Giovani rifugiati: costruiamo il futuro

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Giovani rifugiati: costruiamo il futuro
No. 28 – Giugno 2003
Servir
Giovani rifugiati: costruiamo il futuro
GIUGNO 2003
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
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EDITORIALE
Giovani rifugiati:
il presente e il futuro
I
l 20 giugno si celebra la Giornata
Mondiale del Rifugiato, un’occasione per riflettere e prendere coscienza delle difficoltà e delle sofferenze che
i circa 50 milioni di rifugiati e sfollati
nel mondo sono costretti ad affrontare. Quest’anno la giornata è stata dedicata ai giovani rifugiati, tema ufficiale sarà dunque: “Giovani rifugiati,
costruiamo il futuro”. La decisione di
focalizzare l’attenzione su questa categoria di rifugiati, particolarmente vulnerabile, è assai significativa.
Secondo l’UNHCR, nella categoria
“giovani” rientrano gli individui tra i 13
e i 25 anni di età – ovvero gli adolescenti e coloro che vivono i primissimi
anni della loro età adulta. Coloro che
rientrano in questa fascia di età sono
esposti a pericoli molto specifici e sono
particolarmente vulnerabili in tempi di
guerra e di conflitto, che sono la principale causa dei fenomeni di sfollamento.
Quando un conflitto colpisce un Paese,
producendo sfollamenti forzati su larga scala, l’istruzione dei giovani è normalmente interrotta, privando a volte
un’intera generazione di quello che è
un diritto basilare. Senza un’istruzione,
i giovani vedono spesso ridursi l’autostima e le opportunità nella vita seriamente ridotte.
I giovani rifugiati affrontano anche altri rischi connessi allo svilupparsi del
conflitto. Spesso sono separati dalle
famiglie o, peggio, traumatizzati dalla
perdita di un genitore, di un fratello o di
una sorella. Sono esposti a rischi di
sfruttamento e/o di abusi e violenze
sessuali, che lasciano profonde cicatrici molto difficili da curare.
Il reclutamento forzato in gruppi armati
o i lavori forzati costituiscono, in tempi
di conflitto, un pericolo soprattutto per
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Giovani studenti nella scuola del JRS nel campo di Osire, in Namibia
i più giovani, nonostante trattati e convenzioni internazionali abbiano dichiarato illegali azioni di questo tipo.
I costi di questi abusi sono altissimi. Che
futuro ha una nazione in cui giovani vite
sono state distrutte da guerre e sfollamenti forzati? Quali opportunità di
sviluppo futuro ha una comunità i cui
giovani sono privi di istruzione e portano le profonde cicatrici di traumi, abusi
o reclutamenti forzati?
È dovere e compito di organizzazioni
come il JRS proteggere i giovani rifugiati da tali abusi e aiutarli a difendere
i propri diritti, come l’istruzione e l’assistenza sanitaria durante il periodo in
cui sono sfollati; ma è anche doveroso
offrire loro attività alternative, come la
formazione professionale e altre iniziative per la generazione di reddito.
Il JRS lavora con centinaia di migliaia
di giovani rifugiati e sfollati in tutto il
mondo, e questo numero di Servir si
occupa dei pericoli a cui sono esposti e
delle risposte che il JRS è riuscito a
dare, con alcuni esempi dall’America
Latina, dall’Africa e dall’Europa. Il numero contiene anche un articolo dedicato alla piaga dei rifugiati birmani in
Thailandia, vecchi e giovani.
Nella giornata mondiale del rifugiato, il
20 giugno, focalizziamo la nostra attenzione su tutti i rifugiati, specialmente
sui giovani, e rinnoviamo i nostri sforzi
per aiutarli a ricostruire le loro vite e a
lavorare per un futuro migliore.
Lluís Magriñà SJ è il Direttore
Internazionale del JRS
REPUBBLICA DOMINICANA
Marciare per il riconoscimento
Melanie Teff
Con l’appoggio del JRS, migliaia di bambini
dominicani privi di documenti hanno marciato per
il riconoscimento del loro diritto di cittadinanza.
I
l 20 marzo 2003, circa 2.000 bambini dominicani privi
di documenti hanno marciato sino al palazzo della Suprema Corte Dominicana per dar forza alla loro richiesta di essere riconosciuti come cittadini dominicani e di
ottenere il rilascio dei loro certificati di nascita. Nel corso
di questa marcia, che è stata la prima marcia pubblica di
questo tipo nella Repubblica Dominicana, i bambini hanno
letto un testo dove spiegavano in che modo la mancanza
di un certificato di nascita condiziona pesantemente le loro
vite – negando loro l’accesso a servizi pubblici, come l’educazione e la sanità, e lasciandoli nella costante paura di essere deportati dall’unico Paese che abbiano mai conosciuto.
La maggior parte di questi bambini è di origine haitiana
ma – nonostante la Costituzione Dominicana affermi che
tutti i bambini nati sul suolo della Repubblica Dominicana
sono dominicani (tranne i figli dei diplomatici e delle persone in transito) – si sono visti negare i loro certificati di
nascita dagli Uffici del Registro Civile dominicano.
Il JRS della Repubblica Dominicana teme che il rifiuto dei
certificati di nascita a questi bambini sia espressione di
pregiudizi razziali e di xenofobia, e che ciò li lasci in una
situazione di permanente emarginazione.
Per questo il JRS lavora, con una rete di organizzazioni
laiche nella Repubblica Dominicana, a una campagna per
il riconoscimento della nazionalità a tutti i bambini nati sul
Melanie Teff è
responsabile
del servizio di
difesa legale
del JRS
Internazionale
e ha lavorato
sul tema
della difesa
dei diritti con
il JRS nella
Repubblica
Dominicana
e ad Haiti dal
2000 al 2003.
GIUGNO 2003
Una giovane dominicana afferma i suoi diritti
suolo della Repubblica. La marcia ha costituito, all’interno
di questa campagna, un’opportunità significativa per i bambini, così toccati dalla politica del governo dominicano, per
perorare loro stessi la loro causa. Della marcia hanno
ampiamente riferito i mass media e si è largamente dibattuto. La data della marcia era stata scelta appositamente
affinché la notizia venisse riportata il 21 marzo – Giornata
Internazionale contro la Discriminazione Razziale.
La marcia
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BURUNDI
Preparando i giovani
a un futuro migliore
Nicolas Dorronsoro
Nel campo per gli sfollati di Kiyange, in Burundi, dove due terzi della popolazione ha meno di 24 anni,
il JRS assiste più di 300 giovani con corsi di formazione professionale, attività culturali e altri servizi.
I
l Burundi attraversa una profonda crisi politica, economica e sociale sin da quando ha conquistato l’indipendenza dal Belgio nel 1962. Il processo di decolonizzazione in Burundi ha dato il via a una lotta per il potere
che ha posto le diverse élites e i diversi gruppi etnici gli uni
contro gli altri. Come in Ruanda, questa battaglia ha rapidamente rivelato una profonda rivalità fra due gruppi: gli
Hutu e i Tutsi.
Nel 1963, l’assassinio del principe Louis Rwagasore –
membro della famiglia reale che era riuscito a mettere
insieme gli Hutu e i Tutsi nel partito politico Unione per il
Progresso Nazionale (UPRONA) – ha segnato l’inizio degli
attuali disordini. Assai scossa dall’ascesa al potere degli
Una giovane madre con il suo bambino in Burundi
Hutu in Ruanda nel 1965, la società burundese è stata
colpita da paure etniche che si sono radicate in settori
significativi della società. Questa paura ha avuto un grande peso nell’istituzionalizzazione dell’esclusione politica e
nella repressione, generando così movimenti pronti a usare
la violenza in modo indiscriminato contro altri gruppi etnici.
L’assassinio nel 1993 di Melchior Ndadaye, il presidente
Hutu, eletto in occasione del primo voto libero nella storia
dello stato, e il colpo di stato del 1996 di Pierre Buyoya, un
Tutsi, hanno determinato la recente storia del Paese. Da
allora, il Burundi è precipitato in una guerra sanguinosa
tra due gruppi armati Hutu – FDD (Forze per la Difesa
della Democrazia) e FNL (Forze di Liberazione Nazionale) da una parte – e l’esercito, dove i Tutsi facevano parte
dei ranghi più elevati ed erano molto numerosi nella sua
composizione. Circa 300.000 persone sono morte nel paese in questi ultimi 10 anni di conflitto.
I civili sono le principali vittime della guerra. All’interno
del Paese gli spostamenti della popolazione a seguito dei
continui attacchi dell’esercito e dei gruppi armati Hutu
costituiscono un grave problema. Ogni giorno hanno luogo uccisioni indiscriminate, violenze, saccheggi, distruzioni delle proprietà e umiliazioni. Nonostante il Burundi sia
tra i firmatari della Convenzione di Ginevra, l’interno del
Paese è un’area senza legge dove gruppi armati operano
nella totale impunità.
Come risultato della violenza, 387.469 sfollati interni attualmente vivono in 226 siti in tutto il Paese, incluso il campo
di Kiyange, dove il JRS lavora dal 1997. Situato a 15 chilometri a nord di Bujumbura, Kiyange fa parte del distretto di Buterere, l’area più povera della capitale.
Quando il campo fu aperto, le condizioni di vita erano estremamente precarie. Migliaia di profughi urbani presenti in
diversi distretti di Bujumbura furono forzati a lasciare la
città alla volta di nuove sistemazioni nei sobborghi, che
mancavano persino delle più basilari attrezzature igieniche. Fu allora che il Vescovo di Bujumbura chiese l’assi-
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BURUNDI
stenza del JRS per rispondere alle necessità più urgenti.
Dopo questa prima fase di emergenza, il compito del JRS
a Kiyange e nel distretto di Buterere si è focalizzato in
due direzioni. Prima di tutto il lavoro è stato indirizzato alle
necessità basilari dei 5.000 profughi di Kiyange: assistenza medica e nutrizionale, ricostruzione delle infrastrutture,
animazione culturale, asili infantili. Successivamente il progetto si è preoccupato di aiutare gli abitanti del campo a
interrompere il ciclo della povertà attraverso lo sviluppo di
attività per la produzione di reddito.
Kiyange è giovane non solo in termini di età del campo ma
anche in termini di popolazione: i giovani al di sotto dei 24
anni rappresentano due terzi dei suoi abitanti. Molti di essi
sono adolescenti, alcuni agli ultimi anni di scuola secondaria, altri mancano completamente di scolarizzazione. La
disoccupazione è il problema fondamentale per i giovani
del campo. La mancanza di opportunità di lavoro rende
l’arruolamento nell’esercito un’opzione reale per molti di
essi, una scelta che determina il destino di migliaia di ragazzi burundesi.
Un altro problema, qui, è l’AIDS che è profondamente radicato nel campo: più del 20% della popolazione di Kiyange
è affetta dal virus HIV (l’UNAIDS mette il Burundi al 13o
posto tra i paesi più colpiti dal HIV nel mondo).
Facendo fronte a queste circostanze, più di duecento giovani uomini e donne, sono assistiti dal JRS con corsi di
formazione professionale in diversi laboratori: forno,
falegnameria, lavorazione di cesti, concia, lavorazione del
cuoio e cucito sono i corsi più frequentati e di maggior
successo. L’istruzione qui non ha un carattere formale, il
possesso di un titolo di studio non è necessario per diventare un apprendista. Gli unici requisiti necessari sono la
voglia di lavorare e il senso di responsabilità personale.
Per far sì che gli studenti non debbano impegnarsi a cercare altre forme di reddito, nel periodo della formazione
ricevono una piccola indennità mensile. Il lavoro è integrato nel contesto di una cooperativa promossa dal JRS
con l’obiettivo dell’auto-sostentamento. I prodotti vengono venduti nei diversi punti vendita del JRS in città.
importante anche per il campo: le canalizzazioni e i pozzi
scavati per le latrine sono un’ottima misura preventiva
contro le inondazioni e per migliorare le condizioni igieniche della zona.
I giovani di Kiyange ci mostrano ogni giorno il desiderio
del popolo del Burundi di una vita pacifica e dignitosa.
Pace non significa solo assenza di guerra ma anche soluzione del conflitto subito dall’intera società. Pace significa
l’avvento di una società giusta in cui tutti i burundesi possano usufruire delle stesse opportunità. Per questo, la
motivazione dei giovani è la nostra speranza.
Lontano da Kiyange, comunque, la situazione politica sembra evolvere molto lentamente. Ci piacerebbe sapere quando arriverà la pace, ma possiamo solo sognare, aiutando
nel frattempo i giovani ad acquisire competenze, a imparare a vivere insieme, a costruire il loro futuro così che
quando la pace giungerà saranno in grado di afferrarla a
piene mani e di costruire un Burundi migliore.
Nicolas Dorronsoro è responsabile
dell’informazione del JRS Grandi Laghi
Due terzi degli abitanti di Kiyange
sono sotto i 24 anni di età
Children living in
Baringa, location of
JRS’ newest project
in DR Congo
Oltre al progetto di formazione professionale, il JRS organizza molte attività culturali che offrono occasione di svago ai giovani del campo: un gruppo di percussionisti, danza
tradizionale e moderna, una compagnia teatrale, un coro
religioso, un movimento di azione cattolica, attività sportive, proiezione di film, colloqui, e una piccola biblioteca.
Una delle attività più apprezzate dai giovani di Kiyange
sono i campi di lavoro estivo. 300 adolescenti e giovani vi
hanno partecipato nell’estate del 2002, e un nuovo campo
estivo è stato preparato per il 2003. L’obiettivo era di
mettere insieme i giovani di Kiyange per lavorare insieme
per due settimane, ma il lavoro realizzato si è rivelato molto
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Rifugiati Karenni in Thailandia
Dove non si può dimenticare:
i rifugiati birmani in Thailandia
Cynthia Buiza
U
na delle situazioni penose che si protrae da più
tempo nell’Asia sudorientale è quella dei rifugiati
birmani in Thailandia. Al momento, secondo i dati
del Consorzio della Frontiera Birmana, ci sono 144.358
rifugiati birmani registrati in diversi campi lungo il confine
tra Thailandia e Birmania. Inoltre ci sono circa un milione
di lavoratori birmani che vivono a Bangkok e nelle province vicine, in una situazione simile a quella dei rifugiati. La
maggior parte dei rifugiati appartiene ai gruppi etnici birmani
Karen, Karenni e Mon. Un numero imprecisato (si stima
fra i 100.000 e i 300.000) di rifugiati provenienti dallo Stato birmano di Shan vive fuori dai campi nel nord-est della
Thailandia, e questi, dopo essere stati costretti a fuggire
dal loro Paese, sono ancora più esposti ad abusi e violazione dei loro diritti.
Il grande afflusso di rifugiati birmani in Thailandia cominciò nel 1984, quando l’esercito birmano penetrò nello stato dissidente di Karen e stabilì sue basi al confine con la
Thailandia. A quel tempo, un vasto sforzo internazionale
provvedeva al sostegno di circa 500.000 rifugiati cambogiani
al confine orientale della Thailandia. Nonostante l’UNHCR
non sia stato coinvolto fino al 1998, la Thailandia permise
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a questi rifugiati di restare sul suo suolo ricevendo aiuti da
diverse ONG che lavoravano attraverso il Comitato per il
Coordinamento dei Servizi ai Profughi in Thailandia. Fino
al 1988, i rifugiati erano per lo più immigrati che tornavano
in Birmania appena diminuiva l’intensità dei combattimenti
e alla fine di ogni stagione delle piogge. Dopo la soppressione di ogni dimostrazione in favore della democrazia nel
1988, e dopo il fallimento delle elezioni democratiche del
1990, un gran numero di esponenti della popolazione civile, giovani studenti e altri, che si battevano per la democrazia fuggirono in Thailandia in cerca di protezione. Da
allora, e a causa delle continue violazioni dei diritti umani
negli Stati confinanti, c’è stato un numero sempre crescente di richiedenti asilo in Thailandia.
Mancanza di protezione
In Thailandia, definire cosa sia un rifugiato è materia delicata. Il governo non è tra i firmatari della Convenzione di
Ginevra sui Rifugiati del 1951, né del Protocollo del 1967,
e, secondo la legislazione nazionale, i richiedenti asilo in
Thailandia sono tecnicamente “immigrati illegali”. Verso
la fine degli anni ’90, la politica thailandese si è ufficial-
THAILANDIA
mente espressa definendoli “profughi che fuggono dai combattimenti” (invece che rifugiati) e parlando di “rifugi temporanei” (invece che campi per rifugiati). Comunque, nella
pratica, i birmani sono riconosciuti “de facto” come rifugiati e come gruppo che ha diritto di richiedere asilo.
il rimpatrio è possibile solo quando le condizioni nel Paese
di origine sono cambiate e le cause di conflitto sradicate
definitivamente. Questo non è vero per la Birmania. Allo
stesso tempo, la Thailandia sta attivamente perseguendo
una futura politica di rimpatri.
Questo riconoscimento ha permesso all’UNHCR e ad altre organizzazioni umanitarie di fornire servizi ai rifugiati
anche in assenza di una chiara politica. L’atteggiamento
generale del governo di Bangkok è stato quello di assistere i profughi su base umanitaria, una situazione simile a
quella dei rifugiati indocinesi negli anni ’70.
Sotto il presente regime, le autorità birmane negano ogni
responsabilità per i rifugiati accampati lungo il confine tra
Thailandia e Birmania. La posizione del regime passa da
un deciso negare l’esistenza dei rifugiati, al collegare i rifugiati con le forze ribelli. Dopo l’11 settembre, il reinsediamento in Paesi terzi è sempre più spesso una soluzione
alternativa per molti rifugiati birmani e non-birmani che
attualmente vivono in Thailandia.
La mancanza di un quadro normativo definito che preveda
la protezione totale dei rifugiati ha contribuito ad aumentare
la loro insicurezza e a nascondere insidiose violazioni dei
loro diritti. Queste violazioni vanno dagli oltraggi gravi –
come le violenze sessuali e quelle legate alla discriminazione di genere contro le donne rifugiate, commesse sia dai
soldati thailandesi che dai rifugiati stessi – ai confinamenti
prolungati nei campi senza alcun diritto di lavorare o senza
alcuna libertà di movimento (i campi per i rifugiati sono
recintati); alle limitazioni dell’istruzione per i bambini e per i
giovani; alla crescente demonizzazione dei rifugiati.
La vulnerabilità dei rifugiati birmani in Thailandia non è
aiutata dalle relazioni molto cordiali tra il governo thailandese e l’attuale governo birmano. Ciò si accorda con la
politica corrente di impegno costruttivo nei confronti della
Birmania condotta dagli Stati membri dell’ASEAN.
La protezione dei rifugiati
dopo l’11 settembre
La necessità di migliorare la protezione dei rifugiati non è
mai stata così critica come dopo gli eventi dell’11 settembre.
Le severe restrizioni imposte ai richiedenti asilo e ai rifugiati
hanno peggiorato ulteriormente la situazione dei rifugiati.
Dopo l’11 settembre, la giunta birmana non ha perso tempo
nell’etichettare i sostenitori dei vari gruppi etnici nella zona
di confine e gli attivisti esiliati in Thailandia, come terroristi.
Questo ha portato all’applicazione di regole più ristrette, ad
aumentare la sorveglianza sugli attivisti politici birmani che
vivono in diverse zone della Thailandia e ad attuare restrizioni nei confronti delle ONG che assistono i rifugiati birmani.
Nel frattempo i profughi interni della Birmania, attualmente
stimati tra 600.000 e un milione di persone, continuano a
fuggire per salvare le loro vite, e le ONG continuano a cercare strategie alternative per essere loro vicine.
Dove non si può dimenticare
I rifugiati che continuano ad arrivare nei campi in Thailandia esprimono bene la portata della crisi umanitaria in Birmania. Circola sufficiente informazione per stimolare
un’iniziativa meglio concertata della comunità internazionale per dare, al di là del contesto contingente, una risposta a questa situazione. Le disperate condizioni in cui si
trovano i profughi birmani potrebbero un giorno provocare un problema umanitario su larga scala che si aggiungerebbe a quello già esistente. È cruciale per le agenzie
dell’ONU e per le organizzazioni internazionali valutare i
rischi e gli scenari, e formulare soluzioni praticabili.
Cynthia Buiza è responsabile
dell’informazione del JRS Asia del Pacifico
Rifugiati Karenni
In questo scenario, è molto problematico immaginare una
soluzione durevole della situazione dei rifugiati birmani.
Le classiche norme della protezione dei rifugiati – rimpatrio volontario, integrazione e reinsediamento – diventano
una vera e propria sfida quando si affronta il problema dei
rifugiati birmani. In termini internazionalmente accettabili,
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COLOMBIA
Aiutare i profughi
ad aiutare sé stessi
Jorge Serrano SJ
Jorge Serrano SJ, ex direttore del JRS Colombia, ci offre le sue riflessioni sul lavoro con i profughi e
sulle particolari sfide con cui si confrontano i giovani in situazioni di conflitto.
I
n occasione di uno scambio di informazioni con il
JRS Africa occidentale circa il loro lavoro con i
rifugiati, ho riflettuto su alcuni aspetti importanti
della mia esperienza di lavoro con gli sfollati interni in
Colombia. C’è una grande differenza tra il lavorare
con i rifugiati e il lavorare con gli sfollati interni. Quando qualcuno diventa un rifugiato, vuol dire che è scappato dal suo Paese ed è entrato in un’altra nazione
confinante dove può aspettarsi di ricevere assistenza
legale e materiale e aiuti dall’UNHCR, dai governi e
da altre organizzazioni il cui mandato e il cui dovere è
proteggere i rifugiati.
Invece, quando una persona resta sfollata all’interno
del proprio Paese, deve continuare a vivere sotto lo
stesso regime che spesso è il primo responsabile del
problema che l’ha costretta a fuggire. Un’organizzazione che lavora con gli sfollati interni deve coprire
tutti i loro bisogni, dal momento che spesso non viene
riconosciuto loro nessun diritto in termini di protezione internazionale, legale e fisica.
Nel nostro lavoro con gli sfollati interni spesso siamo
coinvolti in questioni politiche, una materia spinosa
che tocca anche il problema dell’imparzialità. Quando parlo di politica non voglio dire che ci impegniamo
in discussioni politiche o che sosteniamo singoli esponenti politici, ma che siamo impegnati a creare un
Giovani profughi in Colombia
ambiente nel quale la società civile possa riemergere
come una forza positiva per un cambiamento nel
Paese. Noi aiutiamo i singoli individui a diventare soggetti politici, a riconoscere i propri diritti e i propri
doveri, a essere consapevoli di poter incidere sui processi che condizionano la loro vita e quella delle loro
comunità, così che possano non avere più bisogno
del nostro aiuto e camminare con le proprie gambe.
Persone i cui diritti basilari sono stati negati per un’intera generazione diventano soggetti politici quando
diventano consapevoli che l’istruzione è un loro diritto basilare, non un favore, ma un diritto costituzionale; quando capiscono che l’assistenza sanitaria in
ospedale è un diritto perché sono persone e non perché il dottore appartiene al loro stesso partito politico.
In Colombia, il JRS non ha mai intrapreso nulla senza
aver prima verificato cosa la gente si aspettasse. Chiediamo loro quali sono i loro bisogni. Potrebbero dire
che non hanno bisogno di nulla, noi risponderemmo
“va bene, se però doveste avere bisogno di qualcosa in
futuro noi ci saremo”. In questo consiste il costruire
un rapporto di fiducia con i profughi, quando essi comprendono che il JRS ha a cuore il loro interesse.
Più del 50% dei profughi in
Colombia ha meno di 18 anni
La vita per i giovani profughi interni in un Paese lacerato da un conflitto può essere dura, specialmente
nelle zone rurali dove non ci sono opportunità di frequentare la scuola, di guardare la televisione, di andare a ballare o di giocare a calcio o a pallacanestro.
La vita in un ambiente rurale offre aria buona e un’atmosfera non inquinata, ma non evoca memorie piacevoli in coloro che sono stati obbligati a lasciare le
loro case. Dall’infanzia gli sfollati interni devono lavorare sodo, devono camminare, a volte per 5 km
ogni giorno, per andare a prendere l’acqua; devono
sfamare i maiali che allevano. Alcuni di essi sono
andati a scuola per 3 o 4 anni, ma magari sono rima-
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COLOMBIA
sti tutto il tempo nella stessa classe perché non c’erano
insegnanti per i livelli successivi.
L’ascolto di quello che i giovani hanno da dire è parte
integrante di ogni programma del JRS in Colombia.
Una politica del JRS è quella di lavorare apertamente con tutti gli sfollati interni, invitando tutti, donne,
uomini, giovani e bambini, a prendere parte ai processi decisionali. L’obiettivo è quello di offrir loro l’opportunità di esercitare il “diritto di dire la loro”. È un
compito duro perché i vecchi capi ritengono che solo
gli uomini anziani (non le donne) abbiano il diritto di
parlare. Il lavoro del JRS consiste, appunto, nel facilitare questo processo.
Il JRS aiuta i giovani anche nella ricerca di nuove
opportunità di lavoro nel nuovo ambiente in cui sono
inseriti. Nel 2000, a Barrancabermeja, il JRS ha partecipato con altre quattro agenzie a un programma di
formazione professionale nel settore della meccanica rivolto a 45 giovani (uomini e donne). Nel 2001, un
programma congiunto con la parrocchia e la Croce
Rossa locale a Tierralta, Cordoba, ha coinvolto 13
giovani (uomini e donne) in attività di formazione, attività per la produzione di reddito e un programma
per facilitare l’accesso all’istruzione.
In un altro importante programma che stiamo sviluppando a Barrancabermeja, il JRS lavora per far sì
che i giovani non si uniscano ai vari gruppi armati in
conflitto. Questo programma, iniziato nel 2001, si svolge in 7 scuole, coinvolgendo insegnanti, genitori e 300
giovani tra gli 8 e i 18 anni. Con questo programma, il
JRS tenta di creare un nuovo ambiente nel quale i
giovani possano sperimentare una giovinezza normale. Il JRS vuole aiutare genitori e professori a diventare “accompagnatori nella formazione delle capacità
di reagire” con l’obiettivo di offrire a questi giovani
gli strumenti per rispondere alla sfida di vivere in uno
stato di povertà che nega i loro diritti umani.
In Colombia abbiamo sempre tentato di lavorare per
rendere più forti gli individui e le comunità, affinché
siano consapevoli dei loro diritti e si sentano in grado
di perorarli, fronteggiando i gruppi e il sistema che li
offendono e li feriscono. Il processo è all’inizio: si
parte con l’informazione, parlando con i medici e richiedendo l’accesso alle cure mediche; consiste nell’affrontare i presidi con i codici delle leggi alla mano,
obbligandoli ad ammettere i giovani profughi nelle
scuole. Ma consiste anche nell’informare i genitori
sui diritti dei loro figli, così che i figli possano diventare consapevoli sin dalla più giovane età di avere dei
diritti. È un processo a lungo termine, che vuole portare a un cambiamento radicale negli atteggiamenti,
non a una rapida soluzione temporanea.
Jorge Serrano SJ è stato Direttore
del JRS Colombia dal 1996 al 2002
Il lavoro del JRS con i giovani rifugiati
Qualche altro esempio del lavoro del JRS con i giovani:
• VENEZUELA: Il JRS offre assistenza sanitaria ai giovani rifugiati dalla Colombia e appoggio psicologico agli adolescenti. Il programma prevede anche un
processo di riconciliazione.
• THAILANDIA: Il progetto del JRS al confine thailandese-birmano ha avuto grande impatto nello sviluppo dei giovani rifugiati Shan, con 300 studenti
accompagnati nella loro istruzione.
• BOSNIA-ERZEGOVINA: Da quando è stato attivato,
nel 1998, il programma per giovani vittime delle mine
ha assistito 300 sopravvissuti. Esso comprende anche
un campo annuale di riabilitazione per 30 giovani.
• SUDAFRICA: A Pretoria e Johannesburg, più di 100
rifugiati minori non accompagnati sono assistiti attraverso un programma di affidamenti e con supporti economici per la loro istruzione.
• KENIA: Assistenza giornaliera e terapia psicologica
sono offerte a più di 110 giovani rifugiati, traumatizzati e malati mentali, nel campo di Kakuma.
• AFRICA: I beneficiari dei progetti di istruzione del
JRS in Africa sono più di 76.000.
• NEPAL: Il JRS assiste la Caritas del Nepal con progetti
educativi nel contesto di un progetto su larga scala
che include il supporto, nelle scuole del campo, a 946
studenti particolarmente bisognosi di sostegno.
GIUGNO 2003
• ITALIA: Finestre – Storie di Rifugiati, un programma
per far crescere la consapevolezza sulle problematiche dei rifugiati e dei richiedenti asilo condotto
nelle scuole secondarie, ha raggiunto 1.600 studenti nel 2002.
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MALTA
Giovani volontari: la spina
dorsale del JRS Malta
Danielle Vella
Con l’aiuto di molti giovani volontari, il JRS Malta ha avviato un progetto per
fare uscire i minori non accompagnati dai centri di detenzione per i rifugiati.
L’ONU afferma
senza possibilità
di equivoco che
i “minori non
accompagnati”
richiedenti asilo
non dovrebbero
essere detenuti.
La festa di Natale
del JRS Malta
10
N
on abbiamo libertà. È come una
prigione. Mangiamo e dormiamo, nient’altro. Tigist (non è il suo
vero nome) sta parlando della vita a Malta.
La ragazza etiope, 16 anni, è detenuta dalle
autorità perché è entrata a Malta senza
documenti validi. È una cosiddetta “clandestina”, che ha violato i regolamenti per
l’immigrazione. “Se passate una giornata
qui, vi accorgerete di quant’è difficile”, continua Tigist, tentando di esprimere la cupezza
della vita da reclusa.
Tigist è dietro le sbarre con centinaia di altre
persone, per lo più provenienti da Etiopia,
Eritrea, Somalia e Iraq. La politica governativa è stata di detenere gli immigrati irregolari dal momento dell’arrivo, alcuni sono stati
reclusi per circa un anno. Dice Tigist: “Non
ci permettono di uscire, non vediamo mai il
sole. Se i soldati sono molto gentili, ci lasciano uscire, ma non lo fanno sempre. Hanno
paura che scappiamo, ci dicono.”
Alcuni gruppi di detenuti soffrono più di altri, specialmente i giovani che sono soli.
Ganet, 15 anni, è un’altra richiedente asilo
detenuta da nove mesi. Orfana, è rimasta
sola da quando aveva 12 anni, quando è
stata separata dai suoi fratelli maggiori durante una deportazione forzata di gruppo
dall’Etiopia all’Eritrea. “Sarebbe stato meglio se fossi morta nel mio Paese. Per quattro anni sono stata sola. Ora ho aspettato
mesi per nulla. Sono stanca. È come una
prigione e sento che è troppo”, dice Ganet.
L’ONU afferma inequivocabilmente che i
“minori non accompagnati” richiedenti asilo non dovrebbero essere detenuti e che
strategie alternative dovrebbero essere assunte da parte delle autorità responsabili
della tutela dei minori. La responsabilità legale per i minori attualmente detenuti a
Malta ricade sul governo e, in linea con la
legge internazionale e nazionale, si stanno
facendo dei passi per sistemare i minori –
che hanno avuto il riconoscimento dello
status di rifugiati o della temporanea protezione umanitaria – nella comunità. Il JRS
durante questi tentativi era in prima linea;
da gennaio abbiamo lavorato insieme ai
servizi sociali del governo per allestire una
sede residenziale nella comunità e così rispondere alle esigenze di circa 20 minori.
L’affidamento è stato identificato come una
possibile opzione a lungo termine, ma è urgente trovare una soluzione più veloce, una
casa/residenza sarà la risposta iniziale.
Il JRS è aiutato da volontari il cui entusiasmo e impegno si stanno dimostrando indispensabili: un primo nucleo di studenti e
giovani professionisti che già collaborano
ai nostri progetti ha immediatamente offerto il suo supporto e ancora altri si sono fatti
avanti in risposta a una richiesta di aiuto. I
MALTA
preparativi fervono. I mobili sono stati ordinati, i lavori di restauro dei locali sono in
corso, e i volontari sono al lavoro per dipingere, andare a prendere e trasportare gli
arredi, cercare donazioni e fondi aggiuntivi.
trebbe fermarla. O Thomas, che nonostante il suo impegno di studente di medicina,
visita ogni settimana un centro di detenzione
e, ogni fine settimana, prende i bambini dei
rifugiati e li porta a vivere nella comunità.
Nel frattempo, il JRS e gli operatori sociali
del governo stanno cooperando nella selezione e formazione del personale e nel pianificare le procedure per la gestione della
casa. Quando la sede sarà operativa, il JRS
provvederà a trovare volontari per collaborare con l’équipe degli operatori della casa
durante il giorno e per promuovere attività
indirizzate all’integrazione e allo sviluppo
personale. Molti volontari, giovani e meno
giovani, si sono messi in lista per essere inseriti nel servizio e ora si incontrano settimanalmente per elaborare idee per le attività
sociali. Così abbiamo cori, classi di aerobica, pittura, cucina e tante altre attività che i
minori potranno scegliere.
A fronte dell’aumento dell’incremento degli arrivi di immigrati irregolari a Malta nell’ultimo anno, nel Paese c’è stata anche una
crescita nel pregiudizio. Quindi la dedizione
dei giovani che vogliono
cambiare tutto ciò e tenUna giovane rifugiata a Malta
dere la mano ai rifugiati
e agli immigrati irregolari è una fonte di incoraggiamento. Come Katie e
Patsy, studentesse della
stessa scuola che, vergognandosi del comportamento dei loro compagni,
hanno offerto i loro servizi al JRS. Ora insegnano inglese ad alcune
famiglie nella comunità e
sperano di collaborare
nel nuovo progetto.
All’apertura della sede, i minori saranno rilasciati. Non sarà mai troppo presto dal
momento che ogni giorno diventano più frustrati e depressi. Nell’attesa l’équipe del JRS
e i volontari li visitano quotidianamente per
tirarli su di morale e per assicurali che ci
sono persone fuori che stanno facendo del
loro meglio per accelerare le cose.
Siamo stati testimoni altre volte dello stesso accanimento dei volontari nel fare tutto
quello che possono e sempre di più. Volontari impegnati, con diverse esperienze di
vita, formano la spina dorsale dei nostri servizi: visitano le famiglie rifugiate e gli immigrati detenuti, forniscono consulenza legale,
insegnano inglese, aiutano i bambini nel
doposcuola e ora supportano l’ultimo progetto per i minori non accompagnati. La
cosa più importante è che i volontari accompagnano davvero i rifugiati: di solito iniziano con visite settimanali per insegnare
l’inglese o per offrire altre forme di assistenza, ma presto sorge una vera amicizia
e aiutano i rifugiati a integrarsi nella società maltese.
La loro dedizione può essere notevole.
Prendete, ad esempio, Marie-Claire, una
studentessa di fisioterapia di 17 anni, che
raggiunge in bicicletta ogni sabato un campo di detenzione per giocare con i bambini
reclusi. Neanche una pioggia intensa poGIUGNO 2003
Come operatori del JRS,
senza i nostri volontari, ci
saremmo probabilmente
scoraggiati già da molto
tempo. Loro ci spingono
a perseverare quando i
tipici contrattempi – la
disperazione dei detenuti, le politiche ingiuste e
inflessibili del governo, la
quasi totale mancanza di
servizi della comunità –
sembrano sopraffarci.
Oltre al sostegno morale, sarebbe fisicamente impossibile realizzare la maggior
parte di quel che facciamo senza l’apporto
dei volontari. Negli anni, i volontari ci hanno aiutato a dar forma ai nostri servizi con
creatività e dedizione. Il nostro più recente
contributo, il progetto per i minori non accompagnati, è fattibile solo grazie al loro
aiuto e noi siamo ansiosi di vivere questa
eccitante avventura insieme.
Negli anni,
i volontari ci
hanno aiutato
a dar forma ai
nostri servizi
con creatività
e dedizione.
Danielle Vella è responsabile
dell’informazione del JRS Malta
11
Come aiutare una persona
L
• Per provvedere all’assistenza medica
di un richiedente asilo in detenzione
temporanea a Bangkok, Thailandia
a missione del JRS è quella
di accompagnare, servire e
difendere i diritti dei rifugiati
e degli sfollati, specialmente
coloro che sono dimenticati e
la cui situazione non attira
l’attenzione internazionale.
Lo facciamo attraverso i nostri
progetti in più di 50 paesi in
tutto il mondo, dando
assistenza tramite istruzione,
assistenza medica, lavoro
pastorale, formazione
professionale, attività
generatrici di reddito e molte
altre attività e servizi ai
rifugiati.
$15 USA
• Per educare un bambino rifugiato
per un anno in Tamil Nadu, India
$50 USA
• Per provvedere a un rifugio di emergenza per una famiglia sfollata in
Guinea, Africa Occidentale
$50 USA
• Per pagare lo stipendio mensile
di un insegnante in un campo
profughi in Angola (Viana)
$60 USA
• Per assistere un rifugiato urbano
in Etiopia con supporto medico,
finanziario, educativo o psicologico
Il JRS può contare soprattutto
su donazioni da parte di
privati, di agenzie di sviluppo
e organizzazioni ecclesiali.
$60 USA
• Per assistere un bambino vittima
delle mine a Sarajevo, in BosniaErzegovina, con supporto medico,
materiale, educativo o psicologico
Alcuni esempi di come
vengono utilizzati
i fondi del JRS:
$570 USA
SOSTIENI IL NOSTRO LAVORO CON I RIFUGIATI
Il vostro continuo sostegno rende possibile per noi l’aiuto ai rifugiati e richiedenti
asilo in più di 50 nazioni. Se desideri fare una donazione, compila per cortesia il
tagliando e spediscilo all’ufficio internazionale del JRS. Grazie per l’aiuto.
(Si prega di intestare gli assegni all’ordine del Jesuit Refugee Service)
Desidero sostenere il lavoro del JRS
Ammontare della donazione
Allego un assegno
Cognome:
Nome:
Indirizzo:
Città:
Servir è pubblicato dal Jesuit
Refugee Service, creato da
P. Pedro Arrupe SJ nel 1980.
Il JRS, un’organizzazione
cattolica internazionale,
accompagna, serve e difende
la causa dei rifugiati e degli
sfollati.
Direttore:
Francesco De Luccia SJ
Direttore Responsabile:
Vittoria Prisciandaro
Produzione:
Stefano Maero
Servir è disponibile
gratuitamente in italiano,
inglese, spagnolo e francese.
e-mail: [email protected]
indirizzo: Jesuit Refugee Service
C.P. 6139
00195 Roma Prati
ITALIA
fax:
+39 06 687 9283
Dispatches, un bollettino
quindicinale via e-mail che
raccoglie notizie sui progetti del
JRS nel mondo, riflessioni
spirituali e informazioni sulle
possibilità di lavoro all’interno
del JRS, è disponibile
gratuitamente in italiano,
inglese, spagnolo e francese.
Per abbonarsi a Dispatches:
http://www.jrs.net/lists/manage.php
Foto di copertina:
Burundi; Mark Raper SJ/JRS
Foto di:
Joanne Whitaker RSM (p. 2 in alto);
JRS Repubblica Dominicana (p. 3);
Lolín Menéndez RSCJ/JRS (p. 4);
Amaya Valcárcel/JRS (p. 5);
Lluís Magriñà SJ/JRS (pp. 6 e 7);
Ledys Bohórquez/JRS (p. 8);
Darrin Zammi Lupi (pp. 10 e 11),
Mark Raper SJ/JRS (p. 12).
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