Paper - Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Transcript
Paper - Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Paper per il Convegno AIS-METODOLOGIA “Esplorare la coesione sociale” 28-30 giugno 2007, Trento, Facoltà di Sociologia Sessione: Coesione sociale, esclusione sociale e mercato del lavoro Per una valutazione delle nuove forme contrattuali: trappole o trampolini di lancio? Daniela Bellani PHD student Università degli studi di Milano Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare [email protected] 1 Introduzione Il tema della flessibilità del mercato del lavoro è oggi al centro dei dibattiti di sociologi, economisti e giuristi. In letteratura esistono due principali approcci allo studio dei cambiamenti che i mercati del lavoro delle economie post-industriali hanno subito negli ultimi decenni. La prima scuola di pensiero concentra la propria analisi sulle trasformazioni che hanno coinvolto le aziende capitalistiche, nel passaggio dal sistema fordista all’organizzazione snella, e alle conseguenti modifiche delle relazioni tra datore di lavoro e il prestatore di lavoro; lo studio dei modelli di produzione, dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali sono gli ambiti di ricerca privilegiati. La seconda corrente focalizza la propria attenzione sulle conseguenze della flessibilità: l’analisi della relazione tra l’aumento della flessibilità del lavoro e il tasso di disoccupazione è il nodo centrale di questi studi, che utilizzano sia una prospettiva macro, attraverso comparazioni cross-section, sia una prospettiva micro, attraverso l’utilizzo di dati longitudinali1. La mia ricerca predilige questo secondo approccio: lo studio si prefigge di analizzare non solo gli effetti economici della flessibilità sul mercato del lavoro italiano, ma anche gli effetti sociali in termini di mobilità delle carriere. Nelle economie postindustriali si sta delineando una questione fondamentale per quanto concerne la struttura dell’identità sociale, la soddisfazione individuale e i diritti di cittadinanza relativa ai cambiamenti del mercato del lavoro. L’individualizzazione del rischio (Rosanvallon, 1995), dalla perdita del lavoro alla malattia, è causata dall’assenza di strumenti di protezione sociale per i contratti che non danno garanzie di continuità nel tempo (De Grip e al, 1997); è necessario considerare infatti che alcuni sistemi sociali nazionali, appartenenti al modello continentale (Esping Andersen, 1990), come l’Italia, sono strutturati sulla figura del breadwinner (uomo adulto con un contratto full time a tempo indeterminato); solo minime protezioni sociali sono state estese ai lavoratori atipici. Ecco perché, oggi, i contratti non standard sono considerati dai ricercatori una delle maggiori cause di esclusione sociale e di perdita della cittadinanza sociale per i Paesi dell’Europa Continentale 2. 1 Un’ulteriore prospettiva è quella degli studi qualitativi (per il caso italiano, vedi Gallino, 1998 e Fullin, 2004) 2 ad esempio, Reyneri, (2002), Boeri e Brandolini, (2004) 2 1. Le riforme del mercato del lavoro Il tema della valutazione delle politiche del lavoro è divenuto particolarmente rilevante in Italia negli ultimi anni per i ricercatori come per i policy makers, soprattutto a fronte delle riforme che hanno caratterizzato il mercato del lavoro italiano nell’ultimo decennio. Il giudizio riguardo alle conseguenze della flessibilizzazione del mercato del lavoro che maggiormente si era imposto sullo scenario internazionale si connotava positivamente: la letteratura prodotta e maggiormente diffusa aveva messo in luce l’esistenza di una relazione bivariata (di segno positivo) tra il tasso di disoccupazione e il grado di rigidità del mercato del lavoro dei sistemi nazionali, suggerendo ai governi europei, perciò, di adottare ricette basate sulla deregolamentazione (OECD 1992, 1999); anche perché, queste, avrebbero inciso in modo favorevole, sulla riduzione della durata di ricerca del primo lavoro. Negli ultimi anni alcuni studi hanno falsificato questa tesi: innanzitutto hanno posto in evidenza che una correlazione tra le due variabili (disoccupazione e rigidità) non risulta evidente, e inoltre si è osservato che la durata della ricerca del primo impiego si rivela sostanzialmente uguale al tempo speso precedentemente alle riforme deregolative: in particolare, i confronti internazionali hanno mostrato che la situazione dei mercati del lavoro varia molto a seconda delle caratteristiche del sistema di welfare (De Grip e al, 1997, Esping Andersen e Regini, 2000, Barbieri 2002, Reyneri 2002) e il grado di rigidità del mercato del lavoro sembra influire soprattutto sulla struttura della disoccupazione più che sul suo livello (Esping Andersen 1999). Anche i governi italiani hanno modificato parte della legislazione giuslavorista per liberalizzare il mercato del lavoro, ma deregolando solo le protezioni del lavoro per i nuovi ingressi, lasciando sostanzialmente inalterate le protezioni godute dai lavoratori dipendenti entrati nel mercato del lavoro nelle decadi precedenti (Barbieri, Mingione, 2003): ciò ha portato ad uno scambio implicito (Soskice, 1990) tra il mantenimento di un sistema di garanzie godute da una sola parte dei lavoratori dipendenti ed una forte penalizzazione per le coorti più giovani, creando così una consistente segmentazione del mercato del lavoro. La deregolazione parziale e selettiva ( Esping Andersen, Regini, 2000) è stata quindi il risultato di tali riforme (Contini 2002, Istat 2000, Barbieri e al, 1999): ciò, però, non porta direttamente alla formulazione di un giudizio negativo riguardo a tali provvedimenti; attraverso questo studio valutativo si mostrerà: 3 -se le nuove tipologie contrattuali non standard sono delle entry jobs o delle job traps, cioè se i lavoratori entrati nel mercato del lavoro con tali impieghi riescano a raggiungere una stabilità contrattuale oppure se restino intrappolati in tali posizioni, - se vi è una differenza sostanziale tra le nuove forme contrattuali introdotte nella giurisprudenza italiana nell’ultimo decennio in merito all’andamento delle carriere lavorative . Focalizzando l’attenzione sull’Italia, negli ultimi anni alcuni studiosi hanno cercato di esprimere un giudizio, scientificamente fondato, sulle conseguenze (di una parte) delle riforme proposte con la legge 196/1997 che ha introdotto o riformato alcuni degli istituti contrattuali (Ichino 2003, Barbieri e Scherer, 2005). Questa è scaturita dalla necessità di combattere alcuni mali caratterizzanti il sistema Italia: il tasso di occupazione più alto d’Europa, la seconda peggiore performance nell’occupazione di lavoratori anziani, la più elevata incidenza europea del lavoro illegale, i più intensi squilibri territoriali del mercato del lavoro (Tursi, 2004). 2. Il caso italiano L’Italia appartiene al modello meritocratico conservativo dell’Europa centromeridionale (Esping Andersen 1990). Questo si differenzia dagli altri regimi di welfare perchè si basa sulla famiglia come istituzione di gestione di molti rischi sociali e si pone come mezzo di riduzione delle disuguaglianze sociali. Nel modello familistico, la responsabilità collettiva nei riguardi della disoccupazione viene trascurata (Saraceno, 2003): alla famiglia è consegnato il compito di proteggere i suoi membri (Gallie e Paugam, 2000). Questo modello, storicamente, si è posto come difensore in primis dell’occupazione del breadwinner, assicurando il nucleo familiare contro il rischio d’instabilità. Così, ancora oggi, in Italia, la famiglia, come attore del regime di welfare, ricopre il maggiore ruolo di protezione nei riguardi dei disoccupati, soprattutto di coloro che hanno visto concluso o sospeso un contratto atipico, e riduce i rischi di impoverimento (Fullin, 2004). D’altro canto, questo si rivela anche il modello maggiormente problematico, in quanto accresce le disuguaglianze tra Insiders e Outsiders (Saraceno, 2002); basti pensare che nel 1999 il tasso di disoccupazione dei giovani italiani3 era del 28,7% (Eurostat, 1999). 3 Con un’età inferiore ai 26 anni (www. europa.eu/eurostat) 4 Come evidenziato in precedenza, negli ultimi anni, il legislatore è intervenuto per risolvere questo problema attraverso una deregolazione parziale e selettiva del mercato del lavoro italiano. Il dibattito circa gli effetti delle ultime riforme del mercato del lavoro è ancora molto acceso. Alcuni studiosi concordano sul fatto che tale riforma abbia non solo causato un aumento dell’occupazione per lo più apparente (honeymoon effect) ma abbia contribuito alla crescita di un mercato del lavoro secondario, aumentando il divario tra Insiders e Outsiders (Boeri e Garibaldi, 2005, 2006); altri hanno negato la tesi che identifica i lavori a termine introdotti o riformulati dalla legge 196/1997 come lavori precari4 (Guelfi e Trento, 2006). 3. Gli obiettivi di ricerca L’analisi ha l’obiettivo di elaborare un giudizio riguardante la carriera lavorativa di chi è entrato nel mercato del lavoro con le forme contrattuali introdotte ex novo o riformulate dalla legge 196 del 1997 ( lavoro a termine, contratto di formazione e lavoro e apprendistato). Le questioni affrontate sono state quindi le seguenti: - La prima consiste nel capire se le nuove relazioni d’impiego formulate o riformulate dal Pacchetto Treu facilitino o, all’opposto, ostacolino una successiva transizione verso occupazioni più stabili e protette. Se valesse la prima alternativa, la presenza anche consistente di forme di lavoro a bassa protezione e a durata limitata potrebbe costituire un modo accettabile per ridurre i rischi di disoccupazione di lungo periodo, soprattutto di quella giovanile. E tale giudizio positivo andrebbe conservato anche se un’eventuale crescita dell’incidenza dei lavoro atipici produrrebbe, inevitabilmente, sensibili disuguaglianze. Se, invece, le relazioni di impiego poco protette si configurassero come barriere al passaggio verso posti di lavoro stabili, occorrerebbe prendere atto che gli unici a trarre beneficio da un’espansione della loro presenza sarebbero i datori di lavoro: i lavoratori in questo caso sarebbero intrappolati in una permanente situazione di marginalità economica. - La seconda questione riguarda il problema delle disuguaglianze: si tratta di comprendere se una maggiore flessibilità del mercato del lavoro crei un mercato del lavoro secondario che fatica a creare chance di mobilità per gli appartenenti verso quello primario. Tale rischio si configurerebbe come una 4 limitando l’analisi al settore industriale 5 questione rilevante per quanto concerne i diritti di cittadinanza sociale (Ferrera, 2004, Boeri e Perotti, 2002) E’ necessario considerare due elementi; in primis, si deve porre attenzione al fatto che in un regime corporativo, i servizi sociali non forniscono aiuti significativi alle famiglie (Esping Andersen, 1995); inoltre è opportuno comprendere che in tale regime il principio di sussidiarietà è sotteso all’implementazione delle politiche sociali; lo Stato fornisce sostegno ai soggetti che appartengono a quelle famiglie che non sono in grado di garantire loro la sussistenza. E’ lecito sostenere, perciò, che la famiglia assume un ruolo di forte responsabilità sia per lo scarso peso delle politiche familiari sia per la limitata importanza delle soluzioni di mercato (Ferrera, 1996, Da Roit e Sabatinelli, 2005, Saraceno, 2003). Si può quindi comprendere che il modello mediterraneo subisce molte conseguenze rispetto all’utilizzo dei contratti atipici e alla vulnerabilità dei lavoratori. 4. Le ipotesi di ricerca Per quel che riguarda il primo obiettivo di ricerca, è necessario considerare che la letteratura sociologica in materia ha sottolineato che la crescita delle occupazioni poco protette vada a svantaggio dei dipendenti (Reyneri 2001, Ferber e Waldfogel, 1996, Kalleberg e al 1997, Mishel e al 1999, Kalleberg e al 2000), ma che sia una ragionevole alternativa alla disoccupazione di lungo periodo (Korpi e Lavin, 2001), mentre la letteratura economica ha posto in evidenza che i rapporti di impiego a limitate garanzie di stabilità e di reddito possono non solo rappresentare un efficace canale di transizioni verso occupazioni stabili ed economicamente vantaggiose, ma hanno la capacità anche di ampliare il ventaglio di scelte professionali aperte davanti ai lavoratori dipendenti, aumentare le loro opportunità di acquisire competenze professionalmente utili e consentire loro una maggiore autonomia nel modellare i propri destini di vita (Bowers e al 1999, Contini e al 1999, Oecd 1999). Per quanto concerne il caso italiano, alcuni autori hanno sostenuto che tali riforme operano come entry ports (Schizzerotto, 2002, Tattara e Valentini, 2006, Ichino e al 2003), altri invece hanno dimostrato la debolezza di tali affermazioni (Istat, 2000, Barbieri e Scherer, 2005, Banca d’Italia, 2006), accreditando valutazioni maggiormente negative degli esiti nel medio periodo e dimostrando che, dopo alcuni anni dall’ingresso nel mercato del lavoro, i 6 lavoratori (soprattutto i meno istruiti) con contratti atipici, rischierebbero di rimanere intrappolati in attività a bassa protezione sociale. Questa seconda ipotesi di ricerca (mi) pare più valida della prima, soprattutto in relazione alle figure contrattuali meno qualificanti. A tal proposito si ritiene doveroso adottare diversi accorgimenti in relazione alla molteplicità delle forme contrattuali che la nuova giurisprudenza ha implementato nel mercato del lavoro italiano; appare perciò opportuno non elaborare una valutazione univoca verso tutti i contratti non standard: emerge la necessità di elaborare un giudizio scientificamente su tale riforma che sappia distinguere tra le peculiarità che differenziano le numerose nuove forme contrattuali. L’elaborazione dell’ipotesi di ricerca nasce proprio da quest’osservazione: ci si attende che i contratti maggiormente formativi nei confronti del lavoratore, se pur a limitate garanzie temporali, mostrino una maggiore capacità di inclusione nel mercato del lavoro rispetto a quelli che, anche se orientati all’abbattimento del costo del lavoro o della disciplina della durata del contratto, si mostrano più sfavorevoli all’acquisizione di conoscenza del lavoratore 5. I modelli europei di successo alla lotta alla disoccupazione e le riforme italiane Come è già stato sottolineato, il modello di welfare italiano ha cercato di deregolare in modo selettivo e parziale il mercato del lavoro, per favorire l’ingresso dei giovani, proponendo uno strumento differente rispetto agli altri Paesi Europei. Le esperienze che hanno portato ai migliori risultati in termini di lotta alla disoccupazione giovanile sono le seguenti. Innanzitutto la Germania ha puntato sul cosiddetto sistema duale, consistente nell’apprendistato e nella formazione on the job (Blossfeld, 1992). Come è noto la gran parte, circa i due terzi degli studenti tedeschi, dopo la scuola dell’obbligo, preferisce proseguire la sua formazione professionale nel sistema duale, chiamato così perché i giovani sono contemporaneamente impegnati sia nella formazione pratica nelle aziende, sia nella formazione teorica presso le scuole professionali a tempo parziale. Gli elementi che caratterizzano il sistema duale, cioè la stipulazione di un contratto biennale o triennale di apprendista, la figura del maestro responsabile dell’apprendimento del giovane, la retribuzione obbligatoriamente inferiore a quella di un operaio, la divisione del tempo di lavoro tra azienda e scuola, l’esame di qualifica al 7 termine dell’apprendistato, permettono ai giovani tedeschi di inserirsi con grande facilità all’interno del mercato del lavoro. Il sistema anglosassone invece ha diretto la propria lotta alla disoccupazione attraverso l’utilizzo del welfare to work, una normativa rigida per spingere i disoccupati ad accettare le opportunità di lavoro proposte dai centri per l’impiego (Nickell, Layard, 1998). Ad esempio, un disoccupato inglese, per godere del sussidio di disoccupazione, deve sottostare a rigide condizioni, come iscriversi ad un’agenzia per il lavoro, disporre di un “action plan”, frequentare obbligatoriamente un corso di formazione, ma soprattutto è costretto ad accettare un (qualsiasi) lavoro proposto dal suo adviser a tredici settimane dalla perdita della precedente occupazione, pena la perdita del sussidio (Boeri, Layard e Nickell, 2000) 5. Infine il modello scandinavo ha optato a favore del modelle delle active labour market policies, politiche mirate all’aiuto nella riqualificazione e nella ricerca di una nuova occupazione per i disoccupati (Sianesi, 2002). Come hanno evidenziato numerosi studiosi ( per esempio Madsen, 2000 e Gallie e Paugam, 2000) il ruolo delle politiche attive del lavoro, soprattutto sotto forma di istruzione e formazione, accompagnate da una decentralizzazione dell’implementazione delle politiche a livello regionale, ha favorito fortemente il calo del tasso di disoccupazione in quegli stati. Si può notare che il modello italiano della deregolazione parziale e selettiva sia stato affiancato, in una sua ridottissima parte, da quello tedesco: anche l’ordinamento italiano, infatti, prevede degli istituti contrattuali che facciano leva sulla formazione on the job. Perciò, si mostrerà che gli entrati nel mercato del lavoro con un contratto maggiormente formativo caratterizzato dalla formazione sul luogo di lavoro, come il contratto di apprendistato6, 5 www.frdb.it 6 L’innovazione fondamentale è consistita nel “rafforzamento” dell’obbligo della formazione (peraltro già stabilito nel 1955), mediante l’ introduzione di una sanzione a carico delle imprese nell’ipotesi di mancata attività formativa per l’apprendista. L’apprendista doveva partecipare a due momenti distinti, anche se tra loro complementari, nell’ambito lavorativo: il lavoro e la preparazione tecnico-pratica che prevedevano non solo un affiancamento on the job ma anche la frequenza a corsi di formazione esterni organizzati dall’azienda per 120 ore annue. In particolare, la formazione esterna si articolava in due tipologie di formazione, quella trasversale e quella professionalizzate. Per competenze trasversali ci si riferiva ad una serie di strumenti di base che ciascun lavoratore avrebbe dovuto possedere per potersi muovere nei contesti lavorativi e per avere una cognizione chiara dei propri diritti e doveri in azienda. Accanto ai contenuti trasversali, era previsto il recupero delle competenze di base, ovvero delle abilità linguistiche e matematiche indispensabili per operare nell’ambiente di lavoro. Altre innovazioni introdotte riguardavano l’ampliamento della fascia d’età elevando il limite inferiore a 16 anni e prolungandola fino ai 24 anni6 (assolto l’obbligo scolastico) e la durata del rapporto che, nonostante fosse lasciata alla libera contrattazione delle Parti Sociali, non doveva eccedere i 4 anni, ma doveva essere inferiore ai 18 mesi (solo nel settore artigiano il rapporto può durare 8 avranno maggiori possibilità di esperire temporalmente prima un contratto standard di coloro che invece vi entrano con una delle altre tipologie contrattuali, cioè contratto di formazione e lavoro7 e contratto a tempo determinato8: si porrà perciò attenzione all’identificazione di quegli istituti contrattuali che facilitino l’acquisizione di competenze da parte del lavoratore (ma anche di incentivi per il datore di lavoro) e di quelli invece low-skilled, per mostrare come i contratti maggiormente istruttivi e preparatori (alla carriera lavorativa) siano dei mezzi utili al raggiungimento di una stabilità occupazionale e contrattuale. 6. Metodologia La metodologia valutativa che è considerata oggi come la migliore da un punto di vista scientific o è quella dello statistical matching ( Rosenbaum, Rubin, 1983, Heckman, Ichimura e Todd, 1998) applicato al propensity score. L’abbinamento dei propensity score9 appartiene alla famiglia dei metodi multivariati utilizzati per costruire campioni trattati e di controllo che abbiano simili distribuzioni su molteplici covariate. In questo contesto i propensity score sono utili per l’estrazione di unità per costruire un gruppo di controllo che permettano di mappare una situazione sperimentale. Inoltre, attraverso lo statistical matching, appartenente al gruppo di metodologie chiamate Selection on Observables, è possibile superare le questioni che conseguono alla diversità esistente tra unità trattate e unità non trattate: il problema del selection bias tra gruppo di controllo e di gruppo di trattamento viene affrontato costruendo un gruppo di confronto il più simile possibile al gruppo sperimentale. fino ai cinque anni). Inoltre vengono promossi incentivi fiscali per assumere un lavoratore con un contratto di apprendistato. 7 questa forma contrattuale prevedeva, oltre che in una formazione di carattere pratico, un numero minimo di ore (che non può essere inferiore a 20 ore) in cui il lavoratore riceveva un'istruzione di carattere teorico, sulla disciplina del rapporto, sull'organizzazione del lavoro e sulla prevenzione ambientale ed antinfortunistica. Anche in questo caso il datore di lavoro gode di sgravi contributivi 8 L’art 12 della legge 196/1997 interviene a regolare gli effetti del protrarsi della prestazione lavorativa oltre il termine ordinariamente pattuito dalle parti, comminando la sanzione della conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato soltanto per il caso della protrazione superiore a venti giorni e attribuendo al lavoratore negli altri casi soltanto una maggiorazione retributiva progressiva (Ichino, 2004) 9 Il p-score di un’unità (trattata o non trattata) è la probabilità condizionata che un’unità venga assegnata al trattamento date le sue caratteristiche osservabili prima del trattamento 9 Il parametro di partenza in base al quale selezionare le unità gemelle è ottenuto mediante la stima dei parametri ottenuti con una regressione logit o probit . Una volta calcolate le stime dei coefficienti, il parametro di selezione è individuato come il valore della stima, denominata propensity score. La selezione delle unità i-esime che compongono il gruppo di controllo avviene successivamente con il seguente procedimento. In primo luogo le unità target vengono separate dalle rimanenti unità escluse e ordinate con una procedura casuale. Il primo elemento delle unità target viene quindi abbinato con l’unità esclusa avente il propensity score più simile al suo. Queste due unità sono poi rimosse dalla lista dei due gruppi e lo stesso procedimento viene quindi ripetuto per la seconda ed ognuna delle successive unità della lista delle N target. Il matching è quindi un metodo di campionamento che nasce da una grande disponibilità di unità di controllo potenziali per produrre un gruppo di controllo di misura modesta in cui la distribuzione delle covariate è simile alla distribuzione del gruppo di trattamento (Rubin, 1973) 10 Esistono però diverse metodologie per eseguire l’abbinamento, per scegliere quante unità abbinare, sulla base del p-score. In questa sede ne verrà utilizzata una, quella del kernel matching, che abbina ad ogni unità trattata ad una media pesata di tutte le unità di controllo, con pesi che sono inversamente proporzionali alla distanza tra i propensity score dell’unità trattate e dei controlli, anche se verranno svolti opportuni controlli11 La popolazione di riferimento è costituita: - dagli entrati nel mercato del lavoro con un contratto a tempo determinato - dagli entrati nel mercato del lavoro con contratto di formazione e lavoro (CFL) Ciascuno è stato confrontato al gruppo di coloro che sono entrati nel mercato del lavoro con un contratto di apprendistato, utilizzato come categoria di riferimento. 10 Una variante di questo procedimento consiste nel condizionare la scelta dell’unità gemella in base ad uno o più parametri vincolanti. 11 i controlli sono stati effettuati utilizzando il nearest neighbor matching, strategia di abbinamento che individua l’unità di controllo con il valore più vicino del propensity score, lo stratification matching, che consiste nel dividere il campo di variazione del propensity score in intervalli tali che, all’interno di ciascuno di questi, i trattati e i non trattati abbiano lo stesso valore medio del propensity score, e il radius matching, per cui ogni unità trattata è abbinata solo con i controlli che sono posti in un insieme scelto di unità di dimensioni non superiore alla distanza prescelta (radius). 10 Ad una distanza temporale di due,tre e quattro anni dall’ingresso nel mercato del lavoro (e concluso il primo contratto di lavoro) si valuterà la distanza dalla reference category, in termini di sicurezza e di stabilità occupazionale, delle altre due tipologie contrattuali non standard. 7. La base dati: Giove 2005 Giove 2005 contiene una base dati costruita a partire dalla comunicazione che i datori di lavoro veneti devono obbligatoriamente compiere verso i Centri per l’impiego riguardo alle assunzione, alle cassazioni, alle trasformazioni e alle proroghe dei rapporti di lavoro che questi instaurano; risulta perciò esaustivo rispetto non solo al passaggio tra posti di lavoro diversi, ma anche alle modificazioni che uno stesso contratto di lavoro subisce, rispetto al tipo di contratto, all’orario di lavoro, al settore d’impiego. Le statistiche di seguito proposte sono ricavate dall’ultima edizione di “Giove”, ottenuta dagli Archivi Netlabor del Silrv (Sistema informativo lavoro regionale del Veneto) sulla base dell’estrazione effettuata nel febbraio 2005: i dati amministrativi da cui si è partiti per la costruzione di Giove 2005 derivano da due fonti, le comunicazioni obbligatorie delle aziende e dalle autocandidature dei soggetti che dichiarano la propria disponibilità; da ciò si ricavano informazioni sui dati anagrafici di aziende e lavoratori, sui rapporti di lavoro instaurati tra a aziende e lavoratori, sugli episodi di disoccupazione e sulla gestione delle liste di mobilità. Giove 2005 è un public use file: la richiesta di consegna è quindi pubblica; questo è uno dei motivi per cui la scelta del data base è ricaduta su Giove 2005; la fruibilità del db è molto facilitata rispetto ad altri, se pur egualmente esaustivi. Inoltre, il ricorso alla base dati Giove 2005 consente di iniziare l’indagine partendo dalla considerazione di un intero l’universo e non solo da un suo campione, con conseguente miglioramento della qualità dei dati12. Come è facilmente intuibile dalla descrizione proposta fin ora, la popolazione considerata non rappresenta l’intero universo dei lavoratori del Veneto, ma riguarda solo i lavoratori dipendenti delle aziende (unità locali e imprese noprofit) presenti in Veneto, per tutte le qualific he per quanto riguarda le 12 Giove 2005 censisce ben 5.749.208 rapporti di lavoro e quasi 2.000.000 lavoratori. Le aziende coinvolte sono 350.000 (queste si dividono in aziende venete e aziende che hanno assunto lavoratori veneti); circa 343.000 sono le missioni di lavoro interinale intermediate da circa 1.400 sportelli delle agenzie di somministrazione. 11 aziende private, solo per le basse qualifiche (senza concorso) per ciò che concerne invece le istituzioni pubbliche. 8. L’universo di riferimento L’universo di riferimento che verrà indagato all’interno del lavoro di valutazione è stato costruito attraverso un processo di stratificazione compiuto a partire dalla popolazione iniziale contenuta all’interno del db Giove 2005: 1) Sono stati inclusi nell’analisi solo i lavoratori che avevano il primo rapporto di lavoro registrato e informatizzato dai centri per l’impiego veneti tra il primo agosto 1998 e il trentuno luglio 1999. Come è stato già precedentemente rilevato, la legge 196 del 1997 viene attuata il 19 luglio 1998. In tal senso, l’inclusione nell’universo di riferimento è stata condizionata dal fatto di aver stipulato o un contratto di apprendistato, o un contratto di formazione lavoro o un contratto a tempo determinato. In tal modo è stato possibile compiere una valutazione non tra unità trattate e unità non trattate, ma tra unità che subiscono diversi tipi di trattamento. Ho ritenuto non significativa la valutazione del vantaggio (o meno) apportato agli individui entrati nel mercato del lavoro con un contratto di per sé temporaneo, come l’apprendistato, rispetto a coloro che vi sono entrati con un contratto a tempo indeterminato. E’ parso invece più significativo valutare se l’apprendistato, rispetto alle altre due forme di contratto caratterizzati da una limitazione temporale, influisca in modo più o meno positivamente sulla stabilità occupazionale dei lavoratori veneti. In particolare, considerando il contratto di apprendistato in quanto misura di politica attiva del lavoro, mentre il contratto a tempo determinato un mezzo di agevolazione per l’ingresso nel mercato del lavoro, si è potuto valutare l’efficacia di una misura di attivazione rispetto ad un’altra caratterizzata solo dalla ristrettezza temporale del contratto. 2) Da questa popolazione vengono esclusi i lavoratori veneti che hanno esperito il primo episodio lavorativo fuori dal territorio veneto, questo per garantire un controllo sulle variabili esogene (andamento economico regionale, leggi regionali, ecc.) che altrimenti avrebbero potuto esercitare un’influenza differente su una parte dei lavoratori e sulle loro carriere lavorative. 12 9. Le variabili risultato Le variabili di controllo considerate sono l’età, il genere, il titolo di studio, la qualificazione del lavoratore, l’orario di lavoro, la cittadinanza, il tipo di impresa in cui lavora (se artigiana o meno), la zona del centro per l’impiego a cui è iscritto il lavoratore, l’attività dell’azienda per cui lavora. Si sono costruite, per il confronto tra apprendisti e gli altri due gruppi di lavoratori le seguenti variabili risultato per compiere un’analisi longitudinale delle carriere dei lavoratori, a due tre e quattro anni di distanza dal momento in cui hanno effettuato il loro primo ingresso nel mercato del lavoro. In questo modo è stato possibile osservare se vi fossero differenza nelle carriere dei diversi gruppi, e se tale distanza, se osservata empiricamente, fosse colmata con il passare degli anni. § Stato occupazionale e, per gli occupati, stato contrattuale (se standard o non standard) a due anni e tra il 731esimo-1096esimo giorno dall’ingresso nel mercato del lavoro § Stato occupazionale e, per gli occupati, stato contrattuale (se standard o non standard) a tre anni tra il 1097esimo-1461esimo giorno dall’ingresso nel mercato del lavoro § Stato occupazionale e, per gli occupati, stato contrattuale (se standard o non standard) a quattro anni e tra il 1462esimo-1828esimo giorno dall’ingresso nel mercato del lavoro I risultati così ottenuti consentiranno di comprendere la bontà o meno delle tipologie di contratto atipico che la legge in questione ha proposto, sia in termini di tassi di occupazione sia in termini di stabilità contrattuale , e l’incidenza di alcuni fattori, come la formazione, che definiscono le possibilità di accedere al mercato del lavoro primario-garantito o che confinano i soggetti nei settori secondari non garantiti. In ultima istanza tale ricerca permetterà di comprendere le garanzie o meno dei contratti atipici in relazione ai diritti di cittadinanza sociale 13 10. La valutazione del contratto di apprendistato, utilizzando come gruppo di controllo i CFL La prima valutazione verrà compiuta confrontando gli apprendisti con i lavoratori con un contratto di formazione e lavoro13. Come è stato messo in evidenza precedentemente, è fondamentale includere nell’universo di riferimento solo i lavoratori con un contratto che rispetti le durate temporali imposte dalla legislazione: tutti gli altri lavoratori non sono valutabili rispetto alla normativa in vigore in quel lasso temporale. Tra gli apprendisti, sono stati inclusi solo coloro che hanno avuto una durata del contratto di apprendistato tra i 18 mesi e i 24, e tra questi, solo coloro che al termine di tale periodo hanno ottenuto la qualifica di apprendista. Anche se non è presente per i CFL una causa di decesso del rapporto naturale per questa forma di contratto, pare opportuno considerare solo coloro che hanno esperito il contratto per più di 6 mesi14: in questo modo la confrontabilità all’interno del gruppo è maggiore15. Perciò - gli apprendisti entranti considerati sono coloro il cui primo contratto (e non del primo episodio lavorativo) si è protratto tra 18 mesi e due anni: ho ritenuto importante infatti scegliere un intervallo che consentisse di poter effettuare una valutazione dopo un numero limitato di anni dall’entrata nel mercato del lavoro; 13 con il termine apprendisti si fa riferimento ai lavoratori entrati nel mercato del lavoro nel lasso temporale prescelto con un contratto di apprendistato; con CFL si fa riferimento ai lavoratori entrati nel mercato del lavoro nel lasso temporale prescelto con un contratto di formazione e lavoro. 14 La numerosità del gruppo degli apprendisti è di 763, quella dei CFL di 2616. 15 Una ricerca compiuta dall’Osservatorio del Veneto Lavoro del 2000 ha mostrato che il contratto di apprendistato, in Veneto, è caratterizzato dalla stagionalità del rapporto: molto spesso, l’assunzione di apprendisti non avviene per finalità di formazione e primo inserimento lavorativo al lavoro, ma viene utilizzato come mezzo “per sopperire all’andamento stagionale della domanda”. Da ciò si osserva come le assunzioni effettuate nei mesi di giugno e luglio sono il triplo di quelle effettuate nei primi mesi dell’anno e le cessazioni si concentrano in gran parte nei due mesi successivi (agosto, settembre): lo stock raggiunge il livello massimo nel mese di luglio. Tra il primo gennaio 1998 e il trentuno dicembre 1999, si nota come il 44% dei contratti di apprendistato ha durata inferiore o uguale a tre mesi e nell’11% dei casi la durata è inferiore ad un mese. In Veneto, quindi, si è realizzato un uso strumentale di questo istituto contrattuale, in chiave stagionale o comunque per rapporti di breve durata, che l’impianto legislativo tendeva a consentire. 14 - gli individui entranti con CFL presi in esame sono coloro con un primo contratto (che è anche il primo episodio lavorativo) dalla durata compresa tra 6 mesi e 24 mesi16. I risultati17 che ottenuti attraverso lo statistical matching sono i seguenti: - nel confronto tra apprendisti18 e CFL, si nota che il contratto di apprendistato favorisce l’occupazione e la stabilità contrattuale degli avviati con tale tipo di contratto, rispetto a coloro che vi accedono con un CFL nei due, tre e quattro anni successivi all’ingresso nel mercato del lavoro. Gli avviati con un contratto di apprendistato sono, due tre e quattro anni dall’entrata nel mercato del lavoro, sia in termini occupazionali (occupato versus disoccupato), e, se occupati, sia in termini di stato contrattuale (contratto a tempo indeterminato versus contratto a termine), avvantaggiati rispetto ai lavoratori entrati nel mercato del lavoro con un CFL (e alle lavoratrici e ai lavoratori avviati con un contratto a tempo determinato, come si mostrerà in seguito). In particolare, • gli avviati con un contratto di apprendistato, hanno il 17,7% di probabilità in più degli avviati con un CFL di essere occupati tra il secondo e il terzo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro ( e il 24,5% in più esattamente due anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro), il 16,2% tra il terzo e il quarto anno ( e il 18% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro) e il 15,5% tra il quarto e il quinto (17,2% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro). • Gli avviati con un contratto di apprendistato, hanno il 24,1% di probabilità in più degli avviati con un CFL di stipulare un contratto a tempo indeterminato tra il secondo e il terzo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro ( e il 21,1% in più esattamente due anni dopo la 16 Tra i residenti del Veneto, gli entranti nel mercato del lavoro con un contratto di apprendistato, tra l’agosto del 1998 e il luglio del 1999, sono stati 27.663, il 20,99%, con un contratto di formazione e lavoro 6.237, il 4,73%, con un contratto a tempo determinato 45.397, il 34,44%, con un contratto a tempo indeterminato il 52.301, il 39,68% 17 Le variabili considerate sono l’età, il genere, il titolo di studio, la qualificazione del lavoratore, l’orario di lavoro, la cittadinanza, il tipo di impresa in cui lavora (se artigiana o meno), la zona del centro per l’impiego a cui è iscritto il lavoratore, l’attività dell’azienda per cui lavora 18 Tra i residenti del Veneto, gli entranti nel mercato del lavoro con un contratto di apprendistato, tra l’agosto del 1998 e il luglio del 1999, sono stati 27.663, il 20,99%, con un contratto di formazione e lavoro 6.237, il 4,73%, con un contratto a tempo determinato 45.397, il 34,44%, con un contratto a tempo indeterminato il 52.301, il 39,68% 15 data di ingresso nel mercato del lavoro), il 11,8% tra il terzo e il quarto anno ( e il 10,8% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro) e il 4,4% tra il quarto e il quinto (2,3% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro). Tab 1: vantaggio, in termini di chance occupazionali e di stabilità contrattuale, degli avviati con un contratto di apprendistato rispetto agli avviati con un contratto di formazione e lavoro, a due, tre e quattro anni dall’ingresso nel mercato del lavoro Stato tra il II e il III anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 2 anni dopo l’ingresso nel mkl Stato tra il III e il VI anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 3 anni dopo l’ingresso nel mkl Stato tra il III e il VI anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 3 anni dopo l’ingresso nel mkl Vantaggio apprendisti sui CFL rispetto alla variabile occupato sì/no +17,7% Vantaggio apprendisti sui CFL rispetto alla variabile contratto standard-non standard +24,1% + 24,5% + 21,1% +16,2% +11,8% + 18% + 10,8% +15,5% +4,4% + 17,2% + 2,3% 11. La valutazione del contratto di apprendistato, utilizzando come gruppo di controllo i lavoratori a tempo determinato 16 Sono inclusi nella popolazione di riferimento solo i lavoratori con un contratto a tempo determinato che hanno la stessa età imposta per legge agli apprendisti, per garantire una migliore comparabilità 19. Comparando le storie lavorative degli apprenditi con quelle dei lavoratori che hanno stipulato un contratto a tempo determinato, i risultati ottenuti sono così riassumibili: il contratto di apprendistato favorisce l’occupazione e la stabilità contrattuale degli avviati con tale tipo di contratto, rispetto a coloro che vi accedono con un contratto a tempo determinato, nei due, tre e quattro anni successivi all’ingresso nel mercato del lavoro. Nel caso della valutazione del contratto di apprendistato rispetto al contratto a tempo determinato, grazie ad un’elevata numerosità dei soggetti appartenenti al gruppo di controllo, è stato possibile compiere uno studio maggiormente sensibile alla variabile genere. Si può affermare che • gli avviati (uomini) con un contratto di apprendistato, hanno il 27,8% di probabilità in più degli avviati (uomini) con un contratto a tempo determinato di essere occupati tra il secondo e il terzo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro ( e il 46,5% in più esattamente due anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro), il 25,5% tra il terzo e il quarto anno ( e il 37,4% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro) e il 25,8% tra il quarto e il quinto (37,4% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro). • Risulta anche che gli avviati (uomini) con un contratto di apprendistato, hanno il 59,3% di probabilità in più degli avviati con un contratto a tempo determinato di stipulare un contratto a tempo indeterminato tra il secondo e il terzo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro ( e il 55,3% in più esattamente due anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro), il 44,9% tra il terzo e il quarto anno ( e il 39,4% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro) e il 37% tra il quarto e il quinto (31,5% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro). 19 La numerosità degli apprendisti (uomini) è 290, dei lavoratori con contratto a tempo determinato 6409; la numerosità degli apprendisti (donne) 473, delle lavoratrici con un contratto a tempo determinato 5877 17 Tab 2: vantaggio, in termini di chance occupazionali e di stabilità contrattuale, degli avviati con un contratto di apprendistato rispetto agli avviati con un contratto a tempo determinato, a due, tre e quattro anni dall’ingresso nel mercato del lavoro uomini Vantaggio apprendisti sui determinati rispetto alla variabile occupato sì/no Stato tra il II e il III anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 2 anni dopo l’ingresso nel mkl Stato tra il II e il III anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 2 anni dopo l’ingresso nel mkl Stato tra il III e il IV anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 3 anni dopo l’ingresso nel mkl • • +%27,8 Vantaggio apprendisti sui determinati rispetto alla variabile contratto standard-non standard +44,9% + 46,5% + 39,4% +59,3% +25,8% + 55,3% + 34,3% +25,5% +37% + 37,4% + 31,5% Le avviate (donne) con un contratto di apprendistato, hanno il 28% di probabilità in più delle avviate (donne) con un contratto a tempo determinato di essere occupate tra il secondo e il terzo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro ( e il 45,3% in più esattamente due anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro), il 26,1% tra il terzo e il quarto anno ( e il 37,9% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro) e il 26,2% tra il quarto e il quinto (32,2% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del la voro). Risulta anche che le avviate (donne) con un contratto di apprendistato, hanno il 59,2% di probabilità in più delle avviate con un contratto a tempo determinato di stipulare un contratto a tempo indeterminato tra il secondo e il terzo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro ( e il 56,2% in più esattamente due anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro), il 44,4% tra il terzo e il quarto anno ( e il 42,5% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro) e il 33% tra il quarto e il quinto (30,5% in più esattamente tre anni dopo la data di ingresso nel mercato del lavoro). 18 Tab 3: vantaggio, in termini di chance occupazionali e di stabilità contrattuale, delle avviate con un contratto di apprendistato rispetto alle avviate con un contratto a tempo determinato, a due, tre e quattro anni dall’ingresso nel mercato del lavoro donne Stato tra il II e il III anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 2 anni dopo l’ingresso nel mkl Stato tra il II e il III anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 2 anni dopo l’ingresso nel mkl Stato tra il III e il IV anno dopo l’ingresso nel mkl Stato esattamente 3 anni dopo l’ingresso nel mkl Vantaggio apprendisti sui determinati rispetto alla variabile occupato sì/no +%28 Vantaggio apprendisti sulle determinati rispetto alla variabile contratto standard-non standard +44,4% + 45,3% + 42,5% +59,2% +26,2% + 56,2% + 32,2% +26,1% +33% + 37,9% + 30,5% 19 Conclusioni Utilizzando le procedure di abbinamento menzionate, a partire dal valore del propensity score assegnato a ciascun individuo, adottando in particolare il kernel matching, (e controllando successivamente con altri metodi, il nearest neighbour matching, radius matching e lo stratification matching), i risultati a cui sono giunta mostrano che il contratto di apprendistato, come primo contratto della storia lavorativa degli individui, apporta una maggiore probabilità di occupazione e una maggiore stabilità negli anni successivi all’entrata al mercato del lavoro, rispetto al contratto a tempo determinato e al contratto di formazione e lavoro. Dal confronto tra apprendisti e CFL20 si evidenzia che, nonostante la maggiore età media dei CFL rispetto agli apprendisti, il raggiungimento della qualifica di apprendista apporta a coloro che godono di tale causa di cessazione del primo rapporto lavorativo un netto vantaggio sia in termini occupazionali che di stabilità occupazionale allo scadere e successivamente al secondo, al terzo, e al quarto anno successivo all’entrata nel mercato del lavoro rispetto ai CFL. Il vantaggio che esperiscono gli apprendisti , che è massimo inizialmente, si riduce dal quarto anno successivo all’entrata nel mercato del lavoro per quanto concerne la stabilità occupazionale , rimanendo comunque positivo. Anche dall’altro confronto, tra apprendisti e lavoratori a tempo determinato, il vantaggio dei primi è positivo negli intervalli di tempo considerati, e mediamente più alto rispetto ai CFL. Tale osservazione induce a tentare un’interpretazione sulle cause di tale vantaggio sia in termini occupazionali che di stabilità contrattuale (da parte degli apprendisti rispetto alle altre due categorie di lavoratori). Come è stato già sottolineato da altri studiosi, il ruolo della formazione è estremamente importante per garantire una carriera lavorativa ed un futuro lavorativo ai giovani: infatti i più favoriti sono gli apprendisti, a questi seguono i CFL, e per ultimi, con un buon distacco, si collocano i lavoratori a tempo determinato. L’analisi empirica proposta mette in luce come l’attività lavorativa, accompagnata dalla formazione, favorisca, in modo sostanziale, non solo la permanenza degli apprendisti, durante i primi anni di storia lavorativa, all’interno del mercato del lavoro, ma anche un maggiore sicurezza 20 I risultati ottenuti attraverso l’uso del kernel matching sono stati controllati anche con altri metodi, il nearest neighbour matching, il radius matching, e lo stratification matching (in allegato). 20 contrattuale. Come già la letteratura sociologica aveva individuato, un maggiore impegno da parte delle aziende, aiutate da finanziamenti pubblici, per migliorare gli skills della manodopera, non solo aiuta l’attività produttiva, ma rende i giovani meno incerti, in termini di uscita dal mercato del lavoro, rispetto invece a coloro i quali hanno stipulato uno di quei contratti in cui tale obbligo formativo non è previsto. Alla luce di questi risultati empirici, viene proposta una riflessione finale: nel modello familistico italiano, poiché molti lavoratori atipici sono giovani (Eurostat, 1999), è necessario che la famiglia ricopra ancora un ruolo fondamentale , a causa dell’instabilità dei contratti, e che si faccia ancora carico della protezione delle fasce più deboli della popolazione; ma due problemi accompagnano tale strategia sociale; innanzitutto il numero dei “nuclei tradizionali” sta diminuendo, mentre quelli monoparentali o i single stanno aumentando (Istat, 1998); i rischi sociali connessi ai lavori atipici sono maggiori oggi che nel passato. Nel 1993, le famiglie con un lavoratore atipico al proprio interno erano nel 1994 il 9,2%, nel 2001 erano il 15% (Istat, 1994, 2002). Nel 1993, le famiglie senza contratti standard erano, ma con almeno uno non standard erano il 3,3%, nel 2001 erano invece il 5% (Istat, 1994, 2001). Un’altra questione riguarda i diritti di cittadinanza. I sussidi alla disoccupazione vengono concessi dallo Stato italiano seguendo il principio assicurativo; i lavoratori licenziati dalle grandi aziende o coloro che hanno subito licenziamenti collettivi possono godere degli strumenti di sostegno al reddito. Non si verifica la stessa situazione per coloro che cadono nello stato di disoccupati non a causa di un licenziamento, ma per l’estinzione di un rapporto di lavoro a termine ( o di un rapporto di collaborazione). Questi possono ricevere solo il trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti ( a parte i rari casi in cui subiscono un licenziamento, per cui viene data l’indennità di disoccupazione) solo se hanno lavorato per almeno 78 giorni nel corso dell’anno e hanno versato contributi, anche per una sola settimana, due anni prima. A fronte di questi enormi rischi, è possibile sostenere che solo attraverso la formazione, in un mercato del lavoro segmentato come quello italiano, è permesso ai giovani di aspirare a godere dei diritti di cittadinanza. Questo strumento rende possibile stimare i contratti non standard formativi come probabili entry ports. 21 BIBLIOGRAFIA Arts W. E Gellisen J. (2002), Three Worlds of Welfare Capitalism or More?, Journal of European Social Policy, vol. 12(2), pp. 137-158 Atkinson A.B. (1999), The Economic Consequences of Rolling-Back the Welfare State, Mit Press, Cambridge. Banca d’Italia (2006), Bollettino economico Barbieri, P. (2002), Il lavoro a termine nella recente esperienza italiana: uno sguardo sociologico e alcune considerazioni in proposito, in M. Biagi ( a cura di) Il “nuovo” lavoro a termine, Milano, Giuffrè, pp 21-40 Barbieri, P. P. Bison, I. e Esping Andersen, G. (1999) Italy: Post-industrial laggard or an historical U-turn?, Mannheim, Paper, Ecrs workshop Barbieri, P. e Mingione, E. (2003), I cambiamenti del lavoro: perché occorre un nuovo welfare state, Assistenza sociale n. 1-2 Barbieri, P. e Scherer, S. (2005), Le conseguenze della flessibilizzazione del mercato del lavoro in Italia, Stato e Mercato vol 74, n.: 291-321 Bentolila, S., e Bertola, G. (1990), Firing costs and labour demand: how bad is Eurosclerosis? In Review of Economic Studies, n. 57 Blanchard, O. (1998), European unemployment: shocks and institution, Banca d’Italia, Baffi Lecture Blossfeld, H. P. (1992), Is the German dual system a model for a modern vocational training system? in “International journal of comparative Sociology”, vol 33, pp 168-91 Boeri, T. (2002), Meno pensioni, più welfare, Bologna, Il Mulino. Boeri, T e Brandolini, A. (2004), The age of discontent: Italian Households at the beginning of the decade, in Giornale degli Economisti e Annali di economia, vol 63, pp 155-193. Boeri, T. e Garibaldi, P. (2006), Two tier reforms of employment protection: a honeymoon effect? WP Fondazione Rodolfo De Benedetti 22 Boeri, t. e Perotti, R. (2002), Meno pensioni più welfare, Bologna, Il Mulino Castel, R. (1997), Disuguaglianze e vulnerabilità sociale, in “Rassegna Italiana di Sociologia”, vol 38, n. 1, pp 41-56 Cella, G. P. (2000), Lavoro, lavori e cittadinanza, in “Sociologia del lavoro” n. 80, pp 57-68 Centro Studi Confindustria (2006), L’utilizzo nel 2004 degli strumenti normativi introdotti dalla nuova legge 30/2003. Contini, B., Pacelli, L. e Villosio, C. (1999), Short employment spells in Italy, Germany and Britain: testing the port-of-entry hypothesis, London School of Economics, C.E.P., Discussion Paper no. 426 (1999). Contini, B. (2000), Osservatorio sulla mobilità del lavoro in Italia: imprese, lavoratori e salari, Il Mulino, Bologna. De Grip, A., Hoevenberg, J. e Willems, E. (1997), Atypical Employment in the European Union, in “International Labour Review”, vol. 136, n. 1, pp 49-71. De Roit, B, Sabatinelli, S. (2005), Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e lavoro, Stato e Mercato, vol 2/2005, pp. 267-290 Esping-Andersen G. (1990), The Three Worlds of Welfare Capitalism, Polity Press. Ibidem (1995), Il welfare state senza lavoro. L’ascesa del familismo nelle politiche sociali dell’Europa continentale, in “Stato e Mercato”, n. 45, pp. 347-380 Ibidem, (1999), Social foundations of Postindustrial Economies, Oxford, Oford University Press; trad. it. I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Bologna, Il Mulino, 2000. Esping Andersen, G. e Regini, M. (1998), Politiche del lavoro e disoccupazione in Europa, Collana RicercheEsping-Andersen G., Regini M. (2000), Why deregulate labour markets?, Oxford U.P. 23 Europa. I cambiamenti del lavoro: perché occorre un nuovo welfare state Eurostat (1999), Labour Force Surwey Ferber, M. e Waldfogel, J. (1996), “Contingent” work: blessing and/or curse’, Radcliffe Public Policy Institute paper. Ferrera, M. (1998), Le Trappole del welfare, Bologna, Il Mulino. Ibidem (1996), The Southern Welfare State in Social Europe, Journal of European Social Policy, vol. 6(1), pp. 17-37. Ibidem, (2004), Verso una cittadinanza sociale aperta. I nuovi confini del welfare nell'Unione europea in Rivista Italiana di Scienza Politica, n. 1, pp. 95-126 Fullin, G. (2004), Vivere l’instabilità del lavoro, Bologna, Il Mulino. Gallie D., Paugam S. (2000), Welfare Regimes and the Experience of Unemployment in Europe, Oxford University Press. Gallino, L. (1998), Se tre milioni vi sembran pochi, Torino, Einuadi. Heckman, J., Ichimura, H., Todd, P. (1998), Matching as an econometric evaluation estimator, Review of Economic Studies, vol 64, n.: 605-654. Giaccardi, C. e Magatti, M., (2003), L’io globale. Dinamiche della socialità contemporanea, Roma- Bari, Laterza. Ichino, A., Mealli, F. e Nannicini, T. (2003), Il lavoro interinale in Italia: trappola del precariato o trampolino verso un impiego stabile? Rapporto di ricerca IUE, Istat 1998. Istat, Rapporto 1994. Istat, Rapporto 1999. Istat, Rapporto 2000. Istat, Rapporto 2002. Kalleberg Arne L. (1999), Changing Employment Relations in the United States, paper presentato al convegno Sase, Madison, Wisconsin, 8-11 luglio, 1999 AJS. 24 Kalleberg Arne L., Hudson, K. (1997), Job Stability and Non-Standard Work Arrangements in the U.S. Labor Force. Paper Presented at the Annual Meetings of the Southern Sociological Society, New Orleans, Louisiana. Kalleberg, Arne L., Barbara F. Reskin e Hudson, K. (2000). Bad Jobs in America: Standard and Nonstandard Employment Relations and Job Quality in the United States. “American Sociological Review” n. 65 pag 256-278. Korpi, W. (2001), Gender, Class and Patterns of Inequalities in Different Types of Welfare States. Pp. 52-72 in Martin Kohli och Mojca Novak (editors), “Will Europe Work?”. London: Routledge, 2001. Mishel, L., J. Bernstein and J, Schmitt (1999), The State of Working America, 1998–99, Cornell UP, Ithaca, New York. Nickell, S. J. e Layard, R. (1998), Labour Market istitutions and economic performance, CEP Discussion papers, n. 0407, Centre for Economic Performance, LSE OECD (1999), Employment Outlook, Paris Ibidem (2004), Employment Outlook, Paris Paci, M. (1996), I mutamenti della stratificazione sociale, in Storia dell’Italia repubblicana, Torino, Einaudi, vol III. Reyneri, E. (2002), Sociologia del mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino. Rosanvallon, P. (1995), La nouvelle question sociale, Paris, Seuil, trad. It. La nuova questione sociale, Roma, Edizioni Lavoro, 1997. Rosenbaum, P.R, Rubin D. B. (1983), The central role of propensity score in observational studies for causal effects, Biometrika, Vol. 70, n. 1: 41-55 Saraceno, C. (2002), I paradossi della flessibilità: una prospettiva di genere e generazionale, in “Percorsi di lavoro flessibile”, a cura di M. Magatti e G. Fullin, Roma, Carocci, pp. 223-233. 25 Ibidem (2003), Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, Il Mulino Ibidem (2003), Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, Il Mulino Samek, Lodovici, M. (2000) The dinamics of Labour Market Reform in European Countries, in Esping Andersen, G. e Regini, M. (edito da), “Why deregulate labour markets?”, Oxford University Press, Oxford Schizzerotto A. (2002), Vite ineguali, Bologna, Il Mulino. Sianesi, B. (2002), An evaluation of Swedish system of active labour market programmes in the 1990s, IFS Working Papers W02/01, Istitute for Fiscal Studies Soskice D. (1990), Wage Determination: the Changing Role of Institutions in Advanced Industrialised Countries, Oxford Review of Economic Policy, vol. 6, n. 4. Tattara G., Valentini M. (2003), A successful entrance contract for the Youngs? Revisiting the Italian Training on the job contract, Conference “Social Pacts, Employment and growth, A reapparaisal of Ezio Tarantelli thought”. Tursi, A. e Varesi, P. A. (2004), Lineamenti di diritto del lavoro, IPSOA www.lavoce.info.it 26