SANATORIA AMBIENTALE Quale via duscita
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SANATORIA AMBIENTALE Quale via duscita
UNIONE NAZIONALE ITALIANA TECNICI ENTI LOCALI Sezione provinciale di Como / Lecco SANATORIA AMBIENTALE QUALE VIA D’USCITA? Come noto, il D.Lgs. n.42/2004, codice dei beni culturali e del paesaggio, afferma il principio dell’intangibilità dei beni paesaggistici e ambientali, salvo che l’intervento di modifica non sia previamente autorizzato (artt.146 e 147). Esiste, tuttavia, una serie di interventi edilizi che non sono comunque soggetti ad autorizzazione. L’elenco previsto dall’art.149 è tassativo, in quanto introduce una deroga al principio dell’autorizzazione. Per i restanti la realizzazione in assenza di autorizzazione costituisce illecito sia amministrativo che penale. E’ tuttavia prevista la possibilità della sanatoria per talune e limitate ipotesi. Con la presente nota l’UNITEL - Sezione provinciale di Como / Lecco - intende offrire in contributo ricognitivo del quadro complessivo in ordine ai casi esclusi dal regime autorizzatorio, alle competenze in materia di autorizzazione e al regime della sanatoria sia “ordinaria” sia in relazione alle tuttora pendenti domande di condono edilizio con riguardo anche alle possibili soluzioni di sanatoria offerte da una pronuncia del Tar Lombardia, sezione di Brescia. GLI INTERVENTI EDILIZI NON SOGGETTI AD AUTORIZZAZIONE Gli interventi edilizi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica sono contemplati dall’art.149, che prevede una assoluta, espressa e precisa esclusione dal regime di tutela vincolistica dei casi esplicitamente contemplati, perciò in nessun caso è possibile derogare al divieto di edificare senza la prescritta autorizzazione al di fuori di essi. In primo luogo sono esclusi dall’obbligo, salvo che non si rientri nelle aree individuate dal piano paesaggistico a norma dell’art.143, comma 4, e sempre che siano osservati i criteri fissati nei provvedimenti di dichiarazione di notevole interesse pubblico, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici. Questa ipotesi era già contenuta nel previgente art.1 – quinquies della legge 431/1985. Per il giudice penale, tenuto conto che il vincolo e la tutela riguardano il paesaggio e l’esterno visibile degli edifici: “non ogni opera che interessi la superficie esterna comporta alterazione, ma soltanto quella che ne immuti in modo rilevante o essenziale le sue caratteristiche originali, in particolare i prospetti che siano visibili dalla generalità dei consociati (nel caso di specie, la Corte ha ritenuto l’insussistenza del reato di cui all’art. 1 – sexies, legge 431/1985, quando il mutamento venga apportato su pareti che prospettino su cortili o aree interne agli edifici e chiuse su ogni lato mediate due aperture e balconi)”(Cass. pen., III, 24 aprile 1992). L’art.149 esclude altresì dall’obbligo dell’autorizzazione gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro – silvo – pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio. Un altro caso di esclusione è previsto per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste tutelati per legge ai sensi dell’art.142, comma 1, lett. g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia. Se il bosco o la foresta risultano dichiarati di notevole interesse pubblico con specifico provvedimento regionale o ministeriale, sarà obbligatoria la procedura autorizzatoria (D. Sandroni, in, a cura di R. Tamiozzo, Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, Milano, 2005, p. 700). L’AMMINISTRAZIONE COMPETENTE L’ente competente per il rilascio dell’autorizzazione è la regione, salvo che la stessa non deleghi la competenza ad altra amministrazione: provincia, forme associative e di cooperazione tra enti locali (consorzi, unioni di comuni), comuni: “purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico – scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio delle funzioni amministrative in materia urbanistico – edilizia”(art.146, comma 6). Per il rilascio dell’autorizzazione l’art.80 della L.R. n.12/2005 individua il Comune quale ente a competenza generale e residuale, al quale spetta anche l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art.167 del codice del beni culturali e del paesaggio. Al comune spetta altresì la competenza per l’espressione del parere previsto in materia di condono edilizio dall’art.32 della legge 47/85. Tali funzioni amministrative, se inerenti ad opere idrauliche realizzate dagli enti locali, sono esercitate sulle base di criteri approvati dalla giunta regionale. Nello schema dell’art.80 della L.R. n.12/2005 la regione, al pari della provincia, ha invece una competenza tipizzata, e ad essa spetta il rilascio dell’autorizzazione e l’irrogazione delle sanzioni per l’esecuzione di opere statali, o di enti ed aziende statali, e di interesse regionale, ad eccezione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia che non comporti totale demolizione e ricostruzione, ampliamenti, linee elettriche a tensione non superiore ai 15.000 volt, che spettano ai comuni competenti per territorio. Alla regione spetta, inoltre, la competenza per le opere idrauliche realizzate dall’Agenzia Interregionale per il fiume Po (A.I.P.O.), quelle relative ai canali indicati nell’allegato A della L.R. n. 12/2005, vale a dire navigli Grande, Martesana, di Pavia, d’Isorelle, canali Villoresi, Muzza, Vacchelli, nonché gli interventi riguardanti l’attività mineraria previsti dagli articoli 38 (estrazione di sostanza di cava per opere pubbliche) e 39 (riassetto di cave cessate) della L.R. n.14/1998 e gli interventi di deposito e smaltimento dei rifiuti di cui all’art.26 (relativo ad impianti particolari e/o sperimentali per la gestione e smaltimento dei rifiuti) della L.R. n.26/2003. La provincia è competente per l’esecuzione dell’attività di cava e per gli impianti di smaltimento non attribuiti espressamente alla competenza regionale, per le opere di sistemazione montana di cui all’art.2, lett. d) (opere di sistemazione montana) della L.R. n.70/1983, per le strade di interesse provinciale, per le linee elettriche a tensione superiore a 15.000 e fino a 150.000 volt, per gli interventi da realizzarsi nelle aree di demanio lacuale dei laghi indicati nell’allegato A (Maggiore – parte lombarda, Varese, Monate, Comabbio, Lugano – parte italiana, Como, Annone, Pusiano, Segrino, Montorfano, Alserio, Garlate, Mezzola, Endine, Iseo, Idro, Garda, Laghi di Mantova), per gli interventi di trasformazione del bosco di cui all’art.4 (trasformazione del bosco e rimboschimento compensativo) del decreto legislativo 227 del 2001. Questa funzione è attribuita nei territori montani alle comunità montane (art.80, comma 3bis, L.R. n.12/2005). Nei territori dei parchi regionali la competenza per le funzioni amministrative autorizzatorie e sanzionatorie dei commi 1 e 4 sono affidate ai rispettivi enti di gestione, ad eccezione dei territori assoggettati all’esclusiva disciplina comunale dai piani territoriali di coordinamento dei parchi (art.80, comma 5, L.R. n.12/2005). Spettano altresì agli enti predetti, secondo le competenze loro attribuite dalla legge regionale, le funzioni amministrative riguardanti provvedimenti inibitori e di sospensione dei lavori (art.80, comma 6 L.R. n.12/2005). LA SANATORIA L’istituto dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria è di natura eccezionale e di stretta applicazione (art.146, comma 4) ed è disciplinato dall’art.167, commi 4 e 5 del D.Lgs. n.42/2004, successivamente modificato, integrato ed infine sostituito dall’art.27 del D.Lgs. n.157/2006. Per l’art.167, comma 4, l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure del successivo comma 5, nei seguenti e tassativi casi: a) lavori in assenza od in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati. Benché il riferimento alle superfici utili sembri richiamare una nozione giuridica di superficie, quasi a distinguere una superficie utilizzabile ed una no, o meglio, una superficie che va calcolata ai fini degli indici edificatori ed una che non lo è, e quindi potrebbe far immaginare che anche il concetto di volume sia da intendersi non in senso fisico – geometrico, ma in quello giuridico di una quantità rilevante per il computo degli indici edificatori secondo quanto definito dallo strumento urbanistico generale, non si ritiene che questa sia la corretta interpretazione della norma. Infatti, il codice dei beni culturali e del paesaggio ha per oggetto la tutela dell’esteriore aspetto degli edifici e dei luoghi, tant’è che non sono oggetto della sua disciplina le opere interne ai fabbricati e quelle di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, che non incidano, modificandolo, sull’aspetto esteriore dell’edificio (art.149). Dunque, rileva il dato fisico della modificazione dei luoghi a prescindere dalla natura della modificazione e della sua incidenza sugli indici urbanistici ed edilizi. La nuova superficie od il nuovo volume, al pari dell’aumento di quello legittimamente assentito, non è sanabile, quale che sia la sua rilevanza giuridica sul piano urbanistico ed edilizio; b) impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesistica. Questa ipotesi non si presta a soverchie difficoltà interpretative, necessitando solamente che sia ben motivata la compatibilità e congruenza del nuovo materiale effettivamente utilizzato rispetto a quello originariamente previsto con l’autorizzazione paesaggistica; c) lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria “ai sensi dell’art. 3 del DPR n.380/2001”. Con la manutenzione ordinaria si possono sostituire elementi esterni dell’edificio, come il materiale di copertura del tetto, gli infissi delle porte e delle finestre, il pavimento di balconi e terrazze, tinteggiare o rivestire le pareti esterne. Con la manutenzione straordinaria possono essere sostituite parti strutturali dell’edificio, oppure modificata la scansione delle aperture sulle pareti con la chiusura o l’apertura di porte e finestre. Si tratta di modifiche che, nei casi esemplificati, riguardano l’aspetto esteriore degli edifici. Ebbene, secondo la norma del comma 4 dell’art.167, questi abusi sono “comunque” sanabili. Nell’ordinamento lombardo il riferimento dell’art.167, comma 4, all’art.3 del DPR rischia di provocare incertezze circa la norma da applicare (sempre che non si consideri il rinvio all’art.3 come materiale e quindi ricettivo del suo testo nel comma 4 dell’art.164), perché tale disposizione per effetto di quanto previsto dall’art.103 della L.R. n.12/2005 è stata sostituita dall’entrata in vigore di questa legge dall’art.27 della stessa L.R. n.12/2005, che attribuisce alla manutenzione straordinaria un contenuto più ampio di quello prestito dall’art.3. Tuttavia, poiché la diversa e più ampia nozione dell’art.27 si risolve essenzialmente nella possibilità di trasformare l’edificio esistente mediante modifica del numero delle unità immobiliari, non dovrebbe suscitare problemi applicativi per la dichiarazione di conformità ed il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria. La normativa sull’autorizzazione in sanatoria è speciale e non estensibile in via analogica ad altre ipotesi non esplicitamente contemplate tra i casi tassativamente elencati dalla legge. Il presupposto per l’applicazione della sanatoria sono le opere che, sebbene abusive, siano comunque ammesse dalle norme che disciplinano il vincolo, perciò la compatibilità dell’abuso va esclusa ex lege, se l’opera non è ammessa dalla norma in quanto è la norma stessa che a priori ha effettuato la valutazione di compatibilità, escludendola. Perciò, a norma del comma 5 dell’art.167, è soltanto nei casi del comma 4, che il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi può presentare specifica domanda di compatibilità ambientale all’autorità preposta alla gestione del vincolo, ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica dei medesimi interventi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine di 90 giorni. In proposito, a norma dell’art.16, comma 3 della legge 241/1990, è da escludersi che si formi il silenzio assenso nel caso di decorrenza del termine senza che la soprintendenza si sia pronunciata. L’art.16, comma 3 della legge 241/1990 sopra richiamato, infatti, stabilisce che non si forma il silenzio - assenso per i pareri che debbono essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. Ove il termine di 90 giorni decorra inutilmente, l’autorità preposta alla tutela del vincolo (comune o parco regionale) può agire avverso il silenzio - inadempimento della soprintendenza, diffidandola ad emettere il parere, ovvero direttamente in giudizio davanti al giudice amministrativo, a norma dell’art. 2, comma 5 della legge 241/1990. Il comma 5 dell’art.167 aggiunge che nel caso sia stata dichiarata la compatibilità paesaggistica, il trasgressione è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima e “comunque, in misura non inferiore a cinquecento euro”(art.83, L.R. n.12/2005). In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria prescritta dal comma 1 dell’art.167. Il comma 5 dell’art.167 estende anche agli effetti dell’autorizzazione in sanatoria la domanda presentata ai sensi dell’art.181, comma 1quater per l’estinzione degli illeciti penali. E’ bene sottolineare che la dichiarazione di compatibilità è il presupposto per il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria e, a sua volta, la dichiarazione di compatibilità da parte comunale o del parco regionale è presupposta dal parere vincolante favorevole della soprintendenza. Il parere di quest’ultima non può non essere comunque acquisito, non opera in questo caso la norma speciale dell’art.146, comma 9, che prevede che in caso di inerzia se ne possa prescindere. L’esistenza dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per i soli casi di cui al comma 4 dell’art.167 è esplicitata dal comma 4 dell’art.146. Va da sé che, come il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica costituisce, a norma del comma 4 dell’art.146: “atto autonomo e presupposto del permesso di costruire o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio”, al punto che: “I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa”, anche il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria costituisce l’atto autonomo e presupposto per il rilascio del provvedimento edilizio in sanatoria dell’art.36 o dell’art.37 del DPR n.380/2001. Sulle motivazioni della dichiarazione di compatibilità paesaggistica la giurisprudenza richiede che siano dimostrate le ragioni che rendono compatibile l’intervento edilizio che si intende realizzare con i valori che il vincolo imposto su una determinata area o fabbricato salvaguardia (TAR Campania, Na, sez. IV, 11950/04). Se ciò vale in generale e in via preventiva alla realizzazione dell’opera, ancor più dovrebbe valere laddove la valutazione sia ex post, cioè ad opera (abusiva) già realizzata. In proposito va però segnalato che, secondo i criteri attuativi della L.R. n.12/2005 in materia di tutela dei beni paesaggistici elaborati dalla regione Lombardia, sarebbe possibile conseguire la compatibilità ambientale con un intervento di adeguamento successivo, condizionato all’esecuzione di opere di ripristino ambientale (Burl n.21, Edizione Speciale del 24 maggio 2006). Questa opinione desta forti perplessità, perché presuppone, contrariamente a quel che stabilisce la norma, che l’opera realizzata, senza autorizzazione o in difformità da essa, non sia a priori compatibile, e quindi sanabile di per sé, ma soltanto in seguito ad un intervento di adeguamento ai valori ambientali tutelati. La compatibilità, come risultato di un intervento adeguatore, impone che l’amministrazione rilasci una preventiva autorizzazione che consenta le opere adeguatici da effettuarsi su di un’opera tuttavia abusiva. Il contrasto con la lettera e la finalità della norma e dell’istituto della sanatoria appaiono abbastanza evidenti. In relazione alle possibilità di sanatoria si deve altresì dar conto di una recente pronuncia del Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, sentenza n.317 del 6 marzo 2008 che, in presenza di specifiche condizioni, consente la sanatoria di abusi anche al di fuori dei casi indicati dalla legge. Il Tar bresciano: - da atto che: “La vigente normativa sull’autorizzazione paesistica risultante dal combinato dell’art. 146 comma 12 e dell’art.167 comma 4 del D.Lgs. n.42/2004 è particolarmente severa, in quanto esclude la sanatoria ambientale per le opere non preventivamente assentite, con l’eccezione di alcune fattispecie marginali”; - riconosce che: “La finalità della norma è di costituire un più solido deterrente contro gli abusi dei privati. Il regime previgente, che affidava all’amministrazione la scelta tra la remissione in pristino e il pagamento di un risarcimento ambientale (da individuare nel maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito dal trasgressore), riconosceva un certo rilievo al fatto compiuto alterando i rapporti di forza tra la parte pubblica e quella privata a favore di quest’ultima. Il regime attuale invece fa prevalere l’interesse pubblico a un’utilizzazione controllata (e quindi preventivamente assentita) del territorio caratterizzato da valori o fragilità ambientali. Si può quindi verificare nelle fattispecie concrete un’asimmetria tra la situazione urbanistico-edilizia (che potrebbe ammettere la sanatoria ordinaria mediante la verifica di conformità dell’art.36 del DPR n.380/2001) e la situazione ambientale (dove la mancanza formale dell’autorizzazione paesistica rappresenta un ostacolo insormontabile alla sanatoria.)”; - trae la conclusione che: “La norma attualmente vigente presuppone tuttavia che nella fattispecie concreta si confrontino unicamente l’interesse pubblico all’utilizzazione controllata del territorio e l’interesse del privato alla sanatoria. Verificandosi questa condizione, che dà forma alla fattispecie tipica, prevale il suddetto interesse pubblico e lo stato dei luoghi deve essere ripristinato. La situazione è però diversa se la sanatoria corrisponde anche a un differente e ulteriore interesse pubblico, che si affianca a quello privato. Questa ipotesi può verificarsi quando dall’attività edilizia oggetto di sanatoria derivi, direttamente o indirettamente, in via convenzionale, per atto unilaterale d’obbligo o sulla base di una previsione dello strumento urbanistico, un vantaggio ambientale. Tale vantaggio può avere molteplici contenuti purché sia apprezzabile in modo distinto rispetto alla semplice modificazione dello stato dei luoghi apportata dal privato. Sotto questo profilo si può ritenere che tanto l’assunzione di oneri da parte del privato per migliorare le infrastrutture pubbliche o gli standard urbanistici quanto l’impegno del privato a svolgere un’attività produttiva già insediata secondo criteri ispirati a una maggiore sensibilità ambientale …. consentano di superare il rigido rapporto di anteriorità tra l’autorizzazione paesistica e l’attività edificatoria. Si tratta di risultati che assicurano una tutela dei valori e delle fragilità ambientali più ampia di quella derivante dalla semplice remissione in pristino e dunque non possono considerarsi vietati dal meccanismo di protezione stabilito dall’art.146 comma 12 e dall’art.167 comma 4 del D.Lgs. n.42/2004. Se il privato è disposto ad assumere oneri specifici per migliorare la situazione ambientale, e se è accertato che dalle opere abusive non può derivare alcun danno collaterale all’ambiente, l’ordine di demolire quale condizione necessaria per poi ottenere l’autorizzazione di opere identiche appare fondata su un’interpretazione irragionevole del quadro normativo e impone al privato un sacrificio non conforme al principio di proporzionalità.” La tesi del Tar si fonda sulla stessa logica su cui si regge la teoria della cosiddetta sanatoria giurisprudenziale (peraltro espressione di un indirizzo minoritario), in base alla quale sarebbe del tutto irragionevole pretendere la demolizione di un’opera abusiva, ma conforme alle previsioni urbanistiche e edilizie, in questo caso ambientali, quale condizione per rilasciare successivamente l’autorizzazione per la stessa opera. Il Tar con la sentenza riportata ritiene che una sanatoria di questa portata, benché non prevista dalla normativa, non sia neppure esclusa. In altri termini, seppure i casi di sanatoria siano definiti tassativamente, è dal sistema complessivo della normativa che emergerebbe la concreta possibilità di sanare anche abusi diversi da quelli individuati dall’art.167. Il Tar sembra definire questa ipotesi di sanatoria non già come aggiuntiva rispetto a quelle individuate dalla legge, bensì posta su di un piano distinto. Essa sarebbe l’effetto di un interesse pubblico ulteriore, sostanziato dall’impegno dell’interessato a migliorare la situazione ambientale. Nello schema della legge i casi di opere abusive individuati, ove dichiarati compatibili, sono sanabili perché non rappresentano pericolo per la tutela dell’ambiente. Nella prospettazione del Tar l’abuso non tipizzato è sanabile non in quanto compatibile, che è una precondizione ineludibile, ma perché concorre con interventi adeguati e ulteriori a migliorare l’ambiente. Questi interventi non riguardano l’opera abusiva da rendere compatibile, infatti la valutazione circa la sua compatibilità va fatta a priori, ma le opere che modificano in meglio l’ambito nel quale è inserito l’abuso da sanare. Tuttavia, la tesi del Tar di Brescia, per quanto suggestiva, oltre a porre problemi di compatibilità con la natura speciale delle norme sui casi di sanatoria, rischia però di essere in ultimo ininfluente sul piano della responsabilità penale e degli effetti sanzionatori previsti dall’art.181 del D.Lgs. n.42/2004. La dichiarazione di compatibilità e la conseguente sanatoria estinguono gli illeciti amministrativi e penali solo per i casi – che sono identici per entrambe le norme - indicati dall’art.167, comma 4 e dall’art.181, comma 1ter, è quindi difficile immaginare che la sanatoria “giurisprudenziale” per casi non previsti dalla legge estenda i suoi effetti anche al regime penale degli illeciti. La sanatoria eviterebbe la demolizione come sanzione dell’illecito amministrativo, sostituita dal pagamento di una pena pecuniaria ex art.167 e art.83 L.R. n.12/2005, ma non inciderebbe sull’esistenza dell’illecito penale, il cui accertamento comporterebbe, oltre all’applicazione della sanzione detentiva o pecuniaria, a norma dell’art.44, lett.c) del DPR n.380/2001 e del comma 1 bis dell’art.181, anche quella reale della demolizione disposta con la sentenza di condanna (art.181, comma 2). SANATORIA E CONDONO EDILIZIO Rispetto al regime della sanatoria “ordinaria”, quello della sanatoria paesaggistica connesso a domande di condono edilizio mostra sue distinte peculiarità e si configura come speciale: “La normativa statale sul condono edilizio, per la sua natura straordinaria ed eccezionale, è di stretta interpretazione” (Cass. Pen., III, 6431/07). Tuttavia, essa non si discosta dal principio generale che pone quale interesse preminente la tutela paesaggistica e ambientale rispetto all’interesse di regolarizzare opere edilizie abusive. In quest’ottica il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria è comunque e sempre presupposto dal parere favorevole delle amministrazioni preposte dalla tutela del vincolo stesso. Va altresì aggiunto che il rilascio del provvedimento di sanatoria edilizia non estingue l’illecito ambientale, se non nei casi previsti dalla legge, in quanto i reati paesistici e ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali (Corte Cost., sent. nn. 367 e 378 del 2007), mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto quale è la disciplina amministrativa dell’uso del territorio (Corte Cost., ord. nn. 46/01, 144 e 439 del 2007). Per questo regime non sono suscettibili di sanatoria edilizia, ai sensi dell’art.32 del decreto legge 269/2003, convertito nella legge 326/2003, le nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici. La seconda parte della lett.a) del comma 26 del medesimo decreto legge stabilisce che nelle aree sottoposte a vincolo di cui alla legge 47/1985 (art.32, trattasi anche dei vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici) è possibile ottenere la sanatoria solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (Cass. Pen., III, 48956/04), da individuarsi ai sensi dell’art.80, commi 1 e 5 della L.R. n.12/2005. La competenza regionale in materia di disciplina del condono è stata esercitata dalla regione Lombardia con la L.R. n.31/2004, la quale all’art. 1, delimita il suo ambito di applicazione in base alla data di presentazione delle domande di condono. L’art.1, comma 1, prevede la salvaguardia delle domande di condono già presentate all’entrata in vigore del decreto legge 168/2004, convertito nella legge 191/2004, per le quali si applica la previgente disciplina del decreto legge 269/2003, convertito nella legge 326/2004. La salvaguardia si estende anche alle anticipazioni degli oneri concessori delle domande di sanatoria presentate alla data di entrata in vigore della legge 191/2004. Tali domande sono però soggette al pagamento del saldo sulla scorta delle tariffe vigenti all’atto di perfezionamento del procedimento in sanatoria (art.1, comma 3). Sono altresì ammesse alla sanatoria nei limiti stabiliti dalla legge statale le tipologie di illecito di cui ai numeri 4 (restauro e risanamento conservativo in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio nelle zone A, centro storico, del dm 1444/68), 5 (restauro e risanamento conservativo realizzato in assenza o difformità dal titolo abilitativo edilizio), 6 (manutenzione straordinaria realizzata in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, altre opere non valutabili in termini di volume o superficie) dell’allegato 1 della legge 326/93, relative ad immobili ricadenti in aree non soggette ai vincoli posti dall’art.32 della legge 47/1985 (art.1, comma 2). Restano invece assoggettate alle regole della L.R. n.31/2004 le domande di condono presentate oltre i termini dell’art.1, in particolare per gli abusi commessi in aree soggette a vincolo paesaggistico trovano applicazione gli artt.2 e 3. Le opere abusive riconducibili alla tipologia 6 (manutenzione straordinaria) dell’allegato 1 della legge nazionale sono sanabili per il comma 3 dell’art.2, sebbene siano state realizzate su aree demaniali e nelle aree dei parchi regionali, mentre per i comuni compresi nel territorio di un parco regionale sono sanabili anche le altre tipologie di abuso nei limiti e nei casi dei commi precedenti, se realizzate all’interno delle zone di rinvio da parte dello strumento di pianificazione del parco alla pianificazione comunale (zone di iniziativa comunale). Perciò l’ambito degli abusi sanabili in questo caso è più ampio rispetto alla previsione statale. Sono altresì sanabili le opere di manutenzione straordinaria, come definite dall’art.3 del Tu dell’edilizia (ora art.27, c.1, lett. b, L.R. n.12/2005, applicabile per le ragioni sopra esposte), realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle aree a parco naturale, nelle riserve naturali e nei monumenti naturali. Infine non sono sanabili nei complessi ricettivi all’aria aperta (campeggi, villaggi turistici) i preingressi e tali sono per l’art.4 del regolamento regionale in materia le strutture in materiale rigido, smontabile e trasportabile con superficie non superiore a 12 mq e che non superino di oltre 25 cm il mezzo di cui costituiscono pertinenza, e gli allestimenti di pernottamento mobili (si tratta delle strutture che conservano i meccanismi di rotazione in funzione, non sono collegate permanentemente al terreno ed i cui allacciamenti alla rete idrica, elettrica e fognaria sono rimovibili in qualsiasi momento, art.5, L.R. n.7/2001). Una disciplina speciale è prevista dall’art. 3 per la sanatoria nelle aree soggette a vincoli e nei siti di Rete Natura 2000. L’art.3 ripete il testo della lett. d) del comma 27 dell’art.32 del DL 269/2003, che esclude dalla sanatoria l’opera abusiva successiva all’istituzione del vincolo paesistico, ambientale, idrogeologico, ecc, e che sia altresì difforme dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici. La previsione regionale invece limita l’esclusione al solo contrasto con il vincolo e non anche con le norme urbanistiche. L’effetto di questa scelta sembra essere comunque irrilevante, perché la disciplina vincolistica, posta a presidio di interessi particolarmente meritevoli di tutela o che afferiscono a beni essenziali come la vita (si pensi al rispetto della disciplina idrogeologica o delle falde acquifere), prevale sempre sulle previsioni e prescrizioni urbanistiche, di modo che l’abuso può essere conforme alla previsione urbanistica, ma, in quanto contrastante con il vincolo, sarà pur sempre insanabile. Analogamente a quanto previsto dalla menzionata norma statale, anche quella regionale al comma 2 dell’art.3 rinvia al testo dell’art.32 della legge 47/1985 per le ipotesi di sanatoria delle opere abusive realizzate nelle aree del comma 1 dello stesso art.3, ovviamente nel rispetto dei casi di esclusione previsti da quest’ultimo. Da ultimo per gli abusi commessi nei siti di Rete Natura 2000 la sanatoria è subordinata alla preventiva e positiva valutazione di incidenza prevista dal DPR 357/1997. Il procedimento per il rilascio del condono edilizio in ambito vincolato è disciplinato dall’art.32 della legge 47/2005, che al comma 2 ne stabilisce altresì le condizioni. Innanzitutto è prescritto al comma 1 che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso: “Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro 180 giorni dalla ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio – rifiuto.” L’effetto del rilascio del provvedimento di sanatoria edilizia è l’estinzione del reato ambientale. QUANTIFICAZIONE DELL’INDENNITÀ RISARCITORIA NEL CONDONO EDILIZIO La determinazione dei parametri e delle modalità per la quantificazione dell’indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate in area sottoposte a vincolo è disciplinata dal Dm 26 settembre 1997. Si è posto il problema se il DM sia da applicarsi solo in presenza di domande di condono edilizio, ovvero anche nel caso di domande di autorizzazione paesaggistica connesse a domande di sanatoria edilizia cosiddetta ordinaria, ai sensi degli artt.36 e 37 del DPR 380/2001. Si rammenta che il DM detta le regole per la determinazione dell’indennità di cui all’art.15 della legge 1497/1939, ora art.167 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n.42/2004). L’art.15 (art.167) affida all’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica la scelta in ordine alla rimessione in pristino dell’opera abusiva, o al pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. Il DM è stato già oggetto di alcune pronunce giurisprudenziali che ne hanno chiarito in modo definitivo l’ambito di applicazione. In particolare si segnala la sentenza n.3182 del 2 giugno 2000, con la quale il Consiglio di Stato, sez. VI, ha fissato alcuni principi: 1. l’art.15 (art.167) va interpretato nel senso che l’indennità ivi prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce sanzione pecuniaria che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale e non rappresenta una forma di risarcimento del danno. Perciò si applica anche quando il danno ambientale è pari a zero; 2. la sospensione dei procedimenti sanzionatori e l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative stabilite dall’art.38 della legge 47/1985 in favore di coloro che abbiano presentato domanda di condono edilizio riguardano solo le violazioni previste dalla normativa urbanistico – edilizia e non anche quelle risultanti dalla normativa a tutela del paesaggio; pertanto, la condonabilità degli abusi commessi in zona soggetta a vincolo paesaggistico non esclude che sia dovuta la sanzione pecuniaria prevista dall’art.15 (art.167), in quanto l’illecito paesistico che sia compatibile con l’ambiente, se consente il condono dell’abuso edilizio, non viene sanato dal condono edilizio medesimo; 3. il DM reca i criteri di quantificazione della sanzione prevista dall’art.15 (art.167), ai soli fini del condono dell’abuso edilizio; 4. l’esercizio del potere sanzionatorio amministrativo, in particolare in materia urbanistico – edilizia e di tutela del paesaggio, non è soggetto a prescrizione o decadenza, per cui l’accertamento dell’illecito amministrativo e l’applicazione della relativa sanzione può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, senza che il ritardo nell’adozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazione consolidate. Sull’applicazione del DM solo alle domande relative a condono edilizio non possono del resto sorgere dubbi anche dalla semplice lettura del suo testo. Nelle premesse del decreto è infatti affermato che: “Visto l’art. 10, comma 5ter, del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n.30, che ai soli fini del condono edilizio demanda al Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, la determinazione dei parametri e delle modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria prevista dall’art.15 della legge 29 giugno 1939, n.1497, con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto del vincolo”. Dunque, è chiaro che il potere ministeriale era circoscritto ai soli fini del condono edilizio (in tal senso è anche la Circolare ministeriale dell’ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici SG/202/14580 del 27 giugno 2000), con ciò è escluso, tenuto conto anche della natura speciale della normativa in questione, che il DM in questione possa trovare legittima applicazione anche nel caso di sanatorie ordinarie (Cons. St. , VI 3184/00). Nei casi connessi a domande di condono edilizio la somma dell’indennizzo è determinata previa perizia di stima sulla scorta dei seguenti criteri: caratteristiche del territorio vincolato, normativa di tutela vigente sull’area interessata, stima del profitto in via generale quantificato nella differenza tra il valore dell’opera realizzata ed i costi sostenuti per l’esecuzione della stessa alla data di effettuazione della perizia (art.2). Il profitto è calcolato in via ordinaria al tre per cento del valore d’estimo dell’unità immobiliare come determinato dall’art.2 della legge 75/1993 (art.3, comma 1). Le amministrazione competenti possono determinare l’incremento dell’aliquota del tre per cento in relazione alla tipologia di abuso nella tabella allegata alla legge 47/1985 (art.3, comma 2). SUGGERIMENTI PER IPOTESI DI SANATORIA L’ipotesi di sanatoria prefigurata dal Tar Lombardia, Brescia, con la sentenza sopra illustrata prefigura la stipulazione di un accordo sostitutivo del provvedimento ai sensi dell’art.11, legge 241/1990. Con questo atto le parti pubblica e privata definiscono i contenuti dell’accordo preordinato al rilascio del provvedimento in sanatoria, purché siano rispettate le seguenti condizioni: - le opere abusive devono essere previamente dichiarate ambientalmente compatibili; - deve essere individuato un interesse pubblico ulteriore rispetto a quello individuato dalla legge nei casi in cui prevede la possibilità della sanatoria; - questo interesse pubblico consiste non già in un intervento che renda compatibile ambientalmente l’opera abusiva, si è infatti visto che la compatibilità è una condizione, quanto deve consistere in un’adeguata opera finalizzata a migliorare l’ambiente, attraverso la realizzazione o il potenziamento di opere pubbliche finalizzate ad apportare un vantaggio ambientale, ovvero nella corresponsione di una somma aggiuntiva di danaro da destinare a quelle finalità di miglioramento ambientale (si tenga presente che in applicazione del codice dei contratti pubblici è esclusa la facoltà di eseguire direttamente per il privato opere pubbliche, cosicché il vantaggio pubblico ulteriore dovrebbe risolversi nella corresponsione di danaro finalizzato allo scopo anzidetto). E’ comunque opportuno che la facoltà di avvalersi della soluzione prospettata dal Tar con la sentenza citata sia esercitata mediante la predisposizione di criteri approvati dagli organi di governo del comune. Tra questi criteri vi possono essere quelli in base ai quali stabilire la misura dell’importo dovuto al titolo di miglioramento ambientale.