La vecchia politica c` è dove non dovrebbe e non c` è dove dovrebbe

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La vecchia politica c` è dove non dovrebbe e non c` è dove dovrebbe
Le colpe del mercato e del collettivismo
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IL DUBBIO
Le colpe del mercato e del collettivismo
La vecchia politica c' è dove non dovrebbe e non c' è dove
dovrebbe esserci
Ieri, i titoli d' apertura dei maggiori quotidiani davano notizia del crollo delle Borse e ne attribuivano la
causa alla crescita del disavanzo pubblico che ha portato tre Paesi dell' Ue - Spagna, Portogallo e Grecia
- sull' orlo della bancarotta e altri li sta avvicinando. Ma quegli stessi osservatori che hanno gettato
«solo» sulle spalle del mercato e del capitalismo le responsabilità della crisi finanziaria non
profferiscono verbo sulle responsabilità della politica che sullo statalismo, «malattia senile» del
collettivismo e del dirigismo, ci campa. Eppure, la crisi finanziaria che dagli Usa ha infettato tutto il
mondo era figlia della politica monetaria della Federal Reserve: l' immissione di un eccesso di liquidità
che, fornendo al mercato informazioni sbagliate, aveva prodotto credito facile e indebitamento
irresponsabile. Eppure, la crisi economica che ora travaglia l' Europa non viene, a sua volta, solo dalle
restrizioni creditizie e dagli interventi pubblici per salvare il sistema finanziario, ma da più lontano, da
una spesa pubblica ormai fuori controllo pressoché in tutti i Paesi del continente; contrabbandata come
welfare ma che ha, invece, negli sprechi della Pubblica amministrazione la sua ragione vera. I mercati
sono negativamente condizionati dallo stato della finanza pubblica (disavanzo e debito crescenti) e dall'
incapacità della politica di procedere rapidamente nei programmi di una sua ristrutturazione e di un
suo risanamento. Poiché la crisi economica ha prodotto una contrazione dei consumi che si è riflessa
sulla produzione - cui si aggiungono le dilazioni nei pagamenti, da parte dell' industria e delle catene di
servizi maggiori, che ne mettono in crisi i fornitori - e, di conseguenza, anche una contrazione delle
entrate fiscali, «lo Stato canaglia» pensa ora a un aumento delle tasse; che avrebbe come solo risultato
di contrarre ulteriormente consumi e produzione e di alimentare la spesa improduttiva e il parassitismo
pubblici. Un circolo vizioso destinato a chiudersi in un solo modo: con la bancarotta dei Paesi meno
virtuosi e l' esplosione di un' inflazione a più cifre che manderà a catafascio quel poco di Unione
europea che si è sviluppata nel tempo e che, col suo rigorismo, ha (vanamente) cercato di insegnare agli
Stati membri come tenere i propri conti in equilibrio fra spesa, entrate e inflazione. E pensare che, solo
dieci anni fa, col Trattato di Lisbona, i capi di governo dell' Ue - gli stessi responsabili dell' attuale
situazione - avevano previsto di fare dell' Europa, quest' anno, «l' economia più competitiva del
mondo»! Mi rendo conto che tale descrizione della crisi può suonare troppo riduttiva, ma a me pare
anche la sola che ne offra un quadro comprensibile al comune cittadino, non inficiato dalle interessate
interpretazioni dei governi, e metta, perciò, il dito nella piaga. Rimasti a metà del guado, fra «libertà
economica» - che non vuol dire, come si vuol far credere, «mercato senza regole», ma condizione
imprescindibile di competitività nell' era della globalizzazione - e «ritardi politici» di natura
collettivistica ereditati dal Novecento totalitario, la maggior parte dei Paesi europei non sa che fare.
Perché la vecchia politica - con i costi esorbitanti del suo apparato burocratico - c' è dove non dovrebbe
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Le colpe del mercato e del collettivismo
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e non c' è dove dovrebbe esserci, con regole nuove di convivenza civile maggiormente adeguate ai tempi.
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Ostellino Piero
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(6 febbraio 2010) - Corriere della Sera
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