CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - sentenza 9 maggio 2011 n. 2749

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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - sentenza 9 maggio 2011 n. 2749
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - sentenza 9 maggio 2011 n. 2749 - Pres. ff. Pozzi,
Est. Carella - Ripoli ed altro (Avv.ti Casiere e Irmici) c. Comune di Lucera (n.c.) e Vitrani
ed altro (Avv.ti Meale e Panizzolo) - (riforma T.A.R. Puglia - Bari, Sez. III, n. 1535/2007).
1. Edilizia ed urbanistica - Distanze tra le costruzioni - Distanza di 10 metri tra
pareti finestrate - Prevista dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 - Prevale
sulle eventuali disposizioni regolamentari difformi - Finalità - Individuazione.
2. Edilizia ed urbanistica - Distanze tra le costruzioni - Distanza di 10 metri tra
pareti finestrate - Circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio
ovvero di chiostrina o cortile o pozzo luce - Irrilevanza ai fini dell’osservanza
della norma.
3. Edilizia ed urbanistica - Distanze tra le costruzioni - Previste dalle norme
pubblicistiche - Deroga in via convenzionale - Impossibilità.
4. Edilizia ed urbanistica - Distanze tra le costruzioni - Distanza di 10 metri tra
pareti finestrate - Prevista dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 - Criterio
della prevenzione - Applicabilità - Limiti - Individuazione.
1. L’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 (per il quale è prescritta in tutti i casi
la distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti e, comunque, una minima pari all’altezza del fabbricato più alto),
sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di
attuazione di un piano regolatore; la prescritta distanza di dieci metri tra
pareti finestrate di edifici antistanti, infatti, va rispettata in tutti i casi,
trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive
sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza, per cui il suo disposto non
è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine stessa (1).
2. Nell'applicazione della disciplina in materia di distanze di cui all’art. 9 del
d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, non può dispiegare alcun effetto distintivo la
circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti
oppure assumere ruolo interpretazioni intorno alle caratteristiche dello
spazio interno, quantunque chiostrina o cortile o pozzo luce, specie in zona
sismica nella quale occorre in ogni caso garantire l’intervallo di sicurezza.
3. In tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei
piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate,
contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell'interesse generale a un
prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da
parte dei privati e tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità
può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il
singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una
volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (2).
4. Qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal
confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire "in aderenza" od "in
appoggio", la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del
principio della prevenzione, mentre, nel caso in cui invece tali facoltà siano
previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli art. 873
e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul
confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di
chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente
esercitando le opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di
arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza
imposta dallo strumento urbanistico (3).
-----------------------------------------(1) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2010 n. 7731, in LexItalia.it, pag.
http://www.lexitalia.it/p/10/cds4_2010-11-02-1.htm
(2) ) Cfr. Cassazione civile, sez. II, 23 aprile 2010, n. 9751.
(3) ) Cfr. Cassazione civile, sez. II, 9 aprile 2010, n. 8465.
------------------------------------------Documenti correlati:
CORTE
DI
CASSAZIONE,
SEZ.
II
CIVILE,
sentenza
24-7-2001,
pag.
http://www.lexitalia.it/private/ago/cassciv2_2001-10062.htm (la prescrizione di cui al
D.M. n. 1444/68, che impone una distanza di 10 metri tra pareti finestrate, va osservata dai
regolamenti edilizi adottati dopo l’entrata in vigore del D.M. e si applica anche se solo una
delle due pareti sia finestrata).
CONSIGLIO
DI
STATO
SEZ.
IV,
sentenza
2-11-2010,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/10/cds4_2010-11-02-1.htm (sulle modalità di calcolo della
distanza di 10 metri prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, sulla sua prevalenza o
meno sui regolamenti locali, sulla nozione di costruzione rilevante a tal fine, sulle modalità
di computo dei limiti di altezza previsti dall’art. 8 dello stesso d.m., nonché sulla nozione di
volume tecnico).
CONSIGLIO
DI
STATO
SEZ.
IV,
sentenza
12-6-2007,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/71/cds4_2007-06-12.htm (sull’applicabilità o meno della
distanza di 10 metri tra pareti finestrate nel caso in cui la nuova costruzione sia destinata
ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti ovvero nel
caso in cui esista un muro a confine e sulla disapplicabilità o meno delle norme
regolamentari in contrasto).
CONSIGLIO
DI
STATO
SEZ.
V,
sentenza
26-10-2006,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/62/cds5_2006-10-26.htm (sulla nozione di "nuova costruzione"
rilevante ai fini edilizi e sulla natura inderogabile dell’art. 9 del D.M. del 1968 che prevede
una distanza tra pareri finestrate di 10 metri).
CONSIGLIO
DI
STATO
SEZ.
IV,
sentenza
12-7-2002,
pag.
http://www.lexitalia.it/private/cds/cds4_2002-07-12-4.htm (sulla disciplina del D.M. n.
1444/68 che prevede per gli edifici una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e
sull’art. 9 della L. 205/00 che prevede la decisione dei ricorsi con sentenze in forma
abbreviata).
TAR
MOLISE
CAMPOBASSO
SEZ.
I,
sentenza
8-7-2009,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/92/tarmolise1_2009-07-08.htm (sulla vigenza o meno, dopo
l’entrata in vigore del T.U. edilizia, dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che prevede
una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti dell’edificio antistante e sulla
sua applicabilità o meno nel caso di sopraelevazione o di copertura di un terrazzo).
TAR FRIULI VENEZIA GIULIA - TRIESTE SEZ. I, sentenza 4-8-2008, pag.
http://www.lexitalia.it/p/82/tarfriuli1_2008-08-04-3.htm (sulla computabilità o meno,
ai fini del calcolo della distanza di 10 metri tra pareti finestrate ex art. 9 del D.M. 2 aprile
1968, n. 1444, delle terrazze degli edifici).
TAR
PIEMONTE
TORINO
SEZ.
I,
sentenza
10-10-2008,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/82/tarpiemonte1_2008-10-10-2.htm (sulla possibilità o meno
che i regolamenti locali deroghino alle prescrizioni di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del
1968 - che prevedono per le costruzioni una distanza minima di 10 metri dalle pareti
finestrate e sulla nozione di "parete finestrata" rilevante a tal fine).
TAR
LOMBARDIA
BRESCIA
SEZ.
I,
sentenza
3-7-2008,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/82/tarlombbre1_2008-07-03.htm (sulla possibilità o meno che
il legislatore regionale o l’autorità comunale con disposizioni regolamentari deroghino al
limite di 10 metri tra pareti finestrate ex D.M. n. 1444 del 1968, sull’applicabilità o meno di
tale distanza nel caso di ristrutturazioni o sopraelevazioni, nel caso in cui tra i due edifici vi
sia una strada pubblica e nel caso di edifici dall’andamento non parallelo).
TAR
LOMBARDIA
MILANO
SEZ.
II,
sentenza
1-10-2007,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/72/tarlombmi2_2007-10-01.htm (sulla necessità o meno, in
sede di ricostruzione a seguito di demolizione, di rispettare la distanza di 10 metri tra
pareti finestrate prevista dal D.M. n. 1444 del 1968).
TAR
TOSCANA
FIRENZE
SEZ.
III,
sentenza
22-1-2007,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/71/tartoscana3_2007-01-22-2.htm (sui criteri di calcolo della
distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti prevista dall’art. 9 del
D.M. n. 1444 del 1968).
TAR
LOMBARDIA
BRESCIA,
SEZ.
I,
sentenza
30-8-2007,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/72/tarlombrescia1_2007-08-30.htm
(sull’illegittimità delle
disposizioni regolamentari derogatorie della distanza di 10 metri tra pareti finestrate ex
art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, sull’applicabilità di tale disposizione anche nel caso di
sopraelevazione e sui limiti della potestà legislativa delle Regioni in materia).
TAR
LIGURIA
GENOVA
SEZ.
I,
sentenza
19-12-2006,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/62/tarliguria1_2006-12-19.htm (sulla perdurante vigenza, anche
a seguito del T.U. edilizia, dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68 che prevede una distanza di 10
metri tra pareti finestrate, sulla prevalenza di tale norma sulle disposizioni regolamentari
difformi, sulla differenza tra sopraelevazione ed innalzamento di un edificio e sulla
necessità di motivare le autorizzazioni paesaggistiche, essendo l'eventuale difetto non
sanabile ex art. 21 octies comma 2 L. n. 241/90).
TAR
ABRUZZO
PESCARA,
sentenza
25-10-2002,
pag.
http://www.lexitalia.it/private/tar/tarabruzzopesc_2002-10-25.htm (la distanza di 10
metri tra pareti finestrate ex art. 9 D.M. n. 1444/68 prevale sulle disposizioni derogatorie
previste dagli strumenti urbanistici; il G.A. in materia urbanistica può condannare al
risarcimento in forma specifica, sub specie di ordine di riduzione in pristino).
N. 02749/2011REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9200 del 2007, proposto dai signori Ripoli
Leonardo Donato e Ripoli Giovanni, rappresentati e difesi dagli avv. Fernando Antonio
Casiere e Raffaele Irmici, con domicilio eletto presso Matteo Barrea in Roma, largo F.
Gregorovius, n. 4;
contro
Comune di Lucera, non costituito;
nei confronti di
Vitrani Martino e Vitrani Francesco Antonio, rappresentati e difesi dagli avv. Agostino
Meale e Filippo Panizzolo, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via
Cosseria, n. 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III n. 01535/2007, resa tra le parti,
concernente CONCESSIONE EDILIZIA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei controinteressati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2010 il Cons. Vito Carella e uditi per
le parti gli avvocati Irmici, in proprio e su delega di Casiere, e Panizzolo;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- In primo grado, gli odierni appellanti signori Leonardo e Giovanni Ripoli, proprietari di
un fabbricato ubicato nel Comune di Lucera confinante con il suolo di proprietà dei
controinteressati signori Martino e Francesco Antonio Vitrani, impugnavano i seguenti
titoli ad edificare assentiti dall’amministrazione comunale a favore di detti
controinteressati in via Di Vittorio (fg. 81 p.lla 61):
–concessione edilizia n. 2949 del 2.9.1998, per la costruzione di un fabbricato
comprendente due appartamenti per civile abitazione (primo e secondo piano) e
pertinenze quali autorimesse (piano terra), cantina/deposito (piano interrato), sottotetto,
volumi tecnici e locali comuni condominiali. Il relativo ricorso (rg n. 1091 del 1999), come
da sentenza n. 4526 del 21/12/2006, veniva dichiarato improcedibile dal TAR adito dagli
interessati, per sopravvenuto difetto di interesse a coltivarne l’impugnativa, alla luce della
sopraggiunta variante edilizia n. 3619 del 22.4.2000 autorizzata dal Comune, da
qualificarsi tuttavia quale nuova concessione in relazione alle essenziali modifiche al
progetto iniziale apportate dai controinteressati Vitrani, che investivano sia la distanza del
manufatto dalla proprietà limitrofa sia l’altezza dello stesso ed indotte, peraltro, dall’azione
civile proposta dai ricorrenti stessi contro l’opera originariamente approvata;
- citata variante n. 3619 del 2000 (rg n. 1673 del 2000) che, come da memoria Vitrani
depositata il 30.10.2010 (pag. 9), ha ridotto "a mt. 9,50 l’altezza del fabbricato nella parte
corrispondente l’arretramento per conformare la chiostrina ai limiti dimensionali
prescritti dall’art. 23/19 del R.E....nei limiti di quella prescritta dalla normativa
antisismica in funzione della larghezza stradale... (e)... gli allineamenti alle preesistenti
edificazioni (sì da emendare anche gli ulteriori rilievi opposti in sede giurisdizionale)...(e
destinando)... i vani con affaccio sulla chiostrina a disimpegni verticali, orizzontali e
servizi, in conformità a quanto prescritto dall’art. 28 del regolamento edilizio)" nonchè
portato l’arretramento tra i due fabbricati frontisti "a mt. 5,10 (ossia: 2,50 distacco Ripoli
dal confine + 2,60 distacco Vitrani dal confine) e la distanza con il balcone in proprietà
Ripoli a mt. 4,30 (3,35 dal dente laterale del balcone di massima sporgenza)".
Tale variante costituisce controversia nell’odierno appello.
2.- L’adito Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con la gravata sentenza, ha
respinto il ricorso proposto dagli interessati Ripoli, rilevando:
- la inammissibilità del ricorso introdotto, sia in connessione alla formalizzazione, nell’atto
di compravendita per notar Vincenzo Grasso (rep. n. 6965 del 7/5/65 regolarmente
registrato e trascritto), dell’espresso consenso e autorizzazione in favore dei venditori
(Spina) o aventi causa (Vitrani) di costruire sul confine anche in corrispondenza della zona
di terreno che l’acquirente o suoi aventi causa (Ripoli) volessero destinare a cortile, sia in
relazione alla circostanza che la variante stessa sarebbe senz’altro migliorativa per i
ricorrenti rispetto alla situazione prevista con la concessione originaria (impugnata dagli
stessi ricorrenti con autonomo ricorso n. 1091/99), posto che i controinteressati hanno
previsto un ulteriore arretramento del proprio erigendo fabbricato fino a m. 2,60 dal
confine Ripoli, una riduzione dell’altezza del fabbricato per la normativa antisismica, oltre
che un allineamento del fronte delle costruzioni, con riequilibrio del rapporto tra superfici
e altezza delle pareti verticali affacciati sulla chiostrina;
- l’infondatezza, indipendentemente dalle citate preclusioni, del primo motivo di censura
(con il quale i ricorrenti avevano dedotto la violazione delle distanze minime tra i fabbricati
di cui all’art. 11 delle N.T.A., nonché comunque le distanze previste dal Codice Civile, avuto
riguardo al fatto che la costruzione in aderenza risultava legittima solo relativamente alla
parte di edificio realizzata sulla linea di confine, non anche per la parte corrispondente all’
arretramento dal confine del loro fabbricato, dovendosi per tale parte rispettare le distanze
regolamentari, quanto meno, quelle previste dall’art. 873 C.C., in omaggio al principio di
prevenzione), in relazione al principio che la legittimità di un atto va riguardata con
esclusivo riferimento al momento della sua adozione e che, nella specie, la sanatoria
dell’immobile dei ricorrenti, ivi compresi gli aggetti e il balcone posto al secondo piano,
risultava intervenuta solo in epoca successiva al rilascio della concessione edilizia
originaria (2949 del 2/9/98) e, quindi, la costruzione dei ricorrenti non potesse costituire
parametro di riferimento in quanto abusiva all’epoca e non condonata e, perciò,
giuridicamente inesistente;
- la inammissibilità dei motivi 4 e 5 in quanto generici, così come inammissibili taluni
profili di censura proposti per la prima volta solo in sede di memoria conclusiva, neanche
notificata, del 27/2/2007 (quale quella relativa alla prevista realizzazione della rampa di
accesso al garage);
- la sostanziale legittimità della variante impugnata, in quanto conforme alle previsioni
urbanistiche con riferimento alla tipologia dello spazio aperto dibattuto, da qualificarsi
come chiostrina alla luce delle incertezze manifestate dallo stesso C.T.U. Ing. Perrotta
(relazione C.T.U. del 29/5/02 pag. 4) e con riguardo alle quattro differenti tipologie
disciplinate dall’art. 23, punto 19, del R.E. (ampio cortile, patio, cortile e chiostrina), con
conseguente regolarità dei titoli edilizi impugnati, anche ai sensi dell’art. 28 R.E., atteso
che le aperture previste nel progetto dai controinteressati sono limitate alle tipologie
consentite da tale norma.
Alla soccombenza innanzi descritta seguiva condanna dei ricorrenti alle spese di lite.
3.- Con il gravame in esame, ulteriormente illustrato da numerose successive memorie, gli
appellanti hanno chiesto la riforma della sentenza impugnata e l’integrale accoglimento del
ricorso di primo grado, denunziando tramite sei motivi di censura violazione di legge (non
corretta applicazione dei principi e delle norme che regolano la fattispecie) ed eccesso di
potere sotto varie forme (contraddittorietà, difetto di motivazione, travisamento): erronea
interpretazione dell’atto di compravendita nonché della concessione in sanatoria e sulla
tempistica del condono, pretermissione del principio di prevenzione, errata qualificazione
dello spazio interno come chiostrina, applicabilità dell’art. 28 del regolamento edilizio
quanto a luci e vedute.
E’ processualmente assente il Comune di Lucera.
Gli appellati si sono costituiti in giudizio per resistere, con la memoria depositata il 30
ottobre 2010 concludendo per il rigetto del ricorso, in considerazione della derogabilità
pattizia delle norme codicistiche, della irrilevanza delle preesistenze edilizie insistenti nello
spazio intercluso in proprietà Ripoli, della qualificazione di tale spazio interno (chiostrina,
cavedio, vanella o pozzo luce), della disarticolazione della CTU civile dalla caratterizzazione
giuridica della fattispecie essendo stato il balcone Ripoli realizzato in violazione dell’art.
905 c.c. ed avendo gli appellanti convenuto deroga pattizia che abilita a costruire sino alla
linea di confine.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 14 dicembre 2010.
4.- L’appello è fondato e la sentenza merita di essere riformata.
In linea preliminare, come da illustrata esposizione in fatto, va considerato che l’intervento
edilizio Vitrani interviene in zona sismica e come non sia controvertibile che la parte
arretrata dal confine della preesistente costruzione Ripoli abbia balcone, camera da letto,
cucina affaccianti su uno spazio interno di ml. 2,50 dal confine stesso, che è aperto ed in
relazione al quale gli appellati Vitrani intendono edificare ad una distanza di ml. 2,60 dal
confine una costruzione alta mt. 9,50, così conformando a loro dire una regolare chiostrina
o pozzo luce.
Le opposizioni di parte appellata, fatte proprie dai primi giudici, non possono essere
seguite, innanzitutto, alla luce delle norme temporalmente vigenti di cui alla legge
17.8.1942 n. 1150, art. 41 quinquies, comma 1-lett. c (secondo cui l’altezza di ogni edificio
non può essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati su cui esso prospetta e
la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte
dell’edificio da costruire), e di cui all’art. 9 del DM 2.4.1968 n. 1444 (per il quale è
prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti e, comunque, una minima pari all’altezza del fabbricato più alto).
Questa normativa, inoltre, non è affatto derogata dal PRG del Comune di Lucera, il cui art.
21 delle NTA prevede per le costruzioni un’altezza massima di ml 10,50, una distanza
minima fra i fabbricati di ml 12 e una distanza minima dai confini di proprietà in ml 6,00;
del resto, le NTI (norme tecniche d’intervento) del piano particolareggiato della zona in
considerazione prescrivono un’altezza massima consentita di mt 10,50 e, per gli spazi
interni, l’applicazione dell’art. 23/9 del regolamento edilizio relativamente alle minime
libere tra pareti finestrate e non, nonché dell’art. 28 in ordine al rispetto delle norme
igieniche.
Orbene, la giurisprudenza ( cfr. Cons. St., IV, 2 novembre 2010 n. 7731), da tempo ha
chiarito che l'art. 9 del d.m. 2.4.1968 n. 1444, il quale detta le citate disposizioni in tema di
distanze tra le costruzioni, stante la sua natura di norma primaria, sostituisce eventuali
disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione di un piano regolatore
e la prescritta distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti va rispettata
in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive
sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza, per cui esso disposto non è eludibile in
funzione della natura giuridica dell'intercapedine stessa.
Segue da ciò -a prescindere dalla rilevanza o incidenza connesse alle ventilate disposizioni
del regolamento edilizio comunale e poiché la norma di cui all'art. 9, d.m. n. 1444 del 1968
è finalizzata a stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, non a
salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza- che al giudice non è lasciato
alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di distanze e
comunque non possano dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di
corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti oppure assumere ruolo interpretazioni
intorno alle caratteristiche dello spazio interno, quantunque chiostrina o cortile o pozzo
luce, specie in zona sismica nella quale occorre in ogni caso garantire l’intervallo di
sicurezza.
Nella specie, cioè, lo spazio interno –a chiostrina o cortile che sia- è conseguenza di una
nuova realizzazione non a norma per distanze dal confine e dalle pareti finestrate del
preesistente edificio Ripoli.
5.- Parte appellata oppone ancora: la irrilevanza delle preesistenze edilizie di proprietà
Ripoli, a suo tempo realizzate a mt. 2,50 dal confine, in quanto asseritamente abusive; la
derogabilità pattizia delle norme codicistiche; l’insussistenza di alcun diritto di
prevenzione in considerazione della possibilità convenzionale di costruire sino alla linea di
confine.
Anche queste tesi non meritano condivisione e vanno perciò disattese.
Come si rileva dalla ricordata CTU e non contestata se non genericamente sotto altri
aspetti, il fabbricato Ripoli è stato realizzato in varie fasi, per la maggior parte qui
significativa anteriormente al PRG del 1974: il piano terra, come da licenza edilizia n. 1784
del 24 giugno 1965, in arretramento di mt. 2,50 rispetto alla linea di confine; il successivo
primo piano in sopraelevazione, conformemente alla licenza edilizia n. 2138 del 1° aprile
1967, con balcone profondo cm. 85 e veduta diretta sul fondo del vicino; la sopraelevazione
dell’ulteriore secondo piano, con la concessione edilizia in sanatoria n. 3216 del 12 marzo
1999, secondo la stessa tipologia costruttiva.
Quindi, alla data di decisione della sentenza gravata, la configurazione dei luoghi dal
confine era consolidata per mancata opposizione da parte della confinante dante causa ed
anche la sopraelevazione del secondo piano legittimata per condono, pure questa non
opposta e peraltro inconferente ai fini delle distanze ora in rilievo, senza dire che
l'interesse pubblico primario tutelato dalle norme in questione impongono di prendere in
considerazione la situazione di fatto quale si presenta in concreto in sede di rilascio del
titolo edilizio, a nulla rilevando che taluno dei fabbricati preesistenti, in relazione al quale
va calcolata la distanza, sia in ipotesi abusivo, ferma restando l'attività repressiva della p.a.,
che nella specie neanche ricorre a seguito dell’assentito condono.
Ciò stante, va richiamata consolidata giurisprudenza civile in ordine alla sopravvenienza di
norme urbanistiche e relativamente all’applicabilità di un regime edificatorio in deroga
convenzionale, secondo la quale:
- in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e
nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile,
a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe
convenzionali da parte dei privati e tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale
invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo
atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con
gli indicati strumenti urbanistici (Cassazione civile , sez. II, 23 aprile 2010 , n. 9751);
- qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla
aggiungano sulla possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", la preclusione di
dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione, mentre, nel caso in
cui invece tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella
disciplinata dagli art. 873 e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente
costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di
chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le
opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di arretrare la sua costruzione
sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico
(Cassazione civile , sez. II, 09 aprile 2010 , n. 8465).
Ordunque, nella fattispecie, in cui i signori Ripoli hanno costruito per primi a distanza dal
confine ed i signori Vitrani devono edificare sotto il vigore del PRG e del piano
particolareggiato vigenti nel Comune di Lucera, la convenzione privata della propria dante
causa deve intendersi superata ed essi non possono esimersi dall’osservare il distacco
minimo fra fabbricati prescritto dall’art. 21 delle citate NTA al PRG.
6.- Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni tutte che precedono, l’appello
dev’essere accolto con riforma della sentenza appellata.
Di conseguenza, sussistono evidenti motivi per disporre tra le parti la totale
compensazione delle spese di lite relative al doppio grado di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando, accoglie l 'appello come in epigrafe proposto, e, per l'effetto, in riforma della
sentenza del TAR Puglia n. 1535 del 2007, accoglie integralmente il ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese di lite relative al doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 con l'intervento
dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente FF
Vito Poli, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Vito Carella, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 09/05/2011