Untitled - narrativAracne
Transcript
Untitled - narrativAracne
6 Edvige Gioia A ritroso Copyright © MMXV ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it www.narrativaracne.it [email protected] via Quarto Negroni, 15 00040 Ariccia (06) 93781065 isbn 978-88-548-8135-8 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’editore. I edizione: febbraio 2015 A mia sorella, che è sempre nel mio cuore Elena Era ormai vicina ai settant’anni. Si guardava indietro e non le sembrava vero che fosse passato tutto quel tempo: era come se la sua vita fosse trascorsa in fretta, troppo in fretta, bruciando rapidamente tutte le tappe. Fino ai sessant’anni non aveva avvertito nessun cambiamento degno di rilievo: si sentiva ancora giovane e aveva difficoltà a identificarsi con i suoi coetanei che le sembravano “vecchi”, sia nell’aspetto fisico che, spesso, nel modo di pensare e di guardare alla vita. Provava uno strano spaesamento nel partecipare agli incontri collettivi delle associazioni – poche – di cui faceva parte. Non si rivedeva nel gruppo, sarà perché era sempre stata un’individualista, un cane sciolto che non si era mai irreggimentato in un’organizzazione, fosse un partito o un sindacato. Del resto si era sempre sentita più un Io che un Noi, la sua vita si era svolta su un binario abbastanza solitario, in cui veniva dato poco spazio alle amicizie e al 7 Gioia 8 confronto con gli altri, fatta eccezione per la sua famiglia. Da un po’ di tempo però sentiva che qualcosa stava cambiando: non che fisicamente stesse male, ma incominciava ad avvertire con maggiore acutezza il passare del tempo e talvolta pensava alla morte, idea che le era stata sempre estranea ma che pian piano si stava insinuando dentro di lei. Le capitava abbastanza spesso di soffermarsi sulle sue cose, la casa che aveva costruito con il marito, il giardino a cui aveva dedicato tanto tempo e passione, i suoi oggetti personali, i suoi libri – tanti, che continuavano ad aumentare – e immaginava la sorte che avrebbero avuto dopo la sua morte, in quali mani sarebbero finiti, se in mani affettuose e rispettose di lei e del suo ricordo oppure in mani indifferenti e pronte a disfarsene velocemente. La stessa cosa le capitava con i luoghi a cui era particolarmente affezionata: il mare della sua cittadina, le montagne che la circondavano a nord proteggendola dai venti freddi e che aveva spesso visto raffigurate in stampe dell’Ottocento, immutabili, all’apparenza sempre uguali a sé stesse, impassibili di fronte agli eventi umani. Aveva la netta sensazione, difficilissima da accettare per il suo inconscio e che attraversava la soglia della coscienza solo per qualche secondo, del suo non esserci su questa terra, e le sembrava ingiusto che tutto continuas- A ritroso se senza di lei: questo le sembrava inaccettabile, più che l’idea della morte. Elena aveva ancora fame di vita, anche se molte passioni si erano ormai sopite, se il sesso non aveva più una parte centrale nella sua esistenza, se gli entusiasmi giovanili si erano smorzati negli anni. Si chiedeva che senso avesse la vecchiaia: era un’età per lei ancora psicologicamente lontana, ma forse dipendeva dal fatto che non aveva ancora subito l’aggressione feroce di quelle malattie che logorano, provocano sofferenza e fanno desiderare, a lungo andare, la morte. Col tempo si sentiva più matura anche se non più saggia, stava raccogliendo i frutti del lavoro di una vita, aveva dei nipoti che amava e che le davano l’unico senso di continuità o addirittura di immortalità che riteneva possibile, non avendo la consolazione della fede. Ma era veramente tutto qui? Ritornavano stranamente ad assillarla le domande cosmiche alle quali durante l’adolescenza non aveva saputo dare risposte e che erano rimaste in sospeso, sebbene fossero passati quasi sessant’anni: Dio, la fede, l’origine dell’umanità e il suo futuro, il vero significato dell’esistenza. Aveva letto moltissimo in quegli anni, sempre, ininterrottamente, ma non era avanzata di un passo sulla strada della conoscenza. Stava vivendo uno strano periodo, divisa tra la curiosità del futuro e i ricordi del passato. 9 Gioia Aveva ormai lasciato da tempo il suo lavoro di dirigente scolastico e, nonostante le grandi soddisfazioni che ne aveva ricevuto, le sembrava che la donna che per tanto tempo aveva svolto quell’attività con competenza e passione fosse un’altra, un’altra sé stessa, una delle tante possibili oggettivazioni di sé che avrebbero potuto realizzarsi nel corso della sua vita, in circostanze diverse o in mondi paralleli. Comunque il lavoro non le mancava, l’aveva sostituito con diversi interessi e attività. Quello che le mancava era la forte carica emotiva che l’aveva sempre caratterizzata, la voglia di vivere in modo intenso e appassionato. Le mancavano le emozioni forti, tipiche della giovinezza, sostituite da rapporti più tiepidi e amicali. Pensava a questo tra sé in quel pomeriggio di novembre, un periodo, quello autunnale, che non le era mai piaciuto, per il grigiore e la malinconia dei giorni di pioggia, per il buio che arrivava sempre più presto man mano che si accorciavano le giornate. Era seduta sul divano, con un libro in mano che stranamente non riusciva a leggere, per le continue divagazioni del pensiero che si muoveva tra passato e futuro. Era in uno stato di trance, intorpidita dal rumore incessante della pioggia che continuava a cadere… Era nata nel secondo dopoguerra, in una cittadina in piena fase di ricostruzione, dopo che erano 10 A ritroso state gettate a mare, sia in senso fisico che metaforico, le macerie dei bombardamenti. La sua era una famiglia modesta dove si parlava ancora in dialetto, ma la cultura era considerata importantissima, l’unico mezzo per elevarsi socialmente. I suoi primi ricordi risalivano all’infanzia, ai frequenti litigi tra i suoi genitori, a cui assisteva con l’anima in subbuglio: sua madre, Alida, una donna forte e volitiva, aggrediva spesso urlando suo padre perché non si faceva pagare per il lavoro svolto, era un modesto muratore, e a casa non c’erano soldi sufficienti per comprare da mangiare. Il padre le era rimasto estraneo a lungo, confinato ai margini della sua vita dall’astio materno. Da piccola faceva fatica a parlargli o anche solo a dargli un bacio sul volto mal rasato che le pungeva le guance. Ma lui era riuscito a trovare un modo di avvicinarsi a lei, portandosela dietro tutte le domeniche e facendole condividere i suoi interessi, il calcio, le partite domenicali e lo sport in genere, che insieme andavano a vedere da amici che avevano la fortuna di possedere uno dei primi televisori del rione popolare nel quale vivevano. Poi, finita la partita o la tappa del Giro d’Italia, la ricompensava per la sua pazienza portandola al cinema. Non conservava ricordi molto lontani nel tempo e continuativi: aveva degli sprazzi di memoria, legati a episodi che le si erano impressi a fuoco 11 Gioia nella mente, come quello della morte della nonna materna, Sara. Ricordava, con grande precisione di dettagli, che era una giornata di inizio primavera ancora molto fredda e che lei era stata mandata da una vicina perché non assistesse all’agonia della nonna; lì si trovava, in preda ad accessi di tosse dovuti a una fastidiosa faringite, mentre il padre e gli zii scendevano a braccia la bara della nonna, lungo le scale dagli alti e scomodi gradini che portavano dal sottotetto in cui abitavano fino al piano terra. Aveva come l’impressione, tra le lacrime che scendevano e si mescolavano con il muco, che nemmeno lei sarebbe sopravvissuta, perché respirava a fatica, continuamente interrotta nel respiro dalla tosse secca e insistente che le martoriava la gola. Un altro ricordo legato alla casa della nonna Sara, prima della sua morte, era quello del giorno in cui si era svegliata (era rimasta a dormire da lei) e aveva avuto l’incredibile sorpresa di vedere tutto il paesaggio coperto di neve. Lei non l’aveva mai vista la neve, ed era uno spettacolo da mozzare il fiato. Nei giorni precedenti aveva fatto molto freddo e in casa si erano scaldati come potevano, con i bracieri di rame riempiti con la brace di carbonella. Bastava allontanarsi un po’ dal braciere per sentire di nuovo freddo. La notte poi c’era stato 12 A ritroso un grande, irreale silenzio e la mattina la scoperta della neve. Era elettrizzata, avrebbe voluto scendere in strada e mettersi a giocare, toccare finalmente quella sostanza sconosciuta, all’apparenza soffice come panna. Non le avevano permesso, la madre e la nonna, di unirsi agli altri bambini del quartiere, ma l’avevano fatta uscire dalla finestra del sottotetto che dava su un terrazzo esterno, coperta fino all’inverosimile con un vecchio giaccone della madre e una sciarpona di lana avvolta attorno al collo. Alida le raccomandava di camminare con prudenza, perché sarebbe potuta scivolare. Lei non l’ascoltava, completamente presa dalla novità e dall’attrazione per la neve; l’aveva toccata, era gelata, ma non le importava, era una sensazione bellissima. Era rimasta fuori a giocare da sola per un po’ fin quando la madre, preoccupata per la sua salute, non l’aveva richiamata dentro. Aveva lasciato a malincuore il terrazzo, dando un’ultima occhiata ai tetti imbiancati, spettacolo inusitato per una cittadina di mare. Fin da piccola aveva dimostrato una particolare predisposizione per l’ordine e l’igiene, forse in contrapposizione alla sciatteria e ai metodi di pulizia piuttosto approssimativi della madre. Una mattina, poteva avere quattro anni, era stata lasciata da sola a casa della nonna, dove vi- 13 Gioia 14 vevano abitualmente, salvo andare a dormire nel monolocale che occupavano nelle case popolari. Si era guardata intorno e aveva notato un gran disordine: polvere, sporco dappertutto – o almeno questa era la sua percezione. Allora aveva deciso di fare una bella sorpresa a sua madre, facendole trovare tutto pulito e in ordine. Si era data da fare, togliendo tutto ciò che era in mezzo e nascondendolo in un bugigattolo con una tenda davanti che fungeva da armadio. Poi si era armata di un secchio riempito per metà d’acqua (già così era molto pesante!), di uno spazzolone e di uno straccio. Non aveva però considerato l’esigua forza delle sue braccia e la ruvidità del pavimento fatto di antichi mattoni di cotto. Quando aveva provato a passare lo straccio, si era accorta che non scorreva, si impigliava nei mattoni irregolari. Ciò nonostante non si era arresa, aveva deciso di continuare senza spazzolone, lavando direttamente con lo straccio, in ginocchio sul pavimento. Aveva fatto una fatica terribile e alla fine non era stata più capace di raccogliere tutta l’acqua che aveva distribuito. Risultato di tanto impegno: la casa era letteralmente invasa dall’acqua, ma almeno, secondo lei, era pulita. Al ritorno di Alida, non aveva ricevuto le lodi che si era aspettata, ma una sfilza di rimproveri, anche perché la madre era stata costretta a faticare non poco per raccogliere tutta l’acqua che aveva versato per terra e