SESSUALITÀ e la Chiesa in Italia

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SESSUALITÀ e la Chiesa in Italia
Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa
Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Volume I - Dalle Origini All'Unità Nazionale
Roma 2015
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Voce pubblicata il 14/01/2015 -- Aggiornata al 17/01/2015
SESSUALITÀ e la Chiesa in Italia
Autore: Margherita Pelaja
Per tentare di dare ordine a una riflessione sul tema della sessualità possono essere usati due termini:
“parità” e “gerarchia”. Solo apparentemente contrapposti e lontani dal tema specifico, essi si intrecciano
sempre fra di loro secondo relazioni complesse, mentre l’uno o l’altro acquista intensità e occupa di volta
in volta il centro della scena in epoche diverse, permettendo così di proporre periodizzazioni, di suggerire
grumi di senso.
Non si tratta qui infatti di comporre una narrazione lineare, incapace per sua natura di rendere conto sia
pure in estrema sintesi di un cammino lunghissimo e tortuoso, fatto di elaborazioni e di esperienze
contrastanti disseminate su territori e contesti i più diversi tra di loro. Né si tratta di guardare alla
sessualità come luogo teologico, puro oggetto di dispute dottrinali. Si tratta piuttosto di osservare la
declinazione storica e politica che alcuni enunciati hanno avuto nel corso dei secoli nella storia della
Chiesa ma anche nella quotidianità dei vissuti dei fedeli.
Il primo termine dunque è “parità”, e ha portato una rivoluzione culturale nelle concezioni del mondo
antico. Parità tra anima e corpo, prima di tutto: culture e filosofie precristiane ascrivevano il corpo – e
con esso l’istinto sessuale – alla sfera della natura; lo separavano in un dualismo irriducibile dalla
dimensione spirituale e intellettuale per farne di volta in volta luogo immondo di pulsioni da soffocare o
centro di forze cui abbandonarsi in tutta innocenza, perché parte di una fisiologia separata dalla morale e
dalla religione. Il cristianesimo sovverte tutto: nelle lettere di Paolo il corpo risplende della stessa luce
che aveva fatto risorgere il corpo di Cristo dalla tomba, è «tempio dello Spirito santo». Non più terreno
neutrale della natura, con l’Incarnazione il corpo diventa parte integrante della persona umana,
inscindibile dallo spirito.
Il dualismo così limpidamente abolito torna tuttavia, e subito, in una nuova antitesi: impulsi e desideri
capaci di trascinare ognuno nel peccato e nella perdizione risiedono infatti, nella visione paolina e poi in
tutti i testi cristiani, non nel corpo ma nella “carne”. La carne è una forza possente, ribelle a Dio
attraverso mollezze e tentazioni ben più pericolose degli istinti naturali del corpo; quella che Agostino
chiamerà concupiscenza è il vizio della carne che desidera “contro” lo spirito, alla ricerca di un piacere
fine a sé stesso e attratto dal peccato. La lotta tra spirito e carne trasforma così il corpo in uno strumento
di salvezza, e dunque in luogo d’ordine e di esercizio della volontà e della disciplina: la parità tra anima e
corpo ha implicazioni profonde nella vita di ogni cristiano e ancor più profondamente ambigue nella sua
percezione della sessualità. L’enfasi posta sul dominio di sé e sul controllo degli impulsi sessuali propone
subito infatti slittamenti di senso, suggerisce scelte economiche convenienti: «con l’astinenza – scrive
Tertulliano nel De Anima (9, 4) – si può acquisire moltissima santità: risparmiando nella carne si può
investire nello spirito». La scelta e l’esercizio della castità come vittoria definitiva sulla concupiscenza
sarà letta nel corso dei secoli come la via più nobile e certa verso la salvezza, fino ad accreditare una
visione che denigra anche la sessualità più continente e apre la strada all’affermazione del binomio
cristianesimo/sessuofobia.
C’è un’altra parità, altrettanto controversa, alle fondamenta del cristianesimo: quella tra uomo e donna.
«Ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la
moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito», scrive Paolo nella Prima lettera ai Corinzi.
Uguaglianza e reciprocità sono posti alla base dell’unione coniugale cristiana lungo un percorso che dalle
coppie che nei primi secoli vivevano in ascesi nei Luoghi Santi, passa a porre la copula come condizione
indispensabile all’esistenza stessa del legame coniugale; poi a elaborare tecniche amatorie efficaci
perché entrambi i coniugi raggiungano il piacere, giungendo infine a tollerare la sessualità
prematrimoniale come strumento per raggiungere le nozze.
Questo percorso è lungo e tortuoso: i teologi dell’antichità e del medioevo accettavano l’unione coniugale
esclusivamente come remedium concupiscientiae e discutevano se la copula tra moglie e marito fosse da
considerare almeno peccato veniale, dato che il piacere fisico ha la capacità di obnubilare, sia pure per
pochi istanti, la vigilanza della coscienza cristiana. Dopo la codificazione del matrimonio varata dal
Concilio di Trento invece si diffondono trattati che rovesciano questo punto di vista: rifacendosi alle
teorie ippocratiche che ritenevano l’orgasmo sia maschile che femminile indispensabile alla procreazione,
i più autorevoli teologi morali seicenteschi raccomandano eccitazioni, fantasie, toccamenti affinché
moglie e marito godano pienamente e legittimamente dei piaceri dell’amplesso. Ogni preliminare e ogni
posizione sono esaminati con tolleranza per garantire ai coniugi la reciprocità della soddisfazione e del
possesso.
Naturalmente, in questa come in altre teorizzazioni, non si tratta soltanto di elaborare norme morali sulla
sessualità coniugale: si tratta piuttosto di accentuare la distinzione tra la castità del clero e la
quotidianità sessuata dei laici, e soprattutto di frastagliare i confini tra lecito e illecito, di sfumare
l’assoluto delle norme universali per consegnare ogni esperienza alla responsabilità del singolo e
all’autorità dei confessori.
La copula acquista così luci e qualità inedite rispetto al rigore della Chiesa medievale: l’unione della
carne e la commistione del sangue generano un vincolo indissolubile che nell’ordine del popolo dei fedeli
post-tridentini “deve” diventare matrimonio. In nome di questo obiettivo prioritario i prelati che
amministrano la giustizia ecclesiastica sono pronti allora ad accantonare canoni e castighi per
privilegiare l’opportunità di sanare singoli e scandalosi disordini. Comincia a configurarsi così una delle
gerarchie che ispirano il governo delle anime per tutta l’età moderna: in cima alla scala degli eventi
desiderabili nella vita dei fedeli c’è il matrimonio, mentre alla sommità di quella delle situazioni esecrabili
per la comunità cattolica c’è lo scandalo. «A retto fine di matrimonio» e per evitare scandali maggiori
saranno concesse dispense matrimoniali anche da impedimenti dirimenti – disparità di ceto sociale o di
culto, adulterio con promessa di sposarsi alla morte del coniuge, parentela – purché forzati dalla
consumazione di un amplesso più potente delle leggi canoniche. Dopo alcuni decenni di rigore – necessari
a far penetrare nella coscienza collettiva l’obbligo di seguire i dettati tridentini nella celebrazione delle
nozze – verranno aiutati i concubini che saranno stati capaci di convincere parenti e vicinato di essere
davvero marito e moglie: la pena loro comminata sarà fino a tutto l’Ottocento nozze rapide ed
economiche, celebrate a spese del Tribunale ecclesiastico risparmiando sui costi dei certificati necessari
e ottenendo l’esonero da quelli difficili da reperire. Quanto poi alla seduzione, a quegli amplessi strappati
con lusinghe o concessi con lucido calcolo, basterà dichiarare concordemente che gli impulsi della carne
hanno solo preceduto gli onesti intenti nuziali, oppure denunciare al parroco un seduttore riottoso per
ottenere una “condanna” che imponga il bene supremo del matrimonio ed eviti il male contagioso dello
scandalo.
Altre gerarchie vengono poi a disporsi lungo la scala del lecito e dell’illecito nel governo delle anime e dei
corpi dei fedeli: sono le gerarchie che riguardano gli impulsi irrefrenabili, le inclinazioni perverse, le
resistenze poste dalla carne alla disciplina che ogni cristiano deve esercitare sul desiderio sessuale.
Perché i peccati, anche all’interno del vizio capitale della lussuria, non sono tutti uguali: ognuno occupa
un suo spazio specifico, ognuno è al centro di valutazioni e negoziazioni che declinano di volta in volta gli
enunciati universali del bene e del male.
Alla sommità della graduatoria della colpa c’è il peccato più inatteso, quello cui nessun cristiano –
neanche il monaco più santo – riesce a sfuggire: la dissipazione del seme. Lo sperma possiede la potenza
generativa, che fa dell’uomo lo strumento del divino nel donare la vita: assicura quindi la legittimità
dell’ordine paterno ma al tempo stesso è associato al disordine di emissioni involontarie e incontrollate,
legandosi strettamente alla grande questione teologica del libero arbitrio e dei suoi confini. Per tutto il
medioevo la polluzione fu ritenuta rischio e tentazione del clero, impegnato in battaglie feroci contro
fantasie e abbandoni notturni; con il passare dei secoli poi nella riflessione di monaci e teologi fu
progressivamente estesa a tutti i celibi; infine, a partire dal Quattrocento, a tutti gli uomini e a tutte le
donne, stabilendo una sorta di identificazione con la masturbazione. Così nei manuali dei confessori posttridentini è proprio la labilità del confine tra masturbazione e polluzione a consentire di scomporre il
peccato secondo prospettive variabili, di ricondurlo di volta in volta a un fallimento episodico e veniale
del controllo sugli istinti oppure a un esecrando crimine contro natura, a un vizio innominabile
generatore di altrettanto innominabili perversioni.
Il “peccato nefando” che ne discende direttamente è infatti quello di sodomia. Peggiori degli omicidi
(Giovanni Crisostomo), colpevoli di aver cacciato lo Spirito Santo dal tempio dell’anima (Pier Damiani),
tanto abominevoli da suscitare disgusto perfino nei diavoli (Caterina da Siena), destinati alla corruzione
del corpo prima che alla morte (Bernardino da Siena), i sodomiti hanno posto la Chiesa di fronte a
contraddizioni paralizzanti: perché un rapporto carnale consapevolmente infecondo evidenzia un
altrettanto consapevole abbandono alla lussuria ed esige dunque una punizione definitiva ed esemplare.
Ma è qui che cominciano i problemi. Affinché sia comminata l’esclusione perenne dalla comunità dei
cristiani, o sia addirittura richiesta – con due Costituzioni nel corso del Cinquecento – la collaborazione
delle magistrature laiche per imporre supplizi e impiccagioni, è infatti necessario che la colpa sia
accertata in tutta la sua pienezza: occorre provare la coscienza del peccato, la sua reiterazione perché
non si tratti di una caduta occasionale, la sua consumazione completa e consenziente, il ruolo attivo o
passivo sostenuto nella consumazione stessa, dato che solo per il dominante è prevista la consapevole
emissione del seme. Magistrati, inquisitori e confessori rimangono in balia di denunce, ritrattazioni,
sottigliezze giuridiche: così – in una visione che privilegiando la colpa dell’infertilità pone sullo stesso
piano rapporti fra uomini, fra uomini e donne, fra uomini e fanciulli – proprio l’orrore del peccato nefando
rende quasi impossibile il suo castigo.
È insomma un misericordioso pragmatismo a ispirare nel lungo periodo la politica della Chiesa verso i
fedeli colpevoli di comportamenti sessuali irregolari: gli assoluti delle condanne sono stemperati in
valutazioni e negoziazioni su casi particolari e su specifiche attenuanti, per giungere infine a proporre
pene miti, perdoni condizionati. Perché l’obiettivo perseguito non è tanto la difesa dell’ordine morale e
familiare, quanto la penetrazione nelle coscienze del senso del peccato e della colpa come vissuto
perenne del cristiano, premessa irrinunciabile alla sottomissione e all’obbedienza.
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Baldini & Castoldi, Milano 1999.
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A cura della Redazione
Cantiere Storico: “La Chiesa in Italia”
integrazioni, complementi, aggiornamenti alla Voce da parte di Autori diversi
Immagine: Basilica superiore di San Francesco d’Assisi, affresco di Cimabue, particolare: la scritta
“Italia” compare sopra la città di Roma