RECENSIONI Vita D`Adriano

Transcript

RECENSIONI Vita D`Adriano
RECENSIONI
di
VITA D’ADRIANO
memorie di un cecchettaro nella neve
di Francesco Niccolini, Giorgio Felicetti, Andrea Chesi
con
Giorgio Felicetti
“Dura un’ora, ma è lo spettacolo più toccante che ho visto
in vita mia.
Da vedere! Assolutamente!”
RENATO SARTI
scrittore e regista
“Nelle Marche è lo spettacolo più visto dell’anno:
al suo primo anno di vita ha già avuto più di 4.500 spettatori ! “
Il Messaggero
1
RECENSIONI DI “VITA D’ADRIANO”
Adriano entra a lavorare in fabbrica nel 1940. Ha solo 13 anni.
La sua storia di operaio finisce come quella di tanti altri: dal medico.
Perché l’amianto l’ha distrutto.
Scritto e interpretato da Giorgio Felicetti, lo spettacolo procede con ritmo
serrato sulle tracce di una classe operaia spazzata via dalla storia ma di cui
restano testimonianze che hanno molto da dire.
Un mondo scomparso, quello della fabbrica, a cui Felicetti rende omaggio
raccontandoci fatiche, miserie, sfruttamento.
Ma senza dimenticare l’orgoglio ruvido e spartano dei suoi protagonisti.
Sara Chiappori
Radio3 Rai
Il consiglio teatrale della settimana di “Piazza Verdi”:
Vita d'Adriano - memorie di un cecchettaro nella neve
con Giorgio Felicetti,
Teatro della Cooperativa, Milano 24 ottobre - 2 novembre;
PREMIO LIBERO BIZZARRI
Splendido il monologo Vita d'Adriano di Giorgio Felicetti,
un "operaio invisibile" delle officine meccaniche Cecchetti di Civitanova
Marche che, come tanti altri nell'azienda, ha maneggiato per anni
amianto da mattino a sera, incosciente di ciò che gli avrebbe causato.
2
www.art21.it
Vita d’Adriano, morte di un operaio
Ti spegne lentamente, anno dopo anno, giorno dopo giorno. All’inizio è quasi
impercettibile; solo un po’ di tosse, un naturale affaticamento dovuto al duro
lavoro. Solo verso la fine, dove averti logorato silenziosamente l’esistenza, ti
annienta e ti devasta. Comincia dalla fine il monologo di Giorgio Felicetti in
programma in questi giorni e fino al 2 novembre al Teatro della Cooperativa,
una piccola realtà d’eccellenza della periferia milanese.
“Vita d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve” è una storia che sa di
realtà, di coraggio, di terrore.
E’ una storia che sa di ingiustizia, soprattutto.
E’ la storia di Adriano. Aveva dodici anni e mezzo quando cominciò a lavorare
alla Fabbrica Cecchetti; sessantadue quando ne uscì. Licenziato, abbandonato,
defraudato della sua dignità, della sua salute.
Adriano ha riparato carrozze ferroviarie, ha vissuto la maggior parte degli
ultimi quarantanove anni della sua vita tra rotaie e fonderie. Quarantanove
anni scanditi dalle sirene di entrata ed uscita. Alle 6. Alle 16.45.
Adriano ha respirato amianto. Tanto. Anno dopo anno, giorno dopo giorno.
Sta morendo. Ne moriranno 25 mila nel giro di vent’anni, gli hanno detto.
Operai come lui, “mica gente comune”, gli anno detto.
La Cecchetti di Civitanova Marche negli anni ’40 era una delle più importanti
fabbriche italiane per la costruzione e la riparazione di carri e carrozze
ferroviarie. Dava lavoro a tanti, per poche lire.
La Fabbrica nel dopoguerra rimase orfana di quel suo proprietario, quell’altro
Adriano, Adriano Cecchetti quello che in fondo non era poi così male, quello
che l’Adriano bambino-operaio vedeva come il “padrone buono”.
La Cecchetti fu venduta a proprietari privi di scrupolo che la trasformarono in
poco tempo in una gallina dalle uova d’oro, in una vacca da mungere
all’inverosimile. Poco importava dei mungitori, della neve di amianto che
respiravano. Anno dopo anno, giorno dopo giorno.
Fino al 1994, quando per mancanza di commesse, proprio a causa di quella
neve, la Fabbrica fu chiusa.
Vita di Adriano, un viaggio tra i ricordi; quella “classe operaia”, quella
solidarietà tra colleghi, la fatica, la rassegnazione, l’orgoglio.
Vita raccontata senza retorica, con grandissima umanità e secchezza,
con la ruvida veracità di un uomo semplice, che voleva una vita semplice.
Che sta semplicemente morendo.
Vita di tanti, troppi Adriano, operai come lui.
Mica gente comune.
Giulia Cusumano
3
UNA VITA (O UNA MORTE) DI LAVORO
Felicetti:”Racconto la storia di Adriano, con l’amianto per 50 anni”
“In un mondo basato sulla precarietà e sul ricatto, la questione operaia diventa
marginale. E’ “normale” dunque dimenticarsi che più di sette milioni di persone
ogni mattina si svegliano presto per andare a lavorare, e tre o quattro di loro,
ogni giorno, non tornano a casa”.
Parole lucide e sentite di un attore impegnato sul fronte del teatro civile,
Giorgio Felicetti, autore ed interprete di un appassionato spettacolo,
VITA D’ADRIANO, in scena al Teatro della Cooperativa fino al 2 novembre.
Un lavoro autentico che pone al centro del palcoscenico il mondo operaio e la
sua cultura, attraverso le voci di chi ha passato una vita in fabbrica o in
fonderia. “In Vita d’Adriano – spiega l’autore – racconto la storia di un
ragazzino di tredici anni che in piena guerra mondiale (1940) va a lavorare
alle Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche. Ma tra quella prima
mattina di giugno quando incomincerà il suo lavoro, a oggi, quando si alzerà,
come sempre presto, questa volta per andare dal medico, in mezzo ci sono
cinquant’anni di vita passata in fabbrica; un pezzo di storia del Paese che oggi
sembra contare poco più di niente”.
Un monologo che, in dialetto marchigiano, affronta temi seri come l’amianto e
le sue morti annunciate (in Italia 25.000 nei prossimi vent’anni), con sensibilità
e una possibile leggerezza.
“Le condizioni degli operai di oggi sono peggiorate – afferma Felicetti –
l’isolamento è totale: chi entra in fabbrica oggi non ha alcuna aspettativa di
migliorare le proprie condizioni di lavoro; l’unica cosa che conta è mantenere il
posto che ha. In questo sprofondamento di coscienze è successa una cosa
molto grave, la perdita della dignità operaia. Fino a venti anni fa lavorare in
fabbrica era un orgoglio, oggi quasi una colpa di cui vergognarsi.”
Livia Grossi
4
TeatroTeatro.IT
Recensione
Parlare di questa fabbrica marchigiana significa raccontare il lavoro industriale
di tutto il '900 italiano. E’ una storia che illustra le condizioni inumane, la presa
di coscienza di appartenere ad una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e
gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti, la chiusura, avvenuta nel
1994, per mancanza di commesse a causa di una presenza terribile all'interno
della Fabbrica, l'amianto...
L'amianto era abbondantemente usato per coibentare le carrozze ferroviarie.
Ed è proprio sull'amianto, dopo aver fatto un lungo periodo di ricerca ed
intervistato molti ex operai, che è stato scritto questo monologo. Gli operai
della Cecchetti hanno perso il posto di lavoro, hanno visto radere al suolo la
fabbrica e la loro storia per far posto al nuovo che avanza: arriva un centro
commerciale e si ritrovano oggi con un bel regalo nei polmoni: amianto.
I ricordi dell'operaio Adriano scandiscono i ritmi ed i tempi del racconto.
Sono ricordi, privi di toni nostalgici, che a momenti si tingono di comicità, in
altri si asciugano fino a sfiorare una drammaticità assoluta. La fabbrica era
fatta di treni, rotaie, fonderia, chiacchiere negli spogliatoi, sciocchezze dette
per sfottersi e scacciare la fatica che ammazza. Ma c’era anche un sogno più
grande di tutti, quello del compagno boxeur: partecipare alle Olimpiadi di
Roma nel '60.
E in questo doppio binario l'operaio Adriano racconta la sua storia, partendo da
una mattina di guerra del 1940, quando lui tredicenne entra a lavorare in
fabbrica, ad una mattina di oggi, quando si alza presto per andare dal medico:
l’amianto ha colpito ancora.
Dice Felicetti: “ciò che mi interessava veramente era far capire alle giovani
generazioni cosa è stato il mondo operaio, oggi che la parola operaio fa quasi
vergogna. Sono partito dalla Cecchetti per parlare del lavoro di fabbrica di
tutto il '900 italiano: le condizioni di lavoro, la presa di coscienza di
appartenere ad una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti
sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti, la chiusura, avvenuta nel 1994, per
mancanza di commesse a causa di una presenza terribile all'interno della
fabbrica, l'amianto. Questa storia a mio avviso è anche una bellissima storia di
amicizia, e di solidarietà, qualità scomparse nel mondo del lavoro”.
Felicetti ha voluto ricordare un mondo industriale, scomparso; le scarse tracce
di memoria rimaste, sono le protagoniste di questa storia. Negli occhi di quegli
uomini della Cecchetti, di quei lavoratori, si intuisce stupore incredulità e
orgoglio. Tutte queste persone hanno insegnato il linguaggio della dignità.
Vita d’Adriano è un lavoro vibrante, autentico che fa comprendere e
meditare, che ha il pregio di raccontare ai più giovani la dura realtà
delle fabbriche di meccanica pesante, oggi in via di estinzione.
Mauro Lupoli
5
delteatro.it
Storie d'operai marchigiani
Silenziosamente, a causa dello scarso rilievo di cui gode nei media, ma più
profondamente e capillarmente del cinema e della Tv, il teatro di narrazione
italiano sta lavorando a fondo per colmare una delle tante lacune che svuotano
di senso la nostra memoria collettiva: quella della vita (e della morte) in
fabbrica. Non solo i drammi recenti come quello della Thyssen di Torino e il
quotidiano bollettino delle morti bianche servono a non dimenticare. Un
capitolo a sé è rappresentato dal rapporto operai-amianto, un rapporto spesso
mortale, non cercato ma subito da migliaia di uomini che, da Taranto a Milano,
dal Piemonte al Veneto alle Marche, pagano ancora oggi con la vita colpe non
commesse.
Ed è singolare che proprio al Teatro della Cooperativa di Milano, che sorge a
Niguarda, un tempo borgo operaio d'eccellenza che ha fornito braccia e
polmoni a migliaia alle fornaci Falck, Breda, Pirelli, Ansaldo e via elencando, sia
in scena - fino al 2 novembre - Vita d'Adriano, di e con Giorgio Felicetti.
È una singolare ma naturalmente voluta e cercata coincidenza, perché
l'Adriano del titolo non ha nulla a che fare con quello tormentato ma imperiale
della Yourcenar, trattando la storia di una tuta blu della Cecchetti di Civitanova
Marche, fino al 1994 - anno della chiusura - un colosso nella coibentazione
delle carrozze ferroviarie, dove in 90 anni di attività hanno sudato 50mila
persone. Moltissime hanno respirato le sottili pagliuzze di amianto che si
accumulano inesorabilmente nei recessi più fini degli alveoli polmonari,
sviluppando malattie terribili e spesso senza scampo.
Una storia, quella del "cecchettaro" Adriano, che Felicetti rievoca
attraverso episodi, aneddoti, sogni, speranze e delusioni,
drammaticamente simile alle tante che potrebbero raccontare gli
operai di Niguarda. Quelli ancora vivi per farlo, s'intende.
6
Il cuore della vecchia Civitanova operaia è tornato a pulsare per una notte.
Le ex Fonderie Marinelli si sono trasformate in un suggestivo anfiteatro
all’aperto, ed hanno ospitato un evento d’eccezione: la prima nazionale dello
spettacolo “Vita d’Adriano - Memorie di un cecchettaro nella neve”, diretto e
interpretato da Giorgio Felicetti, scritto dallo stesso Felicetti, da Francesco
Niccolini e da Andrea Chesi.
La vasta area delle Fonderie non è riuscita a contenere la grande affluenza di
pubblico, più di mille persone si sono presentate ai cancelli, e solo la metà è
riuscita ad entrare e a seguire l’evento in religioso silenzio. Il monologo di
Giorgio Felicetti è la storia di un uomo, un operaio, e di una fabbrica, la
Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche, storie che insieme,
attraversano la storia di mezzo '900.
Protagonista del racconto è un operaio di nome Adriano, che si chiama come il
suo padrone.
E sono proprio i ricordi dell'operaio Adriano a scandire i ritmi e i tempi del
racconto.
E Felicetti, nel fluire dei ricordi dell’Adriano, commuove, fa ridere il pubblico, lo
porta ad identificarsi con quest’operaio in pensione. E come un pugile Felicetti
colpisce, e con maestria da grande narratore sa dove farlo. Colpisce al cuore,
allo stomaco, alla testa. Perché la vita di Adriano è la vita di tutti quelli che
hanno fatto e vissuto “la fabbrica”.
Un’ora di ricordi, privi di toni nostalgici, che a momenti si asciugano fino a
toccare una drammaticità assoluta. I treni, le rotaie, la fonderia, le chiacchiere
negli spogliatoi, le cazzate dette per sfottersi e scacciare la fatica che
ammazza, ed un sogno, il sogno più grande di tutti, quello del suo compagno
boxeur: partecipare alle olimpiadi di Roma nel '60.
L'Adriano operaio ci racconta la sua storia, da una mattina di guerra del 1940,
quando lui tredicenne entra a lavorare in fabbrica, ad una mattina di oggi,
quando si alza presto per andare dal medico...
Giorgio Felicetti dà vita ad un magnifico affresco della classe operaia e di tutto
il ‘900 italiano: “questa storia è anche quello che vedevo e immaginavo da
bambino, quando andando a scuola, mi fermavo lì, davanti a quel grande
cancello di ferro che chiudeva un mondo di ciclopi, di uomini forti e fieri.
Bastava vederli lì fuori dal cancello, con quanta fierezza indossavano le loro
tute blu.
Ho voluto raccontare quel mondo, scomparso come Atlantide, e le poche
tracce di memoria umana rimaste, sono le protagoniste di questa storia.”
Una serata di grande pathos e di grande teatro, che rimarrà a lungo
nella memoria degli spettatori presenti.
(15/07/07)
7
LOCARNO - CH
Vita d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve
Un progetto teatrale di Giorgio Felicetti
“…un vero monologo tragico dei nostri tempi.”
Lo spettacolo è stato seguito dal pubblico con altissima concentrazione e molta
emozione, come una spettatrice ha spiegato ai microfoni della TELEVISIONE
SVIZZERA ITALIANA, che ha realizzato un servizio sull’evento. Il lungo e
caloroso applauso che è stato tributato a Felicetti testimonia di un successo
sulle cui cause può essere utile meditare.
Il mondo della generazione operaia del secondo novecento è raccontato con
rara efficacia, con tenerezza e calore unici. La coloritura dialettale del testo,
che non ne ostacola minimamente la comprensibilità, produce un inatteso
effetto di eleganza: è l’abito della mente del protagonista, ed è commisurato
alla semplice e profonda nobiltà dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.
Ma da cosa nasce questa nobiltà? Il racconto del protagonista narratore,
l’operaio Adriano, è condotto sul filo di un potente concetto, mai dichiarato
esplicitamente: il concetto della dignità umana.
Questo è il cuore del mondo emotivo di “Vita d’Adriano”, un vero monologo
tragico dei nostri tempi. La recitazione di Felicetti ha fatto sentire i battiti di
questo cuore, l’ha vivificato, ne ha messo in rilievo tutta la bellezza e la
grandezza.
Le ragioni di un successo così grande stanno nel contenuto e nello stile del
testo, e soprattutto nella recitazione di Felicetti, misurata, attenta alle
sottolineature, capace di sollecitare aspetti più intimi della vita di Adriano.
Vittore Nason, Dirigente di Teatro, Locarno
17 gennaio 2008
8
www.solidarieta.ch
CANTON TICINO – Svizzera
Vita d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve, di Giorgio Felicetti
( Arzo, sabato 1 settembre 2007) racconta la storia di un operaio che entra in
fabbrica praticamente bambino durante la seconda guerra mondiale e ne esce
alla fine del secolo scorso, quando la fabbrica chiude. La fabbrica è la
Cecchetti, dove in novant’anni hanno lavorato 50mila persone impegnate nella
costruzione e nella riparazione di carri e carrozze ferroviarie. Raccontare della
Cecchetti vuol dire parlare del lavoro di fabbrica di tutto il ‘900 italiano: le
condizioni di lavoro, la presa di coscienza di appartenere a una “classe”, quella
dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti,
la chiusura, avvenuta nel 1994, per mancanza di commesse a causa di una
presenza terribile all’interno della fabbrica: l’amianto. Lo spettacolo nasce da
un lungo lavoro di interviste agli operai e gli autori hanno seguito, nella
scrittura, un codice di comportamento che era quello di dire soltanto cose vere.
Adriano rappresenta una sorta di archetipo dell’operaio di quelle generazioni e,
come tutti coloro che sono stati intervistati, esprime una profonda amarezza
dettata dalla sensazione di aver visto radere al suolo, insieme alla fabbrica,
anche la propria memoria. “ E’ come se in qualche maniera non fossero esistiti
perché il loro è un senso di appartenenza a un mondo che non c’è più.
Girandosi intorno troviamo una società che quasi nasconde gli operai. La vera
differenza è che allora essere operaio era un atto di nobiltà, c’era un ruolo
all’interno della società. Oggi ci si manifesta operaio quasi con vergogna.”
afferma Giorgio Felicetti parlando del suo protagonista. Raccontare Adriano e la
Cecchetti significa quindi riscattare una memoria che si vorrebbe occultare, ma
anche denunciare una realtà che per i protagonisti è impossibile rimuovere:
come molti suoi ex colleghi, Adriano è costretto a convivere con il
mesotelioma, il cancro provocato dall’amianto nei polmoni.
Natalia Genni
9
IL QUOTIDIANO
Giorgio Felicetti e il suo "Vita d'Adriano"
al rientro dalla tournèe europea
Giorgio Felicetti, il regista attore marchigiano, di ritorno in Italia dopo una
due giorni a lui dedicata dal Festival Internazionale della Narrazione del Canton
Ticino, porterà in scena il suo "VITA D'ADRIANO - Memorie di un cecchettaro
nella neve", al Festival dei Teatri Invisibili, venerdì 14 settembre, Teatro
dell'Arancio di Grottammare, ore 21,30.
La presentazione in Svizzera di "Vita d'Adriano" è stata una grande vetrina per
la Provincia di Macerata e per il Festival Terra di Teatri, produttori dell'opera
teatrale. Attraverso la Cecchetti e i cecchettari, Giorgio Felicetti dà vita con
grande rigore e pathos ad un magnifico affresco della classe operaia di tutto il
‘900 italiano, e al tempo stesso crea uno splendido omaggio alla regione in cui
è nato, le Marche, di cui racconta le gesta operaie e usa quell'impasto
linguistico gergale vicino al dialetto, che per la prima volta viene usato come
lingua teatrale, che tanto ha affascinato gli spettatori d'oltralpe.
Al prestigioso Festival ticinese della narrazione, oltre a "Vita d'Adriano" Giorgio
Felicetti ha presentato anche il suo "Scarpagnante". Entrambi i monologhi
saranno trasmessi nei prossimi giorni dalla Rete Due della Radio Svizzera
Italiana, unitamente ad un'intervista che Giorgio Felicetti ha rilasciato alla
Radio Svizzera.
Il clamore suscitato dalla doppia esibizione di Giorgio Felicetti in
questa tournèe europea hanno confermato la qualità del lavoro e il
talento dell'artista marchigiano, premiando una volta di più il percorso
intrapreso da Felicetti sul recupero della memoria e sul teatro di
impegno civile.
Protagonista del racconto è un operaio di nome Adriano, che, ironia della sorte,
si chiama come il suo padrone, Adriano Cecchetti, figura mitizzata di buona
razza padrona. E sono proprio i ricordi dell'operaio Adriano a scandire i ritmi e i
tempi del racconto. E Felicetti, nel fluire dei ricordi dell'Adriano, commuove, fa
ridere il pubblico, lo porta ad identificarsi con questo uomo, ormai ex operaio.
E con maestria da grande narratore sa come farlo. Colpisce al cuore, allo
stomaco, alla testa, questo racconto. Perché la vita di Adriano è la vita di tutti
quelli che hanno fatto e vissuto "la fabbrica".
14/09/2007
10
TEATRO.ORG
Questa è la storia di un uomo, di un operaio e di una fabbrica ma è soprattutto
la storia della classe operaia del ‘900 italiano. Vita d’Adriano – memorie di
un cecchettaro nella neve di Giorgio Felicetti, in prima milanese al Teatro
della Cooperativa di Milano dal 24 ottobre al 2 novembre 2008, è un
ritratto che commuove, fa ridere, è un pugno allo stomaco.
Una mattina, nel 1940, in periodo di guerra, Adriano Cecchetti, 13 anni, va a
lavorare per la prima volta in fabbrica, le Officine Meccaniche Cecchetti di
Civitanova Marche e, casualità della sorte, ha lo stesso nome del padrone della
fabbrica.
In un’ora di monologo denso, in una lingua che fonde il vernacolo marchigiano
e l’invenzione, lo spettatore incontra il ragazzino che entra in fabbrica e
insieme a lui trova un intero spaccato di vita: gli incidenti sul lavoro, gli
scioperi, la dignità calpestata ma sempre intatta di tanti operai, la presa di
coscienza della classe operaia. Trova anche Augusto, un boxeur che vuole solo
coronare un sogno: partecipare alle Olimpiadi di Roma nel ’60.
Trova un’umanità complessa e variegata, un mondo che sembra non esistere
più, un mondo fatto di fatica, di treni, di rotaie, di fonderia, di chiacchiere negli
spogliatoi: la memoria passa attraverso le parole dell’attore ma senza toni
nostalgici.
Poi un giorno, nel 1994, le officine Meccaniche Cecchetti, dove in 90 anni
hanno lavorato 50.000 persone, chiudono: la fabbrica è piena di amianto. Tutti
a casa. Al posto della fabbrica un centro commerciale, il nuovo che avanza.
Adriano racconta e dalla mattina del 1940 in cui comincia la storia del
ragazzino operaio, lo si lascia ad una mattina di oggi, quando si alza di nuovo
presto ma per andare dal medico. L’amianto non ha smesso di lavorare.
Vita di Adriano è un lavoro nato dall’indagine che Giorgio Felicetti ha
condotto sulla fabbrica del suo paese di origine, intervistando gli operai,
appuntando i loro racconti fino a partorire una storia che a partire da una, ne
contenesse molte, come dice lo stesso autore: “ho voluto raccontare
quel mondo, scomparso come Atlantide, e le poche tracce di memoria umana
rimaste, sono le protagoniste di questa storia.”
E ha deciso di debuttare proprio lì, in quella città davanti agli stessi operai che
quelle vicende le hanno vissute:
“Negli occhi di quegli uomini, così scomodamente seduti da chiedere quasi
scusa della loro presenza, tra arazzi e poltrone di lusso di un teatro storico,
capivo stupore incredulità e orgoglio: essi vedevano la loro vita diventare un
monumento grande un’ora. Tutte queste persone mi hanno insegnato il
linguaggio della dignità” (Giorgio Felicetti).
11
Stratagemmi. Prospettive teatrali.
Milano
Dalle testimonianze al testo.
Intervista a Giorgio Felicetti.
di Maddalena Giovannelli
Il desiderio di fare uno spettacolo sul lavoro in fabbrica, e un vecchio ricordo di bambino che
guarda gli operai uscire dai cancelli con la tuta blu: queste sono le motivazioni all’origine di «Vita
d’Adriano» di Giorgio Felicetti, che a Milano è andato in scena al Teatro della Cooperativa.
Adriano, detto Ninì, è un cecchettaro: cioè un lavoratore alle Officine Meccaniche Cecchetti di
Civitanova, la seconda fabbrica più importante delle Marche. È entrato nel 1940 a tredici anni, per
la voglia di “fadigà” e di diventare come il suo adorato zio operaio: e lì dentro, in quel mondo a
parte, è rimasto fino alla chiusura dello stabilimento nel 1994. In mezzo c’è un’intera vita, ma non
solo: c’è anche la storia del lavoro in fabbrica del Novecento italiano. Dopo la morte di Adriano
Cecchetti – quel proprietario vecchia maniera ammirato e odiato, “figura mitizzata di buona razza
padrona” che con la sua omonimia in qualche modo nobilita Ninì – la fabbrica passa di mano in
mano, viene venduta e rasa al suolo. Dopo un’esistenza spesa a riparare carrozze ferroviarie,
Adriano vede il suo universo spazzato via: “Hanno tirato su palazzi banche e supermercati, e adesso
te pare che ’sta fabbrica non c’è stata mai. Un secolo per costruilla, sognalla, fadigacce, falla cresce,
difendela e poi, vendi e compri e vendi e co’ ’na botta de ruspa spacchi tutto”.
Felicetti è in scena seduto su una sedia; e il monologo di Adriano scaturisce come una confessione a
bassa voce ad un interlocutore immaginario. Il testo, scritto dallo stesso Felicetti in collaborazione
con i drammaturghi Francesco Niccolini e Andrea Chesi, ripercorre tutta la vita di Ninì e tocca,
senza enfasi e in un tono per così dire anti-teatrale, registri drammatici molto differenti.
Si sorride per certi ricordi di scioperi, per gli scherzi con i compagni, per Ciro che lasciava tutto il
suo stipendio in beneficenza, per l’incontro con una ragazza testarda che diventerà poi compagna di
vita, per quel dialetto marchigiano che è efficace come ogni lingua d’esperienza ma riesce ad
arrivare a inconsapevoli tocchi di lirismo. Non è assente però la dimensione del tragico, che affiora
nella lotta con un nemico occulto e misconosciuto: l’amianto usato per la coibentazione delle
carrozze. Un nemico che non lascia mai Adriano, nemmeno quando ormai lo stabilimento è chiuso
ed è tempo di riposare, e invece l’amianto continua implacabile a lavorare nel suo corpo. È un
tragico senza enfasi, senza drammi, un tragico raccontato con dignità e privo di autocompiacimento.
«Vita d’Adriano» è un testo complesso e completo: per la varietà dei registri, per il dovere di
cronaca verso una verità difficile, per la volontà di tracciare, in controluce, l’affresco di un periodo
storico, per la responsabilità verso i protagonisti, ancora viventi, del racconto.
La fase della vera e propria scrittura è stata preceduta da un lungo periodo di ricerca. Felicetti ha
rintracciato gli operai della Cecchetti, “quelli vecchi, quelli andati, quelli senza vergogna”: sono
seguiti mesi di interviste, di conversazioni, di rapporti umani. Mesi nei quali i termini tecnici, la
struttura dei reparti, le mansioni svolte cominciavano a divenire familiari e “l’immagine di questa
immensa mappa di industria e di fatica prendeva forma”. Modi di dire, episodi, linguaggio: tutto
questo è confluito dalle testimonianze al testo. Rimanere più fedele possibile alle parole dei
cecchettari, alla loro dignità. Non alterare, non teatralizzare, non allontanarsi da quel piccolo
scrigno di verità, per quanto possibile: questo è stato l’intento che ha guidato Felicetti nella stesura
del testo.
Qual è stato il primo passo del vostro lavoro?
12
Sono andato a cercare i vecchi cecchettari. Ho ascoltato centinaia di testimonianze, ho sentito e
amato moltissime storie ed episodi. Voglio citare l’operaio Umberto Pancotto, che per me è stato un
vero e proprio Virgilio. Poi Pietro Emili, che per la sua lunga attività con il Sindacato, mi ha
permesso di ricostruire senza approssimazione agitazioni e scioperi. Invece Augusto Coppini ha
ispirato la figura di Augusto, operaio pugile che abbandona i suoi sogni di Olimpiade per un
incidente sul lavoro.
Da queste conversazioni siete arrivati a un testo. Come?
Abbiamo lavorato a sei mani con Francesco Niccolini e Andrea Chesi. Il problema è stato trovare
una sintesi dell’enorme materiale che avevamo raccolto con le testimonianze. Così è nato Adriano:
in lui c’è qualcosa di ogni operaio che ho incontrato. È stato difficile, perché abbiamo dovuto
eliminare molto, e non è stato indolore: dopo mesi che lavori su certi racconti, che li rileggi e ti
toccano, non è facile lasciarli da parte. Ma ovviamente non puoi tenere tutto.
Adriano parla in un modo particolare. Come avete lavorato sul suo linguaggio?
Abbiamo creato un “impasto” marchigiano ottenuto con un lungo lavoro di cesello. L’obiettivo era
quello di arrivare il più vicino possibile alla lingua delle persone che avevo ascoltato. E poi si
doveva creare un linguaggio vivo, vero. A differenza di altri dialetti, per esempio del napoletano,
il marchigiano non è mai diventato lingua da palcoscenico. Questa forse è la prima volta che viene
nobilitato a teatro: ed è un piccolo merito che possiamo prenderci. Adriano è un archetipo: quello
dell’operaio del secondo Novecento italiano. Però ha anche un forte radicamento territoriale, e il
linguaggio è un segno forte di questo radicamento.
Infatti tu hai scritto che questo spettacolo per te ha rappresentato un “ritorno a casa”…
Proprio così. Avevo deciso di fare un lavoro sulla fabbrica, sulla classe operaia. E’ stato normale
attingere ai miei ricordi più lontani. E così sono venute a saldarsi due esigenze che avevo, tornare
alla mia terra madre, e quella di parlare della classe operaia.
Eppure nelle parole di Adriano si legge un rimprovero per una città che ha dimenticato la sua
fabbrica.
In effetti è così. Tutto è in rapidissimo cambiamento, si ha l’impressione ora di una folle corsa verso
una specie di modernità senza progetto. E’ un po’ lo specchio alterato di tutto il nostro paese.
Questa corsa a me pare molto pericolosa: il rischio è quello di cancellare la propria memoria, le
proprie origini e la propria storia. Come è possibile che non rimanga nemmeno una targa a
testimoniare che in quel luogo c’era una fabbrica che ha modificato la storia dell’intera regione?
E gli operai? Come vivono questa rimozione collettiva?
Quando si parla di questo argomento, la loro risposta è sempre la stessa: “io di lì non ci voglio più
passare, non ci voglio più tornare”. È un dolore troppo forte per loro: è il segno tangibile della loro
cancellazione dalla storia.
In questo senso forse il tuo spettacolo ha restituito loro qualcosa…
13
Si, credo di si. Ho fatto un’anteprima dello spettacolo solo per i cecchettari. Pensa che al debutto,
che è stato nel luglio del 2007, delle mille persone presenti, metà erano ex operai: per loro forse
questo VITA D’ADRIANO è stato quel monumento che non hanno mai avuto.
Per le tue precedenti drammaturgie hai fatto un lavoro simile a questo?
È la prima volta che lavoro su testi e testimonianze di persone viventi. Questo da un lato ti facilita,
perché puoi parlare, confrontarti, prendere spunti, continuare a perfezionare. Dall’altro ti carica di
una responsabilità enorme. Ma è una bella sfida, la grande commozione e la meravigliata
incredulità negli occhi degli ex cecchettari per me è valsa più di qualsiasi elogio di critica.
Nella stesura del testo, avete tenuto in considerazione qualche caratteristica particolare del modo
di parlare degli operai?
Mi ha colpito moltissimo quel modo di raccontare secco, dignitoso, che non lascia nulla alla
retorica. Così il nostro obiettivo drammaturgico è diventato la sobrietà, la semplicità. Non è cosa da
poco: come dice Peter Brook, la semplicità è una meta, il risultato più difficile… per un regista,
quanto per un attore o un drammaturgo.
Qual è la tua formazione come drammaturgo?
Io nasco soprattutto come attore. Poi viene un momento, nel tuo percorso, che non ti ritrovi più
nelle cose che altre persone ti chiedono di fare. Nasce in te l’urgenza di parlare e di fare quello che
hai da dire, e in qualche modo senti che è giusto dedicarti a quello. Fino in fondo, fino a creare un
testo tutto tuo. Sto lavorando molto sul concepire il teatro come progetto totale.
Dallo spettacolo è nato un libro. Hai cambiato qualcosa per la pubblicazione?
Non ho toccato quasi nulla. L’unica cosa che ho tenuto sempre presente, per il libro come per il
monologo è stato la comprensibilità. Volevo che il racconto di Adriano arrivasse chiaro a tutti.
Perché ha molto da dirci: sulla nostra storia, ma soprattutto sul nostro presente.
14