Brecht, Galilei e la libertà di ricerca

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Brecht, Galilei e la libertà di ricerca
Filosofia
Brecht, Galilei e la libertà di ricerca
di Tommaso Urselli
Un dramma in cui, similmente a quanto avviene nel Libro di Ipazia di Luzi, viene trattata la tematica
del rapporto tra conoscenza e potere, ma avente questa volta un protagonista maschile e ben noto,
è Vita di Galileo di Bertolt Brecht, drammaturgo, poeta e regista tedesco. Il nucleo del lavoro è
incentrato sulla figura di Galileo Galilei, fisico, filosofo, astronomo e matematico pisano,
riconosciuto come il padre della scienza moderna per le sue scoperte che, in conflitto con la Chiesa,
rivoluzionarono una millenaria concezione del mondo. Brecht compose la prima versione dell’opera
nel 1938, e successivamente altre ne seguirono. In realtà tutto il corpus delle sue opere si presenta
come qualcosa di mai definitivo, presentando nel corso del tempo continue variazioni e
aggiustamenti. Evidentemente Brecht, da uomo di teatro qual era, guardava ai suoi testi non come
a qualcosa che poteva essere definito una volta per tutte e destinato a trovare una conclusione sul
supporto della pagina; ma come a un organismo vivo, che ha necessità di continua evoluzione in
relazione alla vita che grazie ad esso è possibile ricreare sul palcoscenico, e a quella fuori di esso.
Infatti risulta centrale nell’opera brechtiana il contributo che egli porta nella maniera di
rappresentare il testo sulla scena, caratterizzata dal richiedere all’attore – e per riflesso allo
spettatore – di concentrarsi non sull’immedesimazione nel personaggio al fine del raggiungimento
della catarsi aristotelica; ma di assumere nei suoi confronti, tramite la cosiddetta tecnica dello
“straniamento”, una coscienza critica che induca alla riflessione e al riconoscimento dei processi
sociali. Un concreto esempio ne abbiamo nel Galileo: nelle prime rappresentazioni del ’38 – pur con
l’abiura delle sue tesi cui Galileo fu costretto, e che certamente non lo glorificano – egli è
presentato fondamentalmente come personaggio positivo; ma nel 1945, quando dagli Stati Uniti
vengono sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, Brecht riprende il testo e lo
spettacolo con uno sguardo critico rispetto alla sudditanza che il mondo della scienza mostra nei
confronti del potere.
GALILEO (con le mani professoralmente congiunte sul ventre) Nel tempo che ho libero – e ne ho, di tempo
libero – mi è avvenuto di rimeditare il mio caso e di domandarmi come dovrà giudicarlo quel mondo della
scienza al quale non credo più di appartenere. Anche un venditore di lana, per quanto abile sia ad acquistarla
a buon prezzo per poi rivenderla cara, deve preoccuparsi che il commercio della lana possa svolgersi
liberamente. Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal coraggio.
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L’articolo 33 della Costituzione italiana recita che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è
l’insegnamento. Questa libertà ci appare scontata, tanto quanto siamo consapevoli che in un
passato nemmeno tanto lontano essere liberi pensatori, o più banalmente poter esprimere
apertamente le proprie idee, poteva portare a sgradevoli conseguenze giudiziarie, sino alla
condanna a morte. Socrate, il celebre filosofo del V secolo a.C., in fondo, fu condannato perché,
passeggiando per le vie di Atene, liberamente criticava i propri concittadini; la matematica e
astronoma Ipazia, del IV-V secolo dopo Cristo, pagò con il linciaggio la propria disinvolta libertà di
pensiero, e certo anche l’appartenere al sesso femminile e l’infastidire, con la propria filosofia
neoplatonica, l’ormai affermata religione cristiana; il filosofo olandese del Seicento Baruch Spinoza,
per i contrasti teologici avuti in gioventù con la comunità ebraica di appartenenza, fu costretto a
subire il cherem, ossia la pubblica, e particolarmente aspra, espulsione dalla comunità ebraica di
Amsterdam, e pur di non veder violata la propria libertà di pensiero rifiutò un’allettante cattedra in
un’università tedesca, preferendo vivere della modesta attività di molatore di lenti. Uno dei casi più
noti è certo quello del matematico Galileo Galilei, di cui qui si parla in riferimento al celebre testo
teatrale di Brecht, che scampò alla pena di morte grazie all’abiura.
Sotto questo punto di vista, la libertà della ricerca scientifica e quella di espressione oggi sembrano
assolutamente ovvie. Eppure: vi sono dei limiti cui la ricerca può esser sottoposta? Il potere può e
deve in taluni casi intervenire per evitare alcune derive? Pensiamo ad esempio alla frenetica attività
di ricerca sulla bomba atomica durante la Seconda guerra mondiale, che permise in tempi rapidi la
sua realizzazione e il suo utilizzo sui cieli del Giappone, oppure anche alla ricerca genetica e alla
possibilità di clonare esseri umani, o di poter decidere il sesso di un nascituro.
Come risulta evidente, se da una parte è decisivo salvaguardare la libertà di pensiero e di ricerca,
dall’altra l’assenza di qualsivoglia controllo, o un controllo politicamente orientato, può generare
conseguenze travolgenti per il genere umano. Accanto alla parola “libertà”, dunque, non possiamo
non inserire e tener ferma anche “responsabilità”: anzi, la responsabilità segna la sostanza della
libertà, circoscrivendone i limiti, riflettendo sulle sue derive e decidendo in base a principi etici per
quanto possibile condivisi.
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