La Chikungunya - Asl Benevento

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La Chikungunya - Asl Benevento
Dipartimento
di
Prevenzione
E&P
ASL - Benevento
Bollettino Epidemiologico n. 90
Servizio Epidemiologia e Prevenzione 0824-308286-9 - FAX 0824- 308 302
e-mail: [email protected]
La Chikungunya
ovvero ...”ciò che curva”
La chikungunya, o febbre chikungunya, è una malattia virale caratterizzata da
febbre acuta e trasmessa dalla puntura di zanzare infette prevalentemente ad
attività diurna.
Il nome chikungunya in lingua swahili significa "ciò che curva" o "contorce",
richiamando nella definizione quella che è la sintomatologia caratteristica.
La prima epidemia nota è stata descritta nel 1952 in Tanzania, anche se già nel
1779 era stata descritta un’epidemia in Indonesia forse attribuibile allo stesso
agente virale.
A partire dagli anni Cinquanta, varie epidemie di chikungunya si sono verificate
in Asia e in Africa e nel subcontinente indiano. In queste zone è da considerarsi
una malattia endemica.
Dal 2005, sono stati riportati ampi focolai nell’area dell’Oceano Indiano (India,
Malaysia, La Reunion, Madagascar, Indonesia, Mauritius, Mayotte,
Seychelles), zone in cui il virus trova il suo habitat ideale.
Nell’isola de La Rèunion (Repubblica Francese) a distanza di un anno dall'inizio
dell'epidemia, nel marzo 2005, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha
stimato un numero di 204.000 persone infettate, pari a circa un terzo della
popolazione totale (705.000 abitanti).
In India, tra febbraio e ottobre 2006, l’epidemia di chikungunya ha coinvolto 8
stati o province: i casi sospetti arrivano fino a 1,25 milioni.
In molte di queste zone questa malattia coesiste con la dengue con la quale non
sempre è facile fare la diagnosi differenziale. L’incidenza di chikungunya, anzi,
potrebbe essere sottostimata sia perché la prognosi è migliore rispetto alla
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dengue, sia perché ci sono ancora difficoltà nel confermare la diagnosi clinica
con test di laboratorio.
In molti Paesi europei (Francia, Germania, Norvegia, Svizzera) la febbre
chikungunya è stata diagnosticata a viaggiatori provenienti da aree epidemiche,
ma la trasmissione in loco da parte delle zanzare non è mai stata riportata.
La febbre chikungunya in Italia
Nel mese di agosto 2007 le autorità locali della provincia di Ravenna hanno
rilevato un numero insolitamente elevato di casi di malattia febbrile a Castiglione
di Cervia e Castiglione di Ravenna, due piccole cittadine separate da un fiume.
Le analisi di laboratorio hanno confermato che zanzare locali sono responsabili
della trasmissione dell’infezione. Inoltre, il virus chikungunya è stato ritrovato
nella zanzara Aedes albopictus (zanzara tigre).
I casi riportati al 4 settembre 2007 sono in totale 197. Di questi, 166 rientrano
completamente nei criteri di definizione di caso: 147 provengono dal focolaio
iniziale che si è verificato nell’area di Castiglione di Cervia o Castiglione di
Ravenna, mentre 19 da cluster secondari nelle periferie di Cesena (13 casi) e
Cervia (6 casi). Sul fronte dei casi confermati di laboratorio, al 14 settembre
risultano 101 casi positivi e 33 negativi.
Il picco della curva epidemica si è verificato durante la terza settimana di agosto.
Altri casi sporadici sono stati rilevati successivamente nelle aree vicine, ma la
curva epidemica ha mostrato un trend in calo a Castiglione di Cervia e
Castiglione di Ravenna.
L´infezione da virus Chikungunya manifestatasi in Emilia-Romagna è un
fatto rilevante per l´intera Europa: dimostra come il rischio di trasmissione
di malattie attraverso la zanzara tigre sia un rischio attuale e rappresenta
il primo caso di trasmissione autoctona in Europa.
Una delegazione composta da rappresentanti del Centro europeo per la
prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e dell’ Organizzazione mondiale
sanità (Oms) si è recata in Emilia Romagna per verificare la correttezza delle
strategie messe in atto per il controllo dell'epidemia ed ha sottolineato la
necessità di imparare a convivere con i rischi di diffusione di queste malattie e a
controllarle.
L’Aedes albopictus (la zanzara “tigre”) è ritenuto il principale vettore
dell’attuale focolaio in Italia.
Questo insetto è presente in alcune aree di altri Paesi Europei come l’Albania,
l’Italia, la Francia, il Belgio, il Montenegro, la Svizzera, la Grecia, la Spagna, la
Croazia, i Paesi Bassi, la Slovenia e la Bosnia-Erzegovina .
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Sintomi e quadro clinico
Dopo un periodo di incubazione di 3-12 giorni, si manifesta una sintomatologia
simil-influenzale che include febbre alta, brividi, cefalea, nausea, vomito e
soprattutto artralgie importanti tali da limitare molto i movimenti dei pazienti che
quindi tendono a rimanere assolutamente immobili e assumere posizioni
antalgiche. Si può sviluppare anche un esantema maculopapulare pruriginoso.
Il tutto si risolve spontaneamente, in genere in pochi giorni, ma i dolori articolari
possono persistere anche per mesi. Complicanze più gravi sono rare e possono
essere di natura emorragica, entro 3-5 giorni, o neurologica, soprattutto nei
bambini.
In rarissimi casi la chikungunya può essere fatale, più che altro in soggetti
anziani con sottostanti patologie di base.
Vettori e agente responsabile
Il virus responsabile della chikungunya appartiene alla famiglia delle togaviridae,
del genere degli alphavirus. È trasmesso dalle zanzare del genere Aedes, come
Aedes aegypti (la stessa che trasmette la febbre gialla ) ed è presente
soprattutto in zone rurali, mentre è raro o addirittura assente in vicinanza dei
centri abitati.
Un altro importante vettore è Aedes albopictus, comunemente chiamata zanzara
tigre, che è anche presente nei centri abitati del nostro paese. Questa zanzara è
considerata il vettore che ha determinato la diffusione del virus della
chikungunya nelle isole dell’area indiana. Inoltre anche varie specie del genere
culex, sono state indicate come potenziali vettori per questo agente virale.
Diagnosi
I metodi per la diagnosi della Chikungunya possono essere sierologici o
molecolari.
Non esistono, al momento attuale, kit commerciali per la diagnosi di febbre
chikungunya e l'allestimento dei test sierologici deve avvenire in un laboratorio
ultraspecializzato dato che è necessario coltivare il virus.
Saggi sierologici: i test utilizzati sono l'inibizione dell'emoagglutinazione e la
neutralizzazione. Questi test misurano il titolo anticorpale, ma non permettono di
differenziare gli anticorpi di tipo IgG da quelli di tipo IgM (indice di infezione
recente). Per effettuare diagnosi con questi test è dunque necessario disporre di
due campioni di siero, uno prelevato in fase acuta ed uno prelevato in fase
convalescente. Tecniche come l'ELISA e l'immunofluorescenza consentono di
distinguere le classi di anticorpi e di definire un profilo anticorpale sia dal punto
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di vista qualitativo che quantitativo, permettendo di effettuare diagnosi anche in
quei casi in cui sia disponibile un solo campione di siero.
Metodi molecolari: Sul sangue del paziente può essere eseguita la ricerca
dell'acido nucleico virale.
Isolamento virale: l'isolamento virale viene effettuato su campioni prelevati in
fase acuta su linee d'insetto e su linee di rene di scimmia.
Terapia
Non esiste alcun trattamento specifico contro il virus della febbre chikungunya,
perciò la terapia è basata sulla somministrazione di farmaci sintomatici
(antipiretici, antinfiammatori, riposo a letto e reintegrazione dei fluidi). Nelle aree
endemiche, tutte le persone affette da febbre chikungunya dovrebbero essere
protette da punture di insetti, per evitare che questi ultimi possano propagare
l'infezione.
Rischio di importazione di vettori infetti
Per quanto riguarda il rischio di importazione, la Commissione Europea ha
allertato gli Stati Membri del pericolo di diffusione del virus Chikungunya,
attraverso l'importazione, il transito ed il trasporto di fiori recisi e coperture di
gomma nuove ed usate (pneumatici) provenienti da alcuni paesi in cui la
malattia si è diffusa (isole Comores, Mayotte, Seychelles), oggetti, che
possono favorire l'annidamento e lo sviluppo delle zanzare e delle loro larve
potenzialmente infette.
Tutte queste merci devono essere accompagnate da una certificazione che
attesti la avvenuta disinfestazione al momento della loro spedizione dalle aree
infette, ovvero, in assenza di certificazione, vengano sottoposte a trattamento di
disinfestazione prima del loro ingresso in italia.
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La Zanzara Tigre (Aedes albopictus)
La zanzara tigre, importata nel mondo occidentale dall’Asia probabilmente
attraverso il commercio di copertoni usati, dove evidentemente ha trovato una
nicchia adatta alla propria diffusione, si è diffusa negli ultimi vent’anni
abbondantemente sia negli Stati Uniti che in Europa, arrivando a costituire un
serio motivo di preoccupazione sanitaria e ambientale.
L’aspetto è caratteristico e la rende ben riconoscibile: corpo nero, a bande
trasversali bianche sulle zampe e sull’addome e con una striscia bianca che le
solca il dorso e il capo. Si distingue dalle altre zanzare anche per le abitudini e il
ciclo di vita.
Grazie alla sua versatilità, la zanzara tigre è riuscita a superare barriere
ambientali notevoli: depone le uova in ambienti asciutti e poco luminosi dove
sono in grado di superare inverni anche rigidi. Il ciclo riprende poi quando si
allungano le ore di luce, la temperatura si aggira sui 10 gradi e questi ambienti si
riempiono di acqua, spesso anche semplicemente grazie a fenomeni di
condensa. A questo punto le uova si schiudono, danno origine a larve e quindi a
zanzare adulte che colonizzano le zone circostanti secondo un andamento “a
focolaio”, cioè in modo non continuo e omogeneo.
In Italia, è presente come insetto adulto da marzo a novembre-dicembre, ma la
deposizione della uova invernali, quelle destinate a svernare, si conclude entro
la fine di ottobre e metà novembre.
Nelle zone tropicali e in numerose zone dell’Asia, Aedes albopictus è vettore di
diverse malattie virali, in particolare quelle causate da arbovirus, tra cui la
dengue, la febbre gialla e alcune encefaliti.
Nelle nostre zone questi virus sono assenti e quindi questo rischio è solo
teorico.
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Non è possibile comunque escludere la possibilità che, in seguito alle
modificazioni climatiche o a eventi accidentali, aumenti anche la probabilità di
diffusione di queste malattie nel nostro Paese.
Anche la sola puntura della zanzara tigre rappresenta un problema. Si tratta
infatti di un insetto molto aggressivo, che punge soprattutto nelle ore più fresche
della giornata, al mattino presto e al tramonto, e riposa di notte sulla
vegetazione. Le sue punture procurano gonfiori e irritazioni persistenti,
pruriginosi o emorragici, e spesso anche dolorosi. Nelle persone particolarmente
sensibili, un elevato numero di punture può dare luogo a risposte allergiche che
richiedono un’attenzione medica.
La presenza della zanzara tigre in numerosi focolai quindi può arrivare ad
alterare le abitudini delle persone, inibendo ai bambini e agli anziani di giocare e
sostare all’esterno nelle ore fresche della giornata, proprio quelle più piacevoli e
adatte a questo genere di occupazioni.
Prevenzione
Nei mesi più caldi, quando le temperature medie sono intorno ai 25°C, la
zanzara può completare un ciclo di sviluppo in meno di 10 giorni, con un picco di
massima densità al culmine dell’estate, tra agosto e settembre. L’azione tesa a
contrastarla è di natura essenzialmente preventiva e deve puntare a limitare
tutte le situazioni e i comportamenti che ne facilitano la riproduzione e la
diffusione.
La strategia di lotta, messa a punto dalle istituzioni sanitarie e dai comuni, si
concentra soprattutto sull’individuazione e distruzione dei focolai larvali e sulle
campagne di informazione al cittadino al fine di prevenire la possibilità di
deposizione delle uova.
Un altro aspetto fondamentale è monitorare la diffusione dell’insetto. Per questo,
fin dall’inizio degli anni ’90, il Laboratorio di parassitologia dell’Istituto superiore
di sanità è diventato centro di riferimento per la sorveglianza e il controllo della
specie, coordinando un Programma nazionale di sorveglianza della zanzara,
sistema che attualmente funziona recependo le segnalazioni effettuate dalle
ASL e dai Comuni.
La diffusione della zanzara tigre è tipicamente urbana, infatti non si ritrova nelle
aree rurali, proprio per la sua propensione a deporre le uova in piccole raccolta
d’acqua. Per questo, è necessario monitorare tutte le zone in cui l’acqua
ristagna, come i sottovasi di piante e fiori, le aiuole e le vasche e fontane
ornamentali, qualsiasi contenitore lasciato all’aperto, le grondaie, ecc.
Oltre a un monitoraggio sistematico le istituzioni locali devono provvedere a:
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pulire i tombini prima dell’inizio dei trattamenti
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effettuare trattamenti larvicidi perlomeno con cadenza quindicinale nei
tombini e in tutte le zone di scolo e ristagno poste in aree pubbliche
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effettuare interventi mirati a disinfestare le popolazioni di zanzare adulte
nelle aree scolastiche e in altre zone dove l’infestazione sia
particolarmente intensa. Questi interventi possono essere realizzati con
insetticidi di sintesi, i piretroidi, che hanno caratteristiche molto diverse
dal tradizionale DDT e che non vengono in ogni caso spruzzati in modo
indistinto nell’ambiente, ma mirati a zone precise. Sono prodotti in
solventi acquosi, e quindi hanno un minore impatto sull’ambiente e sulla
salute e sono abbattenti e non persistenti. Non rischiano quindi di
generare resistenze, ma hanno un’azione acuta e non cronica, uccidendo
le zanzare all’istante. Evidentemente, però, un intervento di questo tipo
richiede una preparazione accurata, sia per l’individuazione del sito dove
le zanzare si riposano e quindi possono essere colpite, sia per allertare la
popolazione che si trova in quella zona.
mettere a punto campagne informative che coinvolgano i cittadini nella
lotta alla zanzara tigre, utilizzando strategie di coinvolgimento di tutte le
fasce di età della popolazione.
I cittadini infatti possono efficacemente contribuire alla lotta cercando di:
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evitare l’abbandono di materiali in cumuli all’aperto che possano
raccogliere l’acqua piovana
eliminare l’acqua dai sottovasi, dagli annaffiatoi, dai bidoni, dai copertoni
innaffiare direttamente con le pompe gli orti e i giardini, senza mantenere
riserve di acqua a cielo aperto
cercare di tenere coperti e provvisti di zanzariera, ben fissata e tesa, i
recipienti usati per la raccolta dell’acqua,
pulire e trattare bene i vasi prima di ritirarli all’interno durante i periodi
freddi. L’abitudine di portare le piante al riparo dai freddi invernali, infatti,
è probabilmente una delle cause che generano, all’arrivo della primavera
quando le temperature salgono e le piante vengono nuovamente esposte
e innaffiate, la schiusa delle uova invernali facilitando notevolmente la
diffusione della zanzara stessa nell’ambiente
introdurre pesci rossi, grandi predatori delle larve di zanzara, nelle
vasche e nelle fontane dei giardini
trattare i tombini, e tutti i recipienti posti all’esterno dove si raccoglie
acqua piovana, ogni 7-10 giorni con prodotti larvicidi specifici che si
acquistano in farmacia. In particolare, il prodotto più diffuso e consigliato
è il Bacillus thuringiensis israelensis. Questo prodotto, derivato da un
batterio capace di produrre una tossina ad azione molto specifica contro
la zanzara tigre, ha numerosi vantaggi: è naturale e non di sintesi
chimica ed è già presente nell’ambiente, uccide solo le larve di Aedes
albopictus e di pochissime altre specie non causando quindi grande
impatto, si degrada molto velocemente e quindi non persiste. Questo è
indubbiamente un grosso vantaggio sotto il profilo della salvaguardia
ambientale anche se obbliga a ripetere il trattamento con una certa
frequenza.
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I repellenti naturali, purtroppo, non sono efficaci contro la zanzara tigre. Le
persone particolarmente sensibili alle punture, anziani e bambini ad esempio,
dovrebbero quindi proteggersi con un prodotto repellente di sintesi, che però va
utilizzato con cautela e solo nel caso sia realmente necessaria l’esposizione in
aree a rischio.
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Trattare con prodotto larvicida
Immettere pesci
Perforare e drenare
Consentire lo sgrondo
Immettere rame metallico
Riciclare o smaltire
Riempire (sabbia/terreno)
Uso di polistirolo espanso in granuli
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costruttive
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Modificare le caratteristiche
Stoccaggio al coperto
Utilizzati / non eliminabili:
Cisterna/serbatoio/ vasca
Fusti /bidoni
Vasi ornamentali
Sottovasi non eliminabili
Colture idroponiche
Fontane/ laghetti ornamentali
Grondaie
Teli plastici di copertura
Tombini/ bocche di lupo
Abbeveratoi
Non utilizzati/ eliminabili:
Pneumatici usati
Contenitori vari (< 20 litri)
Manufatti vari
Naturali:
Cavità negli alberi
Cavità in rocce
Coprire
Focolai larvali
Svuotare e pulire
Tecniche di controllo antilarvale nei possibili focolai larvali
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Bibliografia
Epicentro ISS,
European Centre for Disease Prevention and Control,
Stockholm, Sweden
Eurosurveillance Weekly, vol12 n.9
Servizio Epidemiologia e Prevenzione
Via Patrizia Mascellaro 1 – 82100-Benevento
0824-308 286 - 9 Fax 0824-308302
e-mail sep@ aslbenevento1.it
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E&P
Settembre
2007
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