Perché Giacinta e Francesco?

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Perché Giacinta e Francesco?
perché Giacinta e Francesco?
Con grande probabilità il Santo Padre in quest’anno procla-
merà beati Giacinta e Francesco, due dei pastorelli di Fatima che,
insieme all’attuale Suor Lucia, ebbero -come è noto- a Fatima la singolarissima grazia di vedere la Madonna, di parlarle e di udire le
sue parole.
Che cosa significa questa beatificazione ? e perché? Sono
domande che ci vengono spontanee. “Bella forza! -qualcuno forse
dirà- Saprei anch’io farmi santo, dopo aver visto la Madonna!”.
Qualcun altro invece forse penserà che la santità sia legata a
fatti di questo genere; per cui, essendo assai rari, sarà portato a
pensare che anche la santità è alquanto rara. Altri poi forse rimarranno un po’ scettici: “Che cosa possono saperne -forse dirannodue semplici ragazzini della maturità e delle virtù necessarie per
diventar santi?”.
La prima obiezione è forse la più seria. Qualcuno potrebbe
essere tentato di vedere in quanto è
capitato ai due pastorelli una specie
di “ingiustizia” da parte di Dio: “Si
dice -potrebbe osservare- che Dio dà a tutti la stessa possibilità di farsi santi; ma poi, in pratica non consente a tutti di
partire su di un “piede di parità”, dando ad alcuni, non si sa
perché, delle “spinte” iniziali così forti, che per loro il cammino della santità è assai più facilitato: sarebbe come se in una
gara sportiva di velocità qualcuno partisse da una posizione
più avanzata degli altri: per forza sarà il vincitore!”.
Ora, dobbiamo rispondere a questa obiezione che, nel
concedere ad alcuni di noi dei favori speciali -come nel caso
dei due pastorelli- Dio, in realtà, non commette alcuna ingiustizia nei confronti di coloro che non hanno ricevuto simili
favori.
Dio sarebbe ingiusto, se non desse a qualcuno ciò che gli
spetta, di cui ha bisogno o che ha meritato o di cui ha diritto.
Ma non è questo il caso: nessuno di noi ha un “diritto” a ricevere uno speciale favore divino o un miracolo, come sarebbe
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appunto l’apparizione della Madonna. Dio ci dà certo secondo i nostri meriti (al premio o al
castigo); ma non bisogna confondere le remunerazioni divine (corrispondenti ai meriti) con le
grazie o i favori divini, doni gratuiti ai quali non corrisponde, in chi li riceve, nessun merito,
nessuna esigenza, nessun diritto, nessun bisogno. Quindi, quando Dio elargisce un dono di
grazia o un favore speciali, qui la giustizia non c’entra per nulla, ma solo la divina bontà,
generosità, liberalità o misericordia.
Ma forse l’obiettore potrebbe insistere: “Ma allora come la mettiamo con l’universale chiamata alla santità, della quale oggi si parla tanto? Come la mettiamo col fatto, di cui pure si
parla, che Dio dà a tutti i mezzi per salvarsi perché vuol salvare tutti?”.
Questo è un altro discorso che non c’entra con quello dei favori speciali - e sottolineo:
“speciali” - dei quali beneficiano certi santi. Ma non solo certi santi! A volte anche alcuni che
si mostrano ingrati e che non corrispondono, per loro colpa, a tanta grazia ricevuta! Quasi
sempre gli eretici sono personaggi che hanno ricevuto speciali doni da Dio, ma che purtroppo
non ne hanno fatto buon uso. Il Papa di recente ha detto che Lutero aveva in dono una
“profonda religiosità”: ma ciò non gli ha impedito di cadere nell’eresia.
Dio vuole tutti salvi e dà a tutti i mezzi adatti per questo scopo. Ma chi può legittimamente
farGli delle rimostranze se, salva questa universale ed efficace volontà salvifica, vuole beneficare maggiormente e quindi rendere alcuni più santi donando loro, senza alcun merito da
parte loro, qualche favore più alto e più raro, come è avvenuto ai pastorelli che hanno visto e
parlato con la Madre di Dio? La giustizia divina fa riferimento solo ai meriti: e sotto questo
punto di vista dobbiamo essere sicurissimi che Dio è Giudice giustissimo, dando esattissimamente a ciascuno secondo il merito; anzi in ciò Egli ama mescolare anche la sua misericordia
-come dice San Tommaso d’Aquino -, premiando i buoni oltre il dovuto e castigando i cattivi
meno di quanto meritino.
Pertanto, quello che ci deve stare a cuore,
non è andare a “scuriosare” con occhio invidioso quali e quanti favori speciali i Santi
hanno avuto più di noi, ma è quello di prender
atto con gratitudine a Dio dei doni e dei talenti
che ha fatto a noi, e di farli fruttare o trafficarli
con impegno, amore e senso di responsabilità:
questa è la via certissima per tutti per farsi
santi. E Dio dà a tutti questa possibilità. Sta a
noi corrispondere liberamente, volontariamente e responsabilmente, sempre, s’intende, sotto
l’impulso della grazia.
Prendiamo pur atto dei doni speciali ricevuti dai Santi, ma solo per lodare il Signore
che in essi fa opere grandi!
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Del resto, se Dio
dà ai Santi doni speciali, normalmente li
sottopone anche a
prove durissime, che
risparmia a molti altri,
più deboli e meno
dotati di doni celesti. E
Giacinta e Francesco
non sono sfuggiti a
questa legge generale
della santità, come
sanno bene coloro che
hanno letto la storia
della loro vita e le sofferenze ed umiliazioni
che essi, semplici ed
innocenti fanciulli,
hanno dovuto sopportare. indubbiamente, il superamento di queste prove conduce i Santi a
una maggiore santità: ma siamo sempre lì: Dio s’impegna con sé stesso e davanti a noi ad
offrire a tutti la salvezza (che è già opera della sua misericordia), ma non possiamo assolutamente disapprovare -sotto pena di un’intollerabile arroganza- la sua legittima e insindacabile
volontà di fare gratuitamente ad alcuni (pensiamo ai doni ricevuti da Maria!) più che ad altri,
salva la possibilità per tutti di farsi santi.
Rispondere alle altre due obiezioni è più semplice, anche perché la predicazione odierna
sulla santità ha dissipato alcuni equivoci del passato, che stavano alla base delle suddette
obiezioni. La prima, infatti, associa la santità ai carismi straordinari, ai miracoli, alle apparizioni e a cose di questo genere. Si tratta di un grave errore.
Il fatto che molti Santi canonizzati siano stati gratificati di simili favori non c’entra per
nulla con la sostanza della santità, la quale consiste semplicemente (ma è già molto) in quella
perfezione della carità e dell’osservanza dei divini comandamenti, che -con l’aiuto della grazia- è possibile e doverosa per chiunque. I doni straordinari possono essere concessi da Dio
come conferma o segnalazione o garanzia di una superiore santità, quella appunto canonizzabile, ma, ripeto, non entrano affatto nell’essenza sostanziale e nei requisiti necessari e sufficienti per farsi Santi.
Su questo punto la prassi recente della Chiesa, proprio nell’intento di sfatare quel pericoloso pregiudizio che ho denunciato, ama beatificare o canonizzare fratelli che in vita non
hanno compiuto miracoli né sono stati oggetto di particolari favori mistici o divini, come per
esempio è stato per S. Teresa di Gesù Bambino o per S. Massimiliano Kolbe. Quello che si
richiede è l’ “eroicità” della carità, ossia la carità esercitata in grado sommo e perfetto. Ma la
carità è la legge di vita di ogni cristiano.
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“Ma -forse qui si potrebbe obbiettare- e il
miracolo riconosciuto dalla Chiesa per beatificare o canonizzare qualcuno? “ . Non è necessario per la santità ordinaria -che è la cosa
essenziale che ci deve stare a cuore-, ma per
disposizione della Chiesa, è il segno divino che
la Chiesa considera oggi (disposizione, questa,
che potrebbe mutare) come necessario per proclamare quella santità straordinaria che è la
santità canonizzabile. Ma nessuno ci impedisce di pensare che in paradiso ci siano dei santi
più grandi di quelli canonizzati sulla terra, per
il semplice fatto che essi (pensiamo per esempio
a monaci o eremiti) sono vissuti nascosti agli occhi del mondo e noti solo a Dio.
Infine, l’obiezione alla quale si può rispondere più facilmente, è la terza: come possono
dei semplici ragazzi possedere la maturità umana e spirituale per essere proclamati santi?
Delle due cose sembrerebbe doversene sceglierne per forza una: o la santità è “una cosa da
ragazzi”, e allora non può essere una cosa seria; o è una cosa seria; ma allora non può essere una cosa per ragazzi.
E invece sta proprio qui uno degli apparenti paradossi della concezione cristiana della
perfezione umana, e quindi della santità: il pensiero cristiano qui è chiarissimo -in tal senso è
facile rispondere all’obiezione-, a causa delle formali dichiarazioni di Nostro Signore, per il
qualche il Regno dei Cieli è proprio per coloro che “diventano come i bambini” (Mt 18,3);
anzi è proprio per loro (cf Mt 19,14), ai quali solo, e non ai “sapienti ed agli intelligenti”,
sono rivelati i misteri del Regno (cf Mt 11,26). Il difficile è comprendere che cosa ciò voglia
dire e come sia possibile.
“Bambino”, “piccolo”, “povero”, nella Scrittura, sta innanzi tutto per “umile” e “semplice”.
Ma proprio perché il bambino è spontaneamente tale, l’umile e il semplice sono paragonati a
loro, anche se si tratta di adulti. E l’umiltà e la semplicità evangeliche sono requisiti essenziali
alla santità. Inoltre, bisogna ricordare che la perfezione e la santità cristiane non sono tanto il
risultato delle forze umane (occorrono anche quelle!), quanto piuttosto della potenza della
grazia divina, alla quale pertanto il santo consente di operare, nella sua vita, le sue meraviglie. Per far questo non occorre necessariamente la maturità umana dell’adulto, ma basta la
volontà del, bambino. Inoltre bisogna evidentemente considerare che la santità che la Chiesa
ci proporrà nei pastorelli di Fatima sarà -come è logico che sia- la santità propria o proporzionata a quella che possono e debbono raggiungere dei fanciulli, anche se nulla vieterà che
essi possano essere di esempio anche agli adulti.
La santità è possibile ad ogni età; per molto tempo la Chiesa ha proposto prevalentemente
una santità “da adulti”; e perché non dovrebbe proporre anche quella per i ragazzi?
P. Giovanni Maria Cavalcoli, OP
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