“La campagna BDS nel mondo” di Omar Barghouti, PACBI - ISM
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“La campagna BDS nel mondo” di Omar Barghouti, PACBI - ISM
La campagna BDS nel mondo di Omar Barghouti, PACBI Relazione presentata a Roma l’11 luglio 2009, nell’ambito della giornata di lavoro internazionale: “La campagna BDS in Italia e nel mondo – Esperienze e proposte operative” e il 9 luglio 2009 all’Aia in occasione del 5° anniversario del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia sul Muro con il titolo “Civil Society-Upholding Rights, Promoting Accountability” traduzione a cura di ISM-Italia Introduzione Il grande educatore brasiliano, Paulo Freire, ha detto: “Uno degli ostacoli più gravi al raggiungimento della liberazione è che la realtà oppressiva assorbe quelli che la subiscono e quindi agisce per tenere sommersa la consapevolezza degli esseri umani. Funzionalmente, oppressione è addomesticare. Per non essere più a lungo alla mercé della sua forza, le persone devono emergere da essa e rivoltarsi. Questo può essere fatto solo per mezzo della prassi: la riflessione e l’azione sul mondo per trasformarlo.” In questa presentazione esaminerò come la riflessione della società civile palestinese sulle radici dell’oppressione palestinese e sulle azioni che ne sono derivate per porvi fine, hanno creato una atmosfera fertile per una solidarietà internazionale, efficace e sostenibile, che promette, come risultato, di trasformare il nostro piccolo mondo e, forse, il mondo intero. Noi oggi siamo qui per ricordare il 5° anniversario del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, ma anche il 4° anniversario di quello che alcuni analisti hanno definito come uno dei più significativi documenti politici palestinesi degli ultimi decenni, un documento che costituisce la risposta più coerente, da parte della società civile palestinese, alla storica decisione dell’Aia. Il 9 luglio 2005, un anno dopo il parere consultivo della ICJ e la intransigente e del tutto negativa reazione israeliana e dopo decenni di completo fallimento delle potenze mondiali nell’imporre a Israele il rispetto del diritto internazionale, la società civile palestinese ha lanciato il suo appello per il Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni, noto come BDS, contro Israele fino a che non ottemperi completamente ai suoi obblighi verso il diritto internazionale e rispetti i diritti dei palestinesi, il più importante tra i quali è il diritto alla auto-determinazione. Mentre Israele si sposta definitivamente verso la destra fanatica e razzista, come hanno dimostrato i risultati delle ultime elezioni, i palestinesi sotto il suo controllo sono sempre di più brutalizzati dalla escalation delle sue politiche coloniali e di apartheid, concepite per spingerli fuori dalla loro patria e realizzare una classica profezia che si auto-realizza secondo la vecchia frottola sionista di "una terra senza un popolo." Di tutte le manifestazioni di questa monumentale ingiustizia, oggi Gaza rappresenta il test della nostra comune umanità e della nostra indispensabile moralità. L’assedio israeliano disumano e criminale di Gaza ha già avuto un ruolo significativo nel rendere edotta la società civile internazionale delle violazioni israeliane del diritto internazionale. Ammonendo sulla devastante brutalità di quell’assedio; Karen Abu Zayd, commissario generale dell’UNRWA, ha affermato: "Gaza è sulla soglia di diventare il primo territorio ad essere intenzionalmente ridotto a uno stato di abietta indigenza con l’acquiescenza e — alcuni direbbero — l’incoraggiamento della comunità internazionale, che ne è perfettamente a conoscenza. ... Il lavoro umanitario è profondamente compromesso in un contesto dove vi è una complicità implicita o attiva nel creare condizioni di sofferenza di massa." 1 E’ questo aspetto dell’assedio, i processi che portano alla morte lenta di masse di popolo e a impedire lo sviluppo di una generazione di bambini palestinesi, che ha spinto il Prof. Richard Falk a una descrizione, eccezionalmente coraggiosa e accurata, di tutto ciò come un “preludio al genocidio.” Un team investigativo sponsorizzato dalla Lega Araba ha recentemente fatto un accenno alla possibilità di atti israeliani di genocidio nella guerra di aggressione contro Gaza. Contribuendo al blocco israeliano di Gaza e alla sua guerra illegale di aggressione contro la striscia, la UE e gli altri stati occidentali hanno raggiunto uno stadio di complicità qualitativamente differente. Mentre erano stati prima accusati, in particolare da Sara Roy, una esperta autorevole di Harvard, di collusione con una politica israeliana deliberata di “de-sviluppo,” ora a Gaza, sono diventati, più sfacciatamente che mai, partner a tutto campo della politica israelo-americana di minare il ruolo del diritto e di adottare al suo posto la legge della giungla, promuovendo quindi un’altra profezia che si auto-realizza, quella di Bush-Bin Laden, di un mondo dicotomico diviso chirurgicamente in buoni e cattivi, con ciascuna delle due parti che pensa che il male sia l’altro. Malgrado la eclatante illegalità e immoralità della guerra, le perdite di vite umane notevolmente sproporzionate e la distruzione, oltre ogni misura, di proprietà private e pubbliche che la guerra di Israele ha causato ai Palestinesi, i leader occidentali, inclusi quelli qui a Roma, sono stati pronti a fare dichiarazioni, o per offrire sostegno incondizionato alla guerra di Israele, o esprimendo preoccupazione sulle morti e le sofferenze delle "due parti," accusando la resistenza palestinese di provocare le atrocità. In ogni modo, hanno assolto Israele da ogni responsabilità con il pretesto del suo "diritto a difendersi", una affermazione che è stata respinta da giuristi internazionali e da organizzazioni per i diritti umani autorevoli, che hanno accusato Israele di commettere crimini di guerra e anche crimini contro l’umanità. A parte Gaza, la società civile palestinese e un numero crescente di sostenitori influenti dei diritti umani riconoscono che il regime israeliano contro il popolo nativo della Palestina costituisce occupazione, colonizzazione e apartheid. In particolare, l’oppressione israeliana che dura da decenni assume tre forme fondamentali che sono al centro dell’appello BDS palestinese: (1) L’occupazione e la colonizzazione prolungata di Gaza e della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e di altri territori arabi; (2) Il sistema legalizzato e istituzionalizzato di discriminazione razziale contro i cittadini palestinesi di Israele; e (3) Il rifiuto persistente dei diritti dei profughi palestinesi, riconosciuti dall’ONU, primo tra tutti il loro diritto a risarcimenti e al ritorno nelle loro case di origine, secondo la risoluzione 194 dell’Assemblea Generale dell’ONU. Porre fine a queste tre forme di oppressione è la richiesta minima per raggiungere una pace giusta nella nostra regione, specialmente perché rivendicare i diritti sopra ricordati è il modo più completo di esercitare il diritto palestinese alla autodeterminazione. La più importante delle tre ingiustizie è senza dubbio il rifiuto di Israele del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Il cuore della questione palestinese è stato sempre la condizione dei profughi che subirono la pulizia etnica durante la Nakba e dopo. Il fatto che i profughi siano la maggioranza del popolo palestinese, insieme ai 61 anni di sofferenze in esilio, fa del riconoscimento dei loro diritti di base, incluso il loro diritto a risarcimenti e al ritorno nelle loro case di origine, la cartina di tornasole della moralità per tutti coloro che suggeriscono una soluzione giusta e durevole del conflitto palestineseisraeliano. A parte la morale e i diritti legali, il rifiuto dei diritti dei profughi palestinesi garantisce il perpetuarsi del conflitto. Le politiche israeliane repressive e razziste nei territori palestinesi occupati nel 1967 sono state riconosciute come apartheid da molti opinion leader come, tra gli altri, l’arcivescovo Desmond Tutu, l’ex presidente degli USA, Jimmy Carter, e il prof. John Dugard, ex relatore speciale dell’ONU per i diritti umani negli OPT. Un nuovo studio accademico sudafricano lo ha anche confermato. Anche l’ex Procuratore Generale, 2 Michael Ben-Yair, ha scritto nel 2002 un articolo su Haaretz descrivendo così il regime israeliano negli OPT, "Noi abbiamo scelto entusiasticamente di diventare una società coloniale, ignorando i trattati internazionali, espropriando terre, trasferendo coloni da Israele nei territori occupati, mettendoci a rubare e trovando giustificazioni per tutte queste attività . ... In effetti, abbiamo stabilito nei territori occupati un regime di apartheid ...." La ricerca palestinese sulla questione va ben oltre, fornendo nuovi elementi alla comprensione del regime israeliano contro i palestinesi. Un recente report pubblicato dal Comitato Nazionale Palestinese BDS afferma che le origini di Israele, le leggi e le politiche contro il popolo palestinese, inclusi i palestinesi cittadini di Israele, corrisponde in larga misura alla definizione di apartheid presente nella convenzione delle NU del 1976 sulla soppressione e la punizione del Crimine di Apartheid. E’ sufficiente dire che attraverso le sue leggi, incluse diverse Basic Laws, che hanno un potere costituzionale in assenza di una costituzione israeliana, e le politiche sistematiche di discriminazione contro i suoi cittadini “non-ebrei”, Israele ha messo a punto un sofisticato sistema di apartheid contro i cittadini palestinesi come collettività nazionale. Così il fatto che questi cittadini palestinesi di Israele possono votare, a differenza della loro controparte africana nera durante l’apartheid in Sudafrica, diventa quasi una formalità, una sorta di simbolismo, chiaramente concepito per dare una immagine ingannevole di democrazia e parare le accuse ben-giustificate di apartheid. La Complicità Ufficiale Europea nelle Violazioni dei Diritti umani e nel Minare il Diritto internazionale Malgrado tutto questo, sommersa da un comprensibile senso di colpa per l’olocausto, incapace o non volendo riconoscere la differenza fondamentale tra l’opposizione alle violazioni israeliane del diritto internazionale e la discriminazione contro gli ebrei, come Hajo Meyer sostiene, e aderendo al trend generale europeo di corrompere i palestinesi affinché accettino di pagare con la loro terra e i loro diritti il prezzo di un genocidio europeo contro gli ebrei del quale non siamo in nessun modo corresponsabili, l’establishment occidentale ha fallito nell’adottare qualsiasi strumento politico inteso a rendere Israele responsabile o a fare pressioni su Israele, in un qualsiasi modo significativo, per mettere definitivamente fine ai suoi abusi dei diritti umani e per applicare le norme pertinenti del diritto internazionale. Come minimo, dopo il parere della ICJ e la risoluzione successive dell’Assemblea Generale dell’ONU, l’establishment politico europeo avrebbe potuto usare la sua forza economica immensa per costringere Israele a smantellare il suo Muro illegale; ad astenersi dalla distruzione sistematica delle infrastrutture del futuro stato palestinese, la maggior parte a carico di coloro che pagano le tasse in Europa; a porre fine alla politica delle esecuzioni extra-giudiziali, delle demolizioni delle case, della detenzione amministrativa, della tortura dei detenuti e dei prigionieri politici e dello sradicamento di centinaia di migliaia di alberi, in maggioranza ulivi; e, in modo più cruciale, a fermare la sua politica di punizione collettiva e di assedio, rafforzata attraverso centinaia di umilianti blocchi stradali e check-points che impediscono il diritto all’educazione, alle cure, all’accesso ai campi e ai luoghi di lavoro e che violano in ogni modo la libertà di movimento. Al contrario, l’UE ha per decenni adottato con Israele un approccio basato su un “impegno costruttivo”, sperando che avrebbe permesso di influenzare le politiche israeliane verso un maggiore rispetto dei diritti dei palestinesi. Dopo molti anni di un accordo di associazione UE-Israele, particolarmente mal-concepito, la UE ha in realtà fallito nello strappare qualsiasi reale concessione da parte di Israele e ha finito per finanziare e coprire diplomaticamente il comportamento criminale di Israele negli OPT. In breve, l’Europa, come gli USA, ha trattato Israele come fosse al di sopra del diritto delle nazioni, una eccezione che non può essere ritenuta responsabile di fronte al diritto 3 internazionale. Tutto questo, per definizione, costituisce complicità con le politiche di Israele, portando molti analisti a vedere il ruolo dell’Europa profondamente compromesso, sia moralmente, sia legalmente. Ma a parte la moralità e la legalità, a livello pratico, la politica europea sulla questione della Palestina non promette nulla di buono, non solo per i palestinesi e gli arabi, ma anche per il futuro dell’Europa e dei suoi popoli, così come per le prospettive di una coesistenza degli ebrei israeliani in una regione a predominanza araba, dopo che la giustizia avrà prevalso. Senza affrontare i diritti umani, in particolare i diritti fondamentali del popolo nativo della Palestina, la cui causa è al cuore del sentimento radicato di ingiustizia degli arabi, dei mussulmani e, come John Dugard sostiene, di ogni altro popolo del Sud globale, non vi è speranza, a lungo termine, di collegare il Mediterraneo e di promuovere una regione di prosperità, stabilità, libertà e di generale rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani. L’Europa finirà per perdere i suoi vasti interessi strategici nella regione, come diretta conseguenza della sua incapacità di difendere il ruolo della legge e del suo doppio standard nel difendere selettivamente i diritti umani. Raccommandazioni politiche Detto questo, la politica più chiara moralmente e politicamente che la società civile internazionale può perseguire per contribuire a difendere il primato del diritto internazionale e dei diritti umani universali in Medio Oriente è adottare una posizione moralmente coerente e operativa che appoggi iniziative BDS significative contro Israele, simili a quelle utilizzate contro l’apartheid sudafricana, dopo il completo fallimento della politica immorale e corrotta del “impegno costruttivo”. Il presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, Padre Miguel D’Escoto Brockman, ha recentemente fatto un appello al mondo affinché faccia esattamente questo . Mentre la coerenza morale e l’impegno per i diritti umani universali sono i principi fondanti del movimento BDS globale, operativamente, il BDS si fonda su tre principi di base (a noi il numero 3 piace!): la sensibilità al contesto, la gradualità, e la sostenibilità. Di conseguenza, noi crediamo che accademici, intellettuali, attivisti dei diritti umani e organizzazioni della società civile, che hanno coscienza di tutto questo, sanno meglio come applicare il BDS, in un dato paese, più efficacemente data la realtà politica e le circostanze specifiche. Ma mi è stato chiesto di dare alcuni suggerimenti politici e programmatici, e allora mi permetto di suggerire i seguenti: 1. Promuovere un boicottaggio generale di tutti i servizi e di tutti i prodotti israeliani, fino a che Israele non rispetti completamente i suoi obblighi rispetto al diritto internazionale. Alcuni gruppi europei e nord-americani hanno optato per un boicottaggio solo dei prodotti delle colonie israeliane. Preso come un primo passo, più conveniente sul piano tattico, questa posizione si inquadra ancora nell’appello BDS palestinese. Ma se la logica di questo boicottaggio selettivo si oppone in principio al boicottaggio generale, confligge con l’appello BDS e solleva seri problemi di coerenza morale e legale. In questo contesto, è un dovere di tutti i gruppi della società civile che lavorano per una pace giusta in Palestina di sostenere la campagna per la PACE, promuovendo un boicottaggio dei prodotti delle colonie in Italia contro gli attacchi legali e politici delle lobby israeliane. Israele sta in verità contrassegnando in modo falso i prodotti delle sue colonie, violando così gli accordi commerciali con l’UE. Questo fatto deve essere usato per fermare il flusso di questi prodotti illegali verso i mercati europei; 2. Promuovere un boicottaggio di tutte le istituzioni accademiche, culturali e turistiche israeliane che sono complici nel mantenere il regime di occupazione e di apartheid israeliano e far crescere la consapevolezza tra gli accademici, gli artisti e gli operatori culturali del ruolo di queste istituzioni nella perpetuazione 4 dell’ingiustizia e dell’oppressione coloniale. Le violazioni dei criteri del boicottaggio palestinese devono essere denunciate con lo stesso linguaggio usato nel passato contro coloro che fallirono nel rispettare il boicottaggio antiapartheid contro il Sudafrica. Sostenere il boicottaggio è il minimo che ogni accademico e ogni artista di coscienza ci si aspetta che faccia a fronte dell’oppressione israeliana continua e crescente; 3. Promuovere investimenti etici da parte dei sindacati, degli enti locali e dei fondi pensione nazionali, disinvestendo dai titoli di stato israeliani e da tutte le aziende, banche e altre istituzioni finanziarie che traggono profitto o sono in altri modi complici della occupazione israeliana, del rifiuto dei diritti dei profughi palestinesi o del sistema di discriminazione razziale contro i nativi palestinesi cittadini di Israele; 4. Promuovere una responsabilità etica delle aziende che porti al disinvestimento da, e al boicottaggio dei prodotti delle aziende – siano esse israeliane, italiane o internazionali – che sono implicate in violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, come Veolia, Alstom, Eden Springs, Agrexco, Ahava, Lev Leviev Diamonds, Motorola, Caterpillar, tra le altre; 5. Applicare una pressione pubblica per mettere al bando il Fondo Nazionale Ebraico, JNF, e negare il suo attuale statuto legale in molti paesi occidentali come organizzazione “caritatevole” esente dalle tasse; 6. Premere sugli enti locali e sui governi regionali affinché applichino alla lettera la legge europea che stabilisce l’esclusione da contratti pubblici di aziende coinvolte in “gravi lesioni” dei diritti umani o dei diritti del lavoro. Le gigantesche perdiye di Veolia a Stockholm, nel West Midlands, a Bordeaux, a Teheran e a Melbourne dovrebbero insegnarci qualche cosa a questo riguardo. Dove c’è un diritto e una volontà, vi è certamente un modo; 7. Applicare pressioni efficaci sui responsabili pubblici e sui partiti politici perché sostengano l’appello di Amnesty Internazionale per un embargo delle armi verso tutte le parti coinvolte nel “conflitto” mediorientale. Riguardo la giusta critica contro Amnesty che implicitamente mette sullo stesso piano la potenza occupante e il popolo sotto occupazione e il movimento di resistenza, questo appello prevede anche il bando del commercio di armi con Israele e del loro trasporto verso Israele attraverso lo spazio aereo e i porti italiani o europei. Questo divieto dovrebbe assicurare la conformità al diritto internazionale e ai principi dei diritti umani anche di parti terze e degli utilizzatori finali; 8. Richiedere una immediata sospensione dell’accordo di associazione UEIsraele per la grave, persistente e ben documentata violazione da parte di Israele degli articoli (2) e (83), come sostenuto da molte voci autorevoli nel Parlamento UE, così come da organizzazioni della società civile in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Olanda e Belgio, tra le altre; 9. Ritenere Israele responsabile di compensare in toto il popolo palestinese e i paesi donatori, dove è il caso, per tutte le distruzioni illegali e ingiustificate che ha commesso contro la società, l’economia, così come contro le proprietà private e pubbliche palestinesi, nella recente guerra di aggressione contro Gaza così come durante l’assedio, le invasioni del passato e le offensive militari; 10. Sostenere il lavoro del Consiglio dell’ONU per i diritti umani e delle organizzazioni per i diritti umani nella ricerca delle prove dei crimini di guerra israeliani e di altre gravi violazioni del diritto internazionale e nel definire chiare, efficaci misure da prendere se la colpa è riconosciuta 5 I risultati del BDS Ma può funzionare? Un breve elenco di alcuni risultati della campagna BDS non può non mettere in evidenza che può funzionare e già sta funzionando. Dal 2005, gruppi importanti della società civile internazionale hanno appoggiato diverse, spesso creative, iniziative e posizioni BDS che hanno provocato un allarme serio in Israele e tra le lobby israeliane in USA e altrove. Solo negli ultimi mesi vi sono stati alcuni dei più significativi indicatori, ad oggi, di questo fenomeno. Veolia, dopo aver perso contratti del valore di più di 8 miliardi di dollari ha finalmente annunciato che si sta per ritirare dal progetto illegale della linea ferroviaria di Gerusalemme. In Canada, negli ultimi giorni, la seconda federazione sindacale nel Quebec ha aderito al BDS. A febbraio l’Ontario's University Workers Coordinating Committee (OUWCC) del sindacato canadese del pubblico impiego (CUPE) nella sua conferenza annuale ha aderito al boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, e bisogna tenere presente che il CUPE Ontario nella sua interezza ha aderito al BDS anni fa. Anche la Quebec College Federation ha aderito alla campagna BDS. Le Voci Ebraiche Indipendenti, forse la maggiore organizzazione nazionale ebraica indipendente in Canada, recentemente ha votato a grande maggioranza l’adesione al BDS, e lo stesso ha fatto la United Church of Canada in Ontario. A Durban, Sudafrica, ilsindacato dei lavoratori portuali aderente al COSATU ha rifiutato all’inizio di febbraio di scaricare un cargo israeliano, ricordandoci di sanzioni simili prese contro navi sudafricane durantei il periodo dell’apartheid. Un sindacato di lavoratori portuali australiano e un gruppo di leader di sindacati progressisti americani hanno sostenuto l’azione BDS sudafricana. Negli USA, l’Hampshire College ha stabilito un precedente storico annunciando il suo disinvestimento da sei aziende che traggono profitto dalla occupazione israeliana. Significativamente, Hampshire è stato anche il primo college in USA a disinvestire dal Sudafrica dell’apartheid negli anni’70. In Galles, la Cardiff University ha accolto le richieste degli studenti e ha deciso di disinvestire da aziende che sostengono l’occupazione. Anche in Francia, dove il BDS ha dovuto affrontare un percorso in salita per diversi anni, una dichiarazione è stata finalmente approvata da importanti accademici che appoggia esplicitamente il BDS per porre fine all’impunità di Israele. Il sindacato francese degli insegnanti, che ha 168,000 iscritti, ha votato per il BDS recentemente. La British University e il College Union hanno reiterato il loro sostegno alla logica del BDS, appoggiando nella ultima conference in maggio l’idea di organizzare una conferenza sindacale internazionale per discutere le strategie BDS. I maggiori sindacati in UK hanno già aderito al BDS. A livello del boicottaggio culturale, il PACBI ha convinto decine di artisti e scrittori, tra i più noti, a non partecipare a festival o a eventi in Israele che violano il boicottaggio. Tra questi Bono, Bjork, Snoop Dogg, lo scrittore americano Russel Banks, il leggendario regista francese Jean Luc Godard, e altri. Personalità intellettuali di rilievo, come John Berger, Arundhati Roy, Ken Loach e Naomi Klein, si sono impegnate personalmente nella campagna BDS. Forse il più importante indicatore del nostro successo a oggi è il fatto che nel mese di maggio scorso, alla conferenza annuale dell’AIPAC, Howard Kohr, direttore esecutivo dell’AIPAC, si è riferito alla campagna BDS dicendo: “Questa campagna non è più confinata ai deliri dell’estrema destra o della estrema sinistra politica, ma progressivamente sta entrando nel mainstream americano: un discorso politico ordinario nelle nostre T.V. e nei talk shows radio; nelle pagine dei nostri maggiori giornali e in innumerevoli blogs, nei meetings delle municipalità, nei campus e nelle piazza. … Queste voci stanno gettando le premesse per un abbandono.” E ha aggiunto: 6 “Questa è una campagna per un cambiamento politico, per trasformare il modo in cui Israele è trattata dai suoi amici in uno stato che merita non il nostro sostegno, ma il nostro disprezzo; non la nostra protezione, ma la nostra pressione per un cambiamento della sua stessa natura.” Conclusioni Paulo Freire ha scritto: “Fino a che la loro ambiguità persiste, gli oppressi sono riluttanti a resistere, e mancano totalmente di fiducia in se stessi. Hanno una diffusa e magica credenza nella invulnerabilità e nel potere dell’oppressore … gli oppressi devono toccare con mano esempi di vulnerabilità dell’oppressore perché una convinzione opposta possa cominciare a crescere dentro di loro. Fino a che questo non avviene continueranno ad essere scoraggiati, timorosi e vinti.” Oggi, i palestinesi non sono né scoraggiati, né timorosi, né vinti. Oggi, malgrado la nostra angoscia profonda e le orribili ingiustizie che siamo costretti a subire, abbiamo ragione di sperare che il diritto alla fine prevarrà sulla forza. Il movimento BDS globale per i diritti dei Palestinesi rappresenta non solo una forma progressista, anti razzista, sofisticata, sostenibile, morale e efficace di resistenza civile, non-violenta, ma una chance reale di diventare il catalizzatore politico e l’ancora morale per un movimento sociale internazionale, rafforzata e rinvigorita, capace di rivendicare il primato del diritto internazionale e di riaffermare i diritti di tutti gli esseri umani alla libertà, all’uguaglianza e a una vita dignitosa. * Omar Barghouti è un ricercatore, un commentatore e un attivista per i diritti umani palestinese indipendente. E' uno dei promotori della campagna BDS contro Israele per affermare il diritto internazionale e i diritti umani universali. Si è laureato in ingegneria elettrica alla Columbia University, NY. E' anche un coreografo e si sta per laureare in filosofia. Propugna una visione etica per uno stato laico e democratico nella Palestina storica. Ha scritto numerosi articoli e saggi. Suoi contributi in: Controversies and Subjectivity, John Benjamins 2005 The New Intifada: Resisting Israel's Apartheid, Verso Book 2001 7