i diritti fondamentali

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i diritti fondamentali
IL FONDAMENTO DEI…DIRITTI FONDAMENTALI.
1. Premessa.
L’ordinanza delle Sezioni Unite n. 21262/2016 offre lo spunto per una riflessione avente per
oggetto i diritti fondamentali. Si tratta, come noto, di una categoria risalente nel tempo e che
trova fondamento nel diritto nazionale e nel diritto sovranazionale (prima tra tutti la
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), da tenere distinta dai diritti costituzionalmente
garantiti, i quali si pongono, rispetto ai primi, in rapporto di species ad genus.
Le questioni maggiormente dibattute in dottrina e giurisprudenza riguardano la soluzione del
mai sopito conflitto tra il potere amministrativo e diritti fondamentali, con ricadute importanti
sul riparto di giurisdizione. La questione deve essere evidentemente risolta sul piano normativo
(e, dunque, scientifico), prima che dottrinale e giurisprudenziale.
Prima di prendere in esame le singole disposizioni, vediamo da vicino il contenuto essenziale
della ordinanza delle Sezioni Unite, le quali pervengono ad una soluzione condivisibile, con un
procedimento logico che merita una attenta analisi.
2. L’ ordinanza delle Sezioni Unite n. 21262/2016.
Con l’ordinanza in epigrafe, le Sezioni Unite hanno attribuito alla giurisdizione del giudice
ordinario la cognizione su una domanda, promossa prima e al di fuori dell’avvio del
procedimento elettorale, di accertamento del diritto di elettorato attivo, asseritamene leso dalle
previsioni di una legge regionale disciplinante le modalità di attribuzione dei seggi nel consiglio
regionale, in quanto il giudice ordinario è il giudice naturale dei diritti fondamentali e, tra questi,
dei diritti politici, confermando, in tal modo, l’orientamento giurisprudenziale che vuole
attribuita al giudice ordinario la cognizione delle azioni aventi ad oggetto il diritto fondamentale
di elettorato attivo.
Nel caso di specie veniva proposta azione ai sensi dell’art. 702bis c.p.c. da alcuni cittadini
dinanzi al giudice ordinario, al fine di ottenere l’accertamento del diritto di esercitare il proprio
diritto di voto libero, eguale, personale e diretto, così come attribuito e garantito nel suo
esercizio dalla Costituzione italiana e dalle vigenti norme di diritto internazionale
convenzionale. Nel medesimo ricorso, gli attori chiedevano di sollevare la questione di
legittimità costituzionale della legge della Regione Umbria numero 23 febbraio 2015, n, 4, in
materia di elezione dei Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale. La
illegittimità costituzionale era sostenuta postulando che la citata legge avrebbe attribuito un
premio di maggioranza eccedente e, contestualmente, istituito un anomalo premio di
minoranza, assegnando così i seggi in base ai voti del candidato e non della lista.
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Le Sezioni unite, adite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, partendo dal
presupposto per cui il petitum sostanziale della domanda riguarda la tutela del diritto
fondamentale di elettorato attivo, stabiliscono che la giurisdizione deve necessariamente
spettare al giudice naturale di tali diritti, ovvero al giudice ordinario.
Interessante è il procedimento logico attraverso cui si perviene a questa soluzione, in quanto
impiega una tecnica argomentativa per esclusione, la quale si fonda sul terzo pilastro della logica
classica (principio del terzo escluso).
Afferma, dunque, la Suprema Corte: <<In particolare, la controversia non ricade nell'ambito della
giurisdizione amministrativa sul contenzioso elettorale, di cui agli artt. 126, 129 e 130 c.p.a. Infatti, la
giurisdizione che tali disposizioni assegnano al giudice amministrativo ha ad oggetto le sole «operazioni
elettorali», ossia la regolarità delle forme procedimentali di svolgimento delle elezioni, alle quali fanno capo nei
singoli posizioni che hanno la consistenza dell'interesse legittimo, non del diritto soggettivo. E benché tali
operazioni non si esauriscano nelle attività di votazione, ma si estendano al procedimento elettorale preparatorio
per le elezioni regionali e comprendano tutti gli atti del complesso procedimento, dall'emanazione dei comizi
elettorali sino alla proclamazione degli eletti, resta tuttavia attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria la
cognizione delle controversie nelle quali si fanno valere posizioni di diritto soggettivo, quali quelle che si
riconnettono al diritto di elettorato attivo o che concernono ineleggibilità, decadenze e incompatibilità. Come
sottolinea esattamente il pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte, in materia di contenzioso elettorale
l'ambito della giurisdizione amministrativa “non è affatto un sistema di giurisdizione esclusiva, che possa
includere posizioni di diritto pieno”, il che è confermato dall' “elencazione (tassativa) contenuta nell'art. 133
c.p.a., che individua per l’ appunto le materie di giurisdizione esclusiva e non comprende quella elettorale”.
Una attribuzione al giudice amministrativo, in quest'ambito, della giurisdizione su diritti, e diritti fondamentali,
proprio “in quanto derogatoria del criterio di riparto costituzionalmente delineato dall'art. 103, primo comma,
Cost.”, avrebbe richiesto una legge, “nel rispetto della riserva ivi contenuta... oltre che dei principi e dei limiti
fissati dalla sentenza costituzionale n. 204 del 2004" (Corte cost., sentenza n. 259 del 2009): legge che non
può essere individuata nella generale e generica locuzione dell'art. 126 c.p.a. invocato a fondamento del ricorso
per regolamento>>.
Le Sezioni Unite rafforzano la conclusione, analizzando il contenuto della sentenza della Corte
Costituzionale n. 110/2015: <<Ad avviso del Collegio, l'appartenenza della presente controversia alla
cognizione del giudice amministrativo non può neppure ricavarsi dalla sentenza della Corte costituzionale n.
110 del 2015, con cui è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21,
primo comma, nn. 1-bis) e 2), della l. n. 18 del 1979, nella parte in cui prevede, per l'elezione dei membri del
Parlamento europeo spettanti all'Italia, una soglia di sbarramento per le liste che non abbiano conseguito sul
piano nazionale almeno il quattro per cento dei voti validi espressi, sollevata, in riferimento agli artt. 1, secondo
comma, 3 e 48 Cost., dal Tribunale ordinario di Venezia, che era stato adito con una domanda di accertamento
formulata con riferimento alle future consultazioni elettorali. Invero, la Corte costituzionale, con la sentenza n.
110 del 2015, ha argomentato a contrario dalla sentenza n. 1 del 2014, con cui è stata decisa la questione di
legittimità costituzionale relativa alla legge elettorale per la Camera e il Senato, dove si trattava di evitare una
“zona franca”, sottratta al sindacato costituzionale, dato che l'ordinamento riserva alle Camere il contenzioso sui
risultati delle elezioni politiche, non contemplando il sindacato di un giudice terzo; e ha rilevato che “le vicende
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elettorali relative all'elezione dei membri italiani del Parlamento europeo, a differenza di quelle relative
all'elezione del Parlamento nazionale, possono essere sottoposte agli ordinari rimedi giurisdizionali, nel cui
ambito può svolgersi ogni accertamento relativo alla tutela del diritto di voto e può essere sollevata incidentalmente
la questione di costituzionalità delle norme che lo disciplinano”>>.
Semplificando, il ragionamento – per esclusione – è il seguente:
1) controversia non ricade nell'ambito della giurisdizione amministrativa sul contenzioso
elettorale, di cui agli artt. 126, 129 e 130 c.p.a., poiché la giurisdizione che tali disposizioni
assegnano al giudice amministrativo ha ad oggetto le sole operazioni elettorali nelle quali si
faccia valere un interesse legittimo e non il diritto (soggettivo) fondamentale di elettorato attivo,
come avviene nel caso attenzionato alle Sezioni Unite;
2) non può ritenersi nemmeno che la giurisdizione del giudice amministrativo in materia
elettorale di cui agli artt. 126, 129 e 130 c.p.a. rientri tra i casi di giurisdizione esclusiva, atteso
che essa non è ricompresa nell’elenco (tassativo) di cui all’art. 133 c.p.a.;
3) l’appartenenza della presente controversia alla cognizione del giudice amministrativo, infine,
non può neppure ricavarsi in via interpretativa dalla sentenza della Corte costituzionale n. 110
del 2015.
Dunque, se non sussistono i presupposti sub) 1, 2 e 3, allora è giocoforza concludere che deve
ritenersi attribuita all’autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie nelle quali si
fanno valere posizioni di diritto soggettivo, quali quelle che si riconnettono al diritto di
elettorato attivo o che concernono ineleggibilità, decadenze e incompatibilità, trattandosi di
diritti fondamentali (ovvero diritti afferenti al nocciolo duro dei diritti costituzionalmente
garantiti e, dunque, non comprimibili).
Come più sopra accennato, l’ordinanza si fonda su un procedimento logico corretto, il quale,
tuttavia, non affronta la problematica di fondo relativa alla compatibilità tra potere
amministrativo e diritto soggettivo (fondamentale).
Ma procediamo con ordine, occupandoci in primo luogo del rapporto tra potere amministrativo
e diritti fondamentali, con le inevitabili ricadute sul riparto di giurisdizione.
3. Potere amministrativo, diritti fondamentali e riparto di giurisdizione.
Per lungo tempo è stata accreditata l’idea che le controversie aventi ad oggetti diritti
fondamentali, tutelati con la massima intensità dalla carta costituzionale e, come tali,
insuscettibili di compressione da parte dell’autorità amministrativa, spettassero al giudice
ordinario.
Di recente, intervenendo su una fattispecie di giurisdizione amministrativa esclusiva, la Corte
Costituzionale, con la sentenza numero 140/07, ha affermato una regola diversa, giungendo a
ritenere che non è fondata, in riferimento all’articolo 103 della Costituzione, la questione di
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legittimità costituzionale del comma 552 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004, nella parte in
cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi a
oggetto le procedure e i provvedimenti in materia di impianti di energia elettrica di potenza
superiore a 300 MW termici, nonché le relative questioni risarcitorie, atteso che l’oggetto delle
controversie è rigorosamente circoscritto alle particolari “procedure e provvedimenti”, tipizzati dalla
legge e concernenti una materia specifica, né osta alla validità costituzionale del sistema in
esame la natura fondamentale dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus: nessun
principio o norma, infatti, riserva esclusivamente al giudice ordinario la tutela dei diritti
costituzionalmente protetti. Legittimamente, pertanto, può essere riconosciuto esclusivamente
al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad
assicurare piena tutela, e quindi anche una tutela risarcitoria, per equivalente o in forma
specifica, per il danno asseritamente sofferto anche in violazione di diritti fondamentali in
dipendenza dell’illegittimo esercizio del potere pubblico da parte della pubblica
amministrazione.
Prendendo spunto da questa pronuncia Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 27187/07
hanno sigillato il ripensamento, affermando che <<anche in materia di diritti fondamentali tutelati
dalla Costituzione, come il diritto alla salute, allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di un
comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi e conseguente ad atti della Pa di cui sia denunciata
l’illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, come ad esempio in
quelle di gestione del territorio, compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie circa la
sussistenza in concreto dei diritti vantati e il contemperamento o limitazione dei suddetti diritti con l’interesse
generale pubblico all’ambiente salubre e l’emissione di ogni provvedimento cautelare, per assicurare
provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente
risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti. L’attribuzione
al giudice ordinario dell’azione inibitoria di un’attività potenzialmente lesiva del diritto dei cittadini ad un
ambiente igienicamente sicuro si fonda sul presupposto che sui diritti fondamentali protetti dalla Costituzione,
come quello alla salute in concreto nel caso cautelato, in quanto gli stessi non sono degradabili ad interessi
legittimi, la P.A. agirebbe sempre in carenza assoluta di potere e quindi i comportamenti di essa dovrebbero
sempre ritenersi non fondati sull’esercizio di un potere e valutarsi come attività materiali e di mero fatto, riservate
alla esclusiva cognizione del giudice ordinario. Tale tesi è infondata e non conforme alla giurisprudenza, la quale
distingue sempre tra i comportamenti materiali, che esprimono l’esercizio di un potere amministrativo e sono
collegati comunque a un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarato, da quelli di mero fatto,
riservando quindi soltanto i primi alla cognizione dei giudici amministrativi, nelle materie riservate alla
giurisdizione esclusiva di questi ultimi (S.U. ord. 22 agosto 2007 n. 17831, 7 febbraio 2007 n. 2688 e 2689,
11 gennaio 2007 n. 368 e le sentenze 8 giugno 2007 n. 13397 e 8 maggio 2007 n. 10375). Effettivamente,
prima della devoluzione alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi di alcune materie e allorché il
riparto di giurisdizione si fondava solo sulla tradizionale bipartizione tra diritti soggettivi e interessi legittimi e
sulla individuazione del c.d. petitum sostanziale, proprio in materia di discariche di rifiuti urbani, la Corte
aveva riservato al Giudice ordinario ogni controversia in materia di danno alla salute, che dalla collocazione nel
territorio di tali infrastrutture poteva derivare (cfr. S.U. sentenze del 17 novembre 1992 n. 12307 e 28
novembre 1990 n. 11457). Successivamente al Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80 come modificato
dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, non vi è invece ragione per denegare la cognizione dei Giudici
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amministrativi allorché, in materia di giurisdizione esclusiva, vi sia una controversia avente ad oggetto
comportamenti materiali che siano effetto di atti della P.A. o espressione di poteri di questa e ledano diritti,
anche se fondamentali e tutelati dalla Costituzione, perché comunque resta ferma la cognizione giurisdizionale dei
Giudici amministrativi, sulla base di quanto chiarito anche dalle sentenze della C. Cost. 28 aprile 2004 n.
204, 8 marzo 2006 n. 191, in rapporto alla lettura della parola comportamenti, di cui al Decreto Legislativo
sopra richiamato, art. 34, comma 1. Nello stesso senso è anche la pronuncia della C. Cost. 27 aprile 2007 n.
140A conforto può richiamarsi l’art. 3 legge 205/00 liddove stabilisce che “la concessione o il diniego della
misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la concessione o il diniego della misura cautelare
attenga ad interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, all’integrità, dell’ambiente, ovvero ad altri
beni di primario rilievo costituzionale», così evidenziando che anche il giudice amministrativo ha piena cognizione
di essi, quando si verta in una controversia riservata alla sua giurisdizione esclusiva>>.
Laddove esista, dunque, compatibilità tra potere amministrativo e diritti soggettivi è predicabile
la giurisdizione amministrativa esclusiva, trattandosi del classico scontro tra autorità e libertà
che giustifica tale previsione. Diversamente opera la giurisdizione ordinaria, come in materia di
asilo politico. Precisamente, la giurisdizione del giudice ordinario in materia di diritto d’asilo si
configura come diritto soggettivo perfetto (tribunale di Roma 1° ottobre 1999; Cassazione
civile, sezioni Unite, 26 maggio 1997 n. 4674) poiché nasce direttamente dall’articolo 10, terzo
comma, della Costituzione. Per quanto riguarda invece il riconoscimento dello status di
rifugiato, che avviene attraverso una procedura amministrativa disciplinata dalla legge, l’articolo
5 del d.l.n. 416/1989 prevedeva espressamente la giurisdizione del giudice amministrativo
avverso i provvedimenti di diniego di riconoscimento; era altresì prevista la competenza
giurisdizionale del giudice amministrativo anche avverso i provvedimenti di espulsione e contro
quelli di diniego e revoca dei permessi di soggiorno. In seguito l’articolo 46 della legge n. 40 del
1998 ha abrogato detto articolo 5; abrogazione confermata dall’articolo 47 del testo unico. In
tale situazione la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha affermato la giurisdizione del giudice
ordinario, riconducendo la condizione di rifugiato nell’ambito del diritto d’asilo e quindi entro
una posizione di diritto soggettivo perfetto, con la conseguenza che gli atti amministrativi
hanno natura dichiarativa e non costitutiva (Cassazione, sezioni Unite civili, 17 dicembre 1999
n. 907). Il Consiglio di Stato invece affermava che, pur in presenza di detta esplicita
abrogazione, la giurisdizione doveva ritenersi sempre del giudice amministrativo, non potendosi
negare l’esistenza di un potere discrezionale da parte dell’amministrazione nell’apprezzamento
dei fatti e della loro rilevanza per il riconoscimento dello status di rifugiato (Consiglio di Stato,
sezione IV, 29 agosto 2002 n. 4336). Il contrasto è stato risolto dal legislatore che con l’articolo
32 della legge 189/2002 ha previsto che i ricorsi avverso gli atti della commissione territoriale
competente per il riconoscimento dello status di rifugiato, sono presentati al tribunale in
composizione monocratica territorialmente competente.
4. Il fondamento…dei diritti fondamentali.
Chiarito il rapporto tra potere amministrativo e diritti fondamentali (con le inevitabili ricadute
in tema di riparto di giurisdizione), occorre ora risolvere sul piano normativo la questione
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sollevata nel primo paragrafo del presente lavoro, ovvero come possa coesistere il potere
amministrativo a fronte di un diritto soggettivo.
Come si diceva pocanzi, se è pacifico che il diritto soggettivo è da ritenersi compatibile con il
potere, meno pacifica è la spiegazione di come, a fronte di un rapporto giuridico fondato sullo
schema norma-potere-effetto, la posizione del privato sia di diritto soggettivo e non di interesse
legittimo.
Va premesso, al riguardo, che non si può far leva sulla natura materiale della attività
amministrativa, poiché l’impatto del potere sul diritto fondamentale avviene tramite
provvedimenti o comportamenti diretta espressione del potere, in quanto esecuzione di
provvedimenti amministrativi.
La soluzione dimora nello schema sotto raffigurato: 1
PREMESSA MINORE
Potere
PREMESSA MAGGIORE
Norma di azione
CONCLUSIONE
Effetto
Diritto soggettivo
Interesse pubblico e privato
Interesse generale
Norma di relazione
Interesse individuale
Nell’ ipotesi di attività amministrativa autoritativa che impatta su diritti fondamentali, accanto
alla norma di azione (che fonda il potere e lo disciplina nello svolgimento sostanziale;
rispettivamente: legalità formale e sostanziale) esiste una autonoma norma, di relazione (il cui
fondamento è generalmente individuato nella Carta Costituzionale; esempio: art. 2 Cost.), che,
per sua natura, è idonea a proteggere il diritto soggettivo del privato anche dal potere
amministrativo. Il diritto fondamentale assolverebbe, quindi, alla funzione svolta dall’interesse
legittimo.
Nell’identificazione dell’interesse generale, l’interesse del singolo “pesa” maggiormente di quello
pubblico, sicchè la Pubblica Amministrazione deve coordinare questo con l’interesse del privato
e non viceversa. Ne consegue che il provvedimento non può incidere sul diritto soggettivo al di
fuori di tali condizioni che consentono il coordinamento.
DOTT. DAVIDE NALIN
1
F. Bellomo, Nuovo Sistema del Diritto Amministrativo, ed. IQ Diritto e Scienza, Vol. III, pag. 86.
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