamenti risulta che la richiesta della vittima è supportata da elementi concreti, il Questore
adotta l’ammonimento e redige il relativo processo verbale, la cui copia viene rilasciata sia al
richiedente che all’ammonito. Inoltre, valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di
armi e munizioni. Gli elementi concreti su cui fondare l’adozione del provvedimento si possono
ravvisare in condotte di per sé violente o disdicevoli che, se pur non “ancora” tali da integrare un
reato contro la persona o il patrimonio, potrebbero degenerare e precludere comportamenti
delinquenziali .
Il provvedimento di ammonimento disciplinato dalla normativa in questione ha specifiche finalità
dissuasive e muove dalla necessità di invitare a desistere da qualsiasi condotta vessatoria, anche
sotto forma di minaccia e molestia, chiunque tenga un comportamento non conforme a legge e che è
idoneo a determinare un giudizio di pericolosità sociale del soggetto, ciò indipendentemente dalla
sussistenza di prove compiute sulla commissione di reati e dalla esistenza di pendenze penali a
carico dell'interessato, essendo infatti sufficiente fare riferimento ad elementi dai quali è possibile
desumere un comportamento persecutorio o gravemente minaccioso che, nel contesto delle relazioni
affettive e sentimentali, possa degenerare e preludere a veri e propri comportamenti delinquenziali .
Il provvedimento preventivo dell’ammonimento assolve ad una funzione tipicamente cautelare e
preventiva essendo preordinato a che gli "atti persecutori" non siano più ripetuti e non abbiano a
cagionare esiti irreparabili e debba essere motivato con riferimento a concreti comportamenti attuali
del soggetto dai quali possano desumersi talune delle ipotesi previste dalla legge come indice di
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persecutorietà e di reiterazione dei comportamenti illeciti, sulla base di circostanze di portata
generale e di significato tendenziale o su contesti significativi nel loro complesso.
L’ammonimento orale comporta la presenza fisica ed il contatto interpersonale fra Questore e
stalker: di rilievo, pertanto, l’impatto psicologico e deterrente che potrebbe avere su quest’ultimo,
una volta convocato, una solenne ammonizione da parte di chi si trova al vertice della pubblica
sicurezza in quel territorio. Ammonimento che là dove venisse disatteso dal molestatore,
determinerebbe l’aumento della pena (aggravante) e la procedibilità d’ufficio.
Perplessità sorgono al riguardo se la circostanza aggravante e la procedibilità d’ufficio scattino
in relazione ad un soggetto sì già in precedenza ammonito, ma in relazione sempre al medesimo
soggetto passivo ovvero anche ad altre vittime.
Secondo l’opinione maggioritaria della dottrina l’ammonimento può essere classificato tra le
misure di prevenzione, nello specifico viene interpretato come una forma atipica di misura di
prevenzione, presentando, inoltre, delle caratteristiche che rievocano l’istituto della diffida,
abrogato con la legge 387/88.
Scopo dell’ammonimento è quello di prevenire la consumazione di atti persecutori e il suo
contenuto consiste non tanto in un generico invito al rispetto della legge, quanto, come sembra
doversi dedurre alla luce di un interpretazione sistematica delle disposizioni contenute nello stesso
articolo, uno specifico invito ad interrompere qualsiasi interferenza nella vita del richiedente in
adesione a quanto disposto nell’art. 612 bis c.p.
L’intervento del Questore può essere richiesto dall’interessato solo fino al momento in cui lo
stesso non decida di presentare la querela, potendosi quindi evidenziare la volontà del legislatore di
evitare interferenze tra procedimento penale e procedimento amministrativo di prevenzione.
La persona, al momento della richiesta di ammonimento, deve esporre i “fatti” di cui è stata
vittima, e tali fatti costituiranno l’oggetto della valutazione compiuta dal Questore sulla fondatezza
dell’istanza. La norma, pertanto, non richiede alla vittima di denunciare una notizia di reato, ma di
esporre dei “fatti” per i quali ancora non è stata proposta querela per il reato di cui all’art. 612 bis
c.p.
Va peraltro ribadito che, qualora i fatti portati a conoscenza dell’autorità di Polizia Giudiziaria,
integrino un’ipotesi di reato procedibile d’ufficio, la stessa autorità sarà tenuta ad inoltrare a quella
giudiziaria la relativa notizia di reato.
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E’ da sottolineare che l’ammonimento, se per un verso assume il contenuto di un mero invito,
dall’altro la sua adozione può produrre effetti di non scarso rilievo tra cui l’adozione di
provvedimenti in materia di armi e munizioni e, come sopra riportato, l’aumento della pena in caso
di condanna e la procedibilità d’ufficio in luogo di quella a querela.
L’ammonimento è adottato attraverso un provvedimento dell’autorità amministrativa, e come
tale è ammesso il ricorso sia gerarchico (al Prefetto quale autorità gerarchicamente superiore al
Questore) sia giurisdizionale al T.A.R.
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 CESARE PARODI, LE NUOVE LEGGI PENALI, STALKING E TUTELA PENALE, LE
NOVITÀ INTRODOTTE NEL SISTEMA GIURIDICO DELLA L. 38/2009, GIUGGRE’
EDITORE, VARESE, 2009;
 ALFONSO MONTALBANO, TESI DI LAUREA IN TECNICA PROFESSIONALE 2,
“L’ARMA DEI CARABINIERI IMPEGNATA NELLA LOTTA ALLO STALKING E
AGLI ATTI PERSECUTORI”, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE - FACOLTÀ
DI SCIENZE POLITICHE “CESARE ALFIERI”, FIRENZE, A.A. 2009/2010.
Sitografia
 www.governo.it
 www.parlamento.it
 www.ministerodifesa.it
 www.ministerointerno.it
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www.ministeropariopportunità.it
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www.carabinieri.it
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www.osservatoriosullostalking.it
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www.istat.it
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www.deaprofessionale.it
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Unione Sarda.it; 14.01.2010- Sportello anti-stalking della Provincia di Cagliari, “O.N.S. Fra
vittime ci sono anche uomini”, in http://www.stalking.it/?p=600#more-600)
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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