Per un codice deontologico degli insegnanti
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Per un codice deontologico degli insegnanti
2-3 ANNALI DELL’ISTRUZIONE ROMA – 2002 Per un codice deontologico degli insegnanti I documenti e le proposte del gruppo di lavo ro LE MONNIER 2002 ANNALI DELL’ISTRUZIONE XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE N° 2/3 2/3 La scuola cresce, proprio come te PER UN CODICE DEONTOLOGICO DEGLI INSEGNANTI I D O C U M E N T I E L E P RO P O S T E D E L G RU P P O D I LAVO RO PE R LA D E F I N I Z I O N E D E I C R I T E R I PE R U N C O D I C E D E O N TO LO G I C O D E L PE R S O N A L E D E L LA S C U O LA LE MONNIER w w w. l e m o n n i e r. i t SOMMARIO 2002 ANNALI DELL’ISTRUZIONE XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE N° 2/3 2/3 di Letizia Moratti, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ....................................................................... IX di Valentina Aprea, Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca................................................. 1 RELAZIONE C O N C L U S I VA di Plinio Sacchetto, avvocato generale dello Stato, Presidente del Gruppo di lavoro.............................................................. 3 I CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAV O R O LA PROFESSIONALITÀ DOCENTE NEL PANORAMA INTERNAZIONALE ................................................................... 19 LE FONTI GIURIDICHE DEL CODICE DEONTOLOGICO ................... 26 CRITERI DI DEFINIZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO ............... 29 SINTESI DEI CONTRIBUTI ......................................................... 34 PRESENTAZIONE INTRODUZIONE I N T E RV E N T I CODICE DEONTOLOGICO: UN’OCCASIONE DI CONFRONTO SULLA PROFESSIONE DOCENTE di Emilio Brogi ..................................................................... 45 LINEE GUIDA PER IL CODICE DEONTOLOGICO DEI DOCENTI di Carlo Cerofolini ................................................................ 51 OLTRE IL CODICE DEONTOLOGICO di Rosario Drago ................................................................... 55 OSSERVAZIONI E PROPOSTE PER LA DEFINIZIONE DEI CRITERI DEL CODICE DEONTOLOGICO di Carmela Lo Giudice Sergi.................................................. 61 VERSO UNA SCUOLA DELLA LIBERTÀ E DELLA RESPONSABILITÀ di Gianni Mereghetti............................................................. 66 OSSERVAZIONI SUI CONTRIBUTI DELLA COMMISSIONE di Giuliano Piazzi ................................................................ 75 LA RESPONSABILITÀ E LA SCUOLA di Marco Rossi Doria............................................................. 79 ANNALI DELL’ISTRUZIONE RIFLESSIONI CONCLUSIVE SUL CODICE DEONTOLOGICO di Maurizio Salvi.................................................................. 88 UNA RIVOLUZIONE CULTURALE PER LA NUOVA FIGURA DI DOCENTE, DOCUMENTI VIII di Giuseppe Savagnone .......................................................... 92 PROFESSIONALITÀ DOCENTE di Carla Xodo ....................................................................... 95 IL CODICE DI COMPORTAMENTO DEGLI INSEGNANTI di Paola Zerman ................................................................... 100 DECRETO MINISTERIALE COSTITUTIVO DEL GRUPPO DI LAVORO (2/11/2001) .................................. 107 UNESCO – OIT: RACCOMANDAZIONE SULLO STATUS DEGLI INSEGNANTI ................................................................. 109 DOCUMENTO DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE SUL CODICE DEONTOLOGICO DEL PERSONALE DELLA SCUOLA (11 SETTEMBRE 2002) .......... 125 CODICI DEONTOLOGICI DI ALCUNI PAESI OCSE: CANADA, FRANCIA, SPAGNA, SVIZZERA, USA....................... 129 Bibliografia ........................................................................... 147 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE P R E S E N TA Z I O N E di LETIZIA MORAT T I MINISTRO d e l l’ I S T R U Z I O N E d e l l’ UNIVERSITÀ e della R I C E R C A L a Commissione sul codice deontologico degli insegnanti ha lavorato intensamente con un obiettivo: dare un contributo alla piena valorizzazione del ruolo degli insegnanti, per costruire una scuola di qualità. La consapevolezza da parte degli insegnanti dell’importante funzione che svolgono e l’apprezzamento sociale della figura del docente sono sempre stati fondamentali. Ma oggi lo sono ancor di più, perché nel grande mutamento che investe la nostra società, i giovani hanno sempre maggior bisogno di educatori, in quanto spesso attraversati da incertezze, sollecitati da stimoli non sempre positivi e talvolta non guidati dalla famiglia. Alla scuola si chiede quindi di recuperare una propria missione educativa e agli insegnanti di essere in grado di ascoltare i ragazzi, di aiutarli a costruire liberamente le proprie opinioni, la propria personalità, di diventare cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri e poter dare così il proprio positivo contributo alla società. Il lavoro di questa Commissione è quindi, innanzitutto, un messaggio di incoraggiamento e di riconoscimento rivolto agli insegnanti perché rafforzino la fiducia nel loro lavoro, insostituibile per la scuola e per il Paese. Al di là delle numerose situazioni, delle sedi, dei «tavoli» sindacali, politici e associativi, in cui si cerca di migliorare la condizione e il rapporto di lavoro degli insegnanti, è opportuna e necessaria una riflessione sempre più ampia e approfondita sulla professione docente e sulla sua deontologia. Credo che lo studio compiuto con grande attenzione e intelligenza dalla Commissione e l’elaborazione di una ipotesi di codice costituisca una utile base per avviare un dibattito finalizzato anche al rafforzamento della qualità della scuola italiana. Sono convinta, infatti, che la qualità del sistema formativo passi in modo particolare attraverso la qualità del corpo docente. Accanto a punte di eccellenza nell’insegnamento, vi sono altri casi dove manca la necessaria qualità dell’insegnamento. Vi sono comportamenti virtuosi ma, purtroppo, anche comportamenti non adeguati al ruolo e ai compiti dell’insegnante. Si tratta quindi di arricchire il patrimonio culturale e professionale degli insegnanti con una presa di coscienza dei principi, dei valori e delle responsabilità personali che sono a fondamento del rapporto tra docente e discente. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA IX La dignità e il prestigio di questa professione sono fatte innanzitutto di valori e comportamenti ai quali ogni docente deve liberamente attenersi secondo la propria coscienza per svolgere al meglio il suo compito educativo e sociale. Sono certa che l’opera compiuta dalla Commissione sia utile per definire un insieme di principi, che saranno proposti ai docenti perché li discutano e li facciano propri nei modi che riterranno più opportuni. Non vi sarà nessuna imposizione dall’alto, poiché non può esistere nessun vero codice deontologico della professione docente che non nasca dalla volontà progettuale di chi opera nella scuola. Mi auguro quindi che le proposte della Commissione costituiscano l’avvio di un lavoro comune e favoriscano la costruzione di una professionalità dell’insegnante più aderente alle esigenze degli studenti e delle famiglie. X A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE INTRODUZIONE di VALENTINA APREA S O T T O S E G R E TARIO al M I N I S T E R O d e l l’ I S T R U Z I O N E, dell’ UNIVERSITÀ e della R I C E R C A P erché il Governo ha voluto la costituzione di questa Commissione e perché si è formato questo gruppo di lavoro? Perché nessun Governo può immaginare di investire sulla scuola senza tener conto dei docenti, del loro sviluppo professionale e della loro immagine sociale. È quindi necessario sostenere tutte le iniziative, con il contributo dell’associazionismo professionale e della stessa opinione pubblica, che contribuiscano a valorizzare il ruolo docente, su cui si fonda la speranza del cambiamento della scuola. La professionalità dell’insegnante è stata troppo a lungo dimenticata, se non mortificata. Senza invadere gli ambiti contrattuali o sindacali, è urgente avviare un dibattito nazionale su cosa significa essere insegnanti in generale, ed essere insegnanti nella scuola italiana in particolare. È l’unica via, per quanto lunga e difficile, per rilanciare, anche sul piano dell’immagine sociale, la figura, il ruolo e la funzione del docente. E tale obiettivo è tanto più importante nel momento in cui ci apprestiamo a dare attuazione alla legge che riordina l’intero sistema scolastico italiano, la legge 53 del 28 marzo 2003. La legge contiene un lungo articolo dedicato alla formazione degli insegnanti e questo è un segnale di primaria importanza. Infatti, mentre si ridisegna l’impianto strutturale della nostra scuola (del sistema di istruzione e di formazione), ci si preoccupa, in modo particolare, di ridisegnare anche il reclutamento, la formazione iniziale e in servizio di quelli che saranno i protagonisti del cambiamento. Il lavoro della Commissione per l’elaborazione di proposte per un codice deontologico della docenza si iscrive in questo processo di rinnovamento. È ora necessario cercare un luogo in cui tale processo di cambiamento trovi maturazione e il necessario consenso, partendo dall’orizzonte specifico nel quale si iscrive l’attività dell’insegnante, cioè di un adulto che educa e «forma». Partendo dalle grandi ragioni che sono richiamate dalle conclusioni del lavoro della Commissione, si deve sentire l’esigenza di una discontinuità con il passato e soprattutto con gli ultimi anni. I tanti richiami e i ricordi di una docenza «antica», di una sapienza profonda, di uno spirito di dedizione alla cultura, che hanno proPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 1 dotto la nostra Italia, denunciano dolorosamente qualcosa di prezioso che si è perduto. Quel passato era favorito da una dimensione ragionevole del sistema scolastico, da un numero limitato di studenti, da un corpo selezionato di docenti. Oggi invece dobbiamo fare i conti con la sfida di una scuola di massa, con numeri enormi, con un investimento in risorse umane e finanziarie assolutamente inedito. Ecco perché le soluzioni ai problemi che dobbiamo affrontare non possono ispirarsi né alla nostalgia né al richiamo del passato. Sono problemi nuovi, che richiedono soluzioni nuove. È vero, quella gloriosa scuola italiana – e quegli insegnanti – «ha fatto l’Italia», ha debellato l’analfabetismo, ha gettato le basi culturali e professionali del nostro attuale benessere, ha formato intere generazioni di cittadini. Quella scuola, tuttavia, nell’attuale situazione culturale, economica e sociale in continuo e profondo cambiamento non costituisce più un modello. Eppure ha ancora qualcosa da insegnarci. Ed è lo spirito di «impresa educativa», di etica del servizio, di qualità, di rigore, di professionalità che ispirava l’istituzione e gli insegnanti che vi operavano. Ma oggi, che cosa significa educare? Preparare al futuro. A quale modello di insegnante dobbiamo fare riferimento? Qual è il progetto che può essere ispirato dalla ricerca pedagogica, psicologica o didattica? Tutte domande che non hanno ancora una risposta sicura. Eppure non possiamo aspettare. 2 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE RELAZIONE CONCLUSIVA di PLINIO SACCHETTO Av vocato generale dello S TAT O Presidente del GRUPPO DI LAV O R O I l ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Letizia Moratti ha istituito con suo Decreto 2/11/2001 un gruppo di lavoro «formato da esperti, cui affidare il compito di definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico». Nel presentare ora, come richiesto, «i risultati del lavoro svolto sulla base di una complessiva riflessione sull’intero sistema di diritti e di doveri del personale della scuola» il gruppo di lavoro ritiene di premettere brevemente alcune indicazioni sul percorso seguito per l’indagine. Il suo avvio ha avuto luogo nella riunione del 20 novembre 2001, nella quale ha preso subito la parola il sottosegretario on. Valentina Aprea, che – coerentemente alle dichiarazioni programmatiche del ministro Letizia Moratti – ha così esordito: «Perché il Governo ha voluto la costituzione di questa Commissione e perché si è formato questo gruppo di lavoro? Perché nessun Governo può immaginare di investire sulla scuola senza tener conto dei docenti. È necessario valorizzare la specificità della docenza, su cui si ripongono grandi aspettative. Secondo Gardner tutti dovrebbero ricordare la grande invenzione dell’educazione che è conoscenza, comprensione, saggezza: è questo un valore da riscoprire». Ecco perché «a questo gruppo e ai presidenti si chiede di aprire una riflessione sulla specificità della figura docente attraverso la definizione del codice deontologico che ne rispecchi l’etica». Ed il presidente Plinio Sacchetto ha subito sottolineato che: «Si tratta di tutelare la dignità personale e professionale della categoria dei docenti al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico. Ma viene prima la qualità o prima la dignità dei docenti? Il concetto di deontologia era stato introdotto da Bentham, filosofo del Settecento, per regolamentare il dovere in funzione dell’utile sociale. L’evoluzione storico-politica della problematica ha infine condotto all’autoregolamentazione dei diversi ordini professionali. Ma qui la categoria è molto ampia, arPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 3 ticolata: va ricondotta ai principi e richiede la revisione delle normative esistenti. Si deve guardare alle connessioni con altre normative di autoregolamentazione, per esempio, per la comunicazione, i codici dei giornalisti, che recano importanti norme in materia di privacy che riguardano i minori. La questione trova radici nel dettato costituzionale, negli articoli 33 e 34, ma anche nell’art. 30 che riguarda il dovere educativo dei genitori nonché nell’art. 97 che concerne il buon andamento dell’Amministrazione. L’insegnamento è rivolto agli scolari, pone rapporti con le famiglie e conferisce alla scuola una specifica funzione amministrativa, sia essa scuola pubblica o scuola privata. La normativa attuale, in particolare l’art. 54 del D.lgs. 165/2002, che tratta del codice di comportamento per i dipendenti pubblici, pone il problema delle sanzioni: ma la cogenza del diritto dovrebbe nascere dalla percezione di dover adempiere ai propri compiti. È quindi importante che il sistema induca alla professionalità attraverso un contenuto unitario che disegni il quadro di riferimento in cui operare. Vanno quindi evidenziati i punti salienti da coltivare, mediante i rapporti effettivi che intercorrono tra i diversi aspetti della problematica: quello amministrativo e organizzativo, quello centrale e periferico, senza trascurare la componente psicologica, pedagogica e didattica e guardando al raccordo con il mondo esterno con cui gli studenti dovranno confrontarsi». A sua volta, il presidente onorario Ersilio Tonini ha felicemente iniziato il proprio intervento ricordando che «la nostra civiltà deve molto al mondo greco: paideia non è solo educazione ma è disciplina del pensiero». Ed ha così proseguito: «La scuola deve avvertire come compito primario quello di abituare il ragazzo al pensiero». Punti di riferimento: 1. Il futuro: i ragazzi saranno responsabili di quelli non ancora nati. La deontologia anticipa il diritto, in quanto ci si deve rendere conto dell’eredità da trasmettere: siamo genitori di quello che sarà. 2. L’università: per favorire la cultura nella sua evoluzione è necessario l’incontro dei saperi. 3. II disorientamento: è dato dall’assistere al fatto che solo le tecniche oggi operano sulla vita umana. Siamo impreparati a che le tecniche incidano sulle finalità. Il docente non deve essere solo un professionista che fa bene il suo dovere, ma deve essere consapevole che i ragazzi devono essere pronti alla evoluzione. Secondo Giovanni Reale, siamo destinati a un grande futuro tecnologico: le scuole devono aprirsi l’una verso l’altra, la scuola umanistica deve arricchirsi per tecnologia e la scuola tecnologica deve arricchirsi umanisticamente, curare anche gli aspetti filosofici. Se il futuro ci riserva grandi novità, c’è già, nei ragazzi, qualcosa di «Eterno». A questo punto, sono seguiti gli interventi di numerosi componenti del gruppo, ciascuno dei quali ha posto in evidenza quelli che riteneva i punti focali su cui si sarebbe dovuta concentrare l’indagine. 4 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Tali interventi sono stati tutti trascritti o rielaborati ed acquisiti agli atti, come quelli delle sedute successive: e ad essi si farà espresso richiamo nell’ulteriore corso della relazione quando siano di particolare rilievo per il confronto dialettico seguitone. Nella riunione del 31 gennaio 2002, lo stesso ministro Letizia Moratti ha ribadito che l’obiettivo della Commissione è «proprio quello di studiare e di fornire degli elementi per poter pervenire auspicabilmente ad un codice deontologico della professione docente. È chiaro che nessun codice deontologico può appartenere ad una categoria se la categoria non lo fa proprio, questo è evidente. Credo, però, che un approfondimento ed una riflessione e quindi anche un’ipotesi di codice deontologico, che mi auguro scaturisca da questa Commissione, può essere poi materia di approfondimento sui tavoli sui quali si andrà ad elaborare la politica che attiene più a temi di tipo contrattuale dei docenti stessi». Con il che il Ministro ha ribadito un rilievo fondamentale sulla distinzione e sul raccordo tra i due piani di lavoro. Il sottosegretario Aprea ha ripreso a sua volta in esame l’articolato e complesso tema della riforma, sottolineando che la legge di delega «contiene un lungo articolo dedicato alla formazione degli insegnanti e questo non è di secondaria importanza nel senso che, mentre ridisegna l’impianto strutturale della nostra scuola, del sistema educativo e formazione della nazione, cura in modo particolare la formazione di quelli che saranno i veri protagonisti». Ed infatti l’art. 1 stabilisce che la legge delega è conferita al Governo «al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione». Così come all’art. 2, nel determinare (così come prescritto dall’art. 76 Cost. per la delega al Governo della funzione legislativa) i principi ed i criteri direttivi che definiscono «il sistema educativo di istruzione e di formazione», il Legislatore stabilisce in primis che «sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea». A questo punto, sembra pertinente richiamare i primi rilievi formulati nella stessa seduta del 3 gennaio 2002 dal presidente Sacchetto sull’inquadramento giuridico-costituzionale della problematica in esame: «Gli artt. 33 e 34 della Costituzione sono stati posti non solo a presidio delle libertà di manifestazione di pensiero e di insegnamento, ma per assolvere al dovere primario di ogni società democratica di assicurare un adeguato servizio pubblico a tutti i giovani, indipendentemente dalle condizioni economiche. Il servizio richiede perciò condizioni di efficienza organizzativa e lineamenti fondamentali comuni di impianto culturale, di conoscenza e di educazione civile, salva la elaborazione di diversi disegni di formazione educativa a garanzia della libertà del pensiero, il cui pluralismo costituisce non una irriducibile antitesi, ma una costruttiva necessità dialettica. L’organizzazione del servizio scolastico, quindi, pubblico o privato, nel rispetto delle condizioni essenziali e paritarie, deve essere conforme all’art. 97 ‘buon andamento del servizio ed imparzialità dell’amministrazioPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 5 ne’, che vale per tutte le attività che richiedono preparazione professionale ed efficienza operativa. Tali principi sono richiamati e verranno richiamati nelle norme ordinarie, oltre che nei contratti collettivi, per quanto riguarda i doveri degli insegnanti. Gli insegnanti però, pur inquadrandosi sul piano contrattuale tra i dipendenti (prevalentemente pubblici), assolvono ad un servizio professionale non paragonabile ad altri perché investe direttamente la formazione della persona umana, ex art. 3 della Costituzione, come singola e come componente della società. Se così è, gli insegnanti non solo devono adempiere ai doveri specifici verso il datore di lavoro, ma darne conto alla Repubblica – l’art. 98 infatti parla di servizio alla Nazione come espressione somma, unitariamente intesa, della società in tutte le sue articolazioni – agli scolari come cittadini del futuro, ed ai genitori come responsabili primi della loro educazione (art. 30, I c.). Anche il codice deontologico allora deve certamente innestarsi su quello dei dipendenti pubblici per la parte relativa al rapporto di lavoro, ma non può esaurirsi negli adempimenti generali (e generici) previsti negli stessi: deve inoltre ricondurre ogni comportamento al dovere fondamentale di assicurare la formazione della persona e del cittadino, fine primario della Costituzione che deve essere garantito attraverso l’adeguamento costante degli insegnanti alle esigenze dell’evoluzione sociale e culturale. A questo fine, naturalmente, lo Stato e gli Enti pubblici e privati responsabili del servizio dell’istruzione devono predisporre strumenti di aggiornamento e di verifica su cui i singoli insegnanti possano periodicamente misurare la loro preparazione. Avviando quindi un primo approccio, su tali premesse di principio, ai possibili contenuti del codice di comportamento, appare essenziale l’esigenza che i valori costituzionali, etico-sociali e di condotta civile vengano esposti ed enunciati con la maggior obiettività possibile, ferma restando, naturalmente, per l’altrettanto essenziale libertà d’insegnamento e di manifestazione del pensiero, la possibilità di diverse interpretazioni ed opinioni, ma evitando alterazioni e contrapposizioni polemiche tali da travisare il significato delle regole fondamentali della convivenza e favorendo invece l’educazione alla capacità critica. Questo il punto fondamentale: basti pensare, nel quadro della realtà attuale, alla necessità di prevenire il razzismo e l’intolleranza religiosa (artt. 2 e 3 della Costituzione). Analogamente – può sembrare paradossale – occorre dire per tutte le altre materie, non solo per la filosofìa, la storia, la geografia che è pure importantissima, ma anche per le letterature antiche e per le scienze. Si può criticare la poesia di Leopardi e discutere la sua vita e la sua visione filosofica, ma occorre prima leggerne bene i versi. La formazione degli insegnanti è il presupposto della loro funzione di formazione degli allievi o studenti o discenti, che non devono però essere solo apprendisti perché potrebbero diventare stregoni o quantomeno stregati ed a questo basta la televisione». Dopo i richiamati interventi, si è aperto un largo dibattito nel quale numerosi componenti hanno prospettato la loro posizione sulla tematica in esame: e non sono mancate affermazioni vivacemente polemiche come quella che «la sola pronuncia della parola valori scatena la guerra civile dentro le scuole», oppure che «il codice deontologico sono le norme dei doveri che le professioni si danno autonoma6 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E mente: in questo l’Amministrazione non ha nulla a che vedere», o che con il codice deontologico «si va allo stato etico». Dal complesso della discussione, comunque, sono emersi con chiarezza i punti focali dell’analisi cui è chiamata la Commissione, e che sono stati ricondotti ai seguenti tre temi: a) i codici deontologici attuali delle professioni e della professione docente in Europa e in sede OCSE; il problema del codice deontologico degli insegnanti; b) riferimenti diretti rinvenibili nella normativa vigente in materia di istruzione e di insegnamento, a partire dai principi costituzionali; la prospettiva federalista e pluralista; c) situazione attuale degli insegnanti, nuova mission dell’insegnante, problema dei valori. I componenti si sono divisi tra i tre sottogruppi così individuati, pervenendo a risultati che verranno esposti. Ora è fuor di dubbio la complessità e delicatezza della disamina, che investe una serie di rilevantissimi interessi pubblici, privati e di categoria (sostanziali e formali) di non sempre agevole qualificazione e da ricondurre ad una linea tendenziale di convergenza. Sembra quindi più costruttivo, analizzando i risultati della riflessione compiuta, non anteporre questioni astratte ed aprioristiche di metodo ma esporre in primis la materia oggetto dell’esame e delle proposte richieste, e cioè i comportamenti e le attività necessari per realizzare la finalità – la mission – degli insegnanti, costituita da quel bene umano e sociale che è rappresentato dalla formazione educativa attraverso l’insegnamento. Conviene quindi prendere subito in esame, per la sua articolazione e completezza, la scheda riassuntiva del terzo gruppo di lavoro: è questo il punto centrale dell’indagine perché è la sua stessa ratio. Dopo di che – così individuata più concretamente la materia – potranno esaminarsi le possibili forme regolative idonee allo scopo. Sembra, così, descritta ed analizzata in tutte le sue valenze, connessioni ed esigenze – e ricondotta ad unità organica – la sfera di azione che l’attività dell’insegnante – come primaria funzione umana e sociale – è chiamata ad assolvere. Possiamo quindi più realisticamente affrontare il nodo del tipo di regolamentazione praticabile in materia: regolamentazione sulla cui natura si appuntano comprensibilmente l’attenzione e le preoccupazioni della categoria, evidenziate dalle considerazioni svolte dal primo e dal secondo gruppo di lavoro. In particolare, sono stati richiamati numerosi nuovi modelli stranieri di codice deontologico, sottolineando, da un lato, che il codice deve essere espressione esclusivamente della categoria professionale degli insegnanti – attraverso un proprio organo di autogoverno o, quanto meno, largamente autonomo – e, dall’altro, deve essere strettamente collegato con il loro status giuridico. Non è forse inutile ricordare, intanto, che la denominazione Codice va intesa non solo come raccolta (organica o meno) di norme giuridiche ma – lato sensu – come PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 7 insieme di regole anche di diversa natura (etica, religiosa, familiare, professionale, cavalleresca) operanti nelle relative sfere di rapporti e di interessi. E come, specificamente, l’etica professionale è l’insieme dei doveri inerenti alle attività professionali svolte nella società, così codice deontologico si definisce l’insieme delle norme relative appunto ai doveri inerenti all’esercizio di una professione. Negli USA in particolare è largamente diffusa – anche nei settori operativi più delicati – l’espressione «Codice etico». Il problema di cui ci occupiamo, per altro, non è nominalistico ma è caratterizzato da una peculiarità sostanziale di grande rilievo perché riguarda una categoria di persone che, da un lato, riveste una posizione di impiego dipendente e, dall’altro, esercita una funzione professionale (per giunta di altissimo livello sociale). Come si è ripetutamente evidenziato (perché è il Leitmotiv della ricerca), la formazione educativa è fondamento e fine (in quanto investe la persona umana) della vita sociale e quindi chi la esercita ha una responsabilità etico-sociale primaria, radicata nella stessa Costituzione. Tale funzione è in effetti tipicamente professionale, non può cioè confondersi con l’adempimento di un generico obbligo lavorativo. E proprio per questo l’importanza e la delicatezza della funzione deve essere adeguatamente considerata – come lo è ad esempio, oltre che per i medici degli ospedali pubblici, per i giudici, anche se legati da un rapporto di impiego –, nel trattamento giuridico-economico che ne costituisce lo status. Ma, proprio perché di fondamento etico-sociale, non può, in linea di principio, essere condizionata dallo status, in quanto doverosa in sé, per chi vi si dedichi con propria scelta libera, nell’interesse generale. Da qui appunto l’esigenza di un codice deontologico per la professione degli insegnanti, che – proprio per la natura etica dell’impegno – devono partecipare consapevolmente alla sua elaborazione, traendo poi le coerenti conseguenze dell’adesione ad esso, così come tuttavia lo Stato non può non assicurarsene senza venir meno all’assolvimento del proprio compito costituzionale in materia (tenendone poi conto, per la sua diretta attività scolastica istituzionale – o per altri soggetti gestori di scuole in sede di normativa relativa allo status). Né, a dubitare che di tanto debba tuttora darsi carico, in definitiva, lo Stato può indurre la riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, sulla ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni, in quanto il codice deontologico trova la sua radice in principi richiamati nelle norme costituzionali di cui ai principi fondamentali e più specificamente al Titolo II della Parte I, relativo appunto ai rapporti etico-sociali, principi rimasti immutati, e, d’altra parte, anche il «nuovo» art. 117 della Costituzione attribuisce le norme generali sull’istruzione alla legislazione esclusiva dello Stato (a cui pure è riservata la determinazione dei principi fondamentali in materia di legislazione concorrente, salvo riserve specifiche). Il che non impedisce, naturalmente, che qualora si ritengano utili ed opportune specificazioni, sul piano deontologico in materia di istruzione tecnica e professionale di competenza legislativa esclusiva regionale, a tanto potrà provvedersi integrando le regole generali con ulteriori indicazioni, da parte delle Regioni, pertinenti al settore. 8 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Così come alla competenza esclusiva dello Stato spetta (lett. m) la legislazione sulla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Sicché, ai fini che ne riguardano, non sembra contestabile che anche in questa nuova ottica spetti tuttora allo Stato di garantire i principi fondamentali deontologici (e cioè etico-sociali) in materia. E si conferma quindi, ancora una volta, l’esigenza che lo Stato assicuri – attraverso il suo impegno costituzionalmente doveroso – il coordinamento tra la posizione professionale degli insegnanti ed il loro status di impiego dipendente. È questo status che non permette di assimilare la loro posizione – sic et simpliciter – a quella dei liberi professionisti e che richiede un raccordo estremamente attento tra le due posizioni (professionalità e dipendenza contrattuale) come quella riscontrabile, lo si è appena notato, per i medici e per i magistrati. Il nodo è costituito dunque – affrontiamolo qui ex professo – dalla «professionalità» dell’attività dell’insegnante quale si è andata delineando sempre più accentuatamente negli ultimi decenni, con i caratteri che si sono sopra esposti. Ed il tema è stato affrontato ormai in varie sedi e, per quanto ne riguarda particolarmente, nel recentissimo ed eccellente (sia detto con l’astensione degli autori, componenti del gruppo!) Professionalità e Codice deontologico degli insegnanti di Alessandra Cenerini e Rosario Drago. Senza ovviamente riprendere in esame l’origine, l’evoluzione e i diversi significati – generici e specifici – dell’espressione e di quelle che ne derivano, basterà ricordare che per «libero professionista si definisce chi esercita una professione liberale in modo indipendente, senza rapporto di subordinazione nei confronti dello Stato o di un datore di lavoro» (Vocabolario della lingua italiana dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana III). E su «la professionalizzazione del lavoro» in generale valga la ricchissima e completa voce di Prandstraller (che ha collaborato anche al volume specifico appena citato) nell’Appendice 2000 (ed. 2001) dell’Enciclopedia Italiana, dove appunto si approfondisce il problema posto dall’organizzazione del lavoro tayloristico, citando anche – oltre a casi più tipici di lavoro professionale dipendente – quello dell’organizzazione scolastica, dove «anche la categoria degli insegnanti di scuola media corre un rischio analogo, perché compressa fra la gestione burocratica della scuola, le richieste delle famiglie e la presa di coscienza degli studenti intervenuta negli anni Sessanta». Il riconoscimento della natura professionale è appunto corrispondente alla qualità del lavoro degli insegnanti e delle sempre più avanzate ed impegnative esigenze della società presente e del futuro cui la loro «missione» è chiamata. Tale essendo il modello di riferimento del personale della scuola cui dovrebbero corrispondere i criteri per il relativo codice deontologico, non si può non distinguere – avendo riguardo alla posizione del Ministro, cui il gruppo è invitato ad offrire il suo apporto – tra la predisposizione di un inquadramento ottimale del futuro – introducendo principi che corrispondano alla natura del problema come ormai si pone – e le possibilità in concreto offerte dall’attuale realtà dello status giuridico in cui gli insegnanti si collocano. Ed infatti il sottogruppo n. 2 «si è occupato di ‘inventariare’ le fonti giuridiche e, in generale, le norme che hanno definito o modificato nel tempo la funzione e la PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 9 condizione del docente fin da quando, in Italia, nel 1911, per effetto della legge Daneo-Credaro, i docenti sono diventati dipendenti dello Stato», e «si è trovato d’accordo nel rilevare che la normativa, compresa quella di natura negoziale, varia ed estesa, si è occupata principalmente dell’insegnante, ovvero ‘impiegato dello Stato’, secondo una concezione garantistica ed individualistica più che professionale dell’insegnamento e della conseguente autonomia e ‘libertà’ così come definita dall’art. 33 della Costituzione». È per questo che tale sottogruppo ha raccomandato che venga definito «il nuovo stato giuridico degli insegnanti» e costituito un «organo rappresentativo dei docenti come professionisti dell’insegnamento», che dovrebbe sostituire l’attuale «Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione», e ad analoghe proposte è sostanzialmente pervenuto – anche sulla base del confronto con ordinamenti stranieri specificamente anglosassoni – il sottogruppo n. 1. A questo punto, per adempiere al mandato del Ministro, occorre: 1. in primo luogo, richiamare i principi normativi vigenti di cui tener conto per definire i criteri del codice deontologico; 2. elaborare una summa dei valori fondamentali da porre a base del codice, formulandone un modello generale da verificare e sviluppare; 3. individuare le più efficaci modalità di raccordo tra le iniziative del Ministro e la partecipazione delle rappresentanze della categoria; 4. indicare infine – anche se a rigore esulerebbe formalmente dal compito affidato al gruppo – proposte di innovazioni legislative idonee ad assicurare un più adeguato riconoscimento della professionalità degli insegnanti – e dei relativi diritti e doveri – nel quadro del loro status giuridico. 1. Giova appena premettere che i principi normativi vigenti sul codice di comportamento vanno inquadrati nel contesto della normativa attinente alla pubblica amministrazione in generale ed alla scuola in particolare, a partire dagli artt. 97 e 98 della Costituzione, ricordati ab initio. Ciò posto, il codice etico degli insegnanti va innestato a sua volta nel «codice di comportamento» originariamente previsto dal D.lgs. 29/93 (testo sulla razionalizzazione del pubblico impiego) che riguarda generalmente e genericamente tutti i dipendenti della PA. In base all’art. 58 bis della legge citata, il Dipartimento della funzione pubblica, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, definisce un codice di comportamento delle amministrazioni pubbliche. Tale norma è stata recepita (con alcune modificazioni intervenute successivamente) dal D.lgs. 165 del 2001, che sostituisce integralmente il D.lgs. 29/93. Il codice di comportamento è attualmente previsto appunto dall’art. 54 del D.lgs. 165 del 2001, recante «norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche». Al comma 1 di questo articolo è stabilito che «il Dipartimento della funzione pubblica sentite le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’art. 43, definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le stesse amministrazioni rendono ai cittadini». 10 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E E, una volta adottato tale codice, ai sensi del comma 5, «l’organo di vertice di ciascuna pubblica amministrazione verifica, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43 e le associazioni di utenti e consumatori, l’applicabilità del codice di cui al comma 1, anche per apportare eventuali integrazioni e specificazioni al fine della pubblicazione e dell’adozione di uno specifico codice di comportamento per ogni singola amministrazione». È alla stregua della richiamata normativa che va elaborato il codice deontologico del personale della scuola per cui il gruppo è stato chiamato a definire i criteri. Come si è visto, la peculiarità dei codici di comportamento di cui ci occupiamo è di essere previsti come obbligatori da una norma primaria: ma sembra evidente che tale previsione normativa impone l’adozione di regole di comportamento, ma non indica quale contenuto debbano avere, purché sia salvaguardato il fine di assicurare la qualità dei servizi resi ai cittadini. E tale previsione è coerente con la natura dei codici in questione che, come si è visto sopra, possono essere definiti – oltre che di comportamenti, etici o deontologici – espressioni che non a caso vengono qui usate alternativamente: diversa sarebbe, invece, la qualificazione di codice disciplinare, la cui natura comporterebbe dirette conseguenze sanzionatorie. Ma, per quanto ne riguarda, la normativa contiene, per le sanzioni disciplinari e le responsabilità, una previsione nettamente distinta al successivo art. 55 dove, al comma 3, si stabilisce che la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, è definita dai contratti collettivi, «ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all’art. 54». Della condotta tenuta dai dipendenti in base ai criteri dei codici di comportamento potrà, quindi, tenersi conto anche per eventuali sanzioni disciplinari, secondo un parametro ed una misura la cui fonte per altro risiede altrove. Ciò è tanto vero che lo stesso Codice di comportamento dei dipendenti della pubblica amministrazione del 28 novembre 2000 non vi fa riferimento: di tali effetti eventuali e indiretti dell’inosservanza del Codice di comportamento non deve quindi farsi qui espressa disamina (pur provvedendosi ad allegare anche per questo una relazione). Il gruppo si è posto anche il problema se dovesse darsi vita ad un solo codice deontologico od a tanti codici per i docenti delle scuole «autonome». Ora, nel richiamato quadro normativo vigente, è previsto un codice di comportamento per ogni amministrazione, unitariamente intesa; ma, naturalmente, ben può essere aperta la via alla elaborazione di regole per docenti delle singole scuole (si pensi all’istruzione professionale) più aderenti alla specifica situazione in cui si trovano ad operare. Analogo discorso, in senso «gerarchicamente» inverso, va fatto per i dirigenti, la cui azione deve essere svolta nel quadro delle finalità comuni del primario servizio di cui devono essere in primis partecipi; con in più l’indicazione degli specifici standard professionali necessari per la funzione di «leader educativi». 2. Nel definire, quindi, i criteri per il codice per il personale della scuola, occorrerà – nel quadro normativo appena indicato – tenere presente il codice «generale» dei dipendenti di cui alla D.M. 28 novembre 2000 – alla cui osservanza (art. 1, 1) tutti i dipendenti pubblici sono impegnati –, tenendo presente che «i suoi PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 11 principi e contenuti costituiscono specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità, che qualificano il corretto adempimento delle prestazioni lavorative». Si tratta di principi, d’altra parte, del cui rispetto sembra difficile contestare la doverosità (cfr. art. 2, 1): ma, naturalmente, le integrazioni e le specificazioni previste dall’art. 54, comma 5, della normativa primaria assumono – di fronte alla categoria degli insegnanti – una incidenza preminente rispetto alle esigenze di tutte le altre categorie. Già la Raccomandazione sullo status degli insegnanti redatta a Parigi il 5 ottobre 1966, da una speciale Conferenza intergovernativa convocata dall’Unesco/OIT, dopo aver premesso che «l’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio ‘pubblico’» – già ben focalizzando i termini di un problema tuttora aperto nel nostro ordinamento – così prosegue: «tale professione richiede non solo conoscenze approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e continui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi (art. 6)». E poi puntualizza: • Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività (art. 70). • La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero essere definiti con il concorso delle loro organizzazioni (art. 71). • Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei doveri professionali sulla base dei principi concordati (art. 73). Così come merita di essere ricordato «che la bozza di Stato giuridico degli insegnanti spagnoli, tuttora in discussione, riporta uno specifico articolo sui valori etici della docenza: Articolo 5. Valori etici del servizio pubblico docente. Sono valori etici del servizio pubblico docente l’integrità, la neutralità, l’imparzialità, la trasparenza nello svolgimento dell’attività d’insegnamento, la ricettività, la responsabilità professionale, l’interesse pubblico e il servizio ai cittadini. Le amministrazioni scolastiche stimoleranno modelli di comportamento del personale al loro servizio che integreranno i valori etici del servizio pubblico docente nella sua azione professionale e nelle sue relazioni con i cittadini». A questo punto, si pone il nodo centrale del lavoro affidato al gruppo: quello appunto della individuazione, nel merito, dei criteri del codice deontologico degli insegnanti. Ora, si è già rilevata un’ampia ed esauriente rappresentazione della materia esposta nella menzionata opera di Alessandra Cenerini e Rosario Drago, la cui appendice contiene anche alcuni pregevoli e significativi esempi di analoghi Codici etici deontologici: e tra essi appare particolarmente interessante – perché essenziale e ad un tempo chiaro e lineare – quello del 1997 della S.P.R. (Svizzera). 12 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Ai nostri fini, comunque, offrono un quadro completo, articolato e puntuale le riflessioni del terzo gruppo di lavoro che – muovendo dai principi costituzionali – indicano conclusivamente (da 1 a 13 e dai successivi 1-8) i punti focali per il contenuto del redigendo codice. (Questi, quindi, potrebbero essere i riferimenti per un testo concordato del gruppo). 3. Viene ora all’esame un punto fondamentale e cruciale per gli insegnanti, come risulta da tutti gli atti del gruppo: e cioè quello del raccordo tra l’iniziativa del Ministro e la partecipazione della categoria. Che l’iniziativa e l’adozione dell’atto conclusivo – allo stato dell’ordinamento normativo – spetti al Ministro non può essere revocato in dubbio. L’interpretazione letterale e sistematica delle norme e l’attuale ordinamento dell’organizzazione scolastica e del rapporto di lavoro degli insegnanti non lasciano adito a diversa soluzione (che richiederebbe, come si vedrà al punto successivo, modifiche normative). E lo stesso art. 54, al par. 4, offre argomento decisivo e contrario (se pure servisse), prevedendo che solo «per ciascuna Magistratura e per l’Avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico che viene sottoposto all’adesione degli appartenenti alla magistratura interessata». Anche argomentando, pertanto, da tale norma verrebbe ulteriormente avvalorato che per tutte le altre pubbliche amministrazioni – ivi compresa quella scolastica – il soggetto formalmente qualificato all’adozione del codice deontologico è il Ministro. Del resto, i magistrati ordinari ritengono dubbia la costituzionalità di tale norma nei propri riguardi in quanto rappresentano, ex art. 101 Cost., un potere dello Stato: ma hanno ritenuto di darvi attuazione «considerando comunque opportuna l’individuazione delle regole cui, secondo il comune sentire dei magistrati, deve ispirarsi il loro comportamento. Si tratta, per altro, di indicazioni di principio prive di efficacia giuridica che si collocano su un piano diverso rispetto alla regolamentazione giuridica degli illeciti disciplinari. L’operata individuazione di norme di comportamento ispirata all’attuazione dei valori morali fondamentali propri dell’ordinamento della categoria, è inevitabilmente condizionata dall’assetto normativo vigente e dalla ricognizione delle questioni di maggiore rilevanza attuale». Analogamente «Nel preambolo del codice etico dei magistrati del Consiglio di Stato si avverte che ‘il codice non ha valore ed efficacia sul piano delle fonti normative pubbliche. La sua forza risiede soltanto nella spontanea adesione di ciascuno degli appartenenti alla categoria e alle regole in esso contenute. La violazione delle regole non l’applicazione delle sanzioni’. Si tratta, per quest’ultimo, delle stesse espressioni utilizzate nella nota di presentazione del primo codice etico dei magistrati del Consiglio di Stato, predisposto, quando il codice non era obbligatorio, attraverso un lungo dibattito con rapporto di tutti i magistrati del Consiglio di Stato. Ciò pare valga a sottolineare come la sopravvenuta obbligatorietà, posta dall’art. 58 bis, IV comma, sopra riportato, non abbia inciso sulla natura dei codici etici delle magistrature. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 13 Tali regole, quindi, non sono regole giuridiche in senso proprio, in quanto indicano valori privi di coercibilità, piuttosto che precetti coercibili. Al tempo stesso, esse, però, non appaiono neppure regole propriamente morali, in quanto queste ultime si esauriscono nella sfera dell’interiorità di ogni singolo soggetto. Si tratterebbe, quindi, di regole esteriori, non giuridiche, caratterizzate dalla completa mancanza del carattere di coercibilità. Questo carattere di non coercibilità emerge anche da una delle finalità di queste disposizioni. Una delle ragioni fondamentali, infatti, che pare segnare la nascita di questo tipo di regole può individuarsi, come si è accennato, nell’avvertita insufficienza delle norme giuridiche a regolare la nostra società. Da questa insoddisfazione, via via crescente, il tentativo, senza pretese e senza illusioni, ma certo di buona volontà, di percorrere la strada di regole non cogenti, che indichino i valori di fondo dell’ordinamento, spogliandoli dalle strutture giuridiche e rendendoli evidenti. Un presidio, quindi, degli stessi imperativi giuridici, attraverso la scoperta e la richiesta di adesione ai valori che essi sottendono, da parte di norme non giuridiche. Appare così conseguente che tutte le regole dei codici etici muovano dagli stessi valori fondamentali. I valori essenziali, che emergono dai codici etici adottati da ciascuna magistratura, sono quelli dell’eguaglianza, e, conseguentemente, dell’esercizio del potere quale esclusivo servizio» (G. Barbagallo, I codici etici delle magistrature, ne «II Foro Italiano», gennaio 1996, III, 36). Ora, il codice deontologico degli insegnanti ha chiaramente natura e funzione non diverse da quelle cui si ispirano i codici delle magistrature. Ed è a queste esigenze comuni della società che il Ministro ha avuto riguardo nel formare un gruppo di lavoro – in una composizione così ampia, diversificata e qualificata – «con il compito di definire criteri per un codice deontologico». Del resto, anche la normativa relativa ai codici della Pubblica Amministrazione prevede che essi siano adottati – come abbiamo visto sopra – dopo aver sentito le confederazioni sindacali rappresentative (comma 1) e, per le singole amministrazioni (comma 5), anche le associazioni di utenti e consumatori; e, comunque, l’ampiezza della consultazione e la rilevanza ad essa attribuita dal Ministro non lascia dubbi sul suo intendimento di tenere nella massima considerazione il «prodotto» del gruppo e di offrirlo previamente in esame alle categorie interessate. 4. Venendo, infine, all’ultimo punto – sui possibili strumenti legislativi per dare più ampio riconoscimento alla professionalità degli insegnanti – sembra significativa l’apertura di una relazione tenuta all’Accademia Nazionale dei Lincei (in un Convegno su Il giusto processo del 28-29 marzo 2002) dal vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, prof. Giovanni Verde, su Il Procedimento disciplinare nella Magistratura: «Il sistema della responsabilità disciplinare dei magistrati è condizionato dall’evoluzione del ruolo della magistratura nella società. La responsabilità disciplinare del giudice burocrate si modella su quella del pubblico impiegato; quella della giudice-professionista dovrebbe sostanzialmente coincidere con un sistema di responsabilità di diritto comune cui un contenzioso disciplinare affidato alla categoria di appartenenza farebbe da semplice corollario. 14 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E La magistratura italiana si trova in una situazione peculiare, perché, organizzata burocraticamente, tende in maniera sempre più evidente a esercitare una funzione professionale rispetto alla quale, per altro, non valgono i principi della responsabilità comune, l’antinomia, nel settore disciplinare, finora non è esplosa perché la gestione della disciplina dei magistrati ha dato luogo a una forma sostanziale di autodichia». Ora, se per la stessa Magistratura – che gode di tutela costituzionale come potere dello Stato – non è agevole individuare una collocazione organizzativa adeguata alla professionalità della funzione, ancor più complesso è il problema che si pone di fronte ad un ordinamento scolastico in fieri. E non si può, come accennato più volte, esaminare modificazioni dello statuto giuridico senza avere individuato una posizione professionale riconducibile ad un servizio collettivo, rispettoso dell’autonomia dell’insegnamento ma articolato unitariamente. Non pare dubbio che, anche in questa prospettiva di elaborazione futura, ma innanzitutto per affrontare i problemi immediati, dovrebbe essere al più presto approfondita l’ipotesi di costituire un organo rappresentativo dei docenti come professionisti. In questo senso, l’enunciazione essenziale al documento del sottogruppo 1 è nel senso che «i referenti devono essere le associazione professionali degli insegnanti, poiché i sindacati nulla possono e devono avere a che fare con tale organismo, che è tutto di natura professionale. Nel merito, il gruppo ritiene che sia poco consona alla natura della funzione docente la creazione di un vero e proprio ordine professionale. Considera più adeguato un organismo professionale che sia simile ai General Teaching Council dei Paesi anglosassoni, o, se si vuole, un organismo che nel nostro Paese trovi riferimenti nel Consiglio Superiore della Docenza, composto da una maggioranza di docenti eletti, a cui si aggiungono alcuni membri designati appartenenti all’Università e/o altre istituzioni di alta cultura». Ma anche tale assunto va esaminato criticamente e approfondito (vd. in particolare, il problema della partecipazione degli studenti e dei genitori, innegabilmente destinatari primi del servizio scolastico, anche costituzionalmente). PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 15 2002 ANNALI DELL’ISTRUZIONE XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE N° 2/3 2/3 I contributi dei gruppi di lavoro ANNALI DELL’ISTRUZIONE L a PROFESSIONALITÀ DOCENTE nel PA N O R A M A INTERNAZIONALE* PRESENTAZIONE Il documento che segue, redatto, su mandato del gruppo, da Alessandra Cenerini, riflette la posizione del gruppo stesso, ed è stato costruito sulla base del dibattito sviluppato nel gruppo e sui rilievi da ciascuno apportati su una prima bozza. Esiste all’interno del gruppo una posizione difforme, su uno specifico punto, rispetto a quelle qui espresse, ed è stata avanzata da Maurizio Salvi, in rappresentanza dell’AGE, Associazione Italiana Genitori. Si riporta di seguito la sua posizione: 1. L’Associazione Italiana Genitori (AGE) suggerisce che nel Consiglio Superiore della Docenza vi sia una sostanziosa rappresentanza delle associazioni degli studenti e dei genitori, quali primi destinatari della professionalità docente. 2. Il Codice dovrà definirsi con l’apporto delle associazioni degli studenti e dei genitori, già presenti nel Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori, maggiormente rappresentative operanti nelle scuole (ex D.M. 14-2002). Le altre componenti il gruppo hanno ritenuto di non potere accogliere tali proposte perché costituiscono una contraddizione in termini con il processo di professionalizzazione degli insegnanti. Processo che si fonda sullo sviluppo «dell’autonomia professionale», riferita sia all’esercizio della professione che alla creazione di propri autonomi organismi professionali. Non si tratta dunque di rifare organismi misti di partecipazione con genitori, studenti, ecc. che sono tutt’altra cosa. Nel momento in cui genitori-studenti volessero entrare negli organismi degli insegnanti si negherebbe tout court la natura professionale dell’insegnamento. * Alessandra Cenerini, Luciana Lepri, Valeria Marcon, Maurizio Salvi. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 19 IL MANDATO RICEVUTO Il compito che la commissione costituita con D.M. 2 novembre 2001 ha ricevuto dal Ministro è stato quello di «definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico». Il gruppo n. 1 ha ritenuto innanzitutto necessario indagare come e se un codice deontologico possa assolvere alle finalità che il D.M. gli assegna, ossia quelle di tutelare la dignità personale e professionale degli insegnanti «anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico». Il gruppo, dopo avere analizzato molti documenti sull’argomento, sia italiani che stranieri, ritiene di poter affermare che il codice potrà contribuire a questa finalità solo se sarà inserito nel più generale processo di professionalizzazione della docenza. CODICE DEONTOLOGICO E PROFESSIONALIZZAZIONE DELL’ INSEGNAMENTO La questione della «professionalizzazione» dell’insegnamento non è certo recente. Essa fu già autorevolmente posta nella Raccomandazione sullo status degli insegnanti redatta dall’Unesco nel 1966. Così recita la Raccomandazione: L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico, tale professione richiede non solo conoscenze approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e conti nui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi (art. 6). Già allora si individuò nell’etica della professione e in elevati standard professionali lo strumento principe per fare assurgere i docenti allo status di professionisti, capaci di dare risposta a uno dei fondamentali diritti umani: il diritto all’istruzione. Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività (art. 70). La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero essere definiti con il concorso delle loro organizzazioni (art. 71). Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei doveri professionali sulla base di principi concordati (art. 73). La linea appare chiara e potrebbe oggi essere espressa attraverso due proposizioni: 1. perché l’insegnamento sia riconosciuto come professione devono essere esplicitati alti standard professionali e un codice etico; 20 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 2. standard e codice devono essere definiti e gestiti dagli insegnanti attraverso propri organismi, nella consapevole assunzione che l’insegnamento, come tutte le professioni riconosciute, si fonda sull’autonomia del corpo professionale. A tutt’oggi, a livello internazionale, le posizioni più avanzate sulla questione docente hanno rilanciato, puntualizzato e in parte realizzato questi principi fondamentali. Di qui occorre dunque partire. Per farlo è innanzitutto necessario cercare di districare il groviglio di norme legislative e contrattuali entro le quali è oggi ingessata la professione docente. LA NECESSITÀ DI UNA PRELIMINARE DISTINZIONE DEI PIANI DI INTERVENTO CHE CONCORRONO A DEFINIRE LA PROFESSIONE DOCENTE E SI INTRECCIANO CON IL CODICE DEONTOLOGICO La tutela costituzionale sia della libertà di insegnamento, intesa come libertà della «funzione docente» (che è cosa diversa dal singolo che la esercita), sia del diritto all’istruzione, rendono alcuni degli aspetti fondamentali della professione docente non assoggettabili alla contrattazione fra le parti, e impongono la definizione legislativa di uno specifico stato giuridico degli insegnanti. Si tratta oggi di aggiornare, senza più indugi, quello definito dal decreto delegato 417/1974, alla luce sia dell’intervenuta contrattualizzazione del Pubblico Impiego sia della revisione del Titolo V della Costituzione. In questo senso gli aspetti che lo stato giuridico potrà e dovrà definire possono essere così sintetizzati: definizione della funzione docente, dei diritti e dei doveri, della formazione iniziale, della formazione in servizio, delle modalità di reclutamento, delle modalità di svolgimento del periodo di prova, della valutazione, delle nuove figure professionali della docenza. Rispetto all’autonoma stesura del codice deontologico da parte della categoria professionale, lo stato giuridico avrà una rilevanza non secondaria poiché esso dovrà contenere i diritti e i doveri che definiscono la natura della professione e della funzione docente, e che costituiranno necessariamente la cornice entro la quale dovranno collocarsi il codice deontologico e gli standard professionali. È interessante, a questo proposito, ricordare che la bozza di Stato giuridico degli insegnanti spagnoli tuttora in discussione riporta uno specifico articolo sui «valori etici della docenza»: Articulo 5. – Valores éticos del Servicio publico docente. Son valores éticos del servicio publico docente la integridad, la neutralidad, la imparcialidad, la transparencia en el desempeño de la actividad docente, la receptividad, la responsabilidad profesional, el interés público y el servicio a los ciudadanos. Las Administraciones educativas fomentarán modelos de conducta del personal a su servicio que integren los valores éticos del servicio público docente en su actuacion profesional y en sus relaciones con los ciudadanos. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 21 La seconda questione da chiarire rispetto alla formulazione del codice deontologico è il suo intreccio con altri due codici: a) il codice di comportamento previsto dall’art. 54 del D.lgs. 165/2001; b) il codice di disciplina da definirsi nel contratto di lavoro. Ora se è importante e urgente definire il codice di disciplina, considerato che per gli insegnanti si fa ancora riferimento alle norme del D.P.R. 3/1957, appare invece assolutamente sovrabbondante la ulteriore definizione di uno specifico codice di comportamento oltre a quello generale già definito per tutti i dipendenti pubblici. Si avrebbe cioè un inutile intreccio di norme, che genererebbero solo confusione nella loro formulazione e gestione. Pertanto il gruppo ritiene che: a) l’Amministrazione debba farsi promotrice e concordare, all’interno della contrattazione, la stesura del codice di disciplina e degli organismi che sono tenuti a gestirne tutti gli aspetti; b) considerare per gli insegnanti già di per sé esaustivo, il codice di comportamento generale definito per tutti i dipendenti pubblici, senza dover procedere a un ulteriore specifico codice, secondo quanto previsto dal D.lgs. 165/2001. UN SOLO CODICE DEONTOLOGICO O TANTI CODICI LIBERAMENTE ASSUNTI DAI DOCENTI DELLE SCUOLE AUTONOME SULLA BASE DELLE LORO SPECIFICHE SITUAZIONI? Un solo codice o tanti codici liberamente assunti dai docenti delle scuole autonome? Dilemma a cui si accompagna la messa in discussione della validità di un organismo professionale autonomo della docenza. Poiché questo dilemma è stato posto da alcune associazioni, da singoli docenti, e soprattutto, per quel che ci riguarda, da un autorevole membro di questa commissione, Marco Rossi Doria, occorre quantomeno tentare di dare risposta. Noi non riteniamo che le due ipotesi siano in contraddizione. C’è da un lato un bisogno indilazionabile di «dare un volto» alla professione docente. Una professione è tale solo se i suoi tratti distintivi sono resi espliciti e riconoscibili. La docenza in Italia non è stata finora né definita, né riconosciuta come professione. L’esplicitazione degli standard professionali e del codice deontologico a opera di un proprio autonomo organismo si configura come un passaggio «obbligato» per la professionalizzazione degli insegnanti. Ciò non toglie che entro il quadro generale definito i docenti delle singole scuole autonome elaborino proprie regole professionali più aderenti alla specifica situazione in cui si trovano a operare. È infatti estremamente importante il «processo» che conduce all’assunzione e condivisione di regole di comportamento, più importante molto spesso del «prodotto» stesso. UN CORPO DI RIGIDE E IMMODIFICABILI NORME COMPORTAMENTALI O REGOLE DEONTOLOGICHE ADEGUATE AI PROBLEMI SOCIALI DA AFFRONTARE? Le etiche professionali sono diventate un elemento molto importante in tutte le società avanzate. Si configurano all’interno delle «etiche speciali» e sono assorte a stru22 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E menti per fronteggiare rilevanti necessità sociali. Non si tratta quindi di rigide, assolute norme comportamentali, bensì di regole deontologiche adeguate ai problemi che si devono affrontare. La capacità di individuare comportamenti capaci di dare risposta ai bisogni reali della società rappresenta una delle condizioni essenziali perché le società possano progredire. È evidente che esistono valori a cui un codice di comportamento deve ispirarsi e ai quali deve attenersi. Per gli insegnanti italiani esistono, prime fra tutte, due carte fondamentali: La Costituzione italiana e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. PERCHÉ UN CODICE DEONTOLOGICO Le ragioni per cui le professioni si danno codici etico-deontologici possono essere così sintetizzate: 1. per contemperare «l’autonomia professionale» (che è una delle caratteristiche «costitutive» delle professioni, insieme al sapere specialistico) con gli interessi dei fruitori delle prestazioni professionali; 2. per promuovere alti standard di pratica professionale; 3. per fornire ai membri della professione punti di riferimento ai fini dell’autovalutazione; 4. per stabilire un quadro di comportamenti e responsabilità che aiutino a costruire l’identità professionale; 5. per aumentare il senso di appartenenza alla comunità professionale; 6. come segno di maturità professionale. UN ORGANISMO AUTONOMO DELLA DOCENZA La specifica definizione del codice deontologico così come degli standard professionali è compito della professione stessa. Questo impone che i docenti dispongano di un proprio autonomo organismo. Esistono due soluzioni fino a oggi praticate: a) quella dell’Ordine professionale, che è la soluzione italiana nata con le libere professioni, e del tutto autoreferenziale; b) la soluzione anglosassone del General Council, dove accanto a una maggioranza di professionisti eletti vi sono rappresentanze delle istituzioni che tutelano gli interessi sociali generali. C’è infine in Italia un organismo a cui la docenza potrebbe in qualche modo ispirarsi ed è il Consiglio Superiore della Magistratura. La docenza come la giustizia è costituzionalmente tutelata e come tale a essa potrebbe ispirarsi. Tale organismo dovrà essere definito per legge, ma dovrà coinvolgere a livello capillare gli insegnanti e le loro associazioni e non potrà in alcun modo proporsi come atto unilaterale dell’Amministrazione, pena la sua delegittimazione prima ancora di essere varato. Non potrà nemmeno essere oggetto di contrattazione sindacale. Non è ambito, né materia per interventi sindacali. C’è invece un enorme spazio per l’associazionismo professionale, che va in questo senso valorizzato e recuperato come componente fondamentale della professione. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 23 CODICE DEONTOLOGICO SOLO PER I DOCENTI O ANCHE PER I DIRIGENTI? Poiché il mandato ricevuto fa generico riferimento al personale della scuola ci si chiede quali altre figure oltre gli insegnanti possano essere interessate ad avere un codice deontologico. Se vogliamo allinearci con quanto si sta faticosamente tentando in altri Paesi, dobbiamo dire che anche i dirigenti devono avere uno specifico codice deontologico, così come specifici standard professionali. Questo si sta facendo laddove sta crescendo l’attenzione per la figura e la funzione dei dirigenti scolastici come «leader educativi» o «leader per l’apprendimento». QUALI SUGGERIMENTI AL MINISTRO? Se è vero, come riteniamo, che la formulazione del codice deontologico è parte del più generale processo di professionalizzazione dell’insegnamento, allora devono essere avviati tutti quegli atti che sostengono e rendono possibile questo percorso. In particolare si propone che: 1. fra le norme e disposizioni che regolano la professione docente sia distinta con chiarezza la parte contrattualizzata da quella legificata e che accanto al contratto si proceda all’aggiornamento dello stato giuridico. Si chiede anche che vengano distinti gli interlocutori rispetto a questi due ambiti, in modo da evitare deleterie confusioni dei ruoli. Si ritiene a tale proposito che sullo stato giuridico, che riguarda gli aspetti più professionali, siano consultate le associazioni professionali degli insegnanti, non i sindacati; 2. si proceda alla contestuale consultazione per varare l’organismo autonomo della docenza. Anche in tal caso i referenti devono essere le associazioni professionali degli insegnanti, poiché i sindacati nulla possono e devono avere a che fare con tale organismo, che è tutto di natura professionale. Nel merito il gruppo ritiene che sia poco consona alla natura della funzione docente la creazione di un vero e proprio Ordine Professionale. Considera più adeguato un organismo professionale simile ai General Teaching Councils dei Paesi anglosassoni, o se si vuole un organismo che nel nostro Paese trovi riferimenti nel Consiglio Superiore della Magistratura. Si potrebbe ipotizzare un Consiglio Superiore della Docenza composto da una maggioranza di docenti eletti, a cui si aggiungono alcuni membri designati appartenenti all’Università e/o altre istituzioni di alta cultura. L’organismo della docenza dovrà essere autonomo e indipendente dall’Amministrazione e svincolato da qualsiasi forma diretta o indiretta di ingerenza sindacale, e assolutamente scevro da forma di cogestione con rappresentanze di genitori e studenti, che sarebbero una contraddizione in termini con l’emancipazione professionale degli insegnanti. Un tale organismo dovrebbe avere ampi poteri in relazione a: – la definizione e il controllo degli standard di formazione iniziale e di accesso alla professione; 24 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E – la definizione e il controllo di standard di sviluppo per fasce di ulteriore e più elevata professionalità; – la creazione e la gestione dell’Albo professionale, al quale dovrebbero essere iscritti obbligatoriamente tutti gli insegnanti abilitati, rendendo l’iscrizione condizione necessaria e indispensabile per esercitare la professione in tutte le scuole pubbliche, sia statali che parificate in condizione di ruolo o di supplenza; – la definizione e gestione del codice deontologico. Un’ultima precisazione: il gruppo riterrebbe sbagliato sovrapporre questo nuovo organismo della docenza ai tanti esistenti: per questo, anche alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione e dei nuovi poteri regionali, sembrerebbe opportuna una vera e propria sostituzione degli Organi Collegiali Territoriali, di cui al D.lgs. 30 giugno 1999, n. 233, con il nuovo Organismo Professionale della Docenza. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 25 ANNALI DELL’ISTRUZIONE L e FONTI GIURIDICHE del CODICE DEONTOLOGICO* I l gruppo di lavoro della commissione per il codice deontologico dei docenti si è occupato di «inventariare» le fonti giuridiche e, in generale, le norme che hanno definito o modificato nel tempo la funzione e la condizione del docente fin da quando, in Italia, nel 1911, per effetto della legge Daneo-Credaro, i docenti sono diventati dipendenti dello Stato. Il gruppo di lavoro si è trovato d’accordo nel rilevare che la normativa, compresa quella di natura negoziale, varia ed estesa, si è occupata principalmente dell’insegnante in quanto dipendente, ovvero «impiegato dello Stato», secondo una concezione garantistica e individualistica più che professionale dell’insegnamento e della conseguente autonomia e «libertà», così come definita dall’art. 33 della Costituzione. Il gruppo di lavoro, in seguito a tali riflessioni, rivolge al Ministro le seguenti raccomandazioni. I RACCOMANDAZIONE Si raccomanda di dare ampia diffusione alle problematiche connesse alla elaborazione del codice deontologico della professione docente, anche attraverso una consultazione degli stessi insegnanti – per esempio, con un questionario a campione – in modo che si sviluppi una maggior consapevolezza individuale e sociale e una coscienza dell’importanza degli aspetti valoriali della professione che si fonda su: – – – – * 26 elevati standard di competenze rigorosamente certificate; l’autonomia nell’esercizio professionale; organi rappresentativi; l’adesione a un codice deontologico. Rosario Drago, Massimo Tocci, Paola Zerman. A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E II RACCOMANDAZIONE Si raccomanda la costituzione di un organo rappresentativo dei docenti come professionisti dell’insegnamento, a livello regionale e nazionale, rappresentativo della categoria degli insegnanti e delle loro organizzazioni non aventi finalità sindacali. Il compito di tale organismo, che dovrebbe sostituire l’attuale Consiglio nazionale della pubblica istruzione, dovrebbe essere quello di: a) elaborare, aggiornare e diffondere il codice deontologico o codice dei valori della professione docente; b) curare la definizione degli standard professionali e curarne l’aggiornamento; c) fornire consulenza ai docenti; d) esprimere pareri relativi alle tematiche inerenti la funzione docente; e) promuovere tutte le azioni volte alla valorizzazione, alla promozione e alla tutela del prestigio e del valore dei docenti e della loro attività di insegnamento. III RACCOMANDAZIONE Si raccomanda che nelle linee di indirizzo relative al rinnovo del contratto nazionale di lavoro del personale appartenente all’area autonoma dei docenti del comparto della scuola, individuata a norma dell’art. 21 della legge 59 del 1997, venga espressamente indicata la definizione del codice disciplinare, in quanto dipendenti pubblici, comprese le pro c e d u re, attualmente contenute nel T.U. (L. 3/57) degli impiegati civili dello Stato. Tali norme appaiono obsolete e poco rappresentative della condizione e dell’evoluzione che caratterizzano la funzione docente. Il nuovo codice disciplinare deve ispirarsi e coordinarsi con i principi del codice deontologico. IV RACCOMANDAZIONE In relazione alla garanzia, alla tutela e allo sviluppo della libertà di insegnamento, così come «riletta» nel quadro della revisione del Titolo V della Costituzione (L. 3/00) e della conseguente ripartizione delle competenze tra Stato ed Enti locali, comprese le conseguenze che tali norme possono avere nella gestione e nell’amministrazione del personale insegnante, si raccomanda che venga ridefinito il nuovo stato giuridico degli insegnanti, con particolare riferimento a: – la libertà di insegnamento, come attributo fondamentale della funzione docente e del corpo professionale nel suo insieme; – gli organi di autogoverno della professione docente; – i diritti e i doveri fondamentali degli insegnanti; – i criteri di formulazione del codice deontologico; – il reclutamento; PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 27 – i criteri di sviluppo della carriera e della valutazione; – la formazione iniziale e continua. La definizione dello stato giuridico dei docenti, nel quadro delle garanzie offerte dalle norme riservate alla contrattazione, potrà ispirarsi alla Raccomandazione sullo status degli insegnanti, deliberata a Parigi il 5 ottobre 1966 dalla speciale conferenza intergovernativa dell’Unesco, che, a giudizio del gruppo di lavoro, conserva piena attualità ed efficacia. ULTIMA RACCOMANDAZIONE Infine, il gruppo di lavoro raccomanda vivamente al Ministro di prendere tutte le decisioni utili alla promozione di un piano di comunicazione, che valorizzi l’immagine sociale del docente e della sua funzione presso l’opinione pubblica e tutti i cittadini. La dimensione di massa della funzione docente ha in parte compromesso la sua visibilità tra le altre professioni. È indispensabile invece che il prestigio e il ruolo del docente vengano valorizzati in modo sistematico, anche con l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa, per l’importanza strategica che esso riveste nell’educazione delle giovani generazioni e nella trasmissione dei valori della nostra tradizione. 28 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE CRITERI d i D E F I N I Z I O N E del CODICE DEONTOLOGICO * C on il codice di deontologia professionale degli insegnanti si vogliono definire in via prioritaria i seguenti obiettivi di fondo: la professionalità del docente, il riconoscimento dell’uguaglianza tra i cittadini, il diritto dell’istruzione, la promozione dello sviluppo culturale del Paese, l’impegno al rispetto delle leggi. Grazie al codice ogni insegnante potrà avere una chiara e immediata consapevolezza dell’indipendenza e dignità della professione, comprese le regole, i diritti, ma anche la dignità dei diritti degli alunni e delle loro famiglie. La scuola pubblica italiana, che, nel corso della sua storia, è stata forse il più potente fattore di promozione sociale che l’Italia abbia conosciuto, aveva intorno una società stabile e ordinata secondo valori e modi educativi radicati. Oggi è chiamata a nuove sfide. Ogni giorno si chiede ai docenti di supplire ad alcune secche perdite di orizzonti educativi della società. Abbiamo perso il valore di cose che l’umanità ha costruito e conservato per millenni, cose che struttureranno la persona e daranno ad ognuno identità. Possiamo affermare con assoluta certezza che in ambito educativo e formativo l’aspetto Persona va considerato come elemento fondamentale, come senso e fine del sistema educativo. Ciò che conta non è solo con quale bagaglio di nozioni si esca dalla scuola, ma che la scuola sia riuscita a sciogliere il giovane dall’identità inconscia con la famiglia e a renderlo consapevole di se stesso. Oggi tutto questo è indebolito e traspare una spinta caotica alla competizione smisurata in risposta al ripetersi di una richiesta di prestazione individuale e di successo, quantificabile subito e spesso in termini direttamente economici. In questo contesto i docenti (e tutto il personale della scuola) hanno una grande responsabilità collettiva e contemporaneamente si trovano a dover affrontare uno * Carlo Cerofolini, Roberto Leoni, Carmela Lo Giudice Sergi, Gianni Mereghetti, Giuliano Piazzi, Marco Rossi Doria, Giuseppe Savagnone. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 29 spettro di sapere in crescita continua e allargantesi verso un orizzonte sempre più ampio: l’Unione Europea, il mondo. «Sapere, saper fare, saper apprendere, saper essere, saper cambiare. Long life learning» sono le nuove sfide, i nuovi «programmi di insegnamento-apprendimento». La qualità dell’insegnamento ha un’influenza determinante sul progresso della società. Il docente, quindi, consapevole dell’importanza del proprio compito dovrebbe mediare tra il patrimonio culturale della nostra civiltà e le esigenze del singolo studente che di quel patrimonio deve nutrirsi per identificarsi e acquisire la propria forma personale. Questo implica una forte percezione dei valori impliciti in questa tradizione, anche solo per rimetterli in discussione ed eventualmente per superarli. La sola cosa che la Scuola non si può permettere è la neutralità, perché essa è indifferenza, rifiuto di prendere partito, di distinguere tra ciò che ha un senso e un valore e ciò che non ne ha. Certo, in una situazione culturale come l’attuale il recupero dei fini dell’insegnamento può avvenire anche nella forma di un confronto critico tra concezioni diverse. Del resto, pretendere che il docente sia neutrale significa cadere in un grosso equivoco. Chi guarda i problemi li affronta, sempre, inevitabilmente, da un dato punta di vista. L’onestà intellettuale sta, semmai, nel dichiarare esplicitamente i propri presupposti e nell’illustrare agli alunni le alternative possibili, instaurando con loro un dialogo aperto e disponibile e tutte le osservazioni critiche. La domanda culturale per la scuola di oggi si pone a due livelli: l. innanzitutto è una domanda di strumenti per affrontare la realtà (domanda di istruzione e formazione); 2. esigenza di criticità (infatti è evidente che la noia della scuola è là dove non si coinvolge lo studente nel contenuto e nel metodo di insegnamento). I giovani oggi, infatti, sono più sensibili alla domanda di senso, di felicità e di valore della vita, ma sono come paralizzati sia nel cercare una risposta, sia nel verificare un’ipotesi per una condizione diffusa caratterizzata da incertezza e fragilità, solitudine, calcolo. Questa situazione acuisce il bisogno di una educazione, in forza della quale affrontare la realtà, di qualcuno che abbracci la complessità delle domande dei giovani e nel farlo metta in campo quel «fattore umano» senza il quale non esiste una vera professionalità docente. La professione docente è caratterizzata dal compito di comunicare in modo vivo il suo approccio conoscitivo e pratico al reale, sollecitando gli studenti ad aprire lo sguardo alla realtà e ad utilizzare correttamente le loro capacità e le competenze adeguate ad affrontare la realtà. Non c’è insegnamento senza coinvolgimento in un rapporto educativo. La questione centrale della Scuola è di chiarire a chi e a che cosa un insegnante debba rispondere, di identificare le responsabilità dell’insegnante, fatto salvo poi, che: a) i metodi educativi e didattici delle risposte sono liberi e pluralistici; b) che devono essere valutati per quanto riguarda l’efficacia della risposta. 30 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E L’insegnante nel suo lavoro è chiamato a rispondere: – – – – ai bisogni di educazione e istruzione degli studenti; alle domande delle famiglie; al compito che lo accomuna ai colleghi; alle richieste che gli vengono dal contesto in cui opera. Una nuova deontologia deve avere come orizzonte la responsabilità del docente sia di cogliere le domande che gli vengono poste, sia di mettere in atto conoscenze, competenze, capacità per costruire e proporre percorsi per trovare una risposta. Una nuova deontologia è quindi fatta di professionalità, di consapevolezza dei fattori educativi, istruttivi, culturali, sociali, associativi che caratterizzano la professione, di capacità di rapporti con la persona dello studente e del genitore, di responsabilità di fronte alle loro domande, di costruzione comune, di dialogo. In questa prospettiva vediamo la scuola anche come un luogo di ricerca e di formazione per gli adulti, di crescita dell’identità professionale, puntando a profili alti, anzi la didattica è funzione politica più di tante altre ed applicazione di scelte politiche. Quale politica? Innanzitutto la Costituzione (artt. 3, 33, 34 e 97) e poi quelle norme internazionali cui l’Italia aderisce con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. La nostra Costituzione indica quale «bene sociale»: a) b) c) d) e) la libertà e l’uguaglianza dei cittadini; la libertà d’insegnamento-apprendimento; il diritto di apprendere; la solidarietà e la non violenza; la responsabilità nell’esercizio della professione. Libertà d’insegnamento è sempre libertà in rapporto con altri: studenti, colleghi, famiglie. L’insegnante si impegna a far conoscere agli allievi i vari punti di vista, nel rispetto del pluralismo delle idee. La libertà include la «valutazione» che ha come riferimento gli standard professionali e la deontologia professionale. L’insegnante pertanto: 1. si adopera per migliorare costantemente la propria preparazione professionale (disciplinare, metodologica e relazionale); 2. mette a disposizione dei colleghi la propria competenza ed esperienza; 3. verifica regolarmente i risultati del suo operato; 4. si impegna a creare un clima di rispetto e collaborazione tra i colleghi; 5. contribuisce al buon funzionamento della scuola con la sua partecipazione responsabile ai momenti di lavoro collegiale; 6. rispetta il segreto professionale; 7. si oppone ad ogni provvedimento di interferenza che leda la libertà e la dignità della professione docente; 8. tiene un comportamento che sia di esempio ai suoi allievi; PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 31 9. si adopera per favorire l’acquisizione della conoscenza, lo sviluppo dello spirito critico e di ricerca e la formazione democratica; 10. cura che nessuno degli allievi venga posto in situazioni di imbarazzo o di difficoltà; 11. stringe con gli allievi un patto educativo fondato sulla fiducia reciproca, sulla lealtà e sul costante rispetto delle regole necessarie per la serenità del lavoro comune; 12. valuta gli allievi con imparzialità, esplicita i criteri adottati e premia il merito nello studio, nell’acquisizione delle conoscenze e nei comportamenti; 13. riconosce la famiglia come interlocutore indispensabile della sua attività professionale. Il docente, nella scuola dell’autonomia, è chiamato ad assumersi la responsabilità di: 1. mettere al centro della sua professione la persona dello studente, le sue esigenze di educazione, di senso, di istruzione; 2. considerare il proprio compito professionale in rapporto con la responsabilità educativa dei genitori; 3. esplicitare il punto di vista interpretativo della disciplina, così da garantire e sollecitare la libera verifica dello studente; 4. valutare ogni studente in modo chiaro ed esplicito, così che l’identificazione degli errori avvenga in un’ottica di correzione e di formazione; 5. collaborare alla creazione di un clima di dialogo che promuova e valorizzi la libertà di insegnamento di ogni docente; 6. costruire la comunità scolastica come luogo in cui persone e associazioni abbiano la libertà di esprimersi e prendere iniziative; 7. trasmettere valori positivi, entusiasmo, fiducia nell’uomo come singolo e come parte della comunità; 8. esercitare la sua «autorità» asimmetrica verso gli studenti in modo corretto e quindi proporsi come centro di discussione per contribuire a formare opinioni, non ad orientarle. Da quanto sopra enunciato scaturisce che il valore della Responsabilità si afferma nel momento in cui la scuola si percepisce come servizio pubblico alla Persona per tutta la vita. La Persona diventa il nuovo perno della società e la conoscenza l’elemento sempre più determinante per il suo sviluppo. L’autonomia della scuola enfatizza la relazione insegnamento-apprendimento e trasforma la professione dell’insegnante: il tempo non più rigido e prestabilito, ma relativo al progetto; lo spazio non più compiuto nella classe, ma esteso all’intera scuola, al sistema delle relazioni con gli altri docenti e con gli altri soggetti esterni (innanzitutto le famiglie). L’autonomia della scuola enfatizza altresì il valore dell’autorganizzazione (cioè della responsabilità del team di docenza) rivendicando un modello organizzativo in cui sono definite le regole, i processi di autovalutazione, in relazione al raggiungimento degli obiettivi condivisi. 32 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E L’autonomia esalta la professionalità del docente, che è delicata, complessa, inimmaginabile fuori dal contesto in cui si svolge, e soprattutto fuori dalle relazioni con chi apprende e la famiglia di chi apprende. Se fine dell’educazione è l’autonomia dell’individuo, che include la sua libertà e capacità di rendersi responsabile delle sue azioni, «gli educatori (dice Hannah Arendt) rappresentano un mondo del quale devono dichiararsi responsabili anche se non l’hanno fatto loro e se lo desiderano diverso. Questa responsabilità è implicita nel fatto che gli adulti introducono i giovani in un mondo che cambia di continuo e l’insegnante è autorevole in quanto di quel mondo si assume responsabilità». PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 33 ANNALI DELL’ISTRUZIONE SINTESI dei CONTRIBUTI I l compito che la Commissione costituita con D.M. 2 novembre 2001 ha ricevuto dal Ministro è stato quello di «definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico». La Commissione ha sviluppato i propri lavori in sedute plenarie e all’interno di tre gruppi che hanno esaminato rispettivamente: 1) il codice deontologico dei docenti italiani in un confronto comparato con lo sviluppo dei codici deontologici delle altre professioni e di quelli degli insegnanti di altri Paesi; 2) gli aspetti giuridici e normativi che inquadrano attualmente la funzione docente; 3) la nuova identità professionale dell’insegnante. Alla luce degli approfondimenti svolti, la Commissione ritiene di poter affermare che il codice deontologico potrà contribuire al raggiungimento delle finalità indicate nel mandato ricevuto solo se sarà connesso al più generale processo di «professionalizzazione» della docenza. CONSIDERAZIONI DI MERITO Codice deontologico e professionalizzazione dell’insegnamento La questione della «professionalizzazione» dell’insegnamento fu già autorevolmente posta nella Raccomandazione sullo status degli insegnanti redatta dall’Unesco nel 1966 in questi termini: • L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico, tale professione richiede non solo conoscenze approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e continui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi (art. 6). 34 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Già allora si individuò nell’etica della professione e in elevati standard professionali lo strumento principe per fare assurgere i docenti allo status di professionisti, capaci di dare risposta a uno dei fondamentali diritti umani, il diritto all’istruzione e all’educazione: • Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività (art. 70). • La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero essere definiti con il concorso delle loro organizzazioni (art. 71). • Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei doveri professionali sulla base di principi concordati (art. 73). La linea appare chiara e potrebbe oggi, nella scuola dell’autonomia, essere espressa e riformulata attraverso le seguenti proposizioni: 1. perché l’insegnamento sia riconosciuto come professione devono essere esplicitati alti standard professionali e un codice etico; 2. standard e codice devono essere definiti e gestiti dagli insegnanti attraverso propri organismi, nella consapevole assunzione che l’insegnamento, come tutte le professioni riconosciute, si fonda sull’autonomia del corpo professionale; 3. l’autonomia del corpo professionale si fonda su due principi indissolubilmente legati: la libertà progettuale ed educativa e la responsabilità dinanzi ai percorsi offerti e ai risultati ottenuti, e si sviluppa attraverso comunità di pratiche che vedono il coinvolgimento pieno di ogni scuola nella discussione della sua funzione educativa rispetto al territorio di cui è parte. A tutt’oggi, a livello internazionale, le posizioni più avanzate sulla questione docente si richiamano a questi principi, da cui sarebbe utile partire per avviare anche nel nostro Paese quel necessario processo di «professionalizzazione» entro cui si colloca il codice deontologico. DOCENZA: UNA FUNZIONE COMPLESSA CHE RICHIEDE DI AGIRE SU PIÙ PIANI La definizione della docenza come funzione complessa comporta l’adozione di un approccio sistemico comprensivo di piani diversi di riferimento, distinti, ma correlati tra loro. Tra questi si indicano i seguenti ambiti: 1. quello della legge alla quale spetta la definizione di un nuovo stato giuridico; 2. quello autonomo della professione, cui compete la definizione e il rispetto degli standard professionali e del codice deontologico attraverso propri organismi di autogoverno; PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 35 3. quello contrattuale, che dovrebbe essere coerente con l’impostazione professionale definita dai due precedenti ambiti. 1. Stato giuridico degli insegnanti La tutela costituzionale della libertà d’insegnamento (garantita e precisata dagli artt. 3, 33, 97, 98) e del diritto all’istruzione-educazione (affermato dagli artt. 2, 3, 33, 34) determina il nesso diritto-dovere intorno a cui la funzione docente si definisce come servizio alla persona e alla comunità. In quanto tale essa non è assoggettabile, nei suoi aspetti fondamentali, a contrattazione tra le parti e richiede la definizione di uno specifico stato giuridico degli insegnanti. Si tratta, oggi, di aggiornare quello stabilito dal Decreto delegato 417/1974, tenendo conto sia dell’intervenuta contrattualizzazione del Pubblico Impiego, sia della revisione del Titolo V della Costituzione. Alla luce della legge 421/92, gli aspetti che rimangono di competenza della legge e che dovranno essere affrontati dallo stato giuridico, al di fuori della contrattazione, possono essere così individuati: a) Funzione docente e libertà d’insegnamento. Costituisce l’aspetto più delicato dell’identità professionale del docente oggi. Riguarda il punto in cui il diritto al libero esercizio della cultura e del suo insegnamento, da parte del docente, si coniuga con l’uguale diritto da parte dello studente di fruire di essa nella prospettiva del miglior apprendimento possibile, in linea con l’evoluzione della ricerca didattica, delle scienze cognitive e dello sviluppo tecnologico. Per queste ragioni il principio della libertà d’insegnamento oggi va interpretato in termini di responsabilità educativa, didattica, organizzativa nella offerta e gestione di un servizio che la scuola deve garantire agli studenti, alle famiglie e alla comunità locale e nazionale. In un sistema educativo che, in base al nuovo Titolo V, è definito di «istruzione» e di «istruzione e formazione professionale», l’insegnante deve essere pienamente consapevole della valenza educativa della sua attività in ogni ambito, e agire in piena coerenza, esaltando l’unità dell’azione educativa in una visione sistemica e integrata. Il docente deve saper adattare il suo insegnamento alle diverse attitudini e intelligenze così da rendere accessibile e proficua la conoscenza a tutti gli allievi, dando risposta a inderogabili esigenze di equità sociale e alle attese della società della conoscenza, in una prospettiva di long life learning. L’apprendimento va fondato sull’etica della responsabilità, una responsabilità che faccia riferimento alla triplice condizione umana, all’uomo come persona, all’uomo come membro di una comunità sociale, all’uomo come parte della specie umana, e che coerentemente promuova l’autonomia individuale, la partecipazione alla propria comunità e la coscienza di appartenere tutti al genere umano, legati ormai da un comune destino planetario. Tutto ciò, ovviamente, senza dimenticare la nostra cultura e civiltà nazionali. b) I diritti e i doveri fondamentali degli insegnanti. I diritti e i doveri, definiti giuridicamente, indicano le caratteristiche fondamentali, ma non esauriscono 36 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E gli aspetti fondanti la dimensione etica della funzione docente. Quest’ultima trova il suo radicamento oltre che nei principi di un’etica pubblica costituzionale, anche su di una morale personale che emerge con la consapevolezza della specificità della relazione educativa: intenzionale, convergente, dialogica ma anche asimmetrica e per questo connotata dalla responsabilità dell’insegnante. Questa duplice fonte di moralità fornisce significati e vincoli entro i quali la categoria docente è tenuta a impegnarsi nella definizione di un proprio codice deontologico e di propri standard professionali, tra questi si impongono: la dignità e il rispetto della persona che esclude ogni discriminazione per razza, sesso, credo politico e religioso, provenienza familiare, condizioni sociali, diversa abilità; la responsabilità, l’imparzialità; il rispetto del pluralismo delle idee che comporta l’impegno a far conoscere agli allievi i diversi punti di vista sulle questioni trattate; l’equità; la trasparenza; la fiducia; la speranza; l’autenticità; la coerenza; la testimonianza; il senso critico; la solidarietà; la collaborazione. c) Formazione iniziale e continua. È fondamentale che l’insegnante riceva oggi una formazione iniziale professionalizzante, costituita da competenze specifiche disciplinari, ma anche da competenze a-specifiche, trasversali, di natura pedagogica, didattica, comunicativo-relazionale e tecnica. Inoltre deve essere garantito al docente l’accesso a offerte di formazione continua e all’Amministrazione chiesto l’obbligo di favorire e monitorare l’aggiornamento in termini quantitativi e qualitativi. d) Modalità di reclutamento. Il reclutamento degli insegnanti dovrà tener conto del nuovo articolo 117 della Costituzione, con specifico riferimento al decentramento e all’autonomia scolastica. Dovranno altresì essere individuate nuove e rigorose modalità di valutazione collegate a precisi standard professionali. e) La creazione di nuove figure professionali della docenza. È indispensabile identificare e definire una fascia della docenza connotata da livelli elevati di professionalità, punto di riferimento per la valorizzazione della categoria, stimolo e volàno per favorire la mobilità, la qualità professionale e una nuova immagine sociale dell’insegnante, sostegno al miglioramento dell’insegnamento e all’innovazione culturale e didattica delle scuole autonome, non solo e non tanto a quella organizzativa. 2. Gli organi di autogoverno della professione, a livello nazionale e regionale La specifica definizione del codice deontologico così come degli standard professionali è compito della professione stessa, come già veniva autorevolmente indicato nella citata Raccomandazione dell’Unesco del 1966. Questo impone che i docenti dispongano di un proprio autonomo organismo, nazionale e con articolazioni regionali. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 37 Esistono due soluzioni fino a oggi praticate nella costruzione degli organismi autonomi delle professioni: a) quella dell’Ordine professionale, che è la soluzione italiana nata con le libere professioni, collegate al mercato, e del tutto autoreferenziale; b) la soluzione anglosassone del General Council, dove accanto a una maggioranza di professionisti eletti sono previste rappresentanze delle istituzioni a tutela degli interessi sociali generali. C’è infine in Italia un organismo a cui la docenza potrebbe in qualche modo ispirarsi ed è il Consiglio Superiore della Magistratura. La docenza è, come la giustizia, costituzionalmente tutelata e come tale a essa potrebbe ispirarsi. L’organismo di autogoverno della docenza dovrà essere definito per legge, ma dovrà coinvolgere a livello capillare gli insegnanti e le loro associazioni e non potrà in alcun modo essere proposto come atto unilaterale del Governo, pena la sua delegittimazione prima ancora di essere varato. Non potrà nemmeno essere oggetto di contrattazione sindacale. Non è ambito né materia per interventi sindacali. C’è invece un enorme spazio per l’associazionismo professionale, che va in questo senso valorizzato e recuperato, come componente fondamentale della professione. 3. Una necessaria distinzione fra tre codici: codice deontologico, codice di comportamento, codice di disciplina Un’ulteriore questione da chiarire nella ridefinizione della professione docente – professione che gode di una propria autonomia, ma è insieme pubblica e dipendente – è l’intreccio fra tre codici: codice deontologico, codice di comportamento previsto dall’art. 54 del D.lgs. 165/2001, codice di disciplina. Occorre chiarire intanto che mentre la definizione del codice deontologico è compito del corpo professionale attraverso il proprio organismo di autogoverno, il codice di disciplina è materia contrattuale e va definito all’interno del contratto di lavoro. Così come per il codice deontologico, si considera importante e urgente anche la definizione di uno specifico codice di disciplina, che sia adeguato alla natura della professione docente, considerato che, solo per gli insegnanti, si fa tuttora riferimento alle vecchie norme generali degli impiegati civili dello Stato, ossia al D.P.R. 3/1957. Per quanto concerne invece la definizione di un ulteriore codice di comportamento, lo si considera sovrabbondante rispetto a quello deontologico, e si ritiene che la docenza possa conformarsi ai casi previsti dall’art. 54, comma 4, del D.lgs. 165/2001, laddove si prevede che per ciascuna magistratura e per l’Avvocatura dello Stato sia la categoria ad adottare uno specifico codice etico. IL PROCESSO DI COSTRUZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO DEGLI INSEGNANTI Si è posto recentemente il problema se sia più efficace la formulazione di un solo codice generale per tutti gli insegnanti o la specifica formulazione di codici assunti dai docenti delle scuole autonome. Si ritiene che le due ipotesi non siano in contraddizione. C’è da un lato un bisogno indilazionabile di «dare un volto» alla professione docente. Una professione è 38 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E tale solo se i suoi tratti distintivi sono resi espliciti e riconoscibili. La docenza in Italia non è stata finora né definita né riconosciuta come professione. L’esplicitazione degli standard professionali e del codice deontologico a opera di un proprio autonomo organismo si configura come un passaggio «obbligato» per la professionalizzazione degli insegnanti. Ciò non toglie che entro il quadro generale definito i docenti delle singole scuole autonome possano in seguito puntualizzare proprie regole professionali più aderenti alla specifica situazione in cui si trovano a operare, pur senza alterare i riferimenti fondamentali. Infatti l’adozione del codice deontologico potrà realmente incidere sull’azione educativa solo se sarà frutto di un reale confronto e di un profondo ripensamento della propria identità professionale da parte della comunità dei docenti, che sono tenuti a rispettarlo. In tutte le società avanzate le etiche professionali sono diventate un elemento molto importante. Si configurano all’interno delle «etiche speciali» e sono assurte a strumenti per fronteggiare rilevanti necessità sociali. Non si tratta quindi di rigide, assolute norme comportamentali, bensì di regole deontologiche adeguate ai problemi che si devono affrontare. La capacità di individuare comportamenti capaci di dare risposta ai bisogni reali della società rappresenta infatti una delle condizioni essenziali perché le società possano progredire. Le ragioni per cui le professioni si danno codici etico-deontologici possono essere così sintetizzate: 1. per contemperare «l’autonomia professionale» (che è una delle caratteristiche «costitutive» delle professioni, insieme al sapere specialistico) con gli interessi dei fruitori delle prestazioni professionali, e con i più generali interessi e bisogni della società; 2. per promuovere alti standard di pratica professionale; 3. per stabilire un quadro di comportamenti e responsabilità che aiutino a costruire l’identità professionale; 4. per aumentare il senso di appartenenza alla comunità professionale; 5. per fornire ai membri della professione punti di riferimento ai fini dell’autovalutazione; 6. come segno di maturità professionale. CODICE DEONTOLOGICO SOLO PER I DOCENTI O ANCHE PER I DIRIGENTI? Infine un’ultima considerazione. Poiché il mandato ricevuto fa riferimento al «personale della scuola», e non specificamente agli insegnanti, ci si chiede se un codice deontologico non debba interessare anche i dirigenti scolastici. Se vogliamo allinearci con quanto si sta faticosamente tentando in altri Paesi, dobbiamo dire che anche i dirigenti scolastici devono avere uno specifico codice deontologico, così come specifici standard professionali. Questo si sta facendo laddove sta crescendo l’attenzione per la figura e la funzione dei dirigenti scolastici come «leader educativi» o «leader per l’apprendimento». PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 39 RACCOMANDAZIONI AL MINISTRO Se è vero, come abbiamo ritenuto nelle considerazioni di merito, che la formulazione del codice deontologico è parte del più generale processo di professionalizzazione dell’insegnamento, è necessario avviare tutti quegli atti che sostengono e rendono possibile questo percorso. In particolare si raccomanda che: 1. Sia distinta con chiarezza, fra le norme e disposizioni che definiscono e regolano la professione docente, la parte contrattualizzata da quella legificata, e che contestualmente al contratto si proceda all’aggiornamento dello stato giuridico, che dovrà riguardare e tenere conto di tutti gli aspetti messi in evidenza nelle precedenti considerazioni di merito riguardanti questo punto specifico. Si chiede anche che vengano distinti gli interlocutori rispetto a questi due ambiti – stato giuridico e contratto – in modo da evitare dannose confusioni dei ruoli. Questa distinzione di competenze risulta fondamentale per il processo di professionalizzazione della docenza; è infatti evidente che compete alle associazioni l’affronto delle questioni legate alla professionalità e quindi allo stato giuridico e agli aspetti demandati all’autonomia del corpo professionale, mentre ai sindacati l’affronto delle questioni più squisitamente contrattuali (retribuzione, orario di servizio, mobilità, congedi, diritti sindacali, ecc.). 2. Si proceda alla contestuale consultazione per varare l’organismo autonomo della docenza. Anche in tal caso, come precedentemente sottolineato, i referenti dovranno essere le associazioni professionali degli insegnanti, poiché i sindacati nulla possono e devono avere a che fare con tale organismo, che è tutto di natura professionale. Nel merito si ritiene che sia poco consona alla natura della funzione docente la creazione di un vero e proprio Ordine Professionale. Si considera più adeguato un organismo professionale simile ai General Teaching Councils dei Paesi anglosassoni, o – meglio – se si vuole, un organismo che nel nostro Paese trovi riferimenti nel Consiglio Superiore della Magistratura. Si potrebbe ipotizzare un Consiglio Superiore della Docenza composto da una maggioranza di docenti eletti, a cui si aggiungano alcuni membri designati appartenenti all’università e/o altre istituzioni di alta cultura. L’organismo della docenza dovrà essere autonomo e indipendente dall’Amministrazione e svincolato da qualsiasi forma diretta o indiretta di ingerenza sindacale, e assolutamente scevro da forme di cogestione con rappresentanze di genitori e studenti, che sarebbero una contraddizione in termini con l’emancipazione professionale degli insegnanti. Un tale organismo dovrebbe avere ampi poteri in relazione a: • la garanzia e la promozione della libertà di insegnamento, costituzionalmente tutelata e precisata, e della libertà associativa; • la definizione e il controllo degli standard di formazione iniziale e di accesso alla professione; • la definizione e il controllo di standard di sviluppo per fasce di ulteriore e più elevata professionalità; • la creazione e la gestione dell’Albo professionale, al quale dovrebbero essere iscritti obbligatoriamente tutti gli insegnanti abilitati, rendendo l’iscri40 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E zione condizione necessaria e indispensabile per esercitare la professione in tutte le scuole pubbliche, sia statali che paritarie, in condizione di ruolo o di supplenza; • la definizione e gestione del codice deontologico. 3. Si dia ampia diffusione alle problematiche connesse alla elaborazione del codice deontologico e si avvii da subito il dibattito nelle scuole. A questo scopo si invita il Ministro a rendere fruibile tutto il materiale elaborato dalla commissione, perché possa costituire il punto di partenza per una più ampia riflessione. Si considera, infatti, che il «processo» di costruzione del codice deontologico sia più importante della sua stessa definizione finale. 4. Nelle linee di indirizzo relative al rinnovo del contratto nazionale di lavoro del personale appartenente all’area autonoma dei docenti del comparto scuola, individuata a norma dell’art. 21 della legge 59/1997, venga espressamente indicata la definizione del codice disciplinare, che attualmente fa ancora riferimento al T.U. degli impiegati civili dello Stato (DPR 3/57). Tali norme appaiono obsolete e poco rappresentative della condizione e dell’evoluzione che caratterizzano la funzione docente. Il nuovo codice disciplinare dovrà coordinarsi con i principi a cui si ispira il codice deontologico, nonché con le leggi e regolamenti di futura emanazione, anche attuativi del nuovo Titolo V della Costituzione. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 41 2002 ANNALI DELL’ISTRUZIONE XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE N° 2/3 2/3 Interventi ANNALI DELL’ISTRUZIONE CODICE DEONTOLOGICO: u n’ OCCASIONE d i CONFRONTO s u l l a PROFESSIONE DOCENTE d i E M I L I O B RO G I PREMESSA Per deontologia, termine filosofico coniato nella sua accezione moderna dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832) utilizzando i termini greci deon + logos (dottrina del dovere) s’intende oggi lo studio empirico di determinati doveri nell’ambito di una situazione sociale e/o di una professione. Per codice deontologico s’intende l’insieme di questi doveri disciplinati in forma organizzata, facilmente comprensibile e con forti richiami etici, per comparti e professioni specifiche. Esistono da tempo codici di deontologia per medici, per avvocati, per giornalisti, ecc. OBIETTIVI Con il codice di deontologia professionale per insegnanti occorre definire in via prioritaria i seguenti obiettivi di fondo: – la professionalità del docente (né missione né sinecura part-time); – il riconoscimento dell’uguaglianza (sesso, razza, religione, lingua, stato sociale); – il diritto all’istruzione con pari dignità tra scuola pubblica statale e scuola pubblica non statale; – la promozione dello sviluppo culturale e tecnico-scientifico; – l’impegno a operare nel pieno rispetto delle leggi. L’ETICA DI FONDO Grazie al codice deontologico ogni insegnante dovrà avere una chiara e immediata consapevolezza dell’indipendenza e dignità della professione – comprese le rePER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 45 gole, i diritti e i suoi limiti – ma anche della dignità e dei diritti degli alunni e delle loro famiglie. Il codice dovrà essere in grado di dare risposte, schematiche ma esaurienti, su tutti i più importanti «momenti» comportamentali della professione di docente, ma anche su quelli al di fuori della professione che investono però la figura pubblica dell’insegnante all’interno della società. Nel senso che nessuno è un’isola e che un insegnante è investito, anche al di fuori della scuola, di un compito pubblico di esempio di comportamento che è di fatto un riferimento importante. Il codice dovrà inoltre fornire indicazioni di base sull’importanza dei rapporti non solo con i discenti e con le famiglie, ma anche con i colleghi della propria e delle altre scuole, nel rispetto reciproco sia delle persone che delle idee e nella necessità di concorrere tutti insieme alla formazione di un «gruppo» finalizzato a dare il meglio ai discenti e a fare dell’ambiente scolastico un punto di riferimento non solo per la formazione culturale ma anche per quella del cittadino. LE INDICAZIONI Il codice dovrà essere il punto di partenza di una rivisitazione del ruolo dei docenti e della stessa scuola italiana, sostituendo e migliorando i decreti legge in essere e accentuando negli insegnanti l’orgoglio di appartenere a una categoria fondamentale per la formazione degli italiani di domani. Il tutto perché l’impegno dell’attuale Governo nella revisione del quadro normativo e di carriera della scuola abbia anche riferimenti etici e di coinvolgimento etico-morale dei suoi protagonisti. Il docente peraltro non va visto come un missionario né tantomeno come un addetto part-time a un sottolavoro mal retribuito e poco stimato da integrare con un prevalente impegno in un altro settore: con il codice deve sentirsi a tutti gli effetti un professionista, con regole di ingaggio severe ma anche con retribuzione economica e status sociale adeguati. Il codice deve essere in grado di demolire la concezione dell’insegnante come dipendente pubblico demotivato, poco responsabilizzato, sottostimato e marginale. Dovere del docente, un dovere che il codice deve indicare con estrema chiarezza ma anche con parole fortemente coinvolgenti, è di trasmettere cultura, ma anche di preparare i giovani alla vita di relazione. Il portarsi dietro la propria Weltanschauung derivata dall’ambito familiare, dalle proprie personali esperienze e dalle scelte maturate nel tempo, non significa volerla imporre a chi ci sta davanti e a chi dall’insegnante deve ricevere formazione mentale, capacità di ragionamento e formazione educativa, oltre che nozioni, per comprendere la realtà; e non richiede certo una realtà da noi già preconfezionata su basi fortemente ideologizzate. Ogni insegnante, qualunque sia la materia che insegna, non dovrebbe mai porsi in condizione di falsa neutralità sui problemi etici e morali: e, sia pure senza forzare il discente, deve però essere sempre pronto a esprimere con partecipe chiarezza e con giusto contributo di affetto il proprio punto di vista, senza pretendere di imporlo ma confermandolo con esempi coinvolgenti e con il proprio personale esempio. Ogni insegnante dovrebbe ricevere dal codice la chiara indicazione di essere anche e specialmente un educatore, in un complesso equilibrio tra la libertà di inse46 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E gnamento nell’ambito delle leggi e i limiti oltre ai quali la libertà degenera in licenza o innesca l’autogiustificazione a non fare fino in fondo il proprio dovere. Ogni insegnante dovrebbe preoccuparsi di valutare la propria capacità di capire e di spiegare, anche in rapporto alla realtà giornaliera, agli avvenimenti pubblici, ai fatti che coinvolgono emotivamente i giovani. Ma è fondamentale che anche nello spiegare e nel commentare quanto avviene, le proprie personali convinzioni etiche e politiche non passino avanti all’obiettività e non diventino giustificazione per far proselitismo, ma aiutino il discente a sviluppare una personale conoscenza critica. Educazione significa e deve significare rispetto delle libertà di pensiero proprie e degli altri, a partire in particolar modo da quelle dei ragazzi e delle loro famiglie. Si tratta di trovare e garantire un equilibrio complesso attraverso la valorizzazione del docente ma anche esperendo dei meccanismi e degli strumenti di controllo sulla qualità dell’insegnamento e anche sui suoi comportamenti in aula; meccanismi che devono divenire garanzia della sua professionalità. Di qui deriva anche la necessità di pensare al codice deontologico come strumento per superare l’attuale massificazione del ruolo dei docenti. Un codice corrisponde a una responsabilità individuale e perciò deve preludere alla nascita di un vero, serio ordine professionale capace di divenire anche organo di verifica interno. Un codice deontologico ha senso se collegato a un professionista che ha, con l’ente con cui lavora, un rapporto giuridico ed economico personale. Pertanto: 1. il docente dovrebbe garantire il possesso di capacità relative alla disciplina insegnata nei contenuti e nei metodi, rendendone trasparente l’azione, e assicurando un continuo aggiornamento; 2. il docente dovrebbe raggiungere gli obiettivi formativi e didattici che identificano l’offerta formativa della scuola in cui opera; 3. il docente dovrebbe riconoscere il proprio alunno come individuo in formazione e dovrebbe di conseguenza essere consapevole delle responsabilità che ne derivano; 4. il docente non dovrebbe esimersi dal collaborare fornendo all’organizzazione scolastica elementi didattici e di verifica utili a procedure di monitoraggio e valutazione del servizio scolastico. Quanto sopra è stata la base di partenza del mio contributo alle attività del Gruppo di lavoro «codice deontologico del personale della scuola». E a questo punto, dopo un percorso di confronto quanto mai arricchente sviluppatosi nei diversi incontri con gli altri componenti, credo opportuno riportare di seguito alcune considerazioni frutto di riflessioni su quanto è stato trattato. Non sembra opportuno che nel Consiglio Superiore della Docenza proposto dal documento (ammesso che ne avvenga la istituzione) vi sia una sostanziosa rappresentanza delle associazioni degli studenti e dei genitori, quali primi destinatari della professionalità docente. Può essere opportuna una presenza con una rappresentanza di queste due categorie, quindi il CSD dovrebbe essere definito anche attraverso un confronto tra le associazioni dei genitori e degli studenti. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 47 Il docente deve recuperare se stesso, la propria identità professionale e la propria dignità sociale. Quanto alla funzione docente, non si deve dimenticare che i docenti dovrebbero costituire la componente più importante nella trasmissione dei valori democratici di libertà, di pluralismo, di tolleranza, di umanesimo. Quindi una scuola che non tenda all’omologazione, ma democratica, e che tenda alla riproduzione di se stessa non può che individuare nella funzione docente il compito di mantenimento, di educazione ai valori garantiti dalla Costituzione. Pertanto i docenti dicano a se stessi ciò che sono, ciò che intendono tornare a essere e ciò che è giusto che diventino in una società in continuo cambiamento e per una comunità più allargata, ma che non abiura né dimentica la propria storia, le proprie radici, la propria identità culturale. Quanto agli organismi professionali, genericamente intesi relativamente al processo di professionalizzazione degli insegnanti medesimi e alla loro autonomia, va da sé che la proposta di «organismi misti» di partecipazione con genitori e studenti non può essere condivisa. «Organismi misti» sono da considerare invece all’interno della gestione strutturata e definita di una scuola sempre meno fantasiosamente oggetto di uno sperimentalismo dissennato, senza finalità né criteri oggettivi di verifica, una scuola, per contro, sempre più determinata a perseguire due obiettivi: 1. la formazione della «persona» secondo i valori di democrazia e libertà della tradizione occidentale; 2. l’istruzione e la formazione professionale, rispetto al patrimonio di conoscenze della nostra società e al suo ruolo nel contesto economico europeo e mondiale tra passato, presente e futuro. La funzione docente deve essere dunque individuata e determinata, in quanto funzione «universale» con specifica professionalità indipendentemente dall’essere codificata e tutelata all’interno di un ordine professionale. Solo in questo modo sarà possibile tutelare la qualità del sistema scolastico, il quale garantirà, collegialmente in organismi misti, in autonomia amministrativa territoriale e locale, contenuti, metodi e obiettivi, ma all’interno dei valori e delle finalità del sistema scolastico generale e nel rispetto della funzione docente, intesa come espressione di una categoria ben definita. Assolutamente condivisibili sono le Raccomandazioni sullo stato degli insegnanti redatte dall’Unesco nel 1966, dove si sostiene di distinguere la funzione docente in quanto tale, come funzione universale, all’interno di un codice deontologico formulato da insegnanti professionisti. Da questo distinguo, solo apparentemente superfluo, scaturisce la necessità di considerare distintamente i codici corrispondenti: – codice deontologico (non assoggettabile alla contrattazione fra le parti); – codice di comportamento (non può più essere quello dei dipendenti pubblici ex art. 54 D.lgs.165/2001, ma dovrebbe essere curvato sulle esigenze connesse con la professione docente); – codice disciplinare (ex D.P.R. 3/57 dovrebbe essere aggiornato e modificato). 48 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Non sembra opportuna invece l’individuazione di «proprie regole» in virtù di «specifiche situazioni», in quanto potrebbe divenire un invito alla deroga, la vanificazione della funzione docente, lo svilimento della professionalità e la riedizione di quella modularità dell’insegnante che ha l’unico scopo di annullare l’identità professionale del docente stesso, per continuare a renderlo complemento e non soggetto protagonista dell’azione e del processo educativo e formativo. Non si può condividere dunque la «flessibilità» dell’etica professionale, né l’idea di un’etica multiforme, «diversificata» per ogni occasione, poiché non si deve confondere l’etica professionale con le risposte che la professione docente deve dare ai bisogni nuovi e reali della società. Risulterebbe poco comprensibile quindi fornire da una parte le motivazioni per un codice deontologico e contemporaneamente presentare una proposta esattamente opposta, per regole deontologiche diversificate da adeguarsi ai problemi sociali da affrontare. Si deve ritenere che il codice deontologico debba raccogliere i principi della funzione docente in relazione ai valori cui deve ispirarsi e attenersi, che debba essere unico, che questi valori debbano essere dettati dalla Costituzione italiana e ispirati alla «Convenzione internazionale dell’infanzia». Una eventuale proposta del General Council non sembra praticabile perché, a causa della sua composizione mista, non soddisfa la necessità e la richiesta di autonomia e identità professionale. Quanto al Consiglio Superiore della Docenza come organismo autonomo e rappresentativo della categoria, se esso svolge la stessa funzione di garanzia e di tutela della docenza come accade per la giustizia, la proposta è condivisibile, ma deve essere organo di espressione della categoria, non soggetto a contrattazione sindacale né a mediazione con istituzioni che tutelano interessi sociali generali. Sembra opportuno, oltre al codice deontologico per i docenti, pensare a un codice per i dirigenti; tuttavia per le medesime ragioni (non appaia provocatoria la proposta) sarebbe utile la stesura di un codice generale di comportamento (deontologico?) per gli studenti, i quali, fruitori di un servizio fornito da docenti e dirigenti forniti di un codice deontologico, dovrebbero essi stessi comprendere la necessità, e con essa la inderogabilità, di norme comportamentali intese come obiettivo per la maturazione di una coscienza civile, sociale, professionale. Come si può infatti pensare che uno studente che non abbia positivi modelli di comportamento, norme, anche generali, da rispettare durante il cammino scolastico, possa poi condividere le norme che caratterizzano un cittadino consapevole dei propri diritti e rispettoso dei propri doveri? Dunque si potrebbe proporre l’elaborazione di un «codice deontologico» anche per gli studenti, da determinarsi in organismi misti nei quali la componente studentesca sia fortemente maggioritaria. Proponibile appare la possibilità di elaborare collegialmente, a livello locale, in piena autonomia, regole e codici di comportamento, più aderenti alla specifica situazione in cui i docenti si trovano a operare e più adeguati ai problemi sociali da affrontare. Si è assolutamente d’accordo sulla determinazione dei «valori etici» del servizio come per gli insegnanti spagnoli. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 49 Ma riteniamo che debbano essere contemplati primariamente all’interno del codice deontologico, come valori generali della docenza, quindi come valori nel servizio pubblico. Quanto al rapporto «autonomia-codice deontologico» di fronte alle proposte: un solo codice o tanti codici liberamente assunti dai docenti nelle scuole autonome? La risposta dovrebbe essere un solo codice, in quanto la seconda ipotesi non è convincente, né condivisibile, perché rimescola le carte, rimettendo in discussione la validità dell’istituzione del codice deontologico, legato alla istituenda figura professionale del docente medesimo, dunque la sua professionalità, la sua autonomia, la sua identità. Non si confonda dunque il codice deontologico con un generico mansionario che disponga comportamenti diversificati «per essere più aderenti alle specifiche situazioni in cui si trovano a operare». Tali situazioni devono risolversi con i poteri che l’autonomia offre, mediante la capacità di progettare per obiettivi, con metodi e contenuti anche innovativi, ma nel rispetto delle finalità scolastiche generali e mediante la professionalità di docenti che sanno intervenire, interagire, proporre, disporre progetti e soluzioni anche individualizzate. 50 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE LINEE GUIDA per il CODICE DEONTOLOGICO dei D O C E N T I d i C A R LO C E RO F O L I N I FINALITÀ DEL CODICE Il codice deontologico dei docenti deve servire a sostenere e guidare la funzione docente e a valorizzare la categoria agli occhi dei cittadini. In questo codice devono quindi essere contenute poche norme chiare, sintetiche e semplici a cui i docenti si devono attenere, capaci di far capire a tutti, in modo immediato, come gli insegnanti intendono offrire un «servizio» di alta qualità, il cui unico scopo è quello di far sì che gli studenti possano crescere e sviluppare appieno le loro potenzialità, in un contesto sereno, stimolante e intellettualmente onesto. ANALOGIA FRA MEDICO E DOCENTE Così come il primo imperativo per i medici è quello di guarire (se possibile) e comunque di non nuocere al paziente, il primo imperativo per i docenti deve essere quello di insegnare ed educare e non quello di plagiare e/o portare fuori strada gli allievi prospettando loro delle verità precostituite. Siccome la scienza e il progresso vanno avanti con le ipotesi, che devono poi essere verificate, e non con le certezze, occorre che l’operato dei docenti si muova sempre secondo questa logica, in modo da aumentare e sviluppare le conoscenze, la maturazione e lo spirito critico e di osservazione di ogni studente, ovviamente in funzione sia dell’età dello studente stesso che della materia insegnata (obiettivi, metodi e mezzi). L’AUTORITÀ «ASIMMETRICA» Per chi esercita una qualche autorità verso altri in modo «asimmetrico» – come gli insegnanti verso gli allievi – occorrono delle regole cogenti per dire non solo come quell’autorità si deve esplicare, ma pure come il titolare di questa autorità si rapporta PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 51 con la stessa e anche verso la società che gli ha dato questo mandato (art. 98, comma 1, della Costituzione). In particolare l’insegnante deve essere sempre rigoroso, veritiero, non omissivo e fornire agli studenti tutti gli strumenti necessari alla conoscenza e quindi proporsi come centro di discussione e contribuire a formare opinioni, non orientarle; non deve partire da idee precostituite o dare la priorità alla formazione dell’opinione senza valide basi di conoscenze. L’IMPORTANZA DELLE RADICI Siccome una società si fonda su tradizioni, esperienze, ricordi e passioni (Vilfredo Pareto) e una società priva di valori religiosi è condannata al dispotismo (Alexis De Tocqueville), è importante che i docenti quando insegnano abbiano come riferimento primario la nostra cultura e la nostra civiltà, pur nel doveroso rispetto delle altrui, perché è solo conoscendo il passato che si può operare bene nel presente e progettare un futuro migliore. Se si cancellano le radici si costruisce sulla sabbia e il nichilismo ha il sopravvento e il futuro dei giovani viene compromesso. È NECESSARIO INSEGNARE POSITIVO NELLA LIBERTÀ Abbandoni della scuola, male di vivere, «rifugio» nella droga e nella violenza, ecc., sono anche frutto di messaggi negativi, catastrofici e spesso falsi, che intossicano gli animi dei giovani. Quindi è importante che i docenti tengano conto di questo aspetto non secondario della loro professione e si sforzino di trasmettere valori positivi ai loro allievi e li educhino al gusto del bello, al buono, ad avere speranza nel futuro e fiducia nell’uomo come singolo individuo. Il mondo e l’umanità, pur in mezzo a tanti errori e catastrofi, hanno fatto grandi conquiste in ogni campo di cui tutti hanno beneficiato e beneficiano. Infatti se siamo dove siamo questo lo dobbiamo all’ingegno dell’uomo, che sempre ha dato il meglio di sé nei sistemi liberi e il peggio quando la dimensione individuale veniva e viene assorbita da quella collettiva, in cui il fine, anche se in apparenza nobile ma in realtà delirante, giustificava e giustifica ogni mezzo, anche il più riprovevole. LA SCUOLA E I DOCENTI DEVONO DARE DEI PERCHÉ E INFONDERE LA «FORZA» La scuola, nel suo insieme, per «attrarre» ed essere veramente maestra di vita, deve dare agli studenti dei perché (traguardi, prospettive, valori, ecc., ovviamente leciti e validi), perché – come diceva Nietzsche – chi possiede un «perché» può resistere a qualunque «come» (difficoltà). Inoltre la scuola deve anche far sentire i giovani «forti» e protagonisti del loro futuro, di modo che lo studente capisca – senza però perdere il contatto con la realtà – che potrebbe avere nella sua cartella nascosto il bastone da Gran Maresciallo di napoleonica memoria, e quindi agire di conseguenza, impegnandosi di più e meglio. 52 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E L’IMPORTANZA DELL’ASCOLTO, DELLA GUIDA E DELL’ESEMPIO La scuola e i docenti devono oltre che saper ascoltare gli allievi saperli guidare, proponendosi come punto di riferimento che poggia le sue basi sulla solida roccia della cultura. I docenti devono sempre dare l’esempio perché – come dice Giovanni Paolo II – l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni dei maestri, o se ascolta i maestri è perché sono testimoni. LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO La libertà d’insegnamento trova la sua applicazione e i suoi limiti nei seguenti articoli della Costituzione: a) art. 3, comma 2, dove si parla di rimozione di ostacoli economici e sociali per il pieno sviluppo della persona umana; b) art. 33, comma 2, dove si dice che: «La Repubblica, detta norme generali sull’istruzione…»; c) art. 97, comma 1, dove si afferma che i pubblici uffici, organizzati secondo disposizioni di legge, devono assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione; d) art. 98, comma 1: «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione», riconoscendo con questo che, visto l’alto compito di cui sono investiti i pubblici dipendenti, ne devono rendere conto ai cittadini per cui lavorano. In conseguenza di ciò non si può invocare l’articolo 33, comma 1, della Costituzione, in cui si dice che: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»; oppure l’art. 21, comma 1, che è posto a garanzia della libertà di pensiero, per dire quello che si vuole e come si vuole, perché oltre i diritti ci sono pure i doveri. PLURALISMO Si fa un gran parlare di pluralismo dell’informazione, come pure dell’insegnamento, e molti dicono di avere la ricetta giusta per interpretarlo al meglio. A questo punto, per fare chiarezza, forse non sarebbe male che i nostri studiosi dessero del pluralismo, in senso politico e culturale, questa definizione: «Molteplicità di opinioni, logiche e plausibili, che scaturiscono dall’analisi di dati di fatto veri e completi». In modo da uscire, finalmente, da ambiguità e ipocrisie, dato che non è mettendo in campo più verità mutilate e/o falsità che si realizza il vero pluralismo, e quindi portare chi ascolta alla formazione di un’opinione valida e autonoma sui singoli fatti. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 53 REGOLE CHIARE E GIUSTE PER GARANTIRE LA LIBERTÀ E IL BENE COMUNE Il Papa, intervenendo al Convegno Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana, il 9 novembre 2002, nel riconoscere l’importanza che ha l’informazione nell’attuale società, e quindi la grande responsabilità che hanno i giornalisti in questo campo, ha, tra l’altro, richiamato tutti a «regole chiare e giuste, a garanzia del pluralismo della libertà, della partecipazione e del rispetto degli utenti»; ha evidenziato come «l’assenza di controllo e di vigilanza non è garanzia di libertà come molti vogliono far credere, e finisce piuttosto per favorire un uso indiscriminato di strumenti potentissimi che, se usati male, producono effetti devastanti nelle coscienze delle persone e nella vita sociale». Giovanni Paolo II, inoltre, ha messo in guardia dalle «visioni distorte dell’uomo, della famiglia e della vita» che passano attraverso il sistema mediatico e ha esortato le autorità pubbliche a impegnarsi perché i media conservino le finalità primarie di un servizio alla persona e alla società, in quanto la comunicazione «deve avere al suo centro la dignità della persona, la capacità di aiutare ad affrontare i grandi interrogativi della vita umana, l’impegno a servire con onestà il bene comune». Ora, se è indispensabile, per un Paese che voglia crescere nella concordia, nel benessere e nella democrazia, che i massmedia siano corretti nel loro operare per il bene comune, a maggior ragione occorre che anche i docenti rispettino quanto ha evidenziato il Pontefice a proposito della comunicazione, molto più dei media e che le pubbliche autorità vigilino su tutto questo. 54 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE O LTRE i l CODICE DEONTOLOGICO d i R O S A R I O D R AG O L’ esigenza, più o meno sentita dagli insegnanti, di avere regole e norme di comportamento dell’esercizio della professione dimostra che anche in Italia è iniziato, se pur in ritardo, il processo di professionalizzazione della funzione docente. Tale processo ha fatto i suoi primi passi, alla fine degli anni Novanta, con la decisione – tardiva – di istituire un corso universitario per la formazione degli insegnanti. Inoltre, con l’approvazione dell’articolo 5 della riforma degli ordinamenti si affronta il tema del reclutamento, ma anche della carriera. C’è quindi la consapevolezza che non si possono definire «le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni del sistema nazionale di istruzione e di formazione» senza alcun riferimento alla condizione «giuridica» e professionale degli insegnanti. Infatti, la qualità della scuola è fondata sulla qualità della condizione (norme generali) e della funzione (prestazioni essenziali ovvero standard) dei docenti. L’insegnante non è un soggetto perfettamente fungibile a ogni trasformazione strutturale, normativa e organizzativa della scuola, ne è l’elemento costitutivo, soprattutto quando il sistema in cui esso opera si avvia a rapidi e continui cambiamenti (autonomia, riforma degli ordinamenti, nuovi «programmi», progetti, ecc.). Le difficoltà di sviluppo dell’autonomia e del decentramento delle competenze alle scuole dipende in gran parte dai limiti storici e strutturali della formazione dell’insegnante e dal mancato sviluppo e aggiornamento della professionalità e delle competenze del docente. In effetti, nei dieci anni in cui si è discusso sull’autonomia delle scuole, non si è operato conseguentemente: – per modificare il reclutamento (la legge 124 del 1999 è la sanzione del vecchio sistema dei concorsi e delle sanatorie); – per riscrivere lo stato giuridico degli insegnanti in coerenza con il nuovo paradigma organizzativo e didattico (autonomia) delle scuole; – per dare pertinenza alle competenze richieste ai docenti con il trasferimento alle scuole di nuovi poteri e funzioni tecniche, organizzative e didattiche (POF). PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 55 È significativo che ciò sia avvenuto – ma con effetti non del tutto positivi – solo ed esclusivamente per la figura del dirigente scolastico e del direttore amministrativo, creando una pericoloso squilibrio e una asimmetria tra le finalità educative della scuola e il suo funzionamento amministrativo e organizzativo. Non è una consolazione sapere che anche in altri Paesi europei il problema si pone con le stesse caratteristiche e in modo altrettanto impellente, e con l’unica differenza che in tali Paesi le difficoltà di cambiamento si sono tradotte in una grave crisi dell’offerta. Ma quanto durerà, in Italia, il serbatoio della disoccupazione intellettuale meridionale? E quanto durerà l’offerta di occupazione nelle discipline scientifiche e tecniche? Resta il fatto che senza una definizione chiara della funzione docente, la scuola, come macchina amministrativa, manca del suo naturale carburante professionale. Finora il Parlamento (fin dalle origini del nostro sistema scolastico) si è occupato dell’insegnante essenzialmente come dipendente pubblico, alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato (cfr. Stato giuridico 1906, 1923, 1957 e 1974). A partire dagli anni Ottanta, a esso ha assicurato – come per gli altri (ma non per i professori universitari) – la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando la sua dipendenza piuttosto che la sua autonomia e la responsabilità professionali. Ma può esistere una vera autonomia delle scuole senza un insegnante professionista capace di vera responsabilità per i risultati? Sembra di no, a giudicare dallo stato di frustrazione e di disagio che gli insegnanti continuano a manifestare. Questi, in sintesi, alcuni dei motivi strutturali di tale disagio: La dissoluzione dello stato giuridico tradizionale. Il vecchio stato giuridico ex legge 477 del 1973 è stato demolito dalla successiva «privatizzazione» o meglio contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che ha invaso nonostante i vincoli contenuti nella legge 421 – art. 2 – del 1992 (da cui è nato il D.lgs. 29 del 1993 e successive modificazioni e integrazioni) il campo riservato alla legge e ai principi generali della professione. A causa di questo sfondamento dei confini assegnati dalla legge delega (oggi tradotta definitivamente nel D.lgs. 165 del 2001), il profilo professionale – a partire dalla definizione della libertà di insegnamento – ma anche l’autogoverno della professione (organi collegiali territoriali), la valutazione, gli standard, il codice deontologico, la disciplina, la carriera, la formazione iniziale e in servizio sono rimasti come residuali di una azione giuridica e normativa che si è tutta squilibrata sul lato contrattuale, senza alcuna remora né censura. Il processo di «proletarizzazione» dei docenti (favorita dal numero decisamente impressionante – nel 1957 gli insegnanti erano 261.000, oggi sono più di 900.000) – da timore e «profezia» teorizzata negli anni Settanta ha avuto la sua compiuta realizzazione nel contesto della contrattualizzazione vasta e penetrante, che ha inciso anche sull’immagine sociale, la percezione di sé e gli stessi comportamenti quotidiani dei docenti. Una dirigenza scolastica burocratica non una leadership educativa. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente (D.lgs. 59/99, oggi articolo 25 del D.lgs. 165 del 2001) in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolasti56 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E co appartiene per profilo, trattamento economico, modalità di reclutamento, funzioni più alla carriera burocratico-amministrativa che non a quella di tipo educativo e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi prive di una vera e propria leadership istituzionale, un vuoto che non può essere riempito né dalle «funzioni obiettivo» (elettive), né tanto meno dai collaboratori – compreso il vice – scelti dal dirigente. Ambedue le soluzioni sono un surrogato piuttosto maldestro della carriera docente che dovrebbe essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione, responsabilità per i risultati. Mancata autonomia contrattuale (area autonoma di contrattazione). Una promessa non ancora realtà. Per quanto riguarda l’autonomia contrattuale della professione (nonostante la esplicita previsione dell’articolo 21 della legge 59 del 1997 e nonostante le promesse), l’insegnante – caso unico in tutto il pubblico impiego – si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola – compresi gli ausiliari. Tale anomalia ha avuto come conseguenza quella mostruosità organizzativa costituita dall’istituzione della Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) eletta in ogni istituzione scolastica, dove l’insegnante può essere rappresentato da operatori e lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione. Resta comunque la contraddizione di un organismo negoziale (RSU) in un contesto organizzativo che non gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattuale né gestionale (per quanto riguarda il personale), dato che il Consiglio della scuola (ovvero il dirigente scolastico) in Italia – a diversità di altri Paesi europei e industrializzati – non ha il potere di assumere o licenziare personale, ma è del tutto dipendente dalle norme amministrative per quanto si riferisce alla gestione del bilancio, dell’organico e di ogni altra materia attinente al governo del personale, che resta pervicacemente accentrato. Organi collegiali territoriali irriformabili e da abrogare. Nonostante il tentativo – mai reso attuale – di riformare gli organi collegiali territoriali ai sensi dell’articolo 21 della legge 59 del 1997, la professione docente non gode ancora di un riconoscimento di autogoverno della professione, a eccezione della disciplina peraltro gestita con un sistema e con procedure inefficienti e inefficaci per complicazioni, lungaggini ed eccessi garantistici. Il problema degli organi collegiali va posto (se va posto…) su nuove basi, per i seguenti motivi: – dopo l’approvazione della legge sopra citata (59/97) è intervenuta la riforma della Costituzione, che – come del resto si legge nella legge 131/03 attuativa del titolo V della Costituzione – assegna agli Enti Locali un importante ruolo nell’amministrazione del personale della scuola come già avviene nelle Province autonome di Trento e di Bolzano e come comincia a rivendicare anche la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia (per il personale delle scuole dell’infanzia); – con la Finanziaria 2003 è stato sostanzialmente abolito il Consiglio Scolastico Distrettuale (CSD), che non è mai decollato stante l’opposizione anche a un pur timido decentramento amministrativo, che mettesse in discussione l’autonomia e il monopolio gerarchico dei provveditorati; PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 57 – il Consiglio Scolastico Provinciale – dopo l’istituzione dei CSA – non ha più senso dato che era nato per servire da «consulente» del dirigente scolastico provinciale. Ma oggi – con la riforma dell’amministrazione – l’ufficio scolastico provinciale non ha nessuna autonomia decisionale (se non per delega), ed è diventato una struttura decentrata della direzione scolastica regionale (D.P.R. 347 del 2000); – infine, il CNPI (Consiglio Scolastico Nazionale ovvero, nella nuova formulazione, Consiglio Superiore dell’Istruzione, D.P.R. 233 del 1999) non ha più senso, dato che era stato concepito fin dalle origini (1857) come organo di garanzia dei docenti contro la burocrazia amministrativa. Ma oggi che il rapporto di lavoro è stato del tutto «privatizzato» tale garanzia è offerta dalla rappresentanza sindacale e non da un organo a metà tra il tecnico (consulenza) e il corporativo (controllo e disciplina del personale). Circondati da organi collegiali di ogni tipo (e composizione), tutelati e garantiti da una contrattazione sempre più fitta e minuta, che ne ha esaltato la funzione impiegatizia, privi di prospettive di carriera, gli insegnanti restano ancora in Italia senza una visibile e riconoscibile immagine di sé: che cosa sono? Che cosa faccio? Perché lo faccio? Che è l’altra faccia della loro «invisibilità» sociale: chi sono? Che cosa fanno? Perché lo fanno? Finiti – per pochi – gli entusiasmi del neomissionarismo degli anni Settanta, e i riferimenti ideologici forti delle ideologie contrapposte, per gli insegnanti – e non solo in Italia – resta la strada del professionalismo (stato giuridico, formazione iniziale, cultura specialistica condivisa, codice deontologico, carriera, autogoverno della professione), cioè di una ridefinizione del ruolo e delle competenze in rapporto ai nuovi compiti della scuola di massa in una società della conoscenza: «dipendenti ma professionisti» Il che significa: 1. un contratto snello, che intervenga solo sui punti che non incidono sulle competenze professionali e sulla organizzazione della carriera, e cioè: orario, retribuzione, mobilità; 2. la garanzia dell’autonomia contrattuale di una categoria di professionisti (area autonoma); 3. uno stato giuridico essenziale che affermi i valori e i principi (chi è insegnante e chi non lo è), su cui si basa la professione dell’insegnare a tutti i livelli, in tutti gli ordini di scuola e in ogni situazione (dalle carceri ai centri di formazione, dagli ospedali alle scuole serali); 4. un organo di autotutela professionale (standard, prestigio, immagine, promozione, ecc.), che sia la garanzia «dinamica» dello sviluppo della professione e che sappia escludere con i mezzi e le tutele opportune coloro che non possono essere definiti insegnanti; 5. un reclutamento che sia coerente con gli standard della professione, definiti dagli stessi insegnanti; 6. un mercato del lavoro che garantisca l’accesso solo a chi ha i requisiti dell’insegnante professionista; 58 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 7. una carriera che sia fondata su modalità e criteri di valutazione basati sul merito professionale; 8. una articolazione del ruolo che garantisca alle scuole autonome professionalità e competenze adeguate, certificate, stabili e valutate; 9. una dirigenza delle scuole che non sia in contrasto con la natura tecnica della funzione scolastica e che ne costituisca effettivamente uno sbocco naturale della carriera e non una fuoruscita o fuga (in gran parte offerta per immagine, contenuti, modalità e profilo ai soli maschi) dal ruolo e dalla professione. In sostanza, va costruita una professione che sappia autogovernarsi per la qualità della sua prestazione pubblica. Sarebbe stato utile, quindi, che il Parlamento, contestualmente all’approvazione del disegno di legge delega sulle norme generali e i livelli essenziali del sistema di istruzione e formazione, avesse provveduto a: – introdurre la definizione delle norme generali e dei livelli essenziali della prestazione professionale dei docenti, in coerenza con il nuovo modello di reclutamento e di formazione definito dall’articolo 5 del ddl in discussione, con particolare riferimento alla formazione in servizio, alla carriera, alla valutazione, ai diritti di cui gli insegnanti debbono godere come professionisti, una volta quindi abilitati a svolgere la funzione, e ai doveri a cui debbono attenersi come dipendenti pubblici sia delle istituzioni scolastiche gestite dallo Stato e dalle Regioni, sia da quelle paritarie; – affermare l’esigenza di una contrattazione autonoma della categoria all’interno del comparto della scuola e abolire le RSU di istituto, prevedendone l’istituzione a livello regionale (dove è attualmente prevista la contrattazione integrativa e dove esiste il livello dirigenziale responsabile e adeguato per autonomia e disponibilità di risorse); – definire con chiarezza i confini tra le materie assegnate a contrattazione e quelle riservate alla legge, facendo riferimento alle disposizioni della legge delega del 1992 e abrogando ogni altra norma in contrasto con tale suddivisione; – prevedere la costituzione di un organo collegiale regionale eletto dagli insegnanti professionisti (con abilitazione e di ruolo, senza alcuna distinzione tra ordine e grado di scuola) dipendenti dallo Stato, dagli Enti locali o dai privati gestori delle scuole paritarie, con una espressione (tramite elezioni di secondo livello) anche nazionale, che abbia il compito non solo di esprimere pareri sulle politiche nazionali e regionali sulla scuola, ma si occupi (e decida) concretamente di: formazione in servizio dei docenti; formazione iniziale (con la collaborazione con le università e le istituzioni scolastiche soprattutto per quanto riguarda gli stage e il tirocinio); definizione degli standard professionali dei docenti e loro aggiornamento; gestione dell’albo professionale e dell’anagrafe dei docenti; criteri e modalità di valutazione degli insegnanti, soprattutto finalizzata alla carriera; definizione del codice deontologico della professione e aggiornamento dello stesso; pareri sui piani di studio e i programmi regionali e nazionali; ogni iniziativa volta alla promozione e alla tutela della professionalità, del prestigio e dell’immagine dell’insegnante; PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 59 – abrogare il periodo dell’articolo 21 della legge 59 del 1997, dove prevede la riforma degli attuali organi collegiali territoriali, poiché tale materia – cioè la partecipazione delle istituzioni scolastiche (non più delle «componenti» scolastiche) alle politiche locali – è evidentemente di competenza delle Regioni e degli Enti locali ai sensi della legge costituzionale n. 3 del 2001. A questo proposito è sufficiente – in sede di legge delega – una indicazione alle Regioni perché provvedano – con proprie disposizioni di legge e nell’esercizio delle competenze già previste dal D.lgs. 112/98 – ad assicurare la partecipazione delle istituzioni scolastiche alla gestione delle politiche territoriali sulla scuola; – provvedere ad assegnare alla contrattazione «privatistica» – come per tutti gli altri dipendenti pubblici – la materia relativa alla disciplina del personale insegnante di ruolo e non di ruolo – compresi i dirigenti scolastici –, tramite l’inserimento nei CCNL delle norme relative (codice disciplinare, sanzioni, procedure, competenze), in modo da «liberare» da tale incombenza gli attuali organi collegiali provinciali e nazionali. Un lavoro immane di contestualizzazione normativa della funzione docente, senza della quale prevarranno inevitabilmente le logiche di dequalificazione e di perdita di identità, di immagine e di riconoscimento sociale della professione, come sempre succede quando il vorticoso cambiamento delle finalità e della «forma» del sistema non trova riscontro in un ruolo nuovo e adeguato nelle competenze e nei comportamenti degli insegnanti. 60 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE O S S E RVAZIONI e PROPOSTE per la D E F I N I Z I O N E dei CRITERI d e l C O D I C E DEONTOLOGICO d i C A R M E LA L O G I U D I C E S E RG I L e nostre personalità, i nostri «io», sono ancorati al mondo: al mondo fisico, al mondo degli stati mentali, al mondo dei prodotti della mente. Noi non nasciamo come «io», ma dobbiamo imparare a essere «io». Questo processo d’apprendimento si realizza nell’approccio conoscitivo al mondo. La conoscenza di fondo da noi posseduta svolge un ruolo importante nel modo in cui interpretiamo la nostra esperienza di asserzione: ecco perché quando cerchiamo di vivere secondo l’imperativo gnw`qi sautovn, conosci te stesso, incontriamo notevoli difficoltà. È più facile osservare un oggetto esterno che il proprio se stesso. Arriviamo all’autocoscienza attraverso l’educazione e l’etica e ritengo che una coscienza di sé cominci a svilupparsi attraverso la mediazione delle altre persone (genitorieducatori): nello stesso modo in cui impariamo a vedere noi stessi in uno specchio, così il bambino diventa cosciente di se stesso intuendo il suo riflettersi nello specchio della coscienza di sé di altre persone. I tentativi attivi compiuti dal bambino per attirare l’attenzione su di sé fanno parte di questo processo di apprendimento. Egli impara a conoscere il suo ambiente attraverso la persone, innanzitutto i genitori. Mediante il loro interesse per lui – nonché attraverso il riconoscimento del corpo come proprio corpo – ben presto impara a essere egli stesso una persona. Le fasi successive di tale processo dipendono molto dal linguaggio, ma prima di acquisire la padronanza del linguaggio, il bambino impara a essere chiamato con il suo nome e a essere approvato o disapprovato. E perché l’approvazione e la disapprovazione sono in larga misura di carattere culturale, si può dire che la risposta del bambino a un sorriso contiene già il primitivo inizio prelinguistico del suo ancoraggio al mondo della conoscenza di sé. Per essere un «io», bisogna imparare molte cose, ma soprattutto il senso del tempo: l’io è quindi, in parte, il risultato dell’esplorazione ottica dell’ambiente e dell’aver appreso una routine temporale, basata sul ciclo del giorno e della notte. Che cosa accade a un bambino che cresce senza PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 61 partecipazione attiva alle relazioni sociali e senza linguaggio? Ho esperienza dei bambini abbandonati negli orfanotrofi: sembrano, anche se sostanzialmente non lo sono, ritardati intellettualmente. È una esperienza confermata da Ossicini in Rapporto madre bambino. Il bambino fin da piccolissimo è attivamente interessato a tutto ciò che lo circonda e a questa scoperta del mondo contribuisce anche la resistenza che lo stesso mondo esterno oppone alle sue intenzioni e azioni. La conoscenza risulta pertanto il risultato evolutivo dell’adattamento del bambino all’ambiente o al mondo esterno; ogni adattamento appreso ha una base genetica, nel senso che l’ereditarietà dell’organismo (il suo genoma) deve favorire la capacità di acquisire nuovi adattamenti. Conoscenza ereditata e acquisita possono essere di una complessità estrema: naturalmente, senza lo sfondo della conoscenza ereditata, incorporata nei nostri geni, non saremmo in grado di acquisire nessuna conoscenza nuova: basterà ricordare i dieci miliardi di neuroni della nostra corteccia cerebrale, alcuni dei quali (le cellule corticali piramidali) hanno ciascuno un totale di connessioni sinaptiche di oltre diecimila. Comunque il nostro sapere, oltre che dalle informazioni acquisite attraverso l’eredità genetica, scaturisce dalle informazioni acquisite lungo tutto l’arco della vita e l’importanza dell’informazione acquisita risiede nella nostra capacità innata di usarla. L’apprendere un’abilità come camminare, andare in bicicletta, suonare uno strumento musicale, parlare altre lingue consiste nell’acquisire una disposizione a comportarsi in un certo modo, ogni qualvolta lo si voglia, una memoria che produce la potenziale continuità dell’io, una memoria che va distinta dalla memoria acquisita attraverso un metodo di apprendimento. La continuità dell’io garantisce il permanere della sua identità: l’io cambia grazie all’apprendimento e all’esperienza, mediante l’azione e la selezione. Pertanto dalle origini dei processi di pensiero nella primissima infanzia, dalla mescolanza tra sensazioni ed emozioni primarie, si ritrova il ruolo fondamentale della madre, che ha una funzione simbolica e integrativa indispensabile per la maturazione del pensiero, della mente. Eventuali disturbi in questi delicati passaggi spiegano le carenze di elaborazione mentale, le azioni impulsive incontenibili, l’angoscia dilagante, tante sintomatologie che descrivono psicopatologie più o meno gravi e frequenti nell’età evolutiva. Potremmo dire con Bion che senza la «sensibilità» che si costruisce nella primissima infanzia, non c’è vero soggetto, intero e pensante, ma pensieri più o meno minacciosi, confusi, proiettivi. Per Jung il Sé, o l’io, non è immaginabile al di fuori del processo d’individuazione (che lui stesso descrive come il processo di autorealizzazione del Sé) o come quel movimento di differenziazione che porta l’essere umano a sviluppare la sua unicità e la sua personalità individuale in relazione alla collettività che lo circonda e che lo ha educato. Egli sostiene che l’individuazione è in generale il processo di «formazione» e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale. Jung introduce un altro concetto, quello di Persona, intesa come la maschera che protegge o difende chi la porta, rendendolo al tempo stesso riconoscibile all’esterno 62 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E in modo convenzionale. In ambito educativo e formativo l’aspetto Persona va considerato come elemento fondamentale, come senso e fine del sistema educativo e per questo è stata da me usata come metafora in un progetto di formazione degli insegnanti che ho chiamato «Maschere dell’educazione». Quando il rapporto interpersonale tra il bambino e l’insegnante è buono, poco importa che il suo metodo didattico corrisponda o meno alle più moderne esigenze. Perché l’efficacia dell’insegnamento-apprendimento non dipende dal metodo; ciò che conta non è con quale bagaglio di nozioni si esca dalla scuola, ma che la scuola sia riuscita a sciogliere il giovane dall’identità inconscia con la famiglia e a renderlo consapevole di se stesso. La conoscenza proveniente dalla psicologia analitica è auspicabile per l’educatore, affinché la utilizzi non solo per l’educazione dei bambini ma anche per la propria. Un educatore non può essere un pessimo trasmettitore di cultura, ma deve anche rielaborare attivamente la cultura, educando se stesso. Ciò che ha un effetto veramente deleterio è che i genitori si aspettano dai loro figli che facciano bene ciò che essi hanno fatto male e purtroppo l’insegnante si scontra spesso con le conseguenze dei guasti che l’educazione familiare ha prodotto sul bambino. Chi sono oggi gli educatori, gli insegnanti? Sono professionisti dell’educazione, autoformatisi sul campo, senza formazione iniziale e con una discutibile formazione in servizio. Condivido la tesi di Jung secondo cui gli elementi costitutivi della professione docente non possono fondarsi sulla didattica, sul sapere disciplinare e sul saperlo trasmettere e aggiornare, ma debbono fare riferimento all’interazione reale, al rapporto tra persone. Il rapporto tra persone e una visione dell’uomo e della società sono alla base di molte professioni, ma soprattutto per quella di insegnante; anzi la didattica è funzione politica più di tante altre e applicazione di scelte politiche. Quale politica? Innanzitutto la Costituzione (artt. 3, 33, 34 e 97) e poi quelle norme internazionali cui l’Italia aderisce con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Conferenza internazionale sui diritti dell’infanzia. La nostra Costituzione indica quale «bene sociale»: a) b) c) d) e) la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, la solidarietà, la non violenza; la libertà d’insegnamento; il diritto di apprendere; il diritto di educare; la responsabilità nell’esercizio della professione. LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO 1. Libertà della cultura e non arbitrio del singolo insegnante di fare o non fare quello che vuole. L’insegnante si impegna a far conoscere agli allievi i vari punti di vista sulle questioni trattate, nel rispetto del pluralismo delle idee; 2. la libertà include la «valutazione», che ha come riferimenti gli standard professionali e la deontologia professionale. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 63 Ritornando alla tesi di Jung, la professione docente non è legata solo a una questione didattica, ma è legata agli standard e alla deontologia professionale. Fra i principi guida dell’insegnamento possiamo citare: – – – – – il successo formativo di tutti gli studenti; il sapere pedagogico della disciplina che si insegna; la responsabilità dell’apprendimento degli studenti; la valutazione e/o autovalutazione dei risultati del proprio lavoro (esperienze); l’appartenenza a comunità scientifiche e professionali. ETICA DELLA RESPONSABILITÀ Il valore della responsabilità si afferma nel momento in cui la scuola si percepisce come servizio pubblico alla Persona, per tutta la vita. La Persona diventa il nuovo perno della società e la conoscenza l’elemento sempre più determinante per lo sviluppo della società e le trasformazioni delle teorie del lavoro. L’autonomia della scuola enfatizza la relazione insegnamento-apprendimento e trasforma il lavoro dell’insegnante: il tempo non più rigido e prestabilito, ma relativo al progetto; lo spazio non più compiuto nella classe, ma esteso all’intera scuola, al sistema delle relazioni con gli altri insegnanti e con altri soggetti esterni (innanzitutto le famiglie). L’autonomia della scuola enfatizza il valore dell’autorganizzazione (cioè della responsabilità), rivendicando un modello organizzativo in cui sono definite le regole, i processi di autovalutazione, in relazione al raggiungimento degli obiettivi condivisi. L’autonomia esalta la professionalità docente che è delicata, complessa, inimmaginabile fuori dal contesto in cui si svolge, e soprattutto fuori dalle relazioni con chi apprende e la famiglia di chi apprende. Fino a oggi non si è molto valutato il rapporto, la relazione tra chi insegna e le famiglie, i genitori, titolari della maggiore responsabilità educativa nei confronti dei figli; soprattutto oggi, in quanto gli adulti, genitori e docenti (non dimentichiamo che anche i docenti sono genitori) non hanno più modelli da offrire ai ragazzi e tendono a ritrarsi dalle loro responsabilità e dare delega alla scuola. Pesa sempre di più nell’apprendimento degli studenti il «patrimonio culturale» delle famiglie, molto di più del loro patrimonio economico e risulta l’elemento più determinante della dispersione, ancora più pesante là dove la ricchezza cresce, ma convive con la povertà culturale. L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ: HANNAH ARENDT, GUNTHER ANDERS, HANS JONAS Il legame tra i tre filosofinon è solo biografico (ebrei, studi comuni a Friburgo, Heidelberg, Marburg, Berlino, emigrazione), ma concerne i temi delle loro riflessioni: la delineazione di un’etica globale per la civiltà tecnologica. 64 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Il «sì alla vita» assume valore normativo per il genere umano nel suo insieme, traducendosi nel principio etico fondamentale a cui dovrebbe orientarsi oggi il nostro agire collettivo. Il principio di responsabilità contrappone il compito più modesto dettato dalla paura e dal rispetto di preservare all’umano, nella residua ambiguità della sua libertà, che nessun mutamento delle circostanze può mai sopprimere l’integrità del suo mondo e del suo essere contro gli abusi del suo potere. Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e l’economia imprime un impulso incessante, esige un’etica che, mediante autorestrizioni, impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per l’uomo. La consapevolezza che le promesse della tecnica moderna si sono trasformate in minaccia costituisce la tesi su cui si fonda il principio di responsabilità di Hans Jonas. Kant ha potuto affermare che «in sede morale la ragione umana può essere facilmente portata a grande esattezza e perfezione» e che «non c’è bisogno né di scienza né di filosofia per sapere ciò che si deve fare per essere onesti e buoni». Ma allora quale è il fine dell’educazione? Mi sento di rispondere: l’autonomia dell’individuo, che include la sua libertà e capacità di rendersi responsabile delle sue azioni. La fiducia nel progresso scientifico e tecnologico ha convinto l’uomo contemporaneo a comportamenti che, sfiorando il delirio di onnipotenza, ci sembrano irresponsabili. E sarebbe altrettanto irresponsabile prevedere con assoluta certezza che l’uomo potrà adattarsi a tutto. Ma a cosa si dovrà adattare l’uomo? A cosa si deve costringerlo ad adattarsi o che cosa gli si deve consentire? Quali condizioni si possono accettare per il suo adattamento? Sono le riflessioni che non solo i politici, ma soprattutto gli educatori (che educano anche i politici) devono fare, gli interrogativi che si devono porre. Il futuro dell’umanità costituisce il primo dovere del comportamento umano collettivo, e in esso è incluso il futuro della Natura (condizione sine qua non per la vita dell’uomo e dell’intera biosfera) consentendo a essa la sua dignità, che si contrappone all’arbitrio del potere dell’uomo tecnologico. Da essa siamo stati generati, a essa siamo debitori, da essa deriva il nostro futuro. L’uomo di scienza sa che il mondo non è semplicemente quale appare ai nostri sensi; egli sa che la terra e l’acqua sono in realtà il gioco di forza che si manifestano a noi come terra e acqua; il come, possiamo soltanto in parte comprenderlo. Similmente l’uomo che ha gli occhi dello spirito aperti, sa che la verità finale circa la terra e l’acqua, consiste nella nostra comprensione della volontà eterna che opera nel tempo, e s’impersonifica in forze rivelantisi a noi sotto quegli aspetti. Questa non è semplice nozione, come è la scienza, ma è percezione dell’anima per mezzo dell’anima. Essa non ci conduce alla potenza, come fa la scienza, ma ci dà la gioia che è il risultato dell’unione di cose affini. (Rabindranath Tagore) PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 65 ANNALI DELL’ISTRUZIONE VERSO u n a SCUOLA d e l l a L I B E RT À e della R E S P O N S A B I L I T À d i G I A N N I M E R E G H E TT I IMPREVISTO E OMOLOGAZIONE Sandro Onofri, nel suo drammatico testo dal titolo Registro di classe, ha lasciato scritto: Piani didattici annuali, programmazioni comuni, test di ingresso, prove uguali per tutti sono il risultato di un inseguimento affannoso della modernità, che si tenta di acchiappare come viene viene, accettando il valore di miti, la cui validità dentro la scuola è invece tutta da dimostrare: quello dell’oggettività, quello dell’omogeneità, quello della standardizzazione. Tutti criteri che, se possono andare bene in una logica di marketing e di produzione, adottati in un rapporto pedagogico non portano ad altro che allo schiacciamento delle differenze e delle individualità, sia degli alunni sia dei docenti, i quali, comunque, stanno lì, in mezzo ai ragazzi, e se sono bravi, se hanno qualcosa da dire, se hanno vissuto abbastanza e abbastanza intensamente, avranno ognuno un libro grande e diverso da insegnare ai propri studenti. E se invece non lo sono, se si trovano lì per caso, perché tanto un lavoro vale l’altro, perché mezza giornata libera è assicurata e i contributi vanno avanti lo stesso, allora non c’è schedina standard né test che possano compiere il miracolo dell’insegnamento. Una scuola davvero rinnovata dovrebbe, credo, preoccuparsi prima di tutto di assicurare la libertà necessaria all’espressione delle differenze, sia dei docenti sia degli alunni, e dunque agevolare l’originalità dei percorsi didattici e l’atipicità dei ritmi e dei sistemi di apprendimento. In fondo la scuola di adesso, che pedina omogeneità e standard, e il viaggiatore previdente, hanno in comune la gran paura per l’imprevisto, per quel tanto di misterioso che nessuno è in grado di anticipare o di individuare. Ma l’imprevisto è il sale di ogni viaggio: lo complica, ma proprio per questo lo rende irripetibile. Pier Paolo Pasolini, nel suo provocatorio articolo Aboliamo la scuola dell’obbligo e la tv, aveva a suo tempo scritto: 66 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 1) Abolire immediatamente la scuola media d’obbligo. 2) Abolire immediatamente la televisione. Quanto agli insegnanti e agli impiegati della televisione possono anche non essere mangiati, come suggerirebbe Swift: ma semplicemente possono essere messi sotto cassa integrazione. La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell’autogestione, del decentramento, ecc.: tutto un imbroglio). Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero, cioè appartenente a un’altra cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è ben chiaro che chi ha fatto la scuola d’obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio di sapere, e si scandalizza di fronte a ogni novità […] È stata la televisione che ha praticamente (essa non è che un mezzo) concluso l’era della pietà e iniziato l’era dell’edonè. Era in cui i giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente a essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino all’infelicità (che non è una colpa minore). Ora, ogni apertura a sinistra sia della scuola che della televisione non è servita a nulla: la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità). Queste due provocazioni sono ancora attuali, in quanto evidenziano che la scuola non può diventare lo spazio di regole acquisite e ripetute, perché vibra di accadimenti e di libertà e in un certo senso, per dirla come Nietzsche, ha nel suo essere inattuale uno dei fattori più dinamici. Oggi, il contesto della scuola da una parte tende a realizzare la profezia di Pasolini, anche se senza successo, dall’altra parte rischia di diventare impermeabile a quell’imprevisto che Onofri identifica come il sale di ogni viaggio, e quindi anche di quello che si compie sui banchi di scuola. Contemporaneamente, rifiuto di omologazione e imprevisto continuano a essere presenti dentro le aule e nelle sale professori. Così si può a ragione dire che il contesto della realtà scolastica si presenta variegato, i punti di vista didattico-educativi sono diversi, talvolta anche in contraddizione l’uno con l’altro, i comportamenti non sono affatto unici, come del resto le analisi. Si può fare un’operazione che riduca a unum questo contesto così complesso? Lo si può fare in nome di valori minimi condivisibili? O in nome di una impostazione didattica prevalente? Sarebbe un errore. La questione seria della scuola di oggi infatti non è quella di identificare un unico tipo di didattica, né un unico tipo di insegnante, né un modello di studente, ma di porre le condizioni perché i diversi modi di assolvere al compito educativo-didattico della scuola si possano esprimere e confrontare, secondo principi di libertà e di collaborazione. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 67 UN ORIZZONTE AMPIO In questo momento diventa quindi decisivo identificare l’orizzonte complessivo della scuola. Due sono le possibilità: – la prima è di tipo prescrittivo, e consisterebbe nell’individuare analiticamente e sotto forma di precetti l’immagine della scuola del futuro e conseguentemente quella dell’insegnante. In questo tipo di impostazione si andrebbe a indicare all’insegnante sia chi è, sia che cosa deve fare e inevitabilmente il suo compito diventerebbe di tipo esecutivo; – la seconda è di tipo flessibile, e consisterebbe nel delineare gli aspetti fondamentali della scuola sotto forma di obiettivi e standard, lasciando libertà alle scuole autonome-paritarie e agli insegnanti per quanto riguarda la loro realizzazione. Perché questa seconda immagine non cada nell’autoreferenzialità è evidente che si debba istituire un efficace e pertinente sistema di valutazione. La prima impostazione dà allo Stato e/o allo Stato-Regione il compito di definire la scuola, nella seconda vengono invece valorizzati i soggetti come generatori di scuola. A mio parere è la seconda impostazione quella che risponde maggiormente sia alla natura della scuola che alle esigenze che incombono oggi. Risponde alla natura della scuola, perché essa è definita dal rapporto di educazione e di istruzione che i soggetti costituiscono secondo la dinamica della libertà e della responsabilità. Risponde all’urgenza dell’oggi, perché pone le condizioni di una vera autonomia, che si realizzerà nel momento in cui dentro la scuola si saprà conciliare l’autonomia delle istituzioni con quella di insegnanti, genitori e studenti. Quello che deve essere disegnato oggi è quindi un nuovo sistema scolastico dall’orizzonte ampio, che permetta ai diversi soggetti di sviluppare fino in fondo il loro tentativo, tenuto conto che la scuola è un contesto di ricerca continua e da un certo punto di vista di continua novità. Infatti l’insegnante più «inadatto» è quello che si ferma al giorno prima e fa del precostituito il suo modello di riferimento, mentre quello più «adatto» è quello che certo ha una tradizione, certo ha una cultura disciplinare e didattico-pedagogica ben formata, ma nello stesso tempo ha la disponibilità a inventare ogni giorno scuola, in quanto le domande e le urgenze dei suoi studenti lo portano sempre su strade mai prima intraprese. Il far scuola porta con sé l’affascinante dinamica del rapporto tra passato e presente, una dinamica che non sopprime mai uno dei due elementi e che per questo apre al futuro, un futuro che è fatto dal volto dei propri studenti che passano dalla noia e dalla saturazione alla scoperta del proprio io e della realtà. Un sistema scolastico deve avere l’ampiezza di questa avventura, per questo deve essere fatto dai soggetti umani e non dalle ordinanze, né dalle direttive, anche se queste sono necessarie sia a indicare gli obiettivi che l’iniziativa dei soggetti deve perseguire sia a garantire l’azione e i diritti dei diversi soggetti del mondo scolastico. 68 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E QUALI CONDIZIONI? Le condizioni fondamentali perché la scuola non diventi un luogo di esecuzione di direttive e di precetti ma sia lo spazio dinamico di un’avventura sono da ricercare tra quelle che possono favorire che adulti (insegnanti e genitori) e giovani divengano i protagonisti del far scuola. In riferimento specifico agli insegnanti si tratta: a) da una parte, di condizioni di libertà, così che il far scuola possa diventare un’impresa didattico-educativa; b) dall’altra, di responsabilità umana e professionale di fronte al compito cui le domande educative, culturali, esistenziali, sociali dei giovani urgono. In questa direzione, fissati gli obiettivi fondamentali e gli standard di riferimento, il sistema scolastico dovrà: a) garantire e promuovere la libertà degli insegnanti, singoli e associati, di perseguire gli obiettivi generali e disciplinari della scuola; b) garantire la pluralità di percorsi didattico-educativi e la diversità di esperienze nell’ambito dei diversi contesti scolastici; c) fornire tutti gli strumenti affinché i diversi percorsi possano realizzarsi. A queste condizioni di libertà dovrà corrispondere: a) la responsabilità professionale di ciascun insegnante nell’assumere le domande e le esigenze degli studenti nell’impostazione e nella realizzazione del proprio lavoro; b) la responsabilità sia delle scuole che degli insegnanti di esplicitare il punto di vista e le ragioni che stanno alla base del proprio percorso didattico-educativo; c) la messa in atto di una pratica di dialogo e di confronto che faccia del contesto scolastico un ambito che si arricchisce dei diversi punti di vista. Date queste condizioni e precisate le diverse responsabilità il contesto scolastico potrà diventare uno spazio in cui diversi punti di vista in relazione tra loro svolgano ogni giorno il compito più difficile e affascinante della vita, quello di dare ai giovani la possibilità di orientarsi sia su se stessi che sulla realtà, così da essere liberati nelle loro energie critiche e costruttive. Perché, e questo lo si deve ricordare sempre, lo scopo della scuola è che i giovani, tutti i giovani, abbiano un futuro reale. LE SFIDE EDUCATIVO-CULTURALI PRESENTI NELLA SCUOLA OGGI Un futuro reale lo si potrà quindi assicurare prendendo in considerazione e a g e ndo sulla situazione attuale degli insegnanti che è caratterizzata dal fatto di troPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 69 varsi quotidianamente di fronte alle domande educative e culturali sempre più urgenti. Fattore educativo I giovani oggi sono meno ideologizzati e più sensibili alla domanda di senso, di felicità e di valore della vita, ma sono come paralizzati sia nel cercare una risposta sia nel verificare un’ipotesi per una condizione diffusa caratterizzata da: – incertezza e fragilità; – solitudine; – una concezione dominante che riduce la vita a un insieme di reazioni emotive e a un controllo della situazione che si basa sul calcolo. Dentro questa condizione, che scaturisce da un percorso familiare e scolastico e quindi mette in discussione fin dai primi anni il rapporto tra i bambini e gli adulti, la giovinezza è sempre più il luogo di una contraddizione tra una tensione positiva al futuro e una fragilità. Questo acuisce il bisogno educativo, cioè la domanda di una consistenza in forza della quale affrontare la realtà. Il bisogno educativo oggi è identificabile in: – una domanda di senso, o, con un termine più vicino alla sensibilità dei giovani, in una domanda di felicità piena e non riducibile alla soddisfazione piacevole di qualche emozione, che poi di fatto lascia dentro un grande vuoto; – una domanda di amicizia, da intendersi come il bisogno di legami in cui si è trattati come persone, uscendo da un modo strumentale e calcolatore di vivere i rapporto umani. Insegnare è svolgere una professionalità con regole e metodi specifici, ma porta dentro la dimensione educativa, in quanto ogni lezione è entrare in rapporto con il bisogno di senso e di amicizia degli studenti che vi partecipano. Fattore culturale La domanda culturale dei giovani d’oggi si pone a due livelli: – innanzitutto è una domanda di strumenti per affrontare la realtà (in questo senso è sia una domanda di istruzione che di formazione); – in secondo luogo è l’esigenza di diventare critici (infatti è evidente che la noia della scuola è là dove non si coinvolge lo studente nel contenuto e nel metodo dell’insegnamento). Quale insegnante? Sia il fattore educativo che quello culturale della domanda giovanile mettono in evidenza che l’urgenza prima della scuola è che vi sia un insegnante capace di starvi di 70 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E fronte. Si può dire che gli studenti di oggi hanno sempre più bisogno di qualcuno che abbracci la complessità delle loro domande e nel farlo metta in campo quel fattore umano senza il quale non esiste una vera professionalità docente. La burocratizzazione della professione docente e un imperante didatticismo hanno invece creato un tipo di insegnante che, anche laddove svolge bene il suo lavoro, fa fatica sia a entrare in rapporto con la domanda di senso sia ad aiutare i giovani a ritrovare l’energia per un impegno ideale con la vita e la cultura. Per questo, la questione seria dell’insegnante oggi si gioca, prima ancora che sul che cosa insegna e sul come lo insegna, sul perché lo insegna. Questi tre elementi (il perché, il che cosa, il come), vissuti insieme, costituiscono un insegnante capace di reggere la sfida dei giovani oggi. Il sapere è condizione di ogni insegnamento. Si può insegnare, infatti, soltanto ciò che si sa. Sapere, tuttavia, non significa anche di per se stesso saper insegnare. Sapere che cosa insegnare non vuol dire sapere anche perché insegnarlo proprio ora, e non dopo o prima, e come insegnarlo a questo allievo, con queste caratteristiche, piuttosto che a quello. Occorre una specifica preparazione a questo scopo, correlata all’orizzonte di senso da attribuire all’educazione (filosofia dell’educazione, pedagogia generale, filosofia morale, ecc.), alle condizioni (logistiche, relazionali, sociali, storiche, tecnologiche, ecc.) in cui si svolge l’insegnamento e ai fattori (neurofisiologici, psicologici, sociologici, ecc.) dell’apprendimento. Sapere, tuttavia, che cosa insegnare, perché e come non è ancora sufficiente per poter insegnare davvero: serve anche confrontarsi direttamente con questa esperienza e dimostrare di affrontarla in situazione con la sagacia, la prudenza e la saggezza necessarie. Bisogna, quindi, imparare a fare i conti critici con l’esperienza di insegnamento altrui (confronto con i modelli, con i «maestri» della professione) e, nondimeno, con una propria diretta esperienza di insegnamento). Un insegnante che nella scuola di oggi già c’è Questo tipo di insegnante oggi nella scuola italiana esiste; non è una dottrina pedagogica, ma è l’insegnante che vive il compito dell’istruire all’interno di un orizzonte educativo, che sa guardare in faccia i suoi studenti, che sa appassionarli, che non li perde, che libera le loro energie potenziali. Occorre partire da questa positività, che ha la sua origine non in una tecnica, ma in un fattore umano, il quale non si può prescrivere, ma si può constatare e lo si vede in azione là dove c’è un insegnante che insegnando una disciplina lo fa stando davanti a delle persone e interpellandole in quanto tali. Formazione iniziale e in servizio La formazione iniziale e in servizio deve riguardare i contenuti dell’insegnamento, le metodologie, ma ha anche una questione di motivazioni e di impegno ideale che non deve essere sottovalutato. Questo implica che la formazione dei nuovi insegnanti abbia nella scuola il suo perno, sia nella scuola come istituzione autonoma sia nelle associazioni professionali che operano al suo interno. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 71 La centralità della scuola nella formazione iniziale è avvalorata anche dal fatto che ci si forma come insegnanti soprattutto quando si impara da un insegnante appassionato e competente nel suo lavoro. Una buona preparazione universitaria è necessaria, ma non sufficiente per fare di un giovane che conosce sia la disciplina che le nuove metodologie didattico-educative un buon insegnante. Questo porta a sottolineare tre aspetti centrali nella formazione iniziale: – una preparazione universitaria di alto profilo disciplinare; – il valore della scuola (scuola dell’autonomia, associazioni professionali) nell’abilitare alla docenza; – la possibilità per il nuovo insegnante di scegliere presso chi svolgere il tirocinio professionale. Per quanto riguarda la formazione in servizio essa deve rispettare la stessa metodologia di quella iniziale: se quindi c’è bisogno di approfondire sempre più conoscenze e competenze, deve anche essere favorito il metodo dell’imparare dall’esperienza di chi vive l’insegnamento. Si tratta allora di instaurare un costume nuovo, quello dell’imparare reciproco, che ha nella libertà il suo fondamento (libertà di ogni insegnante di imparare da chi lui stesso sceglie) e nell’associazionismo professionale un punto di riferimento significativo. LA PROFESSIONE DOCENTE NELLA SCUOLA DELL’AUTONOMIA La professione docente è caratterizzata dal compito di comunicare in modo vivo il suo approccio conoscitivo e pratico al reale, sollecitando gli studenti ad aprire lo sguardo alla realtà e a utilizzare correttamente le loro capacità e le competenze adeguate per introdursi in essa. Siccome non si conosce se non attraverso un coinvolgimento, l’insegnamento ha nel rapporto educativo uno dei fattori fondamentali. Non c’è insegnamento senza coinvolgimento in un rapporto. La questione centrale della scuola, oggi, di fronte all’insegnamento non è quella di definire dei valori minimi cui ogni docente debba attenersi, ma di chiarire a chi e a che cosa un insegnante debba rispondere. L’insegnamento infatti si è degradato a causa di una pratica garantista, tanto che il problema grave di oggi è che un insegnante non risponda mai a nessuno. Dato che l’alveo di riferimento in cui la professione docente si esercita è quello costituzionale, la questione oggi aperta è quella di identificare le responsabilità di un insegnante, fatto salvo poi: a) che i metodi educativi e didattici delle risposte sono liberi e pluralistici; b) che devono essere valutati per quanto riguarda l’efficacia della risposta (cfr. problema della valutazione della qualità dell’insegnamento). Un insegnante nel suo lavoro è chiamato a rispondere: 72 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E – – – – ai bisogni di educazione e di istruzione degli studenti; alle domande delle famiglie; al compito che lo accomuna ai colleghi; alle richieste che gli vengono dal contesto in cui opera. Una nuova deontologia deve avere come orizzonte la responsabilità del docente sia di cogliere le domande che gli vengono poste sia di mettere in atto conoscenze, competenze, capacità per costruire e proporre percorsi per trovare una risposta. Una nuova deontologia è quindi fatta di professionalità, di consapevolezza dei fattori educativi, istruttivi, culturali, sociali, associativi che caratterizzano la professione, di capacità di rapporto con la persona dello studente e del genitore, di responsabilità di fronte alle loro domande, di costruzione comune e di dialogo. LA LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO Nella scuola dell’autonomia le relazioni tra insegnanti devono essere caratterizzate da una tensione a rispondere da diversi punti di vista e secondo modalità diverse al compito della scuola, quello di educare, istruire e formare. Occorre passare da forme di egualitarismo o collettivismo o democraticismo alla creazione di una convivenza dentro la scuola che abbia al centro la libertà dell’insegnante di proporre e svolgere un percorso curricolare secondo un’ipotesi esplicita con cui la famiglia può paragonarsi e che lo studente è chiamato a verificare. Si pone a tale riguardo in modo centrale la questione della libertà di insegnamento che è libertà di proporre un’ipotesi culturale-educativa in rapporto alla domanda di istruzione e di educazione delle famiglie e degli studenti, indicando le condizioni per la sua verifica. La libertà di insegnamento è sempre libertà in rapporto con un altro: in rapporto con i colleghi, in rapporto con le famiglie e in rapporto con gli studenti. Libertà di insegnamento è così libertà di rischiare in campo aperto la propria ipotesi educativa, altrimenti non è libertà, ma difesa di sé. Molto delicata è la questione della libertà di insegnamento come rapporto con gli altri insegnanti: a tale riguardo bisogna abbandonare la strada della riduzione di tutti i docenti di un consiglio di classe o di un collegio al parere della maggioranza, per creare modalità di lavoro caratterizzate dalla possibilità di espressione di tutte le identità e dal confronto critico-costruttivo tra di loro, come del resto già indicato nel Regolamento dell’autonomia, in particolare agli artt. 1.2 e 3.2. A PROPOSITO DELLE RESPONSABILITÀ DEI DOCENTI OGGI Un docente oggi, nella scuola dell’autonomia, è chiamato ad assumersi la responsabilità di: – mettere al centro della professione docente la persona dello studente, le sue esigenze di educazione, di senso e di istruzione; PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 73 – considerare il proprio compito professionale in rapporto con la responsabilità educativa dei genitori; – svolgere gli aspetti specifici della professione all’interno di un rapporto educativo con ogni studente; – utilizzando conoscenze e competenze specifiche, saper elaborare autonomamente curricoli attraverso i quali rispondere ai bisogni di istruzione e di cultura di ogni studente; – esplicitare il punto di vista interpretativo della disciplina così da garantire e sollecitare la libera verifica dello studente; – valutare ogni studente in modo chiaro ed esplicito, così che l’identificazione degli errori avvenga in un’ottica di correzione e di formazione; – collaborare alla creazione di un clima di dialogo che promuova e valorizzi la libertà di insegnamento di ogni docente; – costruire la comunità scolastica come luogo in cui persone e associazioni abbiano la libertà di esprimersi e prendere iniziative. 74 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE O S S E RVAZIONI sui CONTRIBUTI della C O M M I S S I O N E d i G I U L I A N O PI A Z Z I Dai lavori della commissione sono emersi alcuni punti condivisi: • la scuola, oggi, si trova all’interno di un profondo cambiamento che investe i settori – tutti o quasi – dell’esperienza sia individuale sia della società; • tale cambiamento genera una diffusa situazione di inquietudine, carenza di senso, smarrimento, insicurezza, disagio, soprattutto nei giovani; • questo significa che, oggi, la scuola e i docenti vengono a trovarsi in una condizione oggettiva del tutto nuova, o nuova in maniera specifica. Il loro compito, da adesso in poi, più che essere quello di insegnare, sembra diventare quello di educare. C’è un profondo cambiamento. A causa di ciò – o in relazione a ciò – il modo di essere dei ragazzi, le loro domande più o meno implicite e i loro comportamenti sembrano essere tali da rendere la vita della scuola sempre più complicata. Oggi più che mai la scuola sembra costretta ad assolvere non tanto la funzione di insegnamento quanto piuttosto quella di relazione educativa; • oggi e nel prossimo futuro sarà sempre meno possibile fare affidamento sul contributo decisivo a opera delle tradizionali agenzie di formazione educativa affinché il ragazzo possa vivere la scuola a partire da una sufficiente base di socializzazione; base che gli consentirebbe, da lì in poi, di chiedere alla scuola non tanto prestazioni educative, quanto piuttosto prestazioni per crescere come apprendimento di conoscenze. È come se il ragazzo che frequenta la scuola dovesse vivere ormai le sue esperienze e i suoi programmi a partire da un congenito deficit di socializzazione. Quasi che tutto il percorso scolastico dovesse essere svolto in assenza di alcuni pezzi basilari, indispensabili per costruirci sopra tutto il resto; • c’è un ultimo punto da considerare, e cioè: se oggi la scuola deve organizzarsi per affrontare un compito soprattutto educativo e se tale impegno è reso doveroso dal fatto che a monte della socializzazione viene a mancare un qualche cosa di indispensabile con relativa situazione di malessere diffuso. Ne consePER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 75 gue che relazione educativa vuol dire: instaurare condizioni comunicative e di rapporto con i ragazzi in modo che ognuno di loro possa crescere nella sua specificità di persona. Devo solo aggiungere una cosa e fare osservare una contraddizione. La cosa è che quel deficit di socializzazione esiste davvero. Ed è una cosa che, a mio parere, ci porta a vedere il problema ancora più in profondità. Credo, infatti, che quel deficit di socializzazione stia, in realtà, a indicare un deficit di integrazione fra struttura emotiva e crescita cognitiva. La condizione necessaria – evolutivamente necessaria – che viene a mancare è una solidarietà efficace fra bios e logos, fra corpo e mente. Se manca la terra sotto i piedi è perché quella solidarietà sta diventando friabile e, se così è, allora ho l’impressione che in questo nostro atteggiamento di riflessioni e di orientamenti progettuali ci possa essere una contraddizione nociva. La contraddizione sarebbe fra i motivi che portano la scuola a doversi assumere un compito educativo di particolare rilevanza, da un lato, e lo stesso progetto di relazione educativa mirato alla persona, dall’altro. Temo che, per educare alla persona, sia indispensabile avere come presupposto necessario la presenza attiva di quella solidarietà fra struttura emotiva e crescita cognitiva. Presupposto che, invece, sembra essere proprio ciò che manca. Può darsi che il grande cambiamento in cui oggi ci troviamo possa significare proprio questo: una crisi del rapporto solidale fra bios e logos, fra corpo e mente, fra struttura emotiva e procedure cognitive. E, forse, si tratta di una crisi endemica non più risolvibile con strategie di socializzazione analoghe a quelle che, in società meno evanescenti, riuscivano a ottenere quel risultato. Il punto è forse lì, in quella crisi del rapporto organico e funzionale fra bios e logos, che si è insinuato il guasto. Prima della persona, credo che occorra vedere che cosa si può fare lì, in quella zona nevralgica e vitale dove si impianta l’intera organizzazione dell’esperienza individuale; e non è detto che gli eventuali tentativi di ricomposizione trovino d’accordo le esigenze delle istituzioni, da un lato, e le esigenze dello stesso individuo, dall’altro. Il cambiamento, che coinvolge le istituzioni, le società e le culture, coinvolge, ovviamente, anche gli individui. Il problema è di vedere se istituzioni, società e culture, da un lato, e individui, dall’altro, si predispongono a cambiare nella stessa direzione, o quali costi si dovranno pagare per fare sì che la direzione sia la stessa. Quello che sto dicendo, lo dico perché, negli ultimi quindici anni, il lavoro da me svolto – e per come l’ho svolto – mi ha portato ad alcune, per così dire, simulazioni teoriche che, brevemente, indico qui di seguito. Oggi, la maggior parte dei parametri che regolano la nostra quotidianità sono coinvolti da un ampio e invasivo movimento di ristrutturazione che riguarda le istituzioni, la cultura, il mercato, la famiglia, la comunità, ecc. Tuttavia, a questo livello, la ristrutturazione è solo un evento di superficie. Ciò che, in realtà, sta accadendo è un cambiamento che agisce molto più in profondità e che da qui risale e si diffonde al piano delle istituzioni, del mercato, della cultura, ecc. Il vero cambiamento riguarda qualcosa che è tipico della condizione umana. Si tratta di un cambiamento che investe il rapporto tra la natura – o vita – individuale, da un lato, e la sua 76 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E organizzazione collettiva – emergente – dall’altro, fra l’esperienza individuale e l’esperienza sociale, fra individuo e comunità, fra individuo e società. Il cambiamento profondo che si sta verificando consiste, allora, nel fatto che il precedente, plurisecolare, rapporto fra i due livelli di esperienza si sta da tempo frantumando, lentamente, con forme più o meno sintomatiche. E che l’andamento sia questo sembra essere fuori discussione. Il precedente rapporto fra i due livelli di realtà ha dato esiti decisivi per la condizione umana, e può essere definito come rapporto organico. Organico vuol dire: – l’individuo che entra in questo rapporto deve essere inteso come bios, come un corpo fatto di materia vivente e non come persona, soggetto, sistema psichico, ecc.; – la comunità va, invece, capita come esperienza di livello superiore, emergente, rispetto sia al piano dell’esperienza individuale, sia al piano di ciò che è materia vivente. Deve, dunque, essere capita come esperienza trascendente-simbolica che è qualitativamente altra rispetto ai punti di cui sopra. Tuttavia, durante la filogenesi di questo rapporto, si verifica un evento davvero straordinario, che è il seguente: dentro il corpo-cervello dell’individuo avvengono processi di miscelazione fra il piano della complessità vivente e il piano della complessità simbolica, fra bios e logos, fra ciò che è natura vivente (bio-chimica), da un lato, e ciò che è cultura, trascendenza, ecc., dall’altro. Così, succede che nei circuiti bio-chimici del corpo entrano – e lì si amalgamano – non le sensazioni e i fatti empirici delle esperienze concrete, ma la loro sintesi ideale, la Gestalt astratta delle loro connessioni: sarà questa sintesi a farsi ricordo e memoria biologica, memoria del corpo. Le emozioni, i sentimenti, i pensieri che l’individuo prova nelle forme dovute alla sua identificazione culturale sono ovviamente le emozioni, i sentimenti, ecc., che lui prova ed elabora nel suo rapporto reale, materiale, con le cose, i fatti, gli altri individui, ecc.; a seguito di ciò, tuttavia, succede che, dalla concretezza di quel rapporto reale e materiale con cose, fatti, ecc., l’individuo – il corpo che lui è – ne memorizza non la concretezza, non i risvolti empirici, ma il concetto, l’Idea che ne è scaturita, le implicazioni di insieme. Il punto è che sono proprio il concetto, l’Idea, le implicazioni di insieme – e non la concretezza, la fragranza empirica delle cose – a essere poi incisi, radicati, narrati nei circuiti neuro-biochimici del corpo. Dopo tanti e lunghi aggiustamenti di azione e reazione metabolica, all’interno vitale dell’individuo, si forma appunto un’organizzazione astratta, un genotipo, una struttura di ordine capace di stagionare (dare un senso?) tutte le informazioni che l’individuo raccoglie nei suoi rapporti sia con se stesso, sia con l’esterno. Un’organizzazione astratta che determina l’essere vero del singolo corpo-cervello come una specifica realtà Olistica, un Intero, un Tutto-idea, un’Anima, un Sapere. Un Sapere il cui progetto forte è quello di ripresentarsi sempre come tale – cioè uno specifico Sapere –, in tutta la varietà delle sue forme. Dunque, ciò che oggi viene sempre più frantumato è proprio questo rapporto organico, con effetti decisivi anche per il destino del relativo Sapere. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 77 Le conseguenze importanti sono le seguenti: una divaricazione acuta fra il senso della esperienza individuale, da un lato, e il senso dell’esperienza sociale dall’altro; fra una memoria individuale, sempre più chiusa in se stessa, e una memoria sociale, sempre più in grado di fare da sola; in particolare, lo scarto si riferisce al distacco forte che avviene fra una memoria sociale sempre più orbitale e quella parte della memoria individuale che è ancora legata alla concretezza organica del corpo-mente, fra la ricorsività delle istituzioni, da un lato, e i problemi della gente, dall’altro. La divaricazione è rilevante non perché riguarda i due livelli di mondo che distinguono l’individuo da ciò che gli è fuori e che lo trascende, cioè dal sociale. È, invece, rilevante per il fatto che essa si insinua proprio all’interno dell’individuo stesso, e ha su di lui effetti critici. In realtà, questa divaricazione fra l’esperienza sociale e quella individuale significa che dentro l’individuo si attiva una crisi molto seria, tanto seria che sembra scombinare l’equilibrio ancestrale che la nostra filogenesi ha prodotto fra il corpo e la mente, fra la forma delle emozioni e la forma della ragione. È questo il punto cruciale: il problema è dentro l’individuo, riguarda ciò che lui è come bios, da un lato, è ciò che lui è come logos, dall’altro, riguarda, per così dire, la sua salute psico-fisica. La socializzazione, così come è oggi in generale, sembra non essere in grado di far evolvere, all’interno del singolo corpo-mente e nella sua crescente autonomia, un rapporto di solidarietà e miscelazione fra l’essere natura vivente, da un lato, e l’essere competenza simbolica, dall’altro, proprie dell’individuo stesso. E, dunque, non in grado di aiutare l’evoluzione del corpo-mente nella sua forma di Sapere e di crescente autonomia. È inevitabile, quindi, che la socializzazione si possa trovare in difficoltà. C’è bisogno, dunque, di fare i conti con questa crisi, magari sostituendo quel rapporto organico – dentro e fuori – con un nuovo rapporto, un rapporto che possa attenuare lo scarto fra la memoria sociale e quella individuale; e, di qui, tornare all’interno dell’individuo stesso, creando i presupposti per tentare un nuovo modo di coordinare il corpo e la mente, nuove forme per i sentimenti, le emozioni, i sentieri cognitivi. 78 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE L a RESPONSABILITÀ e la S C U O L A d i M A RC O RO S S I D O R I A DA DOVE PARTIRE Il mondo in cui era collocata la scuola nel secolo appena concluso è cambiato per sempre. Possiamo avere nostalgia per quel mondo ma sarebbe insensato volerlo ricreare. Dobbiamo pensare a come comportarci da educatori nel nostro tempo. Dobbiamo avere un’idea di scuola in mezzo a un mondo nuovo e difficile. E questa idea la si può costruire certamente in modi diversi e, tuttavia, ognuno deve riconoscere che la scuola è forse l’organizzazione sociale che ha, più di ogni altra (sì, anche più della sanità), al suo centro il fattore umano, poiché modi, strumenti e risultati dei processi che vi hanno luogo sono essenzialmente umani e relazionali. È da qui che si deve partire ben prima che da un codice. Non solo: dobbiamo saper partire dalle difficoltà che incontriamo e dalle nostre parti meno forti. È indispensabile invertire l’ordine del ragionamento sulla responsabilità educativa e collocare al centro della riflessione la relazione educativa così come essa vive nella scuola, tra slanci e crescenti difficoltà. NUOVE SFIDE La scuola pubblica italiana, che, nel corso della sua storia, è stata, forse, il più potente fattore di promozione sociale che l’Italia abbia conosciuto, aveva intorno, fino a qualche lustro fa, una società stabile e ordinata secondo valori e modi educativi radicati. Oggi è chiamata a nuove sfide. Ogni giorno, in ogni angolo del Paese, si chiede ai docenti della scuola pubblica di sostenere un oneroso carico di lavoro per supplire ad alcune secche perdite di orizzonti educativi della società. Abbiamo perso cose che l’umanità ha costruito e conservato per millenni, comuni a tutte le società umane, cose che davano senso stesso all’accompagnamento e guida alla crescita delle nuove generazioni e che non riusciamo a sostituire. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 79 Le comunità non esercitano più la sapiente ripetizione di alcune certezze che accompagnano la crescita: stabilità delle figure adulte di riferimento, giochi che si ripetono e si trasmettono di generazione in generazione, riti di passaggio e di iniziazione graduati per età e un percorso di prove protette eppure vere di vita e di sfide nel mezzo dell’infanzia e dell’adolescenza, le liturgie prese seriamente e condivise dalla comunità e dal gruppo dei pari di età, i tanti gesti replicati secondo ritmi rallentati lungo le giornate, le settimane, i mesi, le festività e l’ascolto di storie e memorie raccontate, la vita simbolicamente segnata lungo il tempo circolare fatto di molte ripetizioni rassicuranti e da parte di persone di diversa generazione con cui gli incontri dei bambini e dei ragazzi erano cosa stabilita e accettata da tutti e marcata dalla costanza. Sono cose che strutturavano la persona, davano a ognuno identità e posto al mondo e contribuivano a creare uno spazio interno sufficientemente largo per potere contenere le speranze e le pene. Il naturale narcisismo di ogni persona in crescita trovava un limite codificato che permetteva di misurare sogni e ambizioni con richieste espresse in modo relativamente chiaro dal mondo adulto e queste richieste aiutavano a costituire, attraverso un percorso riconosciuto socialmente, la regola interna di ognuno entro il campo che prevedeva prova e riprova, trasgressione, adeguamento e negoziazione ma entro una cornice di relativa certezza. Oggi tutto questo è fortemente indebolito e traspare, soprattutto in adolescenza, una spinta caotica alla competizione smisurata in risposta al ripetersi di una richiesta di prestazione individuale e di successo tendenti all’assoluto e quantificabili subito e spesso in termini direttamente economici, espressi in denaro. Il narcisismo naturale è sempre meno definito da limiti. Anzi, vengono costantemente suggerite attese senza limiti e viene sminuito lo spazio e il tempo dedicati alla costruzione del sé ma, contemporaneamente, il mondo mostra tutto intorno limiti terribili quali l’aids, le guerre, la mancanza di lavoro, ecc. La costruzione del sé attraverso un rinforzo realistico è un processo oggi più difficile. Aumentano le tensioni o verso l’onnipotente irraggiungibile o, al contrario, in modo speculare, verso la rinuncia e lo stato di attesa, spesso depressiva. Appare, insomma, molto più complicata di un tempo, per i nostri ragazzi/e, la costruzione di identità attraverso la progressiva e guidata trasformazione del narcisismo in realistici progetti di vita. Le aule e i corridoi delle nostre scuole, le palestre sportive e tutti i luoghi dove i ragazzi vivono e apprendono sono segnati da questa chiara fatica di crescere e nel crescere. È anche di fronte a questo che ci troviamo noi docenti. Tanto è vero che ci troviamo ogni giorno davanti alle sempre più diffuse ed estreme sofferenze che tutto questo ingenera: bullismo, anoressia, diffusione di droghe sono ovunque in aumento e vivono nella scuola come punte di una curva gaussiana che ha una base di disagio larghissima. Il vuoto dovuto alla perdita di cornici educative certe si accompagna, tuttavia, a grandi conquiste nei diritti e nelle possibilità per le nuove generazioni. E il governo delle molte nuove possibilità, dei diritti e dei saperi sempre più estesi e articolati ma anche delle perdite di orizzonti pesano sulla scuola entro un intreccio molto complesso, che suggerisce – a chi a scuola insegna ed educa – nuove e 80 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ricchissime prospettive e, insieme, sentimenti di incertezza, paura, inadeguatezza, isolamento che inducono a cautele, dubbio, senso di impotenza. Orientarsi è davvero difficile. La questione del come guidare le giovani generazioni è una delle decisive questioni che disegnano oggi il disagio della civiltà ed è questione che riguarda, da tempo, il mondo intero e segnatamente tutte le società sviluppate ma, nel nostro Paese, è relativamente recente. Per quanto ci si rivolga alla famiglia, alle comunità religiose, all’esperienza sportiva, ecc., la principale richiesta di tenuta del campo educativo complessivo viene rivolta alla scuola pubblica e ai suoi docenti. E la scuola pubblica è certamente il luogo dove le generazioni si incontrano con maggiore continuità e regolarità e questo fa sì che noi docenti stiamo diventando quasi dei referenti sostitutivi di ogni referenza. Noi docenti siamo, dunque, davanti a una grande responsabilità collettiva: non possiamo voltarci dall’altra parte dinanzi al ripetersi, in mille e mille forme, della richiesta pressante della presenza di una sponda adulta ben più ampia di quella rappresentata da una buona o da un buon insegnante di un tempo; e dobbiamo ogni giorno ricreare un clima educativo dai compiti molto larghi, articolatissimi, dai contorni non semplicemente definibili e non definibili una volta per tutte. Contemporaneamente ci misuriamo con un orizzonte di sapere rapidamente in crescita e con un’enorme estensione delle opportunità e dei diritti: – la città, la nazione, l’Unione Europea, il mondo sono luoghi percorribili per apprendere quasi per ogni nostro ragazzo; – le mani e la mente, il pensiero e la produzione sono nuovamente ravvicinati in tutti i processi di apprendimento; – il tempo per apprendere non è più ristretto a una sola stagione della vita. TENUTA DEL CAMPO EDUCATIVO OGGI La protezione autoreferenziale di una scuola dai compiti forse ben enucleati e delimitati in astratto ma non rispondenti alla relazione educativa chiesta dalle persone in crescita e dal nostro tempo, la difesa della categoria così come era quando i ragazzi eravamo noi e il tentativo di restringere gli ambiti della responsabilità educativa alla funzione docente intesa solo tradizionalmente – e spesso in modo impiegatizio – non possono arginare a lungo la sfida che viene dalle cose negando il mutamento avvenuto ed eludendo la domanda grande e vera che comunque si esprime. Il campo delle responsabilità educative farà davvero fatica a riflettersi adeguatamente in un codice deontologico. Né appare adeguata la soluzione della sola protesta che, di governo in governo, una parte dei docenti sceglie per dare parola alle difficoltà. E tutto questo è ancor più vero dinanzi ai terribili eventi planetari che mostrano un tempo assai più incerto di quello vissuto dalle ultime generazioni, in cui guidare e orientare implica ulteriori e ancor più ampie responsabilità. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 81 Viene alla mente una frase di Hannah Arendt a proposito dell’educare e dei doveri che comporta: Gli educatori rappresentano di fronte al giovane un mondo del quale devono dichiararsi responsabili anche se non l’hanno fatto loro e anche se lo desiderano diverso. Questa responsabilità è implicita nel fatto che gli adulti introducono i giovani in un mondo che cambia di continuo. L’insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto di quel mondo si assume la responsabilità. È UTILE GUARDARE DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI DALLA SCUOLA Il vertice, da cui guardo, da anni, alle cose della scuola e dell’educazione è – per il lavoro che faccio come «maestro di strada» e progettista e coordinatore pedagogico di una prova di scuola della seconda opportunità denominata Chance – quello delle giovani persone in crescita escluse dalla scuola che in Italia rappresentano un terribile, doloroso e quotidiano scandalo nazionale perché si tratta di quasi centomila (!!!) ragazzi e ragazze, con voci, nomi e storia, che, prima dei quindici anni, sono fuori da ogni educazione e formazione. Lo so: il nostro è un punto di vista parziale. È il punto di osservazione che parte da una relazione educativa faticosa perché ben poco protetta, influenzata prepotentemente dalla relazione quotidiana con chi è fuori dal cerchio protetto della nostra società, una condizione professionale che è fatta di cose molto dure e complicate e di un impegno oneroso per i docenti che la sostengono ma anche, necessariamente, di un linguaggio molto diretto. In ogni caso, è forse anche bene ricordare che il punto di osservazione che guarda alla scuola dal lato di chi ne è escluso è qualcosa di fortemente vitale per tutta la scuola perché, seppure nato da una parte, non dà una visuale stretta ma, invece, contribuisce a una visione globale, davvero molto larga. Tale punto di osservazione, infatti, per un verso, vuole rendere effettivamente godibili un insieme di diritti non goduti eppure sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia che il nostro Parlamento ha reso legge dello Stato con voto unanime (legge 27/5/1991 n. 179) e che, dunque, li ratifica e recepisce pienamente nel nostro ordinamento e li indica quale grande cornice culturale e di diritto a cui tutti gli insegnanti devono e possono richiamarsi nonché dalla Costituzione e da molte leggi tese a promuovere l’inclusione sociale e le opportunità formative. Per altro verso, tale punto di osservazione mette inevitabilmente in discussione l’intero castello dell’istruzione italiana. Non solo nel senso che segnala le criticità dell’intero suo impianto ma anche nel senso che suggerisce strade nuove, cure, soluzioni. Come la malattia insegna molto sul funzionamento del corpo sano, la lotta attiva, concreta al fallimento formativo ci dice qualcosa di generale sul come fare scuola. E, del resto, chiunque ne sappia un po’ di storia della pedagogia sa riconoscere che spesso è stata la scuola estrema a scoprire cose per tutta la scuola. La pedagogia che faticosamente pratichiamo a Chance – così come in tante e tante altre 82 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E esperienze dello stesso tipo – credo che possa segnalare, con molta forza, cose importanti sul profilo professionale dei docenti impegnati per una scuola che educhi in generale, ma insegna soprattutto, ancora una volta, che la relazione educativa è il centro della scuola che funziona. I nomi, le persone, i visi, i gesti, le storie sono le cose che per noi contano. Non dimentichiamo mai che la scuola è soprattutto per le giovani persone che vanno a scuola. LE SCUOLE COME COMUNITÀ DI PRATICHE Ed è, al contempo, quello che viene principalmente da una comunità di pratiche educative. Infatti, nella mia esperienza ma – credo – in quella di ognuno che fa scuola per bene, il senso, la forza della vita professionale esiste certamente in relazione al senso di responsabilità individuale rispetto al compito di educare ma prioritariamente e soprattutto in relazione alla comune impresa educativa, alla sua valenza sociale, costruita giorno per giorno insieme ad altri educatori, appunto, in modo altamente artigianale. Quello che impariamo ogni giorno dalla relazione educativa con i ragazzi e le ragazze e, poi, gli uni dagli altri – tra noi docenti, con i nostri dirigenti scolastici, con gli operatori sociali, con gli psicologi che fanno da sostegno al nostro lavoro di cura e relazione e con le altre figure di formatori con cui lavoriamo gomito a gomito – rappresenta il sangue e i nervi della nostra azione: il nostro sapere professionale deriva e ha senso in questa fatica che è, insieme, per ciascuno di noi, educare e apprendere a nostra volta. E non credo di sbagliare se affermo che così è in qualsiasi ambiente educativo che funziona. In questa fatica del lavoro educativo l’io di ciascun educatore trova e ritrova senso e identità nel lavoro comune e nel confronto con i ragazzi stessi e con la loro fatica di crescere e con gli altri educatori poiché, per sua natura, la relazione educativa che sta alla base del nostro operare è dialogica, basata sul reciproco riconoscimento, sul rispetto da conquistare sul campo aperto delle relazioni, sull’andare verso… LA FATICA DELL’INCERTEZZA E DELLA DIFFICILE COSTRUZIONE DELL’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ C’è, in tutto questo – credo – materiale davvero interessante per una riflessione deontologica – una riflessione che riprenda il termine deontology a partire dal fondatore Jeremy Bentham: una volta stabilito un nesso tra l’utile e il bene è possibile e necessario discutere nel merito e dell’utile e del bene. In campo educativo questa prospettiva riporta tutto, inevitabilmente, non già a una serie di precetti fissati una volta per sempre, fondati su una scienza normativa, quale quella di un «ente che sia perfetto», come suggeriva Rosmini, bensì a un comportamento, da scoprire e ri-inventare ogni volta, che vada verso la difficile ricomposizione del conflitto tra interesse individuale e collettivo e verso la costruzione di identità individuale e collettiva, un comportamento in cui la forza della presa in caPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 83 rico adulta si deve misurare, ogni volta e ogni giorno, con la difficoltà del compito educativo di fronte al quale ci si trova. È un compito per il quale un’intera comunità di pratiche deve saper utilizzare, in modo integrato: – – – – competenze disciplinari aggiornate; costanza della mediazione comunicativa e culturale gestita in molte direzioni; competenze psico-pedagogiche e relazionali; competenze organizzative e di costruzione di impresa pedagogica attenta a processi e prodotti. È entro questo moto complesso – e non a partire da un insieme di precetti fermi – che l’educatore, nel concreto della sua azione a scuola, deve e può trovare il tempo, la curiosità etica, l’ambizione fattiva, l’intelligenza di darsi delle regole. È quanto meno discutibile, dunque, che il lavoro di un gruppo sulla deontologia a scuola si possa concentrare prioritariamente intorno a temi giuridici, possa indagare soprattutto su come costruire norma in modo stabile, lasciando, così, sullo sfondo la relazione educativa per come essa si manifesta, nei fatti, entro il lavoro vivo del fare scuola. Tutta la materia richiama, invece, un’opera aperta, incerta, ogni volta arrischiata e un’opera creata a più mani. Trovare un codice che fermi questa ben più ampia opera mi sembra un compito irrealizzabile e anche una riduzione, falsamente rassicurante, del mestiere di educare. Per chi sta in mezzo al lavoro educativo appare qualcosa che serva per lenire il senso di difficoltà e buona per salvarsi l’anima, non per rimboccarsi le maniche. Ma, dunque, qualcosa va detto anche sull’inevitabile incertezza che questo mestiere porta con sé e che l’educatore deve poter sostenere. Del resto, è del governo dell’incertezza che parla ogni pedagogia sapiente. Un nome per questo governo l’ha, forse, trovato, involontariamente, un sociologo, Giovan Francesco Lanzara, in un bel libro sulla competenza progettuale e i modelli di intervento nelle organizzazioni, libro che ben si può piegare al tema decisivo, per la deontologia educativa, del progettare scuola da parte del personale della scuola. Il libro ci parla della capacità di pensare e agire attraverso contesti, di saper usare le conoscenze per come queste sono, nei fatti, incorporati nell’azione, del potenziale «generativo di senso» che l’azione porta con sé. Sono le persone in azione – nel nostro caso i docenti, gli educatori – che rivelano come questa qualità generativa sappia indicare una dote speciale, una competenza grande in chi ne fa uso. Questa dote – dice Lanzara – il poeta John Keats l’ha definita Negative Capability: …quando l’uomo è capace di stare nelle incertezze, nei misteri, nei dubbi senza essere impaziente di pervenire subito a fatti e a ragioni. Penso che dobbiamo riconoscere – nell’arte di pensare e fare scuola – questa dote, questa capacità. È straordinaria la corrispondenza che questa capacità ha con una serie di life skills – le abilità per la vita – che l’Organizzazione Mondiale della Sani84 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E tà, l’Unicef e l’Unesco considerano obiettivi dell’educazione per tutti i ragazzi e le ragazze del pianeta, in ogni contesto culturale. Ed è parimenti straordinaria la corrispondenza tra questa capacità di «stare nel vivo del contesto eppure scegliere, guidare, prendere posizione pur nelle incertezze» e le competenze che – da tempo e da più parti – la letteratura individua come decisive per la costruzione di una nuova cittadinanza. In un libro di Richard Sennett del 1966 – Uses of Disorder: Personal Identity and City Life, si dice: Il primo segreto di una «buona città» sta nell’offrire alla gente la possibilità di assumersi la responsabilità dei propri atti in una «società storicamente imprevedibile», e non in un «mondo di sogno, di armonia e di ordine prestabiliti». […] Possono affrontare le loro responsabilità solo coloro che sono divenuti maestri nell’arte difficile di agire in un quadro di ambivalenze e incertezze, nate dalla diversità e dalla varietà. Sono persone moralmente mature quegli esseri umani che crescono «avendo bisogno dell’ignoto, sentendosi non completi senza una certa anarchia nella propria vita» – coloro che imparano ad «amare ‘l’altro’ che è tra di essi». Questa corrispondenza tra arte del pensare la scuola e fare scuola e quella di imparare a essere cittadini nel mezzo dell’incertezza ci dice che docenti, educatori, ragazzi e cittadini tutti possano vivere in una polis in cui il dovere va strenuamente cercato ma entro la complessità del contesto, in modo aperto e senza illudersi che l’etica della responsabilità possa essere prioritariamente determinata e stabilita dalla parola scritta. UN MODELLO FONDATO SU PATTI FEDERATIVI E PER CONCORDE ADESIONE Sarebbe oggi utile, invece, pensare a un sistema di patti più leggeri ma non per questo meno impegnativi, a un esercizio condiviso e costante di costruzione progressiva della responsabilità nella scuola. Sempre le Nazioni Unite ci indicano nei percorsi di empowerment le metodiche atte alla graduale assunzione di responsabilità crescenti da parte di gruppi di educatori e operatori: sono percorsi che si fondano sul potenziamento delle risorse umane, sulla crescita dei gruppi in azione. La scuola pubblica potrebbe agire anziché per codici, per spore, attraverso la diffusione di buone pratiche il cui innesto entro il corpo della scuola dovrebbe essere favorito grazie a un’intelaiatura di supporto, uno scaffolding di sostegno che ne curi la ricettività, replicabilità e modellizzazione entro nuovi contesti. Del resto va anche e finalmente riconosciuto che quel che di più vivo e ricco vi è stato e che è in azione oggi nella scuola italiana è partito da gruppi di docenti che hanno saputo assumere in proprio un ruolo competente e responsabile, costruendo le esperienze pedagogiche migliori che abbiamo e dedicandosi a una loro accorta manutenzione nel tempo. Le esperienze che funzionano rappresentano altrettanti percorsi che, comunque ispirati, sono sempre partiti per libera scelta e non grazie a un codice: così è, nel piccolo e nel grande, nelle scuole d’Italia. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 85 Sebbene siamo – credo – tutti coscienti di vivere entro una società in cui è debole la cultura che presta attenzione ai risultati, sarebbe, tuttavia, opportuno concentrare la riflessione teorica e anche organizzativa sul come diffondere invece che sul come dovrebbe essere. Peraltro non è questo l’approccio della migliore cultura imprenditoriale, quella che sostiene e premia la dimensione, appunto, dell’intraprendere e del rinnovare rispetto alla statica dello stabilire? Vengono alla mente i versi di Kuan Tzu che, forse, ci dicono qualcosa, insieme, sull’insegnare e sul processo di costruzione di responsabilità: Se date un pesce a un uomo farà un solo pasto, se gli insegnate a pescare, mangerà per tutta la vita. In ogni caso, non è facile immaginare uno Stato liberale e fondato sul consenso che abbia la scuola retta da docenti che seguono un codice fisso, magari stabilito altrove rispetto a dove essi operano e assumono responsabilità concrete. E non è facile immaginare un codice che, a sua volta, per poter funzionare, abbia bisogno di contemplare una casistica sterminata di eventi e circostanze e che, a ogni accadimento della vita educativa, rischi di essere smentito e di perdere la stessa autorevolezza su cui pretenderebbe di fondarsi. In una «società storicamente imprevedibile», in un Paese che, per profonde ragioni culturali e circostanze storiche ha una manque di senso diffuso della responsabilità civile e che soffre della malattia della superfetazione di leggi e dispositivi normativi, così spesso ritualmente disattesi, è più saggio rivolgere lo sguardo alla cultura del patto informale tra cittadini. Bisogna accettare il rischio della costruzione progressiva di responsabilità, che possa partire su principi di civiltà che sappiano fondarsi innanzitutto sulla legge non scritta, sull’accordo informale ma forte tra chi vive insieme gli spazi educativi della scuola e della città: patto tra educatori, patti educativi pensati dai ragazzi, grazie al lavoro educativo della scuola e delle famiglie, che possano determinarsi progressivamente attraverso la faticosa costruzione dei progetti di vita di ciascuno, patti di cittadinanza legati alle comunità educative, al quartiere, alla città, in un evidente rimando tra forme organizzative e saperi. È a questi patti costruiti nel vivo delle relazioni, fondati sul principio della concorde adesione, che, poi, si deve dare voce scritta, ma in modo non definitivo né chiuso né valido sempre e ovunque. È probabile che a rafforzare questi percorsi, impegnativi ma aperti, di costruzione della responsabilità educativa possano venire – come già accade – i contributi delle associazioni dei docenti, le riflessioni dei gruppi più avvertiti e, soprattutto, un auspicabile moltiplicarsi di intese interistituzionali tra i diversi attori della scuola dell’autonomia e, insieme, del federalismo a cui vengono oggi riconosciute sempre più ampie competenze in campo educativo: consorzi tra scuole e tra scuole e altre agenzie educative, Comuni, Province, Regioni. Nel nostro Paese è già possibile creare reti di responsabilità educativa che vadano ben oltre un’idea di processo di apprendimento chiuso entro ogni distinta scuola, ogni distinta classe. Vi sono centinaia di esempi che si muovono in tale direzione. 86 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Da questo punto di vista il possibile modello italiano – una volta scartata la via angusta dell’ordine professionale che risponde a un codice – non è nemmeno quello più arioso dei General councils britannici ma forse, appunto, quello di un moltiplicarsi di patti educativi capaci, col tempo, di integrarsi ed espandere l’assunzione responsabile di regole per concorde adesione. Una cosa è certa: non si può dire a parole «federalismo» e, contemporaneamente, aspirare a un unico, centralistico regolatore educativo. LA SFIDA DELLA LIBERTÀ Si può certamente storcere il naso, essere scettici circa la realizzabilità di una simile prospettiva e dunque di un comportamento degli insegnanti che se ne sappia fare carico. Ma è tempo anche di domandarsi: l’alternativa qual è? Ci sono dei passaggi cruciali nella vita delle grandi istituzioni, come in quella delle persone. Oggi la scuola italiana è a uno di questi passaggi e lo è il fare scuola di centinaia di migliaia di docenti posti davanti al nuovo. C’è una ragione che dovrebbe comunque spingerci oltre: così come stiamo – legati a un’idea di scuola basata sul singolo docente della sua materia, spesso congelata a un momento determinato dello sviluppo dei fondamenti che la costituiscono – una scuola ferma nello spazio e nel tempo – non riusciamo a rispondere a nessuna delle sfide che vediamo davanti. Ma c’è anche una grande ragione in positivo, una motivazione forte per cambiare: produrre un nuovo, autentico contesto di significato per i docenti e gli studenti poiché non si può più difendere e conservare ancora a lungo un tipo di istruzione obsoleta, autoreferenziale, insensata. Questo possibile nuovo contesto non è solo per gli studenti, è anche per i docenti che devono poter vivere la scuola come un contesto «salvo» di ripensamento di pezzi di cultura, di incontro tra generazioni e di misura anche del proprio essere persone e cittadini, in una dimensione più ecologica del fare scuola, in cui rinasca lo spazio della soddisfazione per le imprese compiute insieme e del piacere di fare bene. Perché ciò sia deve poter essere fortemente presente un selettore fondamentale: la libertà. Infatti la responsabilità ha senso e peso solo se c’è libertà di ideazione, assunzione di compito, proposta e progettazione, azione nel tempo e nello spazio, gestione organizzativa e finanziaria, manutenzione. È possibile che la scuola costituisca un luogo per le nuove generazioni di ampliare il potere di agire nel mondo e anche con se stessi solo se ciò avviene anche per i docenti che, nel rinnovare il proprio ruolo, possono acquisire nuova dignità nella società. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 87 ANNALI DELL’ISTRUZIONE RIFLESSIONI CONCLUSIVE s u l CODICE DEONTOLOGICO d i M AU R I Z I O S A LV I A chiusura dei lavori della commissione nominata dal ministro Moratti nel novembre 2001, sento il dovere di esprimere un apprezzamento positivo dell’esperienza fatta, nel suo insieme, nell’intento di «definire i criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di vedere tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico». Malgrado la mia posizione di unico genitore presente nella commissione, devo riconoscere l’accoglienza cordiale ricevuta e l’instaurazione di un proficuo dialogo durante i lavori. Nella sottocommissione prescelta ho avuto modo di dare il mio contributo attraverso la ricerca di documentazione riguardante le esperienze in atto negli altri Paesi europei in fatto di codici deontologici. Ho potuto più volte esprimere il mio parere di genitore insistendo soprattutto sulla necessità di una forte collaborazione tra genitori e docenti. Sono sempre convinto che, se vogliamo cambiare in meglio la qualità del servizio scolastico, è determinante il «clima» creato in un rapporto tra scuola e famiglia, tra docenti e genitori. Un percorso che deve essere fatto insieme, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto dell’educare. La commissione, durante il suo lavoro, ha evidenziato l’urgenza di un codice deontologico per il personale della scuola, diventata necessaria con l’avvento dell’autonomia delle scuole e della nuova regolamentazione dei compiti dei docenti. I docenti, infatti, si ritrovano responsabili del processo formativo delle loro scuole, diventando creatori di curricoli e gestori dei processi formativi dei propri alunni. Le relazioni finali, sia quella del presidente della commissione, avv. Plinio Sacchetto, che quella presentata da parte di un gruppo ristretto incaricato alla stesura di un resoconto dei lavori fatti, vogliono solo essere una traccia per aprire un dibattito atto alla realizzazione, in futuro, di un concreto e articolato codice deontologico. Da parte mia, pur esprimendo condivisione e apprezzamento per queste conclusioni, sento doveroso evidenziare alcuni punti che ritengo di scarsa comprensione e che richiedono chiarimenti e approfondimenti. Condivido pienamente il riferimento al testo presentato dall’Unesco, a Parigi, nel 1966, in cui la professionalità docente è descritta come fatta da competenze 88 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E specifiche, responsabilità collettiva e individuale verso gli alunni, codici etici scritti e gestiti dagli stessi insegnanti, come del resto condivido che le caratteristiche della funzione docente siano l’integrità, la neutralità, l’imparzialità, l’accoglienza verso gli alunni e le loro famiglie. Sono senz’altro d’accordo sulla necessità di aggiornare i meccanismi della formazione iniziale e le modalità di reclutamento e di valutazione del servizio svolto dal personale docente. Mi permetto invece delle osservazioni soprattutto su alcuni punti che considero critici nei capitoli che riguardano lo stato giuridico degli insegnanti, la funzione docente e la proposta riguardante gli organi d’autogoverno, con particolare riferimento al Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e agli organi collegiali territoriali. STATO GIURIDICO DEGLI INSEGNANTI Nel capitolo «Stato giuridico degli insegnanti» trovo scritto: «la tutela costituzionale sia della libertà d’insegnamento sia del diritto all’educazione e all’istruzione, rendono alcuni degli aspetti fondamentali della funzione docente non assoggettabili alla contrattazione fra le parti». Non ritengo opportuno mettere sullo stesso piano la tutela costituzionale della libertà d’insegnamento sancita dall’art. 33 e la tutela costituzionale del «diritto all’educazione e all’istruzione», sancita dagli artt. 2 e 30. La loro diversità necessita di una precisa distinzione: la libertà di insegnamento spetta alla persona, quindi agli insegnanti («la scienza e l’arte sono libere e libero ne è l’insegnamento» – art. 33), mentre il diritto-dovere all’educazione e all’istruzione spetta a ogni persona, in primis ai genitori finché i figli sono minorenni, poi agli insegnanti e alla Repubblica, secondo il principio di sussidiarietà (art. 30). Credo sia utile un approfondimento di queste due tutele costituzionali, in modo da chiarire meglio i contenuti possibili del «codice deontologico» nel contemperare la libertà d’insegnamento, la libertà d’apprendimento e la libera scelta educativa delle famiglie (art. 21 della legge 59/97). Vi è certamente «una libertà di istruire da parte dei docenti» che va posta, però, di fronte a una «libertà a istruirsi che spetta alla persona» e «alla libertà di istruire i figli minorenni che spetta ai genitori», prima che ai docenti e allo Stato. Non dimentichiamo che la Costituzione Italiana, le Convenzioni internazionali che si ispirano ai valori democratici riconoscono unanimemente che il diritto-dovere di istruire i figli spetta ai genitori, e poi in modo sussidiario allo Stato e agli insegnanti. Non mi pare quindi possibile definire «diritti-doveri» di una professione, che è essenzialmente relazionale, in modo autoreferenziale, senza un confronto con i diritti-doveri dei «partner» e senza avere ottenuto un loro consenso. FUNZIONE DOCENTE Il Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia d’istruzione riconosce che «la libertà d’insegnamento è intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale», diretta a «promuovere, attraverso un confronto aperto di poPER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 89 sizioni, la piena formazione della personalità degli alunni, nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni stessi (art. 1 T.U. D.lgs. 297/1994)». Il termine «insegnante», infatti, definisce sostanzialmente una «relazione», per cui non può esservi insegnante senza allievo, come non può esservi genitore senza figlio. Non mi pare possibile definire «i doveri dei genitori» senza concordare quali siano prima i diritti dei figli. Il diritto-dovere dell’insegnare dei docenti è «funzionale» rispetto al diritto ad apprendere dell’allievo. Per questo la definizione degli standard di qualità ha bisogno di un confronto con i destinatari, specie se questi sono «obbligati» a frequentare la scuola. Diversamente, va assicurata «la libertà effettiva di scegliere i docenti e i loro standard d’offerta professionale», come accade per tutte le professioni. ORGANI DI AUTOGOVERNO Si legge, nel capitolo riguardante gli «Organi di autogoverno», che «i docenti dispongano di un proprio autonomo organismo, nazionale e con articolazioni regionali, che sostituisca l’attuale CNPI e più complessivamente gli organi collegiali territoriali definiti dal D.lgs. 25/06/99». Questa enunciazione appare impropria in quanto, se l’organismo riguardasse solo i docenti, non vi sarebbero obiezioni alla sua autonomia autoreferente, ma se avesse competenze simili al CNPI o ai Consigli territoriali è evidente che dovrebbe fare scelte riguardanti la scuola e tutte le sue componenti (docenti, studenti, genitori…). Di conseguenza, occorre stabilire una chiara differenziazione tra l’organismo dei docenti e gli organi collegiali dove non può non confermarsi la presenza di tutte le componenti scolastiche. A questo proposito, come genitore che sta vivendo una positiva ed efficace esperienza nel «Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori» (D.P.R. 567/96; D.M. 14 del 2002), mi permetto di avanzare una proposta che ricalchi lo schema degli organismi riguardanti genitori e studenti. Come accade per i genitori, si potrebbe ipotizzare la costituzione del «Forum delle Associazioni Professionali dei Docenti», a livello nazionale, regionale, provinciale e territoriale. In tale sede i docenti potrebbero autonomamente rielaborare il codice deontologico ed esplicitare proposte, pareri e direttive riguardanti la professione docente. Per le problematiche, invece, riguardanti la scuola, l’istruzione, la formazione nel suo complesso si dovrebbero ricostituire gli «Organi Collegiali» a livello nazionale, regionale, territoriale dove, accanto ai rappresentanti dell’amministrazione scolastica, degli Enti Locali, delle forze produttive e sociali delle scuole autonome, vi siano pure i rappresentanti dei rispettivi Forum dei docenti, dei genitori e degli studenti. PROCESSI DI COSTRUZIONE DEL CODICE Esprimo apprezzamento e condivisione per la proposta suggerita di aprire un dibattito nazionale per la stesura del codice deontologico, in quanto è importante il processo che conduce all’assunzione di regole ancor più del prodotto stesso. 90 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E A questo punto, avanzo la proposta che si apra, contemporaneamente, nelle scuole autonome un approfondimento in ordine a «doveri-diritti dei genitori nella scuola». Se si arrivasse a stendere un codice deontologico dei genitori, come già accade in molte scuole di altri Paesi europei e come già codificato dall’Associazione Europea dei Genitori (EPA), arriveremmo ad avere a disposizione un quadro organico di riferimento valoriale comprendente lo «Statuto delle studentesse e degli studenti», il «codice deontologico dei docenti» e la «Carta dei doveri-diritti dei genitori nella scuola». Le norme definiscono la scuola come comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica (D.lgs. n. 297, artt. 1-3) che ha il compito di istruire e di educare, di orientare e di formare, coniugando promozione dell’eccellenza, tutela dei deboli e rispetto per tutti, attraverso la valorizzazione delle discipline, delle attività e delle relazioni, che costituiscono tutte insieme il suo patrimonio formativo. Nel caso si diffondesse nelle scuole la bozza, come è stato richiesto al Ministro, va sottolineata l’importanza che il dibattuto concorra a superare ogni posizione autoreferenziale per avviare un confronto aperto, solidale costruttivo tra tutte le componenti scolastiche, come conferma la legge di recente approvazione che riforma il sistema educativo d’istruzione e di formazione «al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione». PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 91 ANNALI DELL’ISTRUZIONE Un a RIVOLUZIONE C U LTURALE per LA NUOVA FIGURA di D O C E N T E d i G I U S E P PE S AVAG N O N E I l problema di fondo a cui un codice deontologico della categoria docente deve rispondere è la demotivazione che oggi colpisce una parte consistente di questa categoria. Un tempo non lontano l’insegnante si considerava – ed era considerato socialmente – come il titolare di una missione. La sua attività si situava in un orizzonte di valori condivisi e aveva la dichiarata finalità di dare alle persone una formazione umana complessiva, con una forte connotazione etica. Anche se, in concreto, i destinatari della sua azione erano i membri di una élite, selezionati principalmente in base alla loro estrazione sociale. La crisi delle grandi istituzioni sociali – prima fra tutte la famiglia tradizionale – ha rimesso in discussione le premesse culturali di questo modo di concepire l’insegnamento. La scuola non è stata più il luogo della trasmissione, alla futura classe dirigente, del patrimonio ideale su cui si fondava la società e degli stili di comportamento corrispondenti. Anche perché, progressivamente, il consenso su questi valori da parte della comunità civile è diventato sempre più problematico. La convinzione che «ognuno ha la sua verità» e che l’essenziale non è conformarsi a regole prestabilite, ma agire «secondo la propria coscienza» – o, in una versione più recente, «come si sente di fare» – ha reso impossibile non solo mantenere i canoni rigidi del passato, ma anche semplicemente additare dei fini validi per tutti. Il multiculturalismo, ormai assunto come condizione di vita nella nostra società, ha ulteriormente spinto nella direzione di una sostanziale rinunzia a ogni valore che pretenda di porsi come assoluto. Per un altro verso, l’avvento dell’istruzione di massa ha reso necessario puntare su un minimo comune denominatore di competenze e abilità di base, privilegiando il possesso degli strumenti – soprattutto di tipo linguistico e matematico – rispetto all’approfondimento dei contenuti. Più tardi, con l’autonomia, questa evoluzione è stata completata dall’idea che la scuola debba rispondere non a una logica verticistica e burocratica, ma alle esigenze della società. Da qui l’impegno di ogni istituto a venire incontro alla domanda del rispettivo bacino di utenza con un’offerta adeguata, in grado di sostenere la con- 92 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E correnza degli altri istituti. Una svolta che ha portato le istituzioni scolastiche ad assumere criteri e stili di efficienza assai più vicini a quelli delle aziende private che non alla tradizionale prassi degli uffici pubblici. Il concetto di POF, «Piano dell’offerta formativa», nasce da questa svolta. A questo punto, però, non aveva più alcun senso parlare di fini e di valori. Nella misura in cui la scuola si trasformava in un grande supermarket – o, se si preferisce, in un buffet, dove ognuno sceglie le pietanze che predilige – essa non ha avuto più nulla da dire sulle grandi scelte di fondo dell’esistenza e ha dovuto accontentarsi di fornire strumenti che ogni ragazzo e ragazza, per conto proprio, potesse utilizzare per il proprio soggettivo e insindacabile progetto di autorealizzazione. Contemporaneamente, la concezione che identificava il professore con un missionario è stata denunciata come una mistificazione, un alibi per giustificare le basse retribuzioni. Progressivamente, la categoria docente si è aperta alla mentalità sindacale – fino a quel momento guardata da molti insegnanti con sospetto e fastidio, come una specie di profanazione – e alla prospettiva, più moderna e concreta, della professionalità. Questo concetto, però, si è rivelato più ambiguo e problematico del previsto. Secondo le promesse dei sindacati esso avrebbe dovuto costituire la chiave per accedere a una mentalità nuova, più «laica» e più duttile, capace di fronteggiare i problemi concreti dell’insegnamento e di rispondere alle nuove richieste della società. Si trattava di abbandonare la pretesa aristocratica di essere dei «solisti», dei sacerdoti della cultura, per entrare nella logica di membri di una categoria di lavoratori. E in effetti alcune conquiste di ordine economico e giuridico sono state rese possibili grazie a questo passaggio dalla figura dell’insegnante-vestale a quella dell’insegnante-dipendente. In compenso, però, la figura del professore si è gradualmente svuotata del suo spessore e del suo prestigio. Il docente è diventato un impiegato – per giunta mal pagato –, sempre meno qualificato dal punto di vista culturale e sempre più appiattito su un mortificante stile burocratico. Da intellettuale ed educatore qual era, egli si è trovato, nel nuovo contesto, a svolgere la funzione di assistente sociale, di intrattenitore, di accompagnatore, o, nella migliore delle ipotesi, di istruttore in un campo specifico di competenze e abilità. Ancora peggio le cose rischiano di mettersi nella nuova logica dell’autonomia, dove l’insegnante potrebbe vedersi ulteriormente declassato da impiegato a semplice commesso, in balìa dei desideri e dei capricci dei suoi alunni (il cliente ha sempre ragione). Emblematica la crescente difficoltà di far valere la propria autorità anche (non soltanto!) con sanzioni disciplinari, rese sempre più problematiche da una procedura pseudo-giudiziaria, invece che, come in passato, modellata sull’informale stile familiare. L’elaborazione di un codice deontologico avrà un senso se implicherà una profonda trasformazione di questo stato di cose e rilancerà un modo più appropriato di intendere la professionalità del docente. Perché ciò avvenga, però, non basterà che si crei un organo di autogoverno realmente autonomo e vengano fissate delle norme di comportamento peculiari della professione, sottraendo l’insegnante alla condizione di generico impiegato. Neppure se tutto ciò, come è peraltro ampiamente auspicabile, comportasse il riconoscimento di un vero sviluppo di carriera e, finalmente, una retribuzione dignitosa. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 93 Perché il docente torni a essere un punto di riferimento per le nuove generazioni è necessaria una vera e propria «rivoluzione culturale», che gli restituisca il senso della sua identità e della sua responsabilità. Responsabilità, in primo luogo, nei confronti delle persone a cui la sua attività di educatore si rivolge. Non si tratta solo di istruire, vale a dire di trasmettere conoscenze e di addestrare all’uso di metodi e tecniche. Ci sono istruttori anche dei cani o degli animali da circo. La scuola è il luogo dove un giovane deve essere aiutato a «nascere» – in senso, ovviamente, diverso da quello meramente biologico – e a diventare se stesso. Questo significa «educare» (dal latino e-ducere, «condurre fuori», che implica un evidente riferimento metaforico al parto e alla maieutica socratica). Ma questo implica che la scuola non si limiti a fornire mezzi, e ritorni a proporre (non a imporre!) fini. Bisogna ritrovare una base di valori – magari quelli offerti dalla nostra Costituzione – su cui impostare l’attività educativa in modo non puramente neutro. Non basta, in altri termini, insegnare ai giovani a ragionare, a usare il computer, ecc.: è necessario anche aiutarli ad aprire gli occhi sulla realtà e a prendere posizione in rapporto a essa. Altrimenti continueremo ad avere ragazzi che sono ottimi studenti e che poi, magari, bruciano il barbone il mezzo alla strada o gettano sassi dai cavalcavia. Ciò significa, però, che la responsabilità del docente verso i suoi alunni ne implica un’altra, più profonda, nei confronti della verità e dei valori. Oggi è molto difficile parlare di verità. Eppure, molti che ne rifiutano perfino l’esistenza si battono, poi, contro le mistificazioni e le menzogne dei politici di parte avversa, denunciano le falsificazioni giornalistiche, accusano il circo massmediale di costruire un mondo fittizio. Ma se non c’è alcuna verità non possono esserci neppure gli errori e gli inganni, e queste giustissime battaglie non avrebbero senso. E non è la scuola il luogo dove educare le nuove generazioni a cercare questa verità, a tutti i livelli e in tutti i campi, e a smascherare le apparenze ingannevoli e le menzogne? Non dovrebbe essere il docente – come il Morpheus del film Matrix – a guidare i propri alunni in questa presa di coscienza? O altrimenti, chi? Proprio in questa responsabilità del professore verso la verità, del resto, trovano il loro fondamento le richieste di evitare, all’interno della scuola, posizioni unilaterali e forme di indottrinamento che configurerebbero una sorta di plagio. Se si vuole uscire dalla perversa alternativa tra un’asettica neutralità – che, oltre a essere di fatto impossibile, ucciderebbe l’educazione, e una faziosità incompatibile con l’onestà intellettuale richiesta a un insegnante – è su questa via che dobbiamo procedere. E qui troverà le proprie radici, in ultima istanza, anche la responsabilità verso la società, che richiede alla scuola – e ai docenti in particolare – di essere non solo lo specchio dell’esistente, ma anche la coscienza critica destinata a compiere le necessarie rotture con il presente e il passato, per preparare il futuro. 94 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ANNALI DELL’ISTRUZIONE PROFESSIONALITÀ DOCENTE d i C A R LA X O D O QUESTIONE DEL NOSTRO TEMPO La forma semantica più comprensiva da cui partire per assumere l’attività dell’insegnamento è professione. Alla crescente consistenza della dimensione tecnica, oggettivamente definibile, fa il paio l’abbandono di espressioni come «missione», «compito». Professione, con esplicito riferimento al mondo del lavoro, riguarda «abilità specifiche fondate su ‘corpi di teoria’ aventi carattere sistematico, messi a punto dalle scienze (fisiche, biologiche, comportamentali) dai quali il professionista può derivare la soluzione dei problemi e dei casi particolari che gli vengono sottoposti». Il sapere che fonda le professioni avrebbe carattere specifico, «non riguarda cioè tutto lo scibile, ma soltanto quella parte dello scibile elaborato dalle scienze che è circoscritto in un determinato campo (medicina, giurisprudenza matematica, fisica, chimica, biologia, veterinaria, ingegneria, ragioneria, ecc.). L’imporsi dello specialismo è condizionato, sul piano interiore, dal fatto che la scienza è pervenuta a uno stadio di specializzazione prima sconosciuto […]. Solo nel caso di un’estrema specializzazione l’individuo può avere sicura coscienza di produrre qualcosa di realmente compiuto nel campo scientifico». L’intellettuale massimalista, dalle sintesi ampie, illuminanti ma inconcludenti sul piano pratico, viene via via soppiantato dal professionista minimalista, capace di intervenire nei diversi aspetti e problemi della quotidianità. Per questo la preparazione di un professionista è valutata non tanto in termini di conoscenza ma di competenza, «una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata a una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito». La categoria di professionalità applicata all’insegnamento evidenzia nel docente l’esperto disciplinarista e tecnico didattico, competente, appunto, di un ramo delimitato del sapere: nei suoi aspetti teorico-pratici e in quelli riguardanti l’insegnamentoapprendimento. Ma all’insegnante, insieme a quella specifica, va rivendicata anche la cultura umanistica generale, la capacità di decidere e agire in situazione. In sostanza l’insegnante deve saper conservare la sua originaria identità di intellettuale, PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 95 capace di pensare in proprio, per testimoniare, insieme alla competenza tecnica, anche l’azione significativa, la «capacità di comportamento teoretico». Tuttavia quella dell’insegnante è ancora una professione a identità debole, ma a elevata specificità perché non appartiene alla categoria delle professioni «indipendenti», ma a quella delle professioni «dipendenti», che si sviluppano all’interno di organizzazioni, mai totalmente coincidenti con conoscenze tecnico-operative, nobilitate dalla presenza (o tale desiderata) di requisiti di quella competenza etica che garantisce capacità di giudizio al variare delle situazioni educative. PER UNA DEFINIZIONE DELLA PROFESSIONE DOCENTE Per identificare e conoscere una professione, particolarmente l’insegnamento, è insufficiente l’approccio empirico. All’indagine fattuale-quantitativa – si deve accompagnare quella fenomenologico-ermeneutica che privilegia la visione d’insieme. Una professione emerge sulla base di una domanda sociale: • • • • si afferma come una struttura produttiva che garantisce un servizio; tiene conto di standard culturali; utilizza strumenti come istituzioni economico-sociali; matura un patrimonio di conoscenze e di abilità che diventano le core competence della professione; • afferma una propria assiologia, scala di valori e codice etico-deontologico; • rivendica margini di autonomia e di libertà di iniziativa; • afferma una propria identità in continuità con la sua storia. II passo successivo è la verifica sul campo della teoria, la ricerca dell’attendibilità dell’ipotesi, l’applicazione del medesimo modello all’insegnamento, al fine di far risaltare la specificità della professione docente. L’insegnante cerca di rispondere a una domanda di educazione e di istruzione tipiche di società complesse, postmoderne, postindustriali, interdipendenti e globali. La risposta prospettata non è più temporalmente definita, giacché attiene a un processo che dura tutta la vita del soggetto (long life education), il quale in questo modo riscatta la più autentica progettualità educativa, quella esistenziale, in cui l’educazione iniziale anticipa l’educazione permanente entro una visione complementare e integrata degli stadi e ambienti educativi. La cifra di una tale educazione è la «multidimensionalità», determinata dal collegamento tra sistema non formale e sistema formale di educazione, nella logica della comunità educante (community care). II contesto culturale entro cui opera l’insegnante oggi è pluralistico, poliarchico, multiculturale, multietnico, in bilico tra localismo e universalismo, comunità e mondialità, identità e differenza. È la sfida più rilevante alla sua azione educativa, il banco di prova dell’intelligenza critica, del senso di storicità, della capacity di comprensione, flessibilità, immaginazione e convinzioni autenticamente umanistiche cui saprà ricorrere. Le istituzioni educative – scolastiche e non – entro cui e a cui si collega l’azione docente oggi rompono il precedente isolamento nello sforzo di convergere verso la costituzione di un sistema formativo integrato. 96 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Fulcro di questa nuova politica dell’educazione, oltre la precedente visione scuola-centrica, è il nuovo concetto di autonomia scolastica, alla base della riforma istituzionale in atto nel nostro Paese (cosiddetta legge Bassanini), di cui quella scolastica è solo un aspetto. II vecchio concetto di autonomia come non interferenza trova la sua piena legittimazione nell’apertura della scuola al territorio sotto la spinta di una progettualità che, nel rispetto di standard general-nazionali, cerca di corrispondere alla specificità di esigenze formative locali attraverso curricoli mirati e, complessivamente, con un’offerta formativa adeguata alla comunità. In altri termini, la nuova autonomia che si traduce in progettualità didattica e amministrativa, sburocratizza, decentra, delega, devolve funzioni segnando con ciò il passaggio da quella istituzionale di Stato alla scuola come servizio pubblico alla persona e alla comunità. L’autonomia scolastica esalta il fare, incoraggia la scelta, opera in funzione della decisione. Chiama in causa la responsabilità, fa emergere la dimensione prassica dell’azione di insegnare. Insieme al sapere tecnico trova riconoscimento il sapere riflessivo emergente dalla prassi che cerca di dare parola e visibilità a conoscenze implicite all’azione che Anschombe ha definito «senza osservazione» e che altrove sono stata tradotte con «conoscenze tacite». In conclusione, il paradigma della complessità, invocato per la professione docente, legittima il superamento della concezione tecnica, isolata dell’insegnamento, per prospettare la docenza sotto forma di pratica che attinge alla conoscenza riflessiva dell’azione educativa, prende atto dei collegamenti e della diramazione degli apprendimenti provenienti dall’esperienza, ma avverte anche la necessità di riferirsi a un corpo di teoria di lunga tradizione i cui assi portanti sono la pedagogia e la filosofia dell’educazione. Tra le skill raccomandate per un insegnante si prevede fra l’altro: – capacità di inquadrare una situazione complessa e difficile, e di prendere l’iniziativa; – capacità di riconoscere le informazioni prodotte dall’azione; – capacità di interpretare e di utilizzare tali informazioni; – capacità di verificare la conferma o meno dell’inquadramento iniziale da parte dei risultati prodotti; – capacità di ristrutturare la situazione e di operare una buona proiezione futura. Su queste premesse si giustifica l’introduzione anche nell’ambito della docenza, come per ogni professione, di un codice deontologico a cementare la coscienza individuale ma anche sociale della professione, dare sostanza al bisogno di moralità ma anche di eticità, di responsabilità ma anche di senso civico. Esigenze, queste, che l’autonomia scolastica, introdotta dalla riforma, ha avuto il potere di accentuare dilatando lo spazio della libera iniziativa del docente, in tal modo caricando ulteriormente di responsabilità il suo operare. L’autentica responsabilità etica in questa professione coincide con l’impegno per lo sviluppo integrale della persona, per la promozione di quei «beni ontici» che riguardano l’essere personale dello studente: – beni morali per il docente – poiché la loro promozione è soggetta alla libertà del docente stesso; – beni pre-morali per lo studente – in quanto dipendono solo in parte dalla sua volontà. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 97 L’IDENTITÀ DELL’INSEGNANTE OGGI Certamente il tratto più significativo è la capacità di educare, che è altro, un di più o diverso rispetto alle competenze dell’insegnante disciplinarista. È la risposta inevitabile che ci si aspetta in società pluraliste multietniche, rappresentate da istituzioni autonome, decentrate, federaliste, funzionali a una educazione che dura tutta la vita dei soggetti, che richiede competenze teorico-tecniche ma anche etico-pratiche, con un margine di autonomia sempre più ampio all’interno della professione. Oggi non basta più acquisire solo ed esclusivamente contenuti, bisogna saper intraprendere un percorso di apprendimento più lungo che dalle conoscenze culmina alle competenze come saper essere della persona. Ricerche recenti sul livello di alfabetizzazione in età adulta, literacy, hanno incontrovertibilmente fatto emergere l’inadeguatezza della concezione meramente trasmissiva dell’insegnamento. Una conferma importante di quanto andiamo dicendo proviene dai testi normativi sulla riforma scolastica. L’art. 1 legge 30/2000 e art. 2 del disegno di legge delega parlano di «sistema educativo di istruzione e di formazione». Se l’insegnante è un professionista sociale che opera all’interno di un sottosistema così denominato, la sua identità non può non essere, principalmente, quella di un educatore. Ulteriori convergenze verso questa identità si ricavano dal comma 1, art. 2, della legge delega. L’insegnante è considerato ancora un educatore che si impegna a operare in una «prospettiva di apprendimento in tutto l’arco della vita […] per assicurare a tutti pari opportunità di raggiungere livelli culturali e di sviluppare le proprie capacità e le competenze attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, con riguardo alle dimensioni locali, nazionali ed europee». Il comma su citato è ricco di implicazioni educative. Le più significative appaiono le seguenti: • la professione docente si occupa direttamente dell’uomo; • se ne occupa, tuttavia, in maniera diversa rispetto ad altre professioni, cioè con una visione integrata e globale della persona; • essere insegnanti significa dedicarsi a ciò che fa essere uomo un uomo. Non basta quindi conoscere, bisogna anche saper promuovere la specificità umana nello studente; • tale specificità è costituita da un insieme di potenzialità, come: intelligenza, moralità, sensibilità estetica, sentimento, affettività, abilità pratiche, coscienza morale, autonomia. Ulteriori spinte «educazioniste» provengono dallo Statuto delle studentesse e degli studenti (D.P.R. 24 giugno 1998). La scuola viene definita «luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica», «comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona, in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale 98 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E sui diritti dell’infanzia fatta a New York il 20 novembre 1989 e con i principi generali dell’ordinamento italiano» (art. 1, comma 2). Il testo è ricco di implicazioni educative. All’insegnante vengono richieste, per esempio: • conoscenza pedagogica relativa al processo di costruzione di identità personale, terreno su cui si sviluppa l’educazione e dove trovano garanzia la valorizzazione delle potenzialità di ognuno, nonché un autentico orientamento in termini di progettualità; • riconoscimento e promozione della singolarità personale; • rispetto dovuto a ogni studente, anche in termini di riservatezza; • capacità di coinvolgere gli studenti nella vita della scuola sapendo valorizzare le loro iniziative, opinioni, posizioni, soprattutto informare delle decisioni e delle regole della vita scolastica; • atteggiamento valutativo in funzione educativa, attraverso un’azione trasparente che aumenta l’informazione sul processo educativo e punta all’autovalutazione dello studente; • capacità di progettare un’offerta didattico-educativa differenziata, commisurata alle esigenze e attitudini di apprendimento in ogni studente, nel rispetto del diritto alla libertà di scelta; • capacità di relazionarsi e dialogare con ogni studente senza violare identità e provenienze culturali; • capacità di comunicare a partire da un atteggiamento di accoglienza dello studente e privilegiando la dimensione dell’ascolto; • capacità di garantire libertà di espressione, di religione, di convinzioni, attraverso il confronto critico; • capacità di praticare e promuovere la buona argomentazione. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 99 ANNALI DELL’ISTRUZIONE IL CODICE d i C O M P O RTA M E N T O degli I N S E G N A N T I d i PAO LA Z E R M A N FUNZIONE DEL CODICE DI COMPORTAMENTO La condotta dei dipendenti pubblici è questione di grande rilievo per i cittadini. È esperienza comune, infatti, che dalla qualità del comportamento del dipendente pubblico dipende l’immagine complessiva dello standard morale e culturale dell’intera Pubblica amministrazione. Non basta, al riguardo, lamentare la caduta della moralità pubblica, ma occorre fornire all’impiegato canoni di comportamento ordinati, approntare gli strumenti giuridici per ricostituire una morale collettiva del pubblico impiego, in presenza di incertezze e sfide etiche ben più difficili che in passato.1 Specie nei Paesi anglosassoni vi è una lunga tradizione di «Ethics in Government». In particolare negli Stati Uniti nel 1980 il Congresso approvò un «Code of Ethics for Government Service», sotto forma di decalogo di principi generalissimi. Si può quindi affermare che lo scopo del codice di condotta è quello di riaccreditare, di fronte all’opinione pubblica, la figura dell’impiegato della Pubblica amministrazione, con l’intento di superare i noti fenomeni di inefficienza e trascuratezza, ma anche, sembra, di rivalutare il ruolo e la dignità dell’impiegato prima di tutto di fronte a se stesso, facendogli comprendere la dignità del suo ruolo, inteso come servizio alla collettività. LA PREVISIONE NORMATIVA Il codice di comportamento è attualmente previsto dall’art. 54 del D.lgs. 165/2001, recante «norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche». 1 Così si esprime il rapporto redatto a cura del Dipartimento della Funzione Pubblica, riportato in Professionalità e codice deontologico degli insegnanti di Alessandra Cenerini e Rosario Drago, Erickson, Trento, 2001, p. 112. 100 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Il Dipartimento per la Funzione Pubblica, sentite le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, definisce il codice di comportamento. Ciascuna pubblica amministrazione verifica l’applicabilità di tale codice, sentiti anche i sindacati e le associazione di utenti e consumatori, per apportare eventuali integrazioni o modifiche al fine dell’adozione di uno specifico codice di comportamento per la singola amministrazione (art. 54 D.lgs. 165/2001). Il nuovo codice di comportamento emanato con decreto del Ministro della Funzione Pubblica del 28 novembre 2000 (che abroga il precedente del 1994) chiarisce che i principi e i contenuti del codice costituiscono «specificazioni esemplificative» degli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità che qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa. Il codice emanato dalla Funzione Pubblica prevede una serie molteplice di doveri del dipendente, sia in servizio, nei rapporti con il pubblico, con i colleghi e con i superiori, che nella vita sociale. In particolare il dipendente deve stabilire un clima di fiducia con il cittadino, semplificandogli l’esercizio dei diritti, evitando di accettare regalie, assicurando la parità di trattamento dei cittadini e rispondendo sollecitamente ai loro reclami. In sintesi, l’art. 54 D.lgs. 165/2001 chiarisce che ciascuna amministrazione adotta un codice di comportamento. La norma descrive il procedimento mediante il quale tale adozione deve avvenire e cioè: emanato il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, l’organo di vertice della singola PA verifica l’applicabilità alla propria amministrazione, valendosi del parere delle OO.SS. maggiormente rappresentative e le associazioni degli utenti e dei consumatori. Il codice di comportamento, secondo la norma, è definito «anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le stesse amministrazioni rendono ai cittadini». I principi del codice di comportamento vengono coordinati con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare. Il rapporto tra codice etico e sanzioni disciplinari è estremamente delicato. Di esso si parlerà successivamente. I dirigenti responsabili di ciascuna struttura vigilano sull’applicazione dei codici di comportamento. Il contenuto della norma sembra quindi che debba essere letto sotto i seguenti profili: a) suggerire eventuali modifiche ai doveri contenuti nella tipologia dei doveri sanzionati disciplinarmente; b) predisporre quelle attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione del codice di comportamento, prevista dal comma 7 dell’art. 54 D.lgs. 165/2001; c) suggerire quelle opportune modificazioni di carattere organizzativo che sono necessarie per migliorare la qualità del servizio che la PA rende ai cittadini (art. 54, comma 1). PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 101 LA NATURA GIURIDICA DEL CODICE DI COMPORTAMENTO Come sopra si è rilevato, assai controversa in dottrina è la natura giuridica del codice di comportamento con le relative conseguenze circa la sua vincolatività e l’applicabilità di sanzioni disciplinari in caso di violazione dei doveri in esso previsti. Effettivamente se è vero che l’art. 54 prevede che i principi del codice di comportamento vengano coordinati con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare, il problema relativo alla rilevanza disciplinare si pone ove tale coordinamento non vi sia stato o sia stato solo parziale. Vi è chi ritiene che il contenuto del codice abbia solo natura etica, chi ritiene che abbia natura vincolante in ragione del suo recepimento nella contrattazione collettiva e individuale, ma non chiarisce se dalla sua violazione sorge una responsabilità disciplinare. C’è infine chi sostiene la natura sostanzialmente disciplinare del codice di comportamento. Le diverse opinioni si fondano sul tenore letterale degli artt. 54 e 55 e sul non chiaro coordinamento tra il codice di condotta e quello disciplinare operato dalle due norme. In sintesi, chi ritiene che il valore di tale norme sia sostanzialmente metagiuridico argomenta in base al fatto che, ai sensi dell’art. 55 del D.lgs. 165/2001, il codice disciplinare (comprensivo della tipologia delle infrazioni e delle sanzioni disciplinari), è materia oggetto di regolamentazione pattizia, mentre invece il codice di condotta è emanato con atto unilaterale della PA, non avente nemmeno natura regolamentare, e solo dopo aver «sentito» le organizzazioni sindacali. Secondo la impostazione più rigorosa il codice di comportamento deve essere strettamente correlato ai doveri rilevanti disciplinarmente e ciò in ragione dell’esplicito dettato normativo di cui all’art. 55 D.lgs. 165/2001, secondo cui «ferma restando la definizione dei doveri del dipendente a opera dei codici di comportamento di cui all’art.54, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni disciplinari è definita dai contratti collettivi». Ulteriori previsioni della obbligatorietà del codice sembrano addursi dalla previsione di corsi di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione dei codici di comportamento, nonché sulla ulteriore previsione dell’onere di vigilanza sulla applicazione del codice da parte dei dirigenti responsabili di ciascuna struttura. In realtà, effettivamente le norme non sono chiare e possono dare adito a entrambe le soluzioni prospettate. A parere di chi scrive sembra doversi affermare sì la natura obbligatoria del codice, e ciò effettivamente in ragione del suo recepimento nel contratto collettivo individuale, nonché nell’obbligo di osservanza dettato dall’art. 1 del medesimo. Da tale obbligatorietà discende l’onere di vigilare per la corretta applicazione del medesimo, nonché per adeguatamente istruire i dipendenti sul suo contenuto. La violazione del medesimo, si ritiene, però, che non abbia rilievo disciplinare e ciò in ragione della natura strettamente pattizia del codice disciplinare, a meno che quest’ultimo non rinvii al medesimo codice di comportamento per la specificazione dei comportamenti sanzionabili. 102 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Si ritiene, al riguardo, che tale impostazione non faccia perdere di efficacia al valore del codice di comportamento; essendo lo stesso diretto a elevare lo standard morale del dipendente pubblico, si reputa che debba essere rispettato in quanto tale e non in ragione delle sanzioni che tutelano l’osservanza del medesimo. In definitiva, si auspica che il clima che i dirigenti dell’ufficio sono tenuti a creare per favorire l’osservanza del corretto comportamento del pubblico dipendente sia tale da imporre per lealtà e correttezza l’osservanza del medesimo, senza dover ricorrere alla minaccia di misure sanzionatorie. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 103 2002 ANNALI DELL’ISTRUZIONE XLVIII ANNO DI PUBBLICAZIONE N° 2/3 2/3 Documenti ANNALI DELL’ISTRUZIONE DECRETO MINISTERIALE COSTITUTIVO del GRUPPO DI LAV O R O (2/11/2001) VISTA la legge 15 marzo 1997, n. 59 che all’art. 11 prevede l’adozione di codici di comportamento da parte delle singole amministrazioni pubbliche, e all’art. 21 detta norme per l’attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, la riorganizzazione dell’Amministrazione scolastica e la qualificazione delle professionalità in essa operanti; VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, con il quale è stato emanato il regolamento recante norme in materia di autonomia didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche ai sensi del citato articolo 21 della legge n. 59/97; VISTO il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo del comparto Scuola sottoscritto il 31 agosto 1999; VISTO il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; CONSIDERATA l’esigenza di costituire un gruppo di lavoro, formato da esperti, cui affidare il compito di definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico; VISTO il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto Scuola sottoscritto il 4 agosto 1995; DECRETA ART. 1 VISTO il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al quadriennio normativo 1998-2001 e al biennio economico 19981999 del personale del comparto Scuola sottoscritto il 26 maggio 1999; 1. È istituito, presso l’Ufficio di Gabinetto, un gruppo di lavoro, cui sono attribuiti i compiti evidenziati in premessa, così costituito: PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 107 – PRESIDENTE ONORARIO, Cardinale Ersilio TONINI – PRESIDENTE, Plinio SACCHETTO, Avvocato Generale dello Stato COMPONENTI – Avvocato Paola ZERMAN – Dr.ssa Carmela LO GIUDICE – Dott. Roberto LEONI – Prof. Rosario DRAGO – Dott. Massimo TOCCI – Prof. Gianfranco CAPPELLO – Prof.ssa Carla XODO 108 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E – Prof. Giuliano PIAZZI – Prof. Giuseppe SAVAGNONE – Prof.ssa Alessandra CENERINI – Prof. Gianni MEREGHETTI – Prof. Marco ROSSI DORIA – Prof. Emilio BROGI – Prof. Carlo CEROFOLINI – Ins. Valeria MARCON – Prof.ssa Luciana LEPRI – Sig. Maurizio SALVI IL MINISTRO LETIZIA MORATTI ANNALI DELL’ISTRUZIONE UNESCO-OIT RACCOMANDAZIONE s u l l o S TAT U S degli I N S E G N A N T I 1 INTRODUZIONE La speciale Conferenza intergovernativa sullo status degli insegnanti, memore che il diritto all’educazione è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, cosciente della responsabilità degli Stati di assicurare a tutti una educazione appropriata, in conformità con l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con i principi 5, 7 e 10 della Dichiarazione dei diritti del bambino e con quelli delle Nazioni Unite riguardanti la promozione fra i giovani degli ideali di pace, del mutuo rispetto e della comprensione tra i popoli, consapevole della necessità di sviluppare e diffondere l’istruzione generale, tecnica e professionale per promuovere tutte le attitudini e le risorse intellettuali esistenti, che è condizione necessaria per lo sviluppo dei valori morali e culturali e per il progresso economico e sociale, riconoscendo il ruolo essenziale degli insegnanti nello sviluppo dell’educazione e il loro contributo fondamen- 1 tale alla promozione della personalità umana e della società moderna con l’impegno di assicurare agli insegnanti uno status che sia adeguato a questo ruolo, considerata la grande diversità delle legislazioni e degli usi che, nei diversi Paesi, determinano le strutture e l’organizzazione dell’insegnamento, tenuto ugualmente conto della diversità dei regimi che si applicano, nei diversi Paesi, al personale insegnante, in particolare a seconda che questo personale sia inquadrato come dipendente pubblico, nella convinzione che, nonostante tali differenze, la condizione degli insegnanti ponga problemi simili in tutti i Paesi e richieda l’applicazione di norme e misure comuni, che questa Raccomandazione intende precisare, tenuto conto delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali in vigore applicabili agli insegnanti e, in particolare, degli strumenti che hanno per oggetto i diritti fondamentali dell’uomo quali la Convenzione sulle libertà sindacali e la protezione del diritto sindacale Deliberata a Parigi il 5 ottobre 1966 dalla speciale Conferenza intergovernativa convocata dall’Unesco in cooperazione con l’OIT. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 109 (1948), la Convenzione sul diritto d’organizzazione e di negoziazione collettiva (1949), la Convenzione sull’uguaglianza di remunerazione (1951), la Convenzione riguardante la discriminazione (impiego e occupazione) (1958), adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT), così come la Convenzione riguardante la lotta contro la discriminazione nel campo dell’insegnamento (1960), adottata dalla Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), tenuto inoltre conto delle raccomandazioni riguardanti i diversi progetti relativi alla formazione e alla condizione del personale insegnante della scuola primaria e secondaria, adottati dalla Conferenza internazionale sull’istruzione pubblica convocata congiuntamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura e l’Ufficio Internazionale dell’Educazione, così come la Raccomandazione riguardante l’insegnamento tecnico e professionale adottata nel 1962 dalla Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, con il desiderio di completare le norme esistenti tramite disposizioni relative ai problemi che sono di particolare importanza per il personale insegnante e con l’intento di far fronte al problema della mancanza di insegnanti, adotta la presente Raccomandazione: I - DEFINIZIONI 1. Per i fini della presente Raccomandazione: la parola insegnante designa tutte le persone che, nelle scuola, sono incaricate dell’educazione degli alunni; la parola status applicata agli insegnanti indica sia la posizione che si riconosce loro nella società, secondo il grado di considerazione attribuita alla loro funzione e alle loro competenze, sia le condizioni di lavoro, la retribuzione e gli altri benefici ma110 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E teriali loro accordati, rapportati a quelli goduti da altre professioni. II - CAMPI DI APPLICAZIONE 2. La presente Raccomandazione si applica a tutti gli insegnanti degli istituti pubblici e privati fino all’istruzione secondaria, siano essi asili nido, scuole dell’infanzia, scuole elementari, medie inferiori o superiori, compresa l’istruzione tecnica, professionale o artistica. III - PRINCIPI GUIDA 3. L’educazione dovrebbe mirare, fin dai primi anni di scuola, al pieno sviluppo della personalità umana e al progresso spirituale, morale, sociale, culturale ed economico della collettività, così come a inculcare un profondo rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nel quadro di questi valori, l’importanza maggiore dovrebbe essere accordata al contributo che essa può apportare alla pace, alla comprensione, alla tolleranza e all’amicizia fra tutte le nazioni e tra tutti i gruppi razziali o religiosi. 4. Dovrebbe essere riconosciuto che il progresso dell’insegnamento dipende in gran parte dalla qualificazione e dalla competenza del corpo insegnante e anche dalle qualità umane, pedagogiche e professionali di ciascuno dei suoi membri. 5. La condizione degli insegnanti dovrebbe essere commisurata ai bisogni dell’educazione, alle finalità e agli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere in questo settore, per realizzare i quali bisogna che gli insegnanti godano di un giusto status e che la professione docente sia circondata dalla considerazione pubblica che merita. 6. L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico, tale professione ri- chiede non solo conoscenze approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e continui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi. 7. Tutti gli aspetti concernenti la formazione e il rapporto di lavoro degli insegnanti non devono essere condizionati da nessuna forma di discriminazione basata sulla razza, il colore, il sesso, la religione, le opinioni politiche, l’origine nazionale o sociale o la condizione economica. 8. Le condizioni di lavoro degli insegnanti dovrebbero essere tali da favorire al massimo un insegnamento efficace e permettere loro di dedicarsi pienamente alle finalità della loro professione. 9. Si dovrebbe riconoscere che le organizzazioni degli insegnanti possono contribuire enormemente al progresso dell’educazione e che di conseguenza esse dovrebbero essere coinvolte nell’elaborazione della politica scolastica. IV - SCOPI DELL’INSEGNAMENTO E POLITICA SCOLASTICA 10. Ogni Paese dovrebbe assumere misure appropriate per definire una politica scolastica complessiva conforme ai principi guida sopra enunciati, facendo leva su tutte le risorse e competenze esistenti. A tal fine, le autorità competenti dovrebbero tenere conto dei riflessi che hanno sugli insegnanti i principi e gli obiettivi che di seguito si indicano: Ogni bambino ha il diritto fondamentale di beneficiare di tutti i vantaggi dell’educazione; una particolare attenzione deve essere prestata ai bambini che necessitano di un trattamento pedagogico speciale; Il diritto all’istruzione richiede che tali facilitazioni siano accordate a tutti senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore, la religione, le opinioni politi- che, l’origine nazionale o sociale, o la condizione economica; L’insegnamento costituisce un servizio di importanza fondamentale per l’ interesse generale; la responsabilità dell’istruzione dovrebbe pertanto spettare allo Stato, al quale compete la diffusione di una rete sufficiente di scuole, la garanzia della gratuità dell’educazione e dell’assistenza materiale agli allievi bisognosi. Questa disposizione non deve essere tuttavia interpretata in modo da costituire una limitazione alla libertà dei genitori o, eventualmente dei tutori, di scegliere per i loro figli scuole diverse da quelle istituite dallo Stato, o compromettere la libertà di persone o organizzazioni di aprire e gestire istituti scolastici che rispondano alle norme minime fissate o approvate dallo Stato in materia di insegnamento: Considerato che l’educazione è un fattore essenziale dello sviluppo economico, la pianificazione dell’istruzione dovrebbe essere parte integrante dell’insieme della pianificazione economica e sociale destinata a migliorare le condizioni di vita; Poiché l’educazione è un processo continuo, ci dovrebbe essere un coordinamento stretto tra i diversi gradi del sistema scolastico in modo da migliorare sia la qualità dell’istruzione di tutti gli allievi sia la condizione degli insegnanti: Ci dovrebbe essere libero accesso a un sistema flessibile di scuole opportunamente collegate fra di loro, in modo che niente limiti la possibilità per ogni allievo di accedere a qualsiasi livello in qualsiasi tipo di istruzione: In materia di educazione, nessuno Stato dovrebbe darsi come solo obiettivo la quantità senza cercare anche la qualità; Nell’istruzione sono necessari la pianificazione e la programmazione sia a lungo che a breve termine: un’efficace integrazione degli allievi di oggi nella collettività dipenderà più dai bisogni futuri che dalle esigenze attuali; PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 111 Ogni pianificazione dell’educazione dovrebbe prevedere tempestivi interventi di formazione iniziale e in servizio di un numero sufficiente di insegnanti competenti e qualificati per ogni livello scolastico, che conoscano la vita del loro popolo e siano capaci di insegnare nella lingua materna di quel popolo; Nel campo della formazione e del perfezionamento professionale degli insegnanti sono di fondamentale importanza le ricerche e gli interventi sistematici, coordinati e continui; essi dovrebbero comprendere la cooperazione internazionale dei ricercatori e lo scambio dei risultati delle ricerche; Per la definizione della politica scolastica e dei suoi obiettivi ci dovrebbe essere cooperazione fra le autorità competenti, le organizzazioni degli insegnanti, dei datori di lavoro, dei lavoratori, e di genitori, nonché le organizzazioni culturali, educative e di ricerca; Poiché la realizzazione delle finalità e degli obiettivi dell’educazione dipende in gran parte dai mezzi finanziari disponibili, tutti i Paesi dovrebbero riservare, in termini prioritari nei bilanci dello Stato, una porzione adeguata del reddito nazionale per lo sviluppo dell’educazione. V - PREPARAZIONE ALLA PROFESSIONE DOCENTE Selezione La definizione delle modalità di accesso ai corsi di formazione per i futuri insegnanti, dovrebbe fondarsi sull’esigenza di dotare la società di un numero sufficiente di insegnanti che abbiano le dovute qualità morali, intellettuali e fisiche e possiedano le necessarie conoscenze e competenze. 11. Per soddisfare tale esigenza, le autorità competenti dovrebbero rendere questa formazione sufficientemente attraente e assicurare un numero adeguato di posti nelle istituzioni preposte. 112 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 12. L’accesso alla professione docente dovrebbe richiedere il superamento di un apposito corso di studi in uno specifico istituto di formazione per insegnanti. 13. L’ ammissione a tale corso dovrebbe richiedere il possesso di uno specifico diploma di istruzione secondaria e di caratteristiche personali che consentano a questi futuri insegnanti di diventare degni membri della professione docente. 14. Per l’accesso ai corsi di formazione iniziale non si dovrebbe mai derogare dal possesso degli standard generali, dovrebbe invece essere possibile ammettere candidati che, pur non avendo tutti i titoli di studio richiesti, possiedono un’esperienza valida di ordine tecnico o professionale. 15. I futuri insegnanti dovrebbero poter beneficiare di borse di studio o di un aiuto finanziario che permettesse loro di seguire i corsi di formazione e vivere decentemente, le autorità competenti dovrebbero inoltre stabilire, per quanto possibile, un sistema gratuito di istituti di formazione. 16. Gli studenti e altre persone che intendano seguire i corsi di formazione all’insegnamento dovrebbero ricevere tutte le informazioni necessarie sulle possibilità di formazione, di borse di studio e di altri aiuti finanziari disponibili. 17. L’accesso all’insegnamento di persone che si sono formate in un altro Paese, dovrebbe essere accordato in toto o in parte solo dopo accurata valutazione dei programmi di formazione seguiti. 18. Appare a questo scopo opportuno definire a livello internazionale standard di formazione degli insegnanti che siano riconosciuti da tutti i Programmi di formazione degli insegnanti. 19. I programmi di formazione degli insegnanti dovrebbero essere finalizzati allo sviluppo delle conoscenze generali, della cultura personale, delle competenze didattiche e delle qualità di educatori, alla comprensione e alla consapevolezza dei principi che presie- dono lo stabilirsi di buone relazioni umane all’interno e al di fuori delle frontiere nazionali, all’assunzione di responsabilità nei confronti del progresso sociale, culturale ed economico, che si esercita sia attraverso l’insegnamento che attraverso l’esempio. 20. Ogni programma di formazione degli insegnanti dovrebbe comprendere essenzialmente i seguenti punti: Studi generali; Studi degli elementi fondamentali della filosofia, della psicologia e della sociologia applicati all’educazione, lo studio della teoria e della storia dell’educazione, dell’educazione comparata e della pedagogia sperimentale nelle diverse discipline; Studi relativi alla specifico campo di insegnamento. 21. Pratica di insegnamento e di attività extracurricolari sotto la guida di insegnanti pienamente qualificati: tutti gli insegnanti dovrebbero acquisire la loro formazione generale, specialistica e pedagogica presso una università o un istituto di formazione di pari livello o presso istituzioni specializzate per la formazione degli insegnanti. I programmi di formazione potranno in parte variare a seconda delle finalità dei diversi tipi istituti a cui gli insegnanti sono destinati, quali istituti per bambini handicappati, o scuole tecniche e professionali. In quest’ultimo caso, i programmi potrebbero comprendere esperienze pratiche nell’industria, nel commercio e nell’agricoltura. 22. Nei programmi di formazione degli insegnanti, la preparazione pratica può essere sia contemporanea sia successiva alla formazione generale, o a quella specialistica o alla formazione delle competenze professionali. 23. Come regola generale, la formazione dei futuri insegnanti dovrebbe essere a tempo pieno; si potranno comunque prevedere disposizioni speciali per i candidati più anziani o per altre specifiche categorie, che consentano, eccezionalmente, di svolgere tutta o parte della formazione a tempo parziale, a condizione che il contenuto della formazione così ricevuta e il livello raggiunto siano equiparabili a quelli ottenuti con i corsi a tempo pieno. 24. Si dovrebbe attentamente considerare l’opportunità che la formazione delle diverse categorie di insegnanti – insegnamento primario, secondario, tecnico, professionale, speciale – avvenga in istituti organicamente collegati tra di loro o vicini gli uni gli altri. Istituti di formazione degli insegnanti 25. I professori degli istituti di formazione degli insegnanti dovranno essere qualificati per insegnare a un livello paragonabile a quello dell’insegnamento superiore. Lo staff di insegnanti incaricati della formazione pedagogica dovrebbe avere esperienza diretta di insegnamento scolastico e ove possibile rinnovare periodicamente la propria preparazione con rientri a scuola. 26. Bisognerebbe favorire la ricerca e la sperimentazione in campo educativo e nell’insegnamento delle varie discipline, dotando le strutture di formazione delle attrezzature e dei mezzi necessari e facilitando l’attività di ricerca dei professori e degli studenti. I professori in carico della formazione dei futuri insegnanti dovrebbero tenersi aggiornati sui risultati delle ricerche nei loro campi di interesse e farne beneficiare i loro allievi. 27. In tutte le istituzioni di formazione degli insegnanti, gli studenti e i professori dovrebbero avere la possibilità di esprimere la loro opinione sulle disposizioni riguardanti la vita, l’attività e la disciplina dell’istituzione stessa. 28. Le istituzioni di formazione degli insegnanti dovrebbero contribuire al progresso dell’insegnamento, da un lato tenendo le scuole aggiornate sui risultati delle ricerche e sui nuovi metodi, dall’altro immettendo nella loro attività l’esperienza viva delle scuole e degli insegnanti. 29. La certificazione dell’esito positivo del corso di formazione per l’insegnamento do- PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 113 vrebbe spettare alle istituzioni di formazione, separatamente o congiuntamente o in collaborazione con altre istituzioni di insegnamento superiore o con le autorità competenti dell’educazione. 30. Le autorità scolastiche, in collaborazione con le istituzioni di formazione, dovrebbero prendere misure appropriate per procurare agli insegnanti giunti al termine della loro formazione, un impiego coerente con quest’ultima, con i loro desideri e anche con la loro situazione personale. VI - FORMAZIONE IN SERVIZIO DEGLI INSEGNANTI 31. Le autorità e gli insegnanti dovrebbero riconoscere l’importanza della formazione in servizio quale garanzia del miglioramento continuo dei contenuti dell’insegnamento e delle tecniche pedagogiche. 32. Le autorità, previa consultazione con le organizzazioni degli insegnanti, dovrebbero promuovere la creazione di un vasto sistema di formazione in servizio gratuito per tutti gli insegnanti. Questo sistema dovrebbe offrire una grande varietà di scelte, e dovrebbe avvalersi del contributo delle istituzioni per la formazione iniziale degli insegnanti, degli istituti scientifici e culturali e delle organizzazioni degli insegnanti. Dovrebbero anche essere organizzati corsi di aggiornamento per quegli insegnanti che riprendono l’attività di insegnamento dopo un periodo di interruzione del servizio. 33. Dovrebbero esser organizzati corsi e predisposte altre agevolazioni per permettere agli insegnanti di migliorare le loro qualificazioni, di modificare o ampliare il campo della loro attività, di aspirare a una promozione o di tenersi aggiornati sui progressi realizzati nella loro disciplina e nel loro campo d’insegnamento, relativamente sia ai contenuti che ai metodi. 34. Dovrebbero essere adottate misure per mettere a disposizione degli insegnanti libri 114 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E e altri strumenti di lavoro che consentano loro di migliorare la propria cultura generale e la propria qualificazione professionale. Gli insegnanti dovrebbero essere incentivati a partecipare ai corsi di aggiornamento e a utilizzare le varie attrezzature in modo da trarne tutto il vantaggio possibile. 35. Le autorità scolastiche dovrebbero adottare ogni misura per mettere le scuole in grado di applicare i risultati delle ricerche che possono interessarle sia per quanto riguarda le discipline che i metodi pedagogici. 36. Le autorità dovrebbero incoraggiare e, per quanto possibile, aiutare gli insegnanti a intraprendere viaggi collettivi o individuali entro il loro Paese o all’estero, ai fini di un loro ulteriore perfezionamento. 37. Sarebbe auspicabile che le misure adottate per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti potessero essere sviluppate e accresciute attraverso la cooperazione finanziaria e tecnica interregionale o regionale. VII - IMPIEGO E CARRIERA Accesso all’insegnamento 38. La politica di reclutamento degli insegnanti dovrebbe essere chiaramente definita a livello appropriato, in collaborazione con le organizzazioni degli insegnanti, e si dovrebbe elaborare un regolamento relativo ai diritti e ai doveri degli insegnanti. 39. Il periodo iniziale di prova dovrebbe essere considerato sia dagli insegnanti che dai loro superiori come una fase di incoraggiamento e di iniziazione alla professione, di definizione e assunzione di appropriati standard professionali e di sostegno allo sviluppo di buone pratiche didattiche. La durata del periodo di prova dovrebbe essere conosciuta in anticipo e le condizioni per il suo superamento dovrebbero essere strettamente riferite alla competenza professionale. Se si dovesse considerare la professionalità dell’insegnante in prova non sufficientemente adeguata, lo stesso insegnante dovrebbe essere informato degli addebiti che gli vengono mossi e dovrebbe avere la possibilità di contestarli. bitraria che possa danneggiare la loro situazione professionale o la loro carriera. Procedure disciplinari applicabili in caso di demerito professionale Avanzamento e promozione 40. Gli insegnanti, purché in possesso delle qualifiche richieste, dovrebbero poter passare da un ordine o grado di scuola a un altro. 41. L’organizzazione e la struttura del servizio scolastico, come pure quella di ogni singolo istituto, dovrebbero riconoscere agli insegnanti la possibilità e fornire loro le opportunità di assumere compiti aggiuntivi, a condizione che questi non nuocciano alla qualità o alla regolarità dell’insegnamento. 42. Si dovrebbero considerare i vantaggi che allievi e insegnanti potrebbero trarre da strutture scolastiche abbastanza grandi, nelle quali fosse data ai docenti la possibilità di spartirsi le diverse funzioni sulla base delle loro specifiche competenze. 43. Nella misura del possibile, i posti di responsabilità quali quello di ispettore, amministratore scolastico, capo d’istituto o altro, dovrebbero essere assegnati a docenti con un certo periodo di esperienza d’insegnamento. 44. Le promozioni dovrebbero fondarsi su una valutazione obiettiva delle esperienze e dei titoli posseduti dall’interessato rispetto al posto e secondo criteri strettamente professionali, determinati attraverso la consultazione con le organizzazione degli insegnanti. Sicurezza dell’impiego 45. La stabilità professionale e la sicurezza dell’impiego sono indispensabili sia nell’interesse dell’insegnamento che in quello dell’insegnante e dovrebbero essere garantite anche quando si apportino cambiamenti all’organizzazione complessiva o a una parte del sistema scolastico. 46. Gli insegnanti dovrebbero essere protetti efficacemente contro qualsiasi azione ar- 47. Le misure disciplinari applicabili all’insegnante per demerito professionale dovrebbero essere chiaramente definite. Le conseguenze e le eventuali sanzioni dovrebbero essere rese pubbliche su richiesta dell’insegnante interessato, a meno che non comportino l’interdizione dell’insegnamento o non lo consentano la tutela o il benessere degli allievi. 48. Le autorità o gli organi che possono proporre o applicare le sanzioni dovrebbero essere chiaramente designati. 49. Le organizzazioni degli insegnanti dovrebbero essere consultate al momento dell’avvio di procedure disciplinari. 50. Gli insegnanti dovrebbero usufruire, in ogni fase della procedura disciplinare, di eque garanzie comprendenti in particolare: • il diritto di essere informato per iscritto degli addebiti formulati a suo carico e dei fatti che li motivano; • il diritto di avere pienamente accesso al dossier; • il diritto di difendersi e di essere difeso da un rappresentante a sua scelta, così come quello di disporre di un rinvio sufficiente per preparare la sua difesa; • il diritto di essere informato per iscritto delle decisioni prese a suo riguardo, così come dei motivi; • il diritto di ricorrere in appello davanti alle autorità o agli organi competenti chiaramente designati. 51. Le autorità dovrebbero riconoscere che la disciplina e le garanzie disciplinari sarebbero meglio assicurate se gli insegnanti fossero giudicati con la partecipazione di loro pari. 52. Le disposizioni dal paragrafo 47 al 51 che precedono non intaccano in alcun modo PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 115 le procedure che, secondo i termini delle legislazioni nazionali, sono applicabili alla repressione degli atti che cadono sotto la competenza della legge penale. Esami medici 53. Gli insegnanti dovrebbero essere tenuti a sottoporsi periodicamente a esami medici e questi esami dovrebbero essere gratuiti. Insegnanti con carichi familiari 54. Il matrimonio non dovrebbe impedire alle donne di ottenere un posto di insegnamento né di conservarlo. Esso non dovrebbe inoltre influire sulla loro retribuzione e sulle loro condizioni di lavoro. 55. Dovrebbe essere impedito ai datori di lavoro di scindere il contratto di un insegnante per motivi di gravidanza o di congedo per maternità. 56. Si dovrebbe prevedere di mettere a disposizione degli insegnanti con carichi familiari, servizi di assistenza per i loro figli, quali asili nido e scuole materne. 57. Dovrebbero essere prese misure per permettere all’insegnante con carichi di famiglia di ottenere un posto nella località desiderata, e per permettere ai coniugi qualora fossero entrambi insegnanti di ricevere assegnazioni di sedi vicine o di essere assegnati alla stessa scuola. 58. Quando le circostanze lo giustifichino, gli insegnanti con carichi di famiglia, che abbiano lasciato l’insegnamento prima dell’età pensionabile, dovrebbero essere sollecitati a riprendere servizio. Servizio part-time 59. Le autorità e la scuola dovrebbero riconoscere la validità del servizio part-time, quando viene svolto, per necessità della scuola, da insegnanti qualificati che, per qualsiasi ragione, non possono insegnare a tempo pieno. 116 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 60. Gli insegnanti che hanno un regolare servizio part-time dovrebbero: • ricevere una retribuzione proporzionale alle ore svolte e beneficiare fondamentalmente delle stesse condizioni di impiego degli insegnanti a tempo pieno; • godere degli stessi diritti degli insegnanti a tempo pieno, e l’applicazione delle stesse regole in materia di congedi retribuiti, di congedi per malattia e di congedi per maternità; • beneficiare di una protezione adeguata e appropriata in materia di sicurezza sociale, compreso il regime pensionistico. VIII - DIRITTI E DOVERI DEGLI INSEGNANTI Libertà professionali 61. La professione docente dovrebbe godere, nell’esercizio dei propri doveri, della libertà di insegnamento. Dal momento che gli insegnanti sono appositamente qualificati per giudicare quali siano gli ausili e i metodi didattici migliori per i loro alunni, è a loro che dovrebbe spettare la scelta e la messa a punto dei materiali didattici, la scelta dei libri di testo, l’applicazione dei metodi pedagogici, pur all’interno dei programmi stabiliti e con la guida delle autorità scolastiche. 62. Gli insegnanti e le loro organizzazioni dovrebbero partecipare all’elaborazione dei nuovi programmi, dei manuali e degli ausili didattici. 63. Ogni sistema d’ispezione o di controllo dovrebbe essere concepito in modo da incoraggiare e aiutare gli insegnanti nel raggiungimento dei loro scopi professionali, evitando di limitarne la libertà, lo spirito d’iniziativa e l’assunzione di responsabilità. 64. Quando l’attività dell’insegnante è sottoposta a valutazione diretta, questa dovrebbe essere obiettiva e resa nota all’interessato. L’insegnante dovrebbe avere diritto di ricorrere contro un giudizio che ritenesse ingiustificato. 65. Gli insegnanti dovrebbero essere liberi di utilizzare tutte le tecniche di valutazione che ritengano utili per giudicare i progressi dei loro alunni, ma dovrebbero al contempo garantire equità di giudizio verso ciascun allievo. 66. Le autorità dovrebbero prendere in debita considerazione le raccomandazioni degli insegnanti riguardanti la scelta dei diversi corsi di studio degli allievi, compresa l’istruzione superiore. 67. Si dovrebbe fare qualsiasi sforzo per favorire la collaborazione fra genitori e insegnanti, nell’interesse degli allievi, gli insegnanti però dovrebbero essere tutelati da ingerenze non giustificate dei genitori in campi che sono di loro squisita competenza professionale. 68. I genitori che dovessero lamentarsi di una scuola o di un insegnante dovrebbero avere la possibilità di discuterne innanzitutto con il capo di istituto e con l’insegnante interessato. Ogni successivo reclamo indirizzato ad autorità superiori dovrebbe essere formulato per iscritto e il testo dovrebbe essere comunicato all’insegnante interessato. L’esame dei reclami dovrebbe avvenire in modo da dare agli insegnanti interessati tutte le possibilità di difendersi senza che la questione diventi pubblica. 69. Fermo restando che gli insegnanti dovrebbero vigilare con la massima attenzione per evitare ai loro allievi qualsiasi incidente, i datori di lavoro dovrebbero tutelare gli insegnanti contro il rischio di dover pagare i danni agli allievi vittime di incidenti a scuola o durante attività scolastiche all’esterno della scuola. Doveri degli insegnanti 70. Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività. 71. La definizione e il rispetto degli standard professionali degli insegnanti dovrebbero essere definiti con il concorso delle loro organizzazioni. 72. Gli insegnanti e le loro organizzazioni dovrebbero cercare di cooperare pienamente con le autorità, nell’interesse degli allievi, dell’insegnamento e più in generale della società. 73. Codici etici o di comportamento dovrebbero essere stabiliti dalle organizzazioni degli insegnanti, poiché questi codici contribuiscono grandemente ad assicurare il prestigio della professione e lo svolgimento dei doveri professionali sulla base di principi concordati. 74. Gli insegnanti dovrebbero essere disposti a partecipare ad attività extracurricolari nell’interesse degli allievi e degli adulti. Relazioni tra gli insegnanti e l’insieme del servizio scolastico 75. Al fine di consentire agli insegnanti di svolgere al meglio il loro dovere, le autorità dovrebbero stabilire e attivare una procedura regolare di consultazione con le organizzazioni degli insegnanti su questioni quali la politica dell’insegnamento, l’organizzazione scolastica e qualsiasi mutamento che si determini nell’insegnamento. 76. Le autorità e gli insegnanti dovrebbero riconoscere l’importanza che i docenti, attraverso le loro organizzazioni o altri metodi, partecipino alla definizione degli interventi per migliorare la qualità dell’insegnamento, alle ricerche pedagogiche, nonché alla messa a punto e diffusione di nuovi e più aggiornati metodi didattici. 77. Le autorità dovrebbero favorire la costituzione e l’attività di gruppi di studio incaricati di stimolare, in ogni istituto o in strutture più ampie, la cooperazione fra gli insegnanti della stessa disciplina, e tenere in de- PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 117 bita considerazione i suggerimenti provenienti da questi gruppi. 78. Il personale amministrativo e ogni altro personale incaricato di funzioni che si rapportano con l’insegnamento dovrebbe sforzarsi di stabilire buone relazioni con gli insegnanti. IX - CONDIZIONI FAVOREVOLI A UN INSEGNAMENTO EFFICACE 85. Il lavoro dell’insegnante è così specifico e così utile che dovrebbe essere organizzato e facilitato in modo da evitare qualsiasi dispersione di tempo e di fatica. Diritti degli insegnanti Organico delle classi 79. Dovrebbe essere incoraggiata la partecipazione degli insegnanti alla vita sociale e pubblica nell’interesse degli insegnanti stessi, del servizio educativo e di tutta la società. 80. Gli insegnanti dovrebbero essere liberi di esercitare tutti i diritti civili generalmente goduti dai cittadini e dovrebbero essere eleggibili alle cariche pubbliche. 81. Quando una carica pubblica costringe l’insegnante a lasciare il suo posto, questi dovrebbe conservare i diritti agli scatti di anzianità come pure i diritti alla pensione e poter, alla fine del suo mandato, riprendere il suo posto o ottenere un posto equivalente. 82. Sia la retribuzione che le condizioni di lavoro degli insegnanti dovrebbero essere determinate attraverso negoziazione tra le organizzazioni degli insegnanti e i datori di lavoro. 83. Dovrebbero essere stabilite delle procedure, tramite regolamentazioni o accordi tra le parti, per garantire agli insegnanti il diritto di negoziare con il datore di lavoro, pubblico o privato, attraverso le proprie organizzazioni. 84. Si dovrebbero stabilire appropriati organismi paritari con il compito di regolare conflitti relativi alle condizioni di lavoro degli insegnanti, che dovessero insorgere tra questi e il datore di lavoro. Una volta esauriti i mezzi e le procedure stabilite a tale scopo, o nel caso in cui ci fosse una rottura delle negoziazioni tra le parti, le organizzazioni degli insegnanti dovrebbero avere il diritto di ricorrere agli altri mezzi d’azione di cui dispongono normalmente le altre organizzazioni per la difesa dei loro interessi legittimi. 118 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 86. Gli organici delle classi dovrebbero essere tali da permettere all’insegnante di dare a ciascuno allievo un’attenzione particolare. Dovrebbe essere possibile, di tanto in tanto, riunire gli allievi in piccoli gruppi, o anche da soli individualmente, per esempio per il recupero. Si dovrebbe ugualmente poter avere la possibilità di riunirli in grandi gruppi quando si utilizzano attrezzature audiovisive. Personale ausiliario 87. Al fine di permettere agli insegnanti di dedicare tutto il loro impegno ai loro scopi professionali, le stru t t u re scolastiche dovrebbero disporre di personale ausiliario, incaricato di funzioni diverse dall’ i n s e g n amento. Attrezzature per l’ insegnamento 88. Le autorità dovrebbero dotare gli insegnanti e i loro allievi di attrezzature moderne per l’insegnamento. Queste attrezzature non dovrebbero essere considerate sostitutive dell’insegnante, ma strumenti che permettono di migliorare la qualità dell’insegnamento e di estendere i benefici dell’istruzione a un numero più grande di allievi. Le autorità dovrebbero favorire ricerche sull’utilizzo di tutte le risorse materiali ausiliarie all’insegnamento e incoraggiare gli insegnanti a prendere parte attiva a queste ricerche. Orario di lavoro Congedo per studi 89. Il numero di ore di lavoro richieste agli insegnanti, per giorno e per settimana, dovrebbe essere fissato attraverso la consultazione con le organizzazioni degli insegnanti. 90. Quando si fissano le ore di lezioni, bisognerebbe tener conto di tutti i fattori che determinano il carico complessivo di lavoro degli insegnanti quali: 95. Gli insegnanti dovrebbero beneficiare di tanto in tanto di congedi di studio, a trattamento pieno o parziale. I congedi di studio dovrebbero essere inclusi nel calcolo dell’anzianità e della pensione. Gli insegnanti che prestano servizi in aree lontane dai centri urbani e riconosciute tali dalle pubbliche autorità, dovrebbero poter beneficiare di congedi di studio più frequenti. • il numero degli alunni di cui un insegnante deve occuparsi, per giorno e per settimana; • il tempo che è necessario riservare alla programmazione e preparazione delle lezioni e alla valutazione; • il numero delle diverse lezioni da svolgere ogni giorno; • il tempo richiesto agli insegnanti per partecipare a ricerche, ad attività extracurricolari, per sorvegliare gli allievi e per consigliarli; • il tempo che è auspicabile dare agli insegnanti per incontrare i genitori, informarli e discutere con loro dell’andamento dei loro figli. 91. Gli insegnanti dovrebbero disporre di tempo sufficiente per partecipare alle attività di formazione in servizio. 92. La partecipazione degli insegnanti ad attività extracurricolari dovrebbe essere tale da non costituire un carico eccessivo né nuocere allo svolgimento dei loro fondamentali compiti di insegnamento. 93. Quando gli insegnanti sono chiamati a esercitare particolari responsabilità pedagogiche in aggiunta all’insegnamento, il numero di ore per classe dovrebbe essere ridotto di conseguenza. Congedi annuali retribuiti 94. Tutti gli insegnanti dovrebbero avere diritto alle ferie annuali, completamente retribuite, e di durata adeguata. Congedi speciali 96. I congedi speciali accordati nel quadro di programmi di scambi culturali bilaterali o multilaterali dovrebbero essere assimilati ai periodi di servizio. 97. Gli insegnanti coinvolti in programmi di assistenza tecnica dovrebbero beneficiare di congedi senza perdere, nel loro paese di origine, il diritto agli scatti di anzianità, la possibilità d’avanzamento e il diritto alla pensione. Inoltre, si dovrebbero prevedere disposizioni particolari per permettere loro di affrontare tutte le spese supplementari. 98. Gli insegnanti stranieri ospiti di altri Paesi dovrebbero beneficiare di congedi dal proprio Paese di origine e continuare a godere dei diritti di anzianità e di pensione. 99. Gli insegnanti dovrebbero anche poter usufruire di congedi pienamente retribuiti per poter partecipare alle attività delle loro organizzazioni. Gli insegnanti dovrebbero avere il diritto di assumere incarichi nelle loro organizzazioni, beneficiando delle stesse condizioni concesse agli insegnanti che assumono una carica pubblica. 100. Gli insegnanti dov re b b e ro poter usufruire di congedi completamente retribuiti per validi motivi personali, secondo norme rese note prima dell’assunzione in servizio. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 119 Congedi di malattia e di maternità 101. Gli insegnanti dovrebbero avere diritto a congedi retribuiti per malattia. Nel determinare il periodo in cui la retribuzione viene conservata integralmente o parzialmente, si dovrebbero considerare quei casi in cui è indispensabile che gli insegnanti siano isolati dagli allievi per lunghi periodi. 102. Si dovrebbero rendere esecutive le norme fissate dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro in materia di protezione della maternità, e in particolare la Convenzione sulla protezione della maternità (1919), e la Convenzione sulla protezione della maternità (rivista) del 1952, così come le norme contenute nell’articolo126 dalla presente Raccomandazione. 103. Si dovrebbero incoraggiare le insegnanti madri di famiglia a restare in attività, autorizzandole, per esempio a prendere, a domanda, dei congedi supplementari senza retribuzione di un anno o più dopo la nascita del bambino, conservando loro il posto di lavoro, e salvaguardando tutti i diritti da esso derivanti. Scambi di insegnanti 104. Le autorità dovrebbero riconoscere l’utilità, sia per l’insegnamento che per gli insegnanti stessi, degli scambi professionali e culturali tra paesi, nonché dei viaggi all’estero degli insegnanti; e dovrebbero fare ogni sforzo per sviluppare tali possibilità e dovrebbero poi tenere conto dell’esperienza acquisita all’estero da questi insegnanti. 105. Gli insegnanti che beneficiano di questi scambi dovrebbero essere scelti senza alcuna discriminazione e non essere considerati rappresentanti di nessuna opinione politica. 106. Si dovrebbero garantire agli insegnanti tutte le facilitazioni per andar a studiare e a insegnare all’estero, assicurando il mantenimento del posto e della loro situazione. 120 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 107. Gli insegnanti dovrebbero essere incoraggiati a condividere con i loro colleghi l’esperienza acquisita all’estero. Strutture scolastiche 108. Le strutture scolastiche dovrebbero essere sicure, gradevoli nel loro insieme, e attrezzate in modo funzionale. Dovrebbero prestarsi a un insegnamento efficace e ad attività extrascolastiche, in particolare nelle regioni rurali dovrebbero diventare centri per la comunità; dovrebbero essere costruite rispettando le norme dell’igiene, e progettate come strutture durevoli, adattabili e di manutenzione facile ed economica. 109. Le autorità dovrebbero assicurare la buona conduzione dei locali scolastici in modo da non far correre alcun rischio né alla salute né alla sicurezza degli allievi e del personale insegnante. 110. Quando si progettano nuove scuole, si dovrebbero consultare i rappresentanti degli insegnanti. Quando si prevede la costruzione di nuovi locali o l’allargamento di locali in scuole già esistenti, si dovrebbe consultare il personale insegnante della struttura interessata. Benefici speciali per gli insegnanti nelle regioni rurali o lontane 111. Nelle regioni lontane dai centri urbani e definite come tali dalle autorità pubbliche, dovrebbero essere messi a disposizione degli insegnanti e delle loro famiglie alloggi decenti, preferibilmente a titolo gratuito o con affitto ridotto. Nei paesi in cui gli insegnanti, oltre alla loro funzione normale, sono chiamati a promuovere e a stimolare attività comunitarie, i programmi di sviluppo dovrebbero prevedere alloggi adeguati per loro. 112. In caso di nomina o di trasferimento in aree lontane, gli insegnanti dovrebbero ricevere indennità di trasferimento e di traslo- co per loro e per la propria famiglia. Gli insegnanti in servizio in tali aree dovrebbero, ove necessario, godere di speciali facilitazioni di viaggio per consentire loro di mantenere i loro standard professionali. Come incentivo, gli insegnanti trasferiti in zone lontane dovrebbero ricevere il rimborso delle spese di viaggio dal posto di lavoro alla città di residenza una volta all’anno quando vanno in ferie. 113. Ogni volta che gli insegnanti sono costretti a condizioni di vita particolarmente difficili, dovrebbero essere compensati con indennità speciali che dovrebbero essere pensionabili. X - RETRIBUZIONE DEGLI INSEGNANTI 114. Tra i diversi fattori che hanno incidenza sullo status degli insegnanti, un rilievo particolare dovrebbe essere dato alla retribuzione, poiché non si può negare, alla luce delle attuali tendenze, che altri fattori, quali il loro riconoscimento sociale o l’importanza attribuita alla loro funzione, dipendano in larga misura, come d’altronde avviene per molte altre analoghe professioni, dal loro status economico. 115. Le retribuzioni degli insegnanti dovrebbero: essere commisurate all’importanza che la funzione docente riveste nella società e di conseguenza all’importanza che si attribuisce a coloro che la esercitano, così come alle diverse responsabilità che loro competono dalla loro entrata in servizio; poter reggere in termini positivi il confronto con quelle professioni che richiedono analoghe o equivalenti qualificazioni; assicurare agli insegnanti un livello di vita ragionevole per loro stessi e per la loro famiglia, così come i mezzi per migliorare la loro qualificazione professionale, attraverso lo sviluppo delle loro conoscenze e l’arricchimento della loro cultura; tenere nella dovuta considerazione il fatto che certi posti esigono un’esperienza maggiore e qua- lificazioni più elevate e comportano responsabilità più ampie. 116. Gli insegnanti dovrebbero essere retribuiti sulla base di scale stipendiali stabilite in accordo con le loro organizzazioni professionali. Durante il periodo di prova o in fase di utilizzo come supplenti temporanei, gli insegnanti abilitati non dovrebbero in alcun caso essere retribuiti con una scala retributiva inferiore a quella dei docenti di ruolo. 117. La struttura retributiva degli insegnanti dovrebbe essere definita in modo da evitare qualsiasi ingiustizia e qualsiasi anomalia che possa provocare attriti tra diversi gruppi di insegnanti. 118. Quando la normativa fissa un numero massimo di ore di insegnamento curricolare, l’insegnante il cui servizio regolare ecceda questo massimo, dovrebbe ricevere una remunerazione supplementare secondo indicatori definiti. 119. Le differenze di trattamento dovrebbero essere fondate su criteri oggettivi, quali le qualifiche, l’anzianità o il grado di responsabilità; ma il divario tra il trattamento minimo e massimo dovrebbe essere mantenuto entro limiti ragionevoli. 120. La definizione della retribuzione di base degli insegnanti di discipline professionali o tecniche che non siano in possesso di laurea, dovrebbe tener conto del valore della loro formazione pratica e della loro esperienza. 121. Le retribuzioni degli insegnanti dovrebbero essere calcolate su base annuale. 122. La progressione retributiva all’interno di ogni categoria dovrebbe essere garantita tramite scatti regolari, preferibilmente annuali. La progressione tra il minimo e il massimo della scala retributiva di base dovrebbe essere contenuta entro un periodo di non più di dieci o quindici anni. Gli insegnanti dovrebbero beneficiare degli aumenti periodici anche per il servizio svolto durante il periodo di prova o in supplenze temporanee. 123. I livelli retributivi degli insegnanti dovrebbero essere rivisti periodicamente te- PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 121 nendo conto di fattori quali l’aumento del costo della vita, l’elevazione del livello della vita nazionale dovuta all’aumento della produttività, o a un aumento generale dei salari e degli indici automatici di aumento del costo della vita, l’indice dovrebbe essere fissato con la partecipazione delle organizzazioni degli insegnanti e qualsiasi indennità relativa al costo della vita dovrebbe essere considerata come parte integrante della remunerazione e quindi da inserire nel calcolo della pensione. 124. Non si dovrebbe né stabilire né applicare nessun sistema di retribuzione in base al merito, senza il preavviso e il consenso delle organizzazioni degli insegnanti. XI - SICUREZZA SOCIALE Disposizioni generali 125. Tutti gli insegnanti, indipendentemente dal tipo di scuola in cui insegnano, dovrebbero beneficiare delle stesse tutele in materia di sicurezza sociale. Tali tutele dovrebbero essere estese a chi è regolarmente assunto e svolge il periodo di prova o di tirocinio. 126. Le misure di sicurezza sociale dovrebbero tutelare gli insegnanti nei confronti dei rischi definiti dalla Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro riguardante la sicurezza sociale (norma minima) (1952), per quel che riguarda le cure mediche, i benefici accordati ai lavoratori in tema di malattia, di sciopero e di vecchiaia, per gli incidenti sul lavoro, le malattie professionali, i carichi di famiglia e la maternità, l’invalidità e le condizioni di sopravvivenza. Le norme della sicurezza sociale per gli insegnanti dovrebbero essere favorevoli almeno quanto quelle stabilite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in particolare nella convenzione riguardante la sicurezza sociale (norma minima) del 1952. I benefici definiti dalle norme sulla sicurezza sociale dovrebbero esser accordati di diritto a tutti gli insegnanti. 122 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E 127. La tutela degli insegnanti in materia di sicurezza sociale dovrebbe tener conto delle specifiche condizioni d’impiego, così come indicate negli articoli 128-140. Cure mediche 128. Nelle regioni in cui mancano i servizi medici, gli insegnanti dovrebbero essere rimborsati delle spese di viaggio quando sono obbligati a spostarsi per ricevere le cure richieste. Assegni in caso di malattia 129. Gli assegni accordati in caso di malattia dovrebbero essere assicurati durante tutta la durata dell’inabilità al lavoro che comporti la sospensione della retribuzione. Dovrebbero essere versati a partire dal primo giorno della sospensione dello stipendio. Quando la durata degli assegni per malattia è limitata, si dovrebbero prevedere prolungamenti nei casi in cui gli insegnanti siano costretti a rimanere isolati dagli allievi. Assegni per incidenti sul lavoro e malattie professionali 130. Gli insegnanti dovrebbero essere tutelati rispetto alle conseguenze derivanti da incidenti avvenuti non soltanto durante le ore di servizio interno della scuola, ma anche durante attività scolastiche organizzate all’esterno. 131. Alcune malattie infettive frequenti nei bambini dovrebbero essere considerate come malattie professionali quando sono state contratte dall’insegnante esposto al contagio degli allievi. Pensioni 132. I contributi per la pensione maturati dagli insegnanti sotto qualsiasi amministrazione scolastica all’interno del Paese, devono poter essere trasferiti in un eventuale nuovo impiego con diverso datore di lavoro. 133. Tenuto conto dei regolamenti nazionali, gli insegnanti i quali, in caso di carenza documentata di docenti, continuino il servizio dopo l’età pensionabile, dovrebbero o ricevere un credito nel calcolo della pensione per gli anni aggiuntivi che svolgono o poter beneficiare di una pensione integrativa attraverso una specifica agenzia. 134. Le pensioni di vecchiaia dovrebbero avere un rapportato con lo stipendio finale che consenta agli insegnanti di conservare un adeguato livello di vita. Assegni di invalidità 135. Agli insegnanti costretti a interrompere la propria attività in seguito a invalidità fisica o mentale dovrebbero essere versati assegni di invalidità. Si dovrebbero prevedere misure che consentano l’erogazione di una pensione, quando il caso contingente non è coperto dall’estensione degli assegni di malattia o da altri mezzi. 136. In caso di invalidità parziale, ossia quando l’insegnante riesce a esercitare le proprie funzioni solo a tempo parziale, l’interessato dovrebbe aver diritto ad assegni di invalidità ridotti. 137. Gli assegni di invalidità dovrebbero essere fissati in relazione all’ultimo salario ricevuto, in modo che l’insegnante possa conservare un adeguato livello di vita. Gli insegnanti colpiti da invalidità dovrebbero beneficiare delle cure mediche e delle prestazioni connesse, al fine di ristabilire o, almeno, migliorare il loro stato di salute; dovrebbero altresì poter disporre di servizi di riabilitazione per prepararli, ove possibile, a riprendere la loro precedente attività. Assegni di sopravvivenza 138. Le condizioni per accedere ai sussidi di sopravvivenza e l’ammontare di tali sussidi dovrebbero permettere ai beneficiari di conservare un livello di vita adeguato e di assicu- rare il benessere e l’educazione di eventuali figli a carico. Strumenti per assicurare agli insegnanti l’assistenza sociale 139. La tutela degli insegnanti in materia di sicurezza sociale dovrebbe avvenire, per quanto possibile, attraverso un sistema generale applicabile sia agli impiegati del settore pubblico sia a quelli del settore privato. Quando non esista un tale sistema generale, si dovrebbe stabilire, per uno o più casi, un sistema specifico per insegnanti, su base regolamentare o altro. Laddove il livello di tutela assicurato da un sistema generale sia inferiore a quello che è stabilito dalla presente Raccomandazione, si dovrebbe colmare il divario attraverso assegni integrativi. 140. Si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di associare rappresentanti delle organizzazioni degli insegnanti all’amministrazione per sistemi speciali o complementari, comprendenti anche l’investimento dei loro fondi. XII - CARENZA DI INSEGNANTI 141. Si dovrebbe assumere il principio guida che qualsiasi misura presa per far fronte a una grave crisi nel reclutamento degli insegnanti deve essere considerata come misura eccezionale, che non deroga o non attenta, in alcun modo, agli standard professionali stabiliti o da stabilire, e riduce al minimo, il rischio di nuocere alla preparazione degli allievi. Certi espedienti destinati a far fronte alla carenza del personale insegnante (come aumento del numero degli alunni per classe, aumento irragionevole delle ore di lezione degli insegnanti) sono incompatibili con le finalità e gli obiettivi dell’insegnamento e dannosi per gli allievi: le autorità competenti dovrebbero, con grande urgenza, mettere fine al ricorso di questi espedienti. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 123 142. Nei Paesi in via di sviluppo dove l’urgenza dei bisogni può rendere necessario il ricorso a una formazione accelerata degli insegnanti, bisognerebbe organizzare contemporaneamente una formazione completa, in modo da disporre di un corpo insegnante con tutte le competenze necessarie per orientare e guidare l’insieme dell’insegnamento. 143. Gli studenti ammessi a seguire programmi di formazione accelerata dovrebbero essere scelti secondo gli stessi criteri che presiedono l’accesso di quelli che seguono un corso normale, o meglio secondo criteri più severi, in modo che abbiano le capacità di completare successivamente la loro formazione. Si dovrebbero prevedere disposizioni e facilitazioni speciali, inclusi congedi di studio supplementari completamente retribuiti, per permettere agli insegnanti che hanno ricevuto la formazione accelerata di completare la loro qualificazione durante il servizio. 144. Nella misura del possibile, il personale non abilitato dovrebbe lavorare sotto la stretta supervisione di un insegnante professionalmente qualificato. 124 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Per poter continuare a esercitare l’insegnamento, gli insegnanti non abilitati dovrebbero essere costretti a ottenere o completare l’iter abilitante. 145. Le autorità dovrebbero riconoscere che il miglioramento dello status sociale ed economico degli insegnanti, delle loro condizioni di vita e di lavoro, del loro stato giuridico e delle loro prospettive di carriera, costituisce il mezzo migliore per rimediare a qualsiasi penuria di insegnanti professionalmente competenti e per attirare e mantenere entro la professione un buon numero di persone pienamente qualificate. XIII - CLAUSOLA FINALE 146. Quando gli insegnanti godranno di uno status che sia, per certi aspetti, più favorevole di quello indicato dalle disposizioni della presente Raccomandazione, queste disposizioni non dovranno essere, in alcun caso, invocate per negare le migliori condizioni conquistate. ANNALI DELL’ISTRUZIONE DOCUMENTO d e l C O N S I G L I O NAZIONALE d e l l a PUBBLICA ISTRUZIONE s u l CODICE DEONTOLOGICO del PERSONALE della SCUOLA Adunanza dell’11 settembre 2002 Il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione rileva che da diversi anni, associazioni professionali e organizzazioni sindacali hanno avviato riflessione e confronti sulla deontologia dei docenti, una tematica che rimanda ad aspetti generali della società contemporanea, relativi alle modalità e al senso stesso dell’agire sociale. L’attuale complessità sociale pone infatti, a tutti i livelli, e per tutte le persone, questioni di ridefinizione di ruoli e funzioni. Il rinnovato interesse per le problematiche etiche in generale e l’attenzione sociale verso l’etica delle professioni si collocano in tale contesto. Come altre fondamentali istituzioni sociali anche la scuola è chiamata a ridefinire la propria funzione sociale e quindi a contestualizzare e anche a delimitare il proprio compito di trasmissione ed elaborazione culturale. Le mutazioni del ruolo della scuola pongono la necessità di una ridefinizione della funzione docente nei termini di una professione specifica. Si tratta di un percorso difficile, in cui registriamo, nel nostro Paese, un ritardo di ela- borazione ed evidenti problemi di decisione politica. Tale situazione è resa ormai evidente dalla stessa evoluzione del quadro normativo. La contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e l’autonomia delle istituzioni scolastiche rappresentano due passaggi essenziali di tale evoluzione e pongono questioni non rinviabili per il carattere e l’esercizio della funzione docente. Il dibattito sulla deontologia professionale dei docenti pone questioni sulle quali, nella categoria, c’è una diffusa consapevolezza, ma suscita anche reazioni e argomentate valutazioni, per i rischi che una regolazione di comportamenti nell’esercizio della attività educativa e didattica, può comportare proprio per la libertà e l’autonomia professionale. L’insegnante svolge un’attività caratterizzata da autonomia progettuale e operativa, fondata su un alto livello di competenza e di responsabilità. L’esercizio della professione si realizza in un contesto istituzionale specifico, la scuola, in cui caratteri, le finalità del sistema scolastico e delle istituzioni scolastiche e la stessa PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 125 autonomia professionale dei docenti hanno un diretto fondamento costituzionale. In questo quadro la professione docente assume il carattere di una specifica funzione pubblica. L’ambito teorico e pratico della deontologia della professione docente è definito, quindi, dal carattere e dalla specificità del lavoro degli insegnanti (competenze, collegialità ecc.) e dalla funzione pubblica che, nella scuola, gli insegnanti svolgono nell’esercizio della professione. Tra la normativa generale e specifica sull’istruzione e la scuola e la normativa contrattuale che regola il rapporto di lavoro si colloca l’agire professionale dei docenti, quindi lo spazio specifico della deontologia. La deontologia professionale dei docenti si fonda sul concetto di responsabilità. Responsabilità è un concetto complesso, dai molteplici significati. Semplificando possiamo dire che essere responsabili significa essere in grado di rispondere a qualcuno di qualcosa, essere in grado di dare risposte. Come è evidente, già questa definizione semplice che si fonda sulla stessa etimologia insiste su due elementi costitutivi: • indica l’essere responsabile nel senso di essere autore di azioni e dunque dì poterne rispondere per la possibilità di agire autonomamente in una condizione di libertà; • il secondo aspetto è costituito dalla relazione: rispondere a qualcuno di qualcosa. Il binomio autonomia-relazione definisce in modo adeguato la responsabilità in ambito professionale e costituisce un riferimento per ogni ipotesi di regolazione deontologica. Nel profilo dell’insegnante emerge, infatti, una tensione che gli specialismi disciplinari o metodologici lasciano inevitabilmente scoperta. Sulla base di quanto fin qui esposto possiamo porci il problema di un codice deontologico per docenti. 126 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E L’esigenza della definizione di un codice deontologico per la professione docente si rende oggi evidente per due ordini di ragioni: • i grandi mutamenti connessi alla diffusione e all’uso delle nuove tecnologie e alle nuove frontiere della ricerca, pongono domande inquietanti sugli effetti delle stesse sulle persone sulla loro vita, sulla loro libertà. Emerge così una nuova domanda etica che pone al centro la responsabilità della persona come nuova dimensione dell’agire pubblico; • è profondamente mutato anche il lavoro docente. Il processo che si è aperto con l’avvio dell’autonomia scolastica può liberare progressivamente la professione docente da quei vincoli che hanno contraddistinto il modello burocratico e centralista dell’istruzione, ponendo sempre più al centro del processo educativo la persona che apprende, i suoi diritti e le sue attese e insieme il contenuto, la qualità, le modalità con cui si esercita la responsabilità professionale dei docenti. Il lavoro degli insegnanti appare oggi descrivibile in tre grandi ambiti: ambito costituzionale e legislativo. Definisce: – le finalità e il modello organizzativo generale del sistema nazionale di istruzione e formazione fondato su una visione policentrica: il ruolo dello Stato, delle regioni e delle istituzioni scolastiche autonome; – la garanzia costituzionale delle libertà di insegnamento nella scuola pubblica come tutela dell’autonomia professionale dei docenti, così come previsto dall’art. 33 della Costituzione. I diritti e i doveri della persona che apprende; – i diritti di partecipazione alla vita scolastica dei docenti e delle diverse componenti scolastiche. Ambito contrattuale. Definisce: – tutti gli aspetti della dinamica professionale; gli istituti fondamentali dell’or- ganizzazione del lavoro, la retribuzione e i suoi diversi istituti, il sistema di relazioni fra le diverse funzioni e profili professionali presenti nella scuola. Ambito deontologico. Definisce: – i principi fondamentali ai quali conformare la pratica professionale nel rapporto con il soggetto che apprende, con i colleghi, con le diverse espressioni della comunità in cui la scuola è inserita. In tale contesto sì possono indicativamente individuare alcuni contenuti, egualmente rilevanti, del codice deontologico: • rispetto della dignità umana; • adempimento del compito dell’insegnamento; • organizzazione professionale dell’insegnamento; • contributo al lavoro collegiale e nel team docente; • salvaguardia e sviluppo della qualità; • direzione e responsabilità; • collaborazione con i partner della scuola; • riservatezza; • rispetto delle norme. Il codice deontologico, come tratto distintivo di una professione, assolve a due funzioni fondamentali: • tutela e garanzia per i soggetti che fruiscono dell’azione professionale, riguardante, come nel caso dell’ attività dei docenti, diritti fondamentali costituzionalmente definiti; • tutela e garanzia dell’autonomia professionale, del ruolo sociale e quindi del prestigio della professione. Il codice deontologico indica orientamenti e regole di condotta per l’esercizio della professione. È orientamento prevalente considerare extra giuridica tale regolazione, ritenendo la ca- tegoria professionale sovrana nella individuazione e definizione delle regole che, in assenza o difetto di espressa previsione legislativa, disciplinano le relazioni e l’attività di un gruppo professionale. Tale orientamento della giurisprudenza si estende anche all’aspetto disciplinare, riconoscendo a specifici organismi rappresentativi della categoria, autonomia di definizione e valutazione degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni. L’esigenza di una ridefinizione nei termini dell’agire professionale delle problematiche disciplinari emerge dalla stessa esperienza degli organi disciplinari e del contenzioso in seno al CNPI. L’attuale assetto normativo e procedurale appare non più adeguato alla luce dei cambiamenti del sistema scolastico e delle relazioni tra i soggetti del processo educativo. In materia di contenzioso e organismi disciplinari il CNPI ha approvato uno specifico documento che costituisce, anche alla luce dell’attuale dibattito, un utile contributo di analisi e di proposta. Secondo alcuni la definizione di un codice deontologico dei docenti presuppone o comunque è strettamente legata alla costituzione di un ordine professionale. Non questa la sede per tentare un’analisi della natura, della funzione storica e delle problematiche attuali degli ordini professionali. Le caratteristiche degli ordini professionali, finalizzate storicamente alla tutela delle libere professioni e sul piano deontologico alla regolazione dei rapporti tra professionista e utente-cliente, non sono trasferibili alla figura professionale del docente che opera con un rapporto di lavoro dipendente non subordinato, all’interno di un progetto formativo, definito nelle finalità generali e nella struttura a livello nazionale, elaborato e realizzato nel contesto dell’autonomia didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche. Sulla base della prospettiva qui delineata emergono alcune conseguenti considerazioni. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 127 Il codice deontologico dei docenti, anche per le peculiarità della relazione educativa e le caratteristiche dell’attività didattica, non può configurarsi come un decalogo prescrittivo di comportamento professionale. Il codice indica valori, orientamento, criteri per le autonome decisioni dei docenti nelle varie situazioni professionali e nelle relazioni tra i diversi soggetti coinvolti nell’attività scolastica. Per la natura stessa del codice deontologico, per il carattere extragiuridico delle indicazioni in esso contenute, solo la categoria professionale può elaborare, definire e approvare un codice deontologico. Nessun organo istituzionale e politico può avere competenza sul «dover essere della professione». Stabilito che i principi e le indicazioni deontologiche rimangono al di fuori del sistema delle fonti del diritto, occorre considerare il rapporto che intercorre tra codice deontologico ed esercizio dell’azione disciplinare da parte degli organi competenti. A questo riguardo si ritiene che le regole deontologiche, non avendo l’efficacia di norme giuridiche, possano essere riconosciute e considerate come autorevole riferimento nell’esercizio della stessa azione disciplinare nei confronti dei docenti, da parte di qualsiasi or- 128 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E gano istituzionale normativamente previsto per questa funzione. In questa prospettiva è fondamentale individuare i soggetti che possono avviare un percorso per la costruzione del codice, le modalità di partecipazione alla fase di elaborazione, le procedure di approvazione. Un codice deontologico, ovviamente, non inventa la deontologia dei docenti. Il codice raccoglie, elabora, definisce la consapevolezza, i valori e gli orientamenti condivisi della categoria su aspetti costitutivi dell’identità professionale. Per questo il codice deontologico è utile solo se le indicazioni in esso contenute vengono sentite come punti di forza per l’attività professionale, al di là dei diversi orientamenti culturali, politici, sindacali e associativi. In questa prospettiva è possibile ipotizzare una prima proposta dei soggetti associativi e sindacali dei docenti per l’avvio di una fase di approfondimento, dibattito che deve coinvolgere i docenti a livello individuale e collegiale. Questo percorso dovrebbe avere una coerente conclusione con una formale procedura di approvazione del codice deontologico da parte di una maggioranza qualificata della categoria. ANNALI DELL’ISTRUZIONE CODICI DEONTOLOGICI di alcuni PAESI OCSE CANADA-BRITISH COLUMBIA TEACHERS’ FEDERATION (BCTF) Code of Ethics The Code of Ethics states general rules for maintaining high standards of professional service and conduct toward students, colleagues and the professional union. 1. The teacher speaks and acts toward students with respect and dignity, and deals judiciously with them, always mindful of their rights and sensibilities. 2. The teacher respects the confidential nature of information concerning students and may give it only to authorized persons or agencies directly concerned with their welfare. 3. The teacher recognizes that a privileged relationship with students exists and refrains from exploiting that relationship for material, ideological, or other advantage. 4. The teacher is willing to review with colleagues, students and their parents/guardians the quality of service rendered by the teacher and the practices employed in discharging professional duties. 5. The teacher directs any criticism of the teaching performance and related work of a colleague to that colleague in private and only then, after informing the colleague in writing of the intent to do so, may direct in confidence the criticism to appropriate individuals who are able to offer advice and assistance. (See note below and procedure 31.B.10). 6. The teacher acknowledges the authority and responsibilities of the BCTF and its locals and fulfills obligations arising from membership in his/her professional union. 7. The teacher adheres to the provisions of the local collective agreement. 8. The teacher acts in a manner not prejudicial to job actions of other collective strategies of his/her professional union. 9. The teacher neither applies for nor accepts a position which is included in a federation in-dispute declaration. 10. The teacher, as an individual or as a member of a group of teachers, does not make unauthorized representations to out- PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 129 side bodies in the name of the federation or its local associations. Note: It shall not be considered a breach of Clause 5 of the Code of Ethics to report reasonable grounds for suspecting child abuse to proper authorities according to legal provisions and official protocol requirements. Procedure 31.B.10 Advice on how to proceed with a concern respecting a colleague’s teaching and related work may be sought from federation staff and/or local officers in good faith. Such discussion will not constitute a breach of clause 5. ‘Appropriate individuals’ in clause 5 of the Code of Ethics shall mean those persons who are able to offer advice and assistance on questions of teaching practices and their effect on students. The first emphasis should be at all times on exploring means of assisting, rehabilitating, and correcting. (Taken from British Columbia Teachers’ Federation: AGM 1999) FRANCIA - LIVRET NATIONAL DU PROFESSEUR STAGIAIRE Préambule Vous venez de réussir un concours de recrutement difficile, pour devenir professeur ou conseiller principal d’éducation et entrer dans la fonction publique. Vous intégrez un service public, une institution, l’Éducation nationale, qui a des traditions, une histoire liée à celle de la République et emploie plus d’un million de personnes; la nation lui consacre une part importante de son budget. Vous connaissez l’une de ses missions: l’école pour tous doit assurer, grâce à la 130 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E transmission des savoirs, la réussite de chacun et rendre possible, dans un souci d’égalité des chances, l’accès de chaque élève aux différents types ou niveaux de la formation scolaire. La démocratisation de renseignement nécessitera votre engagement, malgré les difficultés qui pourront se présenter. Les enfants sont extrêmement dive r s par leurs personnalités, leurs origines sociales, par tout ce qui a déjà contribué à leur donner des capacités variées mais toujours susceptibles d’évolution. Tous vous sont confiés, l’enjeu de votre formation est de vous préparer, comme enseignant, pédagogue et éducateur, à les pre n d re en charge. Enseigner, c’est faire accéder au savoir les enfants de toute origine, leur permettant d’atteindre un niveau de connaissances élevé, condition indispensable pour une intégration réussie dans la société française. Eduquer, c’est créer les conditions permettant à chaque élève de développer ses aptitudes, sa personnalité, son autonomie, c’est l’aider à s’insérer dans la société, à développer son esprit critique et à construire sa citoyenneté en respectant les valeurs de la culture républicaine qui permettent la vie en commun et l’accès à la démocratie. Ce sont les exigences et la noblesse de votre rôle. Vous partagez cette fonction d’éducation avec l’ensemble des membres de la communauté éducative de l’école, de l’établissement. Le métier dans lequel vous entrez nécessite une implication personnelle importante. Vous allez mettre à l’épreuve de la réalité vos motivations personnelles et votre désir d’ e n s e i g n e r. Vous connaîtrez la réussite, mais aussi, le doute ou parfois et momentanément l’échec. Si tel devait être le cas, ne craignez pas d’en parler à votre entourage professionnel et avec vos collègues professeurs stagiaires; la mise à distance du doute permet d’éviter une inutile mésestime de soi et de retrouver la sérénité nécessaire. Durant toute cette année de formation initiale, l’IUFM mettra en place les conditions vous permettant d’assumer votre part de responsabilité dans la formation. Vous é t i ez étudiant, vous deve n ez pro f e s s e u r chargé de transmettre les sa voirs ou conseiller principal d’éducation et vous avez à établir une relation juste avec des enfants, des jeunes, des collègues, des parents, etc. Il s’agit là de tâches stimulantes qui solliciteront sans cesse vo t re adaptabilité, vo t re créativité et votre capacité d’autonomie. 1. L’entrée dans la Fonction publique Vous êtes à présent fonctionnaire stagiaire à l’IUFM. Ce changement de statut passe par une véritable mutation que la formation va vous aider à réussir. Il vous inscrit dans une perspective professionnelle à long terme, en même temps qu’il vous fait entrer au sein de l’Education nationale, dans une situation statutaire et réglementaire complètement nouvelle. Salarié de l’Etat, vous avez désormais des obligations comme vous avez des droits. Votre première obligation de fonctionnaire stagiaire est de vous former pour exercer la profession pour laquelle vous venez d’etre recruté. Vous allez bénéficier d’une formation disciplinaire et professionnelle de haut niveau scientifique, dont les contenus, les démarches et l’esprit sont différents des enseignements universitaires que vous avez suivis jusqu’ici. Après la réussite au concours, il s’agit pour vous de mobiliser les connaissances acquises à l’université pour c o n s t ru i re les compétences attendues de vous, d’en acquérir progressivement de nouvelles et de développer aussi votre réflexion afin d’enseigner et d’éduquer, en prenant en compte les programmes en vigueur et les priorités nationales. Ces acquisitions seront évaluées et validées en fin d’année. Enseigner et éduquer dans des écoles, des établissements scolaires très divers est un métier qui s’apprend. Cette affirmation ne va pas de soi: certains mettent l’accent sur la maîtrise des disciplines, allant parfois jusqu’à en faire une condition suffisante pour enseigner. D’autres pensent que la maîtrise de la relation pédagogique prévaut très largement. Le travail de l’enseignant, au-delà de ce qui est visible par tous dans l’organisation scolaire, demeure complexe. Il nécessite un apprentissage guidé et un travail en équipe au sein de votre nouveau milieu professionnel. L’enseignant n’est pas uniquement une personne privée, il est investi d’un rôle social qui lui impose et lui interdit certains comportements et son statut de fonctionnaire ne lui permet pas de se considérer comme un professionnel indépendant. L’année à l’IUFM est nécessaire pour appréhender et comprendre les différents aspects de l’activité d’enseignant, de documentaliste, ou de conseiller principal d’éducation, pour vous entraîner et affermir vo t re engagement afin d’ e xe rcer au mieux votre métier. Vo t re formation, à l’IUFM, dans les écoles et les établissements scolaires, est la formation que l’institution Education nationale donne aux agents qu’elle recrute. Cette institution est un service public qui a des missions, des règles de fonctionnement qui traduisent le souci de l’intérêt collectif tel qu’il est défini par la représentation nationale et une éthique qui s’inspire des valeurs de la République. Il y a donc une conception de l’école publique et laïque, de son action et de son rôle dans la société, qu’il vous faudra comprendre et assumer. Fondée sur les valeurs de laïcité, d’égalité et de justice, la loi assure à chaque fonctionnaire et à chaque élève des droits fondamentaux. L’école républicaine a pour but d’éduquer aux règles qui permettent de v i v re ensemble: vous êtes garant de ces règles que vous veillerez à transmettre à travers l’ensemble des activités scolaires. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 131 2. La prise en charge institutionnelle de la formation L’année qui suit le concours est le premier temps d’un processus de formation qui s’étendra sur toute votre vie professionnelle. Votre formation est assurée sous la responsabilité et l’autorité du Ministre de l’Education Nationale. Toute l’institution y est engagée au service de la réussite humaine et intellectuelle des élèves, au service de leurs familles et de la communauté nationale. La formation est déléguée à un institut professionnel d’enseignement supérieur – l’IUFM –, créé à cet effet par la Loi d’orientation du 10 juillet 1989. L’IUFM élabore et met en œuvre le plan de formation, agréé par le Ministre de l’Education nationale. La responsabilité de l’IUFM concerne tout autant l’organisation et les contenus des activités ayant lieu dans l’institut que le suivi de votre pratique professionnelle débutante dans des situations de responsabilité devant une classe, dans une école ou un établissement. En effet, votre formation se déroule, en alternance, dans des lieux distincts: – à l’IUFM, centre de référence universitaire, lieu de ressources scientifiques et disciplinaires, de construction de compétences techniques, d’interrogation, d’analyse des pratiques et d’échanges; – dans une école, un collège ou un lycée où vous assurerez, devant des élèves, des enseignements, des activités au service d’un projet auquel vous participerez; votre pratique professionnelle débutante sera confrontée aux réalités sans lesquelles il ne saurait y avoir de véritable formation au métier. Vous vous formerez comme enseignant, ce qui nécessite le passage des savoirs universitaires aux savoirs scolaires, éclairé par une réflexion critique, d’une part sur la ou 132 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E les discipline(s) d’enseignement, d’autre part sur la pratique professionnelle ellemême. Vous commencerez à vous former comme professionnel de l’enseignement et de l’éducation, à l’écoute exigeante de chaque élève et de chaque groupe qui vous sont confiés, sachant établir le contact nécessaire avec les parents d’élèves. Vous vous formerez comme fonctionnaire exerçant avec des pairs dans des écoles, des établissements aux caractéristiques et aux publics très hétérogènes, dans un environnement professionnel défini et situé dans une hiérarchie pédagogique et administrative. Votre formation institutionnelle traitera: – rapports aux normes (textes législatifs, textes réglementaires, programmes, circulaires); – des projets à construire avec d’autres professionnels exerçant dans l’éducation nationale (personnels sociaux et de santé, d’éducation et de surveillance, conseillers d’orientation, psychologues,…); – de la connaissance des divers dispositifs de prise en charge de publics spécifiques (classe d’intégration scolaire, section d’enseignement général et professionnel adapté, notamment) ou de formation continue (groupement d’établissements…); – des partenariats avec des acteurs externes situés dans l’environnement de l’école, de l’établissement (autres administrations, collectivités territoriales, monde du sport, de la culture, de la santé, des entreprises). A l’IUFM sont rassemblés des professeurs titulaires, enseignants-chercheurs, enseignants du premier et du second degrés, des formateurs à temps plein ou à temps partagé et des professeurs stagiaires. Tous sont vos futurs collègues. Les formateurs de l’IUFM concourent avec les formateurs exerçant dans les écoles et les établissements (collèges ou lycées) et les responsables de ces établissements à la mise en œuvre du plan de formation et à l’encadrement de votre formation. Ils s’adressent à vous comme à un jeune collègue, adulte, en formation. Vous êtes donc en partie responsable avec eux de la conception et de la réalisation de cette première étape de votre parcours de formation, au même titre que vous êtes en situation de responsabilité dans les classes au cours des stages. L’IUFM est un établissement d’enseignement supérieur. La formation y est conçue pour vous donner accès à des savoirs, à des outils intellectuels et pratiques vous permettant de les organiser et de les transmettre. La rédaction et la soutenance d’un mémoire professionnel dont l’objectif est d’analyser et de penser sa pratique sont des exigences constitutives de la formation universitaire en IUFM et s’inscrivent pleinement dans la perspective de développement de cette réflexion. Votre capacité d’autonomie et de créativité doit s’y exprimer pleinement. Par ailleurs, au cours de votre année: – vous aurez à vous montrer capable d’expliciter et d’analyser votre choix du métier d’enseignant, de documentaliste, de conseiller principal d’éducation; – vous aurez à faire preuve de votre capacité à assumer des responsabilités éducatives devant des élèves et plus généralement dans l’institution; – vous aurez à vous approprier les exigences du service public (partage des valeurs républicaines, laïcité, acceptation des contraintes du devoir de réserve, etc.). L’appréciation positive de ces éléments permettra à l’IUFM de valider votre formation. Le Directeur de l’IUFM proposera la validation (ou la non validation) de votre année de formation au jury académique présidé par le Recteur. Le Recteur au nom du Ministre de l’Education Nationale prononcera votre titularisation. La titularisation ne constitue pas la fin du processus de formation. Le professeur titulaire bénéficie d’un accompagnement dans le métier dans l’académie ou le département où il sera affecté. La formation continue l’aidera tout au long de sa carrière. 3. La formation, apprentissage d’un métier La formation mise en place par l’IUFM a pour but de vous aider à construire une identité professionnelle qui s’appuiera sur des savoirs, des savoirs, des savoir-faire et des gestes professionnels. Tout en proposant des réponses aux problèmes immédiats liés à votre prise de fonction, cette formation vise à développer progressivement les compétences nécessaires à l’exercice du métier d’enseignant, de documentaliste et de conseiller principal d’éducation dont les principales sont: – maîtriser les attitudes et les gestes professionnels nécessaires à la conduite, à l’analyse et à revaluation de situations d’apprentissage; – élaborer des démarches adaptées aux différents contextes d’exercice et à son style personnel d’enseignement, ou pour les documentalistes à l’accompagnement documentaire des différentes disciplines; – maîtriser la démarche de projet (élaboration, rédaction, mise en œuvre, évaluation); – maîtriser les compétences et les techniques requises pour enseigner aujourd’hui, dans un environnement multimédia en constante évolution; – adopter des modes relationnels et d’affirmation de l’autorité aidant à la conduite de la classe et prenant en compte la diversité des élèves; – mettre en œuvre le travail en équipe et une collaboration fructueuse avec les PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 133 collègues, permettant ainsi l’animation éducative d’un établissement (vie collective, suivi et orientation des élèves, …); – développer le dialogue avec les familles et les principaux partenaires de l’école (travailleurs sociaux, collectivités, associations, …); – faire le bilan de sa formation initiale et inscrire celle-ci dans un projet de formation tout au long de la carrière. Durant cette année de formation, vous s e rez placé, par moments, en situation d’enseignement et d’éducation, vous assurerez alors pleinement la responsabilité pédagogique des élèves dont vous aurez la charge. Vous devrez prendre conscience de cette position particulière, que vous soyez en pratique accompagnée ou en responsabilité. Tous les publics scolaires méritent de votre part une égale attention. Vous veillerez notamment à dispenser votre enseignement en considérant les besoins d’éducation de chaque élève. En situation de professeur stagiaire, vous aurez à transmettre et à faire acquérir des connaissances, des valeurs, des comportements, en direction de jeunes, dans le cadre d’un projet du service public de l’éducation dont la mission et les objectifs sont périodiquement redéfinis dans notre démocratie. Vous devez contribuer à former en chaque élève le futur citoyen capable d’une réflexion autonome et critique. 4. Les interlocuteurs au cours de la formation En tant que fonctionnaire stagiaire, vous êtes placé(e) sous l’autorité du Ministre de l’éducation nationale, représenté par le Recteur de l’académie dans laquelle vous êtes affecté(e). Dans le domaine de la formation, vous êtes sous la responsabilité du Directeur de l’IUFM. L’institut universitaire de formation des maîtres de l’académie est l’établisse134 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E ment d’enseignement supérieur qui assure votre formation, qui se déroulera d’une part à l’IUFM, d’autre part dans plusieurs lieux d’exercice, écoles, établissements scolaires, où vous exercerez votre responsabilité d’enseignant durant les périodes de stages. (Ávril 2002) SPAGNA - RÉGIMEN DE DERECHOS Y DEBERES DE LOS FUNCIONARIOS PÚBLICOS DOCENTES Artículo 47. Derechos individuales 1. Los funcionarios docentes, como funcionarios públicos, tienen los siguientes derechos profesionales: a. Al mantenimiento de su condición funcionarial, al desempeño efectivo de tareas o funciones propias de su Cuerpo y a no ser re m ovidos del puesto de trabajo que desempeñen sino en los supuestos y condiciones establecidos legalmente. b. A la carrera profesional, a través de los mecanismos de progresión y promoción profesional establecidos en esta Ley, de acuerdo con los principios de igualdad, mérito y capacidad. c. A la movilidad territorial en todo el ámbito del Estado mediante su participación en los concursos de traslados convocados al efecto. d. A percibir la retribución y las indemnizaciones por razón del servicio establecidas legalmente. e. A la formación permanente y cualificación profesional. f. A participar en los órganos de selección o valoración en los términos establecidos reglamentariamente. g. A ser informados por los responsables de los órganos de gobierno y de coordinación docente del centro de las tareas o cometidos a desempeñar y a partici- par en la consecución de los objetivos relacionados con su labor docente. h. A que sea respetada su intimidad y dignidad en el trabajo. i. A vacaciones y permisos. j. A recibir por parte de la Administración Pública protección eficaz en materia de seguridad y salud en el trabajo. k. A recibir asistencia jurídica y protección de la Administración Pública en el ejercicio de sus tareas, funciones o cargos en los términos previstos en la normativa vigente. l. A la jubilación en los términos y condiciones establecidos en este Estatuto. m. A las prestaciones de Seguridad Social correspondientes al régimen que le sea de aplicación. 2. Los funcionarios públicos docentes, en el desempeño de su actividad docente tienen, ademas, los siguientes derechos profesionales: a. A la libertad de Cátedra orientando su ejercicio a la realización de los fines educativos y de conformidad con los principios establecidos en la legislación vigente y en el Proyecto educativo del Centro. b. A ejercer funciones docentes empleando los métodos que consideren más adecuados, dentro de lo establecido en el currículo correspondiente. c. A intervenir y participar en el funcionamiento del centro en cuanto afecte a su organización y gestiòn a través de los cauces reglamentarios. d. A elegir a sus representantes en los órganos colegiados en los que así esté establecido y a postularse como representante. e. A la participación en los órganos colegiados en calidad de representante del profesorado de acuerdo con las disposiciones vigentes. f. A ejercer las funciones directivas y de coordinación en los centros y servicios para los que fuesen designados en los términos establecidos legalmente y a postularse para estos nombramientos. Artículo 48. Derechos colectivos Los funcionarios docentes tienen los siguientes derechos colectivos, en los términos establecidos por la Constitución y las Leyes: a. A la libre sindicación. b. A la actividad sindical. c. A la huelga, garantizándose el mantenimiento de los servicios esenciales. d. A lo negociación colectiva y a la participación en la determinación de las condiciones de trabajo. e. De reunión. f. A la libre asociación profesional. Artículo 49. Deberes de los funcionarios docentes 1. Los funcionarios docentes, como funcionarios públicos, están obligados a: a. Respetar la Constitución, el Estatuto de Autonomía de la Comunidad donde preste servicio y el resto del ordenamiento jurídico. b. Ejercer sus tareas, funciones o cargos con lealtad e imparcialidad y servir con objetividad los intereses generales y en particular, los intereses de la comunidad educativa. c. Cumplir con diligencia las instrucciones profesionales recibidas por vía jerárquica. d. Realizar las funciones o tareas que tengan asignadas y aquellas otras que les encomienden, dentro del ámbito de su competencia, los responsables del gobierno del centro o servicio docente, para el cumplimiento de sus objetivos. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 135 e. Cumplir el régimen de jornada y horario establecidos. f. Mantener sigilo de los asuntos que conozcan por razón de sus cargos o funciones y no hacer uso indebido de la información obtenida. g. Guardar secreto de las materias cuya difusión esté prohibida legalmente. h. Dar cuenta a las autoridades competentes de aquellas órdenes que, a su juicio, fuesen contrarias a la legalidad o constitutivas de delito. i. Cumplir el régimen de incompatibilidades. j. Tratar con atención y respeto a los ciudadanos y en especial a los integrantes de la comunidad escolar. k. Velar por la conservación y uso correcto de los locales, material, documentos e información a su cargo. l. No utilizar los medios propiedad de la Administración educativa en provecho propio ni ejercer sus cometidos de forma que puedan beneficiar ilegítimamente a sí mismos o a otras personas. m. Tratar con corrección y consideración o los superiores jerárquicos, compañeros y subordinados. 2. Los funcionarios públicos docentes, en el ejercicio de su actividad docente tienen, ademàs, los siguientes deberes: a. Respetar y cumplir el proyecto educativo del centro, de acuerdo con la legislación vigente. b. A atender a padres y alumnos y, en su caso, al ejercicio de la tutoría. c. Evaluar con plena efectividad y objetividad el rendimiento escolar de los alumnos, de acuerdo con el proyecto curricular del centro, atendiendo a la diversidad de capacidades, intereses y motivaciones de los alumnos. d. Utilizar los métodos de enseñanza adecuados para promover el aprendizaje de los contenidos escolares de acuerdo con el proyecto educativo del centro. 136 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E e. Participar en los órganos colegiados y de coordinación docente del centro. f. Tomar parte en las actividades de formación permanente y perf e ccionamiento profesional. g. Cumplir las disposiciones sobre la enseñanza, cooperando con las autoridades educativas para lograr la mayor eficacia de las enseñanzas en interés de los alumnos y de la sociedad. h. Atender en caso de huelga los servicios esenciales establecidos por la autoridad competente. i. Respetar la libertad de conciencia y las convicciones religiosas y morales, así como la dignidad, integridad e intimidad de todos los miembros de la comunidad educativa. j. Participar en los órganos de selección o valoración cuando resulten designados por los órganos competentes de la Administración educativa. SVIZZERA - CODE DE DEONTOLOGIE DES ENSEIGNANTES ET DES ENSEIGNANTS MEMBRES DE LA SOCIETE PEDAGOGIQUE ROMANDE Avertissement Lorsqu’à la fin du XIXe et au début du XXe siècle les membres de la SPR, au cours de leurs congrès retraçaient le portrait du maître idéal, définissant également ses droits et devoirs, ils ne songeaient pas à la rédaction d’une charte professionnelle, pourtant les principes énoncés auraient pu figurer en bonne place dans un véritable code d’éthique ou de déontologie. En 1948, un projet de Charte des éducateurs fut présenté au Congrès de la FIAI (Fédération internationale des associations d’instituteurs) et publié dans le bulletin corporatif de la SPR. A la même époque, l’Unesco inscrivait au nombre de ses préoccupations la rédaction d’une sorte de code des droits et devoirs pour les éducateurs du monde entier. Un comité d’entente des fédérations internationales d’enseignants présentait en 1994 un nouveau texte pour la Charte des éducateurs dont s’inspirera l’Unesco. Malgré une publication dans l’Educateur, le texte ne trouva aucun écho auprès des enseignants romands. Sans doute l’idée était-elle encore trop novatrice puisqu’il a fallu attendre le congrès de 1995 pour que la décision de rédiger un texte soit enfin prise. Le code de déontologie de la SPR se réfère à deux textes essentiels: la Convention internationale relative aux droits de l’enfant et la Recommandation OIT-Unesco concernant la condition du personnel enseignant. Cette Recommandation, adoptée par une conférence intergouvemementale spéciale en 1966 et reconnue par la plupart des gouvernements, offre à la profession enseignante une véritable Charte qui définit les droits et les devoirs des enseignants et les conditions leur permettant d’exercer leurs fonctions dans les meilleurs conditions possibles, en insistant notamment sur: – – – – la durée du travail; les effectifs de classe; la sécurité de l’emploi; les possibilités de perfectionnement offertes aux enseignants; – la reconnaissance des organisations d’enseignants qui négocient les traitement et les conditions travail et qui sont associées à l’élaboration de la politique scolaire. Il contribue à la socialisation de l’enfant et à son intégration au sein de la classe; il associe les élèves à l’élaboration des règles nécessaires à la vie commune. Il est à l’écoute de l’enfant et des informations le concernant. Il l’assiste si son intégrité physique ou morale est menacée. Il évite toute forme de discrimination. Il se garde de tout fanatisme et prosélytisme. Il pratique un esprit de tolérance et s’efforce de le communiquer à ses élèves. L’enseignant agit en professionnel de l’éducation Il fait preuve de conscience professionnelle en toute occasion. Il se tient au courant de l’évolution des idées pédagogiques; il veille à développer constamment ses connaissances et compétences. Il respecte le devoir de réserve ou le secret de fonction lié à la profession. Il manifeste curiosité intellectuelle et ouverture au monde. Il sait se mettre en question; il pratique son auto-évaluation. Il soutient les options pédagogiques de son association professionnelle. Il fait preuve de sens critique, d’autonomie, et sait prendre ses responsabilités. Il recherche un avis ou une aide extérieure s’il se trouve en difficulté. Il intervient auprès d’un collègue qui ne respecterait pas les règles d’éthique ou de tout autre membre des personnels de l’école qui nuirait aux intérêts de l’enfant. Il refuse la «loi du silence». L’enseignant respecte les droits fondamentaux de l’enfant L’enseignant contribue à créer un esprit de collégialité au sein de son établissement Il favorise l’épanouissement de la personnalité de l’enfant. Il met tout en oeuvre pour un développement optimal de l’enfant. Il travaille à la construction d’une collaboration avec les collègues et les autres intervenants de l’école. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 137 Il participe à l’élaboration des règles de son établissement et contribue à les faire respecter. Il tient compte avec objectivité des points de vue et des compétences de ses collègues. Il respecte le travail de ses collègues et évite de rendre publiques d’éventuelles divergences. Il participe à la défense des collègues injustement accusés. Il soutient les collègues en difficulté; il participe activement à la recherche de solutions. L’enseignant collabore le plus étroitement possible avec les parents Il se garde de toute forme de discrimination en rapport avec la nationalité, l’appartenance ethnique, le niveau social, la religion, les opinions politiques, l’infirmité, la maladie. Il seconde les parents dans leur tâche éducative. Il est à l’écoute des parents et s’efforce de maintenir le dialogue. Il expose clairement ses objectifs pédagogiques et sait au besoin les adapter aux situations particulières de l’enfant. Il n’abuse pas du pouvoir que lui confère sa profession. L’enseignant défend l’école publique en tant qu’institution démocratique Il s’efforce de donner une image objective de l’école. Il contribue à la mise en valeur de la profession enseignante. Il soutient l’élaboration et l’adoption de projets susceptibles d’amener une amélioration dans l’éducation. Il s’efforce de corriger les inégalités de chances de réussite scolaire des élèves. 138 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E L’enseignant s’efforce de respecter le présent code de déontologie. (Adopté par l’Assemblée des délégués de la SPE, le 14 juin 1997). USA 1 - NATIONAL ASSOCIATION FOR EDUCATION OF YOUNG CHILDREN (NAEYC) CODE OF ETHICAL CONDUCT Preamble NAEYC recognizes that many daily decisions re q u i red of those who work with young children are of a moral and ethical nature. The NAEYC Code of Ethical Conduct offers guidelines for responsible behavior and sets forth a common basis for resolving the principal ethical dilemmas encountered in early childhood care and education. The primary focus is on daily practice with children and their families in programs for children from birth through 8 years of age, such as infant/toddler programs, preschools, child care centers, family child care homes, kindergartens, and primary classrooms. Many of the provisions also apply to specialists who do not work directly with children, including program administrators, parent and vocational educators, college professors, and child care licensing specialists. Core Values Standards of ethical behavior in early childhood care and education are based on commitment to core values that are deeply rooted in the history of our field. We have committed ourselves to – Appreciating childhood as a unique and valuable stage of the human life cycle – Basing our work with children on knowledge of child development – Appreciating and supporting the close ties between the child and family – Recognizing that children are best understood and supported in the context of family, culture, community, and society – Respecting the dignity, worth, and uniqueness of each individual (child, family member, and colleague) – Helping children and adults achieve their full potential in the context of relationships that are based on trust, respect, and positive regard Conceptual Framework The Code sets forth a conception of our professional responsibilities in four sections, each addressing an arena of professional relationships: (1) children, (2) families, (3) colleagues, and (4) community and society. Each section includes an introduction to the primary responsibilities of the early childhood practitioner in that arena, a set of ideals pointing in the direction of exemplary professional practice, and a set of principles defining practices that are required, prohibited, and permitted. The ideals reflect the aspirations of practitioners. The principles are intended to guide conduct and assist practitioners in resolving ethical dilemmas encountered in the field. There is not necessarily a corresponding principle for each ideal. Both ideals and principles are intended to direct practitioners to those questions which, when responsibly answered, will provide the basis for conscientious decisionmaking. While the Code provides specific direction and suggestions for addre s s i n g some ethical dilemmas, many others will re q u i re the practitioner to combine the guidance of the Code with sound professional judgment. The ideals and principles in this Code present a shared conception of professional responsibility that affirms our commitment to the core values of our field. The Code publicly acknowledges the responsibilities that we in the field have assumed and in so doing supports ethical behavior in our work. Practitioners who face ethical dilemmas are urged to seek guidance in the applicable parts of this Code and in the spirit that informs the whole. Ethical dilemmas always exist Often, «the right answer» – the best ethical course of action to take – is not obvious. There may be no readily apparent, positive way to handle a situation. One important value may contradict another. When we are caught «on the horns of a dilemma», it is our professional responsibility to consult with all relevant parties in seeking the most ethical course of action to take. Section I: Ethical responsibilities to children Childhood is a unique and valuable stage in the life cycle. Our paramount responsibility is to provide safe, healthy, nurturing, and responsive settings for children. We are committed to support children’s development, respect individual differences, help children learn to live and work cooperatively, and promote health, self-awareness, competence, self-worth, and resiliency. Ideals I-1.1. To be familiar with the knowledge base of early childhood care and education and to keep current through continuing education and in-service training. I-1.2. To base program practices upon current knowledge in the field of child development and related disciplines and upon particular knowledge of each child. I-1.3. To re c o g n i ze and respect the uniqueness and the potential of each child. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 139 I-1.4. To appreciate the special vulnerability of children. I-1.5. To create and maintain safe and healthy settings that foster children’s social, emotional, intellectual, and physical development and that respect their dignity and their contributions. I-1.6. To support the right of each child to play and learn in inclusive early childhood programs to the fullest extent consistent with the best interests of all involved. As with adults who are disabled in the larger community, children with disabilities are ideally served in the same settings in which they would participate if they did not have a disability. I-1.7. To ensure that children with disabilities have access to appropriate and convenient support services and to advocate for the resources necessary to provide the most appropriate settings for all children. Principles P-1.1. Above all, we shall not harm children. We shall not participate in practices that are disrespectful, degrading, dangerous, exploitative, intimidating, emotionally damaging, or physically harmful to children. This principle has precedence over all others in this Code. P-1.2. We shall not participate in practices that discriminate against children by denying benefits, giving special advantages, or excluding them from programs or activities on the basis of their race, ethnicity, religion, sex, national origin, language, ability, or the status, behavior, or beliefs of their parents. (This principle does not apply to programs that have a lawful mandate to provide services to a particular population of children). P-1.3. We shall involve all of those with relevant knowledge (including staff and parents) in decisions concerning a child. P-1.4. For every child we shall implement adaptations in teaching strategies, 140 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E learning environment, and curricula, consult with the family, and seek recommendations from appropriate specialists to maximize the potential of the child to benefit from the program. If, after these efforts have been made to work with a child and family, the child does not appear to be benefiting from a program, or the child is seriously jeopardizing the ability of other children to benefit from the program, we shall communicate with the family and appropriate specialists to determine the child’s current needs; identify the setting and services most suited to meeting these needs; and assist the family in placing the child in an appropriate setting. P-1.5. We shall be familiar with the symptoms of child abuse, including physical, sexual, verbal, and emotional abuse, and neglect. We shall know and follow state laws and community procedures that protect children against abuse and neglect. P-1.6. When we have reasonable cause to suspect child abuse or neglect, we shall report it to the appropriate community agency and follow up to ensure that appropriate action has been taken. When appropriate, parents or guardians will be informed that the referral has been made. P-1.7. When another person tells us of a suspicion that a child is being abused or neglected, we shall assist that person in taking appropriate action to protect the child. P-1.8. When a child protective agency fails to provide adequate protection for abused or neglected children, we acknowledge a collective ethical responsibility to work toward improvement of these services. P-1.9. When we become aware of a practice or situation that endangers the health or safety of children, but has not been previously known to do so, we have an ethical responsibility to inform those who can remedy the situation and who can protect children from similar danger. Section II: Ethical responsibilities to families Families are of primary importance in children’s development. (The term family may include others, besides parents, who are responsibly involved with the child). Because the family and the early childhood practitioner have a common interest in the child’s welfare, we acknowledge a primary responsibility to bring about collaboration between the home and school in ways that enhance the child’s development. Ideals I-2.1. To develop relationships of mutual trust with families we serve. I-2.2. To acknowledge and build upon strengths and competencies as we support families in their task of nurturing children. I-2.3. To respect the dignity of each family and its culture, language, customs, and beliefs. I-2.4. To respect families’ childrearing values and their right to make decisions for their children. I-2.5. To interpret each child’s progress to parents within the framework of a developmental perspective and to help families understand and appreciate the value of developmentally appropriate early childhood practices. I-2.6. To help family members improve their understanding of their children and to enhance their skills as parents. I-2.7. To participate in building support networks for families by providing them with opportunities to interact with program staff, other families, community resources, and professional services. Principles P-2.1. We shall not deny family members access to their child’s classroom or program setting. P-2.2. We shall inform families of program philosophy, policies, and personnel qualifications, and explain why we teach as we do, which should be in accordance with our ethical responsibilities to children (see Section I). P-2.3. We shall inform families of and when appropriate, involve them in policy decisions. P-2.4. We shall involve families in significant decisions affecting their child. P-2.5. We shall inform the family of accidents involving their child, of risks such as exposures to contagious disease that may result in infection, and of occurrences that might result in emotional stress. P-2.6. To improve the quality of early childhood care and education, we shall cooperate with qualified child development researchers. Families shall be fully informed of any proposed research projects involving their children and shall have the opportunity to give or withhold consent without penalty. We shall not permit or participate in research that could in any way hinder the education, development, or well-being of children. P-2.7. We shall not engage in or support exploitation of families. We shall not use our relationship with a family for private advantage or personal gain, or enter into relationships with family members that might impair our effectiveness in working with children. P-2.8. We shall develop written policies for the protection of confidentiality and the disclosure of children’s records. These policy documents shall be made available to all program personnel and families. Disclosure of children’s records beyond family members, program personnel, and consultants having an obligation of confidentiality shall require familial consent (except in cases of abuse or neglect). P-2.9. We shall maintain confidentiality and shall respect the family’s right to privacy, refraining from disclosure of confiden- PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 141 tial information and intrusion into family life. However, when we have reason to believe that a child’s welfare is at risk, it is permissible to share confidential information with agencies and individuals who may be able to intervene in the child’s interest. P-2.10. In cases where family members are in conflict, we shall work openly, sharing our observations of the child, to help all parties involved make informed decisions. We shall refrain from becoming an advocate for one party. P-2.11. We shall be familiar with and appropriately use community resources and professional services that support families. After a referral has been made, we shall follow up to ensure that services have been appropriately provided. Section III: Ethical responsibilities to colleagues In a caring, cooperative work place, human dignity is respected, professional satisfaction is promoted, and positive relationships are modeled. Based upon our core values, our primary responsibility in this arena is to establish and maintain settings and relationships that support productive work and meet professional needs. The same ideals that apply to children are inherent in our responsibilities to adults. A. Responsibilities to co-workers Ideals I-3A.1. To establish and maintain relationships of respect, trust, and cooperation with co-workers. I-3A.2. To share resources and information with co-workers. I-3A.3. To support co-workers in meeting their professional needs and in their professional development. P-3A.4. To accord co-workers due recognition of professional achievement. 142 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E Principles P-3A.1. When we have concern about the professional behavior of a co-worker, we shall first let that person know of our concern, in a way that shows respect for personal dignity and for the diversity to be found among staff members, and then attempt to resolve the matter collegially. P-3A.2. We shall exercise care in expressing views regarding the personal attributes or professional conduct of co-workers. Statements should be based on firsthand knowledge and relevant to the interests of children and programs. B. Responsibilities to employers Ideals I-3B.1. To assist the program in providing the highest quality of service. I-3B.2. To do nothing that diminishes the reputation of the program in which we work unless it is violating laws and regulations designed to protect children or the provisions of this Code. Principles P-3B.1. When we do not agree with program policies, we shall first attempt to effect change through constructive action within the organization. P-3B.2. We shall speak or act on behalf of an organization only when authorized. We shall take care to acknowledge when we are speaking for the organization and when we are expressing a personal judgment. P-3B.3. We shall not violate laws or regulations designed to protect children and shall take appropriate action consistent with this Code when aware of such violations. C. Responsibilities to employees Ideals I-3C.1. To promote policies and working conditions that foster mutual respect, competence, well-being, and positive selfesteem in staff members. I-3C.2. To create a climate of trust and candor that will enable staff to speak and act in the best interests of children, families, and the field of early childhood care and education. I-3C.3. To strive to secure equitable compensation (salary and benefits) for those who work with or on behalf of young children. Principles P-3C.1. In decisions concerning children and programs, we shall appropriately utilize the education, training, experience, and expertise of staff members. P-3C.2. We shall provide staff members with safe and supportive working conditions that permit them to carry out their responsibilities, timely and nonthreatening evaluation procedures, written grievance procedures, constructive feedback, and opportunities for continuing professional development and advancement. P-3C.3. We shall develop and maintain comprehensive written personnel policies that define program standards and, when applicable, that specify the extent to which employees are accountable for their conduct outside the work place. These policies shall be given to new staff members and shall be available for review by all staff members. P-3C.4. Employees who do not meet program standards shall be informed of areas of concern and, when possible, assisted in improving their performance. P-3C.5. Employees who are dismissed shall be informed of the reasons for their termination. When a dismissal is for cause, justification must be based on evidence of inadequate or inappropriate behavior that is accurately documented, current, and available for the employee to review. P-3C.6. In making evaluations and rec- ommendations, judgments shall be based on fact and relevant to the interests of children and programs. P-3C.7. Hiring and promotion shall be based solely on a person’s record of accomplishment and ability to carry out the responsibilities of the position. P-3C.8. In hiring, promotion, and provision of training, we shall not participate in any form of discrimination based on race, ethnicity, religion, gender, national origin, culture, disability, age, or sexual preference. We shall be familiar with and observe laws and regulations that pertain to employment discrimination. Section IV: Ethical responsibilities to community and society Early childhood programs operate within a context of an immediate community made up of families and other institutions concerned with children’s welfare. Our responsibilities to the community are to provide programs that meet its needs, to cooperate with agencies and professions that share responsibility for children, and to develop needed programs that are not currently available. Because the larger society has a measure of responsibility for the welfare and protection of children, and because of our specialized expertise in child development, we acknowledge an obligation to serve as a voice for children everywhere. Ideals I.4.1. To provide the community with highquality (age and individually appropriate, and culturally and socially sensitive) education/care programs and services. I-4.2. To promote cooperation among agencies and interdisciplinary collaboration among professions concerned with the welfare of young children, their families, and their teachers. PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 143 I-4.3. To work, through education, research, and advocacy, toward an environmentally safe world in which all children re c e i ve adequate health care, food, and shelter, are nurtured, and live free from violence. I-4.4. To work, through education, research, and advocacy, toward a society in which all young children have access to high-quality education/care programs. I-4.5. To promote knowledge and understanding of young children and their needs. To work toward greater social ack n owledgment of childre n’s rights and greater social acceptance of responsibility for their well-being. I-4.6. To support policies and laws that p romote the well-being of children and families, and to oppose those that impair their well-being. To participate in developing policies and laws that are needed, and to cooperate with other individuals and groups in these efforts. I-4.7. To further the professional development of the field of early childhood care and education and to strengthen its commitment to realizing its core values as reflected in this Code. Principles P-4.1. We shall communicate openly and truthfully about the nature and extent of services that we provide. P-4.2. We shall not accept or continue to work in positions for which we are personally unsuited or professionally unqualified. We shall not offer services that we do not have the competence, qualifications, or resources to provide. P-4.3. We shall be objective and accurate in re p o rting the knowledge upon which we base our program practices. P-4.4. We shall cooperate with other professionals who work with children and their families. 144 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E P-4.5. We shall not hire or recommend for employment any person whose competence, qualifications, or character makes him or her unsuited for the position. P-4.6. We shall report the unethical or incompetent behavior of a colleague to a supervisor when informal resolution is not effective. P-4.7. We shall be familiar with laws and regulations that serve to protect the children in our programs. P-4.8. We shall not participate in practices which are in violation of laws and regulations that protect the children in our programs. P-4.9. When we have evidence that an early childhood program is violating laws or regulations protecting children, we shall report it to persons responsible for the program. If compliance is not accomplished within a reasonable time, we will report the violation to appropriate authorities who can be expected to remedy the situation. P-4.10. When we have evidence that an agency or a professional charged with providing services to children, families, or teachers is failing to meet its obligations, we acknowledge a collective ethical responsibility to report the problem to appropriate authorities or to the public. P-4.11. When a program violates or requires its employees to violate this Code, it is permissible, after fair assessment of the evidence, to disclose the identity of that program. Statement of commitment As an individual who works with young children, I commit myself to furthering the values of early childhood education as they are reflected’in the NAEYC Code of Ethical Conduct. To the best of my ability I will – Ensure that programs for young children are based on current knowledge of child development and early childhood education. – Respect and support families in their task of nurturing children. – Respect colleagues in early childhood education and support them in maintaining the NAEYC Code of Ethical Conduct. – Serve as an advocate for children, their families, and their teachers in community and society. – Maintain high standards of professional conduct. – Recognize how personal values, opinions, and biases can affect professional judgment. – Be open to new ideas and be willing to learn from the suggestions of others. – Continue to learn, grow, and contribute as a professional. – Honor the ideals and principles of the NAEYC Code of Ethical Conduct. This document is an official position statement of the National Association for the Education of Young Children. (Taken from NAEYC-1998) USA 2 - THE NATIONAL EDUCATION ASSOCIATION CODE OF ETHICS OF THE EDUCATION PROFESSION Preamble The educator, believing in the worth and dignity of each human being, recognizes the supreme importance of the pursuit of truth, devotion to excellence, and the nurture of the democratic principles. Essential to these goals is the protection of freedom to learn and to teach and the guarantee of equal educational opportunity for all. The educator accepts the responsibility to adhere to the highest ethical standards. The educator recognizes the magnitude of the responsibility inherent in the teach- ing process. The desire for the respect and confidence of one’s colleagues, of students, of parents, and of the members of the community provides the incentive to attain and maintain the highest possible degree of ethical conduct. The Code of Ethics of the Education Profession indicates the aspiration of all educators and provides standards by which to judge conduct. The remedies specified by the NEA and/or its affiliates for the violation of any provision of this Code shall be exclusive and no such provision shall be enforceable in any form other than the one specifically designated by the NEA or its affiliates. Principle I. Commitment to the Student The educator strives to help each student realize his or her potential as a worthy and effective member of society. The educator therefore works to stimulate the spirit of inquiry, the acquisition of knowledge and understanding, and the thoughtful formulation of worthy goals. In fulfillment of the obligation to the student, the educator: 1. Shall not unreasonably restrain the student from independent action in the pursuit of learning. 2. Shall not unreasonably deny the student’s access to varying points of view. 3. Shall not deliberately suppress or distort subject matter relevant to the student’s progress. 4. Shall make reasonable effort to protect the student from conditions harmful to learning or to health and safety. 5. Shall not intentionally expose the student to embarrassment or disparagement. 6. Shall not on the basis of race, color, creed, sex, national origin, marital sta- PER UN CODICE DEONTOLOGICO DELLA SCUOLA 145 tus, political or religious beliefs, family, social or cultural background, or sexual orientation, unfairly: a. Exclude any student from participation in any program b. Deny benefits to any student c. Grant any advantage to any student 7. Shall not use professional relationships with students for private advantage. 8. Shall not disclose information about students obtained in the course of professional service unless disclosure serves a compelling professional purpose or is required by law. Principle II. Commitment to the Profession The education profession is vested by the public with a trust and responsibility requiring the highest ideals of professional service. In the belief that the quality of the services of the education profession directly influences the nation and its citizens, the educator shall exert every effort to raise professional standards, to promote a climate that encourages the exercise of professional judgment, to achieve conditions that attract persons worthy of the trust to careers in education, and to assist in preventing the practice of the profession by unqualified persons. 146 A N N A L I D E L L’ I S T R U Z I O N E In fulfillment of the obligation to the profession, the educator: 1. Shall not in an application for a professional position deliberately make a false statement or fail to disclose a material fact related to competency and qualifications. 2. Shall not misrepresent his/her professional qualifications. 3. Shall not assist any entry into the profession of a person known to be unqualified in respect to character, education, or other relevant attribute. 4. Shall not knowingly make a false statement concerning the qualifications of a candidate for a professional position. 5. Shall not assist a noneducator in the unauthorized practice of teaching. 6. Shall not disclose information about colleagues obtained in the course of professional service unless disclosure serves a compelling professional purpose or is required by law. 7. Shall not knowingly make false or malicious statements about a colleague. 8. Shall not accept any gratuity, gift, or favor that might impair or appear to influence professional decisions or action. Adopted by the NEA 1975 Representative Assembly (Taken from National Education Association) BIBLIOGRAFIA AA.VV. (1989), Etica oggi: comportamenti correttivi e moduli culturali, Padova, Fond. Lanza. Apel K.O. et. al. (1990), Etiche in dialogo, Genova, Marietti. Arendt H. (1990), Vita activa, Milano, Bompiani. Aristotele (1993), Politica, Bari, Laterza. Barbagallo G. 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