istanbul. passione, gioia, furore
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ISTANBUL. PASSIONE, GIOIA, FURORE 45 tra artisti e architetti, oltre 100 opere per raccontare trasformazioni, conflitti, innovazioni e speranze di una città divenuta simbolo del cambiamento contemporaneo 11 dicembre 2015 – 30 aprile 2016 #Istanbul www.fondazionemaxxi.it Roma Dicembre 2015. Le trasformazioni sociali, la tensione politica, i conflitti e le nuove dinamiche comunitarie l’hanno resa il simbolo di un cambiamento globale: è Istanbul, cui il MAXXI dall’11 dicembre 2015 al 30 aprile 2016 dedica ISTANBUL. PASSIONE, GIOIA, FURORE una mostra a cura di Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli. Questa mostra è la seconda tappa di un progetto dedicato alle realtà culturali del Mediterraneo e al rapporto tra Medio Oriente ed Europa, cominciato nel 2014 con la mostra dedicata all’arte contemporanea iraniana e che proseguirà nel 2017 con un progetto dedicato a Beirut. ISTANBUL. PASSIONE, GIOIA, FURORE presenta le opere di 45 tra artisti, architetti e intellettuali in un percorso che coinvolge grandi opere, nuove produzioni artistiche, testimonianze audio e video in una molteplicità di linguaggi ed espressioni. A partire dalle riflessioni su temi chiave portati alla ribalta dalle proteste di Gezi Park del 2013, la mostra, a partire dai cambiamenti della realtà culturale, sociale e urbana di Istanbul e dal loro impatto sulle pratiche creative, affronta domande esistenziali, valide per ognuno di noi: siamo pronti per un cambiamento? È giusto combattere? E’ davvero necessario lavorare così tanto? È possibile una convivenza pacifica tra i popoli? E soprattutto possiamo ancora sperare in un domani migliore? A tutte queste domande artisti, architetti, intellettuali hanno risposto con il loro lavoro, maturando un solido impegno critico, di cui la mostra restituisce uno spaccato, costruendo una mappatura di tutte le esperienze maturate nella città e grazie alla città: progetti artistici, architettonici, cinematografici, critici. La mostra, risultato di una lunga ricerca ispirata dal confronto con la comunità creativa di Istanbul, esplora i cambiamenti urbani della città come condizione fondamentale delle pratiche creative. Pone particolare attenzione alle questioni della gentrificazione, alla crisi ecologica e alle iniziative di autorganizzazione, evidenzia i conflitti politici e la resistenza con opere che trattano temi legati alla giustizia, la violenza, le questioni di “genere”; ripercorre i modelli innovativi di produzione legati al consumismo e alle sfide della classe operaia, evidenzia urgenze geopolitiche come la questione delle minoranze e dei rifugiati, e infine propone nuove soluzioni, istanze gioiose e propositive, strategie di ricostruzione perché è necessario non perdere mai la speranza. La mostra è composta dalle seguenti sezioni: A Rose Garden? Questa parte della mostra costituisce una sorta di introduzione a tutto il progetto. La rivolta di Gezi Park a Istanbul è diventata simbolo della resistenza della società civile contro la regressione della democrazia, in cui artisti e intellettuali hanno avuto un ruolo centrale. Le opere degli artisti e degli architetti di questa area raccontano le tracce e le riflessioni scaturite da quell’esperienza, come il film di animazione Rose Garden with the epilogue di Extrastruggle che ha firmato anche l’identità grafica di tutta la mostra, la performance At the Edge of All Possibles di Zeyno Pekünlü che restituisce al pubblico le emozioni delle proteste di Gezi attraverso il ricordo di quei giorni o Post Resistance la serie fotografica di Osman Bozkurt. Ready for a change? Istanbul è stata al centro di una profonda trasformazione urbana secondo le logiche del profitto e nella esclusione dei poveri. La gentrificazione e la divisione sociale sono state alimentate nel nome dell’innovazione e dello sviluppo urbano. In questa sezione artisti e architetti diventano testimoni o tentano una critica, come Serkan Taycan che con le sue fotografie racconta l’espansione dei quartieri residenziali intorno ad Istanbul, un paesaggio di cemento che incombe dalle colline, o come Halil Altindere che con il video Wonderland racconta le differenze tra comunità. Nel tentativo di mappare il cambiamento esponenziale che ha investito la città negli ultimi anni si inserisce il progetto del gruppo di architetti Superpool Mapping Istanbul in 2015 un aggiornamento video della mappatura pubblicata nel 2009. Con il progetto To built or not to built il MAXXI ha chiamato tre gruppi di architetti PATTU, SO? e Architecture For All a realizzare negli spazi del museo, una serie di installazioni che indagano lo spazio pubblico di Istanbul: una riflessione sulle conseguenze della proliferazione edilizia spontanea, spesso incontrollata e aggressiva, e sulle caratteristiche formali di quegli spazi tra finito e non finito. To Build or not to build? Si interroga sulla possibile forma di rigenerazione urbana di Istanbul, a partire da quegli spazi nati dall’inserimento nel vecchio tessuto urbano di nuove strutture. Can we fight back? La città è stata negli anni non solo sede di accesi confronti tra visioni urbane, ma anche l’arena di conflitti sociali e confronti politici. Questioni come l’identità culturale, i diritti civili, la libertà di espressione, la fede religiosa sono il cuore della vita sociale, e le pratiche creative sono profondamente legate ad esse. In questa parte della mostra trovano posto tra gli altri i lavori di Sarkis artista che ha rappresentato il padiglione turco all’ultima Biennale d’arte a Venezia, o il lavoro delicatamente femminista e impegnato di Güneş Terkol che realizza arazzi dal tema politico con le comunità femminili. Should we work hard? Il tentativo della Turchia di essere integrata all’interno del sistema economico mondiale ha portato alla incontrollata espansione economica della città da sempre legata alla coesistenza di diversi sistemi economici. La nuova ideologia liberista ha incrinato vecchi equilibri, le classi lavoratrici hanno perso i loro diritti, e la necessità di una alternativa è diventata tema centrale della riflessione artistica e architettonica. Dobbiamo davvero lavorare così tanto? È quello che si chiedono Ali Kazma con una serie di video dedicati a lavori molto diversi come quello del calligrafo e del macellaio, o Burak Delier che in un video racconta il tentativo delle grandi aziende, di costruire “comunità” attraverso le attività ricreative. Home for all? Istanbul è storicamente una città cosmopolita, multietnica e multiculturale, nonostante sia stata anche teatro di oppressione delle minoranze. I rifugiati che negli ultimi tempi si stanno riversando nel territorio turco hanno un inevitabile impatto anche sulla città: sarà un ulteriore peso oppure una nuova opportunità? In questo contesto tra gli altri i lavori di Hera Büyüktaşçıyan che presenta lavori sulla memoria multi-etnica, o il film di Cynthia Madansky & Angelika Brudniak sugli otto confini della Turchia, e i ritratti di profughi recentemente trasferiti in città di Mario Rizzi e Cengiz Tekin. Tomorrow, really? Istanbul e la Turchia come l’Europa e il Medio Oriente stanno affrontando una profonda crisi economica, democratica e le conseguenze della guerra. Il futuro sembra decisamente precario, ma le opere raccolte in questa sezione rivelano l’esistenza di un laboratorio di idee e progetti teso alla costruzione di alternative possibili. Tra le altre la performance site specific del collettivo Ha Za Vu Zu, il lavoro site specific di Ceren Oykut che invade le pareti del museo con disegni in grande scala e il video di Inci Eviner Nursing Modern Fall in cui razionale e irrazionale rappresentati da architetture moderniste e rovine si scontrano, mentre un gruppo di donne cerca di affermare la propria esistenza e le proprie capacità. Insieme alla mostra il MAXXI presenta La storia in movimento. Racconti del cinema turco dagli anni Sessanta ad oggi a cura di Italo Spinelli, due appuntamenti, il 30 e il 31 gennaio 2016, che attraverso film, cortometraggi e documentari ripercorrono la storia sociale, politica e culturale, e la continua trasformazione della Turchia contemporanea. ARTISTI E ARCHITETTI IN MOSTRA Hamra Abbas, Can Altay & Jeremiah Day, Halil Altındere, Emrah Altınok, Architecture For All (Herkes İçin Mimarlık), Volkan Aslan, Fikret Atay, Atelier Istanbul: Arnavutköy, Vahap Avşar, İmre Azem & Gaye Günay, Osman Bozkurt, Angelika Brudniak & Cynthia Madansky, Hera Büyüktaşçıyan, Antonio Cosentino, Burak Delier, Cem Dinlenmiş, Cevdet Erek, İnci Eviner, Extrastruggle, Nilbar Güreş, Ha Za Vu Zu, Emre Hüner, Ali Kazma, Sinan Logie & Yoann Morvan, Networks of Dispossession, Nejla Osseiran, Ceren Oykut, Pınar Öğrenci, Ahmet Öğüt, Didem Özbek, Şener Özmen, PATTU, Didem Pekün, Zeyno Pekünlü, Mario Rizzi, Sarkis, SO?, Superpool, ŞANALarc, Ali Taptık, Serkan Taycan, Cengiz Tekin, Güneş Terkol, Nasan Tur. La cartella stampa e le immagini della mostra sono scaricabili nell’Area Riservata del sito della Fondazione MAXXI all’indirizzo http://www.fondazionemaxxi.it/area-riservata/ inserendo la password areariservatamaxxi UFFICIO STAMPA MAXXI +39 06 322.51.78, [email protected] A Rose Garden? Osman Bozkurt Extrastruggle Herkes İçin Mimarlık / Architecture For All Zeyno Pekünlü Ready for a Change? Atelier Istanbul: Arnavutköy Asu Aksoy George Brugmans Joachim Declerck Architecture Workroom Brussels H+N+S Landscape Architects, 51N4E Halil Altındere Emrah Altınok Imre Azem Antonio Cosentino Cevdet Erek Extrastruggle Imre Azem Gaye Günay Nejla Osseiran Sinan Logie & Yoann Morvan Pınar Öğrenci Didem Özbek Ahmet Öğüt SALT SUPERPOOL con/with Asbjørn Staunstrup Lund Networks of dispossession Yaşar Adanalı, Ayça Aldatmaz, Burak Arıkan, Elif İnce, Esra Gürakar, Özgül Şen, Zeyno Üstün, Özlem Zıngıl and anynomous contributors Ali Taptık Serkan Taycan Güneş Terkol Can We Fight Back? Halil Altındere Fikret Atay Burak Delier Cem Dinlenmiş Nilbar Güreş Didem Pekün Mario Rizzi Güneş Terkol Nasan Tur Sarkis Should We Work Hard? Halil Altındere Osman Bozkurt Burak Delier Ali Kazma Home for All? Can Altay & Jeremiah Day Angelika Brudniak & Cynthia Madansky Hera Büyüktaşçıyan Şener Özmen Mario Rizzi Cengiz Tekin Tomorrow, Really? Hamra Abbas Halil Altındere Volkan Aslan Fikret Atay Vahap Avşar İnci Eviner Ha Za Vu Zu Emre Hüner Ceren Oykut SanaLARCH Şener Özmen To Build or Not to Build? Herkes İçin Mimarlık / Architecture For All PATTU SO? mimarlık ve fikriyat ISTANBUL. PASSIONE, GIOIA, FURORE Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI Modernità e tradizione, fermento culturale e rinnovamento urbano, trasformazioni e conflitti politici, urgenze sociali e nuove strategie di ricostruzione, tutto questo è Istanbul, protagonista della mostra del MAXXI. Istanbul. Passione, Gioia e Furore una mostra che tratteggia un panorama della produzione artistica, architettonica e culturale della Turchia contemporanea, partendo da Istanbul, meravigliosa città crocevia tra cristianità e mondo islamico, tra Oriente e Occidente. “Molte volte impariamo dagli altri il significato della città in cui abitiamo, come la vita che viviamo”, riflette Orhan Pamuk nel suo memoir di cui è protagonista la città che più di ogni altra ha incarnato le visioni orientaliste dell’Occidente. Osservando Istanbul, aggiungerei, riflettiamo su Roma. Per il cruciale legame storico fra le due città e per i temi che ci riguardano cosi da vicino: trasformazione urbana, inquietudine sociale, desiderio di un futuro di pace. Riflettiamo, anche, sulle categorie di “oriente” e “occidente” che occorre scardinare. Come ci ricorda uno dei lavori esposti, la Turchia confina con otto nazioni. Mai come in questi anni è necessaria una consapevolezza profonda dell’interconnessione fra le popolazioni. E per questo che Istanbul. Passione, Gioia e Furore è importante. Aggiungere un tassello fondamentale non solo nella sua linea di ricerca e di valorizzazione delle realtà culturali del Medio Oriente avviato lo scorso anno con la mostra sull'arte contemporanea iraniana e che troverà un suo sviluppo nel 2017 con il progetto espositivo dedicato a Beirut. Ma vuole dar voce - anche attraverso un allestimento che trasforma in maniera originalissima lo spazio di Zaha Hadid - ad un vigore, ad una ricchezza di ricerca, ad un senso dell’ironia, ad una riflessione sulla complessità del tenere insieme antico e contemporaneo, tradizione e avanguardia, creatività e responsabilità civile, che è la ricchezza di Istanbul. Curata da Hou Hanru con Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli, Istanbul. Passione, Gioia e Furore, conferma l’importanza che il museo attribuisce alla collaborazione con istituzioni e curatori internazionali. Installazioni site-specific, video, film, progetti architettonici, testimonianze audio, per un totale di quarantacinque artisti e circa cento opere esposte, disegnano un atlante multiforme delle pratiche creative di questo paese, un percorso che si snoda in sei sezioni che affrontano temi come la resistenza civile di Gezi Park, le trasformazioni urbane, gli interventi sullo spazio pubblico e i conflitti politici ed economici. Con Istanbul. Passione, gioia e furore, il MAXXI conferma inoltre la propria vocazione multiculturale e transnazionale, siamo infatti convinti che un museo del XXI secolo debba valorizzare le diversità e il confronto con l'esterno per garantire la crescita e l'arricchimento intellettuale. Strumento essenziale per approfondire le tematiche della mostra è il catalogo, ricco di testi critici, testimonianze di artisti, curatori, architetti ed esperti di varie discipline. Dalle proteste di Gezi Park, al tema dei rifugiati, fino allo studio dello sviluppo edilizio della città di Istanbul, una polifonia di voci e punti di vista diversi si intrecciano dando vita ad un volume di eccezionale intensità, un punto di riferimento scientifico per accostarsi allo studio della creatività contemporanea in Turchia. Mentre chiudiamo il catalogo la Turchia, come sempre nella sua storia e come mai negli ultimi decenni, torna ad essere punto di fuga della geopolitica mondiale. Le tensioni che ad Istanbul si mostrano in una plasticità unica, sono l’epicentro di un terremoto che sta scuotendo gli schemi della modernità e la città riscopre la sua vocazione di barometro degli equilibri tra oriente ed occidente, tra nord e sud. Alla ricerca faticosa di un equilibrio tra una vocazione europea ed un’appartenenza politica non ancora compiuta, Istanbul torna ad essere, in modo tutto nuovo, teatro di uno scontro mai sopito tra laicità novecentesca e riaffermazione pubblica delle religioni, tra libertà di espressione e tutela gelosa delle identità … In un momento in cui Europa, Asia ed Africa tornano a riflettere su loro stesse e sui loro rapporti specchiandosi nel bacino del mediterraneo, in cui è in corso un drammatico conflitto intra-islamico, i riflessi del Bosforo tornano ad essere la tavolozza da cui trarre i colori necessari per dipingere le contraddizioni dell’attualità mondiale in modo tanto fedele, quanto proiettata nel futuro. HOU HANRU ISTANBUL: PASSIONE, GIOIA, FURORE L’egemonia della politica in Turchia è tale da invadere e traumatizzare la vita quotidiana in ogni sua più piccola parte, dal linguaggio al modo di vestire, fino alla struttura stessa del corpo. È inevitabile perciò che gran parte di questi lavori [...] siano impregnati di “politica”, benché quasi sempre in forma molto velata. Vasif Kortun (01) 1. In questo periodo Istanbul sta vivendo un boom – la città è attraversata da una ristrutturazione ed espansione urbanistica senza precedenti. Le strade sono cariche di eccitazione ed entusiasmo – dappertutto aprono cantieri con edifici moderni che si innalzano verso il cielo, mentre nuove zone urbanizzate si allargano intorno al Bosforo e lungo le coste del mar di Marmara. Insediamenti recintati per nuovi ricchi vengono edificati gomito a gomito con baraccopoli “informali”. Allo stesso tempo, manifestazioni di vario genere si svolgono per le strade e le piazze principali. Lo sviluppo economico è una gran cosa. Ma con esso aumentano anche gli scontri e la violenza politica. A poche centinaia di chilometri esplodono e si intensificano i conflitti armati… Assistiamo alla formazione di un mondo nuovo. Vederlo crescere è avvincente, appassionante. Lascia senza fiato, ma allo stesso tempo sconvolge e a volte spaventa addirittura… Oggi Istanbul è diventata uno dei centri più importanti nella rete di città globalizzate, nonché uno dei più vivaci e contagiosi, anche perché, non va dimenticato, si è trovata in prima linea quanto a scontri e negoziazioni tra diversi sistemi economici, culturali e geopolitici. Certo, la città si situa a cavallo tra Europa e Asia, o tra “Est” e “Ovest”, in un momento in cui questi termini vengono tra l’altro continuamente messi in discussione, decostruiti e rimpiazzati da altri come “Nord” e “Sud”. Ma il senso della sua posizione geografica andrebbe ridefinito in modo un po’ più complesso, in quest’epoca di guerre globali. Guerre dalla geografia non semplice, che si svolgono su terreni diversificati, dai più convenzionali conflitti armati fino a quelli “invisibili”, sul terreno economico, culturale, politico e religioso. Negli ultimi dieci anni anche lo scenario dell’arte contemporanea di Istanbul ha vissuto un rapido sviluppo. La città viene ormai considerata uno dei centri più dinamici nel mondo dell’arte internazionale. Un gran numero di artisti, non soltanto turchi ma di varie nazionalità, vengono qui a produrre alcuni tra i loro lavori più interessanti e significativi, e al contempo diversi artisti di Istanbul lavorano ed espongono nei principali eventi e istituzioni artistiche mondiali. Diverse infrastrutture hanno visto la luce un po’ in tutta la città. La biennale di Istanbul, organizzata dall’IKSV (İstanbul Kültür Sanat Vakfı, Istanbul Foundation for Culture and Arts), giunta ormai alla trentesima edizione, è universalmente riconosciuta come uno degli eventi più importanti a livello globale. Parteciparvi è un’assoluta priorità per moltissimi professionisti di stampo internazionale in campo artistico. Istituzioni quali il SALT, l’Istanbul Modern, la Arter e la SAHA, solo per nominarle alcune, oltre a decine di nuove gallerie e fiere dell’arte, propongono uno dei programmi di arte contemporanea più ricchi al mondo. E c’è parecchia altra carne al fuoco… (02) Gli scenari cittadini dell’arte contemporanea e della creatività in senso lato sono, come Istanbul stessa, impregnati di passione, gioia, e naturalmente anche di rabbia a furore… Questo vivido sviluppo di attività artistiche ha considerevolmente influenzato la vita sociale e la stessa struttura urbanistica della città: il fiorire della collettività artistica ha avuto per effetto la creazione di nuovi servizi che rispondessero alle sue “esigenze”. Caffè, ristoranti, alberghetti caratteristici e negozi di design spuntano in centro come funghi, mentre eventi importantissimi quali la biennale e le fiere dell’arte, insieme a istituzioni dello stampo dell’Istanbul Modern, dell’IKSV, del SALT, eccetera, trasformano ex siti industriali e vecchi quartieri in nuove destinazioni del turismo culturale. Quando la collettività artistica incontra i “ceti medi” emergenti, con le loro nuove disponibilità economiche, ecco avanzare ed espandersi rapidamente il processo di gentrificazione già cominciato con la creazione delle infrastrutture artistiche… Problematiche riguardanti i rapporti contraddittori tra globale e locale, tradizione e modernità, sviluppo e sostenibilità, eccetera, balzano in primo piano nel dibattito culturale e intellettuale. In effetti Istanbul è un immenso laboratorio del cambiamento urbano e sociale, prodotto dall’ambivalente fusione della volontà politica dominante con una certa cospirazione inconscia tipica della collettività artistica, che tende sempre a prendere le distanze dal potere politico. Succede in moltissime metropoli a livello mondiale. Istanbul spicca come uno degli esempi più lampanti… 2. Il modello contraddittorio di sviluppo urbanistico a Istanbul riflette in modo quantomai vivido le profonde contraddizioni e i conflitti della moderna società turca. Quasi un secolo fa, all’epoca della creazione dello stato-nazione sulle ceneri dell’impero Ottomano, il tasto più forte per la fondazione della repubblica è stato quello della modernizzazione, con l’urbanizzazione in qualità di suo elemento di avanguardia. Nei primi anni repubblicani è emersa la volontà di progettare e costruire una capitale completamente nuova, modellata sulle grandi città europee. Questa concezione era caratteristica di una tendenza all’occidentalizzazione, volta a trasformare la società turca in società moderna. La “modernità turca”, tuttavia, ha sempre rappresentato un concetto mutevole, caratterizzato da negoziazioni continue tra diverse spinte storiche, i cui esiti oscillano continuamente tra ideologie e modelli socioculturali opposti e belligeranti: “Occidente” e “Oriente”, modernità e tradizione, nazione e impero, laicità e religione (islamica e non), locale e globale, e così via. Il risultato è stato l’immancabile sorgere di nuovi ibridismi, indissolubilmente contraddittori quando non confusionari. Ma restano una ventata di energia e di apertura immensa. Dopo alcuni decenni di declino dovuti alla perdita dello status di capitale dell’impero, fin dagli anni Cinquanta la città di Istanbul è stata riportata al centro dello scenario economico nazionale e dello sviluppo sociale. È anche ridiventata il fulcro delle attività economiche e culturali del paese. La modernizzazione dell’industria turca ha introdotto nuove tendenze di espansione urbana. Milioni di lavoratori migranti si sono riversati in città da altre parti del paese per stabilirsi in zone occupate illegalmente. Dalla sera alla mattina, per ripararsi, costruivano baracche edificate con qualsiasi materiale reperibile. Le baraccopoli fiorivano ovunque, a caratterizzare intere zone della città. Insieme ai nuovi viali ed edifici industriali, commerciali e governativi, hanno contribuito a formare uno scenario cittadino unico, in cui storia e contemporaneità sono mescolate in modo improbabile e vivace. Tutto ciò ha fornito a Istanbul una nuova attrattiva: la coesistenza di formale e informale, povero e ricco, vecchio e nuovo, sorta da radici multiculturali dal punto di vista etnico e religioso, ha reso la città una delle metropoli più belle, monumentali e allo stesso tempo enigmatiche del mondo. Nell’ultimo decennio si è potuto vedere come la crescita delle nuove tensioni economiche e geopolitche abbia esercitato enorme influenza sullo sviluppo urbano: nel nome dell’integrazione al mercato globale e della crescita economica, le autorità organizzano e incoraggiano trasformazioni profonde nel tessuto urbano. La città della laicizzazione modernizzante e dell’industrializzazione, tipiche degli inizi repubblicani, viene rapidamente trasformata nella metropoli postmoderna del capitalismo neoliberista – tutto ciò servendosi della privatizzazione dei servizi pubblici e dei settori finanziario, immobiliare, del turismo, insieme ovviamente al consumismo e al sorgere della “industria della creatività”. La città si è trasformata in un nuovo immenso parco giochi del capitalismo globale. Di conseguenza, sulle molteplici stratificazioni storiche di Istanbul si è progettato e sviluppato un modello tipico di “urbanistica globale”, volto a facilitare lo stile di vita consumistico e la mobilità globalizzata: i moderni progetti di sviluppo urbano riguardano centri commerciali, architettura residenziale di lusso, industria del divertimento, aeroporti, ponti e così via. Per venire incontro ai bisogni della “classe media” emergente, il governo ha spinto verso progetti residenziali di lusso e di edilizia abitativa di primo piano, insieme a nuovi centri direzionali e grattacieli per uffici. Questo sviluppo è stato promosso dall’ente statale TOKI, in stretta collaborazione con il settore privato. Il risultato è il nuovo volto architettonico di Istanbul, lanciato verso il cielo. Ma il prezzo è una massiccia gentrificazione, che espelle la popolazione meno abbiente via dalle baraccopoli e fuori dal centro cittadino. Ed esistono progetti ancor più ambiziosi di espansione urbana nell’hinterland, ricco di foreste intatte e di altre risorse naturali. Alla realizzazione di un grande canale e di un aeroporto seguirà giocoforza la concomitante rapida distruzione dell’ambiente naturale. La stessa sostenibilità ambientale della città ne è minacciata. Questo sistema non è propriamente una novità. Se andiamo a guardare i diversi momenti di sviluppo urbanistico di Istanbul, si può facilmente notare che c’è sempre stato un rapporto stretto tra cambiamento politico e modificazione urbana. Nel primo periodo repubblicano la città si è trovata a essere sfavorita e in declino. Poi, con la vittoria del Partito Democratico negli anni Cinquanta, è stata riportata al centro della modernizzazione turca, attraverso l’espansione urbana e nuove ambiziose costruzioni orientate verso la modernità e il filoamericanismo. Anche durante i periodi dei “colpi di stato” (anni Sessanta e Ottanta) si è visto uno sviluppo urbano a ondate, in cui è nata e si è sviluppata l’integrazione al sistema capitalistico globale. Nell’ultimo decennio, con l’entrata in scena dell’islamico AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), tutto il processo è stato accelerato e ha subito un’ingente espansione. Nel frattempo, i progetti di allargamento urbano hanno anche lo scopo di convogliare un neo-conservatorismo di valori sociali riflettenti sia il programma dell’islam politico che l’ideologia conservatrice del potere capitalista. I nuovi edifici promossi dal governo e dalle società costruttrici tendono ad adottare uno stile ibrido, che combina i tratti eccentrici e postmoderni dell’high-tech con temi rivisitati di “tradizione” e “memoria” neoottomana. Ciò significa imporre una nuova veste al modernismo laico dei precedenti decenni. Inoltre, alcuni gesti simbolici sono sfociati nell’edificazione di un gran numero di moschee e altri edifici dell’immaginario islamico. Al momento è aperto il cantiere per la più grande moschea della Turchia, la Çamlıca Camii Külliyesi (complesso della moschea di Çamlıca), che viene costruita nella parte asiatica della città, affacciata sul Bosforo… (03) Tutto ciò sembrerebbe introdurre un modello di “vita agiata” per la popolazione. In realtà, tende piuttosto a mascherare le contraddizioni e la violenza esercitate sul cittadino medio, ovverosia sulla maggioranza, che paga per questi cambiamenti con la perdita della casa, delle radici culturali e della libertà. Le spaccature sociali e la rimozione dei valori laici simboleggiati dal contesto e dall’architettura urbana hanno prodotto contestazioni e resistenze su larga scala. Nel 2013, le occupazioni del parco Gezi e di piazza Taksim da parte della cittadinanza, soprattutto artisti e giovani attivisti, hanno rappresentato l’ultimo sussulto di questo movimento di resistenza. 3. L’eccessiva accelerazione dell’espansione urbana, nonché l’atteggiamento sempre più autoritaristico del potere costituito, unito agli interessi capitalistici e all’ideologia conservativa di stampo religioso islamista, hanno visto il loro “trionfo” quando sono andati a toccare piazza Taksim, uno dei simboli più importanti dei valori repubblicani, delimitata da una parte dall’AKM (Atatürk Kültür Merkezi, Centro culturale Atatürk) e dall’altra dal parco Gezi, destinato a essere rimpiazzato da un centro commerciale in stile neo-ottomano. Alla fine del maggio 2013, per protestare contro la demolizione del parco, questo è stato occupato da migliaia di cittadini, con manifestazioni e scontri con la polizia. La notizia del movimento è subito rimbalzata in diverse città turche, ottenendo un grande sostegno. Ne è nata una spinta pro-democratica. Alla fine, dopo tre settimane di violenta repressione governativa e un certo numero di vittime, il movimento è stato stroncato. Oggi la mobilitazione generale si è trasformata in più profonde riflessioni, dibattiti critici e azioni di resistenza quotidiana. Questi eventi hanno funzionato anche come campanello di allarme per la collettività artistica di Istanbul. Dopo alcuni anni di grande fioritura dello scenario artistico, i professionisti del settore, insieme agli intellettuali, gli ambientalisti, gli attivisti e i giovani cittadini, hanno preso di nuovo coscienza delle loro responsabilità sociali. La maggioranza ha deciso di prendere parte al movimento in maniera attiva. Quasi tutti hanno sviluppato e condiviso una passione nuova per l’impegno politico e sociale. Durante e dopo le occupazioni è stata prodotta un’enorme quantità di opere d’arte che rappresentavano testimonianze di quell’evento ed esprimevano sentimenti contraddittori quanto alla realtà e al futuro della metropoli, della nazione e del mondo intero. Queste opere veicolano un dinamismo intenso, la cui spinta è un amalgama di gioia e furore, amore e rancore, speranza e delusione, ottimismo e pessimismo. Architetti, urbanisti, cineasti e diversi altri autori hanno ideato tantissimi lavori e progetti in risposta alla durezza del reale. Insieme hanno formato l’immagine rinnovata di una collettività creativa e combattiva. Adesso sono non soltanto pronti a sfidare l’oppressione politica, ma anche ad affrontare le nuove istanze geopolitiche del presente: ulteriori spaccature sociali, crisi dei rifugiati, guerre civili, regionali e globali… La collettività artistica di Istanbul, infatti, e quella turca in generale, è sempre stata impegnata nella lotta per la libertà sotto le più svariate forme di oppressione politica e sociale. In altre parole, l’impegno sociopolitico è da sempre al centro della vita e del pensiero dell’agire artistico. Durante l’ultimo decennio, la principale battaglia tra diverse idee politiche, sociali e culturali si è svolta sul terreno dello sviluppo urbano e delle sue conseguenze. Sempre più opere ed eventi artistici a Istanbul si vanno concentrando sui rapporti tra cambiamento urbanistico e produzione artistica: le biennali del 2005, del 2007 e del 2013 avevano tutte direttamente a che fare con problematiche di cambiamento urbano, attraverso interventi in siti che incarnavano il processo di modernizzazione dell’architettura cittadina. L’inaugurazione del SALT, principale istituzione artistica della città, si è incentrata sul concetto di “Diventare Istanbul”, e non è stata l’unica. Attualmente, il dialogo e la collaborazione tra artisti, architetti e urbanisti è diventato un modello chiave dell’agire creativo. Come abbiamo detto, la realtà cittadina di Istanbul in qualità di metropoli globalizzata si è sempre costruita e sviluppata a partire da un processo di ibridazione storicamente basato su idee, problematiche e soluzioni stratificate. Questa complessa, dinamica, ricca vita cittadina, insieme a una varietà di forme architettoniche, è il risultato della sovrapposizione di formale e informale, legittimo e illegittimo, edifici costruiti da architetti professionisti o tirati su dai loro stessi abitanti. Spesso, la spinta principale per la crescita urbanistica è stata rappresentata da iniziative di base autorganizzate. La “architettura popolare” è da sempre uno degli principali attori nella realizzazione dello spazio urbano, dal momento che le pianificazioni, le operazioni e i progetti sponsorizzati da governo e privati si sono costantemente rivelati molto lontani dai bisogni della popolazione. Buona parte di architetti e urbanisti si è sempre vista attratta da questa dinamica di iniziative multiformi. Di fronte all’inarrestabile tendenza alla gentrificazione degli spazi urbani, favorita dalle politiche istituzionali e dall’egemonia dei capitali nazionali e internazionali, sorgono nuovi coaguli di resistenza. Una resistenza che spesso tende a fare di tutto per migliorare la complessa situazione urbana, senza disperdere le energie della collettività. Bisogna tenere conto del fatto che più della metà dello spazio urbano di Istanbul è sorto illegalmente, in genere allo scopo di fornire un rifugio ai lavoratori immigrati e alle loro famiglie. In seguito a ciò, si è sviluppata tutta un’economia informale parallela, volta a venire incontro ai bisogni di queste “città senza permesso”. Le baraccopoli, dette localmente gocekondu (“sbarcate-di-notte”), costruite dagli immigrati con materiali di scarto e tecniche improvvisate, hanno rappresentato la pratica più importante di espansione dello spazio urbano, sorta per il soddisfacimento delle esigenze di industrializzazione e modernizzazione delle città turche in generale e di Istanbul in particolare. In questo processo, la saggezza popolare ha svolto un ruolo fondamentale nel reperimento di soluzioni per le problematiche più pressanti. Come hanno bene evidenziato Sibel Bozdogan ed Esra Akcan: In qualsiasi situazione, queste dinamiche evidenziavano l’irrilevanza sempre più marcata del ruolo della pianificazione urbana convenzionale e delle economie formali. Non che non esistessero progetti istituzionali, ma la loro influenza nel determinare e controllare la crescita cittadina è stata senz’altro minore rispetto alle strategie di tipo spontaneo e alle economie informali (04). Sempre più spesso, urbanisti e architetti riconoscono l’importanza di queste ideazioni e strategie dal basso nella creazione di nuove forme architettoniche in ambito urbanistico. Da una parte si rivendica un nuovo tipo di spazio pubblico, vista la tendenza a ridurre gli spazi comuni per trasformarli in centri commerciali. Dall’altra si propende per soluzioni ispirate all’architettura e alle progettualità spontanee, nate per fornire ripari temporanei o permanenti al cittadino comune e per preservare la varietà dei diversi modi di vita radicati nelle più svariate tradizioni. Numerosi progetti innovativi sono sorti ispirandosi all’architettura popolare, allo scopo di consolidare il senso comunitario e la sostenibilità. Fin dagli inizi del movimento artistico contemporaneo, la collettività artistica di Istanbul ha portato avanti le sue attività sperimentali ancorandole direttamente alla quotidianità urbana – case, appartamenti, strade, e così via, sono da sempre i suoi luoghi di azione e produzione. Nascono riflessioni critiche sul cambiamento urbano. Si evidenzia l’impatto di questo cambiamento sull’evoluzione dell’immaginario individuale, identitario e collettivo non meno che sulle problematiche di libertà culturale, sociale e politica. Questi temi sono il fulcro dei principali interessi della produzione artistica. Gran parte degli artisti ha cominciato a operare direttamente nelle strade e negli spazi domestici. Per lungo tempo, l’autorganizzazione ha rappresentato la sua principale, se non unica, modalità per rendere visibile e far conoscere al grande pubblico la propria opera. Nonostante l’odierno boom infrastrutturale e di mercato di cui beneficia l’arte contemporanea, quasi tutti gli artisti tengono moltissimo al mantenimento di un legame solido con la pratica dell’autorganizzazione, e soprattutto al loro radicamento culturale nella realtà urbana. Non stupisce dunque vedere sempre più opere incentrate sulla gentrificazione e le spaccature sociali – è una protesta contro la violenza del potere: l’opera visuale di Halil Altındere Wonderland (2013), in cui si denuncia la cacciata della comunità rom dalla storica zona di insediamento di Sulukule, ne è un ottimo esempio tra i tanti, mentre Pleasure Places of All Kinds di Ahmet Öğüt (2014) allarga su scala globale la rappresentazione delle azioni di resistenza, mettendo a confronto le nail houses – edilizia di resistenza urbana – in Cina e in Turchia… Tutto ciò conduce giocoforza a una domanda: cos’è a rendere davvero Istanbul una città globalizzata? Non solo i nuovissimi grattacieli commerciali e residenziali. Anche l’accelerazione delle spaccature sociali e dei conflitti politici sono tendenze globali… Nel frattempo, molti artisti si impegnano, attraverso al loro opera, a interrogare le problematiche relative alle conseguenze sociopolitiche della crescita economica e urbanistica: i diritti della classe lavoratrice, delle donne, delle minoranze etniche e anche dei rifugiati. Si cercano “soluzioni” immaginifiche e creative, si prova a reinventare nuove identità per gli abitanti della metropoli. Tutto ciò implica una nuova progettualità per il futuro della stessa Istanbul. Evidentemente, si tratta di “soluzioni” alternative alla “linea ufficiale” di una città neoliberista. Quella che si vuole costruire è una metropoli in cui vi sia maggiore eguaglianza, democrazia e giustizia. 4. I cambiamenti urbanistici, sociali e culturali di Istanbul non sono un caso isolato. Anzi, la città rappresenta l’esempio estremo di una tendenza globale che si manifesta ovunque nel mondo. Mentre le collettività creatrici internazionali sono sempre più “globalizzate”, artisti e architetti professionisti devono affrontare ovunque le stesse sfide della cittadinanza comune, soprattutto nelle grandi città. L’Europa, in particolare l’Italia e la sua capitale Roma, hanno un forte legame storico con Istanbul. L’interazione e l’influenza vicendevoli tra le due città sono state un elemento portante nella formazione di entrambe le culture urbane. Quanto accade ora a Istanbul condizionerà giocoforza il futuro sviluppo di una città europea come Roma, a prescindere dalle rispettive storie e situazioni. Gli scambi tra Europa e Medio Oriente, o per meglio dire gli scambi nel Mediterraneo, rappresentano una delle spinte decisive per lo sviluppo europeo, soprattutto in un momento in cui abbiamo tutti a che fare con una “mini guerra mondiale” ai confini della Turchia e con la conseguente crisi dei rifugiati. È tassativo riflettere sulla nostra realtà e cercare soluzioni creative per la gestione di simili conflitti. Anche per questo il MAXXI ha deciso di sviluppare un progetto a lungo termine che presenti l’arte contemporanea, l’architettura e le altre pratiche creative di queste regioni, soprattutto per quanto riguarda le grandi metropoli, in modo da riaccendere il dibattito sui destini comuni di Europa e Medio Oriente. Dopo la grande mostra dell’anno scorso sulla cultura visuale iraniana moderna e contemporanea, quest’anno si è deciso di dedicare gran parte dello spazio museale a un progetto su Istanbul, incentrato sulle dinamiche tra cambiamento urbano e reazioni artistiche nel presente. Una scelta senz’altro necessaria. Istanbul. Passion, Joy, Fury è un progetto scaturito da un confronto internazionale su diversi piani: i curatori dei dipartimenti MAXXI Architettura e MAXXI Arte hanno visitato Istanbul allo scopo di operare una ricerca approfondita e di instaurare un dialogo con artisti, architetti, curatori, critici e altri professionisti del settore, nell’ambito di seminari in loco. Il progetto è stato ideato da un gruppo di curatori comprendente studiosi del MAXXI e di Istanbul (Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli), che si è avvalso della consulenza di diversi critici e studiosi in loco, i quali hanno contribuito alla stesura del catalogo. La mostra, strutturata in sei parti, si dispiega come un viaggio attraverso la città, ricco di sorprese e complessità ectopiche, e comprende una serie di conferenze e presentazioni cinematografiche. Le diverse parti, o problematiche, sono le seguenti: A Rose Garden? La difesa del parco Gezi nel 2013, contro il disegno governativo di trasformare la zona in un centro commerciale in stile neo-ottomano, è diventata il simbolo della resistenza della società civile faccia a faccia con il recente arretramento democratico. L’episodio ha rappresentato l’impegno più forte della società civile cittadina e nazionale nella Turchia contemporanea. Artisti e intellettuali vi hanno svolto un ruolo determinante. Un gran numero di opere d’arte è stato prodotto a testimonianza di un’azione tanto decisiva e delle profonde riflessioni scaturite da quel momento storico. Il video di animazione Rose Garden with the Epilogue (2013) del progetto Extrastruggle propone un esempio politicamente audace ed esteticamente poetico di quelle manifestazioni. La parte che va sotto lo stesso titolo presenta diverse opere incentrate sulle conseguenze dei fatti del parco Gezi. Può essere letta come sostanziale introduzione a tutta la mostra, il cui scopo è quello di connettersi agli scenari artistici, architettonici e culturali che sfidano il potere neoliberista e autoritaristico. Ready for a Change? Istanbul ha attraversato un drastico processo di espansione e trasformazione urbana sotto la spinta di logiche del profitto e di esclusione degli strati più deboli. In nome del rinnovamento e dello sviluppo urbano si è intensificata la gentrificazione e la spaccatura tra strati sociali, mentre tutte le contraddizioni derivanti dall’assimilazione della metropoli alla rete di città globalizzate esplodevano in modo sempre più evidente. Tutto ciò ha avuto un forte impatto sulla vita dei cittadini, provocando grandi controversie e proteste appassionate. Gli artisti si sono mobilitati per produrre le loro testimonianze e riflessioni critiche su queste trasformazioni, mentre architetti e urbanisti ricercavano soluzioni alternative per uno sviluppo sostenibile. Siamo tutti pronti per il cambiamento? E per quale cambiamento? Sono problematiche aperte, che rendono la città terreno di scontro su diversi valori e ideologie, diverse visioni sociali, economiche, politiche e culturali, al cui centro si trovano le tensioni problematiche tra globalizzazione e democrazia. Can We Fight Back? Istanbul non è stato solo il terreno di scontro per diverse visioni e progetti urbani. È da sempre l’arena di lotte e conflitti politici e sociali. Problematiche di identità culturale, diritti civili, libertà di espressione, fede religiosa, uguaglianza di genere, e così via, sono al centro della vita sociale fin dai suoi inizi. Arte contemporanea, architettura, cinema, letteratura e ogni tipologia di discorso intellettuale hanno sempre mantenuto una stretta correlazione a problematiche di questo tipo. Lo scenario contemporaneo dell’azione creativa di Istanbul, e più in generale della Turchia, è intrinsecamente legata alla critica politica e sociale e alle azioni di resistenza urbana. Should We Work Hard? A Istanbul lo sviluppo urbanistico è sorto sulla spinta dell’espansione economica e del processo di integrazione del sistema industriale turco all’economia e al mercato globali. La coesistenza di diversi sistemi economici, modi di produzione, scambio e crescita commerciale, è condizione necessaria per mantenere viva l’energia, il dinamismo e la sostenibilità della vita economica cittadina. In quest’era di dominio del capitalismo neoliberista, assistiamo a un rapido deteriorarsi dell’equilibro tra vecchio e nuovo, locale e globale, mentre le classi lavoratrici perdono sempre più diritti e vedono i loro interessi disattesi. Si sente urgente bisogno di un esercizio critico e di proposte alternative. Queste tematiche sono ormai imprescindibili nell’opera di artisti e architetti contemporanei. Testimonianze acute e soluzioni ingegnose vengono prodotte e ideate… Home for All ? Istanbul rappresenta storicamente una metropoli cosmopolita all’interno di una società multietnica, multiculturale e pluriconfessionale. La coabitazione e gli scambi tra collettività diversificate esprimono da sempre la garanzia intrinseca della sua ricchezza culturale, indipendentemente dalle costanti pressioni politiche e dall’oppressione esercitata sulle minoranze. I movimenti migratori internazionali hanno incentivato queste dinamiche. In città c’è sempre stato posto per tutti. Artisti di svariata provenienza hanno svolto un ruolo fondamentale nella produzione culturale cittadina, per non parlare dell’immensa, eterogenea ricchezza del suo paesaggio architettonico e urbano, a cui hanno contribuito svariate tradizioni e modi di vita in comune. Questi sviluppi sono sempre stati legati ai cambiamenti geopolitici di una regione a cavallo tra Europa e Medio Oriente. I recenti conflitti geopolitici, culturali e religiosi hanno per conseguenza il diluvio di milioni di rifugiati in territorio turco, e producono inevitabilmente un enorme impatto sulla struttura etnografica della città. È un ulteriore peso sulle sue spalle? O non piuttosto un’occasione di crescita culturale, dove ci sia posto per tutti? Tomorrow, Really? Istanbul, la Turchia e le zone limitrofe tra Europa e Medio Oriente stanno affrontando una grande crisi economica, democratica e militare. Quale futuro aspetta tutti noi? Difficile azzardare previsioni. La strada verso il domani è senza dubbio molto incerta. C’è ancora qualche scampolo di speranza? La risposta a questa domanda richiede inventiva e capacità di improvvisazione. L’arte, l’architettura e le pratiche culturali rappresentano un ottimo laboratorio per il futuro. Saremo davvero capaci di immaginare un domani migliore? Con passione, gioia e furore, noi ci siamo impegnati a lavorare con alcuni tra i maggiori talenti creativi di questa metropoli per presentare al mondo una Istanbul aperta e combattiva… (01) Vasif Kortun: “Weak Fictions – Acclelerated Destinies” [“Finzioni deboli – Destini accelerati”]. Inizialmente in Angelika Stepken, a cura di, Iskorpit: Recent Art from Turkey [“Iskorpit: arte recente in Turchia”], Berliner Kulturveranstaltungs-GmbH e Badische Kunstverein, Berlin/Karlsruhe 1998, poi ristampato in Halil Altindere e Süreyyya Evren, a cura di, User’s Manual, 2.0, Contemporary Art in Turkey, 1975-2015 [“Istruzioni per l’uso 2.0 – Arte contemporanea in Turchia 1975-2015”], Revolver Verlag, art-ist e SAHA, Berlin/Istanbul 2015, p. 154. (02) Per una panoramica dell’evoluzione dello scenario artistico a Istanbul e in Turchia, si veda tra l’altro User’s Manual, 2.0, cit., p. 154 e in particolare l’articolo di Halil Altindere. (03) Si vedano, tra gli altri, Sibel Bozdogan e Esra Akcan, Turkey, Modern Architectures in History [“Turchia, architetture moderne nella storia”], Reaktion Books, London 2012; Yoann Morvan e Sinan Logie, Istanbul 2023, Edition B2, Paris 2014. (04) Turkey, Modern Architectures in History, cit., p. 239. Roma, 12 novembre 2015 A ROSE GARDEN Ceren Erdem Svegliandomi, compresi di trovarmi in un giardino di rose. Proprio davanti a me, mente e cuore chiacchieravano. E la formica in terra cercava di impedire tutte le guerre del mondo. Extrastruggle, Rose Garden Un giardino di rose, con boccioli di innumerevoli colori, e senza spine – ecco cos’era il Gezi Park che si affacciava su piazza Taksim nel cuore di Istanbul, all’inizio dell’estate del 2013. Uniti dall’idea del diritto alla cittadinanza, gruppi che in altre occasioni si sarebbero sentiti a disagio nel trovarsi fianco a fianco costruirono una temporanea vita in comune, basata sulla solidarietà e sulla condivisione. Questa straordinaria adunanza definì quello che oggi chiamiamo lo “spirito di Gezi”. Le donne erano sempre in prima linea. Il popolo LGBTQ era lì numeroso per resistere, e con la sua presenza vinse i pregiudizi di molti. I musulmani anticapitalisti dimostrarono la differenza fra essere religiosi e usare la religione per fini politici, mentre gli ambientalisti misero a contribuzione le loro conoscenze e la loro consapevolezza. I gruppi nazionalisti avrebbero potuto non schierarsi, invece misero le loro tende accanto a quelle dei Curdi. Gli ultras del calcio contribuirono con la loro forza e con la loro allegria, e il gruppo hacker Redhack costruì la roccaforte virtuale della resistenza. Ognuno portò con sé il suo amore sconfinato, condivise il proprio cibo, mise su biblioteche e piantò nuovi orti – nel parco si sviluppò la routine di una vita quotidiana. I media locali, con qualche eccezione, evitarono di parlare delle proteste, o le fecero passare come una minaccia per la società. Ma quando Recep Tayyip Erdoğan, allora primo ministro, usò i poliziotti come fossero il suo esercito personale, la loro sproporzionata violenza si scontrò con una sproporzionata intelligenza. La resistenza assunse forme diverse, come leggere libri ai poliziotti o suonare la chitarra in risposta ai getti degli idranti. Stencils e spiritosi testi di satira politica scritti con la vernice spray ricoprirono i muri. Mentre la gente continuava a protestare pacificamente e senza armi, sfruttando queste forme di contestazione senza precedenti, le cariche della polizia diventavano sempre più dure. Però, più la polizia attaccava, più il popolo restava unito. E tuttavia, alla fine, siamo fatti di carne e ossa. L’attacco finale contro il parco, il 15 giugno 2013, evacuò spietatamente ogni occupante. Nei giorni seguenti cominciarono a costituirsi delle assemblee pubbliche, non solo in diversi parchi di Istanbul, ma anche in altre città. Le fasi attraverso le quali si è giunti a questa agitazione sono descritte in modo chiaro nei testi che seguono, di Orhan Esen e Vasıf Kortun. Come fa notare Esen ricostruendo la cronologia degli eventi di piazza Taksim, non è un caso che gli abitanti di Istanbul si siano ribellati a un progetto che avrebbe distrutto la piazza, facendone il grandioso palcoscenico di una dichiarazione di dominio politico: “La città è il più coerente – e, nel complesso, il più efficace – tentativo dell’uomo di ricostruire il mondo in cui vive in conformità con i suoi desideri più profondi. Tuttavia, se la città è il mondo che l’uomo ha creato, è anche il mondo in cui è d’ora in poi condannato a vivere; per cui, indirettamente, nel costruire la città, l’uomo – pur senza avere una chiara percezione del proprio compito – ha costruito se stesso” (01). La sollevazione del Gezi è stata un momento di risveglio, con il quale il popolo ha rivendicato il diritto di decidere in merito alle sue città; opponendosi al Governo, il popolo ha rivendicato il proprio potere su piazza Taksim. È anche attraverso questo processo, in un ambiente in cui le differenze venivano accolte e prevaleva la volontà di cambiare le strutture imposte dal Governo, che ci si è interrogati sul “costruire se stessi”. In questi travagliati giorni di guerra, in Turchia e intorno alla Turchia, in questi giorni di deportazioni e omicidi di massa, è necessario restare aggrappati a ciò che lo spirito del Gezi ha contribuito a fare di noi, perseverare nella coesistenza pacifica e solidale, e continuare a rivendicare il nostro diritto di costruirci il futuro “in cui siamo condannati a vivere”. (01) Robert E. Park, On Social Control and Collective Behavior, University of Chicago Press, Chicago 1967, p. 3. HOME FOR ALL Ceren Erdem “Le strade di Istanbul sono lastricate d’oro”, dice un vecchio adagio. È una frase che sentiamo spesso citare quando si discute della mobilità delle masse, iniziata in Turchia negli anni Cinquanta. La Turchia stava entrando nella fase di industrializzazione, e dunque la migrazione dalle aree rurali alle città era inevitabile. A quel punto Istanbul, il cui sviluppo era stato deliberatamente trascurato dalle élites della Repubblica negli anni della sua fondazione, divenne il centro delle opportunità, poiché presero a stabilirvisi aziende di varia grandezza, tutte in cerca di manodopera a basso costo. La prima ondata di immigrati urbani, schiacciati fra le loro tradizioni e lo stile di vita di Istanbul, lottò per adattarsi al nuovo, subendo per anni il disprezzo degli istanbulioti. Gli immigrati dell’ondata successiva cominciarono a costituire delle comunità specifiche, e costruirono i loro insediamenti in quella che all’epoca era una periferia, senza curarsi dell’integrazione con la cultura urbana. Questa separazione determinò un’introversione etnica, religiosa ed economica di alcuni quartieri. I recenti progetti di trasformazione urbana mirano a “ripulire” tali quartieri, deportandone i residenti in distretti periferici. Tale opera di segregazione e “pulizia” non è tuttavia esclusiva del processo di migrazione. Fino agli anni Cinquanta, la Repubblica Turca, fondata come Stato turco, secolare-musulmano (leggasi “sunnita”) e capitalista, iniettò dentro Istanbul il suo schema nazionalista. Mentre la città si ostinava a conservare la sua identità multietnica, a dispetto delle ferite delle Prima Guerra Mondiale e della Guerra d’Indipendenza; dal 1923 al 1950 si portò gradualmente avanti la purificazione etnica a spese dei cittadini non-musulmani, mediante rigorosi regolamenti nelle scuole greche e armene, la restrizione dei diritti di proprietà, ed anche attraverso inique tasse patrimoniali, che impoverirono i gruppi che controllavano la maggior parte dell’economia di Istanbul, quali gli ebrei, i greci, gli armeni e i levantini. La Rivolta di Istanbul del 6-7 settembre 1955, finì poi per accelerare l’emigrazione. In quella parte parzialmente abbandonata di Istanbul s’insediò allora la popolazione rurale, per raccogliere i frutti di quella terra dorata, in qualche caso appropriandosi delle abitazioni dei “non-nazionali”, finendo così per creare altri ambiti di discriminazione. Lo sviluppo del pregiudizio apre uno spazio in cui vengono create le categorie dell’“altro”, dell’“estraneo”, dello “straniero”, ed è su quest’“alterità” che vengono proiettate paura e ostilità. Più le persone socialmente simili si separano, più si rafforza una struttura statale come questa. In questo scenario, “l’altro” può facilmente divenire “nemico”. È a causa di questo schema che la gloriosa Istanbul “cosmopolita”, e più in generale la Turchia, hanno sofferto nel passato, e continuano a soffrire oggi. I Curdi, la più importante minoranza etnica della Turchia, sono stati brutalmente deportati. Analogamente, la popolazione alevita viene oppressa per la sua “alterità”, per essere cioè islamici nonsunniti, a differenza della maggior parte della popolazione turca. In questo frammentato tessuto sociale, la Turchia ha tentato di accogliere due milioni di rifugiati siriani, 400.000 dei quali sono ospitati nella sola Istanbul. Il flusso dei siriani in Turchia, specialmente nei suoi centri urbani, ha trovato queste città tragicamente impreparate, fisicamente e culturalmente. La questione dello status legale, e dunque dei diritti, dei migranti in Turchia, non è stata ancora risolta. Nel frattempo, ospitalità e ostilità si sovrappongono, spesso alternandosi. È anche paradossale che Istanbul stia dando asilo a questa tormentata popolazione proprio nel momento in cui la città si è data una nuova identità commerciale al fine di attrarre i turisti arabi arricchiti dal petrolio, i quali intendono godersi tutto quel che Istanbul può loro offrire. Sebbene ci si sia sempre riferiti ad Istanbul, capitale di due imperi, come a una città cosmopolita e multiculturale, questo patrimonio è stato sistematicamente sperperato, più che accettato. Tenendo presente questo fatto, possiamo a buon ragione domandarci se Istanbul sia mai divenuta una vera “casa”, o se sia semplicemente un’area – in continuo sviluppo – di coabitazione per tutti. READY FOR A CHANGE? Elena Motisi Istanbul, come e più di altre grandi città contemporanee, ha affrontato un drastico processo di espansione urbana e di trasformazione guidati dalla logica del profitto e di esclusione dei senza potere. Dopo un periodo buio, la metà degli anni Quaranta ha segnato per Istanbul l’inizio delle migrazioni dalle campagne verso la città, e a partire dagli anni Sessanta la periferia di Istanbul si è popolata di gecekondu (01). Questa espansione irregolare e abusiva, in gran parte consistente in sviluppi informali, è stata il frutto dell’incredibile aumento della popolazione ma anche di una voluta mancanza di una politica abitativa. La crescita esponenziale della città nella seconda metà del XX secolo ha causato una trasformazione morfologica della struttura urbana ma anche inevitabili trasformazioni culturali e sociali. È questo il territorio di esplorazione per molti studiosi che analizzano la città, la sua storia e la complessa situazione economica legata all’edilizia abitativa che la Turchia ha dovuto fronteggiare negli ultimi dieci anni. Gli sviluppi informali sono stati infatti affiancati dall’ istituzione TOKİ (02), costituita per rispondere alle esigenze architettoniche e urbanistiche dovute alla crescita della popolazione e alla mancanza di alloggi pubblici. Le soluzioni fornite da TOKİ stanno influenzando radicalmente il volto della città e in particolare delle aree urbane occupate da classi di reddito più basse, spinte poi a stabilirsi in zone periferiche e a uniformare il loro stile di vita a un modello che ricorda quello residenziale americano. Questo skyline in continuo cambiamento, questo luogo dove il disordine della tradizione e lo spazio pubblico non trovano più posto, sono territorio di indagine per molti intellettuali. Istanbul è un cantiere, è un pattern di linguaggi dove gli elementi architettonici del passato sembrano occupare spazi residuali e in cui i megaprogetti di rinnovamento urbano rispondono al disordine degli insediamenti abusivi ma al tempo stesso snaturano i paesaggi naturali e sociali. La città è stressata da un processo di urbanizzazione al di là di qualsiasi metodologia di pianificazione urbana e il risultato presenta un tessuto urbano stratificato straordinariamente intenso. Frammenti di urbanità e natura coesistono al di là di qualsiasi modello razionalizzato e la mancanza di pianificazione caratterizza gli spazi dove il “sentire” della città è il riflesso di quelle “compressioni visive e sonore” fonte di ispirazione per molti artisti. L’incontrollata attività di costruzione, avvolge tasselli di un museo a cielo aperto che rappresentano una connessione tangibile con la storia di Istanbul, comprimendo con i grandi progetti infrastrutturali pubblici gli spazi privati. Questo ha avuto un forte impatto sulla vita di tutti gli abitanti e provocato intensi dibattiti e proteste che trovano espressione nella resistenza quotidiana individuale contro le strategie di stato. Alcuni abitanti si trovano a lottare per risparmiare dalla gentrificazione territori che hanno attraversato epoche, o a “resistere” al peso di una forza costruttiva incontrollata. I progetti di social housing e la tensione sociale che deriva, sono solo un campione di una dimensione europea in cui infiniti strati, carichi di esperienze e tradizioni, sono coinvolti nel cambiamento. Architetti e professionisti sono alla ricerca di soluzioni alternative per uno sviluppo sostenibile, di connessioni spaziali e fisiche tra elementi che assumono nuovi ruoli in spazi simbolici, e di una sintesi chiara di informazioni che devono essere accessibili: molti lavorano da anni alla compilazione di dati e alla produzione di mappe che presentano le relazioni tra istituzioni governative e attori diretti. Parallelamente gli artisti sono impegnati con le loro testimonianze, presentando il multistrato di Istanbul e il suo pluralismo culturale, attraverso indagini dello spazio pubblico, della gente che lo abita, delle ideologie e dei valori che strutturano la tensione tra democrazia e globalizzazione. (01) Letteralmente “edificato in una notte”. (02) Toplu Konut idaresi (Dipartimento per lo sviluppo edilizio). CAN WE FIGHT BACK? Elena Motisi Istanbul incarna la continua ricerca di una mediazione tra oriente e occidente, in cui le tracce di un passato carico di valori tradizionali e le nuove direttrici di sviluppo e di coscienza contemporanea hanno generato una complessa coesistenza tra modernità e memoria. Istanbul è stata una città, nel passato recente e meno recente, campo di sperimentazione per nuovi progetti e nuove visioni urbanistiche ma è da sempre anche luogo di duri confronti – se non di conflitti – sociali e politici. Gli scontri di Gezi Park hanno dato nuova linfa alla città: da un lato l’esigenza di gridare il proprio dissenso e il proprio desiderio di libertà, dall’altro la volontà e la ricerca di nuove espressioni attraverso le quali dare voce alle proprie idee. Ed è in questo contesto che ha preso forma una Istanbul “brutale” che contrasta con la visione romantica della tradizione mediterranea. Da Gezi Park, passando per piazza Taksim e attraverso le strade della città, un incessante movimento arriva ai singoli quartieri, dove incontri, assemblee e forum pubblici danno seguito all’ormai famoso slogan di Gezi “It’s just the beginning”. Problematiche che riguardano l’identità culturale, i diritti civili, la crisi ecologica, la libertà di espressione e la fede religiosa sono da sempre il cuore pulsante della vita sociale nella città, ma adesso migliaia di persone si riuniscono per confrontarsi e protestare. Le piazze, i muri, le scalinate, gli spazi occupati, accolgono le tracce e i colori della trasformazione: sono il segno che il movimento sociale non si è fermato, ma è protagonista nel continuo processo di ridefinizione degli spazi urbani e privati. In questo scenario di azioni collettive e auto organizzazioni che non possono non influenzare l’economia del paese, una nuova consapevolezza di libertà cerca di far fronte alla frammentazione, attraverso un concerto di espressioni e voci, spesso femminili, che rivendicano una identità politica. Le “questioni femminili” sono affrontate da attiviste politicamente impegnate ma anche da artiste che dichiarano/pretendono un ruolo che va al di là della visione della donna solo come membro della famiglia e al tempo stesso utilizzano e reinterpretano simboli codificati, espressioni intime per nuove narrazioni fatte con strumenti più o meno canonici. Guardando quindi attraverso nuovi filtri, che non sono quelli della tradizione, prende piede un laboratorio di modernizzazione che non può che confrontarsi con linguaggi universalmente condivisi. C’è un’urgenza di testimonianza e rivelazione pubblica in cui le azioni, le ideologie politiche e i simboli del dissenso trovano un nuovo territorio di esplorazione. Le pubblicazioni, i social media, i docu-film, i graffiti e addirittura i fumetti, sono luogo di scambio e protesta e per questo vengono messi in discussione o, a volte, definiti una minaccia per la società. In questo luogo cosmopolita, l’ incessante attività di intellettuali politicamente impegnati è ormai parte del sistema: è segno della globalizzazione ma anche espressione di coscienza della comunità contemporanea locale. I cambiamenti urbani e sociali di questa città duale hanno influenzato il lavoro degli artisti e degli architetti in maniera profonda: ora tutti gli aspetti del dibattito sono messi sistematicamente in relazione con le contraddizioni che la vita della città porta con sé, e ogni forma di creatività contemporanea è intrinsecamente legata alla situazione sociopolitica della città e alle forme di resistenza sociale che ne derivano. SHOULD WE WORK HARD? Donatella Saroli C’erano una volta, e ci sono ancora, un’idea del lavoro e del lavoratore. C’erano una volta, e ci sono ancora il lavoro e la sua narrazione fatta di sogni e di aspirazioni. Quale lavoro? Quale qualità del lavoro? Quanto lavorare e perché? Ne travaillez jamais, (Non lavorate mai), scrive nel 1953 sul muro di Rue de la Seine, Guy Debord, fondatore del movimento situazionista. Monito all’impossibilità di sottrarsi a forme pervasive di sfruttamento, quel graffito non ha perso la sua attualità: l’esperienza complessa del “lavorare” rimanda a quella del proprio “valore”. Anche le conquiste di diritti del lavoratore non sono vinte per sempre, ma frutto di una costante riformulazione. Nelle città globali, come Istanbul, con i suoi 14 milioni di abitanti, l’idea di ‘lavoro’ e i temi legati alla sua qualità subiscono torsioni continue. Dalla fine degli anni Ottanta si assiste alla progressiva trasformazione del tessuto urbano: le piccole industrie manifatturiere, parte integrante dei quartieri più antichi della città, in cui le aree di produzione coincidevano con quelle abitative, vengono dislocate nelle periferie. Al loro posto, sorgono oggi uffici per il mondo della finanza e negozi per i brand internazionali. È la storia delle grandi città che si ripete. Alla trasformazione urbana e edilizia delle città “globali” corrisponde una profonda modifica dell’idea del lavoro, con un racconto che tende a ridursi ad una perdita di centro dell’individuo e delle sue esigenze, rispetto alla centralità di interessi economici – appunto “globali”. A produrre merce ma anche a erigere torri, ponti e aeroporti, continua a essere una folla senza nome, spesso troppo fragile per l’assenza di diritti. Ma la fragilità si annida anche in chi abita e lavora in quei grattacieli, banche e fitness center. Qui, dove il lavoro è pura prestazione, alberga l’illusione di essersi emancipati dall’idea di sfruttamento e di aver scelto liberamente di “poter-fare” senza limiti, di lavorare senza fine. Ma di prestazione si muore, come si muore nei cantieri edili. Dovremmo lavorare sodo è sempre più l’imperativo globale. Ma è dal talento di artisti e architetti – che fanno propri questi temi – che emergono testimonianze incisive e soluzioni ingegnose. Se la crescita della città porta alla contrazione degli spazi di condivisione del lavoro e del vissuto personale, le pratiche artistiche dilatano e scombinano le coordinate spazio-temporali. Torniamo a vedere i dettagli, anche quelli che non conosciamo e riannodiamo la relazione fra cose e persone, fra mestiere e lavoratore; della città globale riusciamo a distinguere i vicoli che non somigliano a nessun altro posto al mondo perché solo lì c’è un’individualità specifica; l’accumulazione di merci diventa policromia e non alienazione, il reietto viene scorto. Con Should We Work Hard? ci domandiamo e domandiamo, in questa sezione del percorso di mostra, come mantenere uno sguardo fresco sulla relazione che abbiamo con il lavoro. Quali comunità creare attorno al proprio lavoro. Come sentire che le proprie conoscenze sono sapere e che questo sapere, così personale, unico e specifico, ci rende insostituibili e non merce di scambio. TOMORROW REALLY? Donatella Saroli Come può una delle città più antiche del mondo – la Bisanzio del VI secolo a.C. o quella che fu la Costantinopoli del III secolo d.C. – riuscire a proiettarsi, oggi, nel futuro? Composta di frammenti, rovine, grattacieli, botteghe e broker, Istanbul è tra le megalopoli, quella che più somiglia New York: primitiva e utopica, antica e futuribile. Sembra, allora, che il futuro si manifesti per sovrapposizione di frammenti di ‘presente’ e sia – più che un tempo – uno spazio cedevole dove si negoziano nuove posizioni, dove si sposta sempre in avanti il limite, dove si abbatte per ricostruire. Il futuro – già in atto – di Istanbul e della Turchia è definito anche dai conflitti, da un’espansione economica che acuisce la forbice fra le classi sociali, dalla difficile relazione fra le componenti etniche e dalla necessità di avviare un reale processo di democratizzazione. Le narrazioni della mobilitazione di Gezi Park del 2013 riportano i timori e la violenza per un presente opprimente, ma anche un senso di apertura e di sorpresa, di energia vitale, di aspirazione per il “futuro”. Incarnano una visione dinamica, un senso di nuove opportunità a cui non è estraneo il ritorno all’utopia. Nella spinta verso una migliore qualità delle relazioni, della convivenza, del rispetto per il bene pubblico, emerge insieme l’attitudine a vivere il quotidiano come un perenne laboratorio: con parole e azioni si sperimentano nuove pratiche del vivere comune. Come mantenere questo spirito? Una risposta possibile aleggia nell’Atlante del Gran Kan, che l’immagine di Bisanzio ci costringe a risfogliare, assieme alle pagine delle Città invisibili. “L’atlante del Gran Kan contiene anche le carte delle terre promesse, visitate nel pensiero ma non ancora scoperte o fondate: la Nuova Atlantide, Utopia, la Città del Sole” (01) scriveva Italo Calvino. La curiosità (o forse l’apprensione) del Kan lo spingono ad incalzare Marco l’esploratore, per avere un’idea più precisa del futuro. Il Kan ha preso l’abitudine di chiudere gli occhi e sognare città; a Marco il compito di confermarne l’esistenza. Ma Marco sposta l’asse della conversazione. Essenziale, per lui, non è tanto fissare con un nome la città del futuro per placare ogni inquietudine, quanto non perdere la fiducia nel cammino verso il futuro. “Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa”, spiega al suo signore, “tu non devi credere che si possa smettere di cercarla” (02). In sostanza, Marco propone al Kan un futuro impalpabile, fatto di frammenti di ‘presente’ mescolati con tutto il resto: l’incontro di due viandanti, uno scorcio in un paesaggio, un affiorare di luci nella nebbia. Al timore del Kan che il futuro possa somigliare alle città di cui si parla nelle maledizioni – Babilonia, Brave New World – Marco offre due possibilità: accettare l’inferno che gli uomini costruiscono insieme, giorno per giorno, o “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” (03). Con Tomorrow, really? l’ultima tappa del percorso di mostra, si tenta proprio questo. Le pratiche artistiche si offrono, infatti, come il vero laboratorio del futuro, là dove le visioni costruiscono mondi non ancora promessi. (01) Italo Calvino, Le Città Invisibili, Einaudi, Torino 1990, p. xx. (02) Ibidem, p. xx (03) Ibidem, p. 170 EVENTI DI APPROFONDIMENTO LA STORIA IN MOVIMENTO Racconti del cinema turco dagli anni sessanta ad oggi a cura di Italo Spinelli Due appuntamenti per ripercorrere la storia sociale, politica e culturale della Turchia contemporanea attraverso un racconto arricchito da sequenze celebri oppure inedite tratte da fi lm, cortometraggi e documentari turchi. Una cronologia di immagini che testimoniano la ricchezza culturale di un Paese in continua trasformazione sabato 30 gennaio | ore 17.00 Dai Giovani Turchi al cinema impegnato di Yilmaz Guney domenica 31 gennaio | ore 17.00 Dalla crisi degli anni novanta alla demolizione del cinema Emek Per info e biglietti www.fondazionemaxxi.it ATTIVITÀ EDUCATIVE Scuole secondarie Visite-esplorazione: percorsi partecipati per conoscere la Istanbul contemporanea e i suoi forti legami con l’Oriente e con l’Occidente del passato e di oggi Famiglie IL MAXXI IN FAMIGLIA sabato 23 gennaio | ore 16.30 domenica 24 gennaio | ore 11.30 Laboratorio per scoprire il lavoro di artisti e architetti turchi e reinterpretarne idee, oggetti e immagini (bambini dai 5 ai 10 anni) Adulti Visite guidate e focus su singole opere o progetti Workshop d’artista Attività laboratoriali condotte da alcuni degli artisti che partecipano alla mostra (febbraio, marzo, aprile 2016) CINEFORUM Durante tutto l’arco della mostra, l’Auditorium del MAXXI proporrà in loop, tre fi lm di artisti presenti in mostra: Mario Rizzi Murat Ve Ismail, 2005 (58’) Mario Rizzi The Outsider, 2015 (30’) Imre Azem & Gay Günay Ekumenopolis. A City Without Limits, 2011 (60’) ARCUS: UNO STRUMENTO DI INTERVENTO A SOSTEGNO DEI BENI CULTURALI. Nel mese di febbraio 2004, con atto del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, è stata costituita Arcus, Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo S.p.A., ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n. 291. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell’Economia, mentre l’operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro per i Beni le Attività Culturali – che esercita altresì i diritti dell’azionista – di concerto con il Ministro delle Infrastrutture. Arcus può anche sviluppare iniziative autonome. Il compito dichiarato di Arcus è di sostenere in modo innovativo progetti importanti e ambiziosi concernenti il mondo dei beni e delle attività culturali, anche nelle sue possibili interrelazioni con le infrastrutture strategiche del Paese. Nella missione di Arcus sostenere progetti significa individuare iniziative importanti, aiutarne il completamento progettuale, intervenire negli aspetti organizzativi e tecnici, partecipare - ove opportuno o necessario - al finanziamento del progetto, monitorarne l’evoluzione, contribuire ad una conclusione felice dell’iniziativa. E’ importante che venga ben compresa la specificità operativa di Arcus, così come emerge da quanto precede: la Società interviene a sostegno organizzativo e finanziario su progetti di rilievo, mentre in nessun modo è assimilabile un’agenzia di erogazione di fondi, né può essere annoverata fra i “distributori a pioggia” di fondi pubblici o privati. Arcus, quindi, si propone come uno strumento originale per il sostegno e il lancio di iniziative e progetti importanti e innovativi nel panorama della cultura italiana. Il supporto economico, se interviene, deve essere visto come del tutto strumentale nell’ambito di un progetto culturale che sia concettualmente valido e operativamente condiviso. Scendendo in qualche particolare, Arcus fornisce assistenza ad iniziative finalizzate, fra l’altro, a: * predisporre progetti per il restauro, il recupero e la migliore fruizione dei beni culturali; * tutelare il paesaggio e i beni culturali attraverso azioni e interventi volti anche a mitigare l’impatto delle infrastrutture esistenti o in via di realizzazione; * sostenere la programmazione, il monitoraggio e la valutazione degli interventi nel settore dei beni culturali; * promuovere interventi progettuali nel settore dei beni e delle attività culturali e nel settore dello spettacolo; * individuare e sostenere progetti di valorizzazione e protezione dei beni culturali attraverso interventi a forte contenuto tecnologico; * sostenere progetti inerenti il turismo culturale nell’accezione più ampia del termine; * promuovere la nascita e la costituzione di bacini culturali, cioè di aree geografiche sulle quali insistono beni culturali emblematici, in una visione integrata e sistemica capace di collegare ai beni culturali locali le infrastrutture, il turismo, le attività dell’indotto, i trasporti; * intervenire nell’ampio settore delle iniziative tese a rendere pienamente fruibili i beni culturali da parte dei diversamente abili. Per la realizzazione delle proprie attività Arcus si avvale delle risorse di cui all’articolo 60 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Legge Finanziaria 2003). La norma dispone che annualmente il 3% degli stanziamenti previsti per le infrastrutture sia destinato alla spesa per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali. Arcus è individuata come la struttura destinataria di tali fondi. Ai sensi, poi, dell’articolo 3 della legge 31 marzo 2005, n. 43, la percentuale sopra indicata viene incrementata annualmente di un ulteriore 2%. La Società, inoltre, può ricevere finanziamenti stanziati dall’Unione Europea, dallo Stato e da altri soggetti pubblici e privati. Arcus si muove anche nell’ottica di aggregare attorno ai progetti i possibili stakeholders potenzialmente interessati. Di volta in volta, pertanto, vengono contattate fondazioni di origine bancaria e non, enti locali, esponenti delle autonomie e della società civile, università e anche soggetti privati, al fine di coagulare attorno alle iniziative risorse crescenti e finanziamenti coordinati. Il progetto ambizioso di Arcus è così di diventare il “collante” che consente di rendere operativa la capacità sistemica di promozione e sostegno progettuale per la realizzazione di iniziative mirate a migliorare il quadro dei beni e delle attività culturali, in un’ottica di sempre migliore conservazione, fruizione e valorizzazione. Arcus, muovendosi opportunamente, favorisce la necessaria convergenza di tutti i soggetti, contribuendo quindi al successo dei progetti culturali di volta in volta identificati. Arcus S.p.A. Via Barberini, 86 - 00187 Roma Tel. 06 42089 Fax 06 42089227 E-mail: [email protected] ENEL PRIMO SOCIO FONDATORE PRIVATO DEL MAXXI – MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO Enel è una multinazionale dell’energia e uno dei principali operatori integrati globali nei settori dell’elettricità e del gas, con un particolare focus su Europa e America Latina. Il Gruppo opera in oltre 30 Paesi di 4 continenti, produce energia attraverso una capacità installata netta di quasi 89 GW e distribuisce elettricità e gas su una rete di circa 1,9 milioni di chilometri. Con 61 milioni di utenze nel mondo, Enel registra la più ampia base di clienti rispetto ai suoi competitors europei e si situa fra le principali aziende elettriche d’Europa in termini di capacità installata. Cultura, valore e responsabilità sono le linee guida che spingono Enel a sostenere partnership con le più importanti istituzioni nazionali e internazionali nella realizzazione di progetti innovativi che intendono offrire ai cittadini una visione dell’energia orientata al futuro. In particolare Enel è impegnata nella promozione dell’arte e della grande musica e dei giovani artisti: è socio fondatore dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del Teatro alla Scala dal 2003. E’ in questo contesto che Enel entra a far parte della Fondazione MAXXI, divenendo il primo socio fondatore privato del museo. L’adesione alla Fondazione MAXXI comporta da parte di Enel un contributo sociale per tre anni. Enel, inoltre, affiancherà la Fondazione MAXXI in un ambizioso piano di efficientamento energetico del museo, all’insegna della sostenibilità e del risparmio. L’impegno di Enel è da sempre quello di trovare le migliori soluzioni per lo sviluppo economico e sociale nei Paesi in cui opera, delle imprese che ne producono la ricchezza e delle persone che ne rappresentano il motore. Nel rispetto per l’ambiente e per le comunità che ospitano le sue attività. Enel SpA – Sede Legale 00198 Roma, Viale Regina Margherita 137 – Registro Imprese di Roma e Codice Fiscale 00811720580 – R.E.A. 756032 – Partita IVA 00934061003 – Capitale sociale Euro 9.403.357.795 i.v. 1/1 Alcantara e MAXXI: eccellenza e creatività nell’arte Materiale senza tempo, dalle molteplici potenzialità espressive e unico nel suo genere, Alcantara incontra l’arte e l’architettura aprendosi a nuovi linguaggi interpretativi. Dopo il successo delle 3 mostre Can you imagine?, Shape your life! e Playful inter-action (i cui risultati sono stati raccolti in un catalogo dedicato) continua la collaborazione tra l’azienda italiana che produce l’omonimo materiale e il Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Nel corso dei tre anni di collaborazione, il progetto Alcantara-MAXXI ha visto le due realtà - museo e azienda - confrontarsi e cimentarsi in uno scambio continuo di competenze ed esperienze, dando vita ad un modello di collaborazione e di dialogo di grande intensità creativa, che negli anni ha impegnato oltre venti tra designer affermati e giovani talenti internazionali. “Quella tra MAXXI e Alcantara è una partnership strategica che percorre una nuova forma di collaborazione tra una istituzione e un’azienda - dice Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI. Se nel ‘core business’ del MAXXI come in quello di Alcantara c’è il sostegno e la promozione dei talenti creativi emergenti, questa modalità di progetto comune, che va ben oltre il tradizionale concetto di sponsorizzazione, permette una collaborazione creativa che arricchisce tutti i soggetti coinvolti”. “E’ nostra ferma convinzione - sostiene Andrea Boragno, Presidente e Amministratore Delegato di Alcantara S.p.A. - che il senso di una relazione efficace tra azienda e museo vada oggi ricercato nella volontà concreta di sondare nuovi territori interpretativi, svincolandosi dal ruolo di mero mecenate per scegliere invece la via di una collaborazione reale, che venga innanzitutto dallo scambio di conoscenze”. Una visione condivisa anche da Margherita Guccione, Direttore MAXXI Architettura, che sottolinea: “Alcantara-MAXXI è un nuovo modello di collaborazione tra azienda e museo di architettura, in cui entrambe le parti hanno nello scambio un’occasione di dialogo reale per una visione comune e innovativa. In questi tre anni, grazie al coinvolgimento di 21 designer internazionali, abbiamo, negli spazi del MAXXI, guardato al futuro, sperimentando la creatività e la versatilità di questo incredibile materiale”. Fondata nel 1972, Alcantara rappresenta una delle eccellenze del Made in Italy. Marchio registrato di Alcantara S.p.A. e frutto di una tecnologia unica e proprietaria, Alcantara® è un materiale altamente innovativo, potendo offrire una combinazione di sensorialità, estetica e funzionalità che non ha paragoni. Grazie alla sua straordinaria versatilità, Alcantara è la scelta dei brand più prestigiosi in numerosi campi di applicazione: moda e accessori, automotive, interior design e home décor, consumer-electronics. Grazie a queste caratteristiche, unite ad un serio e certificato impegno in materia di sostenibilità, Alcantara esprime e definisce lo stile di vita contemporaneo: quello di chi ama godere appieno dei prodotti che usa ogni giorno nel rispetto dell’ambiente. Dal 2009 Alcantara è certificata “Carbon Neutral”, avendo definito, ridotto e compensato tutte le emissioni di CO2 legate alla propria attività. Nel 2011 la rendicontazione è stata estesa fino a comprendere l’intero ciclo di vita del prodotto, includendo quindi le fasi di uso e smaltimento (“from cradle to grave”). Per documentare il percorso dell’azienda in questo ambito, ogni anno Alcantara redige e pubblica il proprio Bilancio di Sostenibilità, certificato dall’ente internazionale TÜV SÜD e consultabile anche attraverso il sito aziendale. L’headquarter di Alcantara si trova a Milano, mentre lo stabilimento produttivo e il centro ricerche sono situati a Nera Montoro, nel cuore dell’Umbria (Terni). SKY ARTE HD - CANALI 110, 130 e 400 di SKY – PITTURA, SCULTURA, MUSICA, LETTERATURA, TEATRO E DESIGN, FORME ESPRESSIVE ANTICHE E CONTEMPORANEE: L’ARTE E IL SAPERE AL CENTRO DELLA PIATTAFORMA SKY ARTE HD, il primo canale televisivo italiano dedicato all’Arte in tutte le sue declinazioni, è visibile a tutti gli abbonati Sky (che dispongono dell’HD nel proprio abbonamento) alle posizioni 110, 130 e 400 della piattaforma. Pittura, scultura, architettura, musica, letteratura, teatro, design e tutte le forme di espressione artistica trovano spazio in un unico palinsesto dedicato sia agli appassionati, che hanno l’opportunità di approfondire i loro interessi, sia ai semplici curiosi che possono avvicinarsi all’arte in un modo nuovo attraverso le grandi produzioni internazionali (Sky Arts, BBC, Channel 4, Arte, PBS, Sundance Channel) e quelle originali del canale. Con un linguaggio contemporaneo e mai didascalico, che trova nella contaminazione dei generi la sua chiave narrativa, Sky Arte HD racconta le infinite risorse del patrimonio artistico mondiale, con un occhio di riguardo alla straordinaria tradizione italiana e al talento dei nostri artisti. Dalla Cappella Sistina, presentata su Sky Arte HD in tutta la sua potenza espressiva nella produzione originale Michelangelo – Il cuore e la pietra, che su Sky 3D è stata accompagnata, proprio il 1° novembre, da un esclusivo documentario sulla Cappella Sistina, alle provocazioni di Marina Abramovic, dal fascino di maestri del calibro di Daniel Baremboim alle leggende del rock come Jim Morrison, dai talenti eclettici alla Tom Ford alla regina della fotografia Annie Leibovitz, il canale ospiterà i mille linguaggi dell’arte. Tra le produzioni originali ci sono programmi appositamente creati per i più piccoli, come L’arte non è marte, che porta con allegria i bambini e i genitori alla scoperta dell’Arte come un elemento che può far parte della vita di tutti, e viaggi nel mondo dell’arte contemporanea, come Potevo farlo anch’io, condotto da Alessandro Cattelan e Francesco Bonami, che ci guidano con un approccio ironico tra le meraviglie e i paradossi dei maggiori capolavori della contemporaneità. Uno spazio importante è dedicato agli eventi sul territorio: rassegne, mostre e retrospettive saranno raccontate nel reportage Grandi Mostre, in cui il complesso meccanismo della realizzazione di una mostra viene raccontato passo dopo passo, dal trasporto delle opere al vernissage. Ed ancora Sky Arte HD in occasione del Salone e Fuorisalone 2013 ha realizzato la produzione originale De.sign che ha portato gli spettatori nel cuore della design week milanese con le pillole quotidiane dedicate al Fuorisalone, con un reportage finale su tutta l’edizione 2013, e con un’importante serie di documentari dedicati alla storia del design. Un’altra produzione originale di Sky Arte è Bookshow, interamente dedicato ai libri e che li racconta attraverso una semplice ma esaustiva struttura tripartita: un libro, un luogo, un ospite. Ed ancora Destini Incrociati Hotel, un cartoon spensierato e colorato che racconta, ambientandoli in un Hotel dove le porte delle camere si aprono e si chiudono sui destini dei protagonisti, incontri che hanno cambiato la storia. Nel mese di giugno Sky Arte Hd ha presentato Contact un’altra produzione originale che in 10 episodi compie un viaggio straordinario e affascinante nella città proibita dei provini, a contatto dei celebri fotografi della Magnum Photos, la leggendaria agenzia fondata nel 1947. Nel mese di ottobre Sky Arte presenta Capolavori Svelati: Greta Scacchi mostrerà come un grande artista, oltre che uno straordinario interprete artistico, sia anche un vero e proprio narratore del suo tempo. Nel mese di novembre tornerà su Sky Arte una nuova serie di Contact e di Street Art una produzione originale interamente dedicata al mondo dell’arte di strada. Sky Arte HD si avvale del contributo di Enel, main sponsor del canale e dei suoi programmi di punta, come è accaduto per Michelangelo – Il cuore e la pietra, e che partecipa attivamente alla realizzazione di produzioni ad hoc come Corti di luce e gli speciali dedicati a Enel Contemporanea, il progetto di arte contemporanea promosso dall’azienda e giunto alla sesta edizione. Sky Arte HD ha inoltre stretto delle importanti partnership con l’Istituto Luce-Cinecittà e con festival, mostre e fiere per raccontare i principali eventi culturali italiani, quali il Festivaletteratura di Mantova, Roma Europa Festival e Artissima. Ancora, Sky Arte HD sarà media partner del MAXXI, dal mese di ottobre delle produzioni originali racconteranno le principali mostre della stagione del Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. In linea con il linguaggio moderno della programmazione, il canale ha una forte presenza sul web e sui social network (Facebook, Twitter e Instagram), grazie al sito www.skyarte.it e a Sky Go, il servizio di streaming dei programmi che permette di vedere Sky su pc e smartphones. I contenuti principali di Sky Arte HD sono disponibili anche sul servizio Sky on Demand. «Quello che ci prendiamo è un grande impegno - spiega Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte HD - perché raccontare l’Arte in televisione, in tutte le sue sfaccettature e in maniera nuova e originale, è una grande scommessa. Ma l’Arte, nelle sue molteplici espressioni, sia antiche che contemporanee, sia colte che popolari, è un’esperienza che migliora della vita e offre un serbatoio infinito di storie appassionanti che siamo fieri di offrire al pubblico di Sky.» Ufficio stampa Sky Arte HD MN – Cristiana Zoni – [email protected] Marilena D’Asdia – MN [email protected] Tel 06.853763 Ufficio Stampa Sky – Elena Basso [email protected] Tel 02.308015837 SAHA is a non-governmental organization established in 2011 by a group of art enthusiasts united around the shared goal of supporting contemporary arts from Turkey. SAHA directly collaborates with international arts institutions for the realization of commissioned or invited projects; acts as a facilitator in the project development phase and raises funds if and when necessary. SAHA aims to improve the production and presentation infrastructure of artists, curators, and critics working in the field of contemporary art and to enhance their interactions with international networks. To date, SAHA supported the production of 208 art works and 14 publications, reaching out to 238 artists and curators in total of 82 projects. SAHA has no authority over the content of the works that are funded, and claims no ownership over the works that are produced. Recent collaborations with institutions include, Ashkar Alwan, Chisenhale Gallery, Drawing Center, la Biennale di Venezia, and Witte de With. In addition to funding projects, SAHA operates a residency program in Istanbul that allows curators and art professionals to deepen their research on Turkey’s contemporary artistic production. The program provides short term accommodation, guidance, and assistance in meeting the local artistic community. The independence and sustainability of SAHA is secured through a collective approach. SAHA is funded by 107 individual members, including a subgroup of 20 young contributors.