Il fascino misterioso dei giardini

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Il fascino misterioso dei giardini
Cultura e Società
14 venerdì 10 febbraio 2012
AMBIENTE
Verdi
tesori
l'Adige
Le emozioni ritrovate
fra i Ciucioi di Lavis
e la villa roveretana
Bridi de Probizer
con cenotafio
di Mozart e tempietto
dedicato all’Armonia
Il fascino
misterioso
dei giardini
CHIARA RADICE
TRENTO – Il silenzio discreto
che ancora permane nei
confronti dell’arte trentina
dell’Ottocento, secolo di
nostalgica genialità ancora
incompresa, spesso preclude
l’opportunità di scoperta di
realtà locali uniche nel loro
genere, squisitamente
originali ed oggi, purtroppo,
dimenticate. I nuovi
linguaggi che si dipanano nel
corso del XIX secolo
attingono con generosità
dagli stili che connotarono le
passate stagioni, per essere
poi riproposti in contesti
non sempre canonici. Fra
tutti, di particolare interesse
godette il «gotico»
trecentesco, che con il
recupero delle sue forme dal
sapore fiabesco alimentò il
mito romantico per il
Medioevo. Anche Trento
conobbe le temperie del
Romanticismo,
concedendosi piacevoli
dissertazioni neogotiche,
che in architettura
raggiunsero interessanti
risultati, come nel caso della
facciata della chiesa di San
Pietro (1848–50)
dell’architetto padovano
Pietro Selvatico Estense.
L’attenzione per questo
nuovo e accattivante
linguaggio artistico conobbe
numerose declinazioni. È
questo il caso
dell’architettura del
paesaggio, che propose una
fantasiosa rielaborazione
della moda settecentesca
inglese che voleva i propri
giardini come intime
parentesi, dove dettagli
architettonici quali rovine,
tempietti, edifici dal sapore
orientaleggiante e
scenografiche quinte
naturali regalavano momenti
di coinvolgente emozione.
Ne è un bell’esempio, a
Rovereto, il giardino di Villa
Bridi de Probizer, progettato
tra il 1810 e il 1830 dall’allora
proprietario Giuseppe
Antonio Bridi, illuminato
LO SGUARDO
Intrecci musicali
Una veduta del tempietto
dell’Armonia dedicato alla
musica realizzato dall’architetto
Pietro Andreis nel giardino
ottocentesco di villa
Bridi de Probizer a Rovereto
uomo d’affari nonché vivace
intellettuale, che volle per il
parco della sua dimora una
raffinata «foggia inglese»,
dove la mente poteva
spaziare, trovando
nell’arredo architettonico
spunti di profonda
riflessione: il cenotafio di
Mozart, caro amico di Bridi,
permetteva d’indugiare su
considerazioni mortuarie,
mentre il tempietto
dell’Armonia dell’architetto
Pietro Andreis era un
affettuoso omaggio alla
musica, disciplina molto
apprezzata dal padrone di
casa. Poco più a nord, in un
angolo boscoso del giardino,
un pittoresco castello
medievaleggiante diroccato
attingeva dalla tradizione
inglese il gusto per le rovine.
Il Giardino dei Ciucioi di Lavis,
allestito intorno agli anni
cinquanta dell’Ottocento,
nacque da un’idea di
Tommaso Bortolotti, ex
sindaco e facoltoso
mecenate dal pingue
portafoglio, che decise
d’investire l’ingente
patrimonio familiare in
un’impresa titanica che gli
portò via la fortuna ed infine
anche la vita, cadendo da
una scala mentre chiudeva le
finestre della serra durante
una tempesta estiva. Il
giardino, arroccato sulle
pendici del colle Paion,
metteva a dialogo con
eclettica vivacità stili diversi,
inventando un paesaggio
fantastico e surreale, dove la
loggia rinascimentale
ammicca alla facciata
neogotica della chiesa (che
in realtà non esiste!) mentre,
poco più in là, le rovine di un
castello, campione di gusto
medievale come impone il
più romantico dei pensieri, si
anima di piante giunte in
Trentino da tutto il mondo,
con i loro profumi e colori
che parlano di terre esotiche
e viaggi avventurosi.
L’interesse per un Medioevo
fantastico conquista
l’interesse di numerosi
committenti, che
arricchiscono i loro giardini
con soluzioni architettoniche
prese in prestito dalla
tradizione gotica, come nel
caso della cinquecentesca
Villa Margone, dove trova
posto la pittoresca cappella
neogotica (1867) dalla
facciata affusolata e coronata
con preziosi pinnacoli fioriti
che riecheggia i profili della
chiesa di San Pietro a Trento,
TREND
Un viaggio
nell’architettura
del paesaggio
per una riscoperta
dell’arte locale
dell’Ottocento
di poco antecedente. Altre
ville, invece, adottarono
soluzioni eclettiche più
eccentriche per i loro parchi,
come nel caso della
residenza suburbana a
Camparta di Paolo Oss
Mazzurana, ex podestà di
Trento, dove volle un
laghetto artificiale scavato
nella roccia e un piccolo
châlet svizzero da porsi sulle
sue rive.
L’avvento dei conflitti
mondiali e la febbrile
necessità d’urbanizzazione
che ammorba gli anni del
Novecento colpì numerose
aree verdi del centro storico,
cancellando con una colata
di cemento le oasi naturali
dove i trentini andavano a
passeggio la domenica. Il
caso più eclatante è forse
quello del giardino Scotoni,
La campagna va in città
Gli orizzonti dell’«agritettura»
I
l termine «agritettura» ultimamente è rimbalzato anche
sui mass media sulla scia di una serie di esperienze, a
partire da quelle americane. Non si tratta solo della
riqualificazione nell’ambito rurale (cioè dei territorui
fuori dalle zone metropolitane) ma anche di interventi in
contesti urbani che in un certo senso portano la
campagna nelle città. Se nel primo caso si tratta di
coniugare agraria e agricoltura per ripensare le aree,
spesso degradate, ai margini delle città, nel secondo
l’obiettivo principale è ripristinare aree industriali
abbandonate ricopstruendovi un ambiente naturale
fruibile dalla gente (a Manhattan lo si è fatto sulla linea
ferroviaria in disuso).
Il Giardino dei Ciucioi di Lavis
La doppia storia dell’acero trentino
RENZO FRANCESCOTTI
D
il dialetto
in forma
i piante della famiglia delle aceracee ce ne
sono di ben 200 specie, diffuse in tutto
l’emisfero settentrionale.
Nei boschi del Trentino, sino ai 1200-1400 metri,
di aceri ne trovi di due varietà: l’acero
campestre (Acer campestre) e l’acero di
montagna o acero bianco (Acer
pseudoplatanus). Il primo è detto in dialetto
«àser»,«àzer». «àsar», «àer», «àgaro» (nel Veneto
come nel confinante Tesino dove c’è un monte
Agaro, sulla sinistra del Grigno). Il secondo (in
italiano detto anche oppio) viene detto nei
dialetti trentini «òpi», «òpio», «òpol», «òplo»,
«agaròlo». Questa pianta (a Cei ce n’è una alta 25
metri che ha duecento anni) ha una corteccia
reticolata da fessure sia verticali che orizzontali,
una chioma quasi sferica. Come tutte le piante di
cui finora abbiamo parlato (tranne il leccio) ha
foglie caduche che in autunno si dipingono di
colore giallo-rosso, giallo-oro. Ha foglie con
lamine lunghe sino a sette cm., larghe sino a
dieci, foglie a cinque lobi di cui tre ben marcati
(due, alla base, meno evidenti). Vive in luoghi
ben esposti al sole o parzialmente ombrosi, in
terreni poco umidi o secchi. Si associa alla
quercia, al faggio, al carpino nero. In Italia è
diffuso ovunque tranne che nell’estrema punta a
Sud. Dal suo tronco si estrae un succo
zuccherino che si fa fermentare ( in Canada,
dall’acero canadese che possiamo trovare da noi
nei parchi, si ricava una bevanda si può dire
nazionale). Il legno duro e chiaro è assai
pregiato per fabbricar mobili. Mi ricordo che
mia madre aveva bisogno di una libreria su
misura, una libreria che sfruttasse un doppio
angolo: aveva buon gusto e se la fece disegnare
dallo scomparso famoso artista Mariano
Fracalossi. Lui le consigliò di farla in legno di
acero, resistente e compatto, chiaro, con
sfumature in rosa o in giallo, con vene
angolo verde che si
estendeva tra via Petrarca,
via Romagnosi e via Vannetti,
dove l’eccelso scultore
Andrea Malfatti tenne il
proprio atelier a partire dagli
anni novanta dell’Ottocento.
Gli angoli alberati, la serra e
il padiglione bene si
prestavano ad ospitare le
sculture che l’artista forniva
per il diletto dei visitatori,
che trovarono nel giardino
piacevole cornice per feste e
manifestazioni pubbliche.
Dei fasti del giardino Scotoni,
oggi non rimane nulla, ad
eccezione di due sculture del
Malfatti, l’«Industria» e la
«Pittura», nella stretta aiuola
di un palazzo all’ombra di un
paio d’alberi, sconsolato
ricordo di una belle époque
ingurgitata dalla voracità
edilizia dei nostri tempi.
La ritrosia che spesso si
respira nei confronti degli
spazi verdi che la città ci
regala è figlia di un epoca
dove i parchi erano rifugium
pecatorum di chi tra le
fronde dei cespugli e gli
angoli appartati trovava un
angolo riparato per
indulgere a nocive
tentazioni. Negli ultimi anni
l’interesse per i giardini
pubblici è lentamente
riemerso dalla memoria della
città, che si è riscoperta
ecologica e viva. Che possa
essere l’augurio di una nuova
stagione fiorita, così com’è
stato per il giardino San
Marco, elegante roseto nel
cuore di Trento da poco
riordinato.
madreperlacee e caratteristiche marezzature. E
di ornarne una sponda con una ceramica. Così
fu fatto. Alla scomparsa di nostra madre noi
fratelli dovemmo vendere l’appartamento. Fu
così la chiara libreria a muro, di acero, se la
godette qualcun altro, magari senza
apprezzarla…Gli aceri oltre che un pregiato
legno hanno foglie che sono un ottimo foraggio
per gli animali: le capre ne sono ghiotte.
Qualcuno, leggendo di quando d’estate andavo a
pascolare le due capre di mia nonna nei pressi di
Pedersano, un paese sopra Villagarina, mi ha
chiesto se davvero - io «cittadino» - ci andavo
«descólz»: «Propi cossita» gli ho
risposto:«sparmiavo scarpe, ero ugual ai boci
paesani e se dovevo molarghe na peàda no i se
lamentava gnanca tant!».
Termino regalandovi una piccola filastrocca
dialettale che riguarda l’acero, in trentino «opi»:
«Opi, opi / le càore le scampa ai popi / ligarle
non se pol / le fa quel che le vol.» Si sa che le
filastrocche non hanno autori conosciuti.
Questa però ne ha uno. Pensando alle capre di
mia nonna me la sono inventata io…
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