RECENSIONI Vita D`Adriano
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RECENSIONI Vita D`Adriano
RECENSIONI di VITA D’ADRIANO memorie di un cecchettaro nella neve di Francesco Niccolini, Giorgio Felicetti, Andrea Chesi con Giorgio Felicetti “Dura un’ora, ma è lo spettacolo più toccante che ho visto in vita mia. Da vedere! Assolutamente!” RENATO SARTI scrittore e regista “Nelle Marche è lo spettacolo più visto dell’anno: al suo primo anno di vita ha già avuto più di 4.500 spettatori ! “ Il Messaggero 1 RECENSIONI DI “VITA D’ADRIANO” Adriano entra a lavorare in fabbrica nel 1940. Ha solo 13 anni. La sua storia di operaio finisce come quella di tanti altri: dal medico. Perché l’amianto l’ha distrutto. Scritto e interpretato da Giorgio Felicetti, lo spettacolo procede con ritmo serrato sulle tracce di una classe operaia spazzata via dalla storia ma di cui restano testimonianze che hanno molto da dire. Un mondo scomparso, quello della fabbrica, a cui Felicetti rende omaggio raccontandoci fatiche, miserie, sfruttamento. Ma senza dimenticare l’orgoglio ruvido e spartano dei suoi protagonisti. Sara Chiappori Radio3 Rai Il consiglio teatrale della settimana di “Piazza Verdi”: Vita d'Adriano - memorie di un cecchettaro nella neve con Giorgio Felicetti, Teatro della Cooperativa, Milano 24 ottobre - 2 novembre; PREMIO LIBERO BIZZARRI Splendido il monologo Vita d'Adriano di Giorgio Felicetti, un "operaio invisibile" delle officine meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche che, come tanti altri nell'azienda, ha maneggiato per anni amianto da mattino a sera, incosciente di ciò che gli avrebbe causato. 2 www.art21.it Vita d’Adriano, morte di un operaio Ti spegne lentamente, anno dopo anno, giorno dopo giorno. All’inizio è quasi impercettibile; solo un po’ di tosse, un naturale affaticamento dovuto al duro lavoro. Solo verso la fine, dove averti logorato silenziosamente l’esistenza, ti annienta e ti devasta. Comincia dalla fine il monologo di Giorgio Felicetti in programma in questi giorni e fino al 2 novembre al Teatro della Cooperativa, una piccola realtà d’eccellenza della periferia milanese. “Vita d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve” è una storia che sa di realtà, di coraggio, di terrore. E’ una storia che sa di ingiustizia, soprattutto. E’ la storia di Adriano. Aveva dodici anni e mezzo quando cominciò a lavorare alla Fabbrica Cecchetti; sessantadue quando ne uscì. Licenziato, abbandonato, defraudato della sua dignità, della sua salute. Adriano ha riparato carrozze ferroviarie, ha vissuto la maggior parte degli ultimi quarantanove anni della sua vita tra rotaie e fonderie. Quarantanove anni scanditi dalle sirene di entrata ed uscita. Alle 6. Alle 16.45. Adriano ha respirato amianto. Tanto. Anno dopo anno, giorno dopo giorno. Sta morendo. Ne moriranno 25 mila nel giro di vent’anni, gli hanno detto. Operai come lui, “mica gente comune”, gli anno detto. La Cecchetti di Civitanova Marche negli anni ’40 era una delle più importanti fabbriche italiane per la costruzione e la riparazione di carri e carrozze ferroviarie. Dava lavoro a tanti, per poche lire. La Fabbrica nel dopoguerra rimase orfana di quel suo proprietario, quell’altro Adriano, Adriano Cecchetti quello che in fondo non era poi così male, quello che l’Adriano bambino-operaio vedeva come il “padrone buono”. La Cecchetti fu venduta a proprietari privi di scrupolo che la trasformarono in poco tempo in una gallina dalle uova d’oro, in una vacca da mungere all’inverosimile. Poco importava dei mungitori, della neve di amianto che respiravano. Anno dopo anno, giorno dopo giorno. Fino al 1994, quando per mancanza di commesse, proprio a causa di quella neve, la Fabbrica fu chiusa. Vita di Adriano, un viaggio tra i ricordi; quella “classe operaia”, quella solidarietà tra colleghi, la fatica, la rassegnazione, l’orgoglio. Vita raccontata senza retorica, con grandissima umanità e secchezza, con la ruvida veracità di un uomo semplice, che voleva una vita semplice. Che sta semplicemente morendo. Vita di tanti, troppi Adriano, operai come lui. Mica gente comune. Giulia Cusumano 3 UNA VITA (O UNA MORTE) DI LAVORO Felicetti:”Racconto la storia di Adriano, con l’amianto per 50 anni” “In un mondo basato sulla precarietà e sul ricatto, la questione operaia diventa marginale. E’ “normale” dunque dimenticarsi che più di sette milioni di persone ogni mattina si svegliano presto per andare a lavorare, e tre o quattro di loro, ogni giorno, non tornano a casa”. Parole lucide e sentite di un attore impegnato sul fronte del teatro civile, Giorgio Felicetti, autore ed interprete di un appassionato spettacolo, VITA D’ADRIANO, in scena al Teatro della Cooperativa fino al 2 novembre. Un lavoro autentico che pone al centro del palcoscenico il mondo operaio e la sua cultura, attraverso le voci di chi ha passato una vita in fabbrica o in fonderia. “In Vita d’Adriano – spiega l’autore – racconto la storia di un ragazzino di tredici anni che in piena guerra mondiale (1940) va a lavorare alle Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche. Ma tra quella prima mattina di giugno quando incomincerà il suo lavoro, a oggi, quando si alzerà, come sempre presto, questa volta per andare dal medico, in mezzo ci sono cinquant’anni di vita passata in fabbrica; un pezzo di storia del Paese che oggi sembra contare poco più di niente”. Un monologo che, in dialetto marchigiano, affronta temi seri come l’amianto e le sue morti annunciate (in Italia 25.000 nei prossimi vent’anni), con sensibilità e una possibile leggerezza. “Le condizioni degli operai di oggi sono peggiorate – afferma Felicetti – l’isolamento è totale: chi entra in fabbrica oggi non ha alcuna aspettativa di migliorare le proprie condizioni di lavoro; l’unica cosa che conta è mantenere il posto che ha. In questo sprofondamento di coscienze è successa una cosa molto grave, la perdita della dignità operaia. Fino a venti anni fa lavorare in fabbrica era un orgoglio, oggi quasi una colpa di cui vergognarsi.” Livia Grossi 4 TeatroTeatro.IT Recensione Parlare di questa fabbrica marchigiana significa raccontare il lavoro industriale di tutto il '900 italiano. E’ una storia che illustra le condizioni inumane, la presa di coscienza di appartenere ad una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti, la chiusura, avvenuta nel 1994, per mancanza di commesse a causa di una presenza terribile all'interno della Fabbrica, l'amianto... L'amianto era abbondantemente usato per coibentare le carrozze ferroviarie. Ed è proprio sull'amianto, dopo aver fatto un lungo periodo di ricerca ed intervistato molti ex operai, che è stato scritto questo monologo. Gli operai della Cecchetti hanno perso il posto di lavoro, hanno visto radere al suolo la fabbrica e la loro storia per far posto al nuovo che avanza: arriva un centro commerciale e si ritrovano oggi con un bel regalo nei polmoni: amianto. I ricordi dell'operaio Adriano scandiscono i ritmi ed i tempi del racconto. Sono ricordi, privi di toni nostalgici, che a momenti si tingono di comicità, in altri si asciugano fino a sfiorare una drammaticità assoluta. La fabbrica era fatta di treni, rotaie, fonderia, chiacchiere negli spogliatoi, sciocchezze dette per sfottersi e scacciare la fatica che ammazza. Ma c’era anche un sogno più grande di tutti, quello del compagno boxeur: partecipare alle Olimpiadi di Roma nel '60. E in questo doppio binario l'operaio Adriano racconta la sua storia, partendo da una mattina di guerra del 1940, quando lui tredicenne entra a lavorare in fabbrica, ad una mattina di oggi, quando si alza presto per andare dal medico: l’amianto ha colpito ancora. Dice Felicetti: “ciò che mi interessava veramente era far capire alle giovani generazioni cosa è stato il mondo operaio, oggi che la parola operaio fa quasi vergogna. Sono partito dalla Cecchetti per parlare del lavoro di fabbrica di tutto il '900 italiano: le condizioni di lavoro, la presa di coscienza di appartenere ad una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti, la chiusura, avvenuta nel 1994, per mancanza di commesse a causa di una presenza terribile all'interno della fabbrica, l'amianto. Questa storia a mio avviso è anche una bellissima storia di amicizia, e di solidarietà, qualità scomparse nel mondo del lavoro”. Felicetti ha voluto ricordare un mondo industriale, scomparso; le scarse tracce di memoria rimaste, sono le protagoniste di questa storia. Negli occhi di quegli uomini della Cecchetti, di quei lavoratori, si intuisce stupore incredulità e orgoglio. Tutte queste persone hanno insegnato il linguaggio della dignità. Vita d’Adriano è un lavoro vibrante, autentico che fa comprendere e meditare, che ha il pregio di raccontare ai più giovani la dura realtà delle fabbriche di meccanica pesante, oggi in via di estinzione. Mauro Lupoli 5 delteatro.it Storie d'operai marchigiani Silenziosamente, a causa dello scarso rilievo di cui gode nei media, ma più profondamente e capillarmente del cinema e della Tv, il teatro di narrazione italiano sta lavorando a fondo per colmare una delle tante lacune che svuotano di senso la nostra memoria collettiva: quella della vita (e della morte) in fabbrica. Non solo i drammi recenti come quello della Thyssen di Torino e il quotidiano bollettino delle morti bianche servono a non dimenticare. Un capitolo a sé è rappresentato dal rapporto operai-amianto, un rapporto spesso mortale, non cercato ma subito da migliaia di uomini che, da Taranto a Milano, dal Piemonte al Veneto alle Marche, pagano ancora oggi con la vita colpe non commesse. Ed è singolare che proprio al Teatro della Cooperativa di Milano, che sorge a Niguarda, un tempo borgo operaio d'eccellenza che ha fornito braccia e polmoni a migliaia alle fornaci Falck, Breda, Pirelli, Ansaldo e via elencando, sia in scena - fino al 2 novembre - Vita d'Adriano, di e con Giorgio Felicetti. È una singolare ma naturalmente voluta e cercata coincidenza, perché l'Adriano del titolo non ha nulla a che fare con quello tormentato ma imperiale della Yourcenar, trattando la storia di una tuta blu della Cecchetti di Civitanova Marche, fino al 1994 - anno della chiusura - un colosso nella coibentazione delle carrozze ferroviarie, dove in 90 anni di attività hanno sudato 50mila persone. Moltissime hanno respirato le sottili pagliuzze di amianto che si accumulano inesorabilmente nei recessi più fini degli alveoli polmonari, sviluppando malattie terribili e spesso senza scampo. Una storia, quella del "cecchettaro" Adriano, che Felicetti rievoca attraverso episodi, aneddoti, sogni, speranze e delusioni, drammaticamente simile alle tante che potrebbero raccontare gli operai di Niguarda. Quelli ancora vivi per farlo, s'intende. 6 Il cuore della vecchia Civitanova operaia è tornato a pulsare per una notte. Le ex Fonderie Marinelli si sono trasformate in un suggestivo anfiteatro all’aperto, ed hanno ospitato un evento d’eccezione: la prima nazionale dello spettacolo “Vita d’Adriano - Memorie di un cecchettaro nella neve”, diretto e interpretato da Giorgio Felicetti, scritto dallo stesso Felicetti, da Francesco Niccolini e da Andrea Chesi. La vasta area delle Fonderie non è riuscita a contenere la grande affluenza di pubblico, più di mille persone si sono presentate ai cancelli, e solo la metà è riuscita ad entrare e a seguire l’evento in religioso silenzio. Il monologo di Giorgio Felicetti è la storia di un uomo, un operaio, e di una fabbrica, la Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche, storie che insieme, attraversano la storia di mezzo '900. Protagonista del racconto è un operaio di nome Adriano, che si chiama come il suo padrone. E sono proprio i ricordi dell'operaio Adriano a scandire i ritmi e i tempi del racconto. E Felicetti, nel fluire dei ricordi dell’Adriano, commuove, fa ridere il pubblico, lo porta ad identificarsi con quest’operaio in pensione. E come un pugile Felicetti colpisce, e con maestria da grande narratore sa dove farlo. Colpisce al cuore, allo stomaco, alla testa. Perché la vita di Adriano è la vita di tutti quelli che hanno fatto e vissuto “la fabbrica”. Un’ora di ricordi, privi di toni nostalgici, che a momenti si asciugano fino a toccare una drammaticità assoluta. I treni, le rotaie, la fonderia, le chiacchiere negli spogliatoi, le cazzate dette per sfottersi e scacciare la fatica che ammazza, ed un sogno, il sogno più grande di tutti, quello del suo compagno boxeur: partecipare alle olimpiadi di Roma nel '60. L'Adriano operaio ci racconta la sua storia, da una mattina di guerra del 1940, quando lui tredicenne entra a lavorare in fabbrica, ad una mattina di oggi, quando si alza presto per andare dal medico... Giorgio Felicetti dà vita ad un magnifico affresco della classe operaia e di tutto il ‘900 italiano: “questa storia è anche quello che vedevo e immaginavo da bambino, quando andando a scuola, mi fermavo lì, davanti a quel grande cancello di ferro che chiudeva un mondo di ciclopi, di uomini forti e fieri. Bastava vederli lì fuori dal cancello, con quanta fierezza indossavano le loro tute blu. Ho voluto raccontare quel mondo, scomparso come Atlantide, e le poche tracce di memoria umana rimaste, sono le protagoniste di questa storia.” Una serata di grande pathos e di grande teatro, che rimarrà a lungo nella memoria degli spettatori presenti. (15/07/07) 7 LOCARNO - CH Vita d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve Un progetto teatrale di Giorgio Felicetti “…un vero monologo tragico dei nostri tempi.” Lo spettacolo è stato seguito dal pubblico con altissima concentrazione e molta emozione, come una spettatrice ha spiegato ai microfoni della TELEVISIONE SVIZZERA ITALIANA, che ha realizzato un servizio sull’evento. Il lungo e caloroso applauso che è stato tributato a Felicetti testimonia di un successo sulle cui cause può essere utile meditare. Il mondo della generazione operaia del secondo novecento è raccontato con rara efficacia, con tenerezza e calore unici. La coloritura dialettale del testo, che non ne ostacola minimamente la comprensibilità, produce un inatteso effetto di eleganza: è l’abito della mente del protagonista, ed è commisurato alla semplice e profonda nobiltà dei suoi pensieri e dei suoi ricordi. Ma da cosa nasce questa nobiltà? Il racconto del protagonista narratore, l’operaio Adriano, è condotto sul filo di un potente concetto, mai dichiarato esplicitamente: il concetto della dignità umana. Questo è il cuore del mondo emotivo di “Vita d’Adriano”, un vero monologo tragico dei nostri tempi. La recitazione di Felicetti ha fatto sentire i battiti di questo cuore, l’ha vivificato, ne ha messo in rilievo tutta la bellezza e la grandezza. Le ragioni di un successo così grande stanno nel contenuto e nello stile del testo, e soprattutto nella recitazione di Felicetti, misurata, attenta alle sottolineature, capace di sollecitare aspetti più intimi della vita di Adriano. Vittore Nason, Dirigente di Teatro, Locarno 17 gennaio 2008 8 www.solidarieta.ch CANTON TICINO – Svizzera Vita d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve, di Giorgio Felicetti ( Arzo, sabato 1 settembre 2007) racconta la storia di un operaio che entra in fabbrica praticamente bambino durante la seconda guerra mondiale e ne esce alla fine del secolo scorso, quando la fabbrica chiude. La fabbrica è la Cecchetti, dove in novant’anni hanno lavorato 50mila persone impegnate nella costruzione e nella riparazione di carri e carrozze ferroviarie. Raccontare della Cecchetti vuol dire parlare del lavoro di fabbrica di tutto il ‘900 italiano: le condizioni di lavoro, la presa di coscienza di appartenere a una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti, la chiusura, avvenuta nel 1994, per mancanza di commesse a causa di una presenza terribile all’interno della fabbrica: l’amianto. Lo spettacolo nasce da un lungo lavoro di interviste agli operai e gli autori hanno seguito, nella scrittura, un codice di comportamento che era quello di dire soltanto cose vere. Adriano rappresenta una sorta di archetipo dell’operaio di quelle generazioni e, come tutti coloro che sono stati intervistati, esprime una profonda amarezza dettata dalla sensazione di aver visto radere al suolo, insieme alla fabbrica, anche la propria memoria. “ E’ come se in qualche maniera non fossero esistiti perché il loro è un senso di appartenenza a un mondo che non c’è più. Girandosi intorno troviamo una società che quasi nasconde gli operai. La vera differenza è che allora essere operaio era un atto di nobiltà, c’era un ruolo all’interno della società. Oggi ci si manifesta operaio quasi con vergogna.” afferma Giorgio Felicetti parlando del suo protagonista. Raccontare Adriano e la Cecchetti significa quindi riscattare una memoria che si vorrebbe occultare, ma anche denunciare una realtà che per i protagonisti è impossibile rimuovere: come molti suoi ex colleghi, Adriano è costretto a convivere con il mesotelioma, il cancro provocato dall’amianto nei polmoni. Natalia Genni 9 IL QUOTIDIANO Giorgio Felicetti e il suo "Vita d'Adriano" al rientro dalla tournèe europea Giorgio Felicetti, il regista attore marchigiano, di ritorno in Italia dopo una due giorni a lui dedicata dal Festival Internazionale della Narrazione del Canton Ticino, porterà in scena il suo "VITA D'ADRIANO - Memorie di un cecchettaro nella neve", al Festival dei Teatri Invisibili, venerdì 14 settembre, Teatro dell'Arancio di Grottammare, ore 21,30. La presentazione in Svizzera di "Vita d'Adriano" è stata una grande vetrina per la Provincia di Macerata e per il Festival Terra di Teatri, produttori dell'opera teatrale. Attraverso la Cecchetti e i cecchettari, Giorgio Felicetti dà vita con grande rigore e pathos ad un magnifico affresco della classe operaia di tutto il ‘900 italiano, e al tempo stesso crea uno splendido omaggio alla regione in cui è nato, le Marche, di cui racconta le gesta operaie e usa quell'impasto linguistico gergale vicino al dialetto, che per la prima volta viene usato come lingua teatrale, che tanto ha affascinato gli spettatori d'oltralpe. Al prestigioso Festival ticinese della narrazione, oltre a "Vita d'Adriano" Giorgio Felicetti ha presentato anche il suo "Scarpagnante". Entrambi i monologhi saranno trasmessi nei prossimi giorni dalla Rete Due della Radio Svizzera Italiana, unitamente ad un'intervista che Giorgio Felicetti ha rilasciato alla Radio Svizzera. Il clamore suscitato dalla doppia esibizione di Giorgio Felicetti in questa tournèe europea hanno confermato la qualità del lavoro e il talento dell'artista marchigiano, premiando una volta di più il percorso intrapreso da Felicetti sul recupero della memoria e sul teatro di impegno civile. Protagonista del racconto è un operaio di nome Adriano, che, ironia della sorte, si chiama come il suo padrone, Adriano Cecchetti, figura mitizzata di buona razza padrona. E sono proprio i ricordi dell'operaio Adriano a scandire i ritmi e i tempi del racconto. E Felicetti, nel fluire dei ricordi dell'Adriano, commuove, fa ridere il pubblico, lo porta ad identificarsi con questo uomo, ormai ex operaio. E con maestria da grande narratore sa come farlo. Colpisce al cuore, allo stomaco, alla testa, questo racconto. Perché la vita di Adriano è la vita di tutti quelli che hanno fatto e vissuto "la fabbrica". 14/09/2007 10 TEATRO.ORG Questa è la storia di un uomo, di un operaio e di una fabbrica ma è soprattutto la storia della classe operaia del ‘900 italiano. Vita d’Adriano – memorie di un cecchettaro nella neve di Giorgio Felicetti, in prima milanese al Teatro della Cooperativa di Milano dal 24 ottobre al 2 novembre 2008, è un ritratto che commuove, fa ridere, è un pugno allo stomaco. Una mattina, nel 1940, in periodo di guerra, Adriano Cecchetti, 13 anni, va a lavorare per la prima volta in fabbrica, le Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche e, casualità della sorte, ha lo stesso nome del padrone della fabbrica. In un’ora di monologo denso, in una lingua che fonde il vernacolo marchigiano e l’invenzione, lo spettatore incontra il ragazzino che entra in fabbrica e insieme a lui trova un intero spaccato di vita: gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, la dignità calpestata ma sempre intatta di tanti operai, la presa di coscienza della classe operaia. Trova anche Augusto, un boxeur che vuole solo coronare un sogno: partecipare alle Olimpiadi di Roma nel ’60. Trova un’umanità complessa e variegata, un mondo che sembra non esistere più, un mondo fatto di fatica, di treni, di rotaie, di fonderia, di chiacchiere negli spogliatoi: la memoria passa attraverso le parole dell’attore ma senza toni nostalgici. Poi un giorno, nel 1994, le officine Meccaniche Cecchetti, dove in 90 anni hanno lavorato 50.000 persone, chiudono: la fabbrica è piena di amianto. Tutti a casa. Al posto della fabbrica un centro commerciale, il nuovo che avanza. Adriano racconta e dalla mattina del 1940 in cui comincia la storia del ragazzino operaio, lo si lascia ad una mattina di oggi, quando si alza di nuovo presto ma per andare dal medico. L’amianto non ha smesso di lavorare. Vita di Adriano è un lavoro nato dall’indagine che Giorgio Felicetti ha condotto sulla fabbrica del suo paese di origine, intervistando gli operai, appuntando i loro racconti fino a partorire una storia che a partire da una, ne contenesse molte, come dice lo stesso autore: “ho voluto raccontare quel mondo, scomparso come Atlantide, e le poche tracce di memoria umana rimaste, sono le protagoniste di questa storia.” E ha deciso di debuttare proprio lì, in quella città davanti agli stessi operai che quelle vicende le hanno vissute: “Negli occhi di quegli uomini, così scomodamente seduti da chiedere quasi scusa della loro presenza, tra arazzi e poltrone di lusso di un teatro storico, capivo stupore incredulità e orgoglio: essi vedevano la loro vita diventare un monumento grande un’ora. Tutte queste persone mi hanno insegnato il linguaggio della dignità” (Giorgio Felicetti). 11 Stratagemmi. Prospettive teatrali. Milano Dalle testimonianze al testo. Intervista a Giorgio Felicetti. di Maddalena Giovannelli Il desiderio di fare uno spettacolo sul lavoro in fabbrica, e un vecchio ricordo di bambino che guarda gli operai uscire dai cancelli con la tuta blu: queste sono le motivazioni all’origine di «Vita d’Adriano» di Giorgio Felicetti, che a Milano è andato in scena al Teatro della Cooperativa. Adriano, detto Ninì, è un cecchettaro: cioè un lavoratore alle Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova, la seconda fabbrica più importante delle Marche. È entrato nel 1940 a tredici anni, per la voglia di “fadigà” e di diventare come il suo adorato zio operaio: e lì dentro, in quel mondo a parte, è rimasto fino alla chiusura dello stabilimento nel 1994. In mezzo c’è un’intera vita, ma non solo: c’è anche la storia del lavoro in fabbrica del Novecento italiano. Dopo la morte di Adriano Cecchetti – quel proprietario vecchia maniera ammirato e odiato, “figura mitizzata di buona razza padrona” che con la sua omonimia in qualche modo nobilita Ninì – la fabbrica passa di mano in mano, viene venduta e rasa al suolo. Dopo un’esistenza spesa a riparare carrozze ferroviarie, Adriano vede il suo universo spazzato via: “Hanno tirato su palazzi banche e supermercati, e adesso te pare che ’sta fabbrica non c’è stata mai. Un secolo per costruilla, sognalla, fadigacce, falla cresce, difendela e poi, vendi e compri e vendi e co’ ’na botta de ruspa spacchi tutto”. Felicetti è in scena seduto su una sedia; e il monologo di Adriano scaturisce come una confessione a bassa voce ad un interlocutore immaginario. Il testo, scritto dallo stesso Felicetti in collaborazione con i drammaturghi Francesco Niccolini e Andrea Chesi, ripercorre tutta la vita di Ninì e tocca, senza enfasi e in un tono per così dire anti-teatrale, registri drammatici molto differenti. Si sorride per certi ricordi di scioperi, per gli scherzi con i compagni, per Ciro che lasciava tutto il suo stipendio in beneficenza, per l’incontro con una ragazza testarda che diventerà poi compagna di vita, per quel dialetto marchigiano che è efficace come ogni lingua d’esperienza ma riesce ad arrivare a inconsapevoli tocchi di lirismo. Non è assente però la dimensione del tragico, che affiora nella lotta con un nemico occulto e misconosciuto: l’amianto usato per la coibentazione delle carrozze. Un nemico che non lascia mai Adriano, nemmeno quando ormai lo stabilimento è chiuso ed è tempo di riposare, e invece l’amianto continua implacabile a lavorare nel suo corpo. È un tragico senza enfasi, senza drammi, un tragico raccontato con dignità e privo di autocompiacimento. «Vita d’Adriano» è un testo complesso e completo: per la varietà dei registri, per il dovere di cronaca verso una verità difficile, per la volontà di tracciare, in controluce, l’affresco di un periodo storico, per la responsabilità verso i protagonisti, ancora viventi, del racconto. La fase della vera e propria scrittura è stata preceduta da un lungo periodo di ricerca. Felicetti ha rintracciato gli operai della Cecchetti, “quelli vecchi, quelli andati, quelli senza vergogna”: sono seguiti mesi di interviste, di conversazioni, di rapporti umani. Mesi nei quali i termini tecnici, la struttura dei reparti, le mansioni svolte cominciavano a divenire familiari e “l’immagine di questa immensa mappa di industria e di fatica prendeva forma”. Modi di dire, episodi, linguaggio: tutto questo è confluito dalle testimonianze al testo. Rimanere più fedele possibile alle parole dei cecchettari, alla loro dignità. Non alterare, non teatralizzare, non allontanarsi da quel piccolo scrigno di verità, per quanto possibile: questo è stato l’intento che ha guidato Felicetti nella stesura del testo. Qual è stato il primo passo del vostro lavoro? 12 Sono andato a cercare i vecchi cecchettari. Ho ascoltato centinaia di testimonianze, ho sentito e amato moltissime storie ed episodi. Voglio citare l’operaio Umberto Pancotto, che per me è stato un vero e proprio Virgilio. Poi Pietro Emili, che per la sua lunga attività con il Sindacato, mi ha permesso di ricostruire senza approssimazione agitazioni e scioperi. Invece Augusto Coppini ha ispirato la figura di Augusto, operaio pugile che abbandona i suoi sogni di Olimpiade per un incidente sul lavoro. Da queste conversazioni siete arrivati a un testo. Come? Abbiamo lavorato a sei mani con Francesco Niccolini e Andrea Chesi. Il problema è stato trovare una sintesi dell’enorme materiale che avevamo raccolto con le testimonianze. Così è nato Adriano: in lui c’è qualcosa di ogni operaio che ho incontrato. È stato difficile, perché abbiamo dovuto eliminare molto, e non è stato indolore: dopo mesi che lavori su certi racconti, che li rileggi e ti toccano, non è facile lasciarli da parte. Ma ovviamente non puoi tenere tutto. Adriano parla in un modo particolare. Come avete lavorato sul suo linguaggio? Abbiamo creato un “impasto” marchigiano ottenuto con un lungo lavoro di cesello. L’obiettivo era quello di arrivare il più vicino possibile alla lingua delle persone che avevo ascoltato. E poi si doveva creare un linguaggio vivo, vero. A differenza di altri dialetti, per esempio del napoletano, il marchigiano non è mai diventato lingua da palcoscenico. Questa forse è la prima volta che viene nobilitato a teatro: ed è un piccolo merito che possiamo prenderci. Adriano è un archetipo: quello dell’operaio del secondo Novecento italiano. Però ha anche un forte radicamento territoriale, e il linguaggio è un segno forte di questo radicamento. Infatti tu hai scritto che questo spettacolo per te ha rappresentato un “ritorno a casa”… Proprio così. Avevo deciso di fare un lavoro sulla fabbrica, sulla classe operaia. E’ stato normale attingere ai miei ricordi più lontani. E così sono venute a saldarsi due esigenze che avevo, tornare alla mia terra madre, e quella di parlare della classe operaia. Eppure nelle parole di Adriano si legge un rimprovero per una città che ha dimenticato la sua fabbrica. In effetti è così. Tutto è in rapidissimo cambiamento, si ha l’impressione ora di una folle corsa verso una specie di modernità senza progetto. E’ un po’ lo specchio alterato di tutto il nostro paese. Questa corsa a me pare molto pericolosa: il rischio è quello di cancellare la propria memoria, le proprie origini e la propria storia. Come è possibile che non rimanga nemmeno una targa a testimoniare che in quel luogo c’era una fabbrica che ha modificato la storia dell’intera regione? E gli operai? Come vivono questa rimozione collettiva? Quando si parla di questo argomento, la loro risposta è sempre la stessa: “io di lì non ci voglio più passare, non ci voglio più tornare”. È un dolore troppo forte per loro: è il segno tangibile della loro cancellazione dalla storia. In questo senso forse il tuo spettacolo ha restituito loro qualcosa… 13 Si, credo di si. Ho fatto un’anteprima dello spettacolo solo per i cecchettari. Pensa che al debutto, che è stato nel luglio del 2007, delle mille persone presenti, metà erano ex operai: per loro forse questo VITA D’ADRIANO è stato quel monumento che non hanno mai avuto. Per le tue precedenti drammaturgie hai fatto un lavoro simile a questo? È la prima volta che lavoro su testi e testimonianze di persone viventi. Questo da un lato ti facilita, perché puoi parlare, confrontarti, prendere spunti, continuare a perfezionare. Dall’altro ti carica di una responsabilità enorme. Ma è una bella sfida, la grande commozione e la meravigliata incredulità negli occhi degli ex cecchettari per me è valsa più di qualsiasi elogio di critica. Nella stesura del testo, avete tenuto in considerazione qualche caratteristica particolare del modo di parlare degli operai? Mi ha colpito moltissimo quel modo di raccontare secco, dignitoso, che non lascia nulla alla retorica. Così il nostro obiettivo drammaturgico è diventato la sobrietà, la semplicità. Non è cosa da poco: come dice Peter Brook, la semplicità è una meta, il risultato più difficile… per un regista, quanto per un attore o un drammaturgo. Qual è la tua formazione come drammaturgo? Io nasco soprattutto come attore. Poi viene un momento, nel tuo percorso, che non ti ritrovi più nelle cose che altre persone ti chiedono di fare. Nasce in te l’urgenza di parlare e di fare quello che hai da dire, e in qualche modo senti che è giusto dedicarti a quello. Fino in fondo, fino a creare un testo tutto tuo. Sto lavorando molto sul concepire il teatro come progetto totale. Dallo spettacolo è nato un libro. Hai cambiato qualcosa per la pubblicazione? Non ho toccato quasi nulla. L’unica cosa che ho tenuto sempre presente, per il libro come per il monologo è stato la comprensibilità. Volevo che il racconto di Adriano arrivasse chiaro a tutti. Perché ha molto da dirci: sulla nostra storia, ma soprattutto sul nostro presente. 14