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ENDOSCOPIA PARODONTALE
Introduzione
Gli ultimi anni sono stati indubbiamente
caratterizzati da un fervido progresso tecnologico in ambito odontoiatrico. Molteplici
branche ne hanno potuto trarre vantaggio e
tra queste senza dubbio anche la parodontologia. Nell’ambito parodontale, riferendosi allo specifico settore della rimozione del
fattore causale, si è assistito a una spiccata
evoluzione dello strumentario già esistente
con l’introduzione di nuove forme e materiali (1-3). In generale, si potrebbe riassumere che in tale ambito il progresso tecnologico ha permesso di introdurre strumenti
complessivamente più miniaturizzati e
morfologicamente più versatili mirando nell’insieme a plurimi vantaggi clinici quali:
una più efficiente rimozione del fattore causale, una più agevole operatività e una riduzione del traumatismo verso i tessuti. A
modificare ulteriormente e in modo indubbiamente innovativo le abitudini terapeutiche in tale settore, è giunta di recente anche
l’introduzione dell’endoscopia.
L’applicazione infatti della tecnologia endoscopica, già da anni applicata con successo
ad altre discipline mediche, porta alla rivoluzionaria possibilità di un accesso visivo
praticamente atraumatico ed estremamente
amplificato dell’area sottogenviale (4, 5).
L’introduzione sul mercato delle citate innovazioni non è d’altro canto ancora stata adeguatamente supportata da opportune analisi di validazione scientifica sul loro concreto
apporto, lasciando quindi ancora oggi l’incertezza di un effettivo beneficio clinico (6,
7). Nonostante l’attuale carenza di evidenze
scientifiche, queste innovazioni sembrano
aprire comunque avvincenti ipotesi terapeutiche permettendo nell’insieme di poter
speculare su di una possibile ridefinizione
dei confini applicativi della terapia parodontale non chirurgica. La presentazione di
due casi clinici guiderà alcune riflessioni sul
tema.
novità
in terapia
parodontale
non chirurgica
Marco Montevecchi*, Vittorio Checchi**, Luigi Checchi*
* Reparto di Parodontologia e Implantologia, Dipartimento di Scienze
Odontostomatologiche Alma Mater Studiorum - Università di Bologna.
** Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche Ortodontiche e Chirurgiche
Seconda Università di Napoli.
n Stato dell’arte: negli ultimi anni in parodontologia molta attenzione
è stata dedicata a nuove tecnologie e a nuovi strumenti miniaturizzati
che, in virtù delle loro piccole dimensioni, permettono un minor traumatismo dei tessuti parodontali trattati e una maggior efficacia nel raggiungimento di aree anatomiche complesse.
n Il ruolo dell’endoScopIa: all’interno di questo processo evolutivo
l’introduzione della tecnologia endoscopica ha costituito forse la maggior
innovazione tecnica. Mediante l’utilizzo di una fibra ottica di dimensioni
sottilissime si è infatti reso possibile un accesso visivo estremamente
ingrandito alle aree sottogengivali con una minima invasività verso i tessuti parodontali.
n I caSI clInIcI: l’utilizzo dell’endoscopio parodontale in associazione a
strumentario miniaturizzato verrà descritto attraverso la presentazione di
due casi clinici emblematici. Dai risultati clinici così ottenuti si trarrà
spunto per alcune considerazioni sulle potenzialità della terapia parodontale non chirurgica alla luce delle più recenti innovazioni tecnologiche.
casi clinici
n CASO 1
Una paziente di 54 anni di razza caucasica si
rivolge al Reparto di Parodontologia e
Implantologia lamentando un generale sanguinamento gengivale associato a saltuari
gonfiori gengivali in sede palatale all’incisivo
centrale superiore di sinistra. Da un punto di
vista medico anamnestico la paziente risulta
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DentalClinics
PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
La paziente
è trattata
con 5 sedute
di levigatura
radicolare, di cui
una endoscopica.
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Anno I - n°4 - dicembre 2009
classificabile come ASA status 1. Dopo un’attenta analisi clinica e radiografica, posta la
diagnosi di parodontite cronica generalizzata
di grado medio-lieve, viene formulato il
seguente piano di trattamento preliminare:
a) test microbiologico, b) istruzioni d’igiene
orale, c) 5 sedute di levigatura radicolare con
anestesia locale, di cui una conclusiva con
visione endoscopica mirata ai siti con i
sondaggi più profondi, d) rivalutazione.
A distanza di circa un mese dall’ultima
seduta, la paziente viene quindi rivalutata
clinicamente registrando un generale
miglioramento di tutti i parametri (fig. 1).
Alla luce dei risultati clinici ottenuti, la
paziente viene conseguentemente inserita
in un programma di mantenimento igienico con cadenza trimestrale.
Visto il miglioramento dei valori di sondaggio e al fine di valutare la risposta
ossea al trattamento endoscopico, a
distanza di 6 mesi dalla seduta, vengono
eseguite due radiografie endorali periapicali con tecnica parallela mirate alle aree
n. 1.2 e 2.1. L’analisi di tali immagini e il
confronto con le precedenti permette di
apprezzare un significativo riempimento
dei difetti ossei inizialmente presenti (fig.
2 e 3).
Dal confronto clinico tra il quadro iniziale
e quello corrispondente alla seconda analisi radiografica si apprezza una generale
stabilità del margine gengivale, portando
quindi a escludere una riduzione della
profondità di sondaggio da contrazione in
senso apicale de tessuti molli (fig.4).
Figura 2
Aspetto radiografico dell’area 1.2 distale. Si può
apprezzare una remineralizzazione del difetto angolare
inizialmente presente.
Figura 3
Aspetto radiografico dell’area 2.1. Si può apprezzare il
sostanziale miglioramento osseo a carico dell’elemento
2.1
Figura 1
Cartella clinica parodontale con valori di profondità di
sondaggio corrispondenti alla prima visita e alla rivalutazione eseguita a 1 mese dalla terapia non chirurgica.
ENDOSCOPIA PARODONTALE
n CASO 2
Una paziente di razza caucasica, 60 anni, è
inviata da collega esterno al nostro reparto
per problematiche di tipo parodontale. La
principale lamentela della paziente è la percezione di forte movimento degli elementi
dentali antero-superiori associata a una
generale dolenzia delle gengive. Dopo un
attento esame radiografico e la specifica raccolta dei parametri biometrici, si effettua la
diagnosi di parodontite cronica generalizzata
di grado avanzato. Da un punto di vista
anamnestico la paziente dichiara di assumere
da 2 anni dei bifosfonati per via endovenosa
(Acido Zoledronico 5 mg, 1 volta l’anno) per il
trattamento dell’osteoporosi postmenopausale; non vengono segnalate altre problematiche di tipo medico. La paziente viene classificata come classe ASA 2 con una limitazione
temporanea alla terapia chirurgica. La paziente, dopo l’esecuzione del test microbiologico
e il conferimento di adeguate istruzioni igieniche viene sottoposta a una fase di terapia
parodontale non chirurgica in 4 sedute. In
fase di rivalutazione (fig.5), eseguita a 1 mese
dall’ultima seduta di levigatura radicolare,
viene scelto di effettuare un’ulteriore trattamento non chirurgico in visione endoscopica
e strumentario miniaturizzato del II sestante
(fig.6 e 7). La paziente viene quindi nuovamente rivalutata a un mese di distanza evidenziando un ulteriore miglioramento parodontale dell’area trattata e una significativa riduzione della mobilità inizialmente lamentata
(fig.5 e 8). Vista la positiva risposta alla terapia
effettuata e la soddisfazione della paziente
per il risultato ottenuto si decide di entrare in
una fase di mantenimento igienico con scadenze trimestrali. Dopo 6 mesi dalla seduta
endoscopica viene effettuata una nuova analisi radiografica periapicale di tutto il settore
antero-superiore evidenziando un generale
rimodellamento osseo con armonizzazione
del margine corticale e pressoché totale riempimento dei difetti intraossei presenti in
prima visita (fig.9).
PUNTO CHIAVE
La paziente
lamenta movimento
degli elementi dentali
e dolenzia
delle gengive.
Figura 4
II sestante alla prima visita (4a) e a circa 8 mesi di
distanza (4b). Si sottolinea come l’andamento del margine gengivale si sia mantenuto stabile tra i due
momenti d’osservazione e quindi come la riduzione dei
valori di sondaggio riscontrata all’ultima valutazione non
sia da ricondurre, in tale distretto anatomico, a una contrazione tissutale.
PUNTO CHIAVE
Dopo 6 mesi
di trattamenti
si evidenzia
un generale
rimodellamento
osseo.
Figura 5
Cartella clinica parodontale riportante i valori dei sondaggi
raccolti rispettivamente durante la prima visita, la rivalutazione dopo 4 sedute di levigatura radicolare e la seconda
rivalutazione a 1 mese dalla seduta endoscopica.
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
Figura 6
Aspetto palatale del II sestante prima della seduta
endoscopica. È possibile osservare la presenza di
tasche parodontali e di sanguinamento al sondaggio.
discussione
PUNTO CHIAVE
La terapia
convenzionale
ha dimostrato
di ridurre
la progressione
della patologia.
Figura 8
Rivalutazione a un mese dalla seduta endoscopica. I
valori di sondaggio patologici inizialmente presenti sono
ora completante risolti.
14
Figura 7
Aspetto palatale del II sestante durante la seduta endoscopica. Si noti la presenza dell’endoscopio in fase di
scivolamento all’interno della tasca palatale del n. 1.1.
L’approccio terapeutico convenzionale alla
malattia parodontale è costituito dalla
sequenza di ben definite fasi terapeutiche: la
terapia causale con il controllo dei fattori di
rischio, la terapia chirurgica, detta anche correttiva e la terapia di supporto o di mantenimento. Tali misure terapeutiche hanno dimostrato la capacità di ridurre se non arrestare
la progressione della patologia e consentire
la riparazione o anche la rigenerazione dell’apparato di sostegno leso.
Figura 9
Aspetto radiografico del settore antero-superiore alla prima visita (9a) e a circa 10 mesi di distanza (9b) con terapia
parodontale non chirurgica effettuata. Dal confronto delle immagini è possibile apprezzare un generale miglioramento
morfologico del supporto osseo.
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ENDOSCOPIA PARODONTALE
Per quanto concerne la terapia causale, dalle
osservazioni di più autori è stato oramai
chiaramente dimostrato come la rimozione
del tartaro associata alla levigatura radicolare sottogengivale, se eseguite con cura, rappresentano un mezzo efficace per eliminare
la gengivite e ridurre la profondità del sondaggio (8). Se quindi da una parte è praticamente unanime il riconoscimento del cruciale ruolo terapeutico della strumentazione
radicolare senza accesso chirurgico, dall’altra
non le viene comunemente conferita alcuna
concreta capacità nell’ambito della rigenerazione parodontale. Questa comune posizione
scientifica sembra comunque contrastare
con i casi clinici qui presentati (fig. 2 a-b, 3 ab e 4 a-b), ove un rilevante miglioramento dei
valori clinici assieme alle modifiche radiografiche, sembrano far ipotizzare un possibile
processo rigenerativo. Alla base di questa
posizione risiedono autorevoli osservazioni
istologiche che con chiarezza hanno dimostrato come la guarigione derivante da tale
trattamento parodontale risulti essere la formazione di un epitelio giunzionale lungo,
con un esito finale quindi di tipo riparativo
(9). La stessa tipologia di guarigione è stata
per altro recentissimamente descritta anche
per siti trattati mediante l’ausilio dell’endoscopia parodontale (10). Se quindi è inequivocabile il processo di tipo riparativo che
consegue alla levigatura radicolare sottogengivale, è altrettanto vero che poco è stato
riportato in letteratura riguardo alla risposta
dei tessuti più prossimi alla corticale o compresi in una tasca infraossea. Bisogna quindi
riconoscere come le attuali acquisizioni
siano frutto d’analisi istologiche molto focalizzate alla porzione tissutale sovracrestale e,
quindi, al rapporto epitelio-giunzionale e
attacco-connettivale. Mentre una certa carenza descrittiva ricade verso la guarigione della
porzione posta più apicalmente. Alla luce di
tutto ciò, benché pochi siano gli studi che
hanno focalizzato l’attenzione sulla risposta
del tessuto osseo alla sola terapia non chi-
rurgica, un effettivo miglioramento radiografico è stato in più casi riportato (11-14).
Molto interessante in tal senso risulta un
recente studio di Hwang et al. nel quale gli
Autori, mediante un’analisi radiografica con
tecniche sottrattive, hanno evidenziato come
a 6 mesi di distanza dalla levigatura sottogengivale si verifichi in modo significativo
una remineralizzazione del tessuto osseo e
come questo avvenga in particolare a carico
dei difetti infraossei (>3 mm), specialmente
nella loro porzione più apicale (15). Sempre
sulla risposta del tessuto osseo alla terapia
parodontale indubbiamente interessanti
sono anche le osservazioni riportate da
Schmidt et al. in uno studio del 1988 basato
sempre su valutazioni di tipo radiograficosottrattivo (16). In tale lavoro si è infatti
osservato come una perdita ossea post trattamento sia significativamente più frequente
ove la levigatura radicolare si associ anche
all’accesso chirurgico. Più chiaramente, un
lembo d’accesso associato a levigatura radicolare sembra indurre una risposta più sfavorevole da parte del tessuto osseo rispetto
alla sola levigatura sottogengivale. Tra i molteplici fattori che possono avere un’influenza
su tale risultato, quello che a nostro avviso
assume un ruolo rilevante per i difetti
infraossei è rappresentato dalla potenziale
presenza di una componente ossea non più
apprezzabile radiograficamente in quanto
demineralizzata dal processo flogistico tipico
della patologia, ma non ancora irrimediabilmente danneggiata. Tale porzione conserverebbe ancora la cruciale capacità di remineralizzarsi potendo quindi ricostituire parte
del complesso parodontale apparentemente
andato perso. Di fronte a tali tessuti l’accesso chirurgico può quindi essere più sfavorevole che utile andando a resecare direttamente le fibre adese alla superficie radicolare
o comunque rendendo più probabile la rimozione di tale tessuto durante la procedura di
levigatura radicolare. Come esito finale tale
procedura porterebbe quindi a una guarigio-
PUNTO CHIAVE
La levigatura
radicolare
e la rimozione
del tartaro riducono
la profondità
del sondaggio.
PUNTO CHIAVE
La risposta positiva
del tessuto osseo
alla sola terapia
non chirurgica
è stato riportata
in più casi.
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
L’approccio
non chirurgico
preserva inoltre
le fibre connettivali
sovracrestali.
PUNTO CHIAVE
Una levigatura
radicolare completa
sotto visione
endoscopica
migliora lo stato
parodontale.
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ne praticamente priva di possibili remineralizzazioni ossee, se non addirittura a processi
di riassorbimento, benché minimi, per la formazione di una nuova ampiezza biologica
(17, 18). In ultimo, un altro possibile vantaggio dell’approccio non chirurgico rispetto a
qualsiasi tecnicismo che preveda il sollevamento di un lembo potrebbe risiedere concettualmente anche nella preservazione di
quelle fibre connettivali sovracrestali che, per
la loro riconosciuta importanza nella stabilità
dell’elemento dentale, potrebbero giocare
nei primissimi giorni un ruolo favorevole nel
processo di guarigione delle porzioni più
prossime alla superficie dentale (19). Se da
una parte è vero che solo un esame istologico può chiarire quale rapporto esista tra il
tessuto osseo ricreatosi e la superficie radicolare a esso adiacente, sulla base delle
attuali conoscenze nell’ambito della guarigione tissutale si potrebbe ipotizzare sia
un’interposizione epiteliale sia connettivale
rispetto a un contatto diretto osso-radice (20,
21). Se quindi da una parte alla sola levigatura radicolare senza apertura di lembo non
sono a oggi riconosciute significative capacità rigenerative del complesso parodontale,
si può dichiarare che tale approccio terapeutico è comunque potenzialmente in grado di
sviluppare un importante effetto benefico
anche a carico del tessuto osseo. Dai casi
descritti e da quanto riportato sembra quindi
possibile pensare che un’attenta e completa
levigatura radicolare eseguita sotto visione
endoscopica e con strumenti miniaturizzati
possa migliorare in maniera significativa lo
stato parodontale del paziente inducendo
anche processi rigenerativi, almeno a livello
osseo, in presenza di difetti angolari.
Spostando l’interesse delle presenti riflessioni sull’applicabilità della terapia parodontale
chirurgica, sono molteplici le situazioni in cui
si ritiene opportuno valutare attentamente
gli effettivi costi/benefici della medesima.
Non contemplando le limitazioni di tipo
puramente economico ma focalizzando l’at-
tenzione sulle condizioni mediche del
paziente può essere estremamente utile,
traendo spunto dal secondo caso clinico qui
descritto, fare alcune considerazioni sull’attualissima problematica odontoiatrica derivante dall’assunzione di bifosfonati. Da
decenni, tali farmaci rappresentano un
importante ausilio nel trattamento di patologie metaboliche e oncologiche coinvolgenti
l’apparato scheletrico; in virtù prevalentemente delle loro capacità inibitorie verso il
riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti essi sono ampiamente utilizzati nel
trattamento dell’osteoporosi, del morbo di
Paget, dell’ipercalcemia secondaria a patologie neoplastiche e per altre condizioni associate ad aumentata attività osteoclastica (22,
23). Se fino a oggi si riteneva che i bifosfonati
fossero ben tollerati e raramente in grado di
causare effetti collaterali rilevanti (24), dati
recenti hanno invece evidenziato casi di
osteonecrosi delle ossa mascellari e della
mandibola, non solo dopo somministrazione
per via endovenosa ma anche dopo assunzione per via orale (25, 26). Anche se le conoscenze in tale ambito si stanno ampliando,
purtroppo ancora molti sono i punti che
necessitano di chiarimenti. Di fronte a tali
incertezze e all’importanza della problematica sono state recentissimamente delineate
dall’American Dental Association delle linee
guida rivolte alla pratica clinica odontoiatrica
(27). Tra le molteplici raccomandazioni suggerite c’è quella di ridurre al minimo tutte le
manovre che possano portare a un’esposizione del tessuto osseo. Riferendosi al settore
puramente parodontale, la terapia chirurgica
diviene conseguentemente sconsigliata per i
possibili rischi che ne potrebbero derivare.
Con tutte le limitazioni insite nella presentazione di un caso clinico, la buona risposta
tissutale ottenuta in completa assenza di
complicanze induce a riflettere sulle potenzialità di tale approccio minimamente invasivo. L’idea di poter attualmente usufruire,
almeno da un punto di vista teorico, di una
ENDOSCOPIA PARODONTALE
terapia non chirurgica più efficace rispetto a
prima, costituisce infatti un’interessante
opportunità di trattamento per quei pazienti
la cui gestione terapeutica si presenta tuttora
non priva d’incertezze.
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Si può quindi concludere come da questo
insieme d’osservazioni non sembri irrazionale pensare a una ridefinizione delle
capacità terapeutiche e indicazioni cliniche
della levigatura radicolare sottogengivale,
in particolare quando attuata con l’ausilio
delle più recenti innovazioni strumentali e
quando associata a una forte collaborazione igienica del paziente. L’attuale carenza
di conferme scientifiche obbliga comunque
a una dovuta cautela di posizione non
dimenticando, peraltro, l’estrema difficoltà
pratica a ottenere effettivamente una radice biologicamente sana.
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PUNTO CHIAVE
La levigatura
radicolare
sottogengivale
potrebbe avere
nuove indicazioni
cliniche
e terapeutiche
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
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