CAMERA DEI DEPUTATI VIII Commissione Ambiente

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CAMERA DEI DEPUTATI VIII Commissione Ambiente
Associazione delle organizzazioni di ingegneria,
di architettura e di consulenza tecnico-economica
CAMERA DEI DEPUTATI
VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici
AUDIZIONE DELL’OICE
Disegno di Legge di conversione del Decreto-Legge
12 settembre 2014, n. 113, c.d. “Sblocca Italia”
(Atto Camera n. 2629)
Roma, 30 settembre 2014
Via Flaminia, 388 - 00196 Roma
Tel. 06 80687248 - Fax 06 8085022
http://www.oice.it
e-mail: [email protected]
C.F. 80138630589 - P.I. 03687911002
Associazione delle organizzazioni di ingegneria,
di architettura e di consulenza tecnico-economica
Ufficio Legislativo
Disegno di legge di conversione del decreto-legge
12 settembre 2014, n. 113 (c.d. “Sblocca Italia”)
1. Premessa: l’analisi del mercato, cosa “blocca” l’Italia nel nostro settore
Il provvedimento oggetto di esame da parte della Commissione ha la finalità principale di
rilanciare investimenti e crescita, anche partendo dal settore dei lavori e delle infrastrutture
pubbliche.
Si tratta evidentemente di un obiettivo largamente condiviso anche in relazione ai pesanti tagli
di risorse pubbliche che il comparto ha dovuto patire in questi ultimi anni.
All’interno del mondo delle costruzioni il settore dell’ingegneria e dell’architettura, di cui
l’OICE rappresenta le organizzazioni imprenditoriali che operano in ambito pubblico e privato
in forma di studi, di società di persone e cooperative, di società di capitali e di consorzi stabili, è
in grave crisi: il basso livello di investimenti ha comportato una drastica riduzione degli
affidamenti di progettazione e servizi connessi (- 46% in valore dal 2005 ad oggi).
A questa gravissima contrazione del mercato, si aggiungono alcune cause strutturali che
incidono, peraltro, anche sull’efficacia e sull’efficienza della spesa pubblica:
a) esiste ancora una elevata quota di attività di ingegneria che viene fatta transitare per
strade diverse dal mercato, facendo ricorso al cosiddetto “in house engineering”,
utilizzando il meccanismo degli incentivi a progettare all’interno delle pubbliche
amministrazioni (ex art. 92 del Codice recentemente riformato) e seguendo la prassi degli
affidamenti diretti a società pubbliche, università, centri di ricerca;
b) si è accentuata la tendenza ad appaltare i lavori sulla base di una progettazione
preliminare assolutamente insufficiente a garantire la qualità del costruito, anche per
l’assenza di adeguati sondaggi e rilievi che renderebbero più certa la progettazione
esecutiva, eliminando varianti in corso d’opera. Tutto ciò comporta un aumento dei costi
dell’opera derivante da errate stime del costo dell’appalto, soggetto ad incrementarsi man
mano che i lavori vanno definendosi, con riserve ed eccezioni di vario tipo in fase esecutiva.
Conseguentemente si determina un aumento dei tempi di esecuzione dell’opera e il
contenzioso che ne deriva non giova al rispetto dei programmi che soffrono ritardi anche di
anni. La legge Merloni era, da questo punto di vista, una buona legge, perché tutelava la
centralità del progetto e del progettista, principi che negli anni sono stati sviliti da una
miriade di provvedimenti, e vedeva nel R.U.P una sorta di project manager a garanzia dei
tempi e dei costi di realizzazione dell’opera. Inevitabile quindi lo spreco di risorse di cui
anche la liberalizzazione dell’appalto integrato rappresenta un esempio emblematico visto
che in ogni gara le imprese, con i progettisti,
Via Flaminia, 388 - 00196 Roma
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c)
d)
e)
f)
devono investire risorse economiche e professionali per fare tanti progetti definitivi quanti
sono i concorrenti; poi sarà solo una impresa a vincere e un solo progettista a potere vantare
quella referenza. Tante risorse sprecate per un solo affidamento;
le stazioni appaltanti non soltanto stimano al ribasso gli importi a base di gara, ma non
riescono anche ad arginare il fenomeno degli eccessivi ribassi con cui si aggiudicano le
gare (in media al 40% con punte anche del 70/80%): non si riesce a procedere ad esclusioni
dell’offerta anomala, con un inevitabile danno alla concorrenza, alla qualità dei servizi
erogati e quindi alla buona riuscita degli investimenti. Dalla scarsa qualità dei servizi di
ingegneria erogati derivano inoltre conseguenze negative sui costi e sui tempi di
completamento delle opere e un aumento del contenzioso;
esistono seri problemi di concorrenza e di trasparenza negli affidamenti.
Sempre più sono i casi in cui le stazioni appaltanti eludono le regole di gara, in ciò
favorite dall’innalzamento della soglia per affidamenti diretti da 20.000 euro a € 40.000 euro
e dalle procedure più flessibili e discrezionali fino a 100.000 euro. Tutto ciò determina
fenomeni di parcellizzazione nel mercato oltre i 100.000 euro, che infatti negli ultimi
quattro anni ha visto una contrazione del 40% nel numero di gare e del 25% in valore (dati
Osservatorio OICE-Informatel). In tale contesto merita anche di essere segnalato che gli
affidamenti disposti dagli enti che operano nei settori speciali (acqua, energia e trasporti)
avvengono in regimi riservati senza la necessaria trasparenza per importi
rilevantissimi, visto che la soglia europea è posta a 400.000 euro;
il sistema di nomina dei commissari di gara non garantisce né la competenza dei
soggetti nominati, né la trasparenza delle scelte effettuate, con il risultato che il più delle
volte le offerte dei progettisti che concorrono alle gare vengono valutate da soggetti poco
preparati, con inevitabili conseguenze sulla trasparenza della procedura e sulla qualità delle
scelte effettuate;
la centralità del progetto e del progettista, punto essenziale per migliorare la qualità
progettuale, sono rimasti una mera chimera. L’utilizzo degli appalti integrati avviene
senza nessuna protezione del ruolo dei progettisti. Il progettista opera in posizione
assolutamente subordinata e debole rispetto alle imprese di costruzioni che, anche e a
maggiore ragione dopo l’abrogazione delle tariffe, hanno imposto risibili rimborsi spese,
ben lontani dal rispetto di un minimo di equità del compenso, coinvolgendoli anche dal
punto di vista delle responsabilità in gara e in sede di esecuzione del contratto. Va inoltre
considerato che il progettista chiamato dall’impresa a produrre in gara un progetto
definitivo nella maggior parte dei casi non potrà utilizzare quel progetto (se non
vincitore della gara) come referenza e questo costituisce un ulteriore problema.
In questa situazione molte piccole e medie società d’ingegneria si sono ridimensionate o
hanno dovuto chiudere, con una perdita di esperienza e conoscenza non certo recuperabile
in futuro e con danni anche per i giovani professionisti, che da sempre trovano sbocchi
professionali nelle società di ingegneria e hanno modo, in qualità di progettisti, come prevede il
Dpr 207/2010, di maturare referenze ed esperienze utili per il loro futuro.
Questo è accaduto in un mercato domestico così strutturato:
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Il tutto in un quadro generale che a livello internazionale vede le società italiane patire un
gap strutturale e operativo incolmabile rispetto alle omologhe società straniere al punto
che, in base alla classifica mondiale di Enr (Engineering News-Record), la prima società
italiana per fatturato di servizi di ingegneria e architettura, Maire Tecnimont, si colloca
soltanto al 45° posto seguita al 93° posto da Proger, al 121° da Geodata e al 137° da
Italconsult.
Se invece guardiamo al numero di addetti per singola società (e quindi alle dimensioni),
soltanto nel mercato europeo, la situazione è la seguente:
In questo desolante quadro, va peraltro considerato che soltanto le società di ingegneria che
lavorano all’estero sono in grado di fronteggiare la difficilissima situazione italiana; ne è
prova evidente lo spostamento verso l’estero del valore della produzione dei 450 associati OICE
passato dal 26,8% del 2012, al 33,6% del 2013, fino al 34,9% previsto per il 2014 (fonte
Rilevazione OICE-Cer 2013-2014).
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2. Le proposte: dalla riforma del Codice al decreto “Sblocca Italia”
Occorrono interventi importanti, da attuare con rapidità, se si vuole fermare questo
declino, che ad oggi appare irreversibile e che - nella migliore delle ipotesi - spingerà all’estero
una ancora più larga fetta delle nostre professionalità e dei nostri giovani professionisti.
Bisogna però avere chiaro che i problemi del settore non derivano principalmente dalle
norme: il quadro normativo vigente, ancorché da razionalizzare e semplificare, nel settore
dell’ingegneria e dell’architettura ha consentito negli ultimi 20 anni di: introdurre la
concorrenza e le gare, superando il principio dell’intuitus personae (che molti vorrebbero
riportare in auge, magari fino alla soglia comunitaria), di rendere più accurata l’articolazione del
progetto, di renderlo validabile, di introdurre elementi qualitativi nella scelta dell’offerente, di
fare nascere e crescere le organizzazioni imprenditoriali che rendono servizi di ingegneria
anticipando di 16 anni la disciplina generale sulle società professionali (legge 183/2011), oggi
valida per le professioni diverse da quelle dell’ingegneria e dell’architettura.
Semmai i problemi derivano dall’applicazione distorta delle norme vigenti e/o dalla
elusione delle stesse poste in essere dalle stazioni appaltanti, in molti casi restie a gestire
procedure di gara che richiedono sempre maggiore impegno, professionalità e competenza.
Sarà quindi fondamentale mettere in campo un sistema di controlli ancora più efficace e
rapido; e ciò dovrebbe passare attraverso il rafforzamento dei poteri di indirizzo, vigilanza e
controllo dell’ANAC.
In linea generale, quindi, l’OICE è dell’avviso che una buona occasione per dare una risposta
efficace alle criticità evidenziate per il nostro settore potrà essere la riforma del codice dei
contratti pubblici conseguente al recepimento delle direttive europee, evitando però un
nuovo e radicale sconvolgimento del quadro normativo, che avrebbe pesanti conseguenze
per le stazioni appaltanti. Occorre infatti avere presente la necessità, per tutti gli operatori, di
garantire maggiore stabilità alla normativa. Sarebbe preferibile operare un attento restyling
del codice introducendo le novità che giungono dall’Europa, portando avanti un’opera di
“manutenzione” e semplificazione della normativa vigente. La riduzione del numero delle
norme non può essere il solo target della riforma del Codice; in Francia il code des marchés
publics
(si
veda:
http://www.legifrance.gouv.fr/affichCode.do?cidTexte=LEGITEXT000005627819&dateTexte=
vig) è di quasi 300 articoli, 50 articoli in più del nostro codice dei contratti pubblici.
Il fil rouge che dovrebbe legare tutta questa non semplice operazione (e l’OICE fin d’ora
assicura la massima disponibilità ad offrire il suo contributo di idee e di esperienza nella
definizione dei contenuti del decreto delegato), dovrebbe essere la centralità del progetto e del
progettista per una migliore qualità della progettazione e per rendere efficace e efficiente
la spesa pubblica.
A questo obiettivo andrebbe poi affiancato quello di fare crescere le nostre strutture di
progettazione in Italia per affrontare i mercati internazionali in maniera più efficiente e
organizzata, superando posizioni neocorporative, miopi e antistoriche che finiscono per
danneggiare lo sviluppo del settore e l’occupazione dei giovani professionisti.
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In sintesi sono queste le proposte che potrebbero da subito invertire il trend negativo di questi
ultimi anni, alcune da ricondurre alla riforma del codice dei contratti pubblici, altre
auspicabilmente da inserire nel decreto-legge “Sblocca Italia”:
- rafforzare il ruolo e i poteri dell’ANAC rendendo cogenti, in fase di precontenzioso e in
fase di regolazione, le indicazioni fornite dall’Autorità al mercato e alle stazioni appaltanti al
fine di eliminare contenzioso e fare rispettare la piena concorrenza;
- rivedere il sistema di verifica dei requisiti centrato sull’AVCPass, prevedendo una
opportuna proroga a giugno 2015;
- rivedere il ruolo della Pubblica Amministrazione: la P.A. dovrebbe essere centrata sulla
fase di studio e programmazione degli interventi e sul controllo (anche incentivate): è
fondamentale avere accurati studi di fattibilità che orientino coerentemente le allocazioni delle
risorse, avere D.P.P. (documenti preliminari alla progettazione) accurati in modo da rendere la
gara efficace e finalizzata alla soluzione qualitativamente migliore;
- prevedere che la regola generale sia l’affidamento a terzi della progettazione, rimuovendo
l’antistorica impostazione risalente al 1865 per cui la progettazione rappresenta una
competenza primaria della P.A.; viceversa la regola dovrebbe essere l’esternalizzazione e la
P.A. potrebbe eventualmente progettare soltanto se in possesso di tecnici qualificati come lo
devono essere i progettisti esterni;
- ritornare all’appalto integrato sul progetto definitivo e solo per i casi in cui ciò è necessario
(opere di rilevante importo e complessità), per il resto occorrerebbe affidare i lavori sul
progetto esecutivo adeguatamente validato;
- prevedere un capitolato generale per i servizi di ingegneria e architettura al fine di rendere
certo, trasparente e corretto il rapporto fra stazione appaltante e affidatario dell’incarico;
- rendere obbligatorio, negli appalti integrati, il pagamento diretto del progettista da parte
della stazione appaltante e individuare soluzioni adeguate per utilizzare le referenze
progettuali maturate con le imprese di costruzioni;
- disincentivare i ribassi eccessivi e anomali prevedendo l’obbligo (oggi è una facoltà) di
aprire le offerte economiche soltanto se le offerte tecniche hanno superato una determinata
soglia di punteggio prefissata negli atti di gara;
- eliminare l’obbligo di remunerare le stazioni appaltanti dei costi di pubblicazione dei bandi
di gara sulla Gazzetta Ufficiale;
- promuovere, con incentivi, la formazione di reti e di consorzi stabili anche per fare crescere
i giovani professionisti e favorire l’internazionalizzazione delle organizzazioni di
ingegneria;
- prevedere che le università e gli enti di ricerca si occupino di istruzione e non di partecipare
a gare di appalto.
Infine, per quel che riguarda il settore dell’ingegneria ambientale, si segnala un aspetto di
particolare delicatezza che potrebbe avere ripercussioni negative sull’efficacia e sulla qualità
degli interventi. Secondo un corretto approccio al tema della salvaguardia dell’ambiente e delle
sue componenti si dovrebbe puntare in maniera determinata alla valorizzazione della
specificità e della specializzazione delle imprese che hanno costruito la loro attività sulla
materia ambientale. Viceversa, le aziende che operano in campo ambientale e, in particolare,
quelle del settore dell’ingegneria ambientale (che quindi svolgono, per esempio, monitoraggi
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ambientali, valutazione degli impatti ambientali, rilievi, caratterizzazioni dei siti inquinati e
progettazioni di bonifiche, ecc.), stentano ad essere identificate, in forma specialistica ed
autonoma, dalla committenza - sia pubblica, che privata. Tutto ciò ha l’effetto di relegare tali
aziende, nell’ambito delle gare pubbliche e degli affidamenti in genere, ad un ruolo marginale,
come operatori economici che agiscono soltanto in “seconda battuta”, in qualità di sub
affidatarie, quindi in una posizione giocoforza subordinata e con una svalutazione, anche sotto il
profilo economico, del loro lavoro. Invece di avere un ruolo centrale, tali attività (e gli operatori
che le svolgono) rivestono un ruolo così marginale al punto che quasi sistematicamente, appalti
integrati che importano l’esecuzione di rilevanti prestazioni ingegneristico-ambientali
vengano aggiudicati a soggetti privi di ogni qualificazione e senza strutture idonee a poter
svolgere tali attività, con l’inevitabile conseguenza che tali attività vengono inevitabilmente
subaffidate, spesso imponendo condizioni avvilenti. Tutto ciò appare in contrasto anche con le
recenti modifiche delle nuove direttive appalti pubblici che, ai temi ambientali assegnano una
notevole rilevanza e centralità. Occorrerebbe quindi un intervento del legislatore, a livello di
normativa in materia di appalti, che imponga la necessità di requisiti di partecipazione
specialistici afferenti a tali profili, prevedendo, se del caso, l’obbligo di costituzione di
raggruppamenti temporanei di imprese con soggetti qualificati, al fine di garantire la qualità
e l’efficacia delle prestazioni.
Una soluzione potrebbe essere quella di considerare gli interventi di questa natura alla stregua
delle prestazioni fornite dai geologi nel settore dei servizi di ingegneria e architettura
tradizionali (con divieto di subappalto e quindi conseguente obbligo di raggruppamento, a meno
che non si abbiano “in casa” i requisiti specialistici richiesti dal bando).
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3. Osservazioni specifiche sul ddl 2629 di conversione del decreto-legge 133/2014
Nel merito delle norme all’esame della Commissione, apprezzato l’intento del Governo di
stanziare importanti risorse per l’avvio e/o la prosecuzione di interventi infrastrutturali e di
opere anche di piccola e media dimensione, si riportano alcune brevi riflessioni sui profili del
decreto-legge che potrebbero essere oggetto di miglioramento, possibilmente insieme ai punti
già segnalati nel precedente paragrafo.
In particolare si segnalano i seguenti aspetti:
a) art. 5, comma 3 (Affidamento da parte dei concessionari autostradali)
Il comma 3 dell’articolo 5 stabilisce che gli affidamenti (ulteriori a quelli previsti dalla
convenzione originaria) di lavori, forniture e servizi di importo oltre la soglia UE,
avvengano con le procedure ad evidenza pubblica disciplinate dal Codice dei contratti
pubblici.
A tale riguardo, per esigenze di trasparenza, occorrerebbe chiarire espressamente che il
rispetto delle procedure del codice dei contratti pubblici dovrebbe riguardare tutti i
contratti e non soltanto quelli oltre la soglia comunitaria.
Inoltre per tutti gli affidamenti, agendo in qualità di amministrazione pubblica a tutti gli
effetti, andrebbe espressamente chiarito che il concessionario è tenuto anche al rispetto degli
obblighi di comunicazione all’ANAC e di pubblicità anche successiva agli affidamenti.
b) art. 7, commi 4 e 7 (Affidamenti in house interventi di mitigazione del rischio
idrogeologico)
Il comma 4 dell’articolo 7, consente ai Presidenti delle Regioni di avvalersi, tramite
apposite convenzioni, di società in house delle amministrazioni centrali dello Stato dotate
di specifica competenza tecnica, per lo svolgimento di attività di progettazione ed
esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico previsti dagli accordi di
programma stipulati con le Regioni ai sensi dell’articolo 2, comma 240, della legge 23
dicembre 2009, n. 191. Si ritiene che, in un momento di particolare crisi del settore delle
costruzioni e della progettazione, sia incoerente e dannoso percorrere la strada degli
affidamenti in house. Tali affidamenti infatti, oltre a sottrarre importanti interventi ad un
settore che ha visto un calo della domanda pubblica pari al 35% negli ultimi cinque anni,
non sempre garantiscono l’interesse pubblico - stante l’assenza di confronto concorrenziale sia in ordine ai livelli qualitativi delle attività che verranno svolte, sia rispetto alla coerenza
del prezzo al quale saranno svolte le prestazioni di progettazione e realizzazione degli
interventi. Va peraltro ricordato come, a livello di normativa e giurisprudenza comunitaria,
sia stata sempre evidenziata la natura derogatoria degli affidamenti in house, considerati
come strumento di natura eccezionale rispetto alla regola generale dell’affidamento
con regole ad evidenza pubblica.
Eventualmente si potrebbe prevedere, per l’affidamento delle progettazioni e dei lavori, una
riduzione dei termini di gara e un coerente sistema di controlli affidato all’ANAC, ma non si
ritiene opportuno prescindere da logiche di confronto concorrenziale.
c) art. 8 (Terre e rocce da scavo)
Evidente la discrasia tra la rubrica dell’articolo (“Disciplina semplificata del deposito
preliminare alla raccolta e della cessazione della qualifica di rifiuto delle terre e rocce da
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scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di sottoprodotto. Disciplina della
gestione delle terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure
di bonifica di aree con presenza di materiali di riporto”), che contiene riferimenti in materia
di rifiuti, sottoprodotti, procedure di bonifica e materiali di riporto, ed il testo, che si limita a
demandare ad un decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro 90 giorni
dall’entrata in vigore della legge di conversione, l’adozione di disposizioni di riordino e
semplificazione della disciplina delle terre e rocce da scavo, enunciando principi e criteri
direttivi certamente apprezzabili, ma eccessivamente generici. Occorrerebbe pertanto, in
sede di conversione del decreto, assicurare il coordinamento tra la rubrica e il testo della
norma, al fine di determinarne la portata applicativa e di specificare i poteri di delega
attribuiti.
Nel merito della scelta di un ennesimo intervento legislativo in materia di gestione di terre e
rocce da scavo, se condivisibile è l’intento di riordino e semplificazione della materia,
andrebbe attentamente considerato il rischio che, con ulteriori modifiche a livello di regole e
procedure, si potrebbe determinare un effetto di rallentamento, se non di “blocco” dei
cantieri. Al riguardo potrebbe essere assai utile una opportuna disciplina transitoria che eviti
tale rischio.
Considerato che nella rubrica della norma si citano i materiali di riporto, la cui
individuazione costituisce da sempre oggetto di dibattito con pesanti ricadute pratiche sulla
correttezza della gestione operativa delle terre e rocce da scavo e conseguenti contenziosi, si
auspica che il legislatore intervenga dettando regole certe e chiare che permettano la loro
univoca identificazione.
d) Art. 9 (Interventi di estrema urgenza)
L’articolo 9 prevede per alcuni settori (scuole, idrogeologico, antisimica, tutela ambientale e
patrimonio culturale), la possibilità di utilizzare, in ragione della qualificazione di “estrema
urgenza”, procedure derogatorie e, in sostanza, affidamenti a trattativa privata.
Premesso che dovrebbe essere chiarito che la qualificazione di “estrema urgenza” di una
situazione di fatto (peraltro dichiarata dall’ente stesso che dovrà gestire l’intervento),
dovrebbe avere effetto soltanto ai fini del comma 2 (e quindi soltanto per i lavori), si ritiene
che la norma abbia l’effetto di introdurre deroghe significative, viste soprattutto le risorse
stanziate per questi settori, che andrebbero quanto meno sottoposte a controlli
approfonditi da parte dell’ANAC sia per le modalità di affidamento, sia per la garanzia di
adeguati meccanismi di rotazione, sempre nel generale interesse al perseguimento dei
principi comunitari e all’efficacia, efficienza ed economicità della spesa pubblica.
e) Art. 34 (Bonifiche)
I commi 7, 8, 9, 10 prevedono regole specifiche per la realizzazione di alcune tipologie di
interventi all'interno dei siti inquinati, siano in corso o meno le attività di messa in sicurezza,
a condizione che siano realizzati senza pregiudicare né interferire con il completamento
della bonifica e senza determinare rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori
dell'area.
Si applica agli interventi e alle opere:
- richiesti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro;
- di manutenzione ordinaria o straordinaria di impianti o infrastrutture (compresi
adeguamenti alle prescrizioni autorizzative;
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- riguardanti opere lineari necessarie per l'esercizio di impianti e forniture di servizi e, più in
generale, altre opere lineari di pubblico interesse.
Per tali tipologie di interventi ed opere, la norma delinea specifiche procedure e modalità di
caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni movimentati, discriminando tra:
a) casi in cui non sia stata ancora realizzata la caratterizzazione dell'area oggetto
dell'intervento
b) casi in cui è già in essere un’attività di messa in sicurezza operativa.
Criticità si ravvisano nella procedura delineata per le ipotesi di cui alla lettera a),
laddove si prevede l’analisi di un numero significativo di campioni di suolo e
sottosuolo, facendo riferimento ad un piano di dettaglio della caratterizzazione da
concordarsi con l’Ente di controllo.
Anzitutto, occorrerebbe chiarire se il piano di dettaglio in parola debba o meno uniformarsi
alle linee guida richieste per la redazione degli odierni piani di caratterizzazione. Inoltre,
incertezze (e conseguenti rallentamenti delle procedure) potrebbero ingenerarsi sulla
“significatività” del numero di campioni da sottoporre ad analisi, lasciando ampi
margini di discrezionalità agli Enti di controllo. In altri termini, in questa prima fase il
passaggio dall’Ente di controllo rischia di aggravare la procedura, anziché semplificarla,
come si prefigge il legislatore.
Si suggerisce pertanto di eliminare questo passaggio e di differirlo al report finale di
indagine, in cui l’Ente potrà chiedere integrazioni
Con riguardo alle ipotesi di cui alla lettera b), ovvero nei casi in cui è già avviata una
messa in sicurezza operativa, la norma prevede la facoltà del proponente, previa
comunicazione all'ARPA da effettuarsi con almeno quindici giorni di anticipo, di avviare la
realizzazione degli interventi e delle opere. Al termine dei lavori, l'interessato è tenuto ad
assicurare il ripristino delle opere di messa in sicurezza operativa.
Al riguardo, appare necessario fare chiarezza sul reale significato della norma e, in
particolare, sul termine ripristino, in quanto la norma del decreto potrebbe essere
interpretata nel senso di consentire l’interruzione delle attività di messa in sicurezza e la
successiva ripresa al termine della realizzazione degli interventi e delle opere. Se così fosse,
nel lasso temporale di interruzione potrebbero manifestarsi problematiche verso gli obiettivi
sensibili ambientali e sanitari.
Il suggerimento è di prevedere l’avvio della realizzazione degli interventi e delle opere,
avendo cura, se del caso, di adeguare le attività di messa in sicurezza, ma senza
interromperle, perseguendo pertanto la finalità enunciata dal legislatore di evitare
pregiudizi ambientali e rischi per la salute dei lavoratori e i fruitori dell'area.
29.9.2014
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