Polonia mon amour pp.1-280

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Polonia mon amour pp.1-280
Prefazione
di Lucio Caracciolo
1. Per buona parte della sua storia moderna e contemporanea la Polonia è stata
un oggetto, non un soggetto geopolitico. Alla fine della seconda guerra mondiale, la nazione polacca era già stata segnata da cinque spartizioni (1772, 1793,
1795, 1815 e 1939) e da tre periodi di eclissi totale (1795-1807, 1831-1918 e
1939-1945). Dei suoi confini e delle sue genti si poteva disporre tracciando un
frego su una carta con la punta di una matita rossa o blu. Perché molti europei
concordavano in fondo al cuore con la tesi di Edmund Burke – grande sostenitore dei polacchi a Westminster: «In effetti, la Polonia può essere considerata un
paese sulla Luna»1. Per parafrasare Christa Wolf (Kein Ort. Nirgends) la Polonia
era un non luogo. O quantomeno un luogo revocabile e fungibile agli interessi
delle grandi potenze del momento.
La stessa Polonia attuale deve le sue frontiere alle decisioni – e alle indecisioni – dei massimi leader della coalizione antihitleriana, prese fra il 1943 e il 1945.
Anche per loro i polacchi erano pedine da spostare sulla scacchiera continentale,
sulla base della somma algebrica dei rispettivi interessi. Ciò che restava della nazione devastata nel settembre 1939 dalla duplice aggressione tedesca e sovietica,
benedetta dal Patto Molotov-Ribbentrop, fu risistemato senza nemmeno fingere
di considerare l’opinione dei polacchi. E a compiere questa ennesima chirurgia
nel corpo polacco contribuirono anche uomini che, come Burke, non si consideravano affatto ostili alla Polonia. Semplicemente, ritenevano di poterne disporre.
Per ricordare che cosa fosse quel paese solo qualche decennio fa, riportiamoci
al pomeriggio del primo ottobre 1943, a Teheran. Nel loro primo vertice bellico,
Stalin, Roosevelt e Churchill discutevano del futuro di Germania e Polonia. In
fondo, spiegava il leader britannico, Londra era entrata in guerra per mantenere la
parola data a Varsavia, invasa il primo settembre 1939 dalle truppe hitleriane (e
poco dopo da quelle sovietiche).
Churchill, che ospitava il governo polacco in esilio sul quale Stalin aveva già
deciso di mettere una croce, non aveva tempo da perdere. E per compiacere lo
«zio Giuseppe» (così Roosevelt amava chiamare Stalin) ricorse a un esercizio
1 Cit.
in A. Zamoyski, The Polish Way, New York 2001, Hippocrene Books, p. 4.
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molto pratico: «Vorrei rifarmi al mio esempio dei tre fiammiferi, dei quali uno
rappresenta la Germania, l’altro la Polonia e il terzo l’Unione Sovietica. Questi
fiammiferi devono essere spostati verso ovest, in modo da realizzare uno degli
obiettivi principali degli Alleati, la garanzia delle frontiere occidentali dell’Urss»2. Stalin non aveva ovviamente nulla da obiettare in linea di principio, salvo spostare i tre fiammiferi più a occidente possibile. Come è ben noto, alla fine
ottenne soddisfazione, poiché la Polonia venne traslata di oltre cento chilometri
verso ovest e collocata più o meno fra la vecchia linea Curzon e l’Oder-Neiße, a
spese della Germania e a vantaggio dell’Urss. Stalin non dovette fare un particolare sforzo per questo, visto che si trattava di sanzionare i fatti compiuti – cioè
l’avanzata in profondità dell’Armata Rossa nel cuore del continente. E visto anche che non solo il povero Churchill – alla guida in un impero sull’orlo del collasso – ma lo stesso Roosevelt non ritennero di spendersi troppo per i polacchi,
prima che i russi stringessero la morsa sui loro territori, negli ultimi mesi di guerra. Roosevelt infatti doveva essere rieletto, e per questo aveva bisogno dei voti dei
polacchi americani. Sicché avrebbe accettato tacitamente le rivendicazioni sovietiche: «Sono d’accordo con il maresciallo Stalin che dobbiamo ricostituire lo Stato polacco, e personalmente non ho nulla da obiettare se i confini della Polonia
vengono spostati a ovest, fino all’Oder. Per considerazioni politiche [leggi: la necessità di contare sui voti polacco-americani per la rielezione, nel 1944], non
posso però partecipare adesso alla soluzione di questo problema. Condivido le
idee del maresciallo Stalin, spero però che capisca perché io non posso pubblicamente partecipare a risolvere tale questione qui a Teheran e anche nella primavera prossima». Stalin rispose condiscendente: «Adesso capisco»3. Roosevelt concluse che il giorno dopo il tempo sarebbe stato buono e quindi avrebbe desiderato volare a casa. Non c’era altro tempo da perdere a occuparsi dei polacchi.
2. Questo era, più o meno, lo stile di negoziato delle grandi potenze sulla Polonia (e non solo) ancora a metà Novecento. Bisognerà attendere il fatidico 1989
perché i polacchi riprendessero in mano il proprio destino, sulla scia della rivoluzione di Solidarność. La Polonia di cui trattiamo oggi è finalmente un coprotagonista della scena europea. È di questa Polonia, soprattutto, che Andrea e Paolo
Morawski tracciano in questo libro un aggiornato, originale e appassionato tentativo di indagine. Un paese che, piaccia o meno, si considera uno dei Sei Grandi
d’Europa, al fianco di Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Italia.
I contributi pubblicati in questo volume servono anche a illuminare in prospettiva il ruolo della Polonia nell’Unione Europea e nella Nato. Per cercare di capirlo, conviene ricordare a noi stessi che cosa sono e che cosa potrebbero diventare
le due grandi organizzazioni internazionali cui Varsavia è riuscita ad accedere.
2 Ministerium für Auswärtige Gelegenheiten der UdSSR, Die Teheraner Konferenz 1943, Dokumentensammlung, Moskau/Berlin 1986, Verlag Progress, Staatsverlag der Deutschen Demokratischen Republik, p. 135.
3 Ivi, p. 139.
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L’Unione Europea oggi a Venticinque, domani forse a Trenta e oltre, tende a
configurarsi come un vasto spazio di cooperazione economica, con una regolamentazione comune di molti aspetti della vita quotidiana, ma senza una effettiva
soggettività politica e geopolitica. Contrariamente a quanto alcuni eurofobi polacchi come Andrzej Lepper preconizzavano, l’ingresso nell’Ue non significa affatto soggiacere a un presunto superpotere brussellese. Significa invece partecipare al gioco europeo, dove la posta in gioco è soprattutto la definizione e la direzione delle regole comuni e di alcuni flussi finanziari che dovrebbero sostenere i paesi meno ricchi. (Cartina 1) Dai partner europei i polacchi si attendono un
sostegno al rapido sviluppo del paese e il diritto di partecipare alla partita comunitaria (peraltro basata su norme spesso interpretate in base ai rapporti di forza).
Inoltre, dall’Ue la Polonia ottiene uno status, il riconoscimento di rappresentare
un importante paese nel cuore di un continente che – ammoniva Wojtyła – deve
respirare con i suoi due polmoni.
Quanto alla Nato, il suo motto attuale sembra essere out of area or out of business, per riprendere la frase di un parlamentare Usa. Non è più il braccio militare
della vecchia Alleanza atlantica, quella unita dalla volontà di resistere all’Urss.
Ma non è ancora chiaro quale funzione possa avere, oltre a intervenire nei campi
di battaglia già solcati dalle truppe americane, per contribuire alla loro pacificazione e stabilizzazione. Certo agli occhi di molti polacchi, cechi, ungheresi, baltici e altri ex sudditi di Mosca la Nato resta il simbolo e il pegno dell’ancoraggio
americano in Europa, dunque la garanzia ultima di sicurezza. La «nuova» Nato
assomiglia molto alla «vecchia». Forse così a Varsavia e nelle altre capitali dell’ex impero sovietico si sopravvaluta l’interesse americano alla sicurezza dei
partner europei, polacchi inclusi.
Il cuore della Polonia resta comunque atlantico. Recenti sondaggi confermano
che i polacchi contano anzitutto sugli Stati Uniti d’America (26% di preferenze
in un rilevamento del settembre 2004) e poi sulla Gran Bretagna (12%), mentre
Francia e Germania, insieme alla Repubblica Ceca, sono considerate affidabili
dal 7% degli intervistati, l’Italia dal 3%. Il senso dell’atlantismo polacco è dato
dalla risposta degli stessi intervistati alla domanda su quali siano i paesi cui la Polonia deve guardare con maggiore preoccupazione: la Russia (44%) e la Germania (35%): niente di nuovo sotto il sole4. I polacchi di oggi come quelli di ieri e
dell’altro ieri pensano di poter disporre di un proprio Stato solo quando russi e tedeschi non sono sufficientemente forti da impedirglielo.
La priorità geopolitica della Polonia attuale è quindi la valorizzazione del legame con gli Stati Uniti. L’Europa è importante, ma viene dopo: primum vivere.
Si spiegano in questa prospettiva le scelte filoamericane di Varsavia nella guerra
al terrorismo, anche a costo di inimicarsi Francia e Germania. E in questa visione si colloca la latente quanto persistente tensione con Mosca (e con Minsk). Per
4 Sondaggio
n. 183 sul tema: «Su chi la Polonia può contare, chi dovrebbe temere?», a cura di
M. Strzeszewski per il Cbos-Centrum Badania Opinii Społecznej, Warszawa, novembre 2004,
www.cbos.com.pl.
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chi ha sofferto per decenni sotto il tallone sovietico, l’idea che la Russia abbia rinunciato alle ambizioni imperiali appare dubitevole.
E d’altronde, quale sarebbe l’alternativa all’atlantismo?
Già nel 1997 Zbigniew Brzeziński annotava nella sua Grande Scacchiera che
la Polonia, «il partner potenzialmente più importante della Nato e dell’Ue nell’Europa centrale», è «troppo debole per essere un giocatore geostrategico»; non
gli resta quindi che «un’unica opzione: integrarsi con l’Occidente»5. A meno di
non sperare che l’Unione Europea possa configurarsi un giorno anche come potenza, e che tale potenza sia orientata in modo tale da calmare i timori polacchi
nei confronti dei russi e degli stessi partner tedeschi.
3. Queste percezioni geopolitiche di fondo rendono difficile il dialogo fra i polacchi (e altri popoli dell’Europa centrale e orientale) e alcune nazioni europee
occidentali, a cominciare dalla Francia, nostalgiche dell’influenza un tempo esercitata in quella parte di continente. Mentre Varsavia sembra concepire l’allargamento dell’Ue e soprattutto l’espansione della Nato come lo spostamento verso
est di una cortina di ferro «soft» (vedi anche l’atteggiamento tenuto nel dibattito
su Kaliningrad o nella recente crisi ucraina), in chiave antirussa, Parigi e Berlino
paiono comportarsi come se la Polonia e gli altri paesi dell’ex impero sovietico
fossero tuttora parte di quella che alcuni geografi politici tedeschi chiamavano la
Zwischeneuropa, «l’Europa di Mezzo», tra russi e tedeschi (un’immagine che ricorda quella di una tenaglia pronta a schiacciare le eventuali velleità di potenza di
polacchi, cechi, ungheresi).
Oggi nessuno – o quasi – parla più di Europa dell’Est con riferimento alla Polonia. Anzi, questa definizione sembra in totale disuso. Ma se la Polonia è il centro dell’Europa, quale ne sarà la porzione orientale? Questione apparentemente
capziosa, epperò decisiva per capire quale sia il posto della Russia, della Bielorussia, della Moldavia, della Georgia e dell’Ucraina – e magari anche del Kazakistan, dell’Armenia e dell’Azerbaigian – nella futura carta geopolitica continentale. Paradossalmente, insistendo sulla propria appartenenza all’Europa centrale,
Varsavia finisce per assegnare ai russi una patente europea (orientale) che non
corrisponde troppo né alle percezioni polacche né tantomeno al desiderio di coabitare con i russi sotto un eventuale tetto comune (l’Ue e la Nato allargate alla
Russia, cui talvolta accenna Berlusconi).
Nella storia sono esistite molte Polonie, alcune molto più grandi dell’attuale,
tutte più orientali. Perché questa Polonia possa vivere e prosperare il vincolo euroatlantico è condizione necessaria ma non sufficiente. Decisivo sarà anche il
rapporto con la Russia e con gli altri vicini orientali, Ucraina in testa. Quanto più
questi saranno integrati nella stessa famiglia geopolitica cui partecipano i polacchi, tanto più sicura si sentirà Varsavia. Se invece la Russia si confermerà uno
Stato riluttante ai modelli democratici occidentali e deciso a ricostituire la sua
5 Z.
Brzeziński, La Grande Scacchiera, Milano 1998, Longanesi, p. 62.
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sfera d’influenza nello spazio ex sovietico, il richiamo alle logiche della guerra
fredda continuerà a pesare nelle percezioni e nelle scelte di Varsavia.
È dunque nella Ostpolitik la chiave del futuro polacco. E in buona misura anche del nostro. È importante quindi che questa Ostopolitik non sia solo polacca o
degli altri paesi già sottomessi ai sovietici, ma anche europea.
L’attuale frontiera orientale dell’Unione Europea tenderà a separare due mondi, o fungerà da tramite fra Europa centroccidentale ed Europa orientale a impronta russa? Dipenderà anche dalla Westpolitik di Mosca, dalla sua eventuale disponibilità ad agganciare la Russia all’Europa e all’Occidente. Ma in questa partita la Polonia avrà comunque una funzione di avanguardia. Da soggetto, non più
da oggetto delle potenze che per secoli ne hanno soffocato l’aspirazione a esistere e a contare. (Cartina 2)
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