ALLA CASA UBOLDI SIRIA E ALBANIA BY BIKE

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ALLA CASA UBOLDI SIRIA E ALBANIA BY BIKE
TALAMONA 16 maggio 2013 quinto viaggio in biblioteca
ALLA CASA UBOLDI SIRIA E ALBANIA BY BIKE
ALLA SCOPERTA DI DUE PAESI DIVERSI TRA LORO TRAMITE UN MEZZO ECOLOGICO
In occasione del quinto appuntamento con l’iniziativa VIAGGI IN BIBLIOTECA, che ogni volta si
conferma come un clamoroso successo di pubblico, di scena questa sera altri due viaggi al prezzo di
uno presentati da un altro pedalatore per passione, Paolo Lietti, che come ogni giovedì alle ore
20.30, ci ha condotto in un altro viaggio, alla scoperta, questa volta, di due Paesi molto diversi tra
loro per cultura e ambientazione geografica: la Siria e l’Albania. Due Paesi diversi,visitati in tempi
diversi, ma esplorati con lo stesso mezzo, la bici, un mezzo già proposto con successo in un
precedente appuntamento, un mezzo ecologico che permette, molto più di altre modalità di viaggio,
di vivere appieno i Paesi dove ci si reca e non soltanto di osservarli distrattamente (come succede
nel caso del turismo classico), un mezzo che però non sempre permette di procedere con lentezza e
che presenta alcune difficoltà logistiche dovute al trasporto in aereo allo smontaggio e al
rimontaggio.
Ad aprire la serata il viaggio in Siria compiuto nel maggio 2010 dunque molto prima che il Paese
venisse sconvolto dai terribili scontri che lo stanno martoriando giorno dopo giorno, scontri che
vedono contrapposti i ribelli e il governo, scontri nati in seguito alla primavera araba, un risveglio
delle coscienze giovanili che ha coinvolto molti Paesi di fede musulmana situati soprattutto in
Africa settentrionale e nel vicino oriente. Scontri di natura molto confusa anche in ambito
internazionale.
Il viaggio di questa sera è stato un’occasione unica per scoprire la Siria com’era prima, un Paese
che si ritiene il fulcro della cultura araba, non molto povero, ma molto tranquillo, ricco di gente
ospitale e di siti archeologici, principale attrattiva turistica, un’alternanza di piccoli villaggi e città
circondati dal deserto roccioso. Un Paese che fino a pochi anni fa era considerato il più sicuro tra i
Paesi mediorientali. Un Paese affacciato sul mediterraneo ad ovest, confinante ad est con la
Giordania e sud ovest con Israele. Il signor Paolo Lietti lo ha visitato grazie ad un visto della durata
di 15 giorni con un compagno di viaggio, Luca, conosciuto e contattato tramite siti specializzati. Un
visto di 15 giorni era il massimo che si poteva ottenere dall’ambasciata siriana per visitare il Paese
(non sempre rinnovabile) quando ancora era visitabile, prima che sui siti di viaggio venisse indicato
come un Paese off limits, ad altissimo rischio di sequestri e uccisioni.
I nostri eroi sono giunti a destinazione tramite un volo che ha fatto tappa nella città di Istanbul, in
Turchia, dalla quale è stato necessario prendere un altro volo diretto a Damasco. Da li è cominciato
il tour vero e proprio in bicicletta con due tappe fondamentali Palmira e Aleppo dalla quale si è
tornati a Damasco da dove è partito il volo di ritorno.
A Damasco, forse perché prima tappa del tour siriano, colpisce particolarmente il contrasto tra
spazio urbano e il deserto tutt’intorno, colpisce soprattutto perché Damasco, rispetto ad altre zone,
presenta una fattura moderna, ben integrata comunque con i suoi angoli caratteristici come la
medina, la città vecchia, ricca di suk (i tipici mercati pieni di ogni genere di attrattiva, ma
soprattutto prodotti locali) bazar, negozi, hamman (i cosiddetti bagni turchi) presenti anche in altre
vie della città lungo le quali la vita si svolge con discreta vivacità durante il giorno, ma anche nelle
ore serali. Un’altra cosa che colpisce di Damasco (ma infondo di tutta la Siria in generale) è proprio
la gente, la possibilità di incontri curiosi, di assaporare tutto cio che il luogo e chi lo abita ha da
offrire. Una costante di tutto il viaggio è stata proprio la gente incuriosita dagli stranieri che si
mostrava ben felice di avvicinarsi, di parlare, chiedere informazioni riguardo all’Occidente (di cui li
si hanno poche notizie non essendoci la stessa familiarità coi mezzi di informazione di massa) di
farsi fotografare. Particolarmente entusiasti i bambini e i ragazzini che addirittura accompagnavano
i nostri eroi per alcuni tratti commentando che le loro biciclette erano più belle. Una comunicazione
ostacolata dalle barriere linguistiche (l’unica lingua che li parlavano tutti era l’arabo, sconosciuto
però ai nostri amici), ma comunque riuscita per quanto riguarda il necessario. Un’importante
attrattiva di Damasco è la maestosa moschea situata all’incirca nella parte centrale, terza meta di
pellegrinaggio musulmano dopo La Mecca e Medina, ma curiosamente meta di pellegrinaggi anche
cristiani. È singolare osservare come a Damasco le due religioni siano mescolate in modo pacifico
(o meglio lo erano allora). Moschee visitate anche da cristiani, chiese dove i musulmani pregano la
Madonna o qualche Santo, persino culti in comune come quello di Giovanni Battista la cui testa, si
dice, è conservata in una cappella ubicata all’interno di un’altra moschea di Damasco dove si
possono ammirare i cristiani e musulmani che pregano insieme (una cappella visitata anni fa anche
da Giovanni Paolo II). L’ospitalità e l’apertura dei siriani si manifesta anche nel fatto che li le
moschee, a differenza di quanto accade nella maggioranza dei Paesi arabi, sono ad entrata libera
dove è sufficiente chiedere permesso educatamente per poter accedere scoprendo luoghi di
confronto di discussione, decorati con grande pregio, ma privi di figure umane (vietate dall’Islam)
dove vige però una netta separazione tra uomini e donne come del resto accade nella maggior parte
degli ambienti. Infatti nonostante l’apertura dimostrata dai suoi abitanti, la Siria rimane pur sempre
un Paese musulmano con regole e tradizioni precise e nonostante Damasco appaia come una città
tutto sommato moderna, rimane pur sempre una delle città più importanti di un Paese mediorientale
dunque priva di qualsiasi richiamo all’Occidente. Lungo ogni strada, ogni piazza, campeggiano
cartelloni raffiguranti l’attuale presidente della repubblica, il principale colpevole dell’attuale
pessima situazione politica. Egli ha ereditato la carica di presidente da suo padre nonché suo
predecessore, il quale ha modificato la Costituzione per rendere la carica ereditaria (e rendendo di
conseguenza la Siria una Repubblica solo di facciata).
Simili cartelloni con le raffigurazioni del presidente e di suo padre campeggiano un po’ ovunque in
tutto il Paese, nelle strade interne a ciascun centro abitato, ma anche lungo le vie che collegano
ciascun centro abitato ad un altro, come ad esempio la lunga strada attraverso il deserto roccioso
che collega Damasco al sito archeologico di Palmira, patrimonio UNESCO e meta successiva dei
nostri pedalatori. Una via punteggiata da moschee e piccoli accampamenti di pastori che si spostano
seguendo il bestiame, un percorso attraverso un paesaggio essenzialmente vuoto e monotono. A
differenza della confinante Giordania, ricca di bellezze naturalistiche, la Siria, essendo, come si è
detto, principalmente desertica, non ha bellezze naturali da offrire. Lungo questa strada sorgono
pochissimi punti di ristoro, la maggior parte dei quali non sono nemmeno indicati sulle guide
turistiche e questo rende difficoltosa la pianificazione di un viaggio. Molto spesso inoltre, questi rari
punti di ristoro non hanno nemmeno una vasta scelta di menù, è molto frequente arrivare li e
doversi adattare a consumare cio che la casa offre in quel momento. Quando non è possibile
usufruire di questi punti di ristoro, sono gli abitanti degli accampamenti lungo il percorso ad offrire
ospitalità con molta gioia, offendendosi addirittura se la loro ospitalità viene rifiutata dai viandanti
di passaggio. Il percorso che collega Damasco a Palmira è compreso in una strada più grande che
dalla Siria giunge sino in Iraq, una strada percorsa da un discreto numero di camion molto spesso
strapieni.
A Palmira i nostri eroi hanno trascorso un intero pomeriggio tra le rovine di epoca romana facendo
molte foto, ma senza avere il tempo sufficiente per capire che cosa quelle rovine rappresentassero di
preciso, senza riuscire a figurarsi il sito come doveva essere quando era ancora una città viva coi
suoi edifici sacri, i templi dedicati agli dei, gli edifici pubblici, persino qualche tomba. Di tutto cio
al giorno d’oggi non restano che colonne. Com’è accaduto in Egitto, la conservazione del sito è
stata possibile grazie al clima secco, anche se nel corso dei millenni si sono verificati dei terremoti
che hanno provocato qualche crollo. Attualmente la situazione politica non permette di monitorare
lo stato di conservazione del sito. È probabile che i continui bombardamenti abbiano provocato non
pochi danni al patrimonio archeologico in tutto il Paese com’è accaduto ad una moschea ad Aleppo
e questo costituisce un danno terribile alla cultura, ma anche all’economia del Paese. Grazie a questi
siti la Siria ha potuto per molto tempo contare su un afflusso costante e massiccio di visitatori
accorsi esclusivamente per vedere queste vestigia del passato bypassando tutto il resto, i villaggi
eccetera (ragion per cui gli abitanti sono incuriositi dagli stranieri, ne vedono passare pochi).
C’erano molti turisti anche il giorno in cui Luca e Paolo compivano la loro visita che li ha resi
testimoni di una coincidenza curiosa. In quel periodo quel luogo era stato scelto come location per il
festival della musica araba, ragion per cui alla sera le rovine venivano illuminate con una calda luce
gialla. I nostri all’inizio non lo sapevano e pensavano che l’illuminazione serale delle rovine fosse
prassi consueta.
Poco distante dal sito archeologico di Palmira sorge una collina su cui torreggia un castello. Dalla
cima della collina si può vedere tutta la città che, bisogna dire, non si chiama Palmira, ma Tandur,
essendo Palmira il nome del solo sito archeologico che procede con un lungo susseguirsi di rovine
verso ovest. Nonostante sia Palmira il sito archeologico più importante ce ne sono altri minori sparsi
un po’ ovunque che però non sono quasi mai segnalati. Lungo la strada che da Palmira ha condotto i
nostri verso Aleppo è capitato di incontrarne qualcuno ed è ovviamente capitato ancora di
incontrare accampamenti e villaggi. A Luca piaceva molto intrattenersi coi bambini giocare con
loro. In un villaggio a Luca e Paolo è stato persino concesso di fare visita ad una scuola. La maestra
spiegava loro come sono organizzati li e i bambini li hanno accolti con rispetto. La Siria fino a non
molti anni fa era un Paese con un’ampia scolarizzazione che riguardava sia maschi che femmine. I
pullmini lasciavano un po’ a desiderare e capitava che in alcuni villaggi venissero a mancare le
vettovaglie, ragion per cui non poche volte i nostri al loro passaggio in qualche villaggio si sono
trovati ad ascoltare richieste d’aiuto in questo senso dagli abitanti, soprattutto bambini che gli adulti
richiamavano all’ordine. Qualcuno mostrava persino dei giornali scritti in arabo e dunque non
comprensibili ai nostri.
Una sera si è resa necessaria una sosta nel deserto durante la quale bisognava piantare la tenda per
passarci la notte, ma Luca e Paolo non trovavano un punto adatto. Poco lontano sorgeva un
accampamento di beduini così i nostri hanno pensato di chiedere loro il permesso di poter piantare
la loro tenda li accanto. Le barriere linguistiche hanno reso difficile comprendersi immediatamente,
ma una volta superato questo ostacolo i beduini si sono mostrati accoglienti hanno accolto i nostri
nella loro tenda li hanno intrattenuti (avevano la tv) e hanno offerto loro le pelli di cammello che
usano per dormire. Non accettare tutto questo e usare invece la loro attrezzatura sarebbe stato, da
parte dei nostri, un atto di grande maleducazione nei confronti dell’ospitalità che è stata loro data.
Lungo il percorso i nostri hanno attraversato l’ultima città prima del confine con l’Iraq, una città
che sorge nei pressi della valle dell’Eufrate, unica zona verde e fertile in tutto il Paese. L’Eufrate in
quel punto è attraversato da un suggestivo ponte dove le coppiette fanno passeggiate romantiche,
qualcuno si siede a riposare a leggere.
Per giungere ad Aleppo è necessario attraversare una zona montuosa. Una volta che vi si giunge,
arricchiti dai vari incontri lungo il tragitto, ci si trova a cospetto di un’altra città molto vivace con le
sue moschee, i venditori di tamarindo (pianta che produce legumi usati a scopo alimentare e
officinale) i suoi suk, molto più suggestivi rispetto a quelli di Damasco, perché più ampi e più
ordinati, i fumatori di narghilè, le chiese cristiane (anche qui vige la mescolanza dei culti) i bazar i
negozi, le botteghe dove si praticano i vecchi mestieri (i macellai per esempio lavorano all’aperto).
I nostri hanno visitato la moschea che in seguito è stata distrutta dai bombardamenti, ma che loro
hanno trovato piena di gente che pregava. Quella moschea conteneva una biblioteca ricca di testi
sacri ed era adornata di sure (versetti) del Corano. Per entrare in una moschea, così come per entrare
in una casa privata bisogna compiere dei precisi rituali: abluzioni (cioè lavaggio) in special modo di
mani e piedi e togliersi le scarpe. Aleppo è stata teatro di incontri che sono sfociati in vere e proprie
amicizie che per un po’ si sono mantenute anche attraverso i social network prima che la situazione
precipitasse. C’è stato l’incontro con un ragazzo che ha dichiarato di essere un ciclista che ha preso
parte a competizioni agonistiche nazionali e che ha accompagnato i nostri durante un giro della
città. C’è stato l’incontro con un altro ragazzo, studente universitario, con lui e con tutta la sua
famiglia che ha ospitato i nostri offrendo cibo, the e caffè, lavando loro persino i vestiti, ovviamente
senza chiedere nulla in cambio. I nostri però hanno voluto dare almeno un contributo al ragazzo, per
i suoi studi, il quale ha accettato, sebbene con una certa riluttanza. Ci sono stati anche due individui
che hanno voluto farsi fotografare con la gigantografia del presidente alle spalle.
A questo punto è cominciato il viaggio di ritorno verso Damasco attraverso altipiani rocciosi in una
zona non così desertica come il resto del Paese e il resto del percorso che proseguiva verso sud e ha
condotto i nostri in una zona chiamata “delle città morte” delle quali si sa davvero pochissimo se
non che appartengono all’epoca bizantina ed erano zone principalmente commerciali punto di
passaggio ed approdo di carovane e caravanserragli che ad un certo punto hanno cambiato zona
(non se ne conosce bene il motivo) riducendo la zona in stato di abbandono sebbene hanno
continuato ad essere abitate per molte generazioni fino ad essere riconvertite in ricoveri per animali.
La maggior parte di queste zone non ha nemmeno un nome e fa parte del complesso dei cosiddetti
siti archeologici minori cui si accennava prima, siti ben conservati se si escludono i danni causati
dai terremoti. Una di queste città morte è più grande delle altre, è custodita da un guardiano ed è
visitabile a pagamento, ma di fatto attira pochissimi turisti. Di li il viaggio è proseguito attraverso
una valle percorsa da un fiume che nasce tra i monti del Libano per andare a gettarsi nel mar
Mediterraneo, un’altra delle poche zone fertili della Siria, ove sorge un altro sito archeologico
maggiore di epoca romana, nella città di Afamir. Si tratta di un filare di colonne chiamato il viale
del canto, anch’esso come gli altri siti in parte crollato a causa dei terremoti verificatisi nel corso del
tempo. Uno dei pochi agglomerati urbani presenti in questa zona è la città di Ox dalla quale si sono
innescati i successivi scontri che stanno attualmente sconvolgendo il Paese. Li Luca ha comprato un
biglietto della lotteria e si è messo a scherzare con tutti i presenti (che però non lo comprendevano)
che se avesse vinto avrebbe comprato porchetta e vino bianco per tutti (essendo un Paese
musulmano queste cose non si possono consumare). Li i nostri pedalatori hanno di nuovo ricevuto
ospitalità da una famiglia nella loro casa. Proseguendo verso sud si giunge in una zona
caratterizzata da ripidi speroni rocciosi sui quali sorge un monastero del 1300 fondato da San Mosè
(un santo egizio, non il Mosè biblico) giunto in quelle zone per fare l’eremita. In tempi recenti il
monastero è stato abitato da un prete italiano che lo ha fatto ristrutturare attraverso fondi italiani e
manodopera siriana. È un monastero molto spartano con cucina frugale, dormitori che sono
semplici stuoie, un monastero dove si arriva, se si vuole si possono fare offerte, ma bisogna
accontentarsi di cio che si trova. Un monastero dove diverse confessioni pregano assieme. Un
monastero dal quale si può vedere la valle sottostante e dove si può ammirare la perfetta
commistione tra parte nuova e parte vecchia. Attualmente li sorge un covo di guerriglieri e il prete
italiano è dovuto tornare a casa portando con se brutte notizie.
Nel cuore della roccia viva sorge anche un altro villaggio (che somiglia molto ai sassi di Matera)
l’unico luogo al mondo in cui si parla ancora aramaico, la lingua parlata da Gesù. Lungo il percorso
in quella zona i nostri hanno incontrato tre bergamaschi che stavano compiendo un pellegrinaggio a
piedi fino a Gerusalemme, erano in viaggio da tre mesi e non erano nemmeno a metà percorso.
Prima di giungere a Damasco per il ritorno un ultima visita ad un monastero fondato da una
comunità sciita dedicato alla Madonna di Sitania. Un monastero roccioso edificato sulle rocce.
Dopo la Siria è venuto il momento di trasferirsi in Albania, un viaggio più breve compiuto lo scorso
anno. Un viaggio nella parte nord dell’Albania, a ridosso dei Balcani, a confine col Montenegro. Un
viaggio che rappresenta una sorta di conto in sospeso di un viaggio effettuato l’anno precedente
durante il quale l’Albania è stata attraversata tutta per giungere fino in Grecia, nel corso del quale si
era pensato di fare una deviazione che poi non è stata fatta e che è divenuto questo nuovo itinerario.
Un viaggio per visitare la valle di Peth, ove sorge un parco nazionale. Un viaggio effettuato con un
compagno diverso da quello del viaggio in Siria. Un tragitto cominciato con una traversata di una
notte in traghetto per poi arrivare a Bar (al confine col Montenegro) e da li proseguire verso Skoda,
dalla quale si dipanala strada verso Peth, un itinerario punteggiato di villaggi isolati che sono
rimasti isolati ed inaccessibili anche durante il periodo della dittatura, motivo per cui, mentre in
molte zone del Paese ogni centro abitato è dotato di bunker (retaggio appunto del periodo
dittatoriale) li non ce ne sono.
L’ingresso in Albania da sempre un senso di disordine. L’Albania del resto è un Paese giovane che
deve ancora costruirsi in un certo senso. Dopo una breve tappa a Skoda sul lago di Skuta è venuto il
turno di una zona che appariva più aspra e selvaggia caratterizzate da ponti, da piccole gole che si
aprono nel cuore di ripidi versanti rocciosi, strade vecchie di cinquant’anni, in parte asfaltate e in
parte no. Una vallata verde e ricca di acqua che sta avendo un particolare successo tra i turisti
tedeschi perché offre molte opportunità per attività outdoor quali trekking, alpinismo e rafting. I
nostri l’hanno percorsa per 100 km in salita e per 40 in discesa più trafficati attraversando montagne
ripide, ma suggestive punteggiate di case abbandonate e casolari vari a volte riconvertiti in ostelli
con gestori giovani dotati del collegamento Internet sebbene la corrente non sia allacciata ovunque.
Case , casupole e casolari isolati sono molto diffusi in questa zona dove sono più rari invece villaggi
e agglomerati. In uno di questi, non molto distante da Peth, si incontrano molti albanesi che parlano
il dialetto di Albosaggia, perché vivono la stabilmente e tornano nelle loro terre d’origine solo per
far visita ai parenti soprattutto d’estate. Una zona che sebbene ora non sia particolarmente rinomata
un giorno potrebbe diventare una fiorente zona turistica essendo adesso battuta frequentemente da
tedeschi e francesi i popoli più intraprendenti quando si tratta di scoprire posti nuovi. Tedesco era
anche un turista incontrato dai nostri in una zona dove hanno sostato in tenda, un signore molto
gentile che ha offerto loro della birra. La strada verso Peth è proseguita attraverso un passo montano
che si apre in una valle verde ricca di faggete e corsi d’acqua parallela ad un’altra valle di
morfologia invece più asciutta. Passando dal versante opposto della montagna rispetto alla partenza
i nostri sono poi ritornati verso il lago Skuta passando per Kobek una tipica città albanese piena di
buche e albanesi ormai italianizzati. Sulla via del ritorno passando dal Montenegro per arrivare ad
imbarcarsi a Bar si costeggia un’altra valle incavata tra i monti percorsa da strade sterrate e ricca di
zone di pesca tanto che il pesce è alla base dell’alimentazione di chi vi abita. Una zona in cui il
periodo dittatoriale è testimoniato da alcuni bunker sparsi qua e la e da residui di vecchi depositi di
armi. Questa zona è la valle di Kemed, attraversata la quale si costeggia la sponda montenegrina del
lago Skuta, ricca di zone paludose che costituiscono l’habitat di numerose specie di uccelli
acquatici, per poi alla fine imbarcarsi a Bar verso l’Italia.
Due viaggi per una serata ricca che ancora ha risvegliato nel pubblico presente il desiderio di
mollare tutto e partire. Due viaggi che sembra non finiscano mai di avere storie da raccontare in
quanto la serata è proseguita, come sempre, per qualche minuto anche dopo la presentazione delle
immagini. Due viaggi con chilometri da macinare e percorsi da compiere. Due viaggi ricchi di
sorprese di incontri, di contatti con diverse modalità di vita e di pensiero. Due viaggi alla scoperta
anche di altri modi di viaggiare attraverso incontri casuali con altri viandanti, ad esempio pensionati
o persone in anno sabbatico che compiono lunghi giri per lunghi periodi. Due viaggi nello spazio,
ma in un certo senso anche nel tempo alla scoperta scenari vetusti che il mondo moderno e
globalizzato di oggi rischia sempre più di far scomparire.
Antonella Alemanni