Per un codice deontologico degli insegnanti

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Per un codice deontologico degli insegnanti
2-3
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
ROMA
– 2002
Per un codice
deontologico degli insegnanti
I documenti e le proposte del gruppo di lavo ro
LE MONNIER
2002
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE
N° 2/3
2/3
La scuola cresce,
proprio come te
PER UN CODICE
DEONTOLOGICO
DEGLI INSEGNANTI
I D O C U M E N T I E L E P RO P O S T E D E L G RU P P O D I LAVO RO
PE R LA D E F I N I Z I O N E D E I C R I T E R I PE R U N C O D I C E D E O N TO LO G I C O
D E L PE R S O N A L E D E L LA S C U O LA
LE MONNIER
w w w. l e m o n n i e r. i t
SOMMARIO
2002
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE
N° 2/3
2/3
di Letizia Moratti, Ministro dell’Istruzione, dell’Università
e della Ricerca .......................................................................
IX
di Valentina Aprea, Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca.................................................
1
RELAZIONE
C O N C L U S I VA
di Plinio Sacchetto, avvocato generale dello Stato, Presidente
del Gruppo di lavoro..............................................................
3
I CONTRIBUTI DEI
GRUPPI DI LAV O R O
LA PROFESSIONALITÀ DOCENTE NEL PANORAMA
INTERNAZIONALE ...................................................................
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LE FONTI GIURIDICHE DEL CODICE DEONTOLOGICO ...................
26
CRITERI DI DEFINIZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO ...............
29
SINTESI DEI CONTRIBUTI .........................................................
34
PRESENTAZIONE
INTRODUZIONE
I N T E RV E N T I
CODICE DEONTOLOGICO: UN’OCCASIONE DI CONFRONTO
SULLA PROFESSIONE DOCENTE
di Emilio Brogi .....................................................................
45
LINEE GUIDA PER IL CODICE DEONTOLOGICO DEI DOCENTI
di Carlo Cerofolini ................................................................
51
OLTRE IL CODICE DEONTOLOGICO
di Rosario Drago ...................................................................
55
OSSERVAZIONI E PROPOSTE PER LA
DEFINIZIONE DEI CRITERI
DEL CODICE DEONTOLOGICO
di Carmela Lo Giudice Sergi..................................................
61
VERSO UNA SCUOLA DELLA LIBERTÀ E DELLA RESPONSABILITÀ
di Gianni Mereghetti.............................................................
66
OSSERVAZIONI SUI CONTRIBUTI DELLA COMMISSIONE
di Giuliano Piazzi ................................................................
75
LA RESPONSABILITÀ E LA SCUOLA
di Marco Rossi Doria.............................................................
79
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
RIFLESSIONI CONCLUSIVE SUL CODICE DEONTOLOGICO
di Maurizio Salvi..................................................................
88
UNA RIVOLUZIONE CULTURALE PER LA NUOVA FIGURA
DI DOCENTE,
DOCUMENTI
VIII
di Giuseppe Savagnone ..........................................................
92
PROFESSIONALITÀ DOCENTE
di Carla Xodo .......................................................................
95
IL CODICE DI COMPORTAMENTO DEGLI INSEGNANTI
di Paola Zerman ...................................................................
100
DECRETO MINISTERIALE COSTITUTIVO
DEL GRUPPO DI LAVORO (2/11/2001) ..................................
107
UNESCO – OIT: RACCOMANDAZIONE SULLO STATUS
DEGLI INSEGNANTI .................................................................
109
DOCUMENTO DEL CONSIGLIO NAZIONALE
DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE SUL CODICE DEONTOLOGICO
DEL PERSONALE DELLA SCUOLA (11 SETTEMBRE 2002) ..........
125
CODICI DEONTOLOGICI DI ALCUNI PAESI OCSE:
CANADA, FRANCIA, SPAGNA, SVIZZERA, USA.......................
129
Bibliografia ...........................................................................
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
P R E S E N TA Z I O N E
di LETIZIA MORAT T I
MINISTRO d e l l’ I S T R U Z I O N E
d e l l’ UNIVERSITÀ e della R I C E R C A
L
a Commissione sul codice deontologico degli insegnanti ha lavorato intensamente con un obiettivo: dare un contributo alla piena valorizzazione del ruolo degli
insegnanti, per costruire una scuola di qualità.
La consapevolezza da parte degli insegnanti dell’importante funzione che svolgono e
l’apprezzamento sociale della figura del docente sono sempre stati fondamentali.
Ma oggi lo sono ancor di più, perché nel grande mutamento che investe la nostra società, i giovani hanno sempre maggior bisogno di educatori, in quanto spesso attraversati da
incertezze, sollecitati da stimoli non sempre positivi e talvolta non guidati dalla famiglia.
Alla scuola si chiede quindi di recuperare una propria missione educativa e agli insegnanti di essere in grado di ascoltare i ragazzi, di aiutarli a costruire liberamente le
proprie opinioni, la propria personalità, di diventare cittadini consapevoli dei propri
diritti e dei propri doveri e poter dare così il proprio positivo contributo alla società.
Il lavoro di questa Commissione è quindi, innanzitutto, un messaggio di incoraggiamento e di riconoscimento rivolto agli insegnanti perché rafforzino la fiducia nel loro lavoro, insostituibile per la scuola e per il Paese.
Al di là delle numerose situazioni, delle sedi, dei «tavoli» sindacali, politici e associativi, in cui si cerca di migliorare la condizione e il rapporto di lavoro degli insegnanti, è opportuna e necessaria una riflessione sempre più ampia e approfondita sulla professione docente e sulla sua deontologia.
Credo che lo studio compiuto con grande attenzione e intelligenza dalla Commissione e l’elaborazione di una ipotesi di codice costituisca una utile base per avviare un dibattito finalizzato anche al rafforzamento della qualità della scuola italiana.
Sono convinta, infatti, che la qualità del sistema formativo passi in modo particolare attraverso la qualità del corpo docente. Accanto a punte di eccellenza nell’insegnamento, vi sono altri casi dove manca la necessaria qualità dell’insegnamento. Vi sono comportamenti virtuosi ma, purtroppo, anche comportamenti non adeguati al ruolo e ai compiti dell’insegnante.
Si tratta quindi di arricchire il patrimonio culturale e professionale degli insegnanti con una presa di coscienza dei principi, dei valori e delle responsabilità personali che
sono a fondamento del rapporto tra docente e discente.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
IX
La dignità e il prestigio di questa professione sono fatte innanzitutto di valori e comportamenti ai quali ogni docente deve liberamente attenersi secondo la propria coscienza per svolgere al meglio il suo compito educativo e sociale.
Sono certa che l’opera compiuta dalla Commissione sia utile per definire un insieme
di principi, che saranno proposti ai docenti perché li discutano e li facciano propri nei
modi che riterranno più opportuni. Non vi sarà nessuna imposizione dall’alto, poiché
non può esistere nessun vero codice deontologico della professione docente che non nasca
dalla volontà progettuale di chi opera nella scuola.
Mi auguro quindi che le proposte della Commissione costituiscano l’avvio di un lavoro comune e favoriscano la costruzione di una professionalità dell’insegnante più aderente alle esigenze degli studenti e delle famiglie.
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DELL’ISTRUZIONE
INTRODUZIONE
di VALENTINA APREA
S O T T O S E G R E TARIO al M I N I S T E R O
d e l l’ I S T R U Z I O N E, dell’ UNIVERSITÀ
e della R I C E R C A
P
erché il Governo ha voluto la costituzione di questa Commissione e perché si
è formato questo gruppo di lavoro?
Perché nessun Governo può immaginare di investire sulla scuola senza tener
conto dei docenti, del loro sviluppo professionale e della loro immagine sociale.
È quindi necessario sostenere tutte le iniziative, con il contributo dell’associazionismo professionale e della stessa opinione pubblica, che contribuiscano a valorizzare il ruolo docente, su cui si fonda la speranza del cambiamento della scuola.
La professionalità dell’insegnante è stata troppo a lungo dimenticata, se non mortificata. Senza invadere gli ambiti contrattuali o sindacali, è urgente avviare un dibattito nazionale su cosa significa essere insegnanti in generale, ed essere insegnanti nella
scuola italiana in particolare. È l’unica via, per quanto lunga e difficile, per rilanciare,
anche sul piano dell’immagine sociale, la figura, il ruolo e la funzione del docente.
E tale obiettivo è tanto più importante nel momento in cui ci apprestiamo a dare attuazione alla legge che riordina l’intero sistema scolastico italiano, la legge 53
del 28 marzo 2003.
La legge contiene un lungo articolo dedicato alla formazione degli insegnanti e
questo è un segnale di primaria importanza. Infatti, mentre si ridisegna l’impianto
strutturale della nostra scuola (del sistema di istruzione e di formazione), ci si preoccupa, in modo particolare, di ridisegnare anche il reclutamento, la formazione iniziale e in servizio di quelli che saranno i protagonisti del cambiamento.
Il lavoro della Commissione per l’elaborazione di proposte per un codice deontologico della docenza si iscrive in questo processo di rinnovamento.
È ora necessario cercare un luogo in cui tale processo di cambiamento trovi maturazione e il necessario consenso, partendo dall’orizzonte specifico nel quale si iscrive l’attività dell’insegnante, cioè di un adulto che educa e «forma».
Partendo dalle grandi ragioni che sono richiamate dalle conclusioni del lavoro
della Commissione, si deve sentire l’esigenza di una discontinuità con il passato e
soprattutto con gli ultimi anni. I tanti richiami e i ricordi di una docenza «antica»,
di una sapienza profonda, di uno spirito di dedizione alla cultura, che hanno proPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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dotto la nostra Italia, denunciano dolorosamente qualcosa di prezioso che si è perduto. Quel passato era favorito da una dimensione ragionevole del sistema scolastico, da un numero limitato di studenti, da un corpo selezionato di docenti. Oggi invece dobbiamo fare i conti con la sfida di una scuola di massa, con numeri
enormi, con un investimento in risorse umane e finanziarie assolutamente inedito. Ecco perché le soluzioni ai problemi che dobbiamo affrontare non possono ispirarsi né alla nostalgia né al richiamo del passato. Sono problemi nuovi, che richiedono soluzioni nuove.
È vero, quella gloriosa scuola italiana – e quegli insegnanti – «ha fatto l’Italia»,
ha debellato l’analfabetismo, ha gettato le basi culturali e professionali del nostro attuale benessere, ha formato intere generazioni di cittadini.
Quella scuola, tuttavia, nell’attuale situazione culturale, economica e sociale in
continuo e profondo cambiamento non costituisce più un modello. Eppure ha ancora qualcosa da insegnarci. Ed è lo spirito di «impresa educativa», di etica del servizio, di qualità, di rigore, di professionalità che ispirava l’istituzione e gli insegnanti
che vi operavano.
Ma oggi, che cosa significa educare? Preparare al futuro. A quale modello di insegnante dobbiamo fare riferimento? Qual è il progetto che può essere ispirato dalla ricerca pedagogica, psicologica o didattica?
Tutte domande che non hanno ancora una risposta sicura. Eppure non possiamo aspettare.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
RELAZIONE CONCLUSIVA
di PLINIO SACCHETTO
Av vocato generale dello S TAT O
Presidente del GRUPPO DI LAV O R O
I
l ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Letizia Moratti ha istituito con suo Decreto 2/11/2001 un gruppo di lavoro «formato da esperti, cui
affidare il compito di definire criteri per un codice deontologico del personale
della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico».
Nel presentare ora, come richiesto, «i risultati del lavoro svolto sulla base di una
complessiva riflessione sull’intero sistema di diritti e di doveri del personale della
scuola» il gruppo di lavoro ritiene di premettere brevemente alcune indicazioni sul
percorso seguito per l’indagine.
Il suo avvio ha avuto luogo nella riunione del 20 novembre 2001, nella quale ha
preso subito la parola il sottosegretario on. Valentina Aprea, che – coerentemente
alle dichiarazioni programmatiche del ministro Letizia Moratti – ha così esordito:
«Perché il Governo ha voluto la costituzione di questa Commissione e perché si è
formato questo gruppo di lavoro? Perché nessun Governo può immaginare di investire sulla scuola senza tener conto dei docenti. È necessario valorizzare la specificità della docenza, su cui si ripongono grandi aspettative. Secondo Gardner tutti dovrebbero ricordare la grande invenzione dell’educazione che è conoscenza,
comprensione, saggezza: è questo un valore da riscoprire».
Ecco perché «a questo gruppo e ai presidenti si chiede di aprire una riflessione
sulla specificità della figura docente attraverso la definizione del codice deontologico che ne rispecchi l’etica».
Ed il presidente Plinio Sacchetto ha subito sottolineato che: «Si tratta di tutelare la
dignità personale e professionale della categoria dei docenti al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico. Ma viene prima la qualità o prima la dignità dei docenti?
Il concetto di deontologia era stato introdotto da Bentham, filosofo del Settecento, per regolamentare il dovere in funzione dell’utile sociale.
L’evoluzione storico-politica della problematica ha infine condotto all’autoregolamentazione dei diversi ordini professionali. Ma qui la categoria è molto ampia, arPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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ticolata: va ricondotta ai principi e richiede la revisione delle normative esistenti. Si
deve guardare alle connessioni con altre normative di autoregolamentazione, per
esempio, per la comunicazione, i codici dei giornalisti, che recano importanti norme in materia di privacy che riguardano i minori.
La questione trova radici nel dettato costituzionale, negli articoli 33 e 34, ma anche nell’art. 30 che riguarda il dovere educativo dei genitori nonché nell’art. 97 che
concerne il buon andamento dell’Amministrazione.
L’insegnamento è rivolto agli scolari, pone rapporti con le famiglie e conferisce
alla scuola una specifica funzione amministrativa, sia essa scuola pubblica o scuola
privata.
La normativa attuale, in particolare l’art. 54 del D.lgs. 165/2002, che tratta del
codice di comportamento per i dipendenti pubblici, pone il problema delle sanzioni: ma la cogenza del diritto dovrebbe nascere dalla percezione di dover adempiere
ai propri compiti. È quindi importante che il sistema induca alla professionalità attraverso un contenuto unitario che disegni il quadro di riferimento in cui operare.
Vanno quindi evidenziati i punti salienti da coltivare, mediante i rapporti effettivi che intercorrono tra i diversi aspetti della problematica: quello amministrativo
e organizzativo, quello centrale e periferico, senza trascurare la componente psicologica, pedagogica e didattica e guardando al raccordo con il mondo esterno con cui
gli studenti dovranno confrontarsi».
A sua volta, il presidente onorario Ersilio Tonini ha felicemente iniziato il proprio intervento ricordando che «la nostra civiltà deve molto al mondo greco: paideia non è solo educazione ma è disciplina del pensiero».
Ed ha così proseguito: «La scuola deve avvertire come compito primario quello
di abituare il ragazzo al pensiero».
Punti di riferimento:
1. Il futuro: i ragazzi saranno responsabili di quelli non ancora nati. La deontologia anticipa il diritto, in quanto ci si deve rendere conto dell’eredità da trasmettere: siamo genitori di quello che sarà.
2. L’università: per favorire la cultura nella sua evoluzione è necessario l’incontro dei saperi.
3. II disorientamento: è dato dall’assistere al fatto che solo le tecniche oggi operano sulla vita umana. Siamo impreparati a che le tecniche incidano sulle finalità.
Il docente non deve essere solo un professionista che fa bene il suo dovere, ma
deve essere consapevole che i ragazzi devono essere pronti alla evoluzione.
Secondo Giovanni Reale, siamo destinati a un grande futuro tecnologico: le scuole devono aprirsi l’una verso l’altra, la scuola umanistica deve arricchirsi per tecnologia e la scuola tecnologica deve arricchirsi umanisticamente, curare anche gli aspetti filosofici.
Se il futuro ci riserva grandi novità, c’è già, nei ragazzi, qualcosa di «Eterno».
A questo punto, sono seguiti gli interventi di numerosi componenti del gruppo,
ciascuno dei quali ha posto in evidenza quelli che riteneva i punti focali su cui si sarebbe dovuta concentrare l’indagine.
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Tali interventi sono stati tutti trascritti o rielaborati ed acquisiti agli atti, come quelli delle sedute successive: e ad essi si farà espresso richiamo nell’ulteriore corso della relazione quando siano di particolare rilievo per il confronto dialettico seguitone.
Nella riunione del 31 gennaio 2002, lo stesso ministro Letizia Moratti ha ribadito che l’obiettivo della Commissione è «proprio quello di studiare e di fornire degli elementi per poter pervenire auspicabilmente ad un codice deontologico della
professione docente.
È chiaro che nessun codice deontologico può appartenere ad una categoria se la
categoria non lo fa proprio, questo è evidente. Credo, però, che un approfondimento
ed una riflessione e quindi anche un’ipotesi di codice deontologico, che mi auguro
scaturisca da questa Commissione, può essere poi materia di approfondimento sui
tavoli sui quali si andrà ad elaborare la politica che attiene più a temi di tipo contrattuale dei docenti stessi».
Con il che il Ministro ha ribadito un rilievo fondamentale sulla distinzione e sul
raccordo tra i due piani di lavoro.
Il sottosegretario Aprea ha ripreso a sua volta in esame l’articolato e complesso
tema della riforma, sottolineando che la legge di delega «contiene un lungo articolo dedicato alla formazione degli insegnanti e questo non è di secondaria importanza
nel senso che, mentre ridisegna l’impianto strutturale della nostra scuola, del sistema educativo e formazione della nazione, cura in modo particolare la formazione di
quelli che saranno i veri protagonisti».
Ed infatti l’art. 1 stabilisce che la legge delega è conferita al Governo «al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età
evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di
autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione».
Così come all’art. 2, nel determinare (così come prescritto dall’art. 76 Cost. per
la delega al Governo della funzione legislativa) i principi ed i criteri direttivi che definiscono «il sistema educativo di istruzione e di formazione», il Legislatore stabilisce in primis che «sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della
coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed
alla civiltà europea».
A questo punto, sembra pertinente richiamare i primi rilievi formulati nella stessa seduta del 3 gennaio 2002 dal presidente Sacchetto sull’inquadramento giuridico-costituzionale della problematica in esame: «Gli artt. 33 e 34 della Costituzione
sono stati posti non solo a presidio delle libertà di manifestazione di pensiero e di
insegnamento, ma per assolvere al dovere primario di ogni società democratica di
assicurare un adeguato servizio pubblico a tutti i giovani, indipendentemente dalle
condizioni economiche.
Il servizio richiede perciò condizioni di efficienza organizzativa e lineamenti fondamentali comuni di impianto culturale, di conoscenza e di educazione civile, salva la elaborazione di diversi disegni di formazione educativa a garanzia della libertà
del pensiero, il cui pluralismo costituisce non una irriducibile antitesi, ma una costruttiva necessità dialettica. L’organizzazione del servizio scolastico, quindi, pubblico o privato, nel rispetto delle condizioni essenziali e paritarie, deve essere conforme all’art. 97 ‘buon andamento del servizio ed imparzialità dell’amministrazioPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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ne’, che vale per tutte le attività che richiedono preparazione professionale ed efficienza operativa.
Tali principi sono richiamati e verranno richiamati nelle norme ordinarie, oltre
che nei contratti collettivi, per quanto riguarda i doveri degli insegnanti. Gli insegnanti però, pur inquadrandosi sul piano contrattuale tra i dipendenti (prevalentemente pubblici), assolvono ad un servizio professionale non paragonabile ad altri
perché investe direttamente la formazione della persona umana, ex art. 3 della Costituzione, come singola e come componente della società.
Se così è, gli insegnanti non solo devono adempiere ai doveri specifici verso il datore di lavoro, ma darne conto alla Repubblica – l’art. 98 infatti parla di servizio alla Nazione come espressione somma, unitariamente intesa, della società in tutte le
sue articolazioni – agli scolari come cittadini del futuro, ed ai genitori come responsabili primi della loro educazione (art. 30, I c.).
Anche il codice deontologico allora deve certamente innestarsi su quello dei dipendenti pubblici per la parte relativa al rapporto di lavoro, ma non può esaurirsi
negli adempimenti generali (e generici) previsti negli stessi: deve inoltre ricondurre
ogni comportamento al dovere fondamentale di assicurare la formazione della persona e del cittadino, fine primario della Costituzione che deve essere garantito attraverso l’adeguamento costante degli insegnanti alle esigenze dell’evoluzione sociale
e culturale.
A questo fine, naturalmente, lo Stato e gli Enti pubblici e privati responsabili del
servizio dell’istruzione devono predisporre strumenti di aggiornamento e di verifica su cui i singoli insegnanti possano periodicamente misurare la loro preparazione.
Avviando quindi un primo approccio, su tali premesse di principio, ai possibili
contenuti del codice di comportamento, appare essenziale l’esigenza che i valori costituzionali, etico-sociali e di condotta civile vengano esposti ed enunciati con la
maggior obiettività possibile, ferma restando, naturalmente, per l’altrettanto essenziale libertà d’insegnamento e di manifestazione del pensiero, la possibilità di diverse interpretazioni ed opinioni, ma evitando alterazioni e contrapposizioni polemiche tali da travisare il significato delle regole fondamentali della convivenza e favorendo invece l’educazione alla capacità critica.
Questo il punto fondamentale: basti pensare, nel quadro della realtà attuale, alla necessità di prevenire il razzismo e l’intolleranza religiosa (artt. 2 e 3 della Costituzione). Analogamente – può sembrare paradossale – occorre dire per tutte le altre
materie, non solo per la filosofìa, la storia, la geografia che è pure importantissima,
ma anche per le letterature antiche e per le scienze. Si può criticare la poesia di Leopardi e discutere la sua vita e la sua visione filosofica, ma occorre prima leggerne bene i versi. La formazione degli insegnanti è il presupposto della loro funzione di formazione degli allievi o studenti o discenti, che non devono però essere solo apprendisti perché potrebbero diventare stregoni o quantomeno stregati ed a questo basta
la televisione».
Dopo i richiamati interventi, si è aperto un largo dibattito nel quale numerosi
componenti hanno prospettato la loro posizione sulla tematica in esame: e non sono mancate affermazioni vivacemente polemiche come quella che «la sola pronuncia della parola valori scatena la guerra civile dentro le scuole», oppure che «il codice deontologico sono le norme dei doveri che le professioni si danno autonoma6
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
mente: in questo l’Amministrazione non ha nulla a che vedere», o che con il codice
deontologico «si va allo stato etico».
Dal complesso della discussione, comunque, sono emersi con chiarezza i punti
focali dell’analisi cui è chiamata la Commissione, e che sono stati ricondotti ai seguenti tre temi:
a) i codici deontologici attuali delle professioni e della professione docente in
Europa e in sede OCSE; il problema del codice deontologico degli insegnanti;
b) riferimenti diretti rinvenibili nella normativa vigente in materia di istruzione e di insegnamento, a partire dai principi costituzionali; la prospettiva federalista e pluralista;
c) situazione attuale degli insegnanti, nuova mission dell’insegnante, problema
dei valori.
I componenti si sono divisi tra i tre sottogruppi così individuati, pervenendo a
risultati che verranno esposti.
Ora è fuor di dubbio la complessità e delicatezza della disamina, che investe una
serie di rilevantissimi interessi pubblici, privati e di categoria (sostanziali e formali)
di non sempre agevole qualificazione e da ricondurre ad una linea tendenziale di
convergenza.
Sembra quindi più costruttivo, analizzando i risultati della riflessione compiuta,
non anteporre questioni astratte ed aprioristiche di metodo ma esporre in primis la
materia oggetto dell’esame e delle proposte richieste, e cioè i comportamenti e le attività necessari per realizzare la finalità – la mission – degli insegnanti, costituita da
quel bene umano e sociale che è rappresentato dalla formazione educativa attraverso l’insegnamento.
Conviene quindi prendere subito in esame, per la sua articolazione e completezza, la scheda riassuntiva del terzo gruppo di lavoro: è questo il punto centrale dell’indagine perché è la sua stessa ratio.
Dopo di che – così individuata più concretamente la materia – potranno esaminarsi le possibili forme regolative idonee allo scopo.
Sembra, così, descritta ed analizzata in tutte le sue valenze, connessioni ed esigenze – e ricondotta ad unità organica – la sfera di azione che l’attività dell’insegnante – come primaria funzione umana e sociale – è chiamata ad assolvere.
Possiamo quindi più realisticamente affrontare il nodo del tipo di regolamentazione praticabile in materia: regolamentazione sulla cui natura si appuntano comprensibilmente l’attenzione e le preoccupazioni della categoria, evidenziate dalle considerazioni svolte dal primo e dal secondo gruppo di lavoro.
In particolare, sono stati richiamati numerosi nuovi modelli stranieri di codice
deontologico, sottolineando, da un lato, che il codice deve essere espressione esclusivamente della categoria professionale degli insegnanti – attraverso un proprio organo di autogoverno o, quanto meno, largamente autonomo – e, dall’altro, deve essere strettamente collegato con il loro status giuridico.
Non è forse inutile ricordare, intanto, che la denominazione Codice va intesa non
solo come raccolta (organica o meno) di norme giuridiche ma – lato sensu – come
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
7
insieme di regole anche di diversa natura (etica, religiosa, familiare, professionale,
cavalleresca) operanti nelle relative sfere di rapporti e di interessi.
E come, specificamente, l’etica professionale è l’insieme dei doveri inerenti alle attività professionali svolte nella società, così codice deontologico si definisce
l’insieme delle norme relative appunto ai doveri inerenti all’esercizio di una professione.
Negli USA in particolare è largamente diffusa – anche nei settori operativi più
delicati – l’espressione «Codice etico».
Il problema di cui ci occupiamo, per altro, non è nominalistico ma è caratterizzato da una peculiarità sostanziale di grande rilievo perché riguarda una categoria di
persone che, da un lato, riveste una posizione di impiego dipendente e, dall’altro,
esercita una funzione professionale (per giunta di altissimo livello sociale).
Come si è ripetutamente evidenziato (perché è il Leitmotiv della ricerca), la formazione educativa è fondamento e fine (in quanto investe la persona umana) della
vita sociale e quindi chi la esercita ha una responsabilità etico-sociale primaria, radicata nella stessa Costituzione.
Tale funzione è in effetti tipicamente professionale, non può cioè confondersi
con l’adempimento di un generico obbligo lavorativo. E proprio per questo l’importanza e la delicatezza della funzione deve essere adeguatamente considerata – come lo è ad esempio, oltre che per i medici degli ospedali pubblici, per i giudici, anche se legati da un rapporto di impiego –, nel trattamento giuridico-economico che
ne costituisce lo status.
Ma, proprio perché di fondamento etico-sociale, non può, in linea di principio,
essere condizionata dallo status, in quanto doverosa in sé, per chi vi si dedichi con
propria scelta libera, nell’interesse generale.
Da qui appunto l’esigenza di un codice deontologico per la professione degli insegnanti, che – proprio per la natura etica dell’impegno – devono partecipare consapevolmente alla sua elaborazione, traendo poi le coerenti conseguenze dell’adesione ad esso, così come tuttavia lo Stato non può non assicurarsene senza venir meno all’assolvimento del proprio compito costituzionale in materia (tenendone poi
conto, per la sua diretta attività scolastica istituzionale – o per altri soggetti gestori
di scuole in sede di normativa relativa allo status).
Né, a dubitare che di tanto debba tuttora darsi carico, in definitiva, lo Stato può
indurre la riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, sulla ripartizione delle
competenze fra Stato e Regioni, in quanto il codice deontologico trova la sua radice in principi richiamati nelle norme costituzionali di cui ai principi fondamentali
e più specificamente al Titolo II della Parte I, relativo appunto ai rapporti etico-sociali, principi rimasti immutati, e, d’altra parte, anche il «nuovo» art. 117 della Costituzione attribuisce le norme generali sull’istruzione alla legislazione esclusiva dello Stato (a cui pure è riservata la determinazione dei principi fondamentali in materia di legislazione concorrente, salvo riserve specifiche).
Il che non impedisce, naturalmente, che qualora si ritengano utili ed opportune
specificazioni, sul piano deontologico in materia di istruzione tecnica e professionale di competenza legislativa esclusiva regionale, a tanto potrà provvedersi integrando le regole generali con ulteriori indicazioni, da parte delle Regioni, pertinenti al settore.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Così come alla competenza esclusiva dello Stato spetta (lett. m) la legislazione
sulla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
Sicché, ai fini che ne riguardano, non sembra contestabile che anche in questa
nuova ottica spetti tuttora allo Stato di garantire i principi fondamentali deontologici (e cioè etico-sociali) in materia.
E si conferma quindi, ancora una volta, l’esigenza che lo Stato assicuri – attraverso il suo impegno costituzionalmente doveroso – il coordinamento tra la posizione professionale degli insegnanti ed il loro status di impiego dipendente.
È questo status che non permette di assimilare la loro posizione – sic et simpliciter – a quella dei liberi professionisti e che richiede un raccordo estremamente attento tra le due posizioni (professionalità e dipendenza contrattuale) come quella riscontrabile, lo si è appena notato, per i medici e per i magistrati.
Il nodo è costituito dunque – affrontiamolo qui ex professo – dalla «professionalità» dell’attività dell’insegnante quale si è andata delineando sempre più accentuatamente negli ultimi decenni, con i caratteri che si sono sopra esposti.
Ed il tema è stato affrontato ormai in varie sedi e, per quanto ne riguarda particolarmente, nel recentissimo ed eccellente (sia detto con l’astensione degli autori,
componenti del gruppo!) Professionalità e Codice deontologico degli insegnanti di Alessandra Cenerini e Rosario Drago.
Senza ovviamente riprendere in esame l’origine, l’evoluzione e i diversi significati – generici e specifici – dell’espressione e di quelle che ne derivano, basterà ricordare che per «libero professionista si definisce chi esercita una professione liberale in modo indipendente, senza rapporto di subordinazione nei confronti dello
Stato o di un datore di lavoro» (Vocabolario della lingua italiana dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana III).
E su «la professionalizzazione del lavoro» in generale valga la ricchissima e completa
voce di Prandstraller (che ha collaborato anche al volume specifico appena citato) nell’Appendice 2000 (ed. 2001) dell’Enciclopedia Italiana, dove appunto si approfondisce il problema posto dall’organizzazione del lavoro tayloristico, citando anche – oltre
a casi più tipici di lavoro professionale dipendente – quello dell’organizzazione scolastica, dove «anche la categoria degli insegnanti di scuola media corre un rischio analogo, perché compressa fra la gestione burocratica della scuola, le richieste delle famiglie e la presa di coscienza degli studenti intervenuta negli anni Sessanta».
Il riconoscimento della natura professionale è appunto corrispondente alla qualità del lavoro degli insegnanti e delle sempre più avanzate ed impegnative esigenze
della società presente e del futuro cui la loro «missione» è chiamata.
Tale essendo il modello di riferimento del personale della scuola cui dovrebbero
corrispondere i criteri per il relativo codice deontologico, non si può non distinguere
– avendo riguardo alla posizione del Ministro, cui il gruppo è invitato ad offrire il
suo apporto – tra la predisposizione di un inquadramento ottimale del futuro – introducendo principi che corrispondano alla natura del problema come ormai si pone – e le possibilità in concreto offerte dall’attuale realtà dello status giuridico in cui
gli insegnanti si collocano.
Ed infatti il sottogruppo n. 2 «si è occupato di ‘inventariare’ le fonti giuridiche
e, in generale, le norme che hanno definito o modificato nel tempo la funzione e la
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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condizione del docente fin da quando, in Italia, nel 1911, per effetto della legge Daneo-Credaro, i docenti sono diventati dipendenti dello Stato», e «si è trovato d’accordo nel rilevare che la normativa, compresa quella di natura negoziale, varia ed
estesa, si è occupata principalmente dell’insegnante, ovvero ‘impiegato dello Stato’,
secondo una concezione garantistica ed individualistica più che professionale dell’insegnamento e della conseguente autonomia e ‘libertà’ così come definita dall’art.
33 della Costituzione».
È per questo che tale sottogruppo ha raccomandato che venga definito «il nuovo stato giuridico degli insegnanti» e costituito un «organo rappresentativo dei docenti come professionisti dell’insegnamento», che dovrebbe sostituire l’attuale «Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione», e ad analoghe proposte è sostanzialmente pervenuto – anche sulla base del confronto con ordinamenti stranieri specificamente anglosassoni – il sottogruppo n. 1.
A questo punto, per adempiere al mandato del Ministro, occorre:
1. in primo luogo, richiamare i principi normativi vigenti di cui tener conto per
definire i criteri del codice deontologico;
2. elaborare una summa dei valori fondamentali da porre a base del codice, formulandone un modello generale da verificare e sviluppare;
3. individuare le più efficaci modalità di raccordo tra le iniziative del Ministro
e la partecipazione delle rappresentanze della categoria;
4. indicare infine – anche se a rigore esulerebbe formalmente dal compito affidato al gruppo – proposte di innovazioni legislative idonee ad assicurare un
più adeguato riconoscimento della professionalità degli insegnanti – e dei relativi diritti e doveri – nel quadro del loro status giuridico.
1. Giova appena premettere che i principi normativi vigenti sul codice di comportamento vanno inquadrati nel contesto della normativa attinente alla pubblica
amministrazione in generale ed alla scuola in particolare, a partire dagli artt. 97 e 98
della Costituzione, ricordati ab initio.
Ciò posto, il codice etico degli insegnanti va innestato a sua volta nel «codice di
comportamento» originariamente previsto dal D.lgs. 29/93 (testo sulla razionalizzazione del pubblico impiego) che riguarda generalmente e genericamente tutti i dipendenti della PA. In base all’art. 58 bis della legge citata, il Dipartimento della funzione pubblica, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative,
definisce un codice di comportamento delle amministrazioni pubbliche.
Tale norma è stata recepita (con alcune modificazioni intervenute successivamente) dal D.lgs. 165 del 2001, che sostituisce integralmente il D.lgs. 29/93.
Il codice di comportamento è attualmente previsto appunto dall’art. 54 del D.lgs.
165 del 2001, recante «norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle Amministrazioni Pubbliche».
Al comma 1 di questo articolo è stabilito che «il Dipartimento della funzione
pubblica sentite le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’art. 43, definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le stesse amministrazioni rendono ai cittadini».
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E, una volta adottato tale codice, ai sensi del comma 5, «l’organo di vertice di
ciascuna pubblica amministrazione verifica, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43 e le associazioni di utenti e consumatori, l’applicabilità del codice di cui al comma 1, anche per apportare eventuali integrazioni
e specificazioni al fine della pubblicazione e dell’adozione di uno specifico codice di
comportamento per ogni singola amministrazione».
È alla stregua della richiamata normativa che va elaborato il codice deontologico del personale della scuola per cui il gruppo è stato chiamato a definire i criteri.
Come si è visto, la peculiarità dei codici di comportamento di cui ci occupiamo
è di essere previsti come obbligatori da una norma primaria: ma sembra evidente
che tale previsione normativa impone l’adozione di regole di comportamento, ma
non indica quale contenuto debbano avere, purché sia salvaguardato il fine di assicurare la qualità dei servizi resi ai cittadini.
E tale previsione è coerente con la natura dei codici in questione che, come si è
visto sopra, possono essere definiti – oltre che di comportamenti, etici o deontologici – espressioni che non a caso vengono qui usate alternativamente: diversa sarebbe, invece, la qualificazione di codice disciplinare, la cui natura comporterebbe dirette conseguenze sanzionatorie.
Ma, per quanto ne riguarda, la normativa contiene, per le sanzioni disciplinari e
le responsabilità, una previsione nettamente distinta al successivo art. 55 dove, al
comma 3, si stabilisce che la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, è definita dai contratti collettivi, «ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all’art. 54».
Della condotta tenuta dai dipendenti in base ai criteri dei codici di comportamento potrà, quindi, tenersi conto anche per eventuali sanzioni disciplinari, secondo un parametro ed una misura la cui fonte per altro risiede altrove.
Ciò è tanto vero che lo stesso Codice di comportamento dei dipendenti della
pubblica amministrazione del 28 novembre 2000 non vi fa riferimento: di tali effetti eventuali e indiretti dell’inosservanza del Codice di comportamento non deve
quindi farsi qui espressa disamina (pur provvedendosi ad allegare anche per questo
una relazione).
Il gruppo si è posto anche il problema se dovesse darsi vita ad un solo codice deontologico od a tanti codici per i docenti delle scuole «autonome». Ora, nel richiamato quadro normativo vigente, è previsto un codice di comportamento per ogni amministrazione, unitariamente intesa; ma, naturalmente, ben può essere aperta la via
alla elaborazione di regole per docenti delle singole scuole (si pensi all’istruzione professionale) più aderenti alla specifica situazione in cui si trovano ad operare.
Analogo discorso, in senso «gerarchicamente» inverso, va fatto per i dirigenti, la
cui azione deve essere svolta nel quadro delle finalità comuni del primario servizio
di cui devono essere in primis partecipi; con in più l’indicazione degli specifici standard professionali necessari per la funzione di «leader educativi».
2. Nel definire, quindi, i criteri per il codice per il personale della scuola, occorrerà – nel quadro normativo appena indicato – tenere presente il codice «generale» dei dipendenti di cui alla D.M. 28 novembre 2000 – alla cui osservanza (art.
1, 1) tutti i dipendenti pubblici sono impegnati –, tenendo presente che «i suoi
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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principi e contenuti costituiscono specificazioni esemplificative degli obblighi di
diligenza, lealtà e imparzialità, che qualificano il corretto adempimento delle prestazioni lavorative».
Si tratta di principi, d’altra parte, del cui rispetto sembra difficile contestare la
doverosità (cfr. art. 2, 1): ma, naturalmente, le integrazioni e le specificazioni previste dall’art. 54, comma 5, della normativa primaria assumono – di fronte alla categoria degli insegnanti – una incidenza preminente rispetto alle esigenze di tutte le
altre categorie.
Già la Raccomandazione sullo status degli insegnanti redatta a Parigi il 5 ottobre 1966,
da una speciale Conferenza intergovernativa convocata dall’Unesco/OIT, dopo aver
premesso che «l’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio ‘pubblico’» – già ben focalizzando i termini di un problema
tuttora aperto nel nostro ordinamento – così prosegue: «tale professione richiede non
solo conoscenze approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e continui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi (art. 6)».
E poi puntualizza:
• Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più
alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività (art. 70).
• La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero essere definiti con il concorso delle loro organizzazioni (art. 71).
• Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni
degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei doveri professionali sulla base dei principi concordati (art. 73).
Così come merita di essere ricordato «che la bozza di Stato giuridico degli insegnanti spagnoli, tuttora in discussione, riporta uno specifico articolo sui valori etici della docenza:
Articolo 5. Valori etici del servizio pubblico docente. Sono valori etici del servizio pubblico docente l’integrità, la neutralità, l’imparzialità, la trasparenza nello svolgimento dell’attività d’insegnamento, la ricettività, la responsabilità professionale,
l’interesse pubblico e il servizio ai cittadini. Le amministrazioni scolastiche stimoleranno modelli di comportamento del personale al loro servizio che integreranno i
valori etici del servizio pubblico docente nella sua azione professionale e nelle sue relazioni con i cittadini».
A questo punto, si pone il nodo centrale del lavoro affidato al gruppo: quello appunto della individuazione, nel merito, dei criteri del codice deontologico degli insegnanti.
Ora, si è già rilevata un’ampia ed esauriente rappresentazione della materia esposta nella menzionata opera di Alessandra Cenerini e Rosario Drago, la cui appendice contiene anche alcuni pregevoli e significativi esempi di analoghi Codici etici
deontologici: e tra essi appare particolarmente interessante – perché essenziale e ad
un tempo chiaro e lineare – quello del 1997 della S.P.R. (Svizzera).
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Ai nostri fini, comunque, offrono un quadro completo, articolato e puntuale le
riflessioni del terzo gruppo di lavoro che – muovendo dai principi costituzionali –
indicano conclusivamente (da 1 a 13 e dai successivi 1-8) i punti focali per il contenuto del redigendo codice.
(Questi, quindi, potrebbero essere i riferimenti per un testo concordato del gruppo).
3. Viene ora all’esame un punto fondamentale e cruciale per gli insegnanti, come risulta da tutti gli atti del gruppo: e cioè quello del raccordo tra l’iniziativa del
Ministro e la partecipazione della categoria.
Che l’iniziativa e l’adozione dell’atto conclusivo – allo stato dell’ordinamento
normativo – spetti al Ministro non può essere revocato in dubbio.
L’interpretazione letterale e sistematica delle norme e l’attuale ordinamento dell’organizzazione scolastica e del rapporto di lavoro degli insegnanti non lasciano adito a diversa soluzione (che richiederebbe, come si vedrà al punto successivo, modifiche normative).
E lo stesso art. 54, al par. 4, offre argomento decisivo e contrario (se pure servisse), prevedendo che solo «per ciascuna Magistratura e per l’Avvocatura dello Stato,
gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico che viene sottoposto all’adesione degli appartenenti alla magistratura interessata».
Anche argomentando, pertanto, da tale norma verrebbe ulteriormente avvalorato che per tutte le altre pubbliche amministrazioni – ivi compresa quella scolastica – il soggetto formalmente qualificato all’adozione del codice deontologico è
il Ministro.
Del resto, i magistrati ordinari ritengono dubbia la costituzionalità di tale norma nei propri riguardi in quanto rappresentano, ex art. 101 Cost., un potere dello
Stato: ma hanno ritenuto di darvi attuazione «considerando comunque opportuna
l’individuazione delle regole cui, secondo il comune sentire dei magistrati, deve ispirarsi il loro comportamento.
Si tratta, per altro, di indicazioni di principio prive di efficacia giuridica che si
collocano su un piano diverso rispetto alla regolamentazione giuridica degli illeciti
disciplinari.
L’operata individuazione di norme di comportamento ispirata all’attuazione dei
valori morali fondamentali propri dell’ordinamento della categoria, è inevitabilmente condizionata dall’assetto normativo vigente e dalla ricognizione delle questioni di maggiore rilevanza attuale».
Analogamente «Nel preambolo del codice etico dei magistrati del Consiglio di
Stato si avverte che ‘il codice non ha valore ed efficacia sul piano delle fonti normative pubbliche. La sua forza risiede soltanto nella spontanea adesione di ciascuno degli appartenenti alla categoria e alle regole in esso contenute. La violazione
delle regole non l’applicazione delle sanzioni’. Si tratta, per quest’ultimo, delle stesse espressioni utilizzate nella nota di presentazione del primo codice etico dei magistrati del Consiglio di Stato, predisposto, quando il codice non era obbligatorio,
attraverso un lungo dibattito con rapporto di tutti i magistrati del Consiglio di Stato. Ciò pare valga a sottolineare come la sopravvenuta obbligatorietà, posta dall’art.
58 bis, IV comma, sopra riportato, non abbia inciso sulla natura dei codici etici
delle magistrature.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Tali regole, quindi, non sono regole giuridiche in senso proprio, in quanto indicano valori privi di coercibilità, piuttosto che precetti coercibili. Al tempo stesso, esse, però, non appaiono neppure regole propriamente morali, in quanto queste ultime si esauriscono nella sfera dell’interiorità di ogni singolo soggetto.
Si tratterebbe, quindi, di regole esteriori, non giuridiche, caratterizzate dalla completa mancanza del carattere di coercibilità. Questo carattere di non coercibilità
emerge anche da una delle finalità di queste disposizioni. Una delle ragioni fondamentali, infatti, che pare segnare la nascita di questo tipo di regole può individuarsi, come si è accennato, nell’avvertita insufficienza delle norme giuridiche a regolare la nostra società.
Da questa insoddisfazione, via via crescente, il tentativo, senza pretese e senza illusioni, ma certo di buona volontà, di percorrere la strada di regole non cogenti, che
indichino i valori di fondo dell’ordinamento, spogliandoli dalle strutture giuridiche
e rendendoli evidenti. Un presidio, quindi, degli stessi imperativi giuridici, attraverso la scoperta e la richiesta di adesione ai valori che essi sottendono, da parte di
norme non giuridiche.
Appare così conseguente che tutte le regole dei codici etici muovano dagli stessi
valori fondamentali. I valori essenziali, che emergono dai codici etici adottati da ciascuna magistratura, sono quelli dell’eguaglianza, e, conseguentemente, dell’esercizio del potere quale esclusivo servizio» (G. Barbagallo, I codici etici delle magistrature, ne «II Foro Italiano», gennaio 1996, III, 36).
Ora, il codice deontologico degli insegnanti ha chiaramente natura e funzione
non diverse da quelle cui si ispirano i codici delle magistrature.
Ed è a queste esigenze comuni della società che il Ministro ha avuto riguardo nel
formare un gruppo di lavoro – in una composizione così ampia, diversificata e qualificata – «con il compito di definire criteri per un codice deontologico».
Del resto, anche la normativa relativa ai codici della Pubblica Amministrazione
prevede che essi siano adottati – come abbiamo visto sopra – dopo aver sentito le
confederazioni sindacali rappresentative (comma 1) e, per le singole amministrazioni (comma 5), anche le associazioni di utenti e consumatori; e, comunque, l’ampiezza della consultazione e la rilevanza ad essa attribuita dal Ministro non lascia
dubbi sul suo intendimento di tenere nella massima considerazione il «prodotto»
del gruppo e di offrirlo previamente in esame alle categorie interessate.
4. Venendo, infine, all’ultimo punto – sui possibili strumenti legislativi per
dare più ampio riconoscimento alla professionalità degli insegnanti – sembra significativa l’apertura di una relazione tenuta all’Accademia Nazionale dei Lincei
(in un Convegno su Il giusto processo del 28-29 marzo 2002) dal vicepresidente
del Consiglio Superiore della Magistratura, prof. Giovanni Verde, su Il Procedimento disciplinare nella Magistratura: «Il sistema della responsabilità disciplinare
dei magistrati è condizionato dall’evoluzione del ruolo della magistratura nella
società. La responsabilità disciplinare del giudice burocrate si modella su quella
del pubblico impiegato; quella della giudice-professionista dovrebbe sostanzialmente coincidere con un sistema di responsabilità di diritto comune cui un contenzioso disciplinare affidato alla categoria di appartenenza farebbe da semplice
corollario.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
La magistratura italiana si trova in una situazione peculiare, perché, organizzata burocraticamente, tende in maniera sempre più evidente a esercitare una funzione professionale rispetto alla quale, per altro, non valgono i principi della responsabilità comune, l’antinomia, nel settore disciplinare, finora non è esplosa perché la gestione della disciplina dei magistrati ha dato luogo a una forma sostanziale di autodichia».
Ora, se per la stessa Magistratura – che gode di tutela costituzionale come potere dello Stato – non è agevole individuare una collocazione organizzativa adeguata
alla professionalità della funzione, ancor più complesso è il problema che si pone di
fronte ad un ordinamento scolastico in fieri.
E non si può, come accennato più volte, esaminare modificazioni dello statuto
giuridico senza avere individuato una posizione professionale riconducibile ad un
servizio collettivo, rispettoso dell’autonomia dell’insegnamento ma articolato unitariamente.
Non pare dubbio che, anche in questa prospettiva di elaborazione futura, ma innanzitutto per affrontare i problemi immediati, dovrebbe essere al più presto approfondita l’ipotesi di costituire un organo rappresentativo dei docenti come professionisti.
In questo senso, l’enunciazione essenziale al documento del sottogruppo 1 è nel
senso che «i referenti devono essere le associazione professionali degli insegnanti,
poiché i sindacati nulla possono e devono avere a che fare con tale organismo, che
è tutto di natura professionale. Nel merito, il gruppo ritiene che sia poco consona
alla natura della funzione docente la creazione di un vero e proprio ordine professionale. Considera più adeguato un organismo professionale che sia simile ai General Teaching Council dei Paesi anglosassoni, o, se si vuole, un organismo che nel nostro Paese trovi riferimenti nel Consiglio Superiore della Docenza, composto da una
maggioranza di docenti eletti, a cui si aggiungono alcuni membri designati appartenenti all’Università e/o altre istituzioni di alta cultura».
Ma anche tale assunto va esaminato criticamente e approfondito (vd. in particolare, il problema della partecipazione degli studenti e dei genitori, innegabilmente destinatari primi del servizio scolastico, anche costituzionalmente).
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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2002
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE
N° 2/3
2/3
I contributi
dei gruppi
di lavoro
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
L a PROFESSIONALITÀ
DOCENTE nel PA N O R A M A
INTERNAZIONALE*
PRESENTAZIONE
Il documento che segue, redatto, su mandato del gruppo, da Alessandra Cenerini,
riflette la posizione del gruppo stesso, ed è stato costruito sulla base del dibattito sviluppato nel gruppo e sui rilievi da ciascuno apportati su una prima bozza. Esiste all’interno del gruppo una posizione difforme, su uno specifico punto, rispetto a quelle qui espresse, ed è stata avanzata da Maurizio Salvi, in rappresentanza dell’AGE,
Associazione Italiana Genitori. Si riporta di seguito la sua posizione:
1. L’Associazione Italiana Genitori (AGE) suggerisce che nel Consiglio Superiore della Docenza vi sia una sostanziosa rappresentanza delle associazioni degli studenti e dei genitori, quali primi destinatari della professionalità docente.
2. Il Codice dovrà definirsi con l’apporto delle associazioni degli studenti e dei
genitori, già presenti nel Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori,
maggiormente rappresentative operanti nelle scuole (ex D.M. 14-2002).
Le altre componenti il gruppo hanno ritenuto di non potere accogliere tali proposte perché costituiscono una contraddizione in termini con il processo di professionalizzazione degli insegnanti. Processo che si fonda sullo sviluppo «dell’autonomia professionale», riferita sia all’esercizio della professione che alla creazione di propri autonomi organismi professionali. Non si tratta dunque di rifare organismi misti di partecipazione con genitori, studenti, ecc. che sono tutt’altra cosa. Nel momento in cui genitori-studenti volessero entrare negli organismi degli insegnanti si
negherebbe tout court la natura professionale dell’insegnamento.
* Alessandra Cenerini, Luciana Lepri, Valeria Marcon, Maurizio Salvi.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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IL MANDATO RICEVUTO
Il compito che la commissione costituita con D.M. 2 novembre 2001 ha ricevuto dal
Ministro è stato quello di «definire criteri per un codice deontologico del personale
della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico».
Il gruppo n. 1 ha ritenuto innanzitutto necessario indagare come e se un codice
deontologico possa assolvere alle finalità che il D.M. gli assegna, ossia quelle di tutelare la dignità personale e professionale degli insegnanti «anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico».
Il gruppo, dopo avere analizzato molti documenti sull’argomento, sia italiani
che stranieri, ritiene di poter affermare che il codice potrà contribuire a questa finalità solo se sarà inserito nel più generale processo di professionalizzazione della
docenza.
CODICE DEONTOLOGICO E PROFESSIONALIZZAZIONE
DELL’ INSEGNAMENTO
La questione della «professionalizzazione» dell’insegnamento non è certo recente.
Essa fu già autorevolmente posta nella Raccomandazione sullo status degli insegnanti redatta dall’Unesco nel 1966. Così recita la Raccomandazione:
L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico, tale professione richiede non solo conoscenze approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e conti nui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi (art. 6).
Già allora si individuò nell’etica della professione e in elevati standard professionali lo strumento principe per fare assurgere i docenti allo status di professionisti,
capaci di dare risposta a uno dei fondamentali diritti umani: il diritto all’istruzione.
Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più alti standard
professionali nell’assolvimento della loro attività (art. 70).
La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero
essere definiti con il concorso delle loro organizzazioni (art. 71).
Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei doveri professionali sulla base di principi concordati (art. 73).
La linea appare chiara e potrebbe oggi essere espressa attraverso due proposizioni:
1. perché l’insegnamento sia riconosciuto come professione devono essere esplicitati alti standard professionali e un codice etico;
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
2. standard e codice devono essere definiti e gestiti dagli insegnanti attraverso propri organismi, nella consapevole assunzione che l’insegnamento, come tutte le
professioni riconosciute, si fonda sull’autonomia del corpo professionale.
A tutt’oggi, a livello internazionale, le posizioni più avanzate sulla questione
docente hanno rilanciato, puntualizzato e in parte realizzato questi principi fondamentali.
Di qui occorre dunque partire. Per farlo è innanzitutto necessario cercare di districare il groviglio di norme legislative e contrattuali entro le quali è oggi ingessata
la professione docente.
LA NECESSITÀ DI UNA PRELIMINARE DISTINZIONE
DEI PIANI DI INTERVENTO CHE CONCORRONO
A DEFINIRE LA PROFESSIONE DOCENTE E SI INTRECCIANO
CON IL CODICE DEONTOLOGICO
La tutela costituzionale sia della libertà di insegnamento, intesa come libertà della
«funzione docente» (che è cosa diversa dal singolo che la esercita), sia del diritto all’istruzione, rendono alcuni degli aspetti fondamentali della professione docente non
assoggettabili alla contrattazione fra le parti, e impongono la definizione legislativa
di uno specifico stato giuridico degli insegnanti. Si tratta oggi di aggiornare, senza
più indugi, quello definito dal decreto delegato 417/1974, alla luce sia dell’intervenuta contrattualizzazione del Pubblico Impiego sia della revisione del Titolo V della Costituzione. In questo senso gli aspetti che lo stato giuridico potrà e dovrà definire possono essere così sintetizzati: definizione della funzione docente, dei diritti e
dei doveri, della formazione iniziale, della formazione in servizio, delle modalità di
reclutamento, delle modalità di svolgimento del periodo di prova, della valutazione, delle nuove figure professionali della docenza.
Rispetto all’autonoma stesura del codice deontologico da parte della categoria
professionale, lo stato giuridico avrà una rilevanza non secondaria poiché esso dovrà contenere i diritti e i doveri che definiscono la natura della professione e della
funzione docente, e che costituiranno necessariamente la cornice entro la quale dovranno collocarsi il codice deontologico e gli standard professionali.
È interessante, a questo proposito, ricordare che la bozza di Stato giuridico degli
insegnanti spagnoli tuttora in discussione riporta uno specifico articolo sui «valori
etici della docenza»:
Articulo 5. – Valores éticos del Servicio publico docente. Son valores éticos del servicio publico docente la integridad, la neutralidad, la imparcialidad, la transparencia
en el desempeño de la actividad docente, la receptividad, la responsabilidad profesional, el interés público y el servicio a los ciudadanos. Las Administraciones educativas fomentarán modelos de conducta del personal a su servicio que integren los
valores éticos del servicio público docente en su actuacion profesional y en sus relaciones con los ciudadanos.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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La seconda questione da chiarire rispetto alla formulazione del codice deontologico è il suo intreccio con altri due codici: a) il codice di comportamento previsto dall’art. 54 del D.lgs. 165/2001; b) il codice di disciplina da definirsi nel contratto di lavoro. Ora se è importante e urgente definire il codice di disciplina, considerato che
per gli insegnanti si fa ancora riferimento alle norme del D.P.R. 3/1957, appare invece assolutamente sovrabbondante la ulteriore definizione di uno specifico codice
di comportamento oltre a quello generale già definito per tutti i dipendenti pubblici. Si avrebbe cioè un inutile intreccio di norme, che genererebbero solo confusione nella loro formulazione e gestione. Pertanto il gruppo ritiene che: a) l’Amministrazione debba farsi promotrice e concordare, all’interno della contrattazione, la
stesura del codice di disciplina e degli organismi che sono tenuti a gestirne tutti gli
aspetti; b) considerare per gli insegnanti già di per sé esaustivo, il codice di comportamento generale definito per tutti i dipendenti pubblici, senza dover procedere a un ulteriore specifico codice, secondo quanto previsto dal D.lgs. 165/2001.
UN SOLO CODICE DEONTOLOGICO O TANTI CODICI
LIBERAMENTE ASSUNTI DAI DOCENTI
DELLE SCUOLE AUTONOME SULLA BASE
DELLE LORO SPECIFICHE SITUAZIONI?
Un solo codice o tanti codici liberamente assunti dai docenti delle scuole autonome? Dilemma a cui si accompagna la messa in discussione della validità di un organismo professionale autonomo della docenza. Poiché questo dilemma è stato posto
da alcune associazioni, da singoli docenti, e soprattutto, per quel che ci riguarda, da
un autorevole membro di questa commissione, Marco Rossi Doria, occorre quantomeno tentare di dare risposta.
Noi non riteniamo che le due ipotesi siano in contraddizione. C’è da un lato un
bisogno indilazionabile di «dare un volto» alla professione docente. Una professione è tale solo se i suoi tratti distintivi sono resi espliciti e riconoscibili. La docenza
in Italia non è stata finora né definita, né riconosciuta come professione. L’esplicitazione degli standard professionali e del codice deontologico a opera di un proprio
autonomo organismo si configura come un passaggio «obbligato» per la professionalizzazione degli insegnanti. Ciò non toglie che entro il quadro generale definito i
docenti delle singole scuole autonome elaborino proprie regole professionali più
aderenti alla specifica situazione in cui si trovano a operare. È infatti estremamente
importante il «processo» che conduce all’assunzione e condivisione di regole di comportamento, più importante molto spesso del «prodotto» stesso.
UN CORPO DI RIGIDE E IMMODIFICABILI NORME
COMPORTAMENTALI O REGOLE DEONTOLOGICHE
ADEGUATE AI PROBLEMI SOCIALI DA AFFRONTARE?
Le etiche professionali sono diventate un elemento molto importante in tutte le società avanzate. Si configurano all’interno delle «etiche speciali» e sono assorte a stru22
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
menti per fronteggiare rilevanti necessità sociali. Non si tratta quindi di rigide, assolute norme comportamentali, bensì di regole deontologiche adeguate ai problemi che si devono affrontare. La capacità di individuare comportamenti capaci di dare risposta ai bisogni reali della società rappresenta una delle condizioni essenziali
perché le società possano progredire. È evidente che esistono valori a cui un codice
di comportamento deve ispirarsi e ai quali deve attenersi. Per gli insegnanti italiani
esistono, prime fra tutte, due carte fondamentali: La Costituzione italiana e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.
PERCHÉ UN CODICE DEONTOLOGICO
Le ragioni per cui le professioni si danno codici etico-deontologici possono essere
così sintetizzate:
1. per contemperare «l’autonomia professionale» (che è una delle caratteristiche
«costitutive» delle professioni, insieme al sapere specialistico) con gli interessi dei fruitori delle prestazioni professionali;
2. per promuovere alti standard di pratica professionale;
3. per fornire ai membri della professione punti di riferimento ai fini dell’autovalutazione;
4. per stabilire un quadro di comportamenti e responsabilità che aiutino a costruire l’identità professionale;
5. per aumentare il senso di appartenenza alla comunità professionale;
6. come segno di maturità professionale.
UN ORGANISMO AUTONOMO DELLA DOCENZA
La specifica definizione del codice deontologico così come degli standard professionali è compito della professione stessa. Questo impone che i docenti dispongano di un proprio autonomo organismo.
Esistono due soluzioni fino a oggi praticate: a) quella dell’Ordine professionale, che è
la soluzione italiana nata con le libere professioni, e del tutto autoreferenziale; b) la soluzione anglosassone del General Council, dove accanto a una maggioranza di professionisti eletti vi sono rappresentanze delle istituzioni che tutelano gli interessi sociali generali.
C’è infine in Italia un organismo a cui la docenza potrebbe in qualche modo ispirarsi ed è il Consiglio Superiore della Magistratura. La docenza come la giustizia è
costituzionalmente tutelata e come tale a essa potrebbe ispirarsi.
Tale organismo dovrà essere definito per legge, ma dovrà coinvolgere a livello capillare gli insegnanti e le loro associazioni e non potrà in alcun modo proporsi come atto unilaterale dell’Amministrazione, pena la sua delegittimazione prima ancora di essere varato. Non potrà nemmeno essere oggetto di contrattazione sindacale. Non è ambito, né materia per interventi sindacali. C’è invece un enorme spazio per l’associazionismo professionale, che va in questo senso valorizzato e recuperato come componente fondamentale della professione.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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CODICE DEONTOLOGICO SOLO PER I DOCENTI
O ANCHE PER I DIRIGENTI?
Poiché il mandato ricevuto fa generico riferimento al personale della scuola ci si chiede quali altre figure oltre gli insegnanti possano essere interessate ad avere un codice deontologico.
Se vogliamo allinearci con quanto si sta faticosamente tentando in altri Paesi,
dobbiamo dire che anche i dirigenti devono avere uno specifico codice deontologico, così come specifici standard professionali. Questo si sta facendo laddove sta crescendo l’attenzione per la figura e la funzione dei dirigenti scolastici come «leader
educativi» o «leader per l’apprendimento».
QUALI SUGGERIMENTI AL MINISTRO?
Se è vero, come riteniamo, che la formulazione del codice deontologico è parte del
più generale processo di professionalizzazione dell’insegnamento, allora devono essere avviati tutti quegli atti che sostengono e rendono possibile questo percorso. In
particolare si propone che:
1. fra le norme e disposizioni che regolano la professione docente sia distinta con
chiarezza la parte contrattualizzata da quella legificata e che accanto al contratto si proceda all’aggiornamento dello stato giuridico. Si chiede anche che
vengano distinti gli interlocutori rispetto a questi due ambiti, in modo da evitare deleterie confusioni dei ruoli. Si ritiene a tale proposito che sullo stato
giuridico, che riguarda gli aspetti più professionali, siano consultate le associazioni professionali degli insegnanti, non i sindacati;
2. si proceda alla contestuale consultazione per varare l’organismo autonomo della
docenza. Anche in tal caso i referenti devono essere le associazioni professionali
degli insegnanti, poiché i sindacati nulla possono e devono avere a che fare con
tale organismo, che è tutto di natura professionale. Nel merito il gruppo ritiene
che sia poco consona alla natura della funzione docente la creazione di un vero e
proprio Ordine Professionale. Considera più adeguato un organismo professionale simile ai General Teaching Councils dei Paesi anglosassoni, o se si vuole un organismo che nel nostro Paese trovi riferimenti nel Consiglio Superiore della Magistratura. Si potrebbe ipotizzare un Consiglio Superiore della Docenza composto da una maggioranza di docenti eletti, a cui si aggiungono alcuni membri designati appartenenti all’Università e/o altre istituzioni di alta cultura. L’organismo
della docenza dovrà essere autonomo e indipendente dall’Amministrazione e svincolato da qualsiasi forma diretta o indiretta di ingerenza sindacale, e assolutamente
scevro da forma di cogestione con rappresentanze di genitori e studenti, che sarebbero una contraddizione in termini con l’emancipazione professionale degli
insegnanti. Un tale organismo dovrebbe avere ampi poteri in relazione a:
– la definizione e il controllo degli standard di formazione iniziale e di accesso alla professione;
24
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
– la definizione e il controllo di standard di sviluppo per fasce di ulteriore e
più elevata professionalità;
– la creazione e la gestione dell’Albo professionale, al quale dovrebbero essere iscritti obbligatoriamente tutti gli insegnanti abilitati, rendendo l’iscrizione condizione necessaria e indispensabile per esercitare la professione in
tutte le scuole pubbliche, sia statali che parificate in condizione di ruolo o
di supplenza;
– la definizione e gestione del codice deontologico.
Un’ultima precisazione: il gruppo riterrebbe sbagliato sovrapporre questo nuovo organismo della docenza ai tanti esistenti: per questo, anche alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione e dei nuovi poteri regionali, sembrerebbe opportuna una vera e propria sostituzione degli Organi Collegiali Territoriali, di cui al D.lgs.
30 giugno 1999, n. 233, con il nuovo Organismo Professionale della Docenza.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
25
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
L e FONTI GIURIDICHE
del CODICE
DEONTOLOGICO*
I
l gruppo di lavoro della commissione per il codice deontologico dei docenti si
è occupato di «inventariare» le fonti giuridiche e, in generale, le norme che hanno definito o modificato nel tempo la funzione e la condizione del docente fin
da quando, in Italia, nel 1911, per effetto della legge Daneo-Credaro, i docenti sono diventati dipendenti dello Stato.
Il gruppo di lavoro si è trovato d’accordo nel rilevare che la normativa, compresa
quella di natura negoziale, varia ed estesa, si è occupata principalmente dell’insegnante
in quanto dipendente, ovvero «impiegato dello Stato», secondo una concezione garantistica e individualistica più che professionale dell’insegnamento e della conseguente autonomia e «libertà», così come definita dall’art. 33 della Costituzione.
Il gruppo di lavoro, in seguito a tali riflessioni, rivolge al Ministro le seguenti raccomandazioni.
I RACCOMANDAZIONE
Si raccomanda di dare ampia diffusione alle problematiche connesse alla elaborazione del codice deontologico della professione docente, anche attraverso una consultazione degli stessi insegnanti – per esempio, con un questionario a campione –
in modo che si sviluppi una maggior consapevolezza individuale e sociale e una coscienza dell’importanza degli aspetti valoriali della professione che si fonda su:
–
–
–
–
*
26
elevati standard di competenze rigorosamente certificate;
l’autonomia nell’esercizio professionale;
organi rappresentativi;
l’adesione a un codice deontologico.
Rosario Drago, Massimo Tocci, Paola Zerman.
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
II RACCOMANDAZIONE
Si raccomanda la costituzione di un organo rappresentativo dei docenti come professionisti dell’insegnamento, a livello regionale e nazionale, rappresentativo della
categoria degli insegnanti e delle loro organizzazioni non aventi finalità sindacali.
Il compito di tale organismo, che dovrebbe sostituire l’attuale Consiglio nazionale della pubblica istruzione, dovrebbe essere quello di:
a) elaborare, aggiornare e diffondere il codice deontologico o codice dei valori
della professione docente;
b) curare la definizione degli standard professionali e curarne l’aggiornamento;
c) fornire consulenza ai docenti;
d) esprimere pareri relativi alle tematiche inerenti la funzione docente;
e) promuovere tutte le azioni volte alla valorizzazione, alla promozione e alla
tutela del prestigio e del valore dei docenti e della loro attività di insegnamento.
III RACCOMANDAZIONE
Si raccomanda che nelle linee di indirizzo relative al rinnovo del contratto nazionale di lavoro del personale appartenente all’area autonoma dei docenti del comparto della scuola, individuata a norma dell’art. 21 della legge 59 del 1997, venga espressamente indicata la definizione del codice disciplinare, in quanto dipendenti pubblici, comprese le pro c e d u re, attualmente contenute nel T.U.
(L. 3/57) degli impiegati civili dello Stato. Tali norme appaiono obsolete e poco
rappresentative della condizione e dell’evoluzione che caratterizzano la funzione
docente. Il nuovo codice disciplinare deve ispirarsi e coordinarsi con i principi
del codice deontologico.
IV RACCOMANDAZIONE
In relazione alla garanzia, alla tutela e allo sviluppo della libertà di insegnamento, così come «riletta» nel quadro della revisione del Titolo V della Costituzione (L. 3/00)
e della conseguente ripartizione delle competenze tra Stato ed Enti locali, comprese
le conseguenze che tali norme possono avere nella gestione e nell’amministrazione
del personale insegnante, si raccomanda che venga ridefinito il nuovo stato giuridico degli insegnanti, con particolare riferimento a:
– la libertà di insegnamento, come attributo fondamentale della funzione docente e del corpo professionale nel suo insieme;
– gli organi di autogoverno della professione docente;
– i diritti e i doveri fondamentali degli insegnanti;
– i criteri di formulazione del codice deontologico;
– il reclutamento;
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
27
– i criteri di sviluppo della carriera e della valutazione;
– la formazione iniziale e continua.
La definizione dello stato giuridico dei docenti, nel quadro delle garanzie offerte dalle norme riservate alla contrattazione, potrà ispirarsi alla Raccomandazione sullo status degli insegnanti, deliberata a Parigi il 5 ottobre 1966 dalla speciale conferenza intergovernativa dell’Unesco, che, a giudizio del gruppo di lavoro, conserva
piena attualità ed efficacia.
ULTIMA RACCOMANDAZIONE
Infine, il gruppo di lavoro raccomanda vivamente al Ministro di prendere tutte
le decisioni utili alla promozione di un piano di comunicazione, che valorizzi l’immagine sociale del docente e della sua funzione presso l’opinione pubblica e tutti i
cittadini.
La dimensione di massa della funzione docente ha in parte compromesso la sua
visibilità tra le altre professioni.
È indispensabile invece che il prestigio e il ruolo del docente vengano valorizzati in modo sistematico, anche con l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa,
per l’importanza strategica che esso riveste nell’educazione delle giovani generazioni e nella trasmissione dei valori della nostra tradizione.
28
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
CRITERI d i D E F I N I Z I O N E
del CODICE DEONTOLOGICO *
C
on il codice di deontologia professionale degli insegnanti si vogliono definire in via prioritaria i seguenti obiettivi di fondo: la professionalità del docente, il riconoscimento dell’uguaglianza tra i cittadini, il diritto dell’istruzione, la promozione dello sviluppo culturale del Paese, l’impegno al rispetto
delle leggi.
Grazie al codice ogni insegnante potrà avere una chiara e immediata consapevolezza dell’indipendenza e dignità della professione, comprese le regole, i diritti, ma
anche la dignità dei diritti degli alunni e delle loro famiglie.
La scuola pubblica italiana, che, nel corso della sua storia, è stata forse il più potente fattore di promozione sociale che l’Italia abbia conosciuto, aveva intorno una
società stabile e ordinata secondo valori e modi educativi radicati.
Oggi è chiamata a nuove sfide. Ogni giorno si chiede ai docenti di supplire ad
alcune secche perdite di orizzonti educativi della società.
Abbiamo perso il valore di cose che l’umanità ha costruito e conservato per millenni, cose che struttureranno la persona e daranno ad ognuno identità.
Possiamo affermare con assoluta certezza che in ambito educativo e formativo
l’aspetto Persona va considerato come elemento fondamentale, come senso e fine
del sistema educativo.
Ciò che conta non è solo con quale bagaglio di nozioni si esca dalla scuola, ma
che la scuola sia riuscita a sciogliere il giovane dall’identità inconscia con la famiglia
e a renderlo consapevole di se stesso.
Oggi tutto questo è indebolito e traspare una spinta caotica alla competizione
smisurata in risposta al ripetersi di una richiesta di prestazione individuale e di successo, quantificabile subito e spesso in termini direttamente economici.
In questo contesto i docenti (e tutto il personale della scuola) hanno una grande
responsabilità collettiva e contemporaneamente si trovano a dover affrontare uno
* Carlo Cerofolini, Roberto Leoni, Carmela Lo Giudice Sergi, Gianni Mereghetti, Giuliano
Piazzi, Marco Rossi Doria, Giuseppe Savagnone.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
29
spettro di sapere in crescita continua e allargantesi verso un orizzonte sempre più
ampio: l’Unione Europea, il mondo. «Sapere, saper fare, saper apprendere, saper essere, saper cambiare. Long life learning» sono le nuove sfide, i nuovi «programmi di
insegnamento-apprendimento».
La qualità dell’insegnamento ha un’influenza determinante sul progresso della
società.
Il docente, quindi, consapevole dell’importanza del proprio compito dovrebbe
mediare tra il patrimonio culturale della nostra civiltà e le esigenze del singolo studente che di quel patrimonio deve nutrirsi per identificarsi e acquisire la propria forma personale.
Questo implica una forte percezione dei valori impliciti in questa tradizione, anche solo per rimetterli in discussione ed eventualmente per superarli. La sola cosa
che la Scuola non si può permettere è la neutralità, perché essa è indifferenza, rifiuto di prendere partito, di distinguere tra ciò che ha un senso e un valore e ciò che
non ne ha. Certo, in una situazione culturale come l’attuale il recupero dei fini dell’insegnamento può avvenire anche nella forma di un confronto critico tra concezioni diverse. Del resto, pretendere che il docente sia neutrale significa cadere in un
grosso equivoco. Chi guarda i problemi li affronta, sempre, inevitabilmente, da un
dato punta di vista. L’onestà intellettuale sta, semmai, nel dichiarare esplicitamente
i propri presupposti e nell’illustrare agli alunni le alternative possibili, instaurando
con loro un dialogo aperto e disponibile e tutte le osservazioni critiche.
La domanda culturale per la scuola di oggi si pone a due livelli:
l. innanzitutto è una domanda di strumenti per affrontare la realtà (domanda di
istruzione e formazione);
2. esigenza di criticità (infatti è evidente che la noia della scuola è là dove non si
coinvolge lo studente nel contenuto e nel metodo di insegnamento).
I giovani oggi, infatti, sono più sensibili alla domanda di senso, di felicità e di valore della vita, ma sono come paralizzati sia nel cercare una risposta, sia nel verificare un’ipotesi per una condizione diffusa caratterizzata da incertezza e fragilità, solitudine, calcolo.
Questa situazione acuisce il bisogno di una educazione, in forza della quale affrontare la realtà, di qualcuno che abbracci la complessità delle domande dei giovani e nel farlo metta in campo quel «fattore umano» senza il quale non esiste una vera professionalità docente.
La professione docente è caratterizzata dal compito di comunicare in modo vivo il suo approccio conoscitivo e pratico al reale, sollecitando gli studenti ad aprire
lo sguardo alla realtà e ad utilizzare correttamente le loro capacità e le competenze
adeguate ad affrontare la realtà.
Non c’è insegnamento senza coinvolgimento in un rapporto educativo.
La questione centrale della Scuola è di chiarire a chi e a che cosa un insegnante debba rispondere, di identificare le responsabilità dell’insegnante, fatto salvo poi, che:
a) i metodi educativi e didattici delle risposte sono liberi e pluralistici;
b) che devono essere valutati per quanto riguarda l’efficacia della risposta.
30
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
L’insegnante nel suo lavoro è chiamato a rispondere:
–
–
–
–
ai bisogni di educazione e istruzione degli studenti;
alle domande delle famiglie;
al compito che lo accomuna ai colleghi;
alle richieste che gli vengono dal contesto in cui opera.
Una nuova deontologia deve avere come orizzonte la responsabilità del docente
sia di cogliere le domande che gli vengono poste, sia di mettere in atto conoscenze,
competenze, capacità per costruire e proporre percorsi per trovare una risposta.
Una nuova deontologia è quindi fatta di professionalità, di consapevolezza dei
fattori educativi, istruttivi, culturali, sociali, associativi che caratterizzano la professione, di capacità di rapporti con la persona dello studente e del genitore, di responsabilità di fronte alle loro domande, di costruzione comune, di dialogo.
In questa prospettiva vediamo la scuola anche come un luogo di ricerca e di formazione per gli adulti, di crescita dell’identità professionale, puntando a profili alti, anzi la didattica è funzione politica più di tante altre ed applicazione di scelte
politiche.
Quale politica? Innanzitutto la Costituzione (artt. 3, 33, 34 e 97) e poi quelle
norme internazionali cui l’Italia aderisce con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.
La nostra Costituzione indica quale «bene sociale»:
a)
b)
c)
d)
e)
la libertà e l’uguaglianza dei cittadini;
la libertà d’insegnamento-apprendimento;
il diritto di apprendere;
la solidarietà e la non violenza;
la responsabilità nell’esercizio della professione.
Libertà d’insegnamento è sempre libertà in rapporto con altri: studenti, colleghi,
famiglie. L’insegnante si impegna a far conoscere agli allievi i vari punti di vista, nel
rispetto del pluralismo delle idee. La libertà include la «valutazione» che ha come riferimento gli standard professionali e la deontologia professionale.
L’insegnante pertanto:
1. si adopera per migliorare costantemente la propria preparazione professionale (disciplinare, metodologica e relazionale);
2. mette a disposizione dei colleghi la propria competenza ed esperienza;
3. verifica regolarmente i risultati del suo operato;
4. si impegna a creare un clima di rispetto e collaborazione tra i colleghi;
5. contribuisce al buon funzionamento della scuola con la sua partecipazione responsabile ai momenti di lavoro collegiale;
6. rispetta il segreto professionale;
7. si oppone ad ogni provvedimento di interferenza che leda la libertà e la dignità della professione docente;
8. tiene un comportamento che sia di esempio ai suoi allievi;
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
31
9. si adopera per favorire l’acquisizione della conoscenza, lo sviluppo dello spirito critico e di ricerca e la formazione democratica;
10. cura che nessuno degli allievi venga posto in situazioni di imbarazzo o di difficoltà;
11. stringe con gli allievi un patto educativo fondato sulla fiducia reciproca, sulla lealtà e sul costante rispetto delle regole necessarie per la serenità del lavoro comune;
12. valuta gli allievi con imparzialità, esplicita i criteri adottati e premia il merito nello studio, nell’acquisizione delle conoscenze e nei comportamenti;
13. riconosce la famiglia come interlocutore indispensabile della sua attività professionale.
Il docente, nella scuola dell’autonomia, è chiamato ad assumersi la responsabilità di:
1. mettere al centro della sua professione la persona dello studente, le sue esigenze di educazione, di senso, di istruzione;
2. considerare il proprio compito professionale in rapporto con la responsabilità educativa dei genitori;
3. esplicitare il punto di vista interpretativo della disciplina, così da garantire e
sollecitare la libera verifica dello studente;
4. valutare ogni studente in modo chiaro ed esplicito, così che l’identificazione
degli errori avvenga in un’ottica di correzione e di formazione;
5. collaborare alla creazione di un clima di dialogo che promuova e valorizzi la
libertà di insegnamento di ogni docente;
6. costruire la comunità scolastica come luogo in cui persone e associazioni abbiano la libertà di esprimersi e prendere iniziative;
7. trasmettere valori positivi, entusiasmo, fiducia nell’uomo come singolo e come parte della comunità;
8. esercitare la sua «autorità» asimmetrica verso gli studenti in modo corretto e
quindi proporsi come centro di discussione per contribuire a formare opinioni, non ad orientarle.
Da quanto sopra enunciato scaturisce che il valore della Responsabilità si afferma nel momento in cui la scuola si percepisce come servizio pubblico alla Persona
per tutta la vita.
La Persona diventa il nuovo perno della società e la conoscenza l’elemento sempre più determinante per il suo sviluppo.
L’autonomia della scuola enfatizza la relazione insegnamento-apprendimento e
trasforma la professione dell’insegnante: il tempo non più rigido e prestabilito, ma
relativo al progetto; lo spazio non più compiuto nella classe, ma esteso all’intera scuola, al sistema delle relazioni con gli altri docenti e con gli altri soggetti esterni (innanzitutto le famiglie). L’autonomia della scuola enfatizza altresì il valore dell’autorganizzazione (cioè della responsabilità del team di docenza) rivendicando un modello organizzativo in cui sono definite le regole, i processi di autovalutazione, in relazione al raggiungimento degli obiettivi condivisi.
32
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
L’autonomia esalta la professionalità del docente, che è delicata, complessa, inimmaginabile fuori dal contesto in cui si svolge, e soprattutto fuori dalle relazioni con
chi apprende e la famiglia di chi apprende.
Se fine dell’educazione è l’autonomia dell’individuo, che include la sua libertà
e capacità di rendersi responsabile delle sue azioni, «gli educatori (dice Hannah
Arendt) rappresentano un mondo del quale devono dichiararsi responsabili anche
se non l’hanno fatto loro e se lo desiderano diverso. Questa responsabilità è implicita nel fatto che gli adulti introducono i giovani in un mondo che cambia di
continuo e l’insegnante è autorevole in quanto di quel mondo si assume responsabilità».
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
33
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
SINTESI
dei CONTRIBUTI
I
l compito che la Commissione costituita con D.M. 2 novembre 2001 ha ricevuto
dal Ministro è stato quello di «definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia
personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico».
La Commissione ha sviluppato i propri lavori in sedute plenarie e all’interno di
tre gruppi che hanno esaminato rispettivamente: 1) il codice deontologico dei docenti italiani in un confronto comparato con lo sviluppo dei codici deontologici delle altre professioni e di quelli degli insegnanti di altri Paesi; 2) gli aspetti giuridici e
normativi che inquadrano attualmente la funzione docente; 3) la nuova identità professionale dell’insegnante.
Alla luce degli approfondimenti svolti, la Commissione ritiene di poter affermare
che il codice deontologico potrà contribuire al raggiungimento delle finalità indicate nel mandato ricevuto solo se sarà connesso al più generale processo di «professionalizzazione» della docenza.
CONSIDERAZIONI DI MERITO
Codice deontologico e professionalizzazione dell’insegnamento
La questione della «professionalizzazione» dell’insegnamento fu già autorevolmente posta nella Raccomandazione sullo status degli insegnanti redatta dall’Unesco nel
1966 in questi termini:
• L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico, tale professione richiede non solo conoscenze
approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi
rigorosi e continui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva
nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi (art. 6).
34
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Già allora si individuò nell’etica della professione e in elevati standard professionali lo strumento principe per fare assurgere i docenti allo status di professionisti,
capaci di dare risposta a uno dei fondamentali diritti umani, il diritto all’istruzione
e all’educazione:
• Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più
alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività (art. 70).
• La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero essere definiti con il concorso delle loro organizzazioni (art. 71).
• Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni
degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei doveri professionali sulla base di principi concordati (art. 73).
La linea appare chiara e potrebbe oggi, nella scuola dell’autonomia, essere espressa e riformulata attraverso le seguenti proposizioni:
1. perché l’insegnamento sia riconosciuto come professione devono essere esplicitati alti standard professionali e un codice etico;
2. standard e codice devono essere definiti e gestiti dagli insegnanti attraverso propri organismi, nella consapevole assunzione che l’insegnamento, come tutte le
professioni riconosciute, si fonda sull’autonomia del corpo professionale;
3. l’autonomia del corpo professionale si fonda su due principi indissolubilmente
legati: la libertà progettuale ed educativa e la responsabilità dinanzi ai percorsi
offerti e ai risultati ottenuti, e si sviluppa attraverso comunità di pratiche che
vedono il coinvolgimento pieno di ogni scuola nella discussione della sua funzione educativa rispetto al territorio di cui è parte.
A tutt’oggi, a livello internazionale, le posizioni più avanzate sulla questione docente si richiamano a questi principi, da cui sarebbe utile partire per avviare anche
nel nostro Paese quel necessario processo di «professionalizzazione» entro cui si colloca il codice deontologico.
DOCENZA: UNA FUNZIONE COMPLESSA
CHE RICHIEDE DI AGIRE SU PIÙ PIANI
La definizione della docenza come funzione complessa comporta l’adozione di un
approccio sistemico comprensivo di piani diversi di riferimento, distinti, ma correlati tra loro. Tra questi si indicano i seguenti ambiti:
1. quello della legge alla quale spetta la definizione di un nuovo stato giuridico;
2. quello autonomo della professione, cui compete la definizione e il rispetto degli standard professionali e del codice deontologico attraverso propri organismi di autogoverno;
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
35
3. quello contrattuale, che dovrebbe essere coerente con l’impostazione professionale definita dai due precedenti ambiti.
1. Stato giuridico degli insegnanti
La tutela costituzionale della libertà d’insegnamento (garantita e precisata dagli artt.
3, 33, 97, 98) e del diritto all’istruzione-educazione (affermato dagli artt. 2, 3, 33, 34)
determina il nesso diritto-dovere intorno a cui la funzione docente si definisce come
servizio alla persona e alla comunità. In quanto tale essa non è assoggettabile, nei suoi
aspetti fondamentali, a contrattazione tra le parti e richiede la definizione di uno specifico stato giuridico degli insegnanti. Si tratta, oggi, di aggiornare quello stabilito dal
Decreto delegato 417/1974, tenendo conto sia dell’intervenuta contrattualizzazione
del Pubblico Impiego, sia della revisione del Titolo V della Costituzione.
Alla luce della legge 421/92, gli aspetti che rimangono di competenza della legge e che dovranno essere affrontati dallo stato giuridico, al di fuori della contrattazione, possono essere così individuati:
a) Funzione docente e libertà d’insegnamento. Costituisce l’aspetto più delicato
dell’identità professionale del docente oggi. Riguarda il punto in cui il diritto al libero esercizio della cultura e del suo insegnamento, da parte del docente, si coniuga con l’uguale diritto da parte dello studente di fruire di essa
nella prospettiva del miglior apprendimento possibile, in linea con l’evoluzione della ricerca didattica, delle scienze cognitive e dello sviluppo tecnologico. Per queste ragioni il principio della libertà d’insegnamento oggi va interpretato in termini di responsabilità educativa, didattica, organizzativa nella offerta e gestione di un servizio che la scuola deve garantire agli studenti,
alle famiglie e alla comunità locale e nazionale.
In un sistema educativo che, in base al nuovo Titolo V, è definito di «istruzione» e di «istruzione e formazione professionale», l’insegnante deve essere
pienamente consapevole della valenza educativa della sua attività in ogni ambito, e agire in piena coerenza, esaltando l’unità dell’azione educativa in una
visione sistemica e integrata.
Il docente deve saper adattare il suo insegnamento alle diverse attitudini e intelligenze così da rendere accessibile e proficua la conoscenza a tutti gli allievi, dando risposta a inderogabili esigenze di equità sociale e alle attese della
società della conoscenza, in una prospettiva di long life learning. L’apprendimento va fondato sull’etica della responsabilità, una responsabilità che faccia
riferimento alla triplice condizione umana, all’uomo come persona, all’uomo
come membro di una comunità sociale, all’uomo come parte della specie umana, e che coerentemente promuova l’autonomia individuale, la partecipazione alla propria comunità e la coscienza di appartenere tutti al genere umano,
legati ormai da un comune destino planetario. Tutto ciò, ovviamente, senza
dimenticare la nostra cultura e civiltà nazionali.
b) I diritti e i doveri fondamentali degli insegnanti. I diritti e i doveri, definiti giuridicamente, indicano le caratteristiche fondamentali, ma non esauriscono
36
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
gli aspetti fondanti la dimensione etica della funzione docente. Quest’ultima
trova il suo radicamento oltre che nei principi di un’etica pubblica costituzionale, anche su di una morale personale che emerge con la consapevolezza
della specificità della relazione educativa: intenzionale, convergente, dialogica ma anche asimmetrica e per questo connotata dalla responsabilità dell’insegnante. Questa duplice fonte di moralità fornisce significati e vincoli entro
i quali la categoria docente è tenuta a impegnarsi nella definizione di un proprio codice deontologico e di propri standard professionali, tra questi si impongono: la dignità e il rispetto della persona che esclude ogni discriminazione per razza, sesso, credo politico e religioso, provenienza familiare, condizioni sociali, diversa abilità; la responsabilità, l’imparzialità; il rispetto del
pluralismo delle idee che comporta l’impegno a far conoscere agli allievi i diversi punti di vista sulle questioni trattate; l’equità; la trasparenza; la fiducia;
la speranza; l’autenticità; la coerenza; la testimonianza; il senso critico; la solidarietà; la collaborazione.
c) Formazione iniziale e continua. È fondamentale che l’insegnante riceva oggi
una formazione iniziale professionalizzante, costituita da competenze specifiche disciplinari, ma anche da competenze a-specifiche, trasversali, di natura pedagogica, didattica, comunicativo-relazionale e tecnica. Inoltre deve essere garantito al docente l’accesso a offerte di formazione continua e all’Amministrazione chiesto l’obbligo di favorire e monitorare l’aggiornamento in
termini quantitativi e qualitativi.
d) Modalità di reclutamento. Il reclutamento degli insegnanti dovrà tener conto del nuovo articolo 117 della Costituzione, con specifico riferimento al
decentramento e all’autonomia scolastica. Dovranno altresì essere individuate nuove e rigorose modalità di valutazione collegate a precisi standard
professionali.
e) La creazione di nuove figure professionali della docenza. È indispensabile identificare e definire una fascia della docenza connotata da livelli elevati di professionalità, punto di riferimento per la valorizzazione della categoria, stimolo e volàno per favorire la mobilità, la qualità professionale e una nuova immagine sociale dell’insegnante, sostegno al miglioramento dell’insegnamento e all’innovazione culturale e didattica delle scuole autonome, non solo e
non tanto a quella organizzativa.
2. Gli organi di autogoverno della professione, a livello nazionale e
regionale
La specifica definizione del codice deontologico così come degli standard professionali è compito della professione stessa, come già veniva autorevolmente indicato nella citata Raccomandazione dell’Unesco del 1966. Questo impone che i docenti dispongano di un proprio autonomo organismo, nazionale e con articolazioni
regionali.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
37
Esistono due soluzioni fino a oggi praticate nella costruzione degli organismi autonomi delle professioni: a) quella dell’Ordine professionale, che è la soluzione italiana nata con le libere professioni, collegate al mercato, e del tutto autoreferenziale; b) la soluzione anglosassone del General Council, dove accanto a una maggioranza
di professionisti eletti sono previste rappresentanze delle istituzioni a tutela degli interessi sociali generali.
C’è infine in Italia un organismo a cui la docenza potrebbe in qualche modo ispirarsi ed è il Consiglio Superiore della Magistratura. La docenza è, come la giustizia,
costituzionalmente tutelata e come tale a essa potrebbe ispirarsi.
L’organismo di autogoverno della docenza dovrà essere definito per legge, ma dovrà coinvolgere a livello capillare gli insegnanti e le loro associazioni e non potrà in
alcun modo essere proposto come atto unilaterale del Governo, pena la sua delegittimazione prima ancora di essere varato. Non potrà nemmeno essere oggetto di contrattazione sindacale. Non è ambito né materia per interventi sindacali. C’è invece
un enorme spazio per l’associazionismo professionale, che va in questo senso valorizzato e recuperato, come componente fondamentale della professione.
3. Una necessaria distinzione fra tre codici: codice deontologico,
codice di comportamento, codice di disciplina
Un’ulteriore questione da chiarire nella ridefinizione della professione docente – professione che gode di una propria autonomia, ma è insieme pubblica e dipendente –
è l’intreccio fra tre codici: codice deontologico, codice di comportamento previsto
dall’art. 54 del D.lgs. 165/2001, codice di disciplina. Occorre chiarire intanto che
mentre la definizione del codice deontologico è compito del corpo professionale attraverso il proprio organismo di autogoverno, il codice di disciplina è materia contrattuale e va definito all’interno del contratto di lavoro. Così come per il codice
deontologico, si considera importante e urgente anche la definizione di uno specifico codice di disciplina, che sia adeguato alla natura della professione docente, considerato che, solo per gli insegnanti, si fa tuttora riferimento alle vecchie norme generali degli impiegati civili dello Stato, ossia al D.P.R. 3/1957. Per quanto concerne invece la definizione di un ulteriore codice di comportamento, lo si considera sovrabbondante rispetto a quello deontologico, e si ritiene che la docenza possa conformarsi ai casi previsti dall’art. 54, comma 4, del D.lgs. 165/2001, laddove si prevede che per ciascuna magistratura e per l’Avvocatura dello Stato sia la categoria ad
adottare uno specifico codice etico.
IL PROCESSO DI COSTRUZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO
DEGLI INSEGNANTI
Si è posto recentemente il problema se sia più efficace la formulazione di un solo codice generale per tutti gli insegnanti o la specifica formulazione di codici assunti dai
docenti delle scuole autonome.
Si ritiene che le due ipotesi non siano in contraddizione. C’è da un lato un bisogno indilazionabile di «dare un volto» alla professione docente. Una professione è
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tale solo se i suoi tratti distintivi sono resi espliciti e riconoscibili. La docenza in Italia non è stata finora né definita né riconosciuta come professione. L’esplicitazione
degli standard professionali e del codice deontologico a opera di un proprio autonomo organismo si configura come un passaggio «obbligato» per la professionalizzazione degli insegnanti. Ciò non toglie che entro il quadro generale definito i docenti delle singole scuole autonome possano in seguito puntualizzare proprie regole professionali più aderenti alla specifica situazione in cui si trovano a operare, pur
senza alterare i riferimenti fondamentali. Infatti l’adozione del codice deontologico
potrà realmente incidere sull’azione educativa solo se sarà frutto di un reale confronto e di un profondo ripensamento della propria identità professionale da parte
della comunità dei docenti, che sono tenuti a rispettarlo.
In tutte le società avanzate le etiche professionali sono diventate un elemento
molto importante. Si configurano all’interno delle «etiche speciali» e sono assurte a
strumenti per fronteggiare rilevanti necessità sociali. Non si tratta quindi di rigide,
assolute norme comportamentali, bensì di regole deontologiche adeguate ai problemi che si devono affrontare. La capacità di individuare comportamenti capaci di
dare risposta ai bisogni reali della società rappresenta infatti una delle condizioni essenziali perché le società possano progredire.
Le ragioni per cui le professioni si danno codici etico-deontologici possono essere così sintetizzate:
1. per contemperare «l’autonomia professionale» (che è una delle caratteristiche
«costitutive» delle professioni, insieme al sapere specialistico) con gli interessi dei fruitori delle prestazioni professionali, e con i più generali interessi e bisogni della società;
2. per promuovere alti standard di pratica professionale;
3. per stabilire un quadro di comportamenti e responsabilità che aiutino a costruire l’identità professionale;
4. per aumentare il senso di appartenenza alla comunità professionale;
5. per fornire ai membri della professione punti di riferimento ai fini dell’autovalutazione;
6. come segno di maturità professionale.
CODICE DEONTOLOGICO SOLO PER I DOCENTI
O ANCHE PER I DIRIGENTI?
Infine un’ultima considerazione. Poiché il mandato ricevuto fa riferimento al «personale della scuola», e non specificamente agli insegnanti, ci si chiede se un codice
deontologico non debba interessare anche i dirigenti scolastici.
Se vogliamo allinearci con quanto si sta faticosamente tentando in altri Paesi,
dobbiamo dire che anche i dirigenti scolastici devono avere uno specifico codice
deontologico, così come specifici standard professionali.
Questo si sta facendo laddove sta crescendo l’attenzione per la figura e la funzione dei dirigenti scolastici come «leader educativi» o «leader per l’apprendimento».
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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RACCOMANDAZIONI AL MINISTRO
Se è vero, come abbiamo ritenuto nelle considerazioni di merito, che la formulazione del codice deontologico è parte del più generale processo di professionalizzazione dell’insegnamento, è necessario avviare tutti quegli atti che sostengono e rendono possibile questo percorso. In particolare si raccomanda che:
1. Sia distinta con chiarezza, fra le norme e disposizioni che definiscono e regolano la professione docente, la parte contrattualizzata da quella legificata, e che
contestualmente al contratto si proceda all’aggiornamento dello stato giuridico, che dovrà riguardare e tenere conto di tutti gli aspetti messi in evidenza nelle precedenti considerazioni di merito riguardanti questo punto specifico. Si
chiede anche che vengano distinti gli interlocutori rispetto a questi due ambiti – stato giuridico e contratto – in modo da evitare dannose confusioni dei
ruoli. Questa distinzione di competenze risulta fondamentale per il processo
di professionalizzazione della docenza; è infatti evidente che compete alle associazioni l’affronto delle questioni legate alla professionalità e quindi allo stato giuridico e agli aspetti demandati all’autonomia del corpo professionale,
mentre ai sindacati l’affronto delle questioni più squisitamente contrattuali
(retribuzione, orario di servizio, mobilità, congedi, diritti sindacali, ecc.).
2. Si proceda alla contestuale consultazione per varare l’organismo autonomo
della docenza. Anche in tal caso, come precedentemente sottolineato, i referenti dovranno essere le associazioni professionali degli insegnanti, poiché i
sindacati nulla possono e devono avere a che fare con tale organismo, che è
tutto di natura professionale. Nel merito si ritiene che sia poco consona alla
natura della funzione docente la creazione di un vero e proprio Ordine Professionale. Si considera più adeguato un organismo professionale simile ai General Teaching Councils dei Paesi anglosassoni, o – meglio – se si vuole, un organismo che nel nostro Paese trovi riferimenti nel Consiglio Superiore della
Magistratura. Si potrebbe ipotizzare un Consiglio Superiore della Docenza
composto da una maggioranza di docenti eletti, a cui si aggiungano alcuni
membri designati appartenenti all’università e/o altre istituzioni di alta cultura. L’organismo della docenza dovrà essere autonomo e indipendente dall’Amministrazione e svincolato da qualsiasi forma diretta o indiretta di ingerenza sindacale, e assolutamente scevro da forme di cogestione con rappresentanze di genitori e studenti, che sarebbero una contraddizione in termini
con l’emancipazione professionale degli insegnanti. Un tale organismo dovrebbe avere ampi poteri in relazione a:
• la garanzia e la promozione della libertà di insegnamento, costituzionalmente tutelata e precisata, e della libertà associativa;
• la definizione e il controllo degli standard di formazione iniziale e di accesso
alla professione;
• la definizione e il controllo di standard di sviluppo per fasce di ulteriore e
più elevata professionalità;
• la creazione e la gestione dell’Albo professionale, al quale dovrebbero essere iscritti obbligatoriamente tutti gli insegnanti abilitati, rendendo l’iscri40
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zione condizione necessaria e indispensabile per esercitare la professione in
tutte le scuole pubbliche, sia statali che paritarie, in condizione di ruolo o
di supplenza;
• la definizione e gestione del codice deontologico.
3. Si dia ampia diffusione alle problematiche connesse alla elaborazione del codice deontologico e si avvii da subito il dibattito nelle scuole. A questo scopo
si invita il Ministro a rendere fruibile tutto il materiale elaborato dalla commissione, perché possa costituire il punto di partenza per una più ampia riflessione. Si considera, infatti, che il «processo» di costruzione del codice deontologico sia più importante della sua stessa definizione finale.
4. Nelle linee di indirizzo relative al rinnovo del contratto nazionale di lavoro
del personale appartenente all’area autonoma dei docenti del comparto scuola, individuata a norma dell’art. 21 della legge 59/1997, venga espressamente indicata la definizione del codice disciplinare, che attualmente fa ancora riferimento al T.U. degli impiegati civili dello Stato (DPR 3/57). Tali norme
appaiono obsolete e poco rappresentative della condizione e dell’evoluzione
che caratterizzano la funzione docente. Il nuovo codice disciplinare dovrà coordinarsi con i principi a cui si ispira il codice deontologico, nonché con le
leggi e regolamenti di futura emanazione, anche attuativi del nuovo Titolo V
della Costituzione.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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2002
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE
N° 2/3
2/3
Interventi
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
CODICE DEONTOLOGICO:
u n’ OCCASIONE
d i CONFRONTO
s u l l a PROFESSIONE DOCENTE
d i E M I L I O B RO G I
PREMESSA
Per deontologia, termine filosofico coniato nella sua accezione moderna dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832) utilizzando i termini greci deon + logos (dottrina del dovere) s’intende oggi lo studio empirico di determinati doveri nell’ambito di una situazione sociale e/o di una professione.
Per codice deontologico s’intende l’insieme di questi doveri disciplinati in forma
organizzata, facilmente comprensibile e con forti richiami etici, per comparti e professioni specifiche.
Esistono da tempo codici di deontologia per medici, per avvocati, per giornalisti, ecc.
OBIETTIVI
Con il codice di deontologia professionale per insegnanti occorre definire in via prioritaria i seguenti obiettivi di fondo:
– la professionalità del docente (né missione né sinecura part-time);
– il riconoscimento dell’uguaglianza (sesso, razza, religione, lingua, stato sociale);
– il diritto all’istruzione con pari dignità tra scuola pubblica statale e scuola pubblica non statale;
– la promozione dello sviluppo culturale e tecnico-scientifico;
– l’impegno a operare nel pieno rispetto delle leggi.
L’ETICA DI FONDO
Grazie al codice deontologico ogni insegnante dovrà avere una chiara e immediata consapevolezza dell’indipendenza e dignità della professione – comprese le rePER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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gole, i diritti e i suoi limiti – ma anche della dignità e dei diritti degli alunni e delle loro famiglie.
Il codice dovrà essere in grado di dare risposte, schematiche ma esaurienti, su tutti i più importanti «momenti» comportamentali della professione di docente, ma
anche su quelli al di fuori della professione che investono però la figura pubblica dell’insegnante all’interno della società. Nel senso che nessuno è un’isola e che un insegnante è investito, anche al di fuori della scuola, di un compito pubblico di esempio di comportamento che è di fatto un riferimento importante.
Il codice dovrà inoltre fornire indicazioni di base sull’importanza dei rapporti
non solo con i discenti e con le famiglie, ma anche con i colleghi della propria e delle altre scuole, nel rispetto reciproco sia delle persone che delle idee e nella necessità di concorrere tutti insieme alla formazione di un «gruppo» finalizzato a dare il
meglio ai discenti e a fare dell’ambiente scolastico un punto di riferimento non solo per la formazione culturale ma anche per quella del cittadino.
LE INDICAZIONI
Il codice dovrà essere il punto di partenza di una rivisitazione del ruolo dei docenti
e della stessa scuola italiana, sostituendo e migliorando i decreti legge in essere e accentuando negli insegnanti l’orgoglio di appartenere a una categoria fondamentale
per la formazione degli italiani di domani. Il tutto perché l’impegno dell’attuale Governo nella revisione del quadro normativo e di carriera della scuola abbia anche riferimenti etici e di coinvolgimento etico-morale dei suoi protagonisti.
Il docente peraltro non va visto come un missionario né tantomeno come un addetto part-time a un sottolavoro mal retribuito e poco stimato da integrare con un
prevalente impegno in un altro settore: con il codice deve sentirsi a tutti gli effetti
un professionista, con regole di ingaggio severe ma anche con retribuzione economica e status sociale adeguati. Il codice deve essere in grado di demolire la concezione dell’insegnante come dipendente pubblico demotivato, poco responsabilizzato, sottostimato e marginale.
Dovere del docente, un dovere che il codice deve indicare con estrema chiarezza
ma anche con parole fortemente coinvolgenti, è di trasmettere cultura, ma anche di
preparare i giovani alla vita di relazione. Il portarsi dietro la propria Weltanschauung
derivata dall’ambito familiare, dalle proprie personali esperienze e dalle scelte maturate nel tempo, non significa volerla imporre a chi ci sta davanti e a chi dall’insegnante deve ricevere formazione mentale, capacità di ragionamento e formazione
educativa, oltre che nozioni, per comprendere la realtà; e non richiede certo una realtà da noi già preconfezionata su basi fortemente ideologizzate.
Ogni insegnante, qualunque sia la materia che insegna, non dovrebbe mai porsi
in condizione di falsa neutralità sui problemi etici e morali: e, sia pure senza forzare
il discente, deve però essere sempre pronto a esprimere con partecipe chiarezza e con
giusto contributo di affetto il proprio punto di vista, senza pretendere di imporlo ma
confermandolo con esempi coinvolgenti e con il proprio personale esempio.
Ogni insegnante dovrebbe ricevere dal codice la chiara indicazione di essere anche e specialmente un educatore, in un complesso equilibrio tra la libertà di inse46
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gnamento nell’ambito delle leggi e i limiti oltre ai quali la libertà degenera in licenza o innesca l’autogiustificazione a non fare fino in fondo il proprio dovere.
Ogni insegnante dovrebbe preoccuparsi di valutare la propria capacità di capire
e di spiegare, anche in rapporto alla realtà giornaliera, agli avvenimenti pubblici, ai
fatti che coinvolgono emotivamente i giovani. Ma è fondamentale che anche nello
spiegare e nel commentare quanto avviene, le proprie personali convinzioni etiche
e politiche non passino avanti all’obiettività e non diventino giustificazione per far
proselitismo, ma aiutino il discente a sviluppare una personale conoscenza critica.
Educazione significa e deve significare rispetto delle libertà di pensiero proprie e
degli altri, a partire in particolar modo da quelle dei ragazzi e delle loro famiglie.
Si tratta di trovare e garantire un equilibrio complesso attraverso la valorizzazione del docente ma anche esperendo dei meccanismi e degli strumenti di controllo
sulla qualità dell’insegnamento e anche sui suoi comportamenti in aula; meccanismi che devono divenire garanzia della sua professionalità.
Di qui deriva anche la necessità di pensare al codice deontologico come strumento per superare l’attuale massificazione del ruolo dei docenti. Un codice corrisponde a una responsabilità individuale e perciò deve preludere alla nascita di un vero, serio ordine professionale capace di divenire anche organo di verifica interno. Un
codice deontologico ha senso se collegato a un professionista che ha, con l’ente con
cui lavora, un rapporto giuridico ed economico personale.
Pertanto:
1. il docente dovrebbe garantire il possesso di capacità relative alla disciplina insegnata nei contenuti e nei metodi, rendendone trasparente l’azione, e assicurando un continuo aggiornamento;
2. il docente dovrebbe raggiungere gli obiettivi formativi e didattici che identificano l’offerta formativa della scuola in cui opera;
3. il docente dovrebbe riconoscere il proprio alunno come individuo in formazione e dovrebbe di conseguenza essere consapevole delle responsabilità che
ne derivano;
4. il docente non dovrebbe esimersi dal collaborare fornendo all’organizzazione
scolastica elementi didattici e di verifica utili a procedure di monitoraggio e
valutazione del servizio scolastico.
Quanto sopra è stata la base di partenza del mio contributo alle attività del Gruppo di lavoro «codice deontologico del personale della scuola».
E a questo punto, dopo un percorso di confronto quanto mai arricchente sviluppatosi nei diversi incontri con gli altri componenti, credo opportuno riportare
di seguito alcune considerazioni frutto di riflessioni su quanto è stato trattato.
Non sembra opportuno che nel Consiglio Superiore della Docenza proposto dal
documento (ammesso che ne avvenga la istituzione) vi sia una sostanziosa rappresentanza delle associazioni degli studenti e dei genitori, quali primi destinatari della professionalità docente.
Può essere opportuna una presenza con una rappresentanza di queste due categorie, quindi il CSD dovrebbe essere definito anche attraverso un confronto tra le
associazioni dei genitori e degli studenti.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Il docente deve recuperare se stesso, la propria identità professionale e la propria
dignità sociale.
Quanto alla funzione docente, non si deve dimenticare che i docenti dovrebbero costituire la componente più importante nella trasmissione dei valori democratici di libertà, di pluralismo, di tolleranza, di umanesimo.
Quindi una scuola che non tenda all’omologazione, ma democratica, e che tenda alla riproduzione di se stessa non può che individuare nella funzione docente il
compito di mantenimento, di educazione ai valori garantiti dalla Costituzione.
Pertanto i docenti dicano a se stessi ciò che sono, ciò che intendono tornare a essere e ciò che è giusto che diventino in una società in continuo cambiamento e per
una comunità più allargata, ma che non abiura né dimentica la propria storia, le proprie radici, la propria identità culturale.
Quanto agli organismi professionali, genericamente intesi relativamente al processo di professionalizzazione degli insegnanti medesimi e alla loro autonomia, va
da sé che la proposta di «organismi misti» di partecipazione con genitori e studenti
non può essere condivisa.
«Organismi misti» sono da considerare invece all’interno della gestione strutturata e definita di una scuola sempre meno fantasiosamente oggetto di uno sperimentalismo dissennato, senza finalità né criteri oggettivi di verifica, una scuola, per
contro, sempre più determinata a perseguire due obiettivi:
1. la formazione della «persona» secondo i valori di democrazia e libertà della
tradizione occidentale;
2. l’istruzione e la formazione professionale, rispetto al patrimonio di conoscenze
della nostra società e al suo ruolo nel contesto economico europeo e mondiale
tra passato, presente e futuro.
La funzione docente deve essere dunque individuata e determinata, in quanto
funzione «universale» con specifica professionalità indipendentemente dall’essere
codificata e tutelata all’interno di un ordine professionale.
Solo in questo modo sarà possibile tutelare la qualità del sistema scolastico, il
quale garantirà, collegialmente in organismi misti, in autonomia amministrativa territoriale e locale, contenuti, metodi e obiettivi, ma all’interno dei valori e delle finalità del sistema scolastico generale e nel rispetto della funzione docente, intesa come espressione di una categoria ben definita.
Assolutamente condivisibili sono le Raccomandazioni sullo stato degli insegnanti
redatte dall’Unesco nel 1966, dove si sostiene di distinguere la funzione docente in
quanto tale, come funzione universale, all’interno di un codice deontologico formulato da insegnanti professionisti.
Da questo distinguo, solo apparentemente superfluo, scaturisce la necessità di
considerare distintamente i codici corrispondenti:
– codice deontologico (non assoggettabile alla contrattazione fra le parti);
– codice di comportamento (non può più essere quello dei dipendenti pubblici ex art. 54 D.lgs.165/2001, ma dovrebbe essere curvato sulle esigenze connesse con la professione docente);
– codice disciplinare (ex D.P.R. 3/57 dovrebbe essere aggiornato e modificato).
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Non sembra opportuna invece l’individuazione di «proprie regole» in virtù di
«specifiche situazioni», in quanto potrebbe divenire un invito alla deroga, la vanificazione della funzione docente, lo svilimento della professionalità e la riedizione
di quella modularità dell’insegnante che ha l’unico scopo di annullare l’identità
professionale del docente stesso, per continuare a renderlo complemento e non
soggetto protagonista dell’azione e del processo educativo e formativo.
Non si può condividere dunque la «flessibilità» dell’etica professionale, né l’idea di un’etica multiforme, «diversificata» per ogni occasione, poiché non si deve
confondere l’etica professionale con le risposte che la professione docente deve dare ai bisogni nuovi e reali della società.
Risulterebbe poco comprensibile quindi fornire da una parte le motivazioni per
un codice deontologico e contemporaneamente presentare una proposta esattamente opposta, per regole deontologiche diversificate da adeguarsi ai problemi sociali da affrontare.
Si deve ritenere che il codice deontologico debba raccogliere i principi della funzione docente in relazione ai valori cui deve ispirarsi e attenersi, che debba essere
unico, che questi valori debbano essere dettati dalla Costituzione italiana e ispirati
alla «Convenzione internazionale dell’infanzia».
Una eventuale proposta del General Council non sembra praticabile perché, a causa della sua composizione mista, non soddisfa la necessità e la richiesta di autonomia e identità professionale.
Quanto al Consiglio Superiore della Docenza come organismo autonomo e rappresentativo della categoria, se esso svolge la stessa funzione di garanzia e di tutela
della docenza come accade per la giustizia, la proposta è condivisibile, ma deve essere organo di espressione della categoria, non soggetto a contrattazione sindacale
né a mediazione con istituzioni che tutelano interessi sociali generali.
Sembra opportuno, oltre al codice deontologico per i docenti, pensare a un codice per i dirigenti; tuttavia per le medesime ragioni (non appaia provocatoria la proposta) sarebbe utile la stesura di un codice generale di comportamento (deontologico?) per gli studenti, i quali, fruitori di un servizio fornito da docenti e dirigenti
forniti di un codice deontologico, dovrebbero essi stessi comprendere la necessità,
e con essa la inderogabilità, di norme comportamentali intese come obiettivo per la
maturazione di una coscienza civile, sociale, professionale.
Come si può infatti pensare che uno studente che non abbia positivi modelli di
comportamento, norme, anche generali, da rispettare durante il cammino scolastico, possa poi condividere le norme che caratterizzano un cittadino consapevole dei
propri diritti e rispettoso dei propri doveri?
Dunque si potrebbe proporre l’elaborazione di un «codice deontologico» anche
per gli studenti, da determinarsi in organismi misti nei quali la componente studentesca sia fortemente maggioritaria.
Proponibile appare la possibilità di elaborare collegialmente, a livello locale, in
piena autonomia, regole e codici di comportamento, più aderenti alla specifica situazione in cui i docenti si trovano a operare e più adeguati ai problemi sociali da
affrontare.
Si è assolutamente d’accordo sulla determinazione dei «valori etici» del servizio
come per gli insegnanti spagnoli.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Ma riteniamo che debbano essere contemplati primariamente all’interno del codice deontologico, come valori generali della docenza, quindi come valori nel servizio pubblico.
Quanto al rapporto «autonomia-codice deontologico» di fronte alle proposte: un
solo codice o tanti codici liberamente assunti dai docenti nelle scuole autonome? La
risposta dovrebbe essere un solo codice, in quanto la seconda ipotesi non è convincente, né condivisibile, perché rimescola le carte, rimettendo in discussione la validità dell’istituzione del codice deontologico, legato alla istituenda figura professionale del docente medesimo, dunque la sua professionalità, la sua autonomia, la sua
identità.
Non si confonda dunque il codice deontologico con un generico mansionario
che disponga comportamenti diversificati «per essere più aderenti alle specifiche situazioni in cui si trovano a operare».
Tali situazioni devono risolversi con i poteri che l’autonomia offre, mediante la
capacità di progettare per obiettivi, con metodi e contenuti anche innovativi, ma
nel rispetto delle finalità scolastiche generali e mediante la professionalità di docenti che sanno intervenire, interagire, proporre, disporre progetti e soluzioni anche individualizzate.
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ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
LINEE GUIDA
per il CODICE DEONTOLOGICO
dei D O C E N T I
d i C A R LO C E RO F O L I N I
FINALITÀ DEL CODICE
Il codice deontologico dei docenti deve servire a sostenere e guidare la funzione docente e a valorizzare la categoria agli occhi dei cittadini. In questo codice devono
quindi essere contenute poche norme chiare, sintetiche e semplici a cui i docenti si
devono attenere, capaci di far capire a tutti, in modo immediato, come gli insegnanti
intendono offrire un «servizio» di alta qualità, il cui unico scopo è quello di far sì
che gli studenti possano crescere e sviluppare appieno le loro potenzialità, in un contesto sereno, stimolante e intellettualmente onesto.
ANALOGIA FRA MEDICO E DOCENTE
Così come il primo imperativo per i medici è quello di guarire (se possibile) e comunque di non nuocere al paziente, il primo imperativo per i docenti deve essere
quello di insegnare ed educare e non quello di plagiare e/o portare fuori strada gli
allievi prospettando loro delle verità precostituite. Siccome la scienza e il progresso
vanno avanti con le ipotesi, che devono poi essere verificate, e non con le certezze,
occorre che l’operato dei docenti si muova sempre secondo questa logica, in modo
da aumentare e sviluppare le conoscenze, la maturazione e lo spirito critico e di osservazione di ogni studente, ovviamente in funzione sia dell’età dello studente stesso che della materia insegnata (obiettivi, metodi e mezzi).
L’AUTORITÀ «ASIMMETRICA»
Per chi esercita una qualche autorità verso altri in modo «asimmetrico» – come gli
insegnanti verso gli allievi – occorrono delle regole cogenti per dire non solo come
quell’autorità si deve esplicare, ma pure come il titolare di questa autorità si rapporta
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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con la stessa e anche verso la società che gli ha dato questo mandato (art. 98, comma 1, della Costituzione).
In particolare l’insegnante deve essere sempre rigoroso, veritiero, non omissivo e
fornire agli studenti tutti gli strumenti necessari alla conoscenza e quindi proporsi
come centro di discussione e contribuire a formare opinioni, non orientarle; non
deve partire da idee precostituite o dare la priorità alla formazione dell’opinione senza valide basi di conoscenze.
L’IMPORTANZA DELLE RADICI
Siccome una società si fonda su tradizioni, esperienze, ricordi e passioni (Vilfredo
Pareto) e una società priva di valori religiosi è condannata al dispotismo (Alexis De
Tocqueville), è importante che i docenti quando insegnano abbiano come riferimento primario la nostra cultura e la nostra civiltà, pur nel doveroso rispetto delle
altrui, perché è solo conoscendo il passato che si può operare bene nel presente e
progettare un futuro migliore. Se si cancellano le radici si costruisce sulla sabbia e il
nichilismo ha il sopravvento e il futuro dei giovani viene compromesso.
È NECESSARIO INSEGNARE POSITIVO NELLA LIBERTÀ
Abbandoni della scuola, male di vivere, «rifugio» nella droga e nella violenza, ecc.,
sono anche frutto di messaggi negativi, catastrofici e spesso falsi, che intossicano gli
animi dei giovani. Quindi è importante che i docenti tengano conto di questo aspetto non secondario della loro professione e si sforzino di trasmettere valori positivi ai
loro allievi e li educhino al gusto del bello, al buono, ad avere speranza nel futuro e
fiducia nell’uomo come singolo individuo. Il mondo e l’umanità, pur in mezzo a
tanti errori e catastrofi, hanno fatto grandi conquiste in ogni campo di cui tutti hanno beneficiato e beneficiano. Infatti se siamo dove siamo questo lo dobbiamo all’ingegno dell’uomo, che sempre ha dato il meglio di sé nei sistemi liberi e il peggio
quando la dimensione individuale veniva e viene assorbita da quella collettiva, in
cui il fine, anche se in apparenza nobile ma in realtà delirante, giustificava e giustifica ogni mezzo, anche il più riprovevole.
LA SCUOLA E I DOCENTI DEVONO DARE DEI PERCHÉ
E INFONDERE LA «FORZA»
La scuola, nel suo insieme, per «attrarre» ed essere veramente maestra di vita, deve dare
agli studenti dei perché (traguardi, prospettive, valori, ecc., ovviamente leciti e validi),
perché – come diceva Nietzsche – chi possiede un «perché» può resistere a qualunque
«come» (difficoltà). Inoltre la scuola deve anche far sentire i giovani «forti» e protagonisti del loro futuro, di modo che lo studente capisca – senza però perdere il contatto con
la realtà – che potrebbe avere nella sua cartella nascosto il bastone da Gran Maresciallo
di napoleonica memoria, e quindi agire di conseguenza, impegnandosi di più e meglio.
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L’IMPORTANZA DELL’ASCOLTO, DELLA GUIDA E
DELL’ESEMPIO
La scuola e i docenti devono oltre che saper ascoltare gli allievi saperli guidare, proponendosi come punto di riferimento che poggia le sue basi sulla solida roccia della cultura. I docenti devono sempre dare l’esempio perché – come dice Giovanni
Paolo II – l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni dei maestri, o se
ascolta i maestri è perché sono testimoni.
LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO
La libertà d’insegnamento trova la sua applicazione e i suoi limiti nei seguenti articoli della Costituzione:
a) art. 3, comma 2, dove si parla di rimozione di ostacoli economici e sociali per
il pieno sviluppo della persona umana;
b) art. 33, comma 2, dove si dice che: «La Repubblica, detta norme generali sull’istruzione…»;
c) art. 97, comma 1, dove si afferma che i pubblici uffici, organizzati secondo
disposizioni di legge, devono assicurare il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione;
d) art. 98, comma 1: «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione», riconoscendo con questo che, visto l’alto compito di cui sono investiti i pubblici dipendenti, ne devono rendere conto ai cittadini per cui lavorano. In conseguenza di ciò non si può invocare l’articolo 33, comma 1, della Costituzione, in cui si dice che: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è
l’insegnamento»; oppure l’art. 21, comma 1, che è posto a garanzia della libertà di pensiero, per dire quello che si vuole e come si vuole, perché oltre i
diritti ci sono pure i doveri.
PLURALISMO
Si fa un gran parlare di pluralismo dell’informazione, come pure dell’insegnamento, e molti dicono di avere la ricetta giusta per interpretarlo al meglio. A questo punto, per fare chiarezza, forse non sarebbe male che i nostri studiosi dessero
del pluralismo, in senso politico e culturale, questa definizione: «Molteplicità di
opinioni, logiche e plausibili, che scaturiscono dall’analisi di dati di fatto veri e
completi». In modo da uscire, finalmente, da ambiguità e ipocrisie, dato che non
è mettendo in campo più verità mutilate e/o falsità che si realizza il vero pluralismo, e quindi portare chi ascolta alla formazione di un’opinione valida e autonoma sui singoli fatti.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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REGOLE CHIARE E GIUSTE PER GARANTIRE LA LIBERTÀ
E IL BENE COMUNE
Il Papa, intervenendo al Convegno Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana,
il 9 novembre 2002, nel riconoscere l’importanza che ha l’informazione nell’attuale società, e quindi la grande responsabilità che hanno i giornalisti in questo campo, ha, tra l’altro, richiamato tutti a «regole chiare e giuste, a garanzia del pluralismo
della libertà, della partecipazione e del rispetto degli utenti»; ha evidenziato come
«l’assenza di controllo e di vigilanza non è garanzia di libertà come molti vogliono
far credere, e finisce piuttosto per favorire un uso indiscriminato di strumenti potentissimi che, se usati male, producono effetti devastanti nelle coscienze delle persone e nella vita sociale». Giovanni Paolo II, inoltre, ha messo in guardia dalle «visioni distorte dell’uomo, della famiglia e della vita» che passano attraverso il sistema
mediatico e ha esortato le autorità pubbliche a impegnarsi perché i media conservino le finalità primarie di un servizio alla persona e alla società, in quanto la comunicazione «deve avere al suo centro la dignità della persona, la capacità di aiutare ad
affrontare i grandi interrogativi della vita umana, l’impegno a servire con onestà il
bene comune». Ora, se è indispensabile, per un Paese che voglia crescere nella concordia, nel benessere e nella democrazia, che i massmedia siano corretti nel loro operare per il bene comune, a maggior ragione occorre che anche i docenti rispettino
quanto ha evidenziato il Pontefice a proposito della comunicazione, molto più dei
media e che le pubbliche autorità vigilino su tutto questo.
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DELL’ISTRUZIONE
O LTRE i l CODICE
DEONTOLOGICO
d i R O S A R I O D R AG O
L’
esigenza, più o meno sentita dagli insegnanti, di avere regole e norme di comportamento dell’esercizio della professione dimostra che anche in Italia è iniziato, se pur in ritardo, il processo di professionalizzazione della funzione
docente. Tale processo ha fatto i suoi primi passi, alla fine degli anni Novanta, con
la decisione – tardiva – di istituire un corso universitario per la formazione degli insegnanti. Inoltre, con l’approvazione dell’articolo 5 della riforma degli ordinamenti si affronta il tema del reclutamento, ma anche della carriera. C’è quindi la consapevolezza che non si possono definire «le norme generali e i livelli essenziali delle
prestazioni del sistema nazionale di istruzione e di formazione» senza alcun riferimento alla condizione «giuridica» e professionale degli insegnanti.
Infatti, la qualità della scuola è fondata sulla qualità della condizione (norme generali) e della funzione (prestazioni essenziali ovvero standard) dei docenti.
L’insegnante non è un soggetto perfettamente fungibile a ogni trasformazione
strutturale, normativa e organizzativa della scuola, ne è l’elemento costitutivo, soprattutto quando il sistema in cui esso opera si avvia a rapidi e continui cambiamenti
(autonomia, riforma degli ordinamenti, nuovi «programmi», progetti, ecc.).
Le difficoltà di sviluppo dell’autonomia e del decentramento delle competenze
alle scuole dipende in gran parte dai limiti storici e strutturali della formazione dell’insegnante e dal mancato sviluppo e aggiornamento della professionalità e delle
competenze del docente.
In effetti, nei dieci anni in cui si è discusso sull’autonomia delle scuole, non si è
operato conseguentemente:
– per modificare il reclutamento (la legge 124 del 1999 è la sanzione del vecchio
sistema dei concorsi e delle sanatorie);
– per riscrivere lo stato giuridico degli insegnanti in coerenza con il nuovo paradigma organizzativo e didattico (autonomia) delle scuole;
– per dare pertinenza alle competenze richieste ai docenti con il trasferimento
alle scuole di nuovi poteri e funzioni tecniche, organizzative e didattiche (POF).
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
55
È significativo che ciò sia avvenuto – ma con effetti non del tutto positivi – solo
ed esclusivamente per la figura del dirigente scolastico e del direttore amministrativo, creando una pericoloso squilibrio e una asimmetria tra le finalità educative della scuola e il suo funzionamento amministrativo e organizzativo.
Non è una consolazione sapere che anche in altri Paesi europei il problema si pone con le stesse caratteristiche e in modo altrettanto impellente, e con l’unica differenza che in tali Paesi le difficoltà di cambiamento si sono tradotte in una grave crisi dell’offerta. Ma quanto durerà, in Italia, il serbatoio della disoccupazione intellettuale meridionale? E quanto durerà l’offerta di occupazione nelle discipline scientifiche e tecniche?
Resta il fatto che senza una definizione chiara della funzione docente, la scuola,
come macchina amministrativa, manca del suo naturale carburante professionale.
Finora il Parlamento (fin dalle origini del nostro sistema scolastico) si è occupato dell’insegnante essenzialmente come dipendente pubblico, alla stregua di tutti gli
altri impiegati dello Stato (cfr. Stato giuridico 1906, 1923, 1957 e 1974).
A partire dagli anni Ottanta, a esso ha assicurato – come per gli altri (ma non per
i professori universitari) – la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando
la sua dipendenza piuttosto che la sua autonomia e la responsabilità professionali.
Ma può esistere una vera autonomia delle scuole senza un insegnante professionista
capace di vera responsabilità per i risultati? Sembra di no, a giudicare dallo stato di
frustrazione e di disagio che gli insegnanti continuano a manifestare.
Questi, in sintesi, alcuni dei motivi strutturali di tale disagio:
La dissoluzione dello stato giuridico tradizionale.
Il vecchio stato giuridico ex legge 477 del 1973 è stato demolito dalla successiva
«privatizzazione» o meglio contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che ha invaso nonostante i vincoli contenuti nella legge 421 – art. 2 – del 1992 (da cui è nato
il D.lgs. 29 del 1993 e successive modificazioni e integrazioni) il campo riservato alla legge e ai principi generali della professione. A causa di questo sfondamento dei
confini assegnati dalla legge delega (oggi tradotta definitivamente nel D.lgs. 165 del
2001), il profilo professionale – a partire dalla definizione della libertà di insegnamento – ma anche l’autogoverno della professione (organi collegiali territoriali), la
valutazione, gli standard, il codice deontologico, la disciplina, la carriera, la formazione iniziale e in servizio sono rimasti come residuali di una azione giuridica e normativa che si è tutta squilibrata sul lato contrattuale, senza alcuna remora né censura. Il processo di «proletarizzazione» dei docenti (favorita dal numero decisamente impressionante – nel 1957 gli insegnanti erano 261.000, oggi sono più di 900.000)
– da timore e «profezia» teorizzata negli anni Settanta ha avuto la sua compiuta realizzazione nel contesto della contrattualizzazione vasta e penetrante, che ha inciso
anche sull’immagine sociale, la percezione di sé e gli stessi comportamenti quotidiani dei docenti.
Una dirigenza scolastica burocratica non una leadership educativa.
La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente (D.lgs.
59/99, oggi articolo 25 del D.lgs. 165 del 2001) in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolasti56
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
co appartiene per profilo, trattamento economico, modalità di reclutamento, funzioni più alla carriera burocratico-amministrativa che non a quella di tipo educativo e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi prive di una vera e propria
leadership istituzionale, un vuoto che non può essere riempito né dalle «funzioni
obiettivo» (elettive), né tanto meno dai collaboratori – compreso il vice – scelti dal
dirigente. Ambedue le soluzioni sono un surrogato piuttosto maldestro della carriera docente che dovrebbe essere fondata essenzialmente su standard, valutazione,
sviluppo, professionalità, specializzazione, responsabilità per i risultati.
Mancata autonomia contrattuale (area autonoma di contrattazione).
Una promessa non ancora realtà. Per quanto riguarda l’autonomia contrattuale
della professione (nonostante la esplicita previsione dell’articolo 21 della legge 59
del 1997 e nonostante le promesse), l’insegnante – caso unico in tutto il pubblico
impiego – si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola – compresi gli ausiliari.
Tale anomalia ha avuto come conseguenza quella mostruosità organizzativa costituita dall’istituzione della Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) eletta in ogni
istituzione scolastica, dove l’insegnante può essere rappresentato da operatori e lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione. Resta comunque la contraddizione di un organismo negoziale (RSU) in un contesto organizzativo che non
gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattuale né gestionale (per quanto
riguarda il personale), dato che il Consiglio della scuola (ovvero il dirigente scolastico) in Italia – a diversità di altri Paesi europei e industrializzati – non ha il potere
di assumere o licenziare personale, ma è del tutto dipendente dalle norme amministrative per quanto si riferisce alla gestione del bilancio, dell’organico e di ogni altra
materia attinente al governo del personale, che resta pervicacemente accentrato.
Organi collegiali territoriali irriformabili e da abrogare.
Nonostante il tentativo – mai reso attuale – di riformare gli organi collegiali territoriali ai sensi dell’articolo 21 della legge 59 del 1997, la professione docente non
gode ancora di un riconoscimento di autogoverno della professione, a eccezione della disciplina peraltro gestita con un sistema e con procedure inefficienti e inefficaci
per complicazioni, lungaggini ed eccessi garantistici.
Il problema degli organi collegiali va posto (se va posto…) su nuove basi, per i
seguenti motivi:
– dopo l’approvazione della legge sopra citata (59/97) è intervenuta la riforma della Costituzione, che – come del resto si legge nella legge 131/03 attuativa del titolo V della Costituzione – assegna agli Enti Locali un importante ruolo nell’amministrazione del personale della scuola come già avviene nelle Province autonome di Trento e di Bolzano e come comincia a rivendicare anche la Regione
autonoma Friuli Venezia Giulia (per il personale delle scuole dell’infanzia);
– con la Finanziaria 2003 è stato sostanzialmente abolito il Consiglio Scolastico Distrettuale (CSD), che non è mai decollato stante l’opposizione anche a
un pur timido decentramento amministrativo, che mettesse in discussione
l’autonomia e il monopolio gerarchico dei provveditorati;
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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– il Consiglio Scolastico Provinciale – dopo l’istituzione dei CSA – non ha più
senso dato che era nato per servire da «consulente» del dirigente scolastico provinciale. Ma oggi – con la riforma dell’amministrazione – l’ufficio scolastico
provinciale non ha nessuna autonomia decisionale (se non per delega), ed è
diventato una struttura decentrata della direzione scolastica regionale (D.P.R.
347 del 2000);
– infine, il CNPI (Consiglio Scolastico Nazionale ovvero, nella nuova formulazione, Consiglio Superiore dell’Istruzione, D.P.R. 233 del 1999) non ha più
senso, dato che era stato concepito fin dalle origini (1857) come organo di garanzia dei docenti contro la burocrazia amministrativa.
Ma oggi che il rapporto di lavoro è stato del tutto «privatizzato» tale garanzia è
offerta dalla rappresentanza sindacale e non da un organo a metà tra il tecnico (consulenza) e il corporativo (controllo e disciplina del personale).
Circondati da organi collegiali di ogni tipo (e composizione), tutelati e garantiti da una contrattazione sempre più fitta e minuta, che ne ha esaltato la funzione
impiegatizia, privi di prospettive di carriera, gli insegnanti restano ancora in Italia
senza una visibile e riconoscibile immagine di sé: che cosa sono? Che cosa faccio?
Perché lo faccio? Che è l’altra faccia della loro «invisibilità» sociale: chi sono? Che
cosa fanno? Perché lo fanno?
Finiti – per pochi – gli entusiasmi del neomissionarismo degli anni Settanta, e i
riferimenti ideologici forti delle ideologie contrapposte, per gli insegnanti – e non
solo in Italia – resta la strada del professionalismo (stato giuridico, formazione iniziale, cultura specialistica condivisa, codice deontologico, carriera, autogoverno della professione), cioè di una ridefinizione del ruolo e delle competenze in rapporto
ai nuovi compiti della scuola di massa in una società della conoscenza: «dipendenti
ma professionisti»
Il che significa:
1. un contratto snello, che intervenga solo sui punti che non incidono sulle competenze professionali e sulla organizzazione della carriera, e cioè: orario, retribuzione, mobilità;
2. la garanzia dell’autonomia contrattuale di una categoria di professionisti (area
autonoma);
3. uno stato giuridico essenziale che affermi i valori e i principi (chi è insegnante e chi non lo è), su cui si basa la professione dell’insegnare a tutti i livelli, in
tutti gli ordini di scuola e in ogni situazione (dalle carceri ai centri di formazione, dagli ospedali alle scuole serali);
4. un organo di autotutela professionale (standard, prestigio, immagine, promozione, ecc.), che sia la garanzia «dinamica» dello sviluppo della professione e che sappia escludere con i mezzi e le tutele opportune coloro che non
possono essere definiti insegnanti;
5. un reclutamento che sia coerente con gli standard della professione, definiti
dagli stessi insegnanti;
6. un mercato del lavoro che garantisca l’accesso solo a chi ha i requisiti dell’insegnante professionista;
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
7. una carriera che sia fondata su modalità e criteri di valutazione basati sul merito professionale;
8. una articolazione del ruolo che garantisca alle scuole autonome professionalità e competenze adeguate, certificate, stabili e valutate;
9. una dirigenza delle scuole che non sia in contrasto con la natura tecnica della
funzione scolastica e che ne costituisca effettivamente uno sbocco naturale della carriera e non una fuoruscita o fuga (in gran parte offerta per immagine,
contenuti, modalità e profilo ai soli maschi) dal ruolo e dalla professione.
In sostanza, va costruita una professione che sappia autogovernarsi per la qualità della sua prestazione pubblica.
Sarebbe stato utile, quindi, che il Parlamento, contestualmente all’approvazione
del disegno di legge delega sulle norme generali e i livelli essenziali del sistema di
istruzione e formazione, avesse provveduto a:
– introdurre la definizione delle norme generali e dei livelli essenziali della prestazione professionale dei docenti, in coerenza con il nuovo modello di reclutamento e di formazione definito dall’articolo 5 del ddl in discussione, con
particolare riferimento alla formazione in servizio, alla carriera, alla valutazione, ai diritti di cui gli insegnanti debbono godere come professionisti, una volta quindi abilitati a svolgere la funzione, e ai doveri a cui debbono attenersi
come dipendenti pubblici sia delle istituzioni scolastiche gestite dallo Stato e
dalle Regioni, sia da quelle paritarie;
– affermare l’esigenza di una contrattazione autonoma della categoria all’interno del comparto della scuola e abolire le RSU di istituto, prevedendone l’istituzione a livello regionale (dove è attualmente prevista la contrattazione integrativa e dove esiste il livello dirigenziale responsabile e adeguato per autonomia e disponibilità di risorse);
– definire con chiarezza i confini tra le materie assegnate a contrattazione e quelle riservate alla legge, facendo riferimento alle disposizioni della legge delega
del 1992 e abrogando ogni altra norma in contrasto con tale suddivisione;
– prevedere la costituzione di un organo collegiale regionale eletto dagli insegnanti professionisti (con abilitazione e di ruolo, senza alcuna distinzione tra
ordine e grado di scuola) dipendenti dallo Stato, dagli Enti locali o dai privati gestori delle scuole paritarie, con una espressione (tramite elezioni di secondo livello) anche nazionale, che abbia il compito non solo di esprimere pareri sulle politiche nazionali e regionali sulla scuola, ma si occupi (e decida)
concretamente di: formazione in servizio dei docenti; formazione iniziale (con
la collaborazione con le università e le istituzioni scolastiche soprattutto per
quanto riguarda gli stage e il tirocinio); definizione degli standard professionali dei docenti e loro aggiornamento; gestione dell’albo professionale e dell’anagrafe dei docenti; criteri e modalità di valutazione degli insegnanti, soprattutto finalizzata alla carriera; definizione del codice deontologico della professione e aggiornamento dello stesso; pareri sui piani di studio e i programmi regionali e nazionali; ogni iniziativa volta alla promozione e alla tutela della professionalità, del prestigio e dell’immagine dell’insegnante;
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
59
– abrogare il periodo dell’articolo 21 della legge 59 del 1997, dove prevede la riforma degli attuali organi collegiali territoriali, poiché tale materia – cioè la
partecipazione delle istituzioni scolastiche (non più delle «componenti» scolastiche) alle politiche locali – è evidentemente di competenza delle Regioni e
degli Enti locali ai sensi della legge costituzionale n. 3 del 2001. A questo proposito è sufficiente – in sede di legge delega – una indicazione alle Regioni perché provvedano – con proprie disposizioni di legge e nell’esercizio delle competenze già previste dal D.lgs. 112/98 – ad assicurare la partecipazione delle
istituzioni scolastiche alla gestione delle politiche territoriali sulla scuola;
– provvedere ad assegnare alla contrattazione «privatistica» – come per tutti gli
altri dipendenti pubblici – la materia relativa alla disciplina del personale insegnante di ruolo e non di ruolo – compresi i dirigenti scolastici –, tramite
l’inserimento nei CCNL delle norme relative (codice disciplinare, sanzioni,
procedure, competenze), in modo da «liberare» da tale incombenza gli attuali organi collegiali provinciali e nazionali.
Un lavoro immane di contestualizzazione normativa della funzione docente, senza della quale prevarranno inevitabilmente le logiche di dequalificazione e di perdita di identità, di immagine e di riconoscimento sociale della professione, come sempre succede quando il vorticoso cambiamento delle finalità e della «forma» del sistema non trova riscontro in un ruolo nuovo e adeguato nelle competenze e nei comportamenti degli insegnanti.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
O S S E RVAZIONI
e PROPOSTE per la D E F I N I Z I O N E
dei CRITERI d e l C O D I C E
DEONTOLOGICO
d i C A R M E LA L O G I U D I C E S E RG I
L
e nostre personalità, i nostri «io», sono ancorati al mondo: al mondo fisico, al
mondo degli stati mentali, al mondo dei prodotti della mente.
Noi non nasciamo come «io», ma dobbiamo imparare a essere «io». Questo
processo d’apprendimento si realizza nell’approccio conoscitivo al mondo.
La conoscenza di fondo da noi posseduta svolge un ruolo importante nel modo
in cui interpretiamo la nostra esperienza di asserzione: ecco perché quando cerchiamo di vivere secondo l’imperativo gnw`qi sautovn, conosci te stesso, incontriamo notevoli difficoltà. È più facile osservare un oggetto esterno che il proprio se stesso. Arriviamo all’autocoscienza attraverso l’educazione e l’etica e ritengo che una coscienza di sé cominci a svilupparsi attraverso la mediazione delle altre persone (genitorieducatori): nello stesso modo in cui impariamo a vedere noi stessi in uno specchio,
così il bambino diventa cosciente di se stesso intuendo il suo riflettersi nello specchio della coscienza di sé di altre persone.
I tentativi attivi compiuti dal bambino per attirare l’attenzione su di sé fanno parte di questo processo di apprendimento. Egli impara a conoscere il suo ambiente attraverso la persone, innanzitutto i genitori. Mediante il loro interesse per lui – nonché attraverso il riconoscimento del corpo come proprio corpo – ben presto impara a essere egli stesso una persona.
Le fasi successive di tale processo dipendono molto dal linguaggio, ma prima di
acquisire la padronanza del linguaggio, il bambino impara a essere chiamato con il
suo nome e a essere approvato o disapprovato. E perché l’approvazione e la disapprovazione sono in larga misura di carattere culturale, si può dire che la risposta del
bambino a un sorriso contiene già il primitivo inizio prelinguistico del suo ancoraggio al mondo della conoscenza di sé. Per essere un «io», bisogna imparare molte
cose, ma soprattutto il senso del tempo: l’io è quindi, in parte, il risultato dell’esplorazione ottica dell’ambiente e dell’aver appreso una routine temporale, basata
sul ciclo del giorno e della notte. Che cosa accade a un bambino che cresce senza
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
61
partecipazione attiva alle relazioni sociali e senza linguaggio? Ho esperienza dei bambini abbandonati negli orfanotrofi: sembrano, anche se sostanzialmente non lo sono, ritardati intellettualmente. È una esperienza confermata da Ossicini in Rapporto madre bambino. Il bambino fin da piccolissimo è attivamente interessato a tutto
ciò che lo circonda e a questa scoperta del mondo contribuisce anche la resistenza
che lo stesso mondo esterno oppone alle sue intenzioni e azioni.
La conoscenza risulta pertanto il risultato evolutivo dell’adattamento del bambino all’ambiente o al mondo esterno; ogni adattamento appreso ha una base genetica, nel senso che l’ereditarietà dell’organismo (il suo genoma) deve favorire la capacità di acquisire nuovi adattamenti. Conoscenza ereditata e acquisita possono essere di una complessità estrema: naturalmente, senza lo sfondo della conoscenza ereditata, incorporata nei nostri geni, non saremmo in grado di acquisire nessuna conoscenza nuova: basterà ricordare i dieci miliardi di neuroni della nostra corteccia
cerebrale, alcuni dei quali (le cellule corticali piramidali) hanno ciascuno un totale
di connessioni sinaptiche di oltre diecimila.
Comunque il nostro sapere, oltre che dalle informazioni acquisite attraverso l’eredità genetica, scaturisce dalle informazioni acquisite lungo tutto l’arco della vita e
l’importanza dell’informazione acquisita risiede nella nostra capacità innata di usarla. L’apprendere un’abilità come camminare, andare in bicicletta, suonare uno strumento musicale, parlare altre lingue consiste nell’acquisire una disposizione a comportarsi in un certo modo, ogni qualvolta lo si voglia, una memoria che produce la
potenziale continuità dell’io, una memoria che va distinta dalla memoria acquisita
attraverso un metodo di apprendimento.
La continuità dell’io garantisce il permanere della sua identità: l’io cambia grazie all’apprendimento e all’esperienza, mediante l’azione e la selezione. Pertanto dalle origini dei processi di pensiero nella primissima infanzia, dalla mescolanza tra sensazioni ed emozioni primarie, si ritrova il ruolo fondamentale della madre, che ha
una funzione simbolica e integrativa indispensabile per la maturazione del pensiero, della mente.
Eventuali disturbi in questi delicati passaggi spiegano le carenze di elaborazione
mentale, le azioni impulsive incontenibili, l’angoscia dilagante, tante sintomatologie che descrivono psicopatologie più o meno gravi e frequenti nell’età evolutiva.
Potremmo dire con Bion che senza la «sensibilità» che si costruisce nella primissima
infanzia, non c’è vero soggetto, intero e pensante, ma pensieri più o meno minacciosi, confusi, proiettivi.
Per Jung il Sé, o l’io, non è immaginabile al di fuori del processo d’individuazione (che lui stesso descrive come il processo di autorealizzazione del Sé) o come quel
movimento di differenziazione che porta l’essere umano a sviluppare la sua unicità
e la sua personalità individuale in relazione alla collettività che lo circonda e che lo
ha educato. Egli sostiene che l’individuazione è in generale il processo di «formazione» e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo
sviluppo della personalità individuale.
Jung introduce un altro concetto, quello di Persona, intesa come la maschera che
protegge o difende chi la porta, rendendolo al tempo stesso riconoscibile all’esterno
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
in modo convenzionale. In ambito educativo e formativo l’aspetto Persona va considerato come elemento fondamentale, come senso e fine del sistema educativo e per
questo è stata da me usata come metafora in un progetto di formazione degli insegnanti che ho chiamato «Maschere dell’educazione».
Quando il rapporto interpersonale tra il bambino e l’insegnante è buono, poco
importa che il suo metodo didattico corrisponda o meno alle più moderne esigenze. Perché l’efficacia dell’insegnamento-apprendimento non dipende dal metodo;
ciò che conta non è con quale bagaglio di nozioni si esca dalla scuola, ma che la scuola sia riuscita a sciogliere il giovane dall’identità inconscia con la famiglia e a renderlo consapevole di se stesso.
La conoscenza proveniente dalla psicologia analitica è auspicabile per l’educatore, affinché la utilizzi non solo per l’educazione dei bambini ma anche per la propria. Un educatore non può essere un pessimo trasmettitore di cultura, ma deve anche rielaborare attivamente la cultura, educando se stesso.
Ciò che ha un effetto veramente deleterio è che i genitori si aspettano dai loro figli che facciano bene ciò che essi hanno fatto male e purtroppo l’insegnante si scontra spesso con le conseguenze dei guasti che l’educazione familiare ha prodotto sul
bambino.
Chi sono oggi gli educatori, gli insegnanti? Sono professionisti dell’educazione,
autoformatisi sul campo, senza formazione iniziale e con una discutibile formazione in servizio.
Condivido la tesi di Jung secondo cui gli elementi costitutivi della professione
docente non possono fondarsi sulla didattica, sul sapere disciplinare e sul saperlo
trasmettere e aggiornare, ma debbono fare riferimento all’interazione reale, al rapporto tra persone. Il rapporto tra persone e una visione dell’uomo e della società sono alla base di molte professioni, ma soprattutto per quella di insegnante; anzi la didattica è funzione politica più di tante altre e applicazione di scelte politiche.
Quale politica? Innanzitutto la Costituzione (artt. 3, 33, 34 e 97) e poi quelle
norme internazionali cui l’Italia aderisce con la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo e la Conferenza internazionale sui diritti dell’infanzia.
La nostra Costituzione indica quale «bene sociale»:
a)
b)
c)
d)
e)
la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, la solidarietà, la non violenza;
la libertà d’insegnamento;
il diritto di apprendere;
il diritto di educare;
la responsabilità nell’esercizio della professione.
LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO
1. Libertà della cultura e non arbitrio del singolo insegnante di fare o non fare
quello che vuole. L’insegnante si impegna a far conoscere agli allievi i vari punti di vista sulle questioni trattate, nel rispetto del pluralismo delle idee;
2. la libertà include la «valutazione», che ha come riferimenti gli standard professionali e la deontologia professionale.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
63
Ritornando alla tesi di Jung, la professione docente non è legata solo a una questione didattica, ma è legata agli standard e alla deontologia professionale.
Fra i principi guida dell’insegnamento possiamo citare:
–
–
–
–
–
il successo formativo di tutti gli studenti;
il sapere pedagogico della disciplina che si insegna;
la responsabilità dell’apprendimento degli studenti;
la valutazione e/o autovalutazione dei risultati del proprio lavoro (esperienze);
l’appartenenza a comunità scientifiche e professionali.
ETICA DELLA RESPONSABILITÀ
Il valore della responsabilità si afferma nel momento in cui la scuola si percepisce
come servizio pubblico alla Persona, per tutta la vita.
La Persona diventa il nuovo perno della società e la conoscenza l’elemento sempre più determinante per lo sviluppo della società e le trasformazioni delle teorie del
lavoro.
L’autonomia della scuola enfatizza la relazione insegnamento-apprendimento e
trasforma il lavoro dell’insegnante: il tempo non più rigido e prestabilito, ma relativo al progetto; lo spazio non più compiuto nella classe, ma esteso all’intera scuola, al sistema delle relazioni con gli altri insegnanti e con altri soggetti esterni (innanzitutto le famiglie).
L’autonomia della scuola enfatizza il valore dell’autorganizzazione (cioè della responsabilità), rivendicando un modello organizzativo in cui sono definite le regole, i
processi di autovalutazione, in relazione al raggiungimento degli obiettivi condivisi.
L’autonomia esalta la professionalità docente che è delicata, complessa, inimmaginabile fuori dal contesto in cui si svolge, e soprattutto fuori dalle relazioni con chi
apprende e la famiglia di chi apprende.
Fino a oggi non si è molto valutato il rapporto, la relazione tra chi insegna e le
famiglie, i genitori, titolari della maggiore responsabilità educativa nei confronti dei
figli; soprattutto oggi, in quanto gli adulti, genitori e docenti (non dimentichiamo
che anche i docenti sono genitori) non hanno più modelli da offrire ai ragazzi e tendono a ritrarsi dalle loro responsabilità e dare delega alla scuola. Pesa sempre di più
nell’apprendimento degli studenti il «patrimonio culturale» delle famiglie, molto di
più del loro patrimonio economico e risulta l’elemento più determinante della dispersione, ancora più pesante là dove la ricchezza cresce, ma convive con la povertà
culturale.
L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ: HANNAH ARENDT,
GUNTHER ANDERS, HANS JONAS
Il legame tra i tre filosofinon è solo biografico (ebrei, studi comuni a Friburgo, Heidelberg, Marburg, Berlino, emigrazione), ma concerne i temi delle loro riflessioni:
la delineazione di un’etica globale per la civiltà tecnologica.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Il «sì alla vita» assume valore normativo per il genere umano nel suo insieme, traducendosi nel principio etico fondamentale a cui dovrebbe orientarsi oggi il nostro
agire collettivo.
Il principio di responsabilità contrappone il compito più modesto dettato dalla
paura e dal rispetto di preservare all’umano, nella residua ambiguità della sua libertà, che nessun mutamento delle circostanze può mai sopprimere l’integrità del suo
mondo e del suo essere contro gli abusi del suo potere.
Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forze senza
precedenti e l’economia imprime un impulso incessante, esige un’etica che, mediante
autorestrizioni, impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per l’uomo. La
consapevolezza che le promesse della tecnica moderna si sono trasformate in minaccia costituisce la tesi su cui si fonda il principio di responsabilità di Hans Jonas.
Kant ha potuto affermare che «in sede morale la ragione umana può essere facilmente portata a grande esattezza e perfezione» e che «non c’è bisogno né di scienza
né di filosofia per sapere ciò che si deve fare per essere onesti e buoni».
Ma allora quale è il fine dell’educazione? Mi sento di rispondere: l’autonomia
dell’individuo, che include la sua libertà e capacità di rendersi responsabile delle sue
azioni.
La fiducia nel progresso scientifico e tecnologico ha convinto l’uomo contemporaneo a comportamenti che, sfiorando il delirio di onnipotenza, ci sembrano irresponsabili.
E sarebbe altrettanto irresponsabile prevedere con assoluta certezza che l’uomo
potrà adattarsi a tutto. Ma a cosa si dovrà adattare l’uomo? A cosa si deve costringerlo ad adattarsi o che cosa gli si deve consentire?
Quali condizioni si possono accettare per il suo adattamento? Sono le riflessioni
che non solo i politici, ma soprattutto gli educatori (che educano anche i politici)
devono fare, gli interrogativi che si devono porre.
Il futuro dell’umanità costituisce il primo dovere del comportamento umano collettivo, e in esso è incluso il futuro della Natura (condizione sine qua non per la vita dell’uomo e dell’intera biosfera) consentendo a essa la sua dignità, che si contrappone all’arbitrio del potere dell’uomo tecnologico. Da essa siamo stati generati, a essa siamo debitori, da essa deriva il nostro futuro.
L’uomo di scienza sa che il mondo non è semplicemente quale appare ai nostri sensi; egli sa che la terra e l’acqua sono in realtà il gioco di forza che si manifestano a noi
come terra e acqua; il come, possiamo soltanto in parte comprenderlo. Similmente
l’uomo che ha gli occhi dello spirito aperti, sa che la verità finale circa la terra e l’acqua, consiste nella nostra comprensione della volontà eterna che opera nel tempo, e
s’impersonifica in forze rivelantisi a noi sotto quegli aspetti.
Questa non è semplice nozione, come è la scienza, ma è percezione dell’anima per
mezzo dell’anima. Essa non ci conduce alla potenza, come fa la scienza, ma ci dà la
gioia che è il risultato dell’unione di cose affini. (Rabindranath Tagore)
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
VERSO
u n a SCUOLA d e l l a L I B E RT À
e della R E S P O N S A B I L I T À
d i G I A N N I M E R E G H E TT I
IMPREVISTO E OMOLOGAZIONE
Sandro Onofri, nel suo drammatico testo dal titolo Registro di classe, ha lasciato
scritto:
Piani didattici annuali, programmazioni comuni, test di ingresso, prove uguali per
tutti sono il risultato di un inseguimento affannoso della modernità, che si tenta di
acchiappare come viene viene, accettando il valore di miti, la cui validità dentro la
scuola è invece tutta da dimostrare: quello dell’oggettività, quello dell’omogeneità,
quello della standardizzazione. Tutti criteri che, se possono andare bene in una logica di marketing e di produzione, adottati in un rapporto pedagogico non portano ad altro che allo schiacciamento delle differenze e delle individualità, sia degli
alunni sia dei docenti, i quali, comunque, stanno lì, in mezzo ai ragazzi, e se sono
bravi, se hanno qualcosa da dire, se hanno vissuto abbastanza e abbastanza intensamente, avranno ognuno un libro grande e diverso da insegnare ai propri studenti.
E se invece non lo sono, se si trovano lì per caso, perché tanto un lavoro vale l’altro,
perché mezza giornata libera è assicurata e i contributi vanno avanti lo stesso, allora non c’è schedina standard né test che possano compiere il miracolo dell’insegnamento. Una scuola davvero rinnovata dovrebbe, credo, preoccuparsi prima di tutto di assicurare la libertà necessaria all’espressione delle differenze, sia dei docenti
sia degli alunni, e dunque agevolare l’originalità dei percorsi didattici e l’atipicità
dei ritmi e dei sistemi di apprendimento. In fondo la scuola di adesso, che pedina
omogeneità e standard, e il viaggiatore previdente, hanno in comune la gran paura
per l’imprevisto, per quel tanto di misterioso che nessuno è in grado di anticipare o
di individuare. Ma l’imprevisto è il sale di ogni viaggio: lo complica, ma proprio per
questo lo rende irripetibile.
Pier Paolo Pasolini, nel suo provocatorio articolo Aboliamo la scuola dell’obbligo
e la tv, aveva a suo tempo scritto:
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
1) Abolire immediatamente la scuola media d’obbligo.
2) Abolire immediatamente la televisione.
Quanto agli insegnanti e agli impiegati della televisione possono anche non essere
mangiati, come suggerirebbe Swift: ma semplicemente possono essere messi sotto
cassa integrazione.
La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese:
vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori
(cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell’autogestione, del decentramento, ecc.: tutto un imbroglio). Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di
storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica.
Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo
al posto di un proletario o di un sottoproletario libero, cioè appartenente a un’altra
cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è ben
chiaro che chi ha fatto la scuola d’obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio
di sapere, e si scandalizza di fronte a ogni novità […] È stata la televisione che ha praticamente (essa non è che un mezzo) concluso l’era della pietà e iniziato l’era dell’edonè. Era in cui i giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione,
tendono inarrestabilmente a essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino all’infelicità (che non è una colpa minore). Ora, ogni apertura a sinistra sia della scuola che della televisione non è servita a nulla: la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità).
Queste due provocazioni sono ancora attuali, in quanto evidenziano che la scuola non può diventare lo spazio di regole acquisite e ripetute, perché vibra di accadimenti e di libertà e in un certo senso, per dirla come Nietzsche, ha nel suo essere
inattuale uno dei fattori più dinamici.
Oggi, il contesto della scuola da una parte tende a realizzare la profezia di Pasolini, anche se senza successo, dall’altra parte rischia di diventare impermeabile a
quell’imprevisto che Onofri identifica come il sale di ogni viaggio, e quindi anche
di quello che si compie sui banchi di scuola. Contemporaneamente, rifiuto di omologazione e imprevisto continuano a essere presenti dentro le aule e nelle sale professori. Così si può a ragione dire che il contesto della realtà scolastica si presenta
variegato, i punti di vista didattico-educativi sono diversi, talvolta anche in contraddizione l’uno con l’altro, i comportamenti non sono affatto unici, come del
resto le analisi.
Si può fare un’operazione che riduca a unum questo contesto così complesso?
Lo si può fare in nome di valori minimi condivisibili? O in nome di una impostazione didattica prevalente?
Sarebbe un errore. La questione seria della scuola di oggi infatti non è quella di
identificare un unico tipo di didattica, né un unico tipo di insegnante, né un modello di studente, ma di porre le condizioni perché i diversi modi di assolvere al compito educativo-didattico della scuola si possano esprimere e confrontare, secondo
principi di libertà e di collaborazione.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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UN ORIZZONTE AMPIO
In questo momento diventa quindi decisivo identificare l’orizzonte complessivo della scuola.
Due sono le possibilità:
– la prima è di tipo prescrittivo, e consisterebbe nell’individuare analiticamente e sotto forma di precetti l’immagine della scuola del futuro e conseguentemente quella dell’insegnante. In questo tipo di impostazione si andrebbe a indicare all’insegnante sia chi è, sia che cosa deve fare e inevitabilmente il suo
compito diventerebbe di tipo esecutivo;
– la seconda è di tipo flessibile, e consisterebbe nel delineare gli aspetti fondamentali della scuola sotto forma di obiettivi e standard, lasciando libertà alle
scuole autonome-paritarie e agli insegnanti per quanto riguarda la loro realizzazione. Perché questa seconda immagine non cada nell’autoreferenzialità è
evidente che si debba istituire un efficace e pertinente sistema di valutazione.
La prima impostazione dà allo Stato e/o allo Stato-Regione il compito di definire la scuola, nella seconda vengono invece valorizzati i soggetti come generatori di scuola.
A mio parere è la seconda impostazione quella che risponde maggiormente sia
alla natura della scuola che alle esigenze che incombono oggi.
Risponde alla natura della scuola, perché essa è definita dal rapporto di educazione e di istruzione che i soggetti costituiscono secondo la dinamica della libertà e
della responsabilità.
Risponde all’urgenza dell’oggi, perché pone le condizioni di una vera autonomia, che si realizzerà nel momento in cui dentro la scuola si saprà conciliare l’autonomia delle istituzioni con quella di insegnanti, genitori e studenti.
Quello che deve essere disegnato oggi è quindi un nuovo sistema scolastico dall’orizzonte ampio, che permetta ai diversi soggetti di sviluppare fino in fondo il loro tentativo, tenuto conto che la scuola è un contesto di ricerca continua e da un
certo punto di vista di continua novità. Infatti l’insegnante più «inadatto» è quello
che si ferma al giorno prima e fa del precostituito il suo modello di riferimento, mentre quello più «adatto» è quello che certo ha una tradizione, certo ha una cultura disciplinare e didattico-pedagogica ben formata, ma nello stesso tempo ha la disponibilità a inventare ogni giorno scuola, in quanto le domande e le urgenze dei suoi studenti lo portano sempre su strade mai prima intraprese.
Il far scuola porta con sé l’affascinante dinamica del rapporto tra passato e presente, una dinamica che non sopprime mai uno dei due elementi e che per questo
apre al futuro, un futuro che è fatto dal volto dei propri studenti che passano dalla
noia e dalla saturazione alla scoperta del proprio io e della realtà.
Un sistema scolastico deve avere l’ampiezza di questa avventura, per questo
deve essere fatto dai soggetti umani e non dalle ordinanze, né dalle direttive, anche se queste sono necessarie sia a indicare gli obiettivi che l’iniziativa dei soggetti deve perseguire sia a garantire l’azione e i diritti dei diversi soggetti del mondo scolastico.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
QUALI CONDIZIONI?
Le condizioni fondamentali perché la scuola non diventi un luogo di esecuzione di
direttive e di precetti ma sia lo spazio dinamico di un’avventura sono da ricercare tra
quelle che possono favorire che adulti (insegnanti e genitori) e giovani divengano i
protagonisti del far scuola.
In riferimento specifico agli insegnanti si tratta:
a) da una parte, di condizioni di libertà, così che il far scuola possa diventare
un’impresa didattico-educativa;
b) dall’altra, di responsabilità umana e professionale di fronte al compito cui le
domande educative, culturali, esistenziali, sociali dei giovani urgono.
In questa direzione, fissati gli obiettivi fondamentali e gli standard di riferimento, il sistema scolastico dovrà:
a) garantire e promuovere la libertà degli insegnanti, singoli e associati, di perseguire gli obiettivi generali e disciplinari della scuola;
b) garantire la pluralità di percorsi didattico-educativi e la diversità di esperienze nell’ambito dei diversi contesti scolastici;
c) fornire tutti gli strumenti affinché i diversi percorsi possano realizzarsi.
A queste condizioni di libertà dovrà corrispondere:
a) la responsabilità professionale di ciascun insegnante nell’assumere le domande e le esigenze degli studenti nell’impostazione e nella realizzazione del proprio lavoro;
b) la responsabilità sia delle scuole che degli insegnanti di esplicitare il punto di vista e le ragioni che stanno alla base del proprio percorso didattico-educativo;
c) la messa in atto di una pratica di dialogo e di confronto che faccia del contesto scolastico un ambito che si arricchisce dei diversi punti di vista.
Date queste condizioni e precisate le diverse responsabilità il contesto scolastico
potrà diventare uno spazio in cui diversi punti di vista in relazione tra loro svolgano ogni giorno il compito più difficile e affascinante della vita, quello di dare ai giovani la possibilità di orientarsi sia su se stessi che sulla realtà, così da essere liberati
nelle loro energie critiche e costruttive.
Perché, e questo lo si deve ricordare sempre, lo scopo della scuola è che i giovani, tutti i giovani, abbiano un futuro reale.
LE SFIDE EDUCATIVO-CULTURALI PRESENTI
NELLA SCUOLA OGGI
Un futuro reale lo si potrà quindi assicurare prendendo in considerazione e a g e ndo sulla situazione attuale degli insegnanti che è caratterizzata dal fatto di troPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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varsi quotidianamente di fronte alle domande educative e culturali sempre più
urgenti.
Fattore educativo
I giovani oggi sono meno ideologizzati e più sensibili alla domanda di senso, di felicità e di valore della vita, ma sono come paralizzati sia nel cercare una risposta sia
nel verificare un’ipotesi per una condizione diffusa caratterizzata da:
– incertezza e fragilità;
– solitudine;
– una concezione dominante che riduce la vita a un insieme di reazioni emotive e a un controllo della situazione che si basa sul calcolo.
Dentro questa condizione, che scaturisce da un percorso familiare e scolastico e
quindi mette in discussione fin dai primi anni il rapporto tra i bambini e gli adulti,
la giovinezza è sempre più il luogo di una contraddizione tra una tensione positiva
al futuro e una fragilità. Questo acuisce il bisogno educativo, cioè la domanda di
una consistenza in forza della quale affrontare la realtà.
Il bisogno educativo oggi è identificabile in:
– una domanda di senso, o, con un termine più vicino alla sensibilità dei giovani, in una domanda di felicità piena e non riducibile alla soddisfazione piacevole di qualche emozione, che poi di fatto lascia dentro un grande vuoto;
– una domanda di amicizia, da intendersi come il bisogno di legami in cui si è
trattati come persone, uscendo da un modo strumentale e calcolatore di vivere i rapporto umani.
Insegnare è svolgere una professionalità con regole e metodi specifici, ma porta
dentro la dimensione educativa, in quanto ogni lezione è entrare in rapporto con il
bisogno di senso e di amicizia degli studenti che vi partecipano.
Fattore culturale
La domanda culturale dei giovani d’oggi si pone a due livelli:
– innanzitutto è una domanda di strumenti per affrontare la realtà (in questo
senso è sia una domanda di istruzione che di formazione);
– in secondo luogo è l’esigenza di diventare critici (infatti è evidente che la noia
della scuola è là dove non si coinvolge lo studente nel contenuto e nel metodo dell’insegnamento).
Quale insegnante?
Sia il fattore educativo che quello culturale della domanda giovanile mettono in evidenza che l’urgenza prima della scuola è che vi sia un insegnante capace di starvi di
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
fronte. Si può dire che gli studenti di oggi hanno sempre più bisogno di qualcuno
che abbracci la complessità delle loro domande e nel farlo metta in campo quel fattore umano senza il quale non esiste una vera professionalità docente.
La burocratizzazione della professione docente e un imperante didatticismo hanno invece creato un tipo di insegnante che, anche laddove svolge bene il suo lavoro,
fa fatica sia a entrare in rapporto con la domanda di senso sia ad aiutare i giovani a
ritrovare l’energia per un impegno ideale con la vita e la cultura.
Per questo, la questione seria dell’insegnante oggi si gioca, prima ancora che sul
che cosa insegna e sul come lo insegna, sul perché lo insegna. Questi tre elementi (il
perché, il che cosa, il come), vissuti insieme, costituiscono un insegnante capace di
reggere la sfida dei giovani oggi.
Il sapere è condizione di ogni insegnamento. Si può insegnare, infatti, soltanto
ciò che si sa. Sapere, tuttavia, non significa anche di per se stesso saper insegnare.
Sapere che cosa insegnare non vuol dire sapere anche perché insegnarlo proprio ora,
e non dopo o prima, e come insegnarlo a questo allievo, con queste caratteristiche,
piuttosto che a quello. Occorre una specifica preparazione a questo scopo, correlata all’orizzonte di senso da attribuire all’educazione (filosofia dell’educazione, pedagogia generale, filosofia morale, ecc.), alle condizioni (logistiche, relazionali, sociali, storiche, tecnologiche, ecc.) in cui si svolge l’insegnamento e ai fattori (neurofisiologici, psicologici, sociologici, ecc.) dell’apprendimento.
Sapere, tuttavia, che cosa insegnare, perché e come non è ancora sufficiente per
poter insegnare davvero: serve anche confrontarsi direttamente con questa esperienza
e dimostrare di affrontarla in situazione con la sagacia, la prudenza e la saggezza necessarie. Bisogna, quindi, imparare a fare i conti critici con l’esperienza di insegnamento altrui (confronto con i modelli, con i «maestri» della professione) e, nondimeno, con una propria diretta esperienza di insegnamento).
Un insegnante che nella scuola di oggi già c’è
Questo tipo di insegnante oggi nella scuola italiana esiste; non è una dottrina pedagogica, ma è l’insegnante che vive il compito dell’istruire all’interno di un orizzonte educativo, che sa guardare in faccia i suoi studenti, che sa appassionarli, che non
li perde, che libera le loro energie potenziali.
Occorre partire da questa positività, che ha la sua origine non in una tecnica, ma
in un fattore umano, il quale non si può prescrivere, ma si può constatare e lo si vede in azione là dove c’è un insegnante che insegnando una disciplina lo fa stando
davanti a delle persone e interpellandole in quanto tali.
Formazione iniziale e in servizio
La formazione iniziale e in servizio deve riguardare i contenuti dell’insegnamento,
le metodologie, ma ha anche una questione di motivazioni e di impegno ideale che
non deve essere sottovalutato.
Questo implica che la formazione dei nuovi insegnanti abbia nella scuola il suo
perno, sia nella scuola come istituzione autonoma sia nelle associazioni professionali che operano al suo interno.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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La centralità della scuola nella formazione iniziale è avvalorata anche dal fatto
che ci si forma come insegnanti soprattutto quando si impara da un insegnante appassionato e competente nel suo lavoro.
Una buona preparazione universitaria è necessaria, ma non sufficiente per fare
di un giovane che conosce sia la disciplina che le nuove metodologie didattico-educative un buon insegnante.
Questo porta a sottolineare tre aspetti centrali nella formazione iniziale:
– una preparazione universitaria di alto profilo disciplinare;
– il valore della scuola (scuola dell’autonomia, associazioni professionali) nell’abilitare alla docenza;
– la possibilità per il nuovo insegnante di scegliere presso chi svolgere il tirocinio professionale.
Per quanto riguarda la formazione in servizio essa deve rispettare la stessa metodologia di quella iniziale: se quindi c’è bisogno di approfondire sempre più conoscenze e competenze, deve anche essere favorito il metodo dell’imparare dall’esperienza di chi vive l’insegnamento. Si tratta allora di instaurare un costume nuovo,
quello dell’imparare reciproco, che ha nella libertà il suo fondamento (libertà di ogni
insegnante di imparare da chi lui stesso sceglie) e nell’associazionismo professionale un punto di riferimento significativo.
LA PROFESSIONE DOCENTE NELLA SCUOLA DELL’AUTONOMIA
La professione docente è caratterizzata dal compito di comunicare in modo vivo il
suo approccio conoscitivo e pratico al reale, sollecitando gli studenti ad aprire lo
sguardo alla realtà e a utilizzare correttamente le loro capacità e le competenze adeguate per introdursi in essa.
Siccome non si conosce se non attraverso un coinvolgimento, l’insegnamento ha
nel rapporto educativo uno dei fattori fondamentali. Non c’è insegnamento senza
coinvolgimento in un rapporto.
La questione centrale della scuola, oggi, di fronte all’insegnamento non è quella
di definire dei valori minimi cui ogni docente debba attenersi, ma di chiarire a chi
e a che cosa un insegnante debba rispondere.
L’insegnamento infatti si è degradato a causa di una pratica garantista, tanto che
il problema grave di oggi è che un insegnante non risponda mai a nessuno.
Dato che l’alveo di riferimento in cui la professione docente si esercita è quello
costituzionale, la questione oggi aperta è quella di identificare le responsabilità di
un insegnante, fatto salvo poi:
a) che i metodi educativi e didattici delle risposte sono liberi e pluralistici;
b) che devono essere valutati per quanto riguarda l’efficacia della risposta (cfr.
problema della valutazione della qualità dell’insegnamento).
Un insegnante nel suo lavoro è chiamato a rispondere:
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
–
–
–
–
ai bisogni di educazione e di istruzione degli studenti;
alle domande delle famiglie;
al compito che lo accomuna ai colleghi;
alle richieste che gli vengono dal contesto in cui opera.
Una nuova deontologia deve avere come orizzonte la responsabilità del docente
sia di cogliere le domande che gli vengono poste sia di mettere in atto conoscenze,
competenze, capacità per costruire e proporre percorsi per trovare una risposta.
Una nuova deontologia è quindi fatta di professionalità, di consapevolezza dei
fattori educativi, istruttivi, culturali, sociali, associativi che caratterizzano la professione, di capacità di rapporto con la persona dello studente e del genitore, di responsabilità di fronte alle loro domande, di costruzione comune e di dialogo.
LA LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO
Nella scuola dell’autonomia le relazioni tra insegnanti devono essere caratterizzate
da una tensione a rispondere da diversi punti di vista e secondo modalità diverse al
compito della scuola, quello di educare, istruire e formare.
Occorre passare da forme di egualitarismo o collettivismo o democraticismo alla creazione di una convivenza dentro la scuola che abbia al centro la libertà dell’insegnante di proporre e svolgere un percorso curricolare secondo un’ipotesi esplicita
con cui la famiglia può paragonarsi e che lo studente è chiamato a verificare.
Si pone a tale riguardo in modo centrale la questione della libertà di insegnamento che è libertà di proporre un’ipotesi culturale-educativa in rapporto alla domanda di istruzione e di educazione delle famiglie e degli studenti, indicando le condizioni per la sua verifica.
La libertà di insegnamento è sempre libertà in rapporto con un altro: in rapporto con i colleghi, in rapporto con le famiglie e in rapporto con gli studenti. Libertà
di insegnamento è così libertà di rischiare in campo aperto la propria ipotesi educativa, altrimenti non è libertà, ma difesa di sé.
Molto delicata è la questione della libertà di insegnamento come rapporto con
gli altri insegnanti: a tale riguardo bisogna abbandonare la strada della riduzione di
tutti i docenti di un consiglio di classe o di un collegio al parere della maggioranza,
per creare modalità di lavoro caratterizzate dalla possibilità di espressione di tutte le
identità e dal confronto critico-costruttivo tra di loro, come del resto già indicato
nel Regolamento dell’autonomia, in particolare agli artt. 1.2 e 3.2.
A PROPOSITO DELLE RESPONSABILITÀ DEI DOCENTI OGGI
Un docente oggi, nella scuola dell’autonomia, è chiamato ad assumersi la responsabilità di:
– mettere al centro della professione docente la persona dello studente, le sue
esigenze di educazione, di senso e di istruzione;
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
73
– considerare il proprio compito professionale in rapporto con la responsabilità educativa dei genitori;
– svolgere gli aspetti specifici della professione all’interno di un rapporto educativo con ogni studente;
– utilizzando conoscenze e competenze specifiche, saper elaborare autonomamente curricoli attraverso i quali rispondere ai bisogni di istruzione e di cultura di ogni studente;
– esplicitare il punto di vista interpretativo della disciplina così da garantire e
sollecitare la libera verifica dello studente;
– valutare ogni studente in modo chiaro ed esplicito, così che l’identificazione
degli errori avvenga in un’ottica di correzione e di formazione;
– collaborare alla creazione di un clima di dialogo che promuova e valorizzi la
libertà di insegnamento di ogni docente;
– costruire la comunità scolastica come luogo in cui persone e associazioni abbiano la libertà di esprimersi e prendere iniziative.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
O S S E RVAZIONI
sui CONTRIBUTI
della C O M M I S S I O N E
d i G I U L I A N O PI A Z Z I
Dai lavori della commissione sono emersi alcuni punti condivisi:
• la scuola, oggi, si trova all’interno di un profondo cambiamento che investe i
settori – tutti o quasi – dell’esperienza sia individuale sia della società;
• tale cambiamento genera una diffusa situazione di inquietudine, carenza di
senso, smarrimento, insicurezza, disagio, soprattutto nei giovani;
• questo significa che, oggi, la scuola e i docenti vengono a trovarsi in una condizione oggettiva del tutto nuova, o nuova in maniera specifica. Il loro compito,
da adesso in poi, più che essere quello di insegnare, sembra diventare quello di
educare. C’è un profondo cambiamento. A causa di ciò – o in relazione a ciò –
il modo di essere dei ragazzi, le loro domande più o meno implicite e i loro comportamenti sembrano essere tali da rendere la vita della scuola sempre più complicata. Oggi più che mai la scuola sembra costretta ad assolvere non tanto la funzione di insegnamento quanto piuttosto quella di relazione educativa;
• oggi e nel prossimo futuro sarà sempre meno possibile fare affidamento sul
contributo decisivo a opera delle tradizionali agenzie di formazione educativa
affinché il ragazzo possa vivere la scuola a partire da una sufficiente base di socializzazione; base che gli consentirebbe, da lì in poi, di chiedere alla scuola
non tanto prestazioni educative, quanto piuttosto prestazioni per crescere come apprendimento di conoscenze. È come se il ragazzo che frequenta la scuola dovesse vivere ormai le sue esperienze e i suoi programmi a partire da un
congenito deficit di socializzazione. Quasi che tutto il percorso scolastico dovesse essere svolto in assenza di alcuni pezzi basilari, indispensabili per costruirci
sopra tutto il resto;
• c’è un ultimo punto da considerare, e cioè: se oggi la scuola deve organizzarsi
per affrontare un compito soprattutto educativo e se tale impegno è reso doveroso dal fatto che a monte della socializzazione viene a mancare un qualche
cosa di indispensabile con relativa situazione di malessere diffuso. Ne consePER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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gue che relazione educativa vuol dire: instaurare condizioni comunicative e di
rapporto con i ragazzi in modo che ognuno di loro possa crescere nella sua specificità di persona.
Devo solo aggiungere una cosa e fare osservare una contraddizione. La cosa è che
quel deficit di socializzazione esiste davvero. Ed è una cosa che, a mio parere, ci porta a vedere il problema ancora più in profondità. Credo, infatti, che quel deficit di
socializzazione stia, in realtà, a indicare un deficit di integrazione fra struttura emotiva e crescita cognitiva. La condizione necessaria – evolutivamente necessaria – che
viene a mancare è una solidarietà efficace fra bios e logos, fra corpo e mente. Se manca la terra sotto i piedi è perché quella solidarietà sta diventando friabile e, se così è,
allora ho l’impressione che in questo nostro atteggiamento di riflessioni e di orientamenti progettuali ci possa essere una contraddizione nociva. La contraddizione sarebbe fra i motivi che portano la scuola a doversi assumere un compito educativo di
particolare rilevanza, da un lato, e lo stesso progetto di relazione educativa mirato
alla persona, dall’altro.
Temo che, per educare alla persona, sia indispensabile avere come presupposto
necessario la presenza attiva di quella solidarietà fra struttura emotiva e crescita cognitiva. Presupposto che, invece, sembra essere proprio ciò che manca. Può darsi che
il grande cambiamento in cui oggi ci troviamo possa significare proprio questo: una
crisi del rapporto solidale fra bios e logos, fra corpo e mente, fra struttura emotiva e
procedure cognitive.
E, forse, si tratta di una crisi endemica non più risolvibile con strategie di socializzazione analoghe a quelle che, in società meno evanescenti, riuscivano a ottenere
quel risultato. Il punto è forse lì, in quella crisi del rapporto organico e funzionale
fra bios e logos, che si è insinuato il guasto.
Prima della persona, credo che occorra vedere che cosa si può fare lì, in quella
zona nevralgica e vitale dove si impianta l’intera organizzazione dell’esperienza individuale; e non è detto che gli eventuali tentativi di ricomposizione trovino d’accordo le esigenze delle istituzioni, da un lato, e le esigenze dello stesso individuo,
dall’altro.
Il cambiamento, che coinvolge le istituzioni, le società e le culture, coinvolge, ovviamente, anche gli individui. Il problema è di vedere se istituzioni, società e culture, da un lato, e individui, dall’altro, si predispongono a cambiare nella stessa direzione, o quali costi si dovranno pagare per fare sì che la direzione sia la stessa.
Quello che sto dicendo, lo dico perché, negli ultimi quindici anni, il lavoro da
me svolto – e per come l’ho svolto – mi ha portato ad alcune, per così dire, simulazioni teoriche che, brevemente, indico qui di seguito.
Oggi, la maggior parte dei parametri che regolano la nostra quotidianità sono
coinvolti da un ampio e invasivo movimento di ristrutturazione che riguarda le istituzioni, la cultura, il mercato, la famiglia, la comunità, ecc. Tuttavia, a questo livello, la ristrutturazione è solo un evento di superficie. Ciò che, in realtà, sta accadendo è un cambiamento che agisce molto più in profondità e che da qui risale e si diffonde al piano delle istituzioni, del mercato, della cultura, ecc. Il vero cambiamento riguarda qualcosa che è tipico della condizione umana. Si tratta di un cambiamento che investe il rapporto tra la natura – o vita – individuale, da un lato, e la sua
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
organizzazione collettiva – emergente – dall’altro, fra l’esperienza individuale e l’esperienza sociale, fra individuo e comunità, fra individuo e società.
Il cambiamento profondo che si sta verificando consiste, allora, nel fatto che il
precedente, plurisecolare, rapporto fra i due livelli di esperienza si sta da tempo frantumando, lentamente, con forme più o meno sintomatiche.
E che l’andamento sia questo sembra essere fuori discussione.
Il precedente rapporto fra i due livelli di realtà ha dato esiti decisivi per la condizione umana, e può essere definito come rapporto organico. Organico vuol dire:
– l’individuo che entra in questo rapporto deve essere inteso come bios, come
un corpo fatto di materia vivente e non come persona, soggetto, sistema psichico, ecc.;
– la comunità va, invece, capita come esperienza di livello superiore, emergente, rispetto sia al piano dell’esperienza individuale, sia al piano di ciò che è materia vivente. Deve, dunque, essere capita come esperienza trascendente-simbolica che è qualitativamente altra rispetto ai punti di cui sopra.
Tuttavia, durante la filogenesi di questo rapporto, si verifica un evento davvero
straordinario, che è il seguente: dentro il corpo-cervello dell’individuo avvengono
processi di miscelazione fra il piano della complessità vivente e il piano della complessità simbolica, fra bios e logos, fra ciò che è natura vivente (bio-chimica), da un
lato, e ciò che è cultura, trascendenza, ecc., dall’altro. Così, succede che nei circuiti bio-chimici del corpo entrano – e lì si amalgamano – non le sensazioni e i fatti
empirici delle esperienze concrete, ma la loro sintesi ideale, la Gestalt astratta delle
loro connessioni: sarà questa sintesi a farsi ricordo e memoria biologica, memoria
del corpo.
Le emozioni, i sentimenti, i pensieri che l’individuo prova nelle forme dovute alla sua identificazione culturale sono ovviamente le emozioni, i sentimenti, ecc., che
lui prova ed elabora nel suo rapporto reale, materiale, con le cose, i fatti, gli altri individui, ecc.; a seguito di ciò, tuttavia, succede che, dalla concretezza di quel rapporto reale e materiale con cose, fatti, ecc., l’individuo – il corpo che lui è – ne memorizza non la concretezza, non i risvolti empirici, ma il concetto, l’Idea che ne è
scaturita, le implicazioni di insieme.
Il punto è che sono proprio il concetto, l’Idea, le implicazioni di insieme – e non
la concretezza, la fragranza empirica delle cose – a essere poi incisi, radicati, narrati
nei circuiti neuro-biochimici del corpo.
Dopo tanti e lunghi aggiustamenti di azione e reazione metabolica, all’interno
vitale dell’individuo, si forma appunto un’organizzazione astratta, un genotipo, una
struttura di ordine capace di stagionare (dare un senso?) tutte le informazioni che
l’individuo raccoglie nei suoi rapporti sia con se stesso, sia con l’esterno. Un’organizzazione astratta che determina l’essere vero del singolo corpo-cervello come una
specifica realtà Olistica, un Intero, un Tutto-idea, un’Anima, un Sapere.
Un Sapere il cui progetto forte è quello di ripresentarsi sempre come tale – cioè
uno specifico Sapere –, in tutta la varietà delle sue forme. Dunque, ciò che oggi viene sempre più frantumato è proprio questo rapporto organico, con effetti decisivi
anche per il destino del relativo Sapere.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Le conseguenze importanti sono le seguenti: una divaricazione acuta fra il senso
della esperienza individuale, da un lato, e il senso dell’esperienza sociale dall’altro;
fra una memoria individuale, sempre più chiusa in se stessa, e una memoria sociale, sempre più in grado di fare da sola; in particolare, lo scarto si riferisce al distacco forte che avviene fra una memoria sociale sempre più orbitale e quella parte della memoria individuale che è ancora legata alla concretezza organica del corpo-mente, fra la ricorsività delle istituzioni, da un lato, e i problemi della gente, dall’altro.
La divaricazione è rilevante non perché riguarda i due livelli di mondo che distinguono l’individuo da ciò che gli è fuori e che lo trascende, cioè dal sociale.
È, invece, rilevante per il fatto che essa si insinua proprio all’interno dell’individuo stesso, e ha su di lui effetti critici.
In realtà, questa divaricazione fra l’esperienza sociale e quella individuale significa che dentro l’individuo si attiva una crisi molto seria, tanto seria che sembra scombinare l’equilibrio ancestrale che la nostra filogenesi ha prodotto fra il corpo e la
mente, fra la forma delle emozioni e la forma della ragione.
È questo il punto cruciale: il problema è dentro l’individuo, riguarda ciò che lui
è come bios, da un lato, è ciò che lui è come logos, dall’altro, riguarda, per così dire,
la sua salute psico-fisica.
La socializzazione, così come è oggi in generale, sembra non essere in grado di
far evolvere, all’interno del singolo corpo-mente e nella sua crescente autonomia,
un rapporto di solidarietà e miscelazione fra l’essere natura vivente, da un lato, e
l’essere competenza simbolica, dall’altro, proprie dell’individuo stesso. E, dunque,
non in grado di aiutare l’evoluzione del corpo-mente nella sua forma di Sapere e di
crescente autonomia. È inevitabile, quindi, che la socializzazione si possa trovare
in difficoltà.
C’è bisogno, dunque, di fare i conti con questa crisi, magari sostituendo quel rapporto organico – dentro e fuori – con un nuovo rapporto, un rapporto che possa attenuare lo scarto fra la memoria sociale e quella individuale; e, di qui, tornare all’interno dell’individuo stesso, creando i presupposti per tentare un nuovo modo di
coordinare il corpo e la mente, nuove forme per i sentimenti, le emozioni, i sentieri cognitivi.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
L a RESPONSABILITÀ
e la S C U O L A
d i M A RC O RO S S I D O R I A
DA DOVE PARTIRE
Il mondo in cui era collocata la scuola nel secolo appena concluso è cambiato per
sempre. Possiamo avere nostalgia per quel mondo ma sarebbe insensato volerlo ricreare. Dobbiamo pensare a come comportarci da educatori nel nostro tempo. Dobbiamo avere un’idea di scuola in mezzo a un mondo nuovo e difficile. E questa idea
la si può costruire certamente in modi diversi e, tuttavia, ognuno deve riconoscere
che la scuola è forse l’organizzazione sociale che ha, più di ogni altra (sì, anche più
della sanità), al suo centro il fattore umano, poiché modi, strumenti e risultati dei
processi che vi hanno luogo sono essenzialmente umani e relazionali. È da qui che
si deve partire ben prima che da un codice. Non solo: dobbiamo saper partire dalle
difficoltà che incontriamo e dalle nostre parti meno forti.
È indispensabile invertire l’ordine del ragionamento sulla responsabilità educativa e collocare al centro della riflessione la relazione educativa così come essa vive
nella scuola, tra slanci e crescenti difficoltà.
NUOVE SFIDE
La scuola pubblica italiana, che, nel corso della sua storia, è stata, forse, il più potente
fattore di promozione sociale che l’Italia abbia conosciuto, aveva intorno, fino a qualche lustro fa, una società stabile e ordinata secondo valori e modi educativi radicati.
Oggi è chiamata a nuove sfide.
Ogni giorno, in ogni angolo del Paese, si chiede ai docenti della scuola pubblica
di sostenere un oneroso carico di lavoro per supplire ad alcune secche perdite di orizzonti educativi della società.
Abbiamo perso cose che l’umanità ha costruito e conservato per millenni, comuni a tutte le società umane, cose che davano senso stesso all’accompagnamento
e guida alla crescita delle nuove generazioni e che non riusciamo a sostituire.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Le comunità non esercitano più la sapiente ripetizione di alcune certezze che accompagnano la crescita: stabilità delle figure adulte di riferimento, giochi che si ripetono e si trasmettono di generazione in generazione, riti di passaggio e di iniziazione graduati per età e un percorso di prove protette eppure vere di vita e di sfide
nel mezzo dell’infanzia e dell’adolescenza, le liturgie prese seriamente e condivise
dalla comunità e dal gruppo dei pari di età, i tanti gesti replicati secondo ritmi rallentati lungo le giornate, le settimane, i mesi, le festività e l’ascolto di storie e memorie raccontate, la vita simbolicamente segnata lungo il tempo circolare fatto di
molte ripetizioni rassicuranti e da parte di persone di diversa generazione con cui gli
incontri dei bambini e dei ragazzi erano cosa stabilita e accettata da tutti e marcata
dalla costanza.
Sono cose che strutturavano la persona, davano a ognuno identità e posto al mondo e contribuivano a creare uno spazio interno sufficientemente largo per potere
contenere le speranze e le pene.
Il naturale narcisismo di ogni persona in crescita trovava un limite codificato che
permetteva di misurare sogni e ambizioni con richieste espresse in modo relativamente chiaro dal mondo adulto e queste richieste aiutavano a costituire, attraverso
un percorso riconosciuto socialmente, la regola interna di ognuno entro il campo
che prevedeva prova e riprova, trasgressione, adeguamento e negoziazione ma entro
una cornice di relativa certezza.
Oggi tutto questo è fortemente indebolito e traspare, soprattutto in adolescenza, una spinta caotica alla competizione smisurata in risposta al ripetersi di una richiesta di prestazione individuale e di successo tendenti all’assoluto e quantificabili subito e spesso in termini direttamente economici, espressi in denaro. Il narcisismo naturale è sempre meno definito da limiti. Anzi, vengono costantemente suggerite attese senza limiti e viene sminuito lo spazio e il tempo dedicati alla costruzione del sé ma, contemporaneamente, il mondo mostra tutto intorno limiti terribili quali l’aids, le guerre, la mancanza di lavoro, ecc.
La costruzione del sé attraverso un rinforzo realistico è un processo oggi più difficile. Aumentano le tensioni o verso l’onnipotente irraggiungibile o, al contrario,
in modo speculare, verso la rinuncia e lo stato di attesa, spesso depressiva.
Appare, insomma, molto più complicata di un tempo, per i nostri ragazzi/e, la
costruzione di identità attraverso la progressiva e guidata trasformazione del narcisismo in realistici progetti di vita.
Le aule e i corridoi delle nostre scuole, le palestre sportive e tutti i luoghi dove i
ragazzi vivono e apprendono sono segnati da questa chiara fatica di crescere e nel
crescere. È anche di fronte a questo che ci troviamo noi docenti.
Tanto è vero che ci troviamo ogni giorno davanti alle sempre più diffuse ed estreme sofferenze che tutto questo ingenera: bullismo, anoressia, diffusione di droghe
sono ovunque in aumento e vivono nella scuola come punte di una curva gaussiana che ha una base di disagio larghissima.
Il vuoto dovuto alla perdita di cornici educative certe si accompagna, tuttavia, a
grandi conquiste nei diritti e nelle possibilità per le nuove generazioni.
E il governo delle molte nuove possibilità, dei diritti e dei saperi sempre più estesi e articolati ma anche delle perdite di orizzonti pesano sulla scuola entro un intreccio molto complesso, che suggerisce – a chi a scuola insegna ed educa – nuove e
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ricchissime prospettive e, insieme, sentimenti di incertezza, paura, inadeguatezza,
isolamento che inducono a cautele, dubbio, senso di impotenza.
Orientarsi è davvero difficile.
La questione del come guidare le giovani generazioni è una delle decisive questioni che disegnano oggi il disagio della civiltà ed è questione che riguarda, da tempo, il mondo intero e segnatamente tutte le società sviluppate ma, nel nostro Paese,
è relativamente recente.
Per quanto ci si rivolga alla famiglia, alle comunità religiose, all’esperienza sportiva, ecc., la principale richiesta di tenuta del campo educativo complessivo viene rivolta alla scuola pubblica e ai suoi docenti.
E la scuola pubblica è certamente il luogo dove le generazioni si incontrano con
maggiore continuità e regolarità e questo fa sì che noi docenti stiamo diventando
quasi dei referenti sostitutivi di ogni referenza.
Noi docenti siamo, dunque, davanti a una grande responsabilità collettiva: non
possiamo voltarci dall’altra parte dinanzi al ripetersi, in mille e mille forme, della richiesta pressante della presenza di una sponda adulta ben più ampia di quella rappresentata da una buona o da un buon insegnante di un tempo; e dobbiamo ogni
giorno ricreare un clima educativo dai compiti molto larghi, articolatissimi, dai contorni non semplicemente definibili e non definibili una volta per tutte.
Contemporaneamente ci misuriamo con un orizzonte di sapere rapidamente in
crescita e con un’enorme estensione delle opportunità e dei diritti:
– la città, la nazione, l’Unione Europea, il mondo sono luoghi percorribili per
apprendere quasi per ogni nostro ragazzo;
– le mani e la mente, il pensiero e la produzione sono nuovamente ravvicinati
in tutti i processi di apprendimento;
– il tempo per apprendere non è più ristretto a una sola stagione della vita.
TENUTA DEL CAMPO EDUCATIVO OGGI
La protezione autoreferenziale di una scuola dai compiti forse ben enucleati e delimitati in astratto ma non rispondenti alla relazione educativa chiesta dalle persone in crescita e dal nostro tempo, la difesa della categoria così come era quando
i ragazzi eravamo noi e il tentativo di restringere gli ambiti della responsabilità
educativa alla funzione docente intesa solo tradizionalmente – e spesso in modo
impiegatizio – non possono arginare a lungo la sfida che viene dalle cose negando il mutamento avvenuto ed eludendo la domanda grande e vera che comunque
si esprime.
Il campo delle responsabilità educative farà davvero fatica a riflettersi adeguatamente in un codice deontologico.
Né appare adeguata la soluzione della sola protesta che, di governo in governo,
una parte dei docenti sceglie per dare parola alle difficoltà.
E tutto questo è ancor più vero dinanzi ai terribili eventi planetari che mostrano
un tempo assai più incerto di quello vissuto dalle ultime generazioni, in cui guidare e orientare implica ulteriori e ancor più ampie responsabilità.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Viene alla mente una frase di Hannah Arendt a proposito dell’educare e dei doveri che comporta:
Gli educatori rappresentano di fronte al giovane un mondo del quale devono dichiararsi responsabili anche se non l’hanno fatto loro e anche se lo desiderano diverso. Questa responsabilità è implicita nel fatto che gli adulti introducono i giovani in
un mondo che cambia di continuo. L’insegnante si qualifica per conoscere il mondo
e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto di
quel mondo si assume la responsabilità.
È UTILE GUARDARE DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI
DALLA SCUOLA
Il vertice, da cui guardo, da anni, alle cose della scuola e dell’educazione è – per il
lavoro che faccio come «maestro di strada» e progettista e coordinatore pedagogico
di una prova di scuola della seconda opportunità denominata Chance – quello delle giovani persone in crescita escluse dalla scuola che in Italia rappresentano un terribile, doloroso e quotidiano scandalo nazionale perché si tratta di quasi centomila
(!!!) ragazzi e ragazze, con voci, nomi e storia, che, prima dei quindici anni, sono fuori da ogni educazione e formazione. Lo so: il nostro è un punto di vista parziale. È
il punto di osservazione che parte da una relazione educativa faticosa perché ben poco protetta, influenzata prepotentemente dalla relazione quotidiana con chi è fuori
dal cerchio protetto della nostra società, una condizione professionale che è fatta di
cose molto dure e complicate e di un impegno oneroso per i docenti che la sostengono ma anche, necessariamente, di un linguaggio molto diretto. In ogni caso, è forse anche bene ricordare che il punto di osservazione che guarda alla scuola dal lato
di chi ne è escluso è qualcosa di fortemente vitale per tutta la scuola perché, seppure nato da una parte, non dà una visuale stretta ma, invece, contribuisce a una visione globale, davvero molto larga.
Tale punto di osservazione, infatti, per un verso, vuole rendere effettivamente
godibili un insieme di diritti non goduti eppure sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia che il nostro Parlamento ha reso legge dello Stato con voto unanime (legge 27/5/1991 n. 179) e che, dunque, li ratifica e recepisce pienamente nel nostro ordinamento e li indica quale grande cornice culturale
e di diritto a cui tutti gli insegnanti devono e possono richiamarsi nonché dalla Costituzione e da molte leggi tese a promuovere l’inclusione sociale e le opportunità
formative.
Per altro verso, tale punto di osservazione mette inevitabilmente in discussione
l’intero castello dell’istruzione italiana. Non solo nel senso che segnala le criticità
dell’intero suo impianto ma anche nel senso che suggerisce strade nuove, cure, soluzioni. Come la malattia insegna molto sul funzionamento del corpo sano, la lotta attiva, concreta al fallimento formativo ci dice qualcosa di generale sul come fare scuola. E, del resto, chiunque ne sappia un po’ di storia della pedagogia sa riconoscere che spesso è stata la scuola estrema a scoprire cose per tutta la scuola. La pedagogia che faticosamente pratichiamo a Chance – così come in tante e tante altre
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esperienze dello stesso tipo – credo che possa segnalare, con molta forza, cose importanti sul profilo professionale dei docenti impegnati per una scuola che educhi
in generale, ma insegna soprattutto, ancora una volta, che la relazione educativa è il
centro della scuola che funziona.
I nomi, le persone, i visi, i gesti, le storie sono le cose che per noi contano.
Non dimentichiamo mai che la scuola è soprattutto per le giovani persone che
vanno a scuola.
LE SCUOLE COME COMUNITÀ DI PRATICHE
Ed è, al contempo, quello che viene principalmente da una comunità di pratiche
educative. Infatti, nella mia esperienza ma – credo – in quella di ognuno che fa scuola per bene, il senso, la forza della vita professionale esiste certamente in relazione al
senso di responsabilità individuale rispetto al compito di educare ma prioritariamente e soprattutto in relazione alla comune impresa educativa, alla sua valenza sociale, costruita giorno per giorno insieme ad altri educatori, appunto, in modo altamente artigianale.
Quello che impariamo ogni giorno dalla relazione educativa con i ragazzi e le ragazze e, poi, gli uni dagli altri – tra noi docenti, con i nostri dirigenti scolastici, con gli operatori sociali, con gli psicologi che fanno da sostegno al nostro lavoro di cura e relazione
e con le altre figure di formatori con cui lavoriamo gomito a gomito – rappresenta il sangue e i nervi della nostra azione: il nostro sapere professionale deriva e ha senso in questa fatica che è, insieme, per ciascuno di noi, educare e apprendere a nostra volta.
E non credo di sbagliare se affermo che così è in qualsiasi ambiente educativo che
funziona.
In questa fatica del lavoro educativo l’io di ciascun educatore trova e ritrova senso
e identità nel lavoro comune e nel confronto con i ragazzi stessi e con la loro fatica di
crescere e con gli altri educatori poiché, per sua natura, la relazione educativa che sta
alla base del nostro operare è dialogica, basata sul reciproco riconoscimento, sul rispetto da conquistare sul campo aperto delle relazioni, sull’andare verso…
LA FATICA DELL’INCERTEZZA E DELLA DIFFICILE
COSTRUZIONE DELL’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ
C’è, in tutto questo – credo – materiale davvero interessante per una riflessione deontologica – una riflessione che riprenda il termine deontology a partire dal fondatore
Jeremy Bentham: una volta stabilito un nesso tra l’utile e il bene è possibile e necessario discutere nel merito e dell’utile e del bene.
In campo educativo questa prospettiva riporta tutto, inevitabilmente, non già a
una serie di precetti fissati una volta per sempre, fondati su una scienza normativa,
quale quella di un «ente che sia perfetto», come suggeriva Rosmini, bensì a un comportamento, da scoprire e ri-inventare ogni volta, che vada verso la difficile ricomposizione del conflitto tra interesse individuale e collettivo e verso la costruzione di
identità individuale e collettiva, un comportamento in cui la forza della presa in caPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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rico adulta si deve misurare, ogni volta e ogni giorno, con la difficoltà del compito
educativo di fronte al quale ci si trova.
È un compito per il quale un’intera comunità di pratiche deve saper utilizzare,
in modo integrato:
–
–
–
–
competenze disciplinari aggiornate;
costanza della mediazione comunicativa e culturale gestita in molte direzioni;
competenze psico-pedagogiche e relazionali;
competenze organizzative e di costruzione di impresa pedagogica attenta a processi e prodotti.
È entro questo moto complesso – e non a partire da un insieme di precetti fermi
– che l’educatore, nel concreto della sua azione a scuola, deve e può trovare il tempo, la curiosità etica, l’ambizione fattiva, l’intelligenza di darsi delle regole.
È quanto meno discutibile, dunque, che il lavoro di un gruppo sulla deontologia a scuola si possa concentrare prioritariamente intorno a temi giuridici, possa indagare soprattutto su come costruire norma in modo stabile, lasciando, così, sullo
sfondo la relazione educativa per come essa si manifesta, nei fatti, entro il lavoro vivo del fare scuola.
Tutta la materia richiama, invece, un’opera aperta, incerta, ogni volta arrischiata
e un’opera creata a più mani.
Trovare un codice che fermi questa ben più ampia opera mi sembra un compito
irrealizzabile e anche una riduzione, falsamente rassicurante, del mestiere di educare. Per chi sta in mezzo al lavoro educativo appare qualcosa che serva per lenire il
senso di difficoltà e buona per salvarsi l’anima, non per rimboccarsi le maniche.
Ma, dunque, qualcosa va detto anche sull’inevitabile incertezza che questo mestiere porta con sé e che l’educatore deve poter sostenere. Del resto, è del governo
dell’incertezza che parla ogni pedagogia sapiente.
Un nome per questo governo l’ha, forse, trovato, involontariamente, un sociologo, Giovan Francesco Lanzara, in un bel libro sulla competenza progettuale e i
modelli di intervento nelle organizzazioni, libro che ben si può piegare al tema decisivo, per la deontologia educativa, del progettare scuola da parte del personale della scuola. Il libro ci parla della capacità di pensare e agire attraverso contesti, di saper usare le conoscenze per come queste sono, nei fatti, incorporati nell’azione, del
potenziale «generativo di senso» che l’azione porta con sé.
Sono le persone in azione – nel nostro caso i docenti, gli educatori – che rivelano come questa qualità generativa sappia indicare una dote speciale, una competenza grande in chi ne fa uso. Questa dote – dice Lanzara – il poeta John Keats l’ha
definita Negative Capability:
…quando l’uomo è capace di stare nelle incertezze, nei misteri, nei dubbi senza essere impaziente di pervenire subito a fatti e a ragioni.
Penso che dobbiamo riconoscere – nell’arte di pensare e fare scuola – questa dote, questa capacità. È straordinaria la corrispondenza che questa capacità ha con una
serie di life skills – le abilità per la vita – che l’Organizzazione Mondiale della Sani84
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tà, l’Unicef e l’Unesco considerano obiettivi dell’educazione per tutti i ragazzi e le
ragazze del pianeta, in ogni contesto culturale.
Ed è parimenti straordinaria la corrispondenza tra questa capacità di «stare nel
vivo del contesto eppure scegliere, guidare, prendere posizione pur nelle incertezze» e le
competenze che – da tempo e da più parti – la letteratura individua come decisive
per la costruzione di una nuova cittadinanza.
In un libro di Richard Sennett del 1966 – Uses of Disorder: Personal Identity and
City Life, si dice:
Il primo segreto di una «buona città» sta nell’offrire alla gente la possibilità di assumersi la responsabilità dei propri atti in una «società storicamente imprevedibile», e
non in un «mondo di sogno, di armonia e di ordine prestabiliti». […] Possono affrontare le loro responsabilità solo coloro che sono divenuti maestri nell’arte difficile di agire in un quadro di ambivalenze e incertezze, nate dalla diversità e dalla varietà. Sono persone moralmente mature quegli esseri umani che crescono «avendo
bisogno dell’ignoto, sentendosi non completi senza una certa anarchia nella propria
vita» – coloro che imparano ad «amare ‘l’altro’ che è tra di essi».
Questa corrispondenza tra arte del pensare la scuola e fare scuola e quella di imparare a essere cittadini nel mezzo dell’incertezza ci dice che docenti, educatori, ragazzi
e cittadini tutti possano vivere in una polis in cui il dovere va strenuamente cercato ma
entro la complessità del contesto, in modo aperto e senza illudersi che l’etica della responsabilità possa essere prioritariamente determinata e stabilita dalla parola scritta.
UN MODELLO FONDATO SU PATTI FEDERATIVI
E PER CONCORDE ADESIONE
Sarebbe oggi utile, invece, pensare a un sistema di patti più leggeri ma non per questo meno impegnativi, a un esercizio condiviso e costante di costruzione progressiva della responsabilità nella scuola.
Sempre le Nazioni Unite ci indicano nei percorsi di empowerment le metodiche atte alla
graduale assunzione di responsabilità crescenti da parte di gruppi di educatori e operatori:
sono percorsi che si fondano sul potenziamento delle risorse umane, sulla crescita dei gruppi in azione.
La scuola pubblica potrebbe agire anziché per codici, per spore, attraverso la diffusione di
buone pratiche il cui innesto entro il corpo della scuola dovrebbe essere favorito grazie a un’intelaiatura di supporto, uno scaffolding di sostegno che ne curi la ricettività, replicabilità e modellizzazione entro nuovi contesti.
Del resto va anche e finalmente riconosciuto che quel che di più vivo e ricco vi è stato e
che è in azione oggi nella scuola italiana è partito da gruppi di docenti che hanno saputo assumere in proprio un ruolo competente e responsabile, costruendo le esperienze pedagogiche migliori che abbiamo e dedicandosi a una loro accorta manutenzione nel tempo.
Le esperienze che funzionano rappresentano altrettanti percorsi che, comunque ispirati,
sono sempre partiti per libera scelta e non grazie a un codice: così è, nel piccolo e nel grande, nelle scuole d’Italia.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Sebbene siamo – credo – tutti coscienti di vivere entro una società in cui è debole la cultura che presta attenzione ai risultati, sarebbe, tuttavia, opportuno concentrare la riflessione teorica e anche organizzativa sul come diffondere invece che
sul come dovrebbe essere. Peraltro non è questo l’approccio della migliore cultura
imprenditoriale, quella che sostiene e premia la dimensione, appunto, dell’intraprendere e del rinnovare rispetto alla statica dello stabilire?
Vengono alla mente i versi di Kuan Tzu che, forse, ci dicono qualcosa, insieme,
sull’insegnare e sul processo di costruzione di responsabilità:
Se date un pesce a un uomo farà un solo pasto,
se gli insegnate a pescare, mangerà per tutta la vita.
In ogni caso, non è facile immaginare uno Stato liberale e fondato sul consenso
che abbia la scuola retta da docenti che seguono un codice fisso, magari stabilito altrove rispetto a dove essi operano e assumono responsabilità concrete.
E non è facile immaginare un codice che, a sua volta, per poter funzionare, abbia bisogno di contemplare una casistica sterminata di eventi e circostanze e che, a
ogni accadimento della vita educativa, rischi di essere smentito e di perdere la stessa autorevolezza su cui pretenderebbe di fondarsi.
In una «società storicamente imprevedibile», in un Paese che, per profonde ragioni culturali e circostanze storiche ha una manque di senso diffuso della responsabilità civile e che soffre della malattia della superfetazione di leggi e dispositivi normativi, così spesso ritualmente disattesi, è più saggio rivolgere lo sguardo alla cultura del patto informale tra cittadini.
Bisogna accettare il rischio della costruzione progressiva di responsabilità, che
possa partire su principi di civiltà che sappiano fondarsi innanzitutto sulla legge non
scritta, sull’accordo informale ma forte tra chi vive insieme gli spazi educativi della
scuola e della città: patto tra educatori, patti educativi pensati dai ragazzi, grazie al
lavoro educativo della scuola e delle famiglie, che possano determinarsi progressivamente attraverso la faticosa costruzione dei progetti di vita di ciascuno, patti di
cittadinanza legati alle comunità educative, al quartiere, alla città, in un evidente rimando tra forme organizzative e saperi.
È a questi patti costruiti nel vivo delle relazioni, fondati sul principio della concorde adesione, che, poi, si deve dare voce scritta, ma in modo non definitivo né chiuso né valido sempre e ovunque.
È probabile che a rafforzare questi percorsi, impegnativi ma aperti, di costruzione della responsabilità educativa possano venire – come già accade – i contributi delle associazioni dei docenti, le riflessioni dei gruppi più avvertiti e, soprattutto, un
auspicabile moltiplicarsi di intese interistituzionali tra i diversi attori della scuola
dell’autonomia e, insieme, del federalismo a cui vengono oggi riconosciute sempre
più ampie competenze in campo educativo: consorzi tra scuole e tra scuole e altre
agenzie educative, Comuni, Province, Regioni.
Nel nostro Paese è già possibile creare reti di responsabilità educativa che vadano ben oltre un’idea di processo di apprendimento chiuso entro ogni distinta
scuola, ogni distinta classe. Vi sono centinaia di esempi che si muovono in tale direzione.
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Da questo punto di vista il possibile modello italiano – una volta scartata la via
angusta dell’ordine professionale che risponde a un codice – non è nemmeno quello più arioso dei General councils britannici ma forse, appunto, quello di un moltiplicarsi di patti educativi capaci, col tempo, di integrarsi ed espandere l’assunzione
responsabile di regole per concorde adesione.
Una cosa è certa: non si può dire a parole «federalismo» e, contemporaneamente, aspirare a un unico, centralistico regolatore educativo.
LA SFIDA DELLA LIBERTÀ
Si può certamente storcere il naso, essere scettici circa la realizzabilità di una simile prospettiva e dunque di un comportamento degli insegnanti che se ne sappia fare carico.
Ma è tempo anche di domandarsi: l’alternativa qual è?
Ci sono dei passaggi cruciali nella vita delle grandi istituzioni, come in quella delle persone. Oggi la scuola italiana è a uno di questi passaggi e lo è il fare scuola di
centinaia di migliaia di docenti posti davanti al nuovo.
C’è una ragione che dovrebbe comunque spingerci oltre: così come stiamo – legati a un’idea di scuola basata sul singolo docente della sua materia, spesso congelata a un momento determinato dello sviluppo dei fondamenti che la costituiscono –
una scuola ferma nello spazio e nel tempo – non riusciamo a rispondere a nessuna
delle sfide che vediamo davanti.
Ma c’è anche una grande ragione in positivo, una motivazione forte per cambiare: produrre un nuovo, autentico contesto di significato per i docenti e gli studenti poiché non si può più difendere e conservare ancora a lungo un tipo di istruzione obsoleta, autoreferenziale, insensata.
Questo possibile nuovo contesto non è solo per gli studenti, è anche per i docenti che devono poter vivere la scuola come un contesto «salvo» di ripensamento
di pezzi di cultura, di incontro tra generazioni e di misura anche del proprio essere persone e cittadini, in una dimensione più ecologica del fare scuola, in cui rinasca lo spazio della soddisfazione per le imprese compiute insieme e del piacere di
fare bene.
Perché ciò sia deve poter essere fortemente presente un selettore fondamentale:
la libertà.
Infatti la responsabilità ha senso e peso solo se c’è libertà di ideazione, assunzione di compito, proposta e progettazione, azione nel tempo e nello spazio, gestione
organizzativa e finanziaria, manutenzione.
È possibile che la scuola costituisca un luogo per le nuove generazioni di ampliare
il potere di agire nel mondo e anche con se stessi solo se ciò avviene anche per i docenti
che, nel rinnovare il proprio ruolo, possono acquisire nuova dignità nella società.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
s u l CODICE
DEONTOLOGICO
d i M AU R I Z I O S A LV I
A
chiusura dei lavori della commissione nominata dal ministro Moratti nel
novembre 2001, sento il dovere di esprimere un apprezzamento positivo dell’esperienza fatta, nel suo insieme, nell’intento di «definire i criteri per un
codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di vedere
tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico».
Malgrado la mia posizione di unico genitore presente nella commissione, devo
riconoscere l’accoglienza cordiale ricevuta e l’instaurazione di un proficuo dialogo
durante i lavori. Nella sottocommissione prescelta ho avuto modo di dare il mio
contributo attraverso la ricerca di documentazione riguardante le esperienze in atto negli altri Paesi europei in fatto di codici deontologici. Ho potuto più volte esprimere il mio parere di genitore insistendo soprattutto sulla necessità di una forte collaborazione tra genitori e docenti. Sono sempre convinto che, se vogliamo cambiare in meglio la qualità del servizio scolastico, è determinante il «clima» creato in un
rapporto tra scuola e famiglia, tra docenti e genitori. Un percorso che deve essere
fatto insieme, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto dell’educare.
La commissione, durante il suo lavoro, ha evidenziato l’urgenza di un codice
deontologico per il personale della scuola, diventata necessaria con l’avvento dell’autonomia delle scuole e della nuova regolamentazione dei compiti dei docenti. I
docenti, infatti, si ritrovano responsabili del processo formativo delle loro scuole,
diventando creatori di curricoli e gestori dei processi formativi dei propri alunni.
Le relazioni finali, sia quella del presidente della commissione, avv. Plinio Sacchetto, che quella presentata da parte di un gruppo ristretto incaricato alla stesura di
un resoconto dei lavori fatti, vogliono solo essere una traccia per aprire un dibattito
atto alla realizzazione, in futuro, di un concreto e articolato codice deontologico.
Da parte mia, pur esprimendo condivisione e apprezzamento per queste conclusioni, sento doveroso evidenziare alcuni punti che ritengo di scarsa comprensione e che richiedono chiarimenti e approfondimenti.
Condivido pienamente il riferimento al testo presentato dall’Unesco, a Parigi,
nel 1966, in cui la professionalità docente è descritta come fatta da competenze
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specifiche, responsabilità collettiva e individuale verso gli alunni, codici etici scritti e gestiti dagli stessi insegnanti, come del resto condivido che le caratteristiche
della funzione docente siano l’integrità, la neutralità, l’imparzialità, l’accoglienza
verso gli alunni e le loro famiglie. Sono senz’altro d’accordo sulla necessità di aggiornare i meccanismi della formazione iniziale e le modalità di reclutamento e di
valutazione del servizio svolto dal personale docente.
Mi permetto invece delle osservazioni soprattutto su alcuni punti che considero
critici nei capitoli che riguardano lo stato giuridico degli insegnanti, la funzione docente e la proposta riguardante gli organi d’autogoverno, con particolare riferimento
al Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e agli organi collegiali territoriali.
STATO GIURIDICO DEGLI INSEGNANTI
Nel capitolo «Stato giuridico degli insegnanti» trovo scritto: «la tutela costituzionale sia della libertà d’insegnamento sia del diritto all’educazione e all’istruzione, rendono alcuni degli aspetti fondamentali della funzione docente non assoggettabili alla contrattazione fra le parti».
Non ritengo opportuno mettere sullo stesso piano la tutela costituzionale della
libertà d’insegnamento sancita dall’art. 33 e la tutela costituzionale del «diritto all’educazione e all’istruzione», sancita dagli artt. 2 e 30. La loro diversità necessita di
una precisa distinzione: la libertà di insegnamento spetta alla persona, quindi agli
insegnanti («la scienza e l’arte sono libere e libero ne è l’insegnamento» – art. 33),
mentre il diritto-dovere all’educazione e all’istruzione spetta a ogni persona, in primis ai genitori finché i figli sono minorenni, poi agli insegnanti e alla Repubblica,
secondo il principio di sussidiarietà (art. 30).
Credo sia utile un approfondimento di queste due tutele costituzionali, in modo da chiarire meglio i contenuti possibili del «codice deontologico» nel contemperare la libertà d’insegnamento, la libertà d’apprendimento e la libera scelta educativa delle famiglie (art. 21 della legge 59/97).
Vi è certamente «una libertà di istruire da parte dei docenti» che va posta, però,
di fronte a una «libertà a istruirsi che spetta alla persona» e «alla libertà di istruire i
figli minorenni che spetta ai genitori», prima che ai docenti e allo Stato.
Non dimentichiamo che la Costituzione Italiana, le Convenzioni internazionali che
si ispirano ai valori democratici riconoscono unanimemente che il diritto-dovere di
istruire i figli spetta ai genitori, e poi in modo sussidiario allo Stato e agli insegnanti.
Non mi pare quindi possibile definire «diritti-doveri» di una professione, che è
essenzialmente relazionale, in modo autoreferenziale, senza un confronto con i diritti-doveri dei «partner» e senza avere ottenuto un loro consenso.
FUNZIONE DOCENTE
Il Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia d’istruzione riconosce
che «la libertà d’insegnamento è intesa come autonomia didattica e come libera
espressione culturale», diretta a «promuovere, attraverso un confronto aperto di poPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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sizioni, la piena formazione della personalità degli alunni, nel rispetto della coscienza
morale e civile degli alunni stessi (art. 1 T.U. D.lgs. 297/1994)».
Il termine «insegnante», infatti, definisce sostanzialmente una «relazione», per
cui non può esservi insegnante senza allievo, come non può esservi genitore senza
figlio. Non mi pare possibile definire «i doveri dei genitori» senza concordare quali
siano prima i diritti dei figli.
Il diritto-dovere dell’insegnare dei docenti è «funzionale» rispetto al diritto ad apprendere dell’allievo. Per questo la definizione degli standard di qualità ha bisogno di un
confronto con i destinatari, specie se questi sono «obbligati» a frequentare la scuola.
Diversamente, va assicurata «la libertà effettiva di scegliere i docenti e i loro standard d’offerta professionale», come accade per tutte le professioni.
ORGANI DI AUTOGOVERNO
Si legge, nel capitolo riguardante gli «Organi di autogoverno», che «i docenti dispongano di un proprio autonomo organismo, nazionale e con articolazioni regionali, che sostituisca l’attuale CNPI e più complessivamente gli organi collegiali
territoriali definiti dal D.lgs. 25/06/99».
Questa enunciazione appare impropria in quanto, se l’organismo riguardasse solo
i docenti, non vi sarebbero obiezioni alla sua autonomia autoreferente, ma se avesse
competenze simili al CNPI o ai Consigli territoriali è evidente che dovrebbe fare scelte riguardanti la scuola e tutte le sue componenti (docenti, studenti, genitori…).
Di conseguenza, occorre stabilire una chiara differenziazione tra l’organismo
dei docenti e gli organi collegiali dove non può non confermarsi la presenza di
tutte le componenti scolastiche.
A questo proposito, come genitore che sta vivendo una positiva ed efficace
esperienza nel «Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori» (D.P.R. 567/96;
D.M. 14 del 2002), mi permetto di avanzare una proposta che ricalchi lo schema
degli organismi riguardanti genitori e studenti.
Come accade per i genitori, si potrebbe ipotizzare la costituzione del «Forum
delle Associazioni Professionali dei Docenti», a livello nazionale, regionale, provinciale e territoriale.
In tale sede i docenti potrebbero autonomamente rielaborare il codice deontologico ed esplicitare proposte, pareri e direttive riguardanti la professione docente.
Per le problematiche, invece, riguardanti la scuola, l’istruzione, la formazione nel
suo complesso si dovrebbero ricostituire gli «Organi Collegiali» a livello nazionale,
regionale, territoriale dove, accanto ai rappresentanti dell’amministrazione scolastica, degli Enti Locali, delle forze produttive e sociali delle scuole autonome, vi siano
pure i rappresentanti dei rispettivi Forum dei docenti, dei genitori e degli studenti.
PROCESSI DI COSTRUZIONE DEL CODICE
Esprimo apprezzamento e condivisione per la proposta suggerita di aprire un
dibattito nazionale per la stesura del codice deontologico, in quanto è importante il processo che conduce all’assunzione di regole ancor più del prodotto stesso.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
A questo punto, avanzo la proposta che si apra, contemporaneamente, nelle
scuole autonome un approfondimento in ordine a «doveri-diritti dei genitori nella scuola».
Se si arrivasse a stendere un codice deontologico dei genitori, come già accade in
molte scuole di altri Paesi europei e come già codificato dall’Associazione Europea
dei Genitori (EPA), arriveremmo ad avere a disposizione un quadro organico di riferimento valoriale comprendente lo «Statuto delle studentesse e degli studenti», il
«codice deontologico dei docenti» e la «Carta dei doveri-diritti dei genitori nella
scuola».
Le norme definiscono la scuola come comunità che interagisce con la più vasta
comunità sociale e civica (D.lgs. n. 297, artt. 1-3) che ha il compito di istruire e di
educare, di orientare e di formare, coniugando promozione dell’eccellenza, tutela
dei deboli e rispetto per tutti, attraverso la valorizzazione delle discipline, delle attività e delle relazioni, che costituiscono tutte insieme il suo patrimonio formativo.
Nel caso si diffondesse nelle scuole la bozza, come è stato richiesto al Ministro,
va sottolineata l’importanza che il dibattuto concorra a superare ogni posizione autoreferenziale per avviare un confronto aperto, solidale costruttivo tra tutte le componenti scolastiche, come conferma la legge di recente approvazione che riforma il
sistema educativo d’istruzione e di formazione «al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro
della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia
delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione».
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
91
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
Un a RIVOLUZIONE
C U LTURALE per LA NUOVA
FIGURA di D O C E N T E
d i G I U S E P PE S AVAG N O N E
I
l problema di fondo a cui un codice deontologico della categoria docente deve
rispondere è la demotivazione che oggi colpisce una parte consistente di questa
categoria. Un tempo non lontano l’insegnante si considerava – ed era considerato socialmente – come il titolare di una missione. La sua attività si situava in un
orizzonte di valori condivisi e aveva la dichiarata finalità di dare alle persone una formazione umana complessiva, con una forte connotazione etica. Anche se, in concreto, i destinatari della sua azione erano i membri di una élite, selezionati principalmente in base alla loro estrazione sociale.
La crisi delle grandi istituzioni sociali – prima fra tutte la famiglia tradizionale – ha
rimesso in discussione le premesse culturali di questo modo di concepire l’insegnamento. La scuola non è stata più il luogo della trasmissione, alla futura classe dirigente, del patrimonio ideale su cui si fondava la società e degli stili di comportamento corrispondenti. Anche perché, progressivamente, il consenso su questi valori da parte della comunità civile è diventato sempre più problematico. La convinzione che «ognuno
ha la sua verità» e che l’essenziale non è conformarsi a regole prestabilite, ma agire «secondo la propria coscienza» – o, in una versione più recente, «come si sente di fare» –
ha reso impossibile non solo mantenere i canoni rigidi del passato, ma anche semplicemente additare dei fini validi per tutti. Il multiculturalismo, ormai assunto come
condizione di vita nella nostra società, ha ulteriormente spinto nella direzione di una
sostanziale rinunzia a ogni valore che pretenda di porsi come assoluto.
Per un altro verso, l’avvento dell’istruzione di massa ha reso necessario puntare
su un minimo comune denominatore di competenze e abilità di base, privilegiando il possesso degli strumenti – soprattutto di tipo linguistico e matematico – rispetto all’approfondimento dei contenuti.
Più tardi, con l’autonomia, questa evoluzione è stata completata dall’idea che la
scuola debba rispondere non a una logica verticistica e burocratica, ma alle esigenze della società. Da qui l’impegno di ogni istituto a venire incontro alla domanda
del rispettivo bacino di utenza con un’offerta adeguata, in grado di sostenere la con-
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
correnza degli altri istituti. Una svolta che ha portato le istituzioni scolastiche ad assumere criteri e stili di efficienza assai più vicini a quelli delle aziende private che
non alla tradizionale prassi degli uffici pubblici. Il concetto di POF, «Piano dell’offerta formativa», nasce da questa svolta.
A questo punto, però, non aveva più alcun senso parlare di fini e di valori. Nella misura in cui la scuola si trasformava in un grande supermarket – o, se si preferisce, in un buffet, dove ognuno sceglie le pietanze che predilige – essa non ha avuto
più nulla da dire sulle grandi scelte di fondo dell’esistenza e ha dovuto accontentarsi di fornire strumenti che ogni ragazzo e ragazza, per conto proprio, potesse utilizzare per il proprio soggettivo e insindacabile progetto di autorealizzazione.
Contemporaneamente, la concezione che identificava il professore con un missionario è stata denunciata come una mistificazione, un alibi per giustificare le basse retribuzioni. Progressivamente, la categoria docente si è aperta alla mentalità sindacale – fino a quel momento guardata da molti insegnanti con sospetto e fastidio,
come una specie di profanazione – e alla prospettiva, più moderna e concreta, della professionalità.
Questo concetto, però, si è rivelato più ambiguo e problematico del previsto. Secondo le promesse dei sindacati esso avrebbe dovuto costituire la chiave per accedere
a una mentalità nuova, più «laica» e più duttile, capace di fronteggiare i problemi concreti dell’insegnamento e di rispondere alle nuove richieste della società. Si trattava di
abbandonare la pretesa aristocratica di essere dei «solisti», dei sacerdoti della cultura,
per entrare nella logica di membri di una categoria di lavoratori. E in effetti alcune
conquiste di ordine economico e giuridico sono state rese possibili grazie a questo passaggio dalla figura dell’insegnante-vestale a quella dell’insegnante-dipendente.
In compenso, però, la figura del professore si è gradualmente svuotata del suo
spessore e del suo prestigio. Il docente è diventato un impiegato – per giunta mal
pagato –, sempre meno qualificato dal punto di vista culturale e sempre più appiattito su un mortificante stile burocratico. Da intellettuale ed educatore qual era, egli
si è trovato, nel nuovo contesto, a svolgere la funzione di assistente sociale, di intrattenitore, di accompagnatore, o, nella migliore delle ipotesi, di istruttore in un
campo specifico di competenze e abilità.
Ancora peggio le cose rischiano di mettersi nella nuova logica dell’autonomia,
dove l’insegnante potrebbe vedersi ulteriormente declassato da impiegato a semplice commesso, in balìa dei desideri e dei capricci dei suoi alunni (il cliente ha sempre ragione). Emblematica la crescente difficoltà di far valere la propria autorità anche (non soltanto!) con sanzioni disciplinari, rese sempre più problematiche da una
procedura pseudo-giudiziaria, invece che, come in passato, modellata sull’informale stile familiare.
L’elaborazione di un codice deontologico avrà un senso se implicherà una profonda trasformazione di questo stato di cose e rilancerà un modo più appropriato
di intendere la professionalità del docente. Perché ciò avvenga, però, non basterà che
si crei un organo di autogoverno realmente autonomo e vengano fissate delle norme di comportamento peculiari della professione, sottraendo l’insegnante alla condizione di generico impiegato. Neppure se tutto ciò, come è peraltro ampiamente
auspicabile, comportasse il riconoscimento di un vero sviluppo di carriera e, finalmente, una retribuzione dignitosa.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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Perché il docente torni a essere un punto di riferimento per le nuove generazioni è necessaria una vera e propria «rivoluzione culturale», che gli restituisca il senso
della sua identità e della sua responsabilità.
Responsabilità, in primo luogo, nei confronti delle persone a cui la sua attività
di educatore si rivolge. Non si tratta solo di istruire, vale a dire di trasmettere conoscenze e di addestrare all’uso di metodi e tecniche. Ci sono istruttori anche dei cani o degli animali da circo. La scuola è il luogo dove un giovane deve essere aiutato
a «nascere» – in senso, ovviamente, diverso da quello meramente biologico – e a diventare se stesso. Questo significa «educare» (dal latino e-ducere, «condurre fuori»,
che implica un evidente riferimento metaforico al parto e alla maieutica socratica).
Ma questo implica che la scuola non si limiti a fornire mezzi, e ritorni a proporre
(non a imporre!) fini. Bisogna ritrovare una base di valori – magari quelli offerti dalla nostra Costituzione – su cui impostare l’attività educativa in modo non puramente neutro. Non basta, in altri termini, insegnare ai giovani a ragionare, a usare
il computer, ecc.: è necessario anche aiutarli ad aprire gli occhi sulla realtà e a prendere posizione in rapporto a essa. Altrimenti continueremo ad avere ragazzi che sono ottimi studenti e che poi, magari, bruciano il barbone il mezzo alla strada o gettano sassi dai cavalcavia.
Ciò significa, però, che la responsabilità del docente verso i suoi alunni ne implica un’altra, più profonda, nei confronti della verità e dei valori. Oggi è molto difficile parlare di verità. Eppure, molti che ne rifiutano perfino l’esistenza si battono,
poi, contro le mistificazioni e le menzogne dei politici di parte avversa, denunciano
le falsificazioni giornalistiche, accusano il circo massmediale di costruire un mondo
fittizio. Ma se non c’è alcuna verità non possono esserci neppure gli errori e gli inganni, e queste giustissime battaglie non avrebbero senso. E non è la scuola il luogo
dove educare le nuove generazioni a cercare questa verità, a tutti i livelli e in tutti i
campi, e a smascherare le apparenze ingannevoli e le menzogne? Non dovrebbe essere il docente – come il Morpheus del film Matrix – a guidare i propri alunni in
questa presa di coscienza? O altrimenti, chi?
Proprio in questa responsabilità del professore verso la verità, del resto, trovano
il loro fondamento le richieste di evitare, all’interno della scuola, posizioni unilaterali e forme di indottrinamento che configurerebbero una sorta di plagio. Se si vuole uscire dalla perversa alternativa tra un’asettica neutralità – che, oltre a essere di fatto impossibile, ucciderebbe l’educazione, e una faziosità incompatibile con l’onestà
intellettuale richiesta a un insegnante – è su questa via che dobbiamo procedere.
E qui troverà le proprie radici, in ultima istanza, anche la responsabilità verso la
società, che richiede alla scuola – e ai docenti in particolare – di essere non solo lo
specchio dell’esistente, ma anche la coscienza critica destinata a compiere le necessarie rotture con il presente e il passato, per preparare il futuro.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
PROFESSIONALITÀ
DOCENTE
d i C A R LA X O D O
QUESTIONE DEL NOSTRO TEMPO
La forma semantica più comprensiva da cui partire per assumere l’attività dell’insegnamento è professione. Alla crescente consistenza della dimensione tecnica, oggettivamente definibile, fa il paio l’abbandono di espressioni come «missione», «compito». Professione, con esplicito riferimento al mondo del lavoro, riguarda «abilità
specifiche fondate su ‘corpi di teoria’ aventi carattere sistematico, messi a punto dalle scienze (fisiche, biologiche, comportamentali) dai quali il professionista può derivare la soluzione dei problemi e dei casi particolari che gli vengono sottoposti». Il
sapere che fonda le professioni avrebbe carattere specifico, «non riguarda cioè tutto
lo scibile, ma soltanto quella parte dello scibile elaborato dalle scienze che è circoscritto in un determinato campo (medicina, giurisprudenza matematica, fisica, chimica, biologia, veterinaria, ingegneria, ragioneria, ecc.). L’imporsi dello specialismo
è condizionato, sul piano interiore, dal fatto che la scienza è pervenuta a uno stadio
di specializzazione prima sconosciuto […]. Solo nel caso di un’estrema specializzazione l’individuo può avere sicura coscienza di produrre qualcosa di realmente compiuto nel campo scientifico». L’intellettuale massimalista, dalle sintesi ampie, illuminanti ma inconcludenti sul piano pratico, viene via via soppiantato dal professionista minimalista, capace di intervenire nei diversi aspetti e problemi della quotidianità. Per questo la preparazione di un professionista è valutata non tanto in termini di conoscenza ma di competenza, «una caratteristica intrinseca individuale che
è causalmente collegata a una performance efficace e/o superiore in una mansione
o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito». La categoria di professionalità applicata all’insegnamento evidenzia nel docente l’esperto
disciplinarista e tecnico didattico, competente, appunto, di un ramo delimitato del
sapere: nei suoi aspetti teorico-pratici e in quelli riguardanti l’insegnamentoapprendimento. Ma all’insegnante, insieme a quella specifica, va rivendicata anche
la cultura umanistica generale, la capacità di decidere e agire in situazione. In sostanza l’insegnante deve saper conservare la sua originaria identità di intellettuale,
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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capace di pensare in proprio, per testimoniare, insieme alla competenza tecnica, anche l’azione significativa, la «capacità di comportamento teoretico».
Tuttavia quella dell’insegnante è ancora una professione a identità debole, ma a
elevata specificità perché non appartiene alla categoria delle professioni «indipendenti», ma a quella delle professioni «dipendenti», che si sviluppano all’interno di
organizzazioni, mai totalmente coincidenti con conoscenze tecnico-operative, nobilitate dalla presenza (o tale desiderata) di requisiti di quella competenza etica che
garantisce capacità di giudizio al variare delle situazioni educative.
PER UNA DEFINIZIONE DELLA PROFESSIONE DOCENTE
Per identificare e conoscere una professione, particolarmente l’insegnamento, è insufficiente l’approccio empirico. All’indagine fattuale-quantitativa – si deve accompagnare quella fenomenologico-ermeneutica che privilegia la visione d’insieme.
Una professione emerge sulla base di una domanda sociale:
•
•
•
•
si afferma come una struttura produttiva che garantisce un servizio;
tiene conto di standard culturali;
utilizza strumenti come istituzioni economico-sociali;
matura un patrimonio di conoscenze e di abilità che diventano le core competence della professione;
• afferma una propria assiologia, scala di valori e codice etico-deontologico;
• rivendica margini di autonomia e di libertà di iniziativa;
• afferma una propria identità in continuità con la sua storia.
II passo successivo è la verifica sul campo della teoria, la ricerca dell’attendibilità dell’ipotesi, l’applicazione del medesimo modello all’insegnamento, al fine di far
risaltare la specificità della professione docente.
L’insegnante cerca di rispondere a una domanda di educazione e di istruzione tipiche di società complesse, postmoderne, postindustriali, interdipendenti e globali.
La risposta prospettata non è più temporalmente definita, giacché attiene a un processo che dura tutta la vita del soggetto (long life education), il quale in questo modo
riscatta la più autentica progettualità educativa, quella esistenziale, in cui l’educazione iniziale anticipa l’educazione permanente entro una visione complementare e integrata degli stadi e ambienti educativi. La cifra di una tale educazione è la «multidimensionalità», determinata dal collegamento tra sistema non formale e sistema formale di educazione, nella logica della comunità educante (community care).
II contesto culturale entro cui opera l’insegnante oggi è pluralistico, poliarchico, multiculturale, multietnico, in bilico tra localismo e universalismo, comunità e mondialità, identità e differenza. È la sfida più rilevante alla sua azione educativa, il banco di prova dell’intelligenza critica, del senso di storicità, della capacity di comprensione, flessibilità, immaginazione e convinzioni autenticamente umanistiche cui saprà ricorrere.
Le istituzioni educative – scolastiche e non – entro cui e a cui si collega l’azione
docente oggi rompono il precedente isolamento nello sforzo di convergere verso la
costituzione di un sistema formativo integrato.
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Fulcro di questa nuova politica dell’educazione, oltre la precedente visione scuola-centrica, è il nuovo concetto di autonomia scolastica, alla base della riforma istituzionale in atto nel nostro Paese (cosiddetta legge Bassanini), di cui quella scolastica è solo un aspetto. II vecchio concetto di autonomia come non interferenza trova
la sua piena legittimazione nell’apertura della scuola al territorio sotto la spinta di una
progettualità che, nel rispetto di standard general-nazionali, cerca di corrispondere
alla specificità di esigenze formative locali attraverso curricoli mirati e, complessivamente, con un’offerta formativa adeguata alla comunità. In altri termini, la nuova autonomia che si traduce in progettualità didattica e amministrativa, sburocratizza, decentra, delega, devolve funzioni segnando con ciò il passaggio da quella istituzionale di Stato alla scuola come servizio pubblico alla persona e alla comunità.
L’autonomia scolastica esalta il fare, incoraggia la scelta, opera in funzione della
decisione. Chiama in causa la responsabilità, fa emergere la dimensione prassica dell’azione di insegnare. Insieme al sapere tecnico trova riconoscimento il sapere riflessivo emergente dalla prassi che cerca di dare parola e visibilità a conoscenze implicite all’azione che Anschombe ha definito «senza osservazione» e che altrove sono
stata tradotte con «conoscenze tacite».
In conclusione, il paradigma della complessità, invocato per la professione docente, legittima il superamento della concezione tecnica, isolata dell’insegnamento, per
prospettare la docenza sotto forma di pratica che attinge alla conoscenza riflessiva dell’azione educativa, prende atto dei collegamenti e della diramazione degli apprendimenti provenienti dall’esperienza, ma avverte anche la necessità di riferirsi a un corpo di teoria di lunga tradizione i cui assi portanti sono la pedagogia e la filosofia dell’educazione. Tra le skill raccomandate per un insegnante si prevede fra l’altro:
– capacità di inquadrare una situazione complessa e difficile, e di prendere l’iniziativa;
– capacità di riconoscere le informazioni prodotte dall’azione;
– capacità di interpretare e di utilizzare tali informazioni;
– capacità di verificare la conferma o meno dell’inquadramento iniziale da parte dei risultati prodotti;
– capacità di ristrutturare la situazione e di operare una buona proiezione futura.
Su queste premesse si giustifica l’introduzione anche nell’ambito della docenza,
come per ogni professione, di un codice deontologico a cementare la coscienza individuale ma anche sociale della professione, dare sostanza al bisogno di moralità
ma anche di eticità, di responsabilità ma anche di senso civico. Esigenze, queste, che
l’autonomia scolastica, introdotta dalla riforma, ha avuto il potere di accentuare dilatando lo spazio della libera iniziativa del docente, in tal modo caricando ulteriormente di responsabilità il suo operare. L’autentica responsabilità etica in questa professione coincide con l’impegno per lo sviluppo integrale della persona, per la promozione di quei «beni ontici» che riguardano l’essere personale dello studente:
– beni morali per il docente – poiché la loro promozione è soggetta alla libertà
del docente stesso;
– beni pre-morali per lo studente – in quanto dipendono solo in parte dalla sua
volontà.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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L’IDENTITÀ DELL’INSEGNANTE OGGI
Certamente il tratto più significativo è la capacità di educare, che è altro, un di più
o diverso rispetto alle competenze dell’insegnante disciplinarista. È la risposta inevitabile che ci si aspetta in società pluraliste multietniche, rappresentate da istituzioni autonome, decentrate, federaliste, funzionali a una educazione che dura tutta
la vita dei soggetti, che richiede competenze teorico-tecniche ma anche etico-pratiche, con un margine di autonomia sempre più ampio all’interno della professione.
Oggi non basta più acquisire solo ed esclusivamente contenuti, bisogna saper intraprendere un percorso di apprendimento più lungo che dalle conoscenze culmina alle competenze come saper essere della persona. Ricerche recenti sul livello di
alfabetizzazione in età adulta, literacy, hanno incontrovertibilmente fatto emergere
l’inadeguatezza della concezione meramente trasmissiva dell’insegnamento.
Una conferma importante di quanto andiamo dicendo proviene dai testi normativi sulla riforma scolastica. L’art. 1 legge 30/2000 e art. 2 del disegno di legge delega parlano di «sistema educativo di istruzione e di formazione». Se l’insegnante è un
professionista sociale che opera all’interno di un sottosistema così denominato, la sua
identità non può non essere, principalmente, quella di un educatore. Ulteriori convergenze verso questa identità si ricavano dal comma 1, art. 2, della legge delega. L’insegnante è considerato ancora un educatore che si impegna a operare in una «prospettiva di apprendimento in tutto l’arco della vita […] per assicurare a tutti pari opportunità di raggiungere livelli culturali e di sviluppare le proprie capacità e le competenze attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, con riguardo alle dimensioni locali, nazionali ed europee». Il comma su citato
è ricco di implicazioni educative. Le più significative appaiono le seguenti:
• la professione docente si occupa direttamente dell’uomo;
• se ne occupa, tuttavia, in maniera diversa rispetto ad altre professioni, cioè con
una visione integrata e globale della persona;
• essere insegnanti significa dedicarsi a ciò che fa essere uomo un uomo. Non
basta quindi conoscere, bisogna anche saper promuovere la specificità umana
nello studente;
• tale specificità è costituita da un insieme di potenzialità, come: intelligenza,
moralità, sensibilità estetica, sentimento, affettività, abilità pratiche, coscienza morale, autonomia.
Ulteriori spinte «educazioniste» provengono dallo Statuto delle studentesse e degli studenti (D.P.R. 24 giugno 1998). La scuola viene definita «luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo
della coscienza critica», «comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona, in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale
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A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
sui diritti dell’infanzia fatta a New York il 20 novembre 1989 e con i principi generali dell’ordinamento italiano» (art. 1, comma 2).
Il testo è ricco di implicazioni educative. All’insegnante vengono richieste, per
esempio:
• conoscenza pedagogica relativa al processo di costruzione di identità personale, terreno su cui si sviluppa l’educazione e dove trovano garanzia la valorizzazione delle potenzialità di ognuno, nonché un autentico orientamento in termini di progettualità;
• riconoscimento e promozione della singolarità personale;
• rispetto dovuto a ogni studente, anche in termini di riservatezza;
• capacità di coinvolgere gli studenti nella vita della scuola sapendo valorizzare
le loro iniziative, opinioni, posizioni, soprattutto informare delle decisioni e
delle regole della vita scolastica;
• atteggiamento valutativo in funzione educativa, attraverso un’azione trasparente che aumenta l’informazione sul processo educativo e punta all’autovalutazione dello studente;
• capacità di progettare un’offerta didattico-educativa differenziata, commisurata alle esigenze e attitudini di apprendimento in ogni studente, nel rispetto
del diritto alla libertà di scelta;
• capacità di relazionarsi e dialogare con ogni studente senza violare identità e
provenienze culturali;
• capacità di comunicare a partire da un atteggiamento di accoglienza dello studente e privilegiando la dimensione dell’ascolto;
• capacità di garantire libertà di espressione, di religione, di convinzioni, attraverso il confronto critico;
• capacità di praticare e promuovere la buona argomentazione.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
99
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
IL CODICE
d i C O M P O RTA M E N T O
degli I N S E G N A N T I
d i PAO LA Z E R M A N
FUNZIONE DEL CODICE DI COMPORTAMENTO
La condotta dei dipendenti pubblici è questione di grande rilievo per i cittadini. È
esperienza comune, infatti, che dalla qualità del comportamento del dipendente
pubblico dipende l’immagine complessiva dello standard morale e culturale dell’intera Pubblica amministrazione.
Non basta, al riguardo, lamentare la caduta della moralità pubblica, ma occorre
fornire all’impiegato canoni di comportamento ordinati, approntare gli strumenti
giuridici per ricostituire una morale collettiva del pubblico impiego, in presenza di
incertezze e sfide etiche ben più difficili che in passato.1
Specie nei Paesi anglosassoni vi è una lunga tradizione di «Ethics in Government».
In particolare negli Stati Uniti nel 1980 il Congresso approvò un «Code of Ethics
for Government Service», sotto forma di decalogo di principi generalissimi.
Si può quindi affermare che lo scopo del codice di condotta è quello di riaccreditare,
di fronte all’opinione pubblica, la figura dell’impiegato della Pubblica amministrazione,
con l’intento di superare i noti fenomeni di inefficienza e trascuratezza, ma anche, sembra, di rivalutare il ruolo e la dignità dell’impiegato prima di tutto di fronte a se stesso,
facendogli comprendere la dignità del suo ruolo, inteso come servizio alla collettività.
LA PREVISIONE NORMATIVA
Il codice di comportamento è attualmente previsto dall’art. 54 del D.lgs. 165/2001,
recante «norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche».
1 Così si esprime il rapporto redatto a cura del Dipartimento della Funzione Pubblica, riportato in Professionalità e codice deontologico degli insegnanti di Alessandra Cenerini e Rosario
Drago, Erickson, Trento, 2001, p. 112.
100
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Il Dipartimento per la Funzione Pubblica, sentite le confederazioni sindacali
maggiormente rappresentative, definisce il codice di comportamento. Ciascuna pubblica amministrazione verifica l’applicabilità di tale codice, sentiti anche i sindacati
e le associazione di utenti e consumatori, per apportare eventuali integrazioni o modifiche al fine dell’adozione di uno specifico codice di comportamento per la singola amministrazione (art. 54 D.lgs. 165/2001).
Il nuovo codice di comportamento emanato con decreto del Ministro della Funzione Pubblica del 28 novembre 2000 (che abroga il precedente del 1994) chiarisce
che i principi e i contenuti del codice costituiscono «specificazioni esemplificative»
degli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità che qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa.
Il codice emanato dalla Funzione Pubblica prevede una serie molteplice di doveri del dipendente, sia in servizio, nei rapporti con il pubblico, con i colleghi e con
i superiori, che nella vita sociale.
In particolare il dipendente deve stabilire un clima di fiducia con il cittadino,
semplificandogli l’esercizio dei diritti, evitando di accettare regalie, assicurando la
parità di trattamento dei cittadini e rispondendo sollecitamente ai loro reclami.
In sintesi, l’art. 54 D.lgs. 165/2001 chiarisce che ciascuna amministrazione adotta un codice di comportamento.
La norma descrive il procedimento mediante il quale tale adozione deve avvenire e cioè: emanato il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, l’organo di
vertice della singola PA verifica l’applicabilità alla propria amministrazione, valendosi del parere delle OO.SS. maggiormente rappresentative e le associazioni degli
utenti e dei consumatori.
Il codice di comportamento, secondo la norma, è definito «anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le stesse amministrazioni rendono ai cittadini».
I principi del codice di comportamento vengono coordinati con le previsioni
contrattuali in materia di responsabilità disciplinare.
Il rapporto tra codice etico e sanzioni disciplinari è estremamente delicato. Di
esso si parlerà successivamente.
I dirigenti responsabili di ciascuna struttura vigilano sull’applicazione dei codici di comportamento.
Il contenuto della norma sembra quindi che debba essere letto sotto i seguenti
profili:
a) suggerire eventuali modifiche ai doveri contenuti nella tipologia dei doveri sanzionati disciplinarmente;
b) predisporre quelle attività di formazione del personale per la conoscenza e la
corretta applicazione del codice di comportamento, prevista dal comma 7
dell’art. 54 D.lgs. 165/2001;
c) suggerire quelle opportune modificazioni di carattere organizzativo che sono
necessarie per migliorare la qualità del servizio che la PA rende ai cittadini (art.
54, comma 1).
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
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LA NATURA GIURIDICA DEL CODICE DI COMPORTAMENTO
Come sopra si è rilevato, assai controversa in dottrina è la natura giuridica del codice di comportamento con le relative conseguenze circa la sua vincolatività e l’applicabilità di sanzioni disciplinari in caso di violazione dei doveri in esso previsti.
Effettivamente se è vero che l’art. 54 prevede che i principi del codice di comportamento vengano coordinati con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare, il problema relativo alla rilevanza disciplinare si pone ove tale
coordinamento non vi sia stato o sia stato solo parziale.
Vi è chi ritiene che il contenuto del codice abbia solo natura etica, chi ritiene che
abbia natura vincolante in ragione del suo recepimento nella contrattazione collettiva e individuale, ma non chiarisce se dalla sua violazione sorge una responsabilità
disciplinare.
C’è infine chi sostiene la natura sostanzialmente disciplinare del codice di comportamento.
Le diverse opinioni si fondano sul tenore letterale degli artt. 54 e 55 e sul non
chiaro coordinamento tra il codice di condotta e quello disciplinare operato dalle
due norme.
In sintesi, chi ritiene che il valore di tale norme sia sostanzialmente metagiuridico argomenta in base al fatto che, ai sensi dell’art. 55 del D.lgs. 165/2001, il codice disciplinare (comprensivo della tipologia delle infrazioni e delle sanzioni disciplinari), è materia oggetto di regolamentazione pattizia, mentre invece il codice di
condotta è emanato con atto unilaterale della PA, non avente nemmeno natura regolamentare, e solo dopo aver «sentito» le organizzazioni sindacali.
Secondo la impostazione più rigorosa il codice di comportamento deve essere
strettamente correlato ai doveri rilevanti disciplinarmente e ciò in ragione dell’esplicito dettato normativo di cui all’art. 55 D.lgs. 165/2001, secondo cui «ferma restando la definizione dei doveri del dipendente a opera dei codici di comportamento
di cui all’art.54, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni disciplinari è definita dai contratti collettivi».
Ulteriori previsioni della obbligatorietà del codice sembrano addursi dalla previsione di corsi di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione dei codici di comportamento, nonché sulla ulteriore previsione dell’onere di
vigilanza sulla applicazione del codice da parte dei dirigenti responsabili di ciascuna struttura.
In realtà, effettivamente le norme non sono chiare e possono dare adito a entrambe le soluzioni prospettate.
A parere di chi scrive sembra doversi affermare sì la natura obbligatoria del codice, e ciò effettivamente in ragione del suo recepimento nel contratto collettivo individuale, nonché nell’obbligo di osservanza dettato dall’art. 1 del medesimo. Da
tale obbligatorietà discende l’onere di vigilare per la corretta applicazione del medesimo, nonché per adeguatamente istruire i dipendenti sul suo contenuto.
La violazione del medesimo, si ritiene, però, che non abbia rilievo disciplinare e
ciò in ragione della natura strettamente pattizia del codice disciplinare, a meno che
quest’ultimo non rinvii al medesimo codice di comportamento per la specificazione dei comportamenti sanzionabili.
102
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Si ritiene, al riguardo, che tale impostazione non faccia perdere di efficacia al valore del codice di comportamento; essendo lo stesso diretto a elevare lo standard morale del dipendente pubblico, si reputa che debba essere rispettato in quanto tale e
non in ragione delle sanzioni che tutelano l’osservanza del medesimo. In definitiva,
si auspica che il clima che i dirigenti dell’ufficio sono tenuti a creare per favorire l’osservanza del corretto comportamento del pubblico dipendente sia tale da imporre
per lealtà e correttezza l’osservanza del medesimo, senza dover ricorrere alla minaccia di misure sanzionatorie.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
103
2002
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE
N° 2/3
2/3
Documenti
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
DECRETO MINISTERIALE
COSTITUTIVO
del GRUPPO DI LAV O R O
(2/11/2001)
VISTA la legge 15 marzo 1997, n. 59 che
all’art. 11 prevede l’adozione di codici di
comportamento da parte delle singole amministrazioni pubbliche, e all’art. 21 detta
norme per l’attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, la riorganizzazione dell’Amministrazione scolastica e la qualificazione delle professionalità in essa operanti;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, con il quale è stato emanato il regolamento recante
norme in materia di autonomia didattica e
organizzativa delle istituzioni scolastiche
ai sensi del citato articolo 21 della legge
n. 59/97;
VISTO il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo del comparto Scuola sottoscritto il
31 agosto 1999;
VISTO il decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;
CONSIDERATA l’esigenza di costituire un
gruppo di lavoro, formato da esperti, cui affidare il compito di definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola
che consenta alla categoria di veder tutelata
la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità
del sistema scolastico;
VISTO il Contratto Collettivo Nazionale di
Lavoro del comparto Scuola sottoscritto il 4
agosto 1995;
DECRETA
ART. 1
VISTO il Contratto Collettivo Nazionale di
Lavoro relativo al quadriennio normativo
1998-2001 e al biennio economico 19981999 del personale del comparto Scuola sottoscritto il 26 maggio 1999;
1. È istituito, presso l’Ufficio di Gabinetto,
un gruppo di lavoro, cui sono attribuiti i
compiti evidenziati in premessa, così costituito:
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
107
– PRESIDENTE ONORARIO, Cardinale
Ersilio TONINI
– PRESIDENTE, Plinio SACCHETTO,
Avvocato Generale dello Stato
COMPONENTI
– Avvocato Paola ZERMAN
– Dr.ssa Carmela LO GIUDICE
– Dott. Roberto LEONI
– Prof. Rosario DRAGO
– Dott. Massimo TOCCI
– Prof. Gianfranco CAPPELLO
– Prof.ssa Carla XODO
108
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
– Prof. Giuliano PIAZZI
– Prof. Giuseppe SAVAGNONE
– Prof.ssa Alessandra CENERINI
– Prof. Gianni MEREGHETTI
– Prof. Marco ROSSI DORIA
– Prof. Emilio BROGI
– Prof. Carlo CEROFOLINI
– Ins. Valeria MARCON
– Prof.ssa Luciana LEPRI
– Sig. Maurizio SALVI
IL MINISTRO
LETIZIA MORATTI
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
UNESCO-OIT
RACCOMANDAZIONE
s u l l o S TAT U S
degli I N S E G N A N T I 1
INTRODUZIONE
La speciale Conferenza intergovernativa sullo status degli insegnanti, memore che il diritto all’educazione è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, cosciente della responsabilità degli Stati di assicurare a tutti una educazione appropriata, in conformità con l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo, con i principi 5, 7 e 10 della Dichiarazione dei diritti del bambino e con
quelli delle Nazioni Unite riguardanti la promozione fra i giovani degli ideali di pace, del
mutuo rispetto e della comprensione tra i popoli, consapevole della necessità di sviluppare e diffondere l’istruzione generale, tecnica
e professionale per promuovere tutte le attitudini e le risorse intellettuali esistenti, che è
condizione necessaria per lo sviluppo dei valori morali e culturali e per il progresso economico e sociale, riconoscendo il ruolo essenziale degli insegnanti nello sviluppo dell’educazione e il loro contributo fondamen-
1
tale alla promozione della personalità umana e della società moderna con l’impegno di
assicurare agli insegnanti uno status che sia
adeguato a questo ruolo, considerata la grande diversità delle legislazioni e degli usi che,
nei diversi Paesi, determinano le strutture e
l’organizzazione dell’insegnamento, tenuto
ugualmente conto della diversità dei regimi
che si applicano, nei diversi Paesi, al personale insegnante, in particolare a seconda che
questo personale sia inquadrato come dipendente pubblico, nella convinzione che,
nonostante tali differenze, la condizione degli insegnanti ponga problemi simili in tutti
i Paesi e richieda l’applicazione di norme e
misure comuni, che questa Raccomandazione intende precisare, tenuto conto delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali in vigore applicabili agli insegnanti e, in particolare, degli strumenti che hanno per oggetto i diritti fondamentali dell’uomo quali la Convenzione sulle libertà sindacali e la protezione del diritto sindacale
Deliberata a Parigi il 5 ottobre 1966 dalla speciale Conferenza intergovernativa convocata dall’Unesco in cooperazione con l’OIT.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
109
(1948), la Convenzione sul diritto d’organizzazione e di negoziazione collettiva (1949),
la Convenzione sull’uguaglianza di remunerazione (1951), la Convenzione riguardante
la discriminazione (impiego e occupazione)
(1958), adottate dalla Conferenza generale
dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT), così come la Convenzione riguardante la lotta contro la discriminazione
nel campo dell’insegnamento (1960), adottata dalla Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), tenuto inoltre conto delle raccomandazioni riguardanti i diversi progetti relativi alla formazione e alla condizione del personale insegnante della scuola primaria e secondaria,
adottati dalla Conferenza internazionale sull’istruzione pubblica convocata congiuntamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura e
l’Ufficio Internazionale dell’Educazione, così come la Raccomandazione riguardante l’insegnamento tecnico e professionale adottata
nel 1962 dalla Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, con il desiderio di completare le norme esistenti tramite disposizioni relative ai problemi che sono di particolare importanza per il personale insegnante e con l’intento di far fronte al
problema della mancanza di insegnanti, adotta la presente Raccomandazione:
I - DEFINIZIONI
1. Per i fini della presente Raccomandazione:
la parola insegnante designa tutte le persone
che, nelle scuola, sono incaricate dell’educazione degli alunni; la parola status applicata
agli insegnanti indica sia la posizione che si
riconosce loro nella società, secondo il grado
di considerazione attribuita alla loro funzione e alle loro competenze, sia le condizioni di
lavoro, la retribuzione e gli altri benefici ma110
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
teriali loro accordati, rapportati a quelli goduti da altre professioni.
II - CAMPI DI APPLICAZIONE
2. La presente Raccomandazione si applica a
tutti gli insegnanti degli istituti pubblici e privati fino all’istruzione secondaria, siano essi
asili nido, scuole dell’infanzia, scuole elementari, medie inferiori o superiori, compresa l’istruzione tecnica, professionale o artistica.
III - PRINCIPI GUIDA
3. L’educazione dovrebbe mirare, fin dai primi anni di scuola, al pieno sviluppo della personalità umana e al progresso spirituale, morale, sociale, culturale ed economico della collettività, così come a inculcare un profondo
rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali. Nel quadro di questi valori,
l’importanza maggiore dovrebbe essere accordata al contributo che essa può apportare
alla pace, alla comprensione, alla tolleranza e
all’amicizia fra tutte le nazioni e tra tutti i
gruppi razziali o religiosi.
4. Dovrebbe essere riconosciuto che il progresso dell’insegnamento dipende in gran parte dalla qualificazione e dalla competenza del
corpo insegnante e anche dalle qualità umane, pedagogiche e professionali di ciascuno
dei suoi membri.
5. La condizione degli insegnanti dovrebbe essere commisurata ai bisogni dell’educazione, alle finalità e agli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere in questo settore, per realizzare i quali bisogna che gli insegnanti godano di un giusto status e che la professione
docente sia circondata dalla considerazione
pubblica che merita.
6. L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico, tale professione ri-
chiede non solo conoscenze approfondite e
competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e continui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi.
7. Tutti gli aspetti concernenti la formazione e il rapporto di lavoro degli insegnanti
non devono essere condizionati da nessuna
forma di discriminazione basata sulla razza,
il colore, il sesso, la religione, le opinioni politiche, l’origine nazionale o sociale o la condizione economica.
8. Le condizioni di lavoro degli insegnanti dovrebbero essere tali da favorire al massimo un insegnamento efficace e permettere
loro di dedicarsi pienamente alle finalità della loro professione.
9. Si dovrebbe riconoscere che le organizzazioni degli insegnanti possono contribuire enormemente al progresso dell’educazione e che di conseguenza esse dovrebbero
essere coinvolte nell’elaborazione della politica scolastica.
IV - SCOPI DELL’INSEGNAMENTO
E POLITICA SCOLASTICA
10. Ogni Paese dovrebbe assumere misure appropriate per definire una politica scolastica
complessiva conforme ai principi guida sopra enunciati, facendo leva su tutte le risorse
e competenze esistenti. A tal fine, le autorità
competenti dovrebbero tenere conto dei riflessi che hanno sugli insegnanti i principi e
gli obiettivi che di seguito si indicano:
Ogni bambino ha il diritto fondamentale di beneficiare di tutti i vantaggi dell’educazione; una particolare attenzione deve essere prestata ai bambini che necessitano di un
trattamento pedagogico speciale;
Il diritto all’istruzione richiede che tali facilitazioni siano accordate a tutti senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore, la religione, le opinioni politi-
che, l’origine nazionale o sociale, o la condizione economica;
L’insegnamento costituisce un servizio di
importanza fondamentale per l’ interesse generale; la responsabilità dell’istruzione dovrebbe pertanto spettare allo Stato, al quale
compete la diffusione di una rete sufficiente
di scuole, la garanzia della gratuità dell’educazione e dell’assistenza materiale agli allievi
bisognosi. Questa disposizione non deve essere tuttavia interpretata in modo da costituire una limitazione alla libertà dei genitori
o, eventualmente dei tutori, di scegliere per i
loro figli scuole diverse da quelle istituite dallo Stato, o compromettere la libertà di persone o organizzazioni di aprire e gestire istituti scolastici che rispondano alle norme minime fissate o approvate dallo Stato in materia di insegnamento:
Considerato che l’educazione è un fattore essenziale dello sviluppo economico, la pianificazione dell’istruzione dovrebbe essere parte integrante dell’insieme della pianificazione economica e sociale destinata a migliorare le condizioni di vita;
Poiché l’educazione è un processo continuo, ci dovrebbe essere un coordinamento
stretto tra i diversi gradi del sistema scolastico in modo da migliorare sia la qualità dell’istruzione di tutti gli allievi sia la condizione
degli insegnanti:
Ci dovrebbe essere libero accesso a un sistema flessibile di scuole opportunamente
collegate fra di loro, in modo che niente limiti la possibilità per ogni allievo di accedere a qualsiasi livello in qualsiasi tipo di istruzione:
In materia di educazione, nessuno Stato
dovrebbe darsi come solo obiettivo la quantità senza cercare anche la qualità;
Nell’istruzione sono necessari la pianificazione e la programmazione sia a lungo che
a breve termine: un’efficace integrazione degli allievi di oggi nella collettività dipenderà più dai bisogni futuri che dalle esigenze
attuali;
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
111
Ogni pianificazione dell’educazione dovrebbe prevedere tempestivi interventi di formazione iniziale e in servizio di un numero
sufficiente di insegnanti competenti e qualificati per ogni livello scolastico, che conoscano la vita del loro popolo e siano capaci di insegnare nella lingua materna di quel popolo;
Nel campo della formazione e del perfezionamento professionale degli insegnanti sono di fondamentale importanza le ricerche e
gli interventi sistematici, coordinati e continui; essi dovrebbero comprendere la cooperazione internazionale dei ricercatori e lo
scambio dei risultati delle ricerche;
Per la definizione della politica scolastica e
dei suoi obiettivi ci dovrebbe essere cooperazione fra le autorità competenti, le organizzazioni degli insegnanti, dei datori di lavoro, dei
lavoratori, e di genitori, nonché le organizzazioni culturali, educative e di ricerca;
Poiché la realizzazione delle finalità e degli obiettivi dell’educazione dipende in gran
parte dai mezzi finanziari disponibili, tutti i
Paesi dovrebbero riservare, in termini prioritari nei bilanci dello Stato, una porzione adeguata del reddito nazionale per lo sviluppo
dell’educazione.
V - PREPARAZIONE ALLA
PROFESSIONE DOCENTE
Selezione
La definizione delle modalità di accesso ai corsi di formazione per i futuri insegnanti, dovrebbe fondarsi sull’esigenza di dotare la società di un numero sufficiente di insegnanti
che abbiano le dovute qualità morali, intellettuali e fisiche e possiedano le necessarie conoscenze e competenze.
11. Per soddisfare tale esigenza, le autorità competenti dovrebbero rendere questa formazione sufficientemente attraente e assicurare un numero adeguato di posti nelle istituzioni preposte.
112
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
12. L’accesso alla professione docente dovrebbe richiedere il superamento di un apposito corso di studi in uno specifico istituto
di formazione per insegnanti.
13. L’ ammissione a tale corso dovrebbe
richiedere il possesso di uno specifico diploma di istruzione secondaria e di caratteristiche personali che consentano a questi futuri
insegnanti di diventare degni membri della
professione docente.
14. Per l’accesso ai corsi di formazione iniziale non si dovrebbe mai derogare dal possesso degli standard generali, dovrebbe invece essere possibile ammettere candidati che,
pur non avendo tutti i titoli di studio richiesti, possiedono un’esperienza valida di ordine tecnico o professionale.
15. I futuri insegnanti dovrebbero poter
beneficiare di borse di studio o di un aiuto finanziario che permettesse loro di seguire i corsi di formazione e vivere decentemente, le autorità competenti dovrebbero inoltre stabilire, per quanto possibile, un sistema gratuito
di istituti di formazione.
16. Gli studenti e altre persone che intendano seguire i corsi di formazione all’insegnamento dovrebbero ricevere tutte le informazioni necessarie sulle possibilità di formazione, di borse di studio e di altri aiuti finanziari disponibili.
17. L’accesso all’insegnamento di persone
che si sono formate in un altro Paese, dovrebbe
essere accordato in toto o in parte solo dopo
accurata valutazione dei programmi di formazione seguiti.
18. Appare a questo scopo opportuno definire a livello internazionale standard di formazione degli insegnanti che siano riconosciuti da tutti i Programmi di formazione degli insegnanti.
19. I programmi di formazione degli insegnanti dovrebbero essere finalizzati allo sviluppo delle conoscenze generali, della cultura personale, delle competenze didattiche e
delle qualità di educatori, alla comprensione
e alla consapevolezza dei principi che presie-
dono lo stabilirsi di buone relazioni umane
all’interno e al di fuori delle frontiere nazionali, all’assunzione di responsabilità nei confronti del progresso sociale, culturale ed economico, che si esercita sia attraverso l’insegnamento che attraverso l’esempio.
20. Ogni programma di formazione degli
insegnanti dovrebbe comprendere essenzialmente i seguenti punti: Studi generali; Studi
degli elementi fondamentali della filosofia,
della psicologia e della sociologia applicati all’educazione, lo studio della teoria e della storia dell’educazione, dell’educazione comparata e della pedagogia sperimentale nelle diverse discipline; Studi relativi alla specifico
campo di insegnamento.
21. Pratica di insegnamento e di attività
extracurricolari sotto la guida di insegnanti
pienamente qualificati: tutti gli insegnanti
dovrebbero acquisire la loro formazione generale, specialistica e pedagogica presso una
università o un istituto di formazione di pari livello o presso istituzioni specializzate per
la formazione degli insegnanti. I programmi
di formazione potranno in parte variare a seconda delle finalità dei diversi tipi istituti a
cui gli insegnanti sono destinati, quali istituti per bambini handicappati, o scuole tecniche e professionali. In quest’ultimo caso, i
programmi potrebbero comprendere esperienze pratiche nell’industria, nel commercio
e nell’agricoltura.
22. Nei programmi di formazione degli insegnanti, la preparazione pratica può essere sia
contemporanea sia successiva alla formazione
generale, o a quella specialistica o alla formazione delle competenze professionali.
23. Come regola generale, la formazione
dei futuri insegnanti dovrebbe essere a tempo pieno; si potranno comunque prevedere
disposizioni speciali per i candidati più anziani o per altre specifiche categorie, che consentano, eccezionalmente, di svolgere tutta o
parte della formazione a tempo parziale, a
condizione che il contenuto della formazione così ricevuta e il livello raggiunto siano
equiparabili a quelli ottenuti con i corsi a tempo pieno.
24. Si dovrebbe attentamente considerare
l’opportunità che la formazione delle diverse
categorie di insegnanti – insegnamento primario, secondario, tecnico, professionale, speciale – avvenga in istituti organicamente collegati tra di loro o vicini gli uni gli altri.
Istituti di formazione
degli insegnanti
25. I professori degli istituti di formazione
degli insegnanti dovranno essere qualificati
per insegnare a un livello paragonabile a quello dell’insegnamento superiore. Lo staff di insegnanti incaricati della formazione pedagogica dovrebbe avere esperienza diretta di insegnamento scolastico e ove possibile rinnovare periodicamente la propria preparazione
con rientri a scuola.
26. Bisognerebbe favorire la ricerca e la
sperimentazione in campo educativo e nell’insegnamento delle varie discipline, dotando le strutture di formazione delle attrezzature e dei mezzi necessari e facilitando l’attività di ricerca dei professori e degli studenti.
I professori in carico della formazione dei futuri insegnanti dovrebbero tenersi aggiornati sui risultati delle ricerche nei loro campi di
interesse e farne beneficiare i loro allievi.
27. In tutte le istituzioni di formazione
degli insegnanti, gli studenti e i professori dovrebbero avere la possibilità di esprimere la
loro opinione sulle disposizioni riguardanti
la vita, l’attività e la disciplina dell’istituzione stessa.
28. Le istituzioni di formazione degli insegnanti dovrebbero contribuire al progresso
dell’insegnamento, da un lato tenendo le scuole aggiornate sui risultati delle ricerche e sui
nuovi metodi, dall’altro immettendo nella loro attività l’esperienza viva delle scuole e degli insegnanti.
29. La certificazione dell’esito positivo del
corso di formazione per l’insegnamento do-
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
113
vrebbe spettare alle istituzioni di formazione,
separatamente o congiuntamente o in collaborazione con altre istituzioni di insegnamento superiore o con le autorità competenti dell’educazione.
30. Le autorità scolastiche, in collaborazione con le istituzioni di formazione, dovrebbero prendere misure appropriate per procurare agli insegnanti giunti al termine della
loro formazione, un impiego coerente con
quest’ultima, con i loro desideri e anche con
la loro situazione personale.
VI - FORMAZIONE IN SERVIZIO
DEGLI INSEGNANTI
31. Le autorità e gli insegnanti dovrebbero riconoscere l’importanza della formazione in
servizio quale garanzia del miglioramento continuo dei contenuti dell’insegnamento e delle tecniche pedagogiche.
32. Le autorità, previa consultazione con le
organizzazioni degli insegnanti, dovrebbero
promuovere la creazione di un vasto sistema di
formazione in servizio gratuito per tutti gli insegnanti. Questo sistema dovrebbe offrire una
grande varietà di scelte, e dovrebbe avvalersi del
contributo delle istituzioni per la formazione
iniziale degli insegnanti, degli istituti scientifici e culturali e delle organizzazioni degli insegnanti. Dovrebbero anche essere organizzati
corsi di aggiornamento per quegli insegnanti
che riprendono l’attività di insegnamento dopo un periodo di interruzione del servizio.
33. Dovrebbero esser organizzati corsi e
predisposte altre agevolazioni per permettere agli insegnanti di migliorare le loro qualificazioni, di modificare o ampliare il campo
della loro attività, di aspirare a una promozione o di tenersi aggiornati sui progressi realizzati nella loro disciplina e nel loro campo
d’insegnamento, relativamente sia ai contenuti che ai metodi.
34. Dovrebbero essere adottate misure per
mettere a disposizione degli insegnanti libri
114
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
e altri strumenti di lavoro che consentano loro di migliorare la propria cultura generale e
la propria qualificazione professionale. Gli insegnanti dovrebbero essere incentivati a partecipare ai corsi di aggiornamento e a utilizzare le varie attrezzature in modo da trarne
tutto il vantaggio possibile.
35. Le autorità scolastiche dovrebbero
adottare ogni misura per mettere le scuole in
grado di applicare i risultati delle ricerche che
possono interessarle sia per quanto riguarda
le discipline che i metodi pedagogici.
36. Le autorità dovrebbero incoraggiare e,
per quanto possibile, aiutare gli insegnanti a
intraprendere viaggi collettivi o individuali
entro il loro Paese o all’estero, ai fini di un loro ulteriore perfezionamento.
37. Sarebbe auspicabile che le misure adottate per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti potessero essere sviluppate e accresciute attraverso la cooperazione finanziaria e tecnica interregionale o regionale.
VII - IMPIEGO E CARRIERA
Accesso all’insegnamento
38. La politica di reclutamento degli insegnanti dovrebbe essere chiaramente definita
a livello appropriato, in collaborazione con le
organizzazioni degli insegnanti, e si dovrebbe elaborare un regolamento relativo ai diritti e ai doveri degli insegnanti.
39. Il periodo iniziale di prova dovrebbe
essere considerato sia dagli insegnanti che dai
loro superiori come una fase di incoraggiamento e di iniziazione alla professione, di definizione e assunzione di appropriati standard
professionali e di sostegno allo sviluppo di
buone pratiche didattiche. La durata del periodo di prova dovrebbe essere conosciuta in
anticipo e le condizioni per il suo superamento
dovrebbero essere strettamente riferite alla
competenza professionale. Se si dovesse considerare la professionalità dell’insegnante in
prova non sufficientemente adeguata, lo stesso insegnante dovrebbe essere informato degli addebiti che gli vengono mossi e dovrebbe avere la possibilità di contestarli.
bitraria che possa danneggiare la loro situazione professionale o la loro carriera.
Procedure disciplinari applicabili
in caso di demerito professionale
Avanzamento e promozione
40. Gli insegnanti, purché in possesso delle
qualifiche richieste, dovrebbero poter passare da un ordine o grado di scuola a un altro.
41. L’organizzazione e la struttura del servizio scolastico, come pure quella di ogni singolo istituto, dovrebbero riconoscere agli insegnanti la possibilità e fornire loro le opportunità di assumere compiti aggiuntivi, a
condizione che questi non nuocciano alla qualità o alla regolarità dell’insegnamento.
42. Si dovrebbero considerare i vantaggi
che allievi e insegnanti potrebbero trarre da
strutture scolastiche abbastanza grandi, nelle quali fosse data ai docenti la possibilità di
spartirsi le diverse funzioni sulla base delle loro specifiche competenze.
43. Nella misura del possibile, i posti di responsabilità quali quello di ispettore, amministratore scolastico, capo d’istituto o altro,
dovrebbero essere assegnati a docenti con un
certo periodo di esperienza d’insegnamento.
44. Le promozioni dovrebbero fondarsi su
una valutazione obiettiva delle esperienze e
dei titoli posseduti dall’interessato rispetto al
posto e secondo criteri strettamente professionali, determinati attraverso la consultazione con le organizzazione degli insegnanti.
Sicurezza dell’impiego
45. La stabilità professionale e la sicurezza dell’impiego sono indispensabili sia nell’interesse dell’insegnamento che in quello dell’insegnante e dovrebbero essere garantite anche
quando si apportino cambiamenti all’organizzazione complessiva o a una parte del sistema scolastico.
46. Gli insegnanti dovrebbero essere protetti efficacemente contro qualsiasi azione ar-
47. Le misure disciplinari applicabili all’insegnante per demerito professionale dovrebbero essere chiaramente definite. Le conseguenze e le eventuali sanzioni dovrebbero essere rese pubbliche su richiesta dell’insegnante
interessato, a meno che non comportino l’interdizione dell’insegnamento o non lo consentano la tutela o il benessere degli allievi.
48. Le autorità o gli organi che possono
proporre o applicare le sanzioni dovrebbero
essere chiaramente designati.
49. Le organizzazioni degli insegnanti dovrebbero essere consultate al momento dell’avvio di procedure disciplinari.
50. Gli insegnanti dovrebbero usufruire,
in ogni fase della procedura disciplinare, di
eque garanzie comprendenti in particolare:
• il diritto di essere informato per iscritto
degli addebiti formulati a suo carico e dei
fatti che li motivano;
• il diritto di avere pienamente accesso al
dossier;
• il diritto di difendersi e di essere difeso da
un rappresentante a sua scelta, così come
quello di disporre di un rinvio sufficiente
per preparare la sua difesa;
• il diritto di essere informato per iscritto
delle decisioni prese a suo riguardo, così
come dei motivi;
• il diritto di ricorrere in appello davanti alle autorità o agli organi competenti chiaramente designati.
51. Le autorità dovrebbero riconoscere che
la disciplina e le garanzie disciplinari sarebbero meglio assicurate se gli insegnanti fossero
giudicati con la partecipazione di loro pari.
52. Le disposizioni dal paragrafo 47 al 51
che precedono non intaccano in alcun modo
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
115
le procedure che, secondo i termini delle legislazioni nazionali, sono applicabili alla repressione degli atti che cadono sotto la competenza della legge penale.
Esami medici
53. Gli insegnanti dovrebbero essere tenuti a
sottoporsi periodicamente a esami medici e
questi esami dovrebbero essere gratuiti.
Insegnanti con carichi familiari
54. Il matrimonio non dovrebbe impedire alle donne di ottenere un posto di insegnamento
né di conservarlo. Esso non dovrebbe inoltre
influire sulla loro retribuzione e sulle loro condizioni di lavoro.
55. Dovrebbe essere impedito ai datori di
lavoro di scindere il contratto di un insegnante
per motivi di gravidanza o di congedo per maternità.
56. Si dovrebbe prevedere di mettere a disposizione degli insegnanti con carichi familiari, servizi di assistenza per i loro figli, quali asili nido e scuole materne.
57. Dovrebbero essere prese misure per
permettere all’insegnante con carichi di famiglia di ottenere un posto nella località desiderata, e per permettere ai coniugi qualora
fossero entrambi insegnanti di ricevere assegnazioni di sedi vicine o di essere assegnati alla stessa scuola.
58. Quando le circostanze lo giustifichino, gli insegnanti con carichi di famiglia, che
abbiano lasciato l’insegnamento prima dell’età pensionabile, dovrebbero essere sollecitati a riprendere servizio.
Servizio part-time
59. Le autorità e la scuola dovrebbero riconoscere la validità del servizio part-time, quando viene svolto, per necessità della scuola, da
insegnanti qualificati che, per qualsiasi ragione, non possono insegnare a tempo pieno.
116
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
60. Gli insegnanti che hanno un regolare
servizio part-time dovrebbero:
• ricevere una retribuzione proporzionale alle ore svolte e beneficiare fondamentalmente
delle stesse condizioni di impiego degli insegnanti a tempo pieno;
• godere degli stessi diritti degli insegnanti
a tempo pieno, e l’applicazione delle stesse regole in materia di congedi retribuiti,
di congedi per malattia e di congedi per
maternità;
• beneficiare di una protezione adeguata e
appropriata in materia di sicurezza sociale, compreso il regime pensionistico.
VIII - DIRITTI E DOVERI
DEGLI INSEGNANTI
Libertà professionali
61. La professione docente dovrebbe godere,
nell’esercizio dei propri doveri, della libertà
di insegnamento. Dal momento che gli insegnanti sono appositamente qualificati per giudicare quali siano gli ausili e i metodi didattici migliori per i loro alunni, è a loro che dovrebbe spettare la scelta e la messa a punto dei
materiali didattici, la scelta dei libri di testo,
l’applicazione dei metodi pedagogici, pur all’interno dei programmi stabiliti e con la guida delle autorità scolastiche.
62. Gli insegnanti e le loro organizzazioni dovrebbero partecipare all’elaborazione dei
nuovi programmi, dei manuali e degli ausili
didattici.
63. Ogni sistema d’ispezione o di controllo
dovrebbe essere concepito in modo da incoraggiare e aiutare gli insegnanti nel raggiungimento dei loro scopi professionali, evitando di limitarne la libertà, lo spirito d’iniziativa e l’assunzione di responsabilità.
64. Quando l’attività dell’insegnante è sottoposta a valutazione diretta, questa dovrebbe essere obiettiva e resa nota all’interessato.
L’insegnante dovrebbe avere diritto di ricorrere contro un giudizio che ritenesse ingiustificato.
65. Gli insegnanti dovrebbero essere liberi
di utilizzare tutte le tecniche di valutazione che
ritengano utili per giudicare i progressi dei loro alunni, ma dovrebbero al contempo garantire equità di giudizio verso ciascun allievo.
66. Le autorità dovrebbero prendere in debita considerazione le raccomandazioni degli insegnanti riguardanti la scelta dei diversi corsi di studio degli allievi, compresa l’istruzione superiore.
67. Si dovrebbe fare qualsiasi sforzo per
favorire la collaborazione fra genitori e insegnanti, nell’interesse degli allievi, gli insegnanti però dovrebbero essere tutelati da ingerenze non giustificate dei genitori in campi che sono di loro squisita competenza professionale.
68. I genitori che dovessero lamentarsi di
una scuola o di un insegnante dovrebbero avere la possibilità di discuterne innanzitutto con
il capo di istituto e con l’insegnante interessato. Ogni successivo reclamo indirizzato ad
autorità superiori dovrebbe essere formulato
per iscritto e il testo dovrebbe essere comunicato all’insegnante interessato. L’esame dei
reclami dovrebbe avvenire in modo da dare
agli insegnanti interessati tutte le possibilità
di difendersi senza che la questione diventi
pubblica.
69. Fermo restando che gli insegnanti dovrebbero vigilare con la massima attenzione
per evitare ai loro allievi qualsiasi incidente,
i datori di lavoro dovrebbero tutelare gli insegnanti contro il rischio di dover pagare i
danni agli allievi vittime di incidenti a scuola o durante attività scolastiche all’esterno della scuola.
Doveri degli insegnanti
70. Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti
dovrebbero perseguire i più alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività.
71. La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero essere definiti con il concorso delle loro
organizzazioni.
72. Gli insegnanti e le loro organizzazioni dovrebbero cercare di cooperare pienamente con le autorità, nell’interesse degli allievi, dell’insegnamento e più in generale della società.
73. Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni
degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei
doveri professionali sulla base di principi concordati.
74. Gli insegnanti dovrebbero essere disposti a partecipare ad attività extracurricolari nell’interesse degli allievi e degli adulti.
Relazioni tra gli insegnanti
e l’insieme del servizio scolastico
75. Al fine di consentire agli insegnanti di
svolgere al meglio il loro dovere, le autorità
dovrebbero stabilire e attivare una procedura regolare di consultazione con le organizzazioni degli insegnanti su questioni quali la
politica dell’insegnamento, l’organizzazione
scolastica e qualsiasi mutamento che si determini nell’insegnamento.
76. Le autorità e gli insegnanti dovrebbero riconoscere l’importanza che i docenti, attraverso le loro organizzazioni o altri metodi,
partecipino alla definizione degli interventi
per migliorare la qualità dell’insegnamento,
alle ricerche pedagogiche, nonché alla messa
a punto e diffusione di nuovi e più aggiornati metodi didattici.
77. Le autorità dovrebbero favorire la costituzione e l’attività di gruppi di studio incaricati di stimolare, in ogni istituto o in strutture più ampie, la cooperazione fra gli insegnanti della stessa disciplina, e tenere in de-
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
117
bita considerazione i suggerimenti provenienti
da questi gruppi.
78. Il personale amministrativo e ogni altro personale incaricato di funzioni che si rapportano con l’insegnamento dovrebbe sforzarsi di stabilire buone relazioni con gli insegnanti.
IX - CONDIZIONI FAVOREVOLI
A UN INSEGNAMENTO
EFFICACE
85. Il lavoro dell’insegnante è così specifico e
così utile che dovrebbe essere organizzato e
facilitato in modo da evitare qualsiasi dispersione di tempo e di fatica.
Diritti degli insegnanti
Organico delle classi
79. Dovrebbe essere incoraggiata la partecipazione degli insegnanti alla vita sociale e pubblica nell’interesse degli insegnanti stessi, del
servizio educativo e di tutta la società.
80. Gli insegnanti dovrebbero essere liberi di esercitare tutti i diritti civili generalmente
goduti dai cittadini e dovrebbero essere eleggibili alle cariche pubbliche.
81. Quando una carica pubblica costringe l’insegnante a lasciare il suo posto, questi
dovrebbe conservare i diritti agli scatti di anzianità come pure i diritti alla pensione e poter, alla fine del suo mandato, riprendere il
suo posto o ottenere un posto equivalente.
82. Sia la retribuzione che le condizioni di
lavoro degli insegnanti dovrebbero essere determinate attraverso negoziazione tra le organizzazioni degli insegnanti e i datori di lavoro.
83. Dovrebbero essere stabilite delle procedure, tramite regolamentazioni o accordi
tra le parti, per garantire agli insegnanti il diritto di negoziare con il datore di lavoro, pubblico o privato, attraverso le proprie organizzazioni.
84. Si dovrebbero stabilire appropriati organismi paritari con il compito di regolare
conflitti relativi alle condizioni di lavoro degli insegnanti, che dovessero insorgere tra questi e il datore di lavoro. Una volta esauriti i
mezzi e le procedure stabilite a tale scopo, o
nel caso in cui ci fosse una rottura delle negoziazioni tra le parti, le organizzazioni degli
insegnanti dovrebbero avere il diritto di ricorrere agli altri mezzi d’azione di cui dispongono normalmente le altre organizzazioni per la difesa dei loro interessi legittimi.
118
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
86. Gli organici delle classi dovrebbero essere tali da permettere all’insegnante di dare a ciascuno allievo un’attenzione particolare. Dovrebbe essere possibile, di tanto in
tanto, riunire gli allievi in piccoli gruppi, o
anche da soli individualmente, per esempio
per il recupero. Si dovrebbe ugualmente poter avere la possibilità di riunirli in grandi
gruppi quando si utilizzano attrezzature audiovisive.
Personale ausiliario
87. Al fine di permettere agli insegnanti di
dedicare tutto il loro impegno ai loro scopi
professionali, le stru t t u re scolastiche dovrebbero disporre di personale ausiliario, incaricato di funzioni diverse dall’ i n s e g n amento.
Attrezzature per l’ insegnamento
88. Le autorità dovrebbero dotare gli insegnanti e i loro allievi di attrezzature moderne per l’insegnamento. Queste attrezzature
non dovrebbero essere considerate sostitutive dell’insegnante, ma strumenti che permettono di migliorare la qualità dell’insegnamento e di estendere i benefici dell’istruzione a un numero più grande di allievi. Le autorità dovrebbero favorire ricerche
sull’utilizzo di tutte le risorse materiali ausiliarie all’insegnamento e incoraggiare gli
insegnanti a prendere parte attiva a queste
ricerche.
Orario di lavoro
Congedo per studi
89. Il numero di ore di lavoro richieste agli
insegnanti, per giorno e per settimana, dovrebbe essere fissato attraverso la consultazione con le organizzazioni degli insegnanti.
90. Quando si fissano le ore di lezioni, bisognerebbe tener conto di tutti i fattori che
determinano il carico complessivo di lavoro
degli insegnanti quali:
95. Gli insegnanti dovrebbero beneficiare di
tanto in tanto di congedi di studio, a trattamento pieno o parziale. I congedi di studio
dovrebbero essere inclusi nel calcolo dell’anzianità e della pensione.
Gli insegnanti che prestano servizi in aree
lontane dai centri urbani e riconosciute tali dalle pubbliche autorità, dovrebbero poter beneficiare di congedi di studio più frequenti.
• il numero degli alunni di cui un insegnante
deve occuparsi, per giorno e per settimana;
• il tempo che è necessario riservare alla programmazione e preparazione delle lezioni
e alla valutazione;
• il numero delle diverse lezioni da svolgere ogni giorno;
• il tempo richiesto agli insegnanti per partecipare a ricerche, ad attività extracurricolari, per sorvegliare gli allievi e per consigliarli;
• il tempo che è auspicabile dare agli insegnanti per incontrare i genitori, informarli
e discutere con loro dell’andamento dei
loro figli.
91. Gli insegnanti dovrebbero disporre di
tempo sufficiente per partecipare alle attività di formazione in servizio.
92. La partecipazione degli insegnanti ad
attività extracurricolari dovrebbe essere tale
da non costituire un carico eccessivo né nuocere allo svolgimento dei loro fondamentali
compiti di insegnamento.
93. Quando gli insegnanti sono chiamati
a esercitare particolari responsabilità pedagogiche in aggiunta all’insegnamento, il numero di ore per classe dovrebbe essere ridotto di conseguenza.
Congedi annuali retribuiti
94. Tutti gli insegnanti dovrebbero avere diritto alle ferie annuali, completamente retribuite, e di durata adeguata.
Congedi speciali
96. I congedi speciali accordati nel quadro di
programmi di scambi culturali bilaterali o
multilaterali dovrebbero essere assimilati ai
periodi di servizio.
97. Gli insegnanti coinvolti in programmi di assistenza tecnica dovrebbero beneficiare di congedi senza perdere, nel loro paese di origine, il diritto agli scatti di anzianità,
la possibilità d’avanzamento e il diritto alla
pensione.
Inoltre, si dovrebbero prevedere disposizioni particolari per permettere loro di affrontare tutte le spese supplementari.
98. Gli insegnanti stranieri ospiti di altri
Paesi dovrebbero beneficiare di congedi dal
proprio Paese di origine e continuare a godere dei diritti di anzianità e di pensione.
99. Gli insegnanti dovrebbero anche poter usufruire di congedi pienamente retribuiti
per poter partecipare alle attività delle loro
organizzazioni.
Gli insegnanti dovrebbero avere il diritto
di assumere incarichi nelle loro organizzazioni, beneficiando delle stesse condizioni
concesse agli insegnanti che assumono una
carica pubblica.
100. Gli insegnanti dov re b b e ro poter
usufruire di congedi completamente retribuiti per validi motivi personali, secondo
norme rese note prima dell’assunzione in
servizio.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
119
Congedi di malattia e di maternità
101. Gli insegnanti dovrebbero avere diritto
a congedi retribuiti per malattia.
Nel determinare il periodo in cui la retribuzione viene conservata integralmente o parzialmente, si dovrebbero considerare quei casi in cui è indispensabile che gli insegnanti
siano isolati dagli allievi per lunghi periodi.
102. Si dovrebbero rendere esecutive le
norme fissate dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro in materia di protezione
della maternità, e in particolare la Convenzione sulla protezione della maternità (1919),
e la Convenzione sulla protezione della maternità (rivista) del 1952, così come le norme
contenute nell’articolo126 dalla presente Raccomandazione.
103. Si dovrebbero incoraggiare le insegnanti madri di famiglia a restare in attività,
autorizzandole, per esempio a prendere, a domanda, dei congedi supplementari senza retribuzione di un anno o più dopo la nascita
del bambino, conservando loro il posto di lavoro, e salvaguardando tutti i diritti da esso
derivanti.
Scambi di insegnanti
104. Le autorità dovrebbero riconoscere l’utilità, sia per l’insegnamento che per gli insegnanti stessi, degli scambi professionali e culturali tra paesi, nonché dei viaggi all’estero
degli insegnanti; e dovrebbero fare ogni sforzo per sviluppare tali possibilità e dovrebbero poi tenere conto dell’esperienza acquisita
all’estero da questi insegnanti.
105. Gli insegnanti che beneficiano di questi scambi dovrebbero essere scelti senza alcuna discriminazione e non essere considerati
rappresentanti di nessuna opinione politica.
106. Si dovrebbero garantire agli insegnanti tutte le facilitazioni per andar a studiare e a insegnare all’estero, assicurando il
mantenimento del posto e della loro situazione.
120
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
107. Gli insegnanti dovrebbero essere incoraggiati a condividere con i loro colleghi
l’esperienza acquisita all’estero.
Strutture scolastiche
108. Le strutture scolastiche dovrebbero essere sicure, gradevoli nel loro insieme, e attrezzate in modo funzionale. Dovrebbero prestarsi a un insegnamento efficace e ad attività extrascolastiche, in particolare nelle regioni rurali dovrebbero diventare centri per la
comunità; dovrebbero essere costruite rispettando le norme dell’igiene, e progettate
come strutture durevoli, adattabili e di manutenzione facile ed economica.
109. Le autorità dovrebbero assicurare la
buona conduzione dei locali scolastici in modo da non far correre alcun rischio né alla salute né alla sicurezza degli allievi e del personale insegnante.
110. Quando si progettano nuove scuole,
si dovrebbero consultare i rappresentanti degli insegnanti. Quando si prevede la costruzione di nuovi locali o l’allargamento di locali in scuole già esistenti, si dovrebbe consultare il personale insegnante della struttura interessata.
Benefici speciali per gli insegnanti
nelle regioni rurali o lontane
111. Nelle regioni lontane dai centri urbani
e definite come tali dalle autorità pubbliche,
dovrebbero essere messi a disposizione degli
insegnanti e delle loro famiglie alloggi decenti,
preferibilmente a titolo gratuito o con affitto ridotto.
Nei paesi in cui gli insegnanti, oltre alla
loro funzione normale, sono chiamati a promuovere e a stimolare attività comunitarie, i
programmi di sviluppo dovrebbero prevedere alloggi adeguati per loro.
112. In caso di nomina o di trasferimento
in aree lontane, gli insegnanti dovrebbero ricevere indennità di trasferimento e di traslo-
co per loro e per la propria famiglia. Gli insegnanti in servizio in tali aree dovrebbero, ove
necessario, godere di speciali facilitazioni di
viaggio per consentire loro di mantenere i loro standard professionali. Come incentivo, gli
insegnanti trasferiti in zone lontane dovrebbero ricevere il rimborso delle spese di viaggio dal posto di lavoro alla città di residenza
una volta all’anno quando vanno in ferie.
113. Ogni volta che gli insegnanti sono
costretti a condizioni di vita particolarmente difficili, dovrebbero essere compensati con
indennità speciali che dovrebbero essere pensionabili.
X - RETRIBUZIONE
DEGLI INSEGNANTI
114. Tra i diversi fattori che hanno incidenza sullo status degli insegnanti, un rilievo particolare dovrebbe essere dato alla retribuzione, poiché non si può negare, alla luce delle
attuali tendenze, che altri fattori, quali il loro riconoscimento sociale o l’importanza attribuita alla loro funzione, dipendano in larga misura, come d’altronde avviene per molte altre analoghe professioni, dal loro status
economico.
115. Le retribuzioni degli insegnanti dovrebbero: essere commisurate all’importanza
che la funzione docente riveste nella società
e di conseguenza all’importanza che si attribuisce a coloro che la esercitano, così come
alle diverse responsabilità che loro competono dalla loro entrata in servizio; poter reggere in termini positivi il confronto con quelle
professioni che richiedono analoghe o equivalenti qualificazioni; assicurare agli insegnanti
un livello di vita ragionevole per loro stessi e
per la loro famiglia, così come i mezzi per migliorare la loro qualificazione professionale,
attraverso lo sviluppo delle loro conoscenze
e l’arricchimento della loro cultura; tenere
nella dovuta considerazione il fatto che certi
posti esigono un’esperienza maggiore e qua-
lificazioni più elevate e comportano responsabilità più ampie.
116. Gli insegnanti dovrebbero essere retribuiti sulla base di scale stipendiali stabilite
in accordo con le loro organizzazioni professionali. Durante il periodo di prova o in fase
di utilizzo come supplenti temporanei, gli insegnanti abilitati non dovrebbero in alcun caso essere retribuiti con una scala retributiva
inferiore a quella dei docenti di ruolo.
117. La struttura retributiva degli insegnanti dovrebbe essere definita in modo da
evitare qualsiasi ingiustizia e qualsiasi anomalia che possa provocare attriti tra diversi
gruppi di insegnanti.
118. Quando la normativa fissa un numero massimo di ore di insegnamento curricolare, l’insegnante il cui servizio regolare ecceda questo massimo, dovrebbe ricevere una
remunerazione supplementare secondo indicatori definiti.
119. Le differenze di trattamento dovrebbero essere fondate su criteri oggettivi, quali
le qualifiche, l’anzianità o il grado di responsabilità; ma il divario tra il trattamento minimo e massimo dovrebbe essere mantenuto
entro limiti ragionevoli.
120. La definizione della retribuzione di base degli insegnanti di discipline professionali o
tecniche che non siano in possesso di laurea,
dovrebbe tener conto del valore della loro formazione pratica e della loro esperienza.
121. Le retribuzioni degli insegnanti dovrebbero essere calcolate su base annuale.
122. La progressione retributiva all’interno di ogni categoria dovrebbe essere garantita tramite scatti regolari, preferibilmente annuali. La progressione tra il minimo e il massimo della scala retributiva di base dovrebbe
essere contenuta entro un periodo di non più
di dieci o quindici anni. Gli insegnanti dovrebbero beneficiare degli aumenti periodici
anche per il servizio svolto durante il periodo di prova o in supplenze temporanee.
123. I livelli retributivi degli insegnanti
dovrebbero essere rivisti periodicamente te-
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
121
nendo conto di fattori quali l’aumento del
costo della vita, l’elevazione del livello della
vita nazionale dovuta all’aumento della produttività, o a un aumento generale dei salari
e degli indici automatici di aumento del costo della vita, l’indice dovrebbe essere fissato
con la partecipazione delle organizzazioni degli insegnanti e qualsiasi indennità relativa al
costo della vita dovrebbe essere considerata
come parte integrante della remunerazione e
quindi da inserire nel calcolo della pensione.
124. Non si dovrebbe né stabilire né applicare nessun sistema di retribuzione in base al merito, senza il preavviso e il consenso
delle organizzazioni degli insegnanti.
XI - SICUREZZA SOCIALE
Disposizioni generali
125. Tutti gli insegnanti, indipendentemente dal tipo di scuola in cui insegnano, dovrebbero beneficiare delle stesse tutele in materia di sicurezza sociale. Tali tutele dovrebbero essere estese a chi è regolarmente assunto e svolge il periodo di prova o di tirocinio.
126. Le misure di sicurezza sociale dovrebbero tutelare gli insegnanti nei confronti
dei rischi definiti dalla Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro riguardante la sicurezza sociale (norma minima) (1952), per quel che riguarda le cure mediche, i benefici accordati ai lavoratori in tema di malattia, di sciopero e di vecchiaia, per
gli incidenti sul lavoro, le malattie professionali, i carichi di famiglia e la maternità, l’invalidità e le condizioni di sopravvivenza. Le
norme della sicurezza sociale per gli insegnanti
dovrebbero essere favorevoli almeno quanto
quelle stabilite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in particolare nella convenzione riguardante la sicurezza sociale (norma minima) del 1952. I benefici definiti dalle norme sulla sicurezza sociale dovrebbero esser accordati di diritto a tutti gli insegnanti.
122
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
127. La tutela degli insegnanti in materia
di sicurezza sociale dovrebbe tener conto delle specifiche condizioni d’impiego, così come indicate negli articoli 128-140.
Cure mediche
128. Nelle regioni in cui mancano i servizi medici, gli insegnanti dovrebbero essere rimborsati delle spese di viaggio quando sono obbligati a spostarsi per ricevere le cure richieste.
Assegni in caso di malattia
129. Gli assegni accordati in caso di malattia
dovrebbero essere assicurati durante tutta la
durata dell’inabilità al lavoro che comporti la
sospensione della retribuzione. Dovrebbero
essere versati a partire dal primo giorno della sospensione dello stipendio. Quando la durata degli assegni per malattia è limitata, si
dovrebbero prevedere prolungamenti nei casi in cui gli insegnanti siano costretti a rimanere isolati dagli allievi.
Assegni per incidenti sul lavoro
e malattie professionali
130. Gli insegnanti dovrebbero essere tutelati
rispetto alle conseguenze derivanti da incidenti
avvenuti non soltanto durante le ore di servizio interno della scuola, ma anche durante attività scolastiche organizzate all’esterno.
131. Alcune malattie infettive frequenti
nei bambini dovrebbero essere considerate
come malattie professionali quando sono state contratte dall’insegnante esposto al contagio degli allievi.
Pensioni
132. I contributi per la pensione maturati dagli insegnanti sotto qualsiasi amministrazione scolastica all’interno del Paese, devono poter essere trasferiti in un eventuale nuovo impiego con diverso datore di lavoro.
133. Tenuto conto dei regolamenti nazionali, gli insegnanti i quali, in caso di carenza documentata di docenti, continuino il
servizio dopo l’età pensionabile, dovrebbero
o ricevere un credito nel calcolo della pensione per gli anni aggiuntivi che svolgono o
poter beneficiare di una pensione integrativa
attraverso una specifica agenzia.
134. Le pensioni di vecchiaia dovrebbero
avere un rapportato con lo stipendio finale
che consenta agli insegnanti di conservare un
adeguato livello di vita.
Assegni di invalidità
135. Agli insegnanti costretti a interrompere
la propria attività in seguito a invalidità fisica o mentale dovrebbero essere versati assegni di invalidità. Si dovrebbero prevedere misure che consentano l’erogazione di una pensione, quando il caso contingente non è coperto dall’estensione degli assegni di malattia o da altri mezzi.
136. In caso di invalidità parziale, ossia
quando l’insegnante riesce a esercitare le proprie funzioni solo a tempo parziale, l’interessato dovrebbe aver diritto ad assegni di invalidità ridotti.
137. Gli assegni di invalidità dovrebbero
essere fissati in relazione all’ultimo salario ricevuto, in modo che l’insegnante possa conservare un adeguato livello di vita. Gli insegnanti colpiti da invalidità dovrebbero beneficiare delle cure mediche e delle prestazioni
connesse, al fine di ristabilire o, almeno, migliorare il loro stato di salute; dovrebbero altresì poter disporre di servizi di riabilitazione
per prepararli, ove possibile, a riprendere la
loro precedente attività.
Assegni di sopravvivenza
138. Le condizioni per accedere ai sussidi di
sopravvivenza e l’ammontare di tali sussidi
dovrebbero permettere ai beneficiari di conservare un livello di vita adeguato e di assicu-
rare il benessere e l’educazione di eventuali figli a carico.
Strumenti per assicurare agli
insegnanti l’assistenza sociale
139. La tutela degli insegnanti in materia di
sicurezza sociale dovrebbe avvenire, per quanto possibile, attraverso un sistema generale
applicabile sia agli impiegati del settore pubblico sia a quelli del settore privato. Quando
non esista un tale sistema generale, si dovrebbe
stabilire, per uno o più casi, un sistema specifico per insegnanti, su base regolamentare
o altro. Laddove il livello di tutela assicurato
da un sistema generale sia inferiore a quello
che è stabilito dalla presente Raccomandazione, si dovrebbe colmare il divario attraverso assegni integrativi.
140. Si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di associare rappresentanti delle organizzazioni degli insegnanti all’amministrazione per sistemi speciali o complementari, comprendenti anche l’investimento dei loro fondi.
XII - CARENZA DI INSEGNANTI
141. Si dovrebbe assumere il principio guida
che qualsiasi misura presa per far fronte a una
grave crisi nel reclutamento degli insegnanti
deve essere considerata come misura eccezionale, che non deroga o non attenta, in alcun
modo, agli standard professionali stabiliti o
da stabilire, e riduce al minimo, il rischio di
nuocere alla preparazione degli allievi. Certi
espedienti destinati a far fronte alla carenza
del personale insegnante (come aumento del
numero degli alunni per classe, aumento irragionevole delle ore di lezione degli insegnanti) sono incompatibili con le finalità e
gli obiettivi dell’insegnamento e dannosi per
gli allievi: le autorità competenti dovrebbero, con grande urgenza, mettere fine al ricorso di questi espedienti.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
123
142. Nei Paesi in via di sviluppo dove l’urgenza dei bisogni può rendere necessario il ricorso a una formazione accelerata degli insegnanti, bisognerebbe organizzare contemporaneamente una formazione completa, in modo da disporre di un corpo insegnante con
tutte le competenze necessarie per orientare
e guidare l’insieme dell’insegnamento.
143. Gli studenti ammessi a seguire programmi di formazione accelerata dovrebbero essere scelti secondo gli stessi criteri che
presiedono l’accesso di quelli che seguono un
corso normale, o meglio secondo criteri più
severi, in modo che abbiano le capacità di
completare successivamente la loro formazione. Si dovrebbero prevedere disposizioni
e facilitazioni speciali, inclusi congedi di studio supplementari completamente retribuiti, per permettere agli insegnanti che hanno
ricevuto la formazione accelerata di completare la loro qualificazione durante il servizio.
144. Nella misura del possibile, il personale non abilitato dovrebbe lavorare sotto la
stretta supervisione di un insegnante professionalmente qualificato.
124
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Per poter continuare a esercitare l’insegnamento, gli insegnanti non abilitati dovrebbero essere costretti a ottenere o completare l’iter abilitante.
145. Le autorità dovrebbero riconoscere
che il miglioramento dello status sociale ed
economico degli insegnanti, delle loro condizioni di vita e di lavoro, del loro stato giuridico e delle loro prospettive di carriera, costituisce il mezzo migliore per rimediare a
qualsiasi penuria di insegnanti professionalmente competenti e per attirare e mantenere
entro la professione un buon numero di persone pienamente qualificate.
XIII - CLAUSOLA FINALE
146. Quando gli insegnanti godranno di uno
status che sia, per certi aspetti, più favorevole di quello indicato dalle disposizioni della
presente Raccomandazione, queste disposizioni non dovranno essere, in alcun caso, invocate per negare le migliori condizioni conquistate.
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
DOCUMENTO
d e l C O N S I G L I O NAZIONALE
d e l l a PUBBLICA ISTRUZIONE
s u l CODICE DEONTOLOGICO
del PERSONALE della SCUOLA
Adunanza dell’11 settembre 2002
Il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione rileva che da diversi anni, associazioni
professionali e organizzazioni sindacali hanno avviato riflessione e confronti sulla deontologia dei docenti, una tematica che rimanda ad aspetti generali della società contemporanea, relativi alle modalità e al senso stesso dell’agire sociale.
L’attuale complessità sociale pone infatti,
a tutti i livelli, e per tutte le persone, questioni
di ridefinizione di ruoli e funzioni.
Il rinnovato interesse per le problematiche etiche in generale e l’attenzione sociale
verso l’etica delle professioni si collocano in
tale contesto.
Come altre fondamentali istituzioni sociali anche la scuola è chiamata a ridefinire
la propria funzione sociale e quindi a contestualizzare e anche a delimitare il proprio
compito di trasmissione ed elaborazione culturale.
Le mutazioni del ruolo della scuola pongono la necessità di una ridefinizione della
funzione docente nei termini di una professione specifica.
Si tratta di un percorso difficile, in cui registriamo, nel nostro Paese, un ritardo di ela-
borazione ed evidenti problemi di decisione
politica.
Tale situazione è resa ormai evidente dalla stessa evoluzione del quadro normativo.
La contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e l’autonomia delle istituzioni
scolastiche rappresentano due passaggi essenziali di tale evoluzione e pongono questioni non rinviabili per il carattere e l’esercizio della funzione docente.
Il dibattito sulla deontologia professionale dei docenti pone questioni sulle quali,
nella categoria, c’è una diffusa consapevolezza, ma suscita anche reazioni e argomentate valutazioni, per i rischi che una regolazione di comportamenti nell’esercizio della
attività educativa e didattica, può comportare proprio per la libertà e l’autonomia professionale.
L’insegnante svolge un’attività caratterizzata da autonomia progettuale e operativa,
fondata su un alto livello di competenza e di
responsabilità.
L’esercizio della professione si realizza in
un contesto istituzionale specifico, la scuola,
in cui caratteri, le finalità del sistema scolastico e delle istituzioni scolastiche e la stessa
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
125
autonomia professionale dei docenti hanno
un diretto fondamento costituzionale.
In questo quadro la professione docente
assume il carattere di una specifica funzione
pubblica.
L’ambito teorico e pratico della deontologia della professione docente è definito, quindi, dal carattere e dalla specificità del lavoro
degli insegnanti (competenze, collegialità ecc.)
e dalla funzione pubblica che, nella scuola,
gli insegnanti svolgono nell’esercizio della professione.
Tra la normativa generale e specifica sull’istruzione e la scuola e la normativa contrattuale che regola il rapporto di lavoro si
colloca l’agire professionale dei docenti, quindi lo spazio specifico della deontologia.
La deontologia professionale dei docenti
si fonda sul concetto di responsabilità.
Responsabilità è un concetto complesso,
dai molteplici significati. Semplificando possiamo dire che essere responsabili significa essere in grado di rispondere a qualcuno di qualcosa, essere in grado di dare risposte.
Come è evidente, già questa definizione
semplice che si fonda sulla stessa etimologia
insiste su due elementi costitutivi:
• indica l’essere responsabile nel senso di essere autore di azioni e dunque dì poterne
rispondere per la possibilità di agire autonomamente in una condizione di libertà;
• il secondo aspetto è costituito dalla relazione: rispondere a qualcuno di qualcosa.
Il binomio autonomia-relazione definisce
in modo adeguato la responsabilità in ambito professionale e costituisce un riferimento
per ogni ipotesi di regolazione deontologica.
Nel profilo dell’insegnante emerge, infatti,
una tensione che gli specialismi disciplinari
o metodologici lasciano inevitabilmente scoperta.
Sulla base di quanto fin qui esposto possiamo porci il problema di un codice deontologico per docenti.
126
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
L’esigenza della definizione di un codice
deontologico per la professione docente si rende oggi evidente per due ordini di ragioni:
• i grandi mutamenti connessi alla diffusione e all’uso delle nuove tecnologie e alle
nuove frontiere della ricerca, pongono domande inquietanti sugli effetti delle stesse
sulle persone sulla loro vita, sulla loro libertà. Emerge così una nuova domanda
etica che pone al centro la responsabilità
della persona come nuova dimensione dell’agire pubblico;
• è profondamente mutato anche il lavoro docente. Il processo che si è aperto con l’avvio dell’autonomia scolastica può liberare progressivamente la professione docente da quei vincoli che hanno contraddistinto il modello burocratico e centralista dell’istruzione, ponendo
sempre più al centro del processo educativo la
persona che apprende, i suoi diritti e le sue attese e insieme il contenuto, la qualità, le modalità con cui si esercita la responsabilità professionale dei docenti.
Il lavoro degli insegnanti appare oggi descrivibile in tre grandi ambiti:
ambito costituzionale e legislativo. Definisce:
– le finalità e il modello organizzativo generale del sistema nazionale di istruzione e formazione fondato su una visione policentrica: il ruolo dello Stato,
delle regioni e delle istituzioni scolastiche autonome;
– la garanzia costituzionale delle libertà
di insegnamento nella scuola pubblica
come tutela dell’autonomia professionale dei docenti, così come previsto dall’art. 33 della Costituzione. I diritti e i
doveri della persona che apprende;
– i diritti di partecipazione alla vita scolastica dei docenti e delle diverse componenti scolastiche.
Ambito contrattuale. Definisce:
– tutti gli aspetti della dinamica professionale; gli istituti fondamentali dell’or-
ganizzazione del lavoro, la retribuzione
e i suoi diversi istituti, il sistema di relazioni fra le diverse funzioni e profili professionali presenti nella scuola.
Ambito deontologico. Definisce:
– i principi fondamentali ai quali conformare la pratica professionale nel rapporto con il soggetto che apprende, con
i colleghi, con le diverse espressioni della comunità in cui la scuola è inserita.
In tale contesto sì possono indicativamente
individuare alcuni contenuti, egualmente rilevanti, del codice deontologico:
• rispetto della dignità umana;
• adempimento del compito dell’insegnamento;
• organizzazione professionale dell’insegnamento;
• contributo al lavoro collegiale e nel team
docente;
• salvaguardia e sviluppo della qualità;
• direzione e responsabilità;
• collaborazione con i partner della scuola;
• riservatezza;
• rispetto delle norme.
Il codice deontologico, come tratto distintivo di una professione, assolve a due funzioni fondamentali:
• tutela e garanzia per i soggetti che fruiscono dell’azione professionale, riguardante, come nel caso dell’ attività dei docenti, diritti fondamentali costituzionalmente definiti;
• tutela e garanzia dell’autonomia professionale, del ruolo sociale e quindi del prestigio della professione.
Il codice deontologico indica orientamenti
e regole di condotta per l’esercizio della professione.
È orientamento prevalente considerare extra giuridica tale regolazione, ritenendo la ca-
tegoria professionale sovrana nella individuazione e definizione delle regole che, in assenza o difetto di espressa previsione legislativa, disciplinano le relazioni e l’attività di un
gruppo professionale.
Tale orientamento della giurisprudenza si
estende anche all’aspetto disciplinare, riconoscendo a specifici organismi rappresentativi della categoria, autonomia di definizione
e valutazione degli illeciti disciplinari e delle
relative sanzioni.
L’esigenza di una ridefinizione nei termini dell’agire professionale delle problematiche disciplinari emerge dalla stessa esperienza degli organi disciplinari e del contenzioso
in seno al CNPI. L’attuale assetto normativo
e procedurale appare non più adeguato alla
luce dei cambiamenti del sistema scolastico e
delle relazioni tra i soggetti del processo educativo. In materia di contenzioso e organismi
disciplinari il CNPI ha approvato uno specifico documento che costituisce, anche alla luce dell’attuale dibattito, un utile contributo
di analisi e di proposta.
Secondo alcuni la definizione di un codice deontologico dei docenti presuppone o comunque è strettamente legata alla costituzione di un ordine professionale.
Non questa la sede per tentare un’analisi
della natura, della funzione storica e delle problematiche attuali degli ordini professionali.
Le caratteristiche degli ordini professionali, finalizzate storicamente alla tutela delle
libere professioni e sul piano deontologico alla regolazione dei rapporti tra professionista
e utente-cliente, non sono trasferibili alla figura professionale del docente che opera con
un rapporto di lavoro dipendente non subordinato, all’interno di un progetto formativo, definito nelle finalità generali e nella
struttura a livello nazionale, elaborato e realizzato nel contesto dell’autonomia didattica
e organizzativa delle istituzioni scolastiche.
Sulla base della prospettiva qui delineata emergono alcune conseguenti considerazioni.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
127
Il codice deontologico dei docenti, anche
per le peculiarità della relazione educativa e le
caratteristiche dell’attività didattica, non può
configurarsi come un decalogo prescrittivo di
comportamento professionale. Il codice indica valori, orientamento, criteri per le autonome decisioni dei docenti nelle varie situazioni professionali e nelle relazioni tra i diversi
soggetti coinvolti nell’attività scolastica.
Per la natura stessa del codice deontologico, per il carattere extragiuridico delle indicazioni in esso contenute, solo la categoria
professionale può elaborare, definire e approvare un codice deontologico.
Nessun organo istituzionale e politico può
avere competenza sul «dover essere della professione».
Stabilito che i principi e le indicazioni
deontologiche rimangono al di fuori del sistema delle fonti del diritto, occorre considerare il rapporto che intercorre tra codice
deontologico ed esercizio dell’azione disciplinare da parte degli organi competenti.
A questo riguardo si ritiene che le regole
deontologiche, non avendo l’efficacia di norme giuridiche, possano essere riconosciute e
considerate come autorevole riferimento nell’esercizio della stessa azione disciplinare nei
confronti dei docenti, da parte di qualsiasi or-
128
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
gano istituzionale normativamente previsto
per questa funzione.
In questa prospettiva è fondamentale individuare i soggetti che possono avviare un
percorso per la costruzione del codice, le modalità di partecipazione alla fase di elaborazione, le procedure di approvazione.
Un codice deontologico, ovviamente, non
inventa la deontologia dei docenti. Il codice
raccoglie, elabora, definisce la consapevolezza, i valori e gli orientamenti condivisi della
categoria su aspetti costitutivi dell’identità
professionale.
Per questo il codice deontologico è utile solo se le indicazioni in esso contenute vengono
sentite come punti di forza per l’attività professionale, al di là dei diversi orientamenti culturali, politici, sindacali e associativi.
In questa prospettiva è possibile ipotizzare una prima proposta dei soggetti associativi e sindacali dei docenti per l’avvio di una fase di approfondimento, dibattito che deve coinvolgere i docenti a livello individuale e collegiale.
Questo percorso dovrebbe avere una coerente conclusione con una formale procedura di approvazione del codice deontologico da parte di una maggioranza qualificata
della categoria.
ANNALI
DELL’ISTRUZIONE
CODICI DEONTOLOGICI
di alcuni PAESI OCSE
CANADA-BRITISH COLUMBIA
TEACHERS’ FEDERATION (BCTF)
Code of Ethics
The Code of Ethics states general rules for
maintaining high standards of professional
service and conduct toward students, colleagues and the professional union.
1. The teacher speaks and acts toward
students with respect and dignity, and deals
judiciously with them, always mindful of
their rights and sensibilities.
2. The teacher respects the confidential
nature of information concerning students
and may give it only to authorized persons
or agencies directly concerned with their
welfare.
3. The teacher recognizes that a privileged relationship with students exists and
refrains from exploiting that relationship
for material, ideological, or other advantage.
4. The teacher is willing to review with
colleagues, students and their parents/guardians the quality of service rendered by the
teacher and the practices employed in discharging professional duties.
5. The teacher directs any criticism of
the teaching performance and related work
of a colleague to that colleague in private
and only then, after informing the colleague in writing of the intent to do so, may
direct in confidence the criticism to appropriate individuals who are able to offer
advice and assistance. (See note below and
procedure 31.B.10).
6. The teacher acknowledges the
authority and responsibilities of the BCTF
and its locals and fulfills obligations arising
from membership in his/her professional
union.
7. The teacher adheres to the provisions
of the local collective agreement.
8. The teacher acts in a manner not prejudicial to job actions of other collective
strategies of his/her professional union.
9. The teacher neither applies for nor
accepts a position which is included in a
federation in-dispute declaration.
10. The teacher, as an individual or as a
member of a group of teachers, does not
make unauthorized representations to out-
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
129
side bodies in the name of the federation or
its local associations.
Note: It shall not be considered a breach
of Clause 5 of the Code of Ethics to report
reasonable grounds for suspecting child
abuse to proper authorities according to
legal provisions and official protocol
requirements.
Procedure 31.B.10
Advice on how to proceed with a concern
respecting a colleague’s teaching and related
work may be sought from federation staff
and/or local officers in good faith. Such discussion will not constitute a breach of
clause 5. ‘Appropriate individuals’ in clause
5 of the Code of Ethics shall mean those
persons who are able to offer advice and
assistance on questions of teaching practices
and their effect on students. The first
emphasis should be at all times on exploring means of assisting, rehabilitating, and
correcting.
(Taken from British Columbia
Teachers’ Federation: AGM 1999)
FRANCIA - LIVRET NATIONAL
DU PROFESSEUR STAGIAIRE
Préambule
Vous venez de réussir un concours de recrutement difficile, pour devenir professeur
ou conseiller principal d’éducation et entrer dans la fonction publique.
Vous intégrez un service public, une institution, l’Éducation nationale, qui a des
traditions, une histoire liée à celle de la République et emploie plus d’un million de
personnes; la nation lui consacre une part
importante de son budget.
Vous connaissez l’une de ses missions:
l’école pour tous doit assurer, grâce à la
130
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
transmission des savoirs, la réussite de chacun et rendre possible, dans un souci d’égalité des chances, l’accès de chaque élève aux
différents types ou niveaux de la formation
scolaire. La démocratisation de renseignement nécessitera votre engagement, malgré
les difficultés qui pourront se présenter.
Les enfants sont extrêmement dive r s
par leurs personnalités, leurs origines sociales, par tout ce qui a déjà contribué à
leur donner des capacités variées mais toujours susceptibles d’évolution. Tous vous
sont confiés, l’enjeu de votre formation est
de vous préparer, comme enseignant, pédagogue et éducateur, à les pre n d re en
charge.
Enseigner, c’est faire accéder au savoir
les enfants de toute origine, leur permettant d’atteindre un niveau de connaissances
élevé, condition indispensable pour une intégration réussie dans la société française.
Eduquer, c’est créer les conditions permettant à chaque élève de développer ses
aptitudes, sa personnalité, son autonomie,
c’est l’aider à s’insérer dans la société, à développer son esprit critique et à construire
sa citoyenneté en respectant les valeurs de
la culture républicaine qui permettent la
vie en commun et l’accès à la démocratie.
Ce sont les exigences et la noblesse de votre
rôle. Vous partagez cette fonction d’éducation avec l’ensemble des membres de la
communauté éducative de l’école, de l’établissement.
Le métier dans lequel vous entrez nécessite une implication personnelle importante. Vous allez mettre à l’épreuve de la réalité
vos motivations personnelles et votre désir
d’ e n s e i g n e r. Vous connaîtrez la réussite,
mais aussi, le doute ou parfois et momentanément l’échec. Si tel devait être le cas, ne
craignez pas d’en parler à votre entourage
professionnel et avec vos collègues professeurs stagiaires; la mise à distance du doute
permet d’éviter une inutile mésestime de
soi et de retrouver la sérénité nécessaire.
Durant toute cette année de formation
initiale, l’IUFM mettra en place les conditions vous permettant d’assumer votre part
de responsabilité dans la formation. Vous
é t i ez étudiant, vous deve n ez pro f e s s e u r
chargé de transmettre les sa voirs ou
conseiller principal d’éducation et vous avez
à établir une relation juste avec des enfants,
des jeunes, des collègues, des parents, etc. Il
s’agit là de tâches stimulantes qui solliciteront sans cesse vo t re adaptabilité, vo t re
créativité et votre capacité d’autonomie.
1. L’entrée dans la Fonction publique
Vous êtes à présent fonctionnaire stagiaire à
l’IUFM. Ce changement de statut passe
par une véritable mutation que la formation va vous aider à réussir. Il vous inscrit
dans une perspective professionnelle à long
terme, en même temps qu’il vous fait entrer au sein de l’Education nationale, dans
une situation statutaire et réglementaire
complètement nouvelle. Salarié de l’Etat,
vous avez désormais des obligations comme
vous avez des droits.
Votre première obligation de fonctionnaire stagiaire est de vous former pour exercer la profession pour laquelle vous venez
d’etre recruté. Vous allez bénéficier d’une
formation disciplinaire et professionnelle de
haut niveau scientifique, dont les contenus,
les démarches et l’esprit sont différents des
enseignements universitaires que vous avez
suivis jusqu’ici. Après la réussite au
concours, il s’agit pour vous de mobiliser les
connaissances acquises à l’université pour
c o n s t ru i re les compétences attendues de
vous, d’en acquérir progressivement de nouvelles et de développer aussi votre réflexion
afin d’enseigner et d’éduquer, en prenant en
compte les programmes en vigueur et les
priorités nationales. Ces acquisitions seront
évaluées et validées en fin d’année.
Enseigner et éduquer dans des écoles,
des établissements scolaires très divers est
un métier qui s’apprend. Cette affirmation
ne va pas de soi: certains mettent l’accent
sur la maîtrise des disciplines, allant parfois
jusqu’à en faire une condition suffisante
pour enseigner. D’autres pensent que la
maîtrise de la relation pédagogique prévaut
très largement. Le travail de l’enseignant,
au-delà de ce qui est visible par tous dans
l’organisation scolaire, demeure complexe.
Il nécessite un apprentissage guidé et un
travail en équipe au sein de votre nouveau
milieu professionnel. L’enseignant n’est pas
uniquement une personne privée, il est investi d’un rôle social qui lui impose et lui
interdit certains comportements et son statut de fonctionnaire ne lui permet pas de se
considérer comme un professionnel indépendant.
L’année à l’IUFM est nécessaire pour
appréhender et comprendre les différents
aspects de l’activité d’enseignant, de documentaliste, ou de conseiller principal
d’éducation, pour vous entraîner et affermir vo t re engagement afin d’ e xe rcer au
mieux votre métier.
Vo t re formation, à l’IUFM, dans les
écoles et les établissements scolaires, est la
formation que l’institution Education nationale donne aux agents qu’elle recrute.
Cette institution est un service public qui a
des missions, des règles de fonctionnement
qui traduisent le souci de l’intérêt collectif
tel qu’il est défini par la représentation nationale et une éthique qui s’inspire des valeurs de la République. Il y a donc une
conception de l’école publique et laïque, de
son action et de son rôle dans la société,
qu’il vous faudra comprendre et assumer.
Fondée sur les valeurs de laïcité, d’égalité et de justice, la loi assure à chaque fonctionnaire et à chaque élève des droits fondamentaux. L’école républicaine a pour but
d’éduquer aux règles qui permettent de
v i v re ensemble: vous êtes garant de ces
règles que vous veillerez à transmettre à travers l’ensemble des activités scolaires.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
131
2. La prise en charge institutionnelle de la formation
L’année qui suit le concours est le premier
temps d’un processus de formation qui
s’étendra sur toute votre vie professionnelle.
Votre formation est assurée sous la responsabilité et l’autorité du Ministre de
l’Education Nationale. Toute l’institution y
est engagée au service de la réussite humaine
et intellectuelle des élèves, au service de leurs
familles et de la communauté nationale.
La formation est déléguée à un institut
professionnel d’enseignement supérieur –
l’IUFM –, créé à cet effet par la Loi d’orientation du 10 juillet 1989. L’IUFM élabore et
met en œuvre le plan de formation, agréé par
le Ministre de l’Education nationale.
La responsabilité de l’IUFM concerne
tout autant l’organisation et les contenus
des activités ayant lieu dans l’institut que le
suivi de votre pratique professionnelle
débutante dans des situations de responsabilité devant une classe, dans une école ou
un établissement. En effet, votre formation
se déroule, en alternance, dans des lieux distincts:
– à l’IUFM, centre de référence universitaire, lieu de ressources scientifiques et
disciplinaires, de construction de compétences techniques, d’interrogation,
d’analyse des pratiques et d’échanges;
– dans une école, un collège ou un lycée
où vous assurerez, devant des élèves, des
enseignements, des activités au service
d’un projet auquel vous participerez;
votre pratique professionnelle débutante
sera confrontée aux réalités sans lesquelles il ne saurait y avoir de véritable
formation au métier.
Vous vous formerez comme enseignant,
ce qui nécessite le passage des savoirs universitaires aux savoirs scolaires, éclairé par
une réflexion critique, d’une part sur la ou
132
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
les discipline(s) d’enseignement, d’autre
part sur la pratique professionnelle ellemême. Vous commencerez à vous former
comme professionnel de l’enseignement et
de l’éducation, à l’écoute exigeante de
chaque élève et de chaque groupe qui vous
sont confiés, sachant établir le contact
nécessaire avec les parents d’élèves.
Vous vous formerez comme fonctionnaire exerçant avec des pairs dans des écoles, des
établissements aux caractéristiques et aux
publics très hétérogènes, dans un environnement professionnel défini et situé dans une
hiérarchie pédagogique et administrative.
Votre formation institutionnelle traitera:
–
rapports aux normes (textes législatifs,
textes réglementaires, programmes, circulaires);
– des projets à construire avec d’autres professionnels exerçant dans l’éducation
nationale (personnels sociaux et de santé,
d’éducation et de surveillance, conseillers
d’orientation, psychologues,…);
– de la connaissance des divers dispositifs
de prise en charge de publics spécifiques
(classe d’intégration scolaire, section
d’enseignement général et professionnel
adapté, notamment) ou de formation
continue (groupement d’établissements…);
– des partenariats avec des acteurs externes
situés dans l’environnement de l’école,
de l’établissement (autres administrations, collectivités territoriales, monde
du sport, de la culture, de la santé, des
entreprises).
A l’IUFM sont rassemblés des professeurs titulaires, enseignants-chercheurs,
enseignants du premier et du second degrés,
des formateurs à temps plein ou à temps
partagé et des professeurs stagiaires. Tous
sont vos futurs collègues.
Les formateurs de l’IUFM concourent
avec les formateurs exerçant dans les écoles et
les établissements (collèges ou lycées) et les
responsables de ces établissements à la mise
en œuvre du plan de formation et à l’encadrement de votre formation. Ils s’adressent à
vous comme à un jeune collègue, adulte, en
formation. Vous êtes donc en partie responsable avec eux de la conception et de la réalisation de cette première étape de votre parcours de formation, au même titre que vous
êtes en situation de responsabilité dans les
classes au cours des stages.
L’IUFM est un établissement d’enseignement supérieur. La formation y est conçue
pour vous donner accès à des savoirs, à des
outils intellectuels et pratiques vous permettant de les organiser et de les transmettre.
La rédaction et la soutenance d’un
mémoire professionnel dont l’objectif est
d’analyser et de penser sa pratique sont des
exigences constitutives de la formation universitaire en IUFM et s’inscrivent pleinement
dans la perspective de développement de
cette réflexion. Votre capacité d’autonomie et
de créativité doit s’y exprimer pleinement.
Par ailleurs, au cours de votre année:
– vous aurez à vous montrer capable d’expliciter et d’analyser votre choix du
métier d’enseignant, de documentaliste,
de conseiller principal d’éducation;
– vous aurez à faire preuve de votre capacité à assumer des responsabilités éducatives devant des élèves et plus généralement dans l’institution;
– vous aurez à vous approprier les exigences
du service public (partage des valeurs
républicaines, laïcité, acceptation des
contraintes du devoir de réserve, etc.).
L’appréciation positive de ces éléments
permettra à l’IUFM de valider votre formation.
Le Directeur de l’IUFM proposera la
validation (ou la non validation) de votre
année de formation au jury académique
présidé par le Recteur. Le Recteur au nom
du Ministre de l’Education Nationale prononcera votre titularisation.
La titularisation ne constitue pas la fin du
processus de formation. Le professeur titulaire bénéficie d’un accompagnement dans le
métier dans l’académie ou le département où
il sera affecté. La formation continue l’aidera
tout au long de sa carrière.
3. La formation, apprentissage d’un
métier
La formation mise en place par l’IUFM a
pour but de vous aider à construire une identité professionnelle qui s’appuiera sur des
savoirs, des savoirs, des savoir-faire et des
gestes professionnels. Tout en proposant des
réponses aux problèmes immédiats liés à votre
prise de fonction, cette formation vise à développer progressivement les compétences
nécessaires à l’exercice du métier d’enseignant,
de documentaliste et de conseiller principal
d’éducation dont les principales sont:
– maîtriser les attitudes et les gestes professionnels nécessaires à la conduite, à
l’analyse et à revaluation de situations
d’apprentissage;
– élaborer des démarches adaptées aux différents contextes d’exercice et à son style
personnel d’enseignement, ou pour les
documentalistes à l’accompagnement
documentaire des différentes disciplines;
– maîtriser la démarche de projet (élaboration, rédaction, mise en œuvre, évaluation);
– maîtriser les compétences et les techniques requises pour enseigner aujourd’hui, dans un environnement multimédia en constante évolution;
– adopter des modes relationnels et d’affirmation de l’autorité aidant à la conduite
de la classe et prenant en compte la
diversité des élèves;
– mettre en œuvre le travail en équipe et
une collaboration fructueuse avec les
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
133
collègues, permettant ainsi l’animation
éducative d’un établissement (vie collective, suivi et orientation des élèves, …);
– développer le dialogue avec les familles
et les principaux partenaires de l’école
(travailleurs sociaux, collectivités, associations, …);
– faire le bilan de sa formation initiale et
inscrire celle-ci dans un projet de formation tout au long de la carrière.
Durant cette année de formation, vous
s e rez placé, par moments, en situation
d’enseignement et d’éducation, vous assurerez alors pleinement la responsabilité pédagogique des élèves dont vous aurez la
charge. Vous devrez prendre conscience de
cette position particulière, que vous soyez
en pratique accompagnée ou en responsabilité. Tous les publics scolaires méritent de
votre part une égale attention. Vous veillerez notamment à dispenser votre enseignement en considérant les besoins d’éducation de chaque élève.
En situation de professeur stagiaire, vous
aurez à transmettre et à faire acquérir des
connaissances, des valeurs, des comportements, en direction de jeunes, dans le cadre
d’un projet du service public de l’éducation
dont la mission et les objectifs sont périodiquement redéfinis dans notre démocratie.
Vous devez contribuer à former en chaque
élève le futur citoyen capable d’une réflexion
autonome et critique.
4. Les interlocuteurs au cours de la
formation
En tant que fonctionnaire stagiaire, vous
êtes placé(e) sous l’autorité du Ministre de
l’éducation nationale, représenté par le Recteur de l’académie dans laquelle vous êtes affecté(e). Dans le domaine de la formation,
vous êtes sous la responsabilité du Directeur
de l’IUFM. L’institut universitaire de formation des maîtres de l’académie est l’établisse134
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
ment d’enseignement supérieur qui assure
votre formation, qui se déroulera d’une part
à l’IUFM, d’autre part dans plusieurs lieux
d’exercice, écoles, établissements scolaires,
où vous exercerez votre responsabilité d’enseignant durant les périodes de stages.
(Ávril 2002)
SPAGNA - RÉGIMEN DE
DERECHOS Y DEBERES DE LOS
FUNCIONARIOS PÚBLICOS
DOCENTES
Artículo 47. Derechos individuales
1. Los funcionarios docentes, como funcionarios públicos, tienen los siguientes
derechos profesionales:
a. Al mantenimiento de su condición
funcionarial, al desempeño efectivo
de tareas o funciones propias de su
Cuerpo y a no ser re m ovidos del
puesto de trabajo que desempeñen
sino en los supuestos y condiciones
establecidos legalmente.
b. A la carrera profesional, a través de
los mecanismos de progresión y promoción profesional establecidos en
esta Ley, de acuerdo con los principios de igualdad, mérito y capacidad.
c. A la movilidad territorial en todo el
ámbito del Estado mediante su participación en los concursos de traslados convocados al efecto.
d. A percibir la retribución y las indemnizaciones por razón del servicio
establecidas legalmente.
e. A la formación permanente y cualificación profesional.
f. A participar en los órganos de selección o valoración en los términos
establecidos reglamentariamente.
g. A ser informados por los responsables
de los órganos de gobierno y de coordinación docente del centro de las tareas
o cometidos a desempeñar y a partici-
par en la consecución de los objetivos
relacionados con su labor docente.
h. A que sea respetada su intimidad y
dignidad en el trabajo.
i. A vacaciones y permisos.
j. A recibir por parte de la Administración Pública protección eficaz en
materia de seguridad y salud en el
trabajo.
k. A recibir asistencia jurídica y protección de la Administración Pública en
el ejercicio de sus tareas, funciones o
cargos en los términos previstos en la
normativa vigente.
l. A la jubilación en los términos y
condiciones establecidos en este
Estatuto.
m. A las prestaciones de Seguridad Social
correspondientes al régimen que le
sea de aplicación.
2. Los funcionarios públicos docentes, en
el desempeño de su actividad docente
tienen, ademas, los siguientes derechos
profesionales:
a. A la libertad de Cátedra orientando
su ejercicio a la realización de los fines
educativos y de conformidad con los
principios establecidos en la legislación vigente y en el Proyecto educativo del Centro.
b. A ejercer funciones docentes empleando los métodos que consideren más
adecuados, dentro de lo establecido en
el currículo correspondiente.
c. A intervenir y participar en el funcionamiento del centro en cuanto
afecte a su organización y gestiòn a
través de los cauces reglamentarios.
d. A elegir a sus representantes en los
órganos colegiados en los que así esté
establecido y a postularse como representante.
e. A la participación en los órganos
colegiados en calidad de representante del profesorado de acuerdo con
las disposiciones vigentes.
f. A ejercer las funciones directivas y de
coordinación en los centros y servicios
para los que fuesen designados en los
términos establecidos legalmente y a
postularse para estos nombramientos.
Artículo 48. Derechos colectivos
Los funcionarios docentes tienen los siguientes derechos colectivos, en los términos
establecidos por la Constitución y las Leyes:
a. A la libre sindicación.
b. A la actividad sindical.
c. A la huelga, garantizándose el mantenimiento de los servicios esenciales.
d. A lo negociación colectiva y a la participación en la determinación de las condiciones de trabajo.
e. De reunión.
f. A la libre asociación profesional.
Artículo 49. Deberes de los funcionarios docentes
1. Los funcionarios docentes, como funcionarios públicos, están obligados a:
a. Respetar la Constitución, el Estatuto
de Autonomía de la Comunidad
donde preste servicio y el resto del
ordenamiento jurídico.
b. Ejercer sus tareas, funciones o cargos
con lealtad e imparcialidad y servir
con objetividad los intereses generales y en particular, los intereses de
la comunidad educativa.
c. Cumplir con diligencia las instrucciones profesionales recibidas por vía
jerárquica.
d. Realizar las funciones o tareas que
tengan asignadas y aquellas otras que
les encomienden, dentro del ámbito
de su competencia, los responsables
del gobierno del centro o servicio
docente, para el cumplimiento de sus
objetivos.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
135
e. Cumplir el régimen de jornada y horario establecidos.
f. Mantener sigilo de los asuntos que
conozcan por razón de sus cargos o
funciones y no hacer uso indebido
de la información obtenida.
g. Guardar secreto de las materias cuya
difusión esté prohibida legalmente.
h. Dar cuenta a las autoridades competentes de aquellas órdenes que, a su
juicio, fuesen contrarias a la legalidad
o constitutivas de delito.
i. Cumplir el régimen de incompatibilidades.
j. Tratar con atención y respeto a los
ciudadanos y en especial a los integrantes de la comunidad escolar.
k. Velar por la conservación y uso correcto de los locales, material, documentos e información a su cargo.
l. No utilizar los medios propiedad de la
Administración educativa en provecho
propio ni ejercer sus cometidos de forma que puedan beneficiar ilegítimamente a sí mismos o a otras personas.
m. Tratar con corrección y consideración o los superiores jerárquicos,
compañeros y subordinados.
2. Los funcionarios públicos docentes, en
el ejercicio de su actividad docente
tienen, ademàs, los siguientes deberes:
a. Respetar y cumplir el proyecto educativo del centro, de acuerdo con la
legislación vigente.
b. A atender a padres y alumnos y, en
su caso, al ejercicio de la tutoría.
c. Evaluar con plena efectividad y objetividad el rendimiento escolar de los
alumnos, de acuerdo con el proyecto
curricular del centro, atendiendo a la
diversidad de capacidades, intereses y
motivaciones de los alumnos.
d. Utilizar los métodos de enseñanza adecuados para promover el aprendizaje
de los contenidos escolares de acuerdo
con el proyecto educativo del centro.
136
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
e. Participar en los órganos colegiados y
de coordinación docente del centro.
f. Tomar parte en las actividades de
formación permanente y perf e ccionamiento profesional.
g. Cumplir las disposiciones sobre la enseñanza, cooperando con las autoridades educativas para lograr la mayor
eficacia de las enseñanzas en interés de
los alumnos y de la sociedad.
h. Atender en caso de huelga los servicios esenciales establecidos por la autoridad competente.
i. Respetar la libertad de conciencia y
las convicciones religiosas y morales,
así como la dignidad, integridad e
intimidad de todos los miembros de
la comunidad educativa.
j. Participar en los órganos de selección
o valoración cuando resulten designados por los órganos competentes
de la Administración educativa.
SVIZZERA - CODE DE
DEONTOLOGIE DES
ENSEIGNANTES ET DES
ENSEIGNANTS MEMBRES
DE LA SOCIETE PEDAGOGIQUE
ROMANDE
Avertissement
Lorsqu’à la fin du XIXe et au début du XXe
siècle les membres de la SPR, au cours de
leurs congrès retraçaient le portrait du maître idéal, définissant également ses droits et
devoirs, ils ne songeaient pas à la rédaction
d’une charte professionnelle, pourtant les
principes énoncés auraient pu figurer en
bonne place dans un véritable code d’éthique ou de déontologie.
En 1948, un projet de Charte des éducateurs fut présenté au Congrès de la FIAI
(Fédération internationale des associations
d’instituteurs) et publié dans le bulletin
corporatif de la SPR. A la même époque,
l’Unesco inscrivait au nombre de ses préoccupations la rédaction d’une sorte de code
des droits et devoirs pour les éducateurs du
monde entier.
Un comité d’entente des fédérations
internationales d’enseignants présentait en
1994 un nouveau texte pour la Charte des
éducateurs dont s’inspirera l’Unesco.
Malgré une publication dans l’Educateur, le texte ne trouva aucun écho auprès
des enseignants romands. Sans doute l’idée
était-elle encore trop novatrice puisqu’il a
fallu attendre le congrès de 1995 pour que
la décision de rédiger un texte soit enfin
prise.
Le code de déontologie de la SPR se réfère à deux textes essentiels: la Convention
internationale relative aux droits de l’enfant
et la Recommandation OIT-Unesco concernant la condition du personnel enseignant.
Cette Recommandation, adoptée par
une conférence intergouvemementale spéciale en 1966 et reconnue par la plupart des
gouvernements, offre à la profession enseignante une véritable Charte qui définit les
droits et les devoirs des enseignants et les
conditions leur permettant d’exercer leurs
fonctions dans les meilleurs conditions possibles, en insistant notamment sur:
–
–
–
–
la durée du travail;
les effectifs de classe;
la sécurité de l’emploi;
les possibilités de perfectionnement
offertes aux enseignants;
– la reconnaissance des organisations d’enseignants qui négocient les traitement et
les conditions travail et qui sont associées
à l’élaboration de la politique scolaire.
Il contribue à la socialisation de l’enfant
et à son intégration au sein de la classe; il
associe les élèves à l’élaboration des règles
nécessaires à la vie commune.
Il est à l’écoute de l’enfant et des informations le concernant. Il l’assiste si son
intégrité physique ou morale est menacée.
Il évite toute forme de discrimination.
Il se garde de tout fanatisme et prosélytisme.
Il pratique un esprit de tolérance et s’efforce de le communiquer à ses élèves.
L’enseignant agit en professionnel
de l’éducation
Il fait preuve de conscience professionnelle
en toute occasion.
Il se tient au courant de l’évolution des
idées pédagogiques; il veille à développer constamment ses connaissances et compétences.
Il respecte le devoir de réserve ou le
secret de fonction lié à la profession.
Il manifeste curiosité intellectuelle et
ouverture au monde.
Il sait se mettre en question; il pratique
son auto-évaluation.
Il soutient les options pédagogiques de
son association professionnelle.
Il fait preuve de sens critique, d’autonomie, et sait prendre ses responsabilités.
Il recherche un avis ou une aide extérieure s’il se trouve en difficulté.
Il intervient auprès d’un collègue qui ne
respecterait pas les règles d’éthique ou de
tout autre membre des personnels de l’école qui nuirait aux intérêts de l’enfant. Il
refuse la «loi du silence».
L’enseignant respecte les droits
fondamentaux de l’enfant
L’enseignant contribue à créer un
esprit de collégialité au sein de son
établissement
Il favorise l’épanouissement de la personnalité de l’enfant. Il met tout en oeuvre pour
un développement optimal de l’enfant.
Il travaille à la construction d’une collaboration avec les collègues et les autres intervenants de l’école.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
137
Il participe à l’élaboration des règles de
son établissement et contribue à les faire
respecter.
Il tient compte avec objectivité des
points de vue et des compétences de ses
collègues.
Il respecte le travail de ses collègues et
évite de rendre publiques d’éventuelles
divergences.
Il participe à la défense des collègues
injustement accusés.
Il soutient les collègues en difficulté; il
participe activement à la recherche de solutions.
L’enseignant collabore le plus
étroitement possible avec
les parents
Il se garde de toute forme de discrimination en rapport avec la nationalité, l’appartenance ethnique, le niveau social, la religion, les opinions politiques, l’infirmité, la
maladie.
Il seconde les parents dans leur tâche
éducative. Il est à l’écoute des parents et
s’efforce de maintenir le dialogue.
Il expose clairement ses objectifs pédagogiques et sait au besoin les adapter aux
situations particulières de l’enfant.
Il n’abuse pas du pouvoir que lui confère sa profession.
L’enseignant défend l’école
publique en tant qu’institution
démocratique
Il s’efforce de donner une image objective
de l’école.
Il contribue à la mise en valeur de la profession enseignante.
Il soutient l’élaboration et l’adoption de
projets susceptibles d’amener une amélioration dans l’éducation.
Il s’efforce de corriger les inégalités de
chances de réussite scolaire des élèves.
138
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
L’enseignant s’efforce de respecter le présent code de déontologie.
(Adopté par l’Assemblée
des délégués de la SPE, le 14 juin 1997).
USA 1 - NATIONAL
ASSOCIATION FOR EDUCATION
OF YOUNG CHILDREN (NAEYC)
CODE OF ETHICAL CONDUCT
Preamble
NAEYC recognizes that many daily decisions re q u i red of those who work with
young children are of a moral and ethical
nature. The NAEYC Code of Ethical Conduct offers guidelines for responsible behavior and sets forth a common basis for
resolving the principal ethical dilemmas
encountered in early childhood care and
education. The primary focus is on daily
practice with children and their families in
programs for children from birth through
8 years of age, such as infant/toddler programs, preschools, child care centers, family child care homes, kindergartens, and primary classrooms. Many of the provisions
also apply to specialists who do not work
directly with children, including program
administrators, parent and vocational educators, college professors, and child care licensing specialists.
Core Values
Standards of ethical behavior in early childhood care and education are based on commitment to core values that are deeply rooted in the history of our field. We have committed ourselves to
– Appreciating childhood as a unique and
valuable stage of the human life cycle
– Basing our work with children on knowledge of child development
– Appreciating and supporting the close
ties between the child and family
– Recognizing that children are best understood and supported in the context of
family, culture, community, and society
– Respecting the dignity, worth, and
uniqueness of each individual (child,
family member, and colleague)
– Helping children and adults achieve
their full potential in the context of relationships that are based on trust, respect, and positive regard
Conceptual Framework
The Code sets forth a conception of our
professional responsibilities in four sections,
each addressing an arena of professional relationships: (1) children, (2) families, (3)
colleagues, and (4) community and society.
Each section includes an introduction to the
primary responsibilities of the early childhood practitioner in that arena, a set of
ideals pointing in the direction of exemplary
professional practice, and a set of principles
defining practices that are required, prohibited, and permitted.
The ideals reflect the aspirations of
practitioners. The principles are intended
to guide conduct and assist practitioners in
resolving ethical dilemmas encountered in
the field. There is not necessarily a corresponding principle for each ideal. Both
ideals and principles are intended to direct
practitioners to those questions which,
when responsibly answered, will provide
the basis for conscientious decisionmaking. While the Code provides specific direction and suggestions for addre s s i n g
some ethical dilemmas, many others will
re q u i re the practitioner to combine the
guidance of the Code with sound professional judgment.
The ideals and principles in this Code
present a shared conception of professional
responsibility that affirms our commitment
to the core values of our field. The Code
publicly acknowledges the responsibilities
that we in the field have assumed and in so
doing supports ethical behavior in our
work. Practitioners who face ethical dilemmas are urged to seek guidance in the applicable parts of this Code and in the spirit
that informs the whole.
Ethical dilemmas always exist
Often, «the right answer» – the best ethical
course of action to take – is not obvious.
There may be no readily apparent, positive
way to handle a situation. One important
value may contradict another. When we are
caught «on the horns of a dilemma», it is
our professional responsibility to consult
with all relevant parties in seeking the most
ethical course of action to take.
Section I: Ethical responsibilities to
children
Childhood is a unique and valuable stage
in the life cycle. Our paramount responsibility is to provide safe, healthy, nurturing,
and responsive settings for children. We are
committed to support children’s development, respect individual differences, help
children learn to live and work cooperatively, and promote health, self-awareness,
competence, self-worth, and resiliency.
Ideals
I-1.1. To be familiar with the knowledge
base of early childhood care and education
and to keep current through continuing
education and in-service training.
I-1.2. To base program practices upon
current knowledge in the field of child development and related disciplines and upon particular knowledge of each child.
I-1.3. To re c o g n i ze and respect the
uniqueness and the potential of each child.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
139
I-1.4. To appreciate the special vulnerability of children.
I-1.5. To create and maintain safe and
healthy settings that foster children’s social,
emotional, intellectual, and physical development and that respect their dignity and
their contributions.
I-1.6. To support the right of each child
to play and learn in inclusive early childhood programs to the fullest extent consistent with the best interests of all involved.
As with adults who are disabled in the larger community, children with disabilities are
ideally served in the same settings in which
they would participate if they did not have
a disability.
I-1.7. To ensure that children with disabilities have access to appropriate and convenient support services and to advocate for
the resources necessary to provide the most
appropriate settings for all children.
Principles
P-1.1. Above all, we shall not harm children. We shall not participate in practices
that are disrespectful, degrading, dangerous, exploitative, intimidating, emotionally
damaging, or physically harmful to children. This principle has precedence over all
others in this Code.
P-1.2. We shall not participate in practices
that discriminate against children by denying
benefits, giving special advantages, or excluding them from programs or activities on the
basis of their race, ethnicity, religion, sex,
national origin, language, ability, or the status, behavior, or beliefs of their parents. (This
principle does not apply to programs that
have a lawful mandate to provide services to
a particular population of children).
P-1.3. We shall involve all of those with
relevant knowledge (including staff and
parents) in decisions concerning a child.
P-1.4. For every child we shall implement adaptations in teaching strategies,
140
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
learning environment, and curricula, consult with the family, and seek recommendations from appropriate specialists to maximize the potential of the child to benefit
from the program. If, after these efforts
have been made to work with a child and
family, the child does not appear to be benefiting from a program, or the child is seriously jeopardizing the ability of other children to benefit from the program, we shall
communicate with the family and appropriate specialists to determine the child’s
current needs; identify the setting and services most suited to meeting these needs;
and assist the family in placing the child in
an appropriate setting.
P-1.5. We shall be familiar with the symptoms of child abuse, including physical, sexual, verbal, and emotional abuse, and neglect.
We shall know and follow state laws and
community procedures that protect children
against abuse and neglect.
P-1.6. When we have reasonable cause
to suspect child abuse or neglect, we shall
report it to the appropriate community
agency and follow up to ensure that appropriate action has been taken. When appropriate, parents or guardians will be
informed that the referral has been made.
P-1.7. When another person tells us of
a suspicion that a child is being abused or
neglected, we shall assist that person in
taking appropriate action to protect the
child.
P-1.8. When a child protective agency
fails to provide adequate protection for
abused or neglected children, we acknowledge a collective ethical responsibility to
work toward improvement of these services.
P-1.9. When we become aware of a
practice or situation that endangers the
health or safety of children, but has not
been previously known to do so, we have an
ethical responsibility to inform those who
can remedy the situation and who can protect children from similar danger.
Section II: Ethical responsibilities to
families
Families are of primary importance in children’s development. (The term family may
include others, besides parents, who are
responsibly involved with the child). Because
the family and the early childhood practitioner have a common interest in the child’s
welfare, we acknowledge a primary responsibility to bring about collaboration between
the home and school in ways that enhance
the child’s development.
Ideals
I-2.1. To develop relationships of mutual
trust with families we serve.
I-2.2. To acknowledge and build upon
strengths and competencies as we support
families in their task of nurturing children.
I-2.3. To respect the dignity of each family and its culture, language, customs, and
beliefs.
I-2.4. To respect families’ childrearing
values and their right to make decisions for
their children.
I-2.5. To interpret each child’s progress
to parents within the framework of a developmental perspective and to help families
understand and appreciate the value of
developmentally appropriate early childhood practices.
I-2.6. To help family members improve
their understanding of their children and to
enhance their skills as parents.
I-2.7. To participate in building support
networks for families by providing them
with opportunities to interact with program
staff, other families, community resources,
and professional services.
Principles
P-2.1. We shall not deny family members access
to their child’s classroom or program setting.
P-2.2. We shall inform families of program philosophy, policies, and personnel
qualifications, and explain why we teach as
we do, which should be in accordance with
our ethical responsibilities to children (see
Section I).
P-2.3. We shall inform families of and
when appropriate, involve them in policy
decisions.
P-2.4. We shall involve families in significant decisions affecting their child.
P-2.5. We shall inform the family of
accidents involving their child, of risks
such as exposures to contagious disease that
may result in infection, and of occurrences
that might result in emotional stress.
P-2.6. To improve the quality of early
childhood care and education, we shall cooperate with qualified child development
researchers. Families shall be fully informed
of any proposed research projects involving
their children and shall have the opportunity
to give or withhold consent without penalty.
We shall not permit or participate in research
that could in any way hinder the education,
development, or well-being of children.
P-2.7. We shall not engage in or support
exploitation of families. We shall not use
our relationship with a family for private
advantage or personal gain, or enter into
relationships with family members that
might impair our effectiveness in working
with children.
P-2.8. We shall develop written policies
for the protection of confidentiality and
the disclosure of children’s records. These
policy documents shall be made available
to all program personnel and families.
Disclosure of children’s records beyond
family members, program personnel, and
consultants having an obligation of confidentiality shall require familial consent
(except in cases of abuse or neglect).
P-2.9. We shall maintain confidentiality
and shall respect the family’s right to privacy, refraining from disclosure of confiden-
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
141
tial information and intrusion into family
life. However, when we have reason to
believe that a child’s welfare is at risk, it is
permissible to share confidential information with agencies and individuals who may
be able to intervene in the child’s interest.
P-2.10. In cases where family members
are in conflict, we shall work openly, sharing our observations of the child, to help all
parties involved make informed decisions.
We shall refrain from becoming an advocate
for one party.
P-2.11. We shall be familiar with and
appropriately use community resources and
professional services that support families.
After a referral has been made, we shall follow up to ensure that services have been
appropriately provided.
Section III: Ethical responsibilities to
colleagues
In a caring, cooperative work place, human
dignity is respected, professional satisfaction is promoted, and positive relationships
are modeled. Based upon our core values,
our primary responsibility in this arena is to
establish and maintain settings and relationships that support productive work and
meet professional needs. The same ideals
that apply to children are inherent in our
responsibilities to adults.
A. Responsibilities to co-workers
Ideals
I-3A.1. To establish and maintain relationships of respect, trust, and cooperation
with co-workers.
I-3A.2. To share resources and information with co-workers.
I-3A.3. To support co-workers in meeting their professional needs and in their
professional development.
P-3A.4. To accord co-workers due recognition of professional achievement.
142
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
Principles
P-3A.1. When we have concern about
the professional behavior of a co-worker, we
shall first let that person know of our concern, in a way that shows respect for personal dignity and for the diversity to be
found among staff members, and then
attempt to resolve the matter collegially.
P-3A.2. We shall exercise care in expressing views regarding the personal attributes
or professional conduct of co-workers.
Statements should be based on firsthand
knowledge and relevant to the interests of
children and programs.
B. Responsibilities to employers
Ideals
I-3B.1. To assist the program in providing the highest quality of service.
I-3B.2. To do nothing that diminishes
the reputation of the program in which we
work unless it is violating laws and regulations designed to protect children or the
provisions of this Code.
Principles
P-3B.1. When we do not agree with program policies, we shall first attempt to effect
change through constructive action within
the organization.
P-3B.2. We shall speak or act on behalf
of an organization only when authorized.
We shall take care to acknowledge when we
are speaking for the organization and when
we are expressing a personal judgment.
P-3B.3. We shall not violate laws or regulations designed to protect children and
shall take appropriate action consistent with
this Code when aware of such violations.
C. Responsibilities to employees
Ideals
I-3C.1. To promote policies and working conditions that foster mutual respect,
competence, well-being, and positive selfesteem in staff members.
I-3C.2. To create a climate of trust and
candor that will enable staff to speak and
act in the best interests of children, families,
and the field of early childhood care and
education.
I-3C.3. To strive to secure equitable
compensation (salary and benefits) for
those who work with or on behalf of young
children.
Principles
P-3C.1. In decisions concerning children
and programs, we shall appropriately utilize
the education, training, experience, and
expertise of staff members.
P-3C.2. We shall provide staff members
with safe and supportive working conditions that permit them to carry out their
responsibilities, timely and nonthreatening evaluation procedures, written grievance procedures, constructive feedback,
and opportunities for continuing professional development and advancement.
P-3C.3. We shall develop and maintain
comprehensive written personnel policies
that define program standards and, when
applicable, that specify the extent to which
employees are accountable for their conduct outside the work place. These policies
shall be given to new staff members and
shall be available for review by all staff
members.
P-3C.4. Employees who do not meet
program standards shall be informed of
areas of concern and, when possible, assisted in improving their performance.
P-3C.5. Employees who are dismissed
shall be informed of the reasons for their
termination. When a dismissal is for cause,
justification must be based on evidence of
inadequate or inappropriate behavior that is
accurately documented, current, and available for the employee to review.
P-3C.6. In making evaluations and rec-
ommendations, judgments shall be based
on fact and relevant to the interests of children and programs.
P-3C.7. Hiring and promotion shall be
based solely on a person’s record of accomplishment and ability to carry out the
responsibilities of the position.
P-3C.8. In hiring, promotion, and provision of training, we shall not participate
in any form of discrimination based on
race, ethnicity, religion, gender, national
origin, culture, disability, age, or sexual
preference. We shall be familiar with and
observe laws and regulations that pertain to
employment discrimination.
Section IV: Ethical responsibilities to
community and society
Early childhood programs operate within a
context of an immediate community made
up of families and other institutions concerned with children’s welfare. Our responsibilities to the community are to provide
programs that meet its needs, to cooperate
with agencies and professions that share
responsibility for children, and to develop
needed programs that are not currently
available. Because the larger society has a
measure of responsibility for the welfare
and protection of children, and because of
our specialized expertise in child development, we acknowledge an obligation to
serve as a voice for children everywhere.
Ideals
I.4.1. To provide the community with highquality (age and individually appropriate,
and culturally and socially sensitive) education/care programs and services.
I-4.2. To promote cooperation among
agencies and interdisciplinary collaboration
among professions concerned with the welfare of young children, their families, and
their teachers.
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
143
I-4.3. To work, through education, research, and advocacy, toward an environmentally safe world in which all children
re c e i ve adequate health care, food, and
shelter, are nurtured, and live free from violence.
I-4.4. To work, through education, research, and advocacy, toward a society in
which all young children have access to
high-quality education/care programs.
I-4.5. To promote knowledge and understanding of young children and their
needs. To work toward greater social ack n owledgment of childre n’s rights and
greater social acceptance of responsibility
for their well-being.
I-4.6. To support policies and laws that
p romote the well-being of children and
families, and to oppose those that impair
their well-being. To participate in developing policies and laws that are needed, and
to cooperate with other individuals and
groups in these efforts.
I-4.7. To further the professional development of the field of early childhood care
and education and to strengthen its commitment to realizing its core values as reflected in this Code.
Principles
P-4.1. We shall communicate openly and
truthfully about the nature and extent of
services that we provide.
P-4.2. We shall not accept or continue
to work in positions for which we are personally unsuited or professionally unqualified. We shall not offer services that we do
not have the competence, qualifications, or
resources to provide.
P-4.3. We shall be objective and accurate in re p o rting the knowledge upon
which we base our program practices.
P-4.4. We shall cooperate with other
professionals who work with children and
their families.
144
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
P-4.5. We shall not hire or recommend
for employment any person whose competence, qualifications, or character makes
him or her unsuited for the position.
P-4.6. We shall report the unethical or incompetent behavior of a colleague to a supervisor when informal resolution is not effective.
P-4.7. We shall be familiar with laws
and regulations that serve to protect the
children in our programs.
P-4.8. We shall not participate in practices
which are in violation of laws and regulations
that protect the children in our programs.
P-4.9. When we have evidence that an
early childhood program is violating laws
or regulations protecting children, we shall
report it to persons responsible for the program. If compliance is not accomplished
within a reasonable time, we will report the
violation to appropriate authorities who
can be expected to remedy the situation.
P-4.10. When we have evidence that an
agency or a professional charged with providing services to children, families, or
teachers is failing to meet its obligations,
we acknowledge a collective ethical responsibility to report the problem to appropriate authorities or to the public.
P-4.11. When a program violates or requires its employees to violate this Code, it is
permissible, after fair assessment of the evidence, to disclose the identity of that program.
Statement of commitment
As an individual who works with young
children, I commit myself to furthering the
values of early childhood education as they
are reflected’in the NAEYC Code of Ethical
Conduct.
To the best of my ability I will
– Ensure that programs for young children
are based on current knowledge of child development and early childhood education.
– Respect and support families in their
task of nurturing children.
– Respect colleagues in early childhood
education and support them in maintaining the NAEYC Code of Ethical
Conduct.
– Serve as an advocate for children, their
families, and their teachers in community and society.
– Maintain high standards of professional
conduct.
– Recognize how personal values, opinions, and biases can affect professional
judgment.
– Be open to new ideas and be willing to
learn from the suggestions of others.
– Continue to learn, grow, and contribute
as a professional.
– Honor the ideals and principles of the
NAEYC Code of Ethical Conduct.
This document is an official position
statement of the National Association for
the Education of Young Children.
(Taken from NAEYC-1998)
USA 2 - THE NATIONAL
EDUCATION ASSOCIATION
CODE OF ETHICS OF THE
EDUCATION PROFESSION
Preamble
The educator, believing in the worth and
dignity of each human being, recognizes
the supreme importance of the pursuit of
truth, devotion to excellence, and the nurture of the democratic principles. Essential
to these goals is the protection of freedom
to learn and to teach and the guarantee of
equal educational opportunity for all. The
educator accepts the responsibility to
adhere to the highest ethical standards.
The educator recognizes the magnitude
of the responsibility inherent in the teach-
ing process. The desire for the respect and
confidence of one’s colleagues, of students,
of parents, and of the members of the
community provides the incentive to
attain and maintain the highest possible
degree of ethical conduct. The Code of
Ethics of the Education Profession indicates the aspiration of all educators and
provides standards by which to judge conduct.
The remedies specified by the NEA
and/or its affiliates for the violation of any
provision of this Code shall be exclusive
and no such provision shall be enforceable
in any form other than the one specifically designated by the NEA or its affiliates.
Principle I. Commitment to the
Student
The educator strives to help each student
realize his or her potential as a worthy and
effective member of society. The educator
therefore works to stimulate the spirit of
inquiry, the acquisition of knowledge and
understanding, and the thoughtful formulation of worthy goals.
In fulfillment of the obligation to the
student, the educator:
1. Shall not unreasonably restrain the student from independent action in the
pursuit of learning.
2. Shall not unreasonably deny the student’s access to varying points of view.
3. Shall not deliberately suppress or distort
subject matter relevant to the student’s
progress.
4. Shall make reasonable effort to protect
the student from conditions harmful to
learning or to health and safety.
5. Shall not intentionally expose the student to embarrassment or disparagement.
6. Shall not on the basis of race, color,
creed, sex, national origin, marital sta-
PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA
145
tus, political or religious beliefs, family,
social or cultural background, or sexual
orientation, unfairly:
a. Exclude any student from participation in any program
b. Deny benefits to any student
c. Grant any advantage to any student
7. Shall not use professional relationships
with students for private advantage.
8. Shall not disclose information about
students obtained in the course of professional service unless disclosure serves
a compelling professional purpose or is
required by law.
Principle II. Commitment to the
Profession
The education profession is vested by the
public with a trust and responsibility requiring the highest ideals of professional service.
In the belief that the quality of the services of the education profession directly
influences the nation and its citizens, the
educator shall exert every effort to raise professional standards, to promote a climate
that encourages the exercise of professional
judgment, to achieve conditions that attract
persons worthy of the trust to careers in
education, and to assist in preventing the
practice of the profession by unqualified
persons.
146
A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E
In fulfillment of the obligation to the
profession, the educator:
1. Shall not in an application for a professional position deliberately make a false
statement or fail to disclose a material fact
related to competency and qualifications.
2. Shall not misrepresent his/her professional qualifications.
3. Shall not assist any entry into the profession of a person known to be unqualified in respect to character, education,
or other relevant attribute.
4. Shall not knowingly make a false statement concerning the qualifications of a
candidate for a professional position.
5. Shall not assist a noneducator in the
unauthorized practice of teaching.
6. Shall not disclose information about
colleagues obtained in the course of professional service unless disclosure serves
a compelling professional purpose or is
required by law.
7. Shall not knowingly make false or malicious statements about a colleague.
8. Shall not accept any gratuity, gift, or favor
that might impair or appear to influence
professional decisions or action.
Adopted by the NEA 1975
Representative Assembly
(Taken from National Education Association)
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