Consiglio di Stato, sez. IV, 19 febbraio 2013, n. 1019

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Consiglio di Stato, sez. IV, 19 febbraio 2013, n. 1019
Consiglio di Stato, sez. IV, 19 febbraio 2013, n. 1019
Edilizia e urbanistica - Permesso di costruire - Legittimità del permesso di costruire per la
realizzazione di un annesso rustico rilasciato a chi non ha la qualifica di imprenditore agricolo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 832 del 2009, proposto da:
Volpe Mario, rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Tardella, Paolo Meneghel, Massimiliano De
Benetti, con domicilio eletto presso Carlo Tardella in Roma, via Sabotino N.22;
contro
Pavanello Luca, rappresentato e difeso dagli avv. Anna Lagonegro, Debora Stoppa, con domicilio
eletto presso Anna Lagonegro in Roma, via Boezio, 92;
nei confronti di
Comune di Cinto Euganeo, Parco Regionale dei Colli Euganei, Azienda Ulss 17, Min. Bb Cult. e
Ambientali - Soprint. Bap Veneto Orientale;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 03133/2008, resa tra le parti,
concernente PERMESSO DI COSTRUIRE - AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA IN
SANATORIA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le
parti gli avvocati Carlo Tardella, Anna Lagonegro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame il sig. Mario Volpe impugna la sentenza 7 ottobre 23008 n. 3133, con la
quale il TAR per il Veneto, sez. II, in accoglimento del ricorso proposto dal sig. Luca Pavanello, ha
annullato, tra gli altri, il permesso di costruire n. 73/2006 rilasciatogli per la realizzazione di un
annesso rustico in Comune di Cinto Euganeo.
La sentenza appellata afferma:
- ai sensi dell’art. 48, co. 7-bis, l. reg. n. 11/2004, è applicabile alla realizzazione del rustico la l.
reg. n. 24/1985, trattandosi di procedimento autorizzatorio in corso, e quindi “la possibilità di
recuperare, ex art. 4 ai fini dell’ampliamento, la volumetria appartenente ad un annesso rustico,
indipendentemente dalla sua contiguità rispetto all’edificio cui riferire l’ampliamento”;
- ai fini dell’applicazione della disposizione suddetta, occorre “la necessità di un collegamento
funzionale fra la attività imprenditoriale svolta sul fondo e il fondo stesso, con la correlata
dimostrazione della convenienza economica dell’investimento, rifacendosi alla definizione tecnica
di azienda”;
- posto che la apicoltura, cui è destinato l’immobile, è considerata a tutti gli effetti attività agricola,
anche se non correlata necessariamente alla gestione del terreno (ex art. 2 l. n. 13/2004), nel caso di
specie la contestazione “non è rivolta alla sussistenza dell’attività imprenditoriale, comunque negata
. . . bensì alla sua preesistenza, cioè alla condizione di apicoltore prima dell’intervento”, sulla quale
“il controinteressato non è stato capace di offrire una prova convincente”;
- in particolare, “risulta che tutta la documentazione probatoria è successiva alla domanda,
nonostante esistesse la possibilità di utilmente dimostrare la contestata preesistenza”. Infatti, egli
“avrebbe ben potuto allegare la data di denuncia, da valutarsi come dies a quo dell’attività
imprenditoriale legittimante il titolo, anche se svolto temporaneamente presso altro allevatore
(valutazione di favore, essendo evidente la preesistente, alla denuncia, costituzione dell’impresa)”,
mentre la data del documento esibito in giudizio è successiva “addirittura alla stessa notifica del
ricorso”;
- in definitiva, il Volpe “era privo del requisito soggettivo di imprenditore agricolo – ove derivante
dall’attività di apicoltore – con la conseguente illegittimità del permesso di costruire rilasciato”.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione su un punto essenziale della
controversia; erronea e falsa applicazione art. 6 l. reg. Veneto n. 24/1985; ciò in quanto:
- l’art. 6 l. reg. n. 24/1985 “non prevede affatto il requisito soggettivo della qualità di imprenditore
agricolo per la costruzione di annessi rustici in zona agricola, requisito che invece è richiesto per la
costruzione delle sole case di abitazione”;
- la necessità della qualifica di imprenditore agricolo è stata invece espressamente introdotta dalla l.
reg. n. 11/2004;
- né è stato considerato che “l’azienda agricola, cui l’annesso rustico dovrebbe essere funzionale e
dunque la qualifica di imprenditore agricolo, potrebbe anche essere in fieri”;
- l’attività di apicoltura svolta sul fondo di terzi era “stata allegata per il tramite della relazione del
tecnico geom. Filippo Tagliaferro”.
Si è costituito in giudizio il sig. Luca Pavanello, il quale ha innanzi tutto concluso per il rigetto
dell’appello, stante la sua infondatezza, ed ha inoltre proposto appello incidentale, con il quale ha
per un verso, impugnato la sentenza, in relazione al rigetto dei primi due motivi di ricorso proposti
in I grado; per altro verso, ha riproposto i motivi di ricorso assorbiti.
Quanto al primo aspetto (appello incidentale “improprio” ex art. 333 c.p.c.), vengono proposti i
seguenti motivi di gravame:
b) illegittimità della sentenza nella parte in cui con motivazione illogica, insufficiente, incongrua,
rigetta il primo motivo di ricorso, con il quale si era denunciata violazione e mancata applicazione l.
reg. n. 11/2004; posto che la variazione progettuale del dicembre 2006 (essendo irrilevante quanto
prodotto nel diverso procedimento per il rilascio del nulla osta ambientale da parte dell’Ente Parco
Colli Euganei) “configura una vera e propria nuova domanda avendo ad oggetto un annesso rustico
la cui destinazione ed il cui rapporto funzionale con il fondo agricolo sono tutt’affatto diversi
rispetto a quelli oggetto dell’iniziale istanza” (da ricovero attrezzi a luogo di trasformazione,
deposito e commercializzazione dei frutti del bosco);
c) illegittimità della sentenza per travisamento dei fatti in ordine alla tipologia dell’intervento
edilizio oggetto del permesso di costruire impugnato (nuova edificazione e non mero ampliamento
dell’esistente); ciò in quanto sul terreno interessato dall’intervento “non sussisteva alcun
preesistente manufatto, ma un’area interamente boscata; laddove invece un preesistente piccolo
manufatto rurale completamente fatiscente si trova tutt’oggi su un fondo non contiguo al terreno in
esame”;
d) illegittimità della sentenza nella parte in cui con motivazione illogica, insufficiente e incongrua
rigetta il secondo motivo di ricorso; poiché il permesso di costruire è illegittimo in quanto “è stato
rilasciato sulla base del parere favorevole espresso dall’autorità sanitaria, ma in relazione ad una
destinazione della struttura edilizia ben diversa da quella in realtà poi assentita, la quale avrebbe
evidentemente richiesto un diverso e ben più pregnante controllo igienico – sanitario”.
Quanto al secondo aspetto (appello incidentale “proprio” ex art. 334 c.p.c.), vengono riproposti i
motivi di ricorso di I grado assorbiti:
e) eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza di istruttoria in relazione al requisito
soggettivo della natura di imprenditore agricolo del richiedente; poiché vi è stata carenza di
istruttoria in ordine all’accertamento del requisito di imprenditore agricolo in capo al sig. Volpe;
f) plurima violazione art. 2 l. reg. n. 24/1985 e della circ. regionale n. 4/1986; eccesso di potere per
travisamento dei fatti, illogicità manifesta e carenza di istruttoria in relazione ai requisiti oggettivi di
connessione funzionale tra annesso rustico e azienda agricola;
g) violazione art. 14 NTA del Piano ambientale dei Colli Euganei, in relazione al divieto di
interventi in aree boscate nelle zone di protezione agro forestale (quale è quella dove è ubicato
l’intervento);
h) ulteriore violazione art. 14 NTA del Piano ambientale del Parco dei Colli Euganei, in relazione
all’inesistenza dell’aggregato abitativo;
i) violazione e falsa applicazione art. 181, co. 1-ter d. lgs. n. 42/2004, in relazione al nulla osta in
sanatoria rilasciato dal Presidente dell’Ente Parco dei Colli Euganei, poiché “la possibilità del
rilascio dell’autorizzazione in sanatoria in presenza di determinati presupposti, riguarda solo ed
esclusivamente il titolo paesaggistico per le aree sottoposte a vincolo, ma non riguarda l’ipotesi di
mancanza del nulla osta dell’ente parco per interventi realizzati abusivamente nei territori delle aree
naturali protette”;
l) violazione art. 14 NTA del Piano ambientale del Parco dei Colli Euganei; violazione art.181 –ter
d. lgs. n. 42/2004; eccesso di potere per falsità del presupposto, travisamento dei fatti e sviamento
dalla causa tipica in ordine alla presunta compatibilità paesaggistica dell’intervento (stante la
classificazione dell’area come “zona di protezione agro – forestale, disciplinata dall’art. 14, co. 5,
lett. a) delle NTA che vieta ogni e qualsiasi intervento sui terreni boschivi e recentemente
rimboschiti;
m) eccesso di potere per illogicità manifesta, in relazione al ripristino delle quote originarie del
terreno sbancato;
n) violazione delle prescrizioni di cui alla relazione geologica – geotecnica, allegata alla domanda
di permesso di costruire originaria; violazione D.M. 11 marzo 1988, poiché le amministrazioni
(Comune ed Ente Parco), a fronte della manomissione di una scarpata in patente violazione di una
prescrizione della relazione geologica, non avrebbero potuto rilasciare atti di sanatoria;
o) omessa pronuncia sulla richiesta di condanna al risarcimento del danno;
p) erronea decisione in ordine alla compensazione delle spese.
Le parti hanno inoltre depositato memorie e repliche ed infine, all’udienza di trattazione, la causa è
stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere accolto, per le ragioni di seguito esposte.
L’art. 6 della l. reg. Veneto 5 marzo 1985 n. 24, recante disciplina degli “annessi rustici,
allevamenti zootecnici – industriali e altri insediamenti produttivi agricoli”, non richiede, per la
realizzazione dei medesimi in capo a colui che richiede il titolo autorizzatorio a fini edilizi, la
qualifica di imprenditore agricolo (come invece previsto per la realizzazione di case per abitazione,
dal precedente art. 3).
Infatti, come è stato osservato anche dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. III, 28
novembre 1997 n. 2306), dalle cui considerazioni questo Consiglio di Stato non ha ragione di
discostarsi, la legge regionale n. 24/1985 persegue la finalità di preservare l'uso agricolo del suolo e
le sue qualità ambientali, come emerge dall'art. 11, il quale prevede che "i comuni tutelano le parti
di territorio a vocazione produttiva agricola e salvaguardano l'integrità dell'azienda agricola e
rurale".
A fronte di ciò, per la medesima legge la casa di abitazione consiste nel "complesso di strutture
edilizie organicamente ordinate alla residenza della famiglia rurale", mentre gli annessi rustici sono
definiti come "il complesso di strutture edilizie, organicamente ordinate alla funzione produttiva del
fondo rustico e dell'azienda agricola ad esso collegata, anche a carattere associativo ivi
comprendendo gli allevamenti, l'acquacoltura o altre colture specializzate, diverse da quelli di cui al
punto G".
Proprio in vista delle finalità della legge innanzi richiamate, l'art. 3 detta i criteri per l'edificazione
in zona agricola e stabilisce che "l'edificazione di case di abitazione" è consentita a determinate
condizioni, tra cui quella che essa "sia in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze
abitative dell'imprenditore agricolo, singolo o associato e degli addetti all'azienda, coadiuvanti e-o
dipendenti della stessa".
Il legislatore regionale, quindi, vuole che in zona agricola non siano realizzati insediamenti abitativi
contrastanti con la destinazione agricola del territorio, e quindi prevede che, in tale zona, le case di
abitazione possano essere costruite solo a condizione che siano funzionali alle esigenze abitative
dell'imprenditore agricolo e della sua famiglia, che esse, cioè, debbano essere destinate ad essere
occupate dall'imprenditore agricolo che operi in loco presso la sua azienda agricola.
La disciplina ora richiamata riguarda esclusivamente le case di abitazione, e non può essere estesa
agli annessi rustici, che, come si desume dalle definizioni fornite dalla stessa legge, sono una entità
edilizia ben diversa e per i quali l'art. 6 l. n. 24/1985, ha dettato una differente regolamentazione.
Come ha avuto modo di affermare la Corte di Cassazione (sent. n. 2306/1997 cit.), “è quindi
evidente che per la costruzione degli annessi rustici (contrariamente che per le case di abitazione) il
legislatore regionale Veneto non ha posto alcuna condizione di carattere soggettivo, stabilendo
invece requisiti di altro tipo. Riprova di ciò è data dalla disciplina regionale in tema di oneri
accessori di carattere amministrativo relativi appunto alla costruzione degli annessi rustici. Emerge
infatti dalla stessa sentenza impugnata (pag. 20) che per quanto riguarda gli oneri accessori . . . La
contraria interpretazione, del resto, è anche poco logica perché, mentre è chiaro il senso che ha il
subordinare la costruzione della casa di abitazione alla sussistenza della qualifica di imprenditore
agricolo, non si vede chiaramente quale sarebbe la ragione di identico vincolo per gli annessi
rustici. La casa di abitazione, infatti, è funzionale alle esigenze abitative dell'imprenditore agricolo,
ed il legislatore regionale Veneto ha voluto, nella sua discrezionalità politica, che nelle zone
agricole fossero consentite solo le case di abitazione di chi effettivamente lavori in quella azienda
agricola cui la casa accede. L'annesso rustico è invece funzionale alla produttività del fondo rustico.
Ora, se è possibile che un fondo rustico sia gestito anche da chi non ha la qualifica di imprenditore
agricolo, ossia se è possibile che anche chi non ha tale qualifica eserciti un'azienda agricola,
subordinare la costruzione degli annessi rustici alla presenza di tale qualifica significherebbe
sacrificare e compromettere, senza alcuna apparente ragione, le esigenze della produttività del
fondo rustico tutte le volte che esso sia gestito da chi non è imprenditore agricolo”.
Né è richiesto, inoltre, ai fini della realizzazione degli annessi rustici, il requisito della convenienza
economica del fondo, posto che la legge regionale, mentre non menziona tale requisito in relazione
agli annessi rustici, si limita a richiedere che tale fabbricato sia ordinato alla funzione produttiva del
fondo rustico e dell'azienda agricola.
3. Alla luce di quanto sin qui rappresentato, e della constatata non necessità della qualifica di
imprenditore agricolo, ai fini dell’applicazione dell’art. 6 l. reg. n. 24/1985, non può essere
condiviso quanto affermato dalla sentenza appellata, che basa essenzialmente il rigetto del ricorso
instaurativo del giudizio di I grado sulla circostanza che il Volpe “era privo del requisito soggettivo
di imprenditore agricolo – ove derivante dall’attività di apicoltore – con la conseguente illegittimità
del permesso di costruire rilasciato”.
E’ inoltre appena il caso (ad abundantiam) di osservare:
- per un verso, che, non essendo necessaria la qualifica di imprenditore agricolo, non occorre, come
affermato in sentenza, “un collegamento funzionale fra la attività imprenditoriale svolta sul fondo e
il fondo stesso, con la correlata dimostrazione della convenienza economica dell’investimento”, né
dimostrarne la preesistenza rispetto alla domanda di titolo edilizio;
- per altro verso, che se tale qualifica era comunque posseduta (come pure sembra affermare la
sentenza), allora il rigetto del ricorso non può essere fondato su una allegazione successiva della
documentazione probatoria, “nonostante esistesse la possibilità di utilmente dimostrare la contestata
preesistenza”, posto che ciò che rileva è il fatto in sé, non già il momento della sua dimostrazione,
rispetto al rilascio del titolo edilizio..
Per le ragioni esposte, l’appello principale deve essere accolto.
4. Al contrario, non può essere accolto l’appello incidentale (improprio) proposto dal sig. Pavanello.
Quanto al primo motivo proposto (sub b) dell’esposizione in fatto), deve essere condivisa la
sentenza impugnata, laddove essa afferma che, ai sensi dell’art. 48, co. 7-bis, l. reg. n. 11/2004, è
applicabile alla realizzazione del rustico la l. reg. n. 24/1985, trattandosi di procedimento
autorizzatorio in corso, e quindi “la possibilità di recuperare, ex art. 4 ai fini dell’ampliamento, la
volumetria appartenente ad un annesso rustico, indipendentemente dalla sua contiguità rispetto
all’edificio cui riferire l’ampliamento”.
Infatti, nel caso di specie, la sussistenza di un procedimento autorizzatorio in corso non può venire
meno per il fatto che una domanda di permesso di costruire per un annesso rustico destinato al
ricovero per attrezzi agricoli, venga modificata, nella sua destinazione, affermandone una
differente, rivolta alla attività di lavorazione, commercializzazione e deposito di piccoli frutti del
sottobosco e di miele.
Per un verso, tale diversa destinazione non rileva ai meri fini del procedimento autorizzatorio
edilizio; per altro verso, le stesse ragioni sulle quali l’appellante incidentale fonda la propria
doglianza (cioè “i rapporti di connessione con il fondo e con l’azienda agricola”) non possono
assumere rilevo, una volta negata la necessità della qualifica di imprenditore agricolo.
Tali considerazioni fondano anche il rigetto del terzo motivo dell’appello incidentale (sub d)
dell’esposizione in fatto), posto che non assume rilievo, ai fini della legittimità del permesso di
costruire, la destinazione del manufatto considerata ai fini del controllo igienico – sanitario.
Quanto al motivo sub c) dell’esposizione in fatto, occorre condividere la sentenza appellata,
laddove essa afferma che è possibile utilizzare “la volumetria appartenente ad un annesso rustico,
indipendentemente dalla sua contiguità rispetto all’edificio cui riferire l’ampliamento”, posto che
non vi è una diversa prescrizione nelle norme applicabili.
In base a quanto considerato, l’appello incidentale (cd. improprio) deve essere rigettato.
4. L’accoglimento dell’appello principale (ed il connesso rigetto dell’appello incidentale improprio)
rendono necessario l’esame dei motivi di ricorso instaurativo del giudizio di I grado assorbiti e
riproposti con appello incidentale (cd. proprio, ex art. 334 Cpc).
Anche tale appello (ed i motivi con esso proposti) è infondato e deve essere, pertanto, rigettato.
Le ragioni di accoglimento dell’appello principale fondano, innanzi tutto, anche il rigetto dei motivi
sub e) ed f) dell’esposizione in fatto, ambedue riferiti, in sostanza, al possesso della qualifica di
imprenditore agricolo ed alla connessione funzionale tra rustico ed azienda agricola.
Anche i motivi sub g), h), i) ed l) dell’esposizione in fatto, riferiti, in particolare, a violazioni
dell’art. 14 NTA del Piano ambientale dei Colli Euganei sono infondati.
Ciò in quanto tale disposizione non introduce affatto un divieto assoluto di edificazione, rendendo
al contrario possibili innanzi tutto gli usi e le attività agricole, ed inoltre, tra gli altri, anche usi
abitativi, attività ricettive, turistiche e del tempo libero, purchè compatibili con le finalità espresse al
comma 1 del medesimo art. 14. Peraltro, gli usi del territorio sono dal Piano variamente disciplinati,
in relazione alle distinte zone in cui il territorio del Parco è suddiviso, ai sensi dell’art. 11 (tra le
quali, quella a maggiore protezione è la “zona di riserva naturale integrale”).
Inoltre, i limiti – pur richiamati dall’appellante incidentale – di cui al comma 5, lett. a) dell’art. 14
del Piano, sono riferiti all’ambito delineato dal precedente art. 10, co. 3, definendo più precisamente
i “limiti generali” ivi riportati, ma non escludono di per sé attività edilizie compatibili con gli
indirizzi di cui al medesimo art. 14.
Altrettanto infondati sono i motivi sub m) ed n) dell’esposizione in fatto, sia in quanto essi non
attengono alla legittimità in sé degli atti amministrativi impugnati, quanto alle modalità esecutive
dell’intervento; sia in quanto le considerazioni svolte (possibilità o meno del ripristino del “natural
declivio” originario) costituiscono valutazioni non probatoriamente supportate del ricorrente.
Infine, il rigetto dell’appello incidentale e l’accoglimento dell’appello principale, con conseguente
riforma della sentenza impugnata, determinano sia la reiezione della domanda di risarcimento del
danno (riproposta dall’appellante incidentale nel presente grado di giudizio), sia la reiezione della
doglianza in ordine alla decisione di compensazione delle spese del giudizio di I grado, fermo il
potere valutativo discrezionale del I giudice.
5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, deve essere accolto l’appello principale e rigettato l’appello
incidentale, con conseguente riforma della sentenza impugnata e, per l’effetto, rigetto del ricorso
instaurativo del giudizio di I grado.
Sussistono giuste ragioni per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Volpe Mario (n. 832/2009 r.g.):
a) accoglie l’appello;
b) rigetta l’appello incidentale, proposto da Pavanello Luca;
c) per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I
grado;
d) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 29 maggio 2012.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.